Note di regia - Teatro De Gli Incamminati
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Note di regia - Teatro De Gli Incamminati
Bernhard: autore comico. Note di regia di Renato Sarti "Nei miei libri tutto è artificio" Thomas Bernhard A proposito di La Forza dell'abitudine, andato in scena a Borgio Verezzi nel 2002 per la regia di Alessandro Gassman, su La Repubblica Franco Quadri evidenziava come: "Cerano voluti anni perché il teatro italiano capisse che Thomas Bernhard non è un autore d'elite (...). Ci voleva la prima regia di un attore con il teatro nel sangue per fare scoprire l'acqua calda". L'acqua calda, già. Spesso si è fatto anche riferimento all'elemento comico presente nei testi di Thomas Bernhard e non è un caso che intorno al dilemma E' una commedia? E' una tragedia? (suo breve racconto del 1967) ruoti uno dei principali quesiti relativi all'opera del grande drammaturgo austriaco. Il significato profondo della parola tedesca witz si può tradurre in italiano come battuta di spirito o freddura anche se, come ci è stato mirabilmente spiegato da Karl Krauss, il witz nella cultura tedesca ha un significato più complesso. A Trieste ancora oggi, in dialetto, una battuta di spirito si definisce witz. Noi triestini siamo vittime del witz e la sua forza corrosiva ci forgia fin dalla più tenera età, provocando a volte traumi e nevrosi inguaribili. Sarà per questo forse che, personalmente, Berhnard mi fa ridere. Non parlo di grottesco o di satirico, parlo del comico e mi sembra che Raul Kirchmayr colga nel segno quando afferma che la scrittura di Bernhard: "(...) è al contempo tragica e comica, e si nutre di un pathos tragico così esagerato dal trasformarsi in comico". I logorroici protagonisti di Bernhard non sono da prendere del tutto sul serio e pensare che i loro farneticanti monologhi siano perle di verità o saggezza è quanto mai fuorviante. I protagonisti de La Forza dell'abitudine, Il Teatrante, Alla meta, Prima della pensione, Minetti, L'apparenza inganna, sono caratteri, più vicini alla maschera che all'introspezione psicologica o al realismo. Che in Ritter Dene Voss l'autore prenda spunto dal famoso filosofo Wittgenstein è evidente, ma non siamo di fronte a una sorta di ricostruzione biografica del famoso filosofo perché il contesto è decisamente diverso. Nella pièce Ludwig vive per sua volontà, a pagamento, in manicomio, torna di tanto in tanto nella lussuosa casa delle due sorelle per una visita di pochi giorni, in un clima denso di tensione familiari e di doppi sensi di natura sessuale (in cui rapporti torbidi e l'incesto sono all'ordine del giorno). Il rientro a casa di Ludwig, e il contrasto dei caratteri rispetto alle sorelle, provoca scontri, attriti e situazioni all'inizio apparentemente drammatiche che si rivelano man mano sempre più esilaranti. Siamo vicini alla parodia e non al dramma interiore. La tragedia presente si tramuta subito in risata e i tormenti del protagonista ricordano le parole del principe Sarau in Perturbamento, di Bernhard: "Gli elementi comici o di allegria presenti nelle persone si manifestano con particolare evidenza nel loro tormento, così come un elemento tormentoso è presente nei loro momenti di comicità, di allegria, ecc...". È vero che non bisogna fidarsi di un destrutturatore di storie come Berhard, ma in un altro passo dello stesso romanzo rivelava tutta la sua più profonda diffidenza per gli uomini colti e per i loro discorsi seri: "Quando parla una persona semplice è una vera delizia. Parla, non chiacchiera. Quanto più le persone sono colte tanto più insopportabile diventa la loro chiacchiera. (...) Un muratore, un taglialegna, possiamo starlo a sentire, una persona colta, o una persona cosiddetta colta, dal momento che esistono solamente cosiddette colte, no. Purtroppo non si sente altro che la chiacchiera dei chiacchieroni". Bernhard tratteggia la figura di Ludwig mettendo in moto lo stesso meccanismo con cui Renato Rascel cercava di rendere credibile la figura Corazziere, e con il quale il sindaco de Libertà a Roccacannuccia di Nestroy si crede, probabilmente, Metternich. Certo in Ritter, Dene, Voss, i riferimenti filosofici e culturali sono molto più alti, ma il meccanismo è identico. Non rendersi conto di questo significa dare a Bernhard una patente di serietà dalla quale lui stesso rifuggiva: "Sì, certo sono considerato un cosiddetto scrittore serio, come Bèla Bartòk è considerato un compositore serio, e la fama si sta diffondendo... In fondo non è per niente una bella fama... Mi mette assolutamente a disagio". Sappiamo benissimo che fare di Ritter, Dene, Voss, una sorte di provocatorio è dichiarato manifesto della comicità di Bernhard è un rischio che ci espone alle bacchettate dei puristi. Del resto oggi, il comico è visto con sufficienza e non è un caso che non esistano né un festival, né un premio di drammaturgia, né una rassegna di teatro comico. Peccato, perché grande e illustre è la tradizione italiana di talenti che hanno dato lustro a questo genere, da Totò a Fabrizi, da Franca Valeri a Tognazzi, da Paolo Rossi a Luttazzi. Solo nel nostro Paese il Premio Nobel conferito a Dario Fo poteva essere accolto in alcuni ambienti culturali in modo sospetto. Peccato, perché alla pari della sgorbia, della pialla, della colla di pesce per il falegname, le loro occhiate, i loro contrappunti ritmici, le loro indimenticabili gag, sono arnesi fondamentali per un mestiere dal sapore antico che sarebbe criminale - dal punto di vista culturale - lasciare andare in estinzione. Renato Sarti Per evidenziare il comico in Ritter, Dene, Voss ho scelto un gioco-farsa fra i tre attori. Infatti ad interpretare le due sorelle e Ludwig saranno tre uomini: Carlo Rossi, Valerio Bongiorno, Piero Lenardon. (di cui due travestiti), tutti e tre interpreti di un personaggio differente ogni sera.
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