disponibile - comprensorio alpino valle brembana
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Periodico di cultura venatoria e gestione faunistico-ambientale del Comprensorio Venatorio Alpino Valle Brembana - Poste italiane S.p.A spedizione in A.P. - 70% - DCB Bergamo - Cod. ISSN 1723-5758 - contiene IP Riflessioni in merito all’evoluzione delle forme d’interazione tra fauna a vita libera e animali domestici L’habitat della starna Il roccolo Gennaio 2009 Anno XIII - n. 35 Prima sagra venatoria estiva per uccelli da richiamo La donna e la caccia Dalla caccia di selezione all’etica venatoria Gennaio 2009 Sommario L’EDITORIALE Enrico Bonzi La donna e la caccia 3 G.B. Gozzi 4 Ancora sulle “collaborazioni” Flavio Galizzi Direttore responsabile: Enrico Bonzi Coordinatore: Flavio Galizzi Redazione: Flavio Galizzi, Lino E. Ceruti, Giambattista Gozzi, Luigi Capitanio, Piergiacomo Oberti Hanno collaborato: Tiziano Ambrosi, Umberto Arioli, Martino Bianchi Marzoli, Gianantonio Bonetti, Angelo Bonzi, Carlo Calvetti, Luigi Capitanio, Lino E. Ceruti, Annibale Facchini, Sergio Facchini, Flavio Galizzi, Gianbattista Gozzi, Alessandra Gaffuri, Lara Leporatti, Cristian Midali, Piergiacomo Oberti, Graziella Palazzi, Stefania Pendezza, Romano Pesenti, Luigi Poleni, Pier Giorgio Sirtori, Eugenio Testa, GianBattista Vitali Direzione e redazione Lenna (Bg) - Piazza IV Novembre, 10 Tel. e Fax 0345/82565 www.comprensorioalpinovb.it e-mail comprensorio: [email protected] Progetto grafico: Manuele Anghileri Impaginazione e stampa: Diliddo Grafica&Stampa, San Pellegrino Terme Editore: Comprensorio Venatorio Alpino Valle Brembana Registrazione presso il Tribunale di Bergamo, n° 29/97 del 22/07/97 Rivista dei Soci del Comprensorio Venatorio Alpino Valle Brembana 6 7 Piergiacomo Oberti 8 Lepre Cristian Midali Ripopolabile Luigi Poleni 9 9 10 10 Educazione Faunistica Stefania Pendezza 26 27 guito con volontà e passione, spero sia stata per tutti una stagione piena di soddisfazioni, malgrado l’anticipo della neve e nonostante alcune problematiche e difficoltà che hanno caratterizzato la “tipica di monte”. L’assegnazione di 4 roccoli è stato un successo per i capannisti, soddisfatti per il numero di presicci sono svolte con regolarità e correttezza. Magari fosse tutti gli anni così! più partecipi e coinvolti, ricordando di porre attenzione, in particolare, affinché vengano rispettate le peculiarità della Zona Alpi, perché i suoi delicati equilibri non vengano stravolti. 29 31 34 Un’altra auspicata modifica riguarda il decreto ministeriale sulle ZPS, che insistono su gran parte del nostro territorio; si facciano carico tutti di esercitare le necessarie pressioni attraverso le Associazioni e i parlamentari bergamaschi, così che non si debba ripetere il posticipo dell’apertura alla migratoria rispetto al calendario provinciale. Siamo tutti fiduciosi che l’iter delle modifiche possa completarsi con il concorso di tutte le Associa- 35 zioni, e l’impianto risponda anche alle nostre specifiche esigenze. Comitato di Gestione, per un sereno Natale e un felice Anno nuovo. Il Presidente del Comprensorio 11 Enrico Bonzi 15 Pagine d’Autore 37 Racconti Romano Pesenti, Lino E. Ceruti, Lara Leporatti 38 In cucina Carlo Calvetti Avvenimenti e iniziative Il roccolo Prima sagra venatoria estiva per uccelli da richiamo Visto l’impegno del C.T.G. per una corretta gestione, un obiettivo perse- Rivolgo un augurio di cuore a tutti i cacciatori e alle loro famiglie, a nome mio e dei componenti del Annibale Facchini Flavio Galizzi alla programmazione per la prossima stagione. attenzione a quanto si sta muovendo, attraverso le rispettive Associazioni, affinché si sentano quanto L’habitat della starna GiovamBattista Vitali gione venatoria, e subito bisogna pensare ai bilanci economici e Si parla molto della modifica della legge nazionale 157/92. Invito quindi tutti i cacciatori a porre Riflessioni in merito all’evoluzione delle forme d’interazione tra fauna a vita libera e animali domestici Dr. Eugenio Testa U n po’ a malincuore, ma siamo ormai giunti al termine della sta- messi a disposizione; nonostante alcuni disagi le cose si sono presto sistemate e le assegnazioni si Curiosità Flavio Galizzi ARTICOLI Angelo Bonzi CACCIAINVALBREMBANA La ricarica Martino Bianchi Marzoli Foto: Andrea Galizzi, Flavio Galizzi, Fulvio Manzoni, Francesco Cuffaro, Lino Ceruti, Archivio “Olimpia”, Archivio Di Liddo, Archivio Provincia 2 Armi e balistica Sergio Facchini La rivista si avvale della collaborazione di tutti i Soci, con scritti e materiale grafico fotografico, senza impegni da parte della Redazione, che si riserva di vagliare ed eventualmente modificare quanto pervenuto, e tratterrà il materiale nel proprio archivio. La riproduzione anche parziale è vietata, salvo il consenso degli autori e del Comitato di Gestione Foto copertina: A. Galizzi Foto retro copertina: Renato Scaglia Appunti di biologia animale Tiziano Ambrosi Capanno Umberto Arioli Premio speciale per la tesi di dottorato di Luca Pellicioli 25 RUBRICHE Ungulati Gianantonio Bonetti 24 8° Convegno dell’associazione europea delle malattie gella fauna selvatica (EWDA) Flavio Galizzi COMMISSIONI Tipica Alpina Pier Giorgio Sirtori Alessandra Gaffuri Incidenti per transito di cervi a Scalvino Flavio Galizzi 22 Dalla caccia di selezione all’etica venatoria ATTUALITÀ Modifiche alla legge 157/92 Luigi Capitanio 17 20 Lino E. Ceruti 41 42 U N A L E G G E N O N A N C O R A M A G G I O R E N N E M A C O N E S T R E M A N E C E S S I TÀ D I E S S E R E R I N N O VATA - G.B. Gozzi Vedo se riesco ad annoiarvi una volta tanto, senza polemizzare con la nostra gestione venatoria, ma parlandovi del confronto che si è aperto per le modifiche che sono state proposte alla legge 157/92. Questa, meglio conosciuta come la “Legge quadro della caccia”, ossia l’attuale Legge dello Stato che ci permette di esercitare l’attività venatoria, è stata approvata nel 1992 e per quei tempi segnò un vero e proprio stravolgimento dell’attività venatoria. Era nata da una forte volontà da parte delle forze ambientaliste ed anticaccia di assestare un duro colpo al popolo dei cacciatori, con il preciso scopo di decimarne i praticanti. La sua approvazione fu il risultato di asprissime lotte parlamentari che videro impegnate allo spasimo le Associazioni venatorie e tutte le “lobby” favorevoli alla caccia per far fronte ai violentissimi attacchi degli anticaccia che a quei tempi erano molto ben rappresentati in parlamento. Alla fine si trovarono le giuste mediazioni ed i giusti 4 Attualità Attualità Modifiche alla legge 157/92 CACCIAINVALBREMBANA compromessi ma tutti i contendenti persero qualche cosa. Gli anticaccia raggiunsero solo parzialmente (ma lo raggiunsero) il loro scopo di dissuadere buona parte dei cacciatori a continuare ad esercitare l’attività venatoria, mentre i cacciatori in pochi anni, nel tempo di applicazione della legge, passarono come numero complessivo da circa un milione a 800.000. E questo era il risultato di alcuni provvedimenti che prevedeva la Legge, in particolare per la prima volta il cacciatore doveva fare una scelta precisa e vincolante (almeno per 3 anni) su quale tipo di caccia voleva esercitare, in secondo luogo il cacciatore veniva pure vincolato al territorio attraverso la costituzione degli Ambiti Territoriali e dei Comprensori Alpini. Insomma uno stravolgimento delle abitudini e se vogliamo anche dello spirito stesso della caccia che è soprattutto uno spirito di libertà senza confini obbligati. Il lato positivo era costituito dal fatto che finalmente la caccia veni- va gestita in prima persona dai cacciatori attraverso i Comitati di Gestione, sia dei Comprensori alpini che degli Ambiti territoriali. Naturalmente questa è solo una estrema sintesi di quello che era la Legge, poiché, ad esempio, veniva anche introdotto il principio di “danno allo Stato” e quindi l’applicazione del procedimento penale per alcune sanzioni venatorie. Inizialmente tutti provammo un grande senso di disagio nel dover scegliere una forma di caccia, in modo particolare i capannisti si vedevano penalizzati e costretti ad una forma di caccia assolutamente sedentaria, ma anche la vagante prevedeva delle specializzazioni e quindi dei vincoli. I sopravvissuti alla 157 si adeguarono alle nuove condizioni ed in pochi anni si trovarono i giusti equilibri grazie anche ad alcune innovazioni meno restrittive introdotte dalle leggi regionali. Naturalmente prevalse anche il buon senso, su un territorio disponibile alla caccia che andava sempre più riducendosi e sotto le notevoli pressioni ambientaliste, non solo italiane ma anche europee, quella legge col senno di poi possiamo dire che fu una buona legge, ed è per questo che anche ora importanti giuristi ed esperti consulenti venatori ritengono che la struttura portante della 157 debba essere mantenuta. Credo sia giusto che i cacciatori siano informati anche su quello che succede al di fuori dello stretto ambito venatorio provinciale, e che le novità (se novità ci saranno) siano rese a conoscenza di tutti, magari con uno spazio specifico sul bancone del nostro ufficio, dove potrebbero essere visionate tutte le informazioni relative alle problematiche e le relative proposte delle diverse Associazioni. Per ora siamo solo alla formulazione delle proposte di modifica, naturalmente dal punto di vista politico non vi è migliore occasione per apportare quegli aggiustamenti che le mutate condizioni ambientali italiane ed europee richiedono. Dico che politicamente vi sono le migliori condizioni perché nelle aule parlamentari sappiamo tutti che non siede uno, e dico uno solo, anticaccia “dichiarato”. Attenzione però, perché come la caccia è sempre stata trasversale ai partiti (vi sono cacciatori di sinistra, di centro e di destra) anche gli anticaccia sono un po’ trasversali, ed addirittura troviamo anche qualche ministro che non è del tutto convinto della bontà della caccia…….ma lasciamo stare, rimaniamo nel campo generale dove sicuramente le condizioni esistono e sono molto forti. Come al solito però sono gli stessi cacciatori a decidere il loro destino, e le spaccature esistenti tra le varie rappresentanze e le rispettive correnti di pensiero, e le relative proposte di modifica, rischiano ancora una volta di vanificare ogni sforzo unitario e di rendere impossibile qualsiasi intervento di modifica. Non entro nel merito delle proposte vere e proprie perché conosco solo quelle formulate dalla mia Federazione, e non sarebbe corretto evidenziare solo quelle, anche se ritengo che l’esperienza ed il buon senso che ci hanno sempre contraddistinto ci abbiano ancora una volta guidato nel proporre delle modifiche “sostenibili”, come deve essere sostenibile tutta la caccia praticata. Stravolgere ora le basi della 157 cancellando quegli strumenti che servono a far coagulare tutte le forze a vario titolo interessate alla gestione del territorio, significherebbe sicuramente non conquistare maggiore libertà, ma cadere in un rovinoso isolamento. CACCIAINVALBREMBANA 5 - Flavio Galizzi Più volte ho avuto modo di sottolineare come, in un contesto socio – culturale moderno, nel rapporto uomo – ambiente, la figura del Cacciatore debba trovare una propria collocazione che renda merito, quando lo merita, del suo ruolo importante nel contesto ambientale, e ne possa valorizzare le competenze e le conoscenze specifiche e del tutto peculiari che possiede, e di cui possa far partecipi anche tutti gli altri fruitori della montagna. In questa ottica un sguardo privilegiato va rivolto alla scuola, ai giovani e a quanti abbiano desiderio di approfondire alcune conoscenze specifiche sulla fauna tipica dei nostri territori. Affinché ciò possa avvenire servono naturalmente alcune competenze che sono imprescindibili: una approfondita conoscenza della fauna e dell’aspetto eco–ambientale dentro la quale vive, e una competenza comunicativa che ne sappia valorizzare le conoscenze. Un tale obiettivo se lo è dato anche la nostra rivista, che dallo scorso anno ha introdotto una nuova rubrica, affidata all’Esperta Ambientale Stefania Pendezza, dal titolo “Educazione 6 CACCIAINVALBREMBANA Faunistica”, curata con estrema competenza e scientificità. Certo non tutti i cacciatori possono vantare conoscenze approfondite, ma molti non perdono occasione per raggiungerle, anche oltre il campo specifico della fauna “cacciabile”, arricchendo le loro conoscenze di aspetti legati alle tematiche ambientali ed ecologiche, ampliandole anche oltre il campo dei mammiferi e degli uccelli, notoriamente i più affascinanti per loro, fino al mondo acquatico e degli invertebrati e della flora. Questa finalità se la era proposta anche il progetto di allestire una Biblioteca del Comprensorio, che però, nonostante alcune donazioni, non è ancora riuscita a decollare. Speriamo che il Comitato ne colga l’importanza e che nei prossimi programmi riesca veramente a darle corpo e funzionalità. Il campo delle conoscenze è assai vasto e il progetto necessita di un programma correttamente strutturato e funzionale agli obiettivi che si propone, quello di offrire una valida opportunità per approfondire ed allargare le conoscenze scientifiche dei soci cacciatori riguardo all’ambiente, alla fauna e alle tradizioni legate al mondo venatorio. Nel mese di settembre, ancora in fase sperimentale e quindi in un contesto non ancora completamente definito, alcuni di noi cacciatori, tutti accompagnatori esperti iscritti all’Albo provinciale e con ruoli di responsabilità all’interno della gestione venatoria della Caccia di Selezione, sono stati coinvolti in qualità di “esperti” in un progetto didattico sviluppato dal Liceo Scientifico Lussana e da Legambiente di Bergamo. Il Progetto, denominato “Fattoria d’analisi di ambiente a Mezzoldo”, consisteva in un soggiorno di 3 giorni per gli studenti del 2° e 3° anno, in due turni, con un nutrito programma scientifico di osservazioni e di analisi del territorio: faunistico, geologico, vegetazionale e storico, per promuovere la complessa e articolata conoscenza dell’ambiente montano e del turismo sostenibile. Dentro questo progetto, che ha avuto una valutazione conclusiva estremamente positiva sia da parte degli studenti che dei docenti, il nostro compito è stato quello di accompagnare per gruppi gli studenti per l’osservazione degli Ungulati selvatici presenti sul territorio, offrendo loro l’opportunità di approfondirne la conoscenza. Per tutti i gruppi c’è stata una prima presentazione dell’argomento “fauna”; le successive uscite sono state molto interessanti e tutti hanno potuto osservare dal vivo caprioli e camosci, mentre per un secondo gruppo si sono dovute svolgere attività alternative (quella mattina, nonostante fossimo a settembre, nevicava) comunque ben organizzate e interessanti per l’approfondimento della conoscenza di queste importanti specie presenti nel nostro territorio. Incidenti per transito di cervi a Scalvino Attualità Attualità ANCORA SULLE “COLLABORAZIONI” - Flavio Galizzi Ogni anno, nel corso delle stagioni, si registrano incidenti a causa del transito di Cervi sulla Provinciale della Valle Brembana, all’altezza del Piani di Scalvino, in comune di Lenna. Fino ad oggi, fortunatamente dobbiamo dire, si sono avuti solo danni alle auto, anche di grave entità, senza feriti gravi. Qualcuno giustamente dice, anche in base a fredde statistiche, che col tempo potrebbe capitare anche qualcosa di più grave, e tutti siamo un po’ preoccupati. La Provincia, già alcuni anni fa, aveva provveduto a fare istallare dei catarifrangenti speciali ai lati della strada, che a seguito dei lavori di sistemazione e allargamento della strada stessa sono poi stati rimossi e non più sostituiti. Oggi ci si chiede cosa fare. La proposta che pare avere più consensi sembra essere quella di: a) pulire dagli arbusti una larga fascia incolta e boscata a margine della strada (almeno 4/5 metri), sul lato della montagna, da dove escono i cervi, b) illuminare il tratto interessato agli attraversamenti, c) trattare il terreno con liquidi speciali repellenti, che in altre zone hanno dato buoni risultati con i cervidi. Ciò permetterebbe, in caso di transito degli animali, di vederli a distanza e non essere sorpresi dalla loro improvvisa comparsa. I limiti della velocità, già presenti, e la visione dell’ostacolo a debita distanza, costituirebbero certamente un forte e significativo elemento di prevenzione per possibili incidenti futuri, permettendo al contempo la mobilità agli animali. Un mattone nella costruzione di questa complessa rete di collaborazioni avviata da anni, collocato con la dovuta discrezione e per questo apprezzato da quanti, docenti, studenti e collaboratori, hanno avuto modo e occasione di apprezzarne il giusto valore, realizzato con una notevole competenza e passione da parte dei nostri Accompagnatori. A tutti loro un doveroso grazie per la disponibilità, la competenza dimostrata e lo spirito di collaborazione. Mi auguro di cuore che l’esperienza si possa consolidare, così come la necessaria collaborazione con gli Enti che l’hanno progettata. Un particolare ringraziamento alla Prof.ssa Marcella Jacono Quarantino, coordinatrice del progetto per il Liceo Lussana, e a Paolo Locatelli, responsabile di Legambiente Bergamo. CACCIAINVALBREMBANA 7 Commissione Ungulati Commissione Tipica Alpina Com’è ormai diventata consuetudine, nel mese di Dicembre della nostra rivista, la Comissione tipica traccia il bilancio sull’andamento della stagione venatoria alla selvaggina tipica di monte. I presupposti favorevoli per sperare in un’annata “normale”, che per noi significa tre o quattro giornate di caccia, e un teorico mezzo capo per cacciatore ammesso a questo tipo di caccia, partono all’inizio dell’estate, quando le chiocce iniziano il processo riproduttivo, indicativamente dal 20 di Giugno, per proseguire fino a Settembre con il completamento dello sviluppo dei giovani. In questo frangente gioca un ruolo determinante il fattore tempo, inteso come “bel tempo”. Le condizioni meteorologiche quest’anno sono state negative; temperature fredde, prolungate piogge, grandinate e anche nevicate fuori stagione hanno penalizzato il buon fine della nidiate. Il riscontro numerico delle consistenze verificato con i censimenti estivi ha purtroppo evidenziato il calo della selvaggina tipica di monte. I rilevamenti effettuati su circa l’80% delle Aree Campione vocate alle specie hanno riscontrato un calo del 30% del Gallo Forcello, e del 20% della Coturnice, che per il 2008 si traduce in 123 Forcelli maschi (183 nel 2007), e 365 Coturnici (448 nel 2007). A tal proposito si ribadisce che i 8 gnati nelle operazioni di censimento, in particolare i Responsabili di settore e i Capi squadra, per la disponibilità dimostrata a coordinare le uscite. Nell’imminenza delle festività a CACCIAINVALBREMBANA dati raccolti si riferiscono esclusivamente a soggetti involati/avvistati, nessuna valutazione viene fatta su consistenze presunte o stimate. La veridicità delle risultanze dei censimenti viene puntualmente confermata dalla Vigilanza Venatoria provinciale. Come noto, la predisposizione del piano di prelievo è di esclusiva competenza provinciale; la commissione ha comunque fornito un parere in merito, attenendosi a parametri e criteri finora usati (percentuale inferiore al 15% sulla consistenza reale autunnale, in quanto specie in calo.) Le nostre valutazioni per tanto ritenevano compatibile un piano di prelievo di n. 20 Forcelli e 50 Coturnici, con l’impegno di sospendere i prelievi all’approssimarsi del piano, e/o al verificarsi di catture di esemplari adulti oltre il 30%. L’Amministrazione provinciale, giunta alla fine del suo mandato quinquennale, ha ritenuto opportuno in fase di stesura dei piani di prelievo della tipica adeguarsi ai contenuti del documento tecnico dell’ I.S.P.R.A. (Istituto Superiore per la Ricerca Ambientale, ex I.N.F.S.), “Criteri Orientativi per la determinazione del periodo sostenibile a carico delle popolazioni del Fagiano di Monte e Coturnice nei comprensori alpini”, che pone il successo riproduttivo annuale alla base per la determinazione del prelievo. L’applicazione di questa direttiva non solo ha determinato una percentuale applicabile al censito dell’8%, con conseguente piano di prelievo di n. 8 Forcelli (detratto anche il numero di due capi prelevati in esubero nel 2007) e 29 Coturnici, ma ha anche introdotto due nuove ulteriori limitazioni. La prima inerente all’arco temporale di caccia, e cioè tre giornate fisse, il 5 – 8 – 12 Ottobre, indipendentemente dal raggiungimento del piano, e l’altra modifica riguarda il carniere stagionale per cacciatore, che passa dai 3 capi a scelta (fino al raggiungimento del piano), ad un capo per cacciatore a scelta. Di questi nuovi parametri adottati dalla Provincia, la commissione ne è venuta a conoscenza solo all’ultimo momento, praticamente a giochi fatti. Ora, senza avere la pretese di invadere un campo non di nostra competenza, è mancato il tempo per formulare un giudizio ponderato sulla bontà o meno della scelta, pertanto non ritengo opportuno in questa sede azzardare pareri o valutazioni sui “Criteri Orientativi” emanati dall’I. S.P.R.A. e adottati dalle Provincia, che comunque hanno significato rilevanti cambiamenti rispetto al passato. Inviterei piuttosto tutti i cacciatori interessati a prenderne debita conoscenza, per dire poi serenamente “la loro” nelle sedi opportune. Nella giornata di apertura sono stati prelevati n. 6 Forcelli e n. 19 Coturnici. La Commissione ha quindi ragionevolmente proposto la chiusura anticipata al Gallo e la continuazione della caccia alla Coturnice. Nella seconda e ultima giornata I lavori della Commissione Ungulati hanno, durante il periodo autunnale, un naturale rallentamento per avvicendare alla caccia parlata quella praticata. L’impegno profuso è quindi indirizzato al controllo dei prelievi in tutte le sue sfaccettature, partendo dal grosso lavoro prestato dagli accompagnatori, per finire col prezioso impegno di raccolta dati di quanti lavorano presso il Centro di Verifica. Sono tutte attività che ci appassionano molto e che, quindi, svolgiamo volentieri. Quello che, purtroppo, ci pesa è il troppo tempo speso per redimere le piccole controversie che spesso si creano fra cacciatori, sovente causate da chiacchiere “da bar”. Situazioni, queste, quasi sempre prive di fondamenta, che potrebbero esser facilmente superate con un po’ di vicendevole sopportazione e con la disponibilità a piccoli chiarimenti. Spiace vedere Cacciatori guardarsi “in cagnesco” per banali malintesi! I dati del prelievo del capriolo di quest’anno, che vi espongo nello specchietto sottostante, denotano, tutti i cacciatori e alle loro famiglie rivolgol’augurio di Buone Feste. Le Commissioni Le Commissioni sono state prelevate 14 Coturnici, per cui il piano non solo è stato raggiunto, ma superato di 4 esemplari. Concludo ringraziando tutti i cacciatori della tipica che si sono impe- Il Presidente Piergiacomo Oberti Commissione Capanno ancora una volta, lo stato di difficoltà della specie. I censimenti primaverili ci avevano fatto ben sperare, ma le percentuali di prelievo non depongono certamente a nostro favore. Va rimarcata, per la verità, l’assoluta mancanza “d’impegno venatorio” da parte di alcuni cacciatori che, assegnatari di prelievi di capi femmine o kitz, non si sono minimamente impegnati per arrivare al loro abbattimento. Di questo ne dà conferma anche il controllo delle chiamate d’uscita. Basse percentuali di prelievo = bassa consistenza faunistica?????? Scusate queste piccole riflessioni che rimarcano alcune situazioni “che non vanno”; le cose positive ce le teniamo per noi.....e la caccia di positività ce ne offre tante! Un Buon Natale ed un Felice Anno Nuovo a tutti voi, alle vostre famiglie ed a quanti ci capiscono e condividono con noi questo grande amore per la natura e per l’arte venatoria. WAIDMANNSHEIL!. Il Presidente Gianantonio Bonetti Come sapete, il lavoro della Commissione quest’anno si è concentrato principalmente nell’organizzazione della 1° Sagra Estiva per Uccelli da Richiamo. Finalmente siamo riusciti nel nostro intento: quello di organizzare a livello nazionale la 1° Sagra in assoluto nel nostro Comprensorio. Trattandosi della prima volta, per ognuno di noi è stata un’esperienza di lavoro nuova, sperando di poterla continuare negli anni a venire. La Sagra si è svolta a Piazza Brembana il 16 Agosto presso la colonia “Luigi Selmo”; abbiamo avuto molta soddisfazione nel costatare la presenza di molti espositori con un numero di richiami intorno alle 200 iscrizioni e, per essere la prima volta, ci riteniamo più che soddisfatti. Così mi auguro anche per tutti coloro che l’hanno visitata. Soddisfatti sia per la presenza di molti nostri cacciatori sia per l’affluenza di visitatori estranei al mondo venatorio, che hanno goduto di un ambiente sicuramente adatto per questo tipo di manifestazione, per l’allestimento degli stands, la disposizione degli uccelli canori in un contesto ideale e per il tempo, che per l’occasione ci ha risparmiato la pioggia in un periodo non certo dei migliori. Nel ringraziare tutti coloro che hanno messo a disposizione il loro tempo, la Commissione vuole sottolineare in particolare la disponibilità del Comitato di Gestione, i soci cacciatori Calvi Piero (PIERELLO) e Regazzoni Alessio per il grande lavoro svolto, il Gruppo giovani di Piazza Brembana e tutti gli Sponsor. Purtroppo, a causa delle nuove disposizioni di legge riguardanti le ZPS, l’apertura ha avuto un calendario di apertura diverso per i capanni collocati fuori dalle ZPS e quelli inclusi CACCIAINVALBREMBANA 9 Le Commissioni in tali territori: i primi hanno goduto dell’apertura a partire dal 21 settembre, mentre i secondi a partire dal primo di ottobre, e nello stesso tempo si è avuta l’apertura dei Roccoli. “CHISSÀ SE I POLITICI VORRANNO FARE QUALCOSA”; naturalmente ci aspettiamo dei “fatti”, perché di chiacchiere ne abbiamo già sentite troppe. In questa stagione venatoria ci sono stati assegnati 3 roccoli, divenuti successivamente 4. Questi sono i roccoli che hanno potuto funzionare: * Meschino, in comune di Roncobello. * Zeb, in comune di Roncobello. * Costa Palera, in comune di Lenna. * Ceresola, in comune di Valtorta. Alla chiusura sono stati catturati: * n° 1072 Tordi bottacci, * n° 434 Merli, * n* 477 Tordi sasselli, * n° 496 Cesene. Anche quest’anno nel corso della distribuzione dei presicci abbiamo constatato il permanere, da parte di alcuni, di un atteggiamento di maleducazione, rendendo difficoltoso il lavoro che svolgono i responsabili del Centro di distribuzione. Ricordiamo, al fine di evitare futili discussioni, che vi sono norme ben precise che tutti sono tenuti a rispettare: - Presentarsi sempre con l’autorizzazione ORIGINALE, e con la ricevuta del versamento dell’anno in corso. - Controllare presso l’ufficio del Comprensorio i propri numeri telefonici (non più di 2). - Eventuali reclami debbono essere inoltrati per scritto alla Commissione da parte dell’autorizzato, e consegnati esclusivamente all’ufficio del Comprensorio. Auguro a tutti, a nome mio e della Commissione, buone feste. Il Presidente Umberto Arioli Commissione Lepre La stagione venatoria 2008 si è conclusa con il prelievo di 118 lepri, di cui 61 maschi, 54 femmine e 3 soggetti indeterminati. Sono 22 in meno rispetto al piano di abbattimento, che quest’anno era stato portato a 140 capi. Si è comunque mantenuto un numero di abbattimenti congruo al prelievo che si affettua ormai da qualche anno intorno ai 120 capi. Ciò significa che in questi anni abbiamo mantenuto una popolazione costante e abbastanza omogenea su tutto il territorio del Comprensorio. Fra qualche giorno verrà effettuato il solito lancio invernale di lepri, con la speranza che sia una buona stagione. A tutti un augurio di buone feste, anche a nome di tutta la Commissione. Il Presidente Cristian Midali Commissione Ripopolabile Dicembre tempo di bilanci! La commissione nel corso del 2008 si è impegnata per garantire il lancio di 1.500 capi suddivisi in 3 sessioni, la prima tardo estiva, la seconda e la terza nel pieno dello svolgimento della stagione venatoria. L’operazioni di lancio di fine agosto sono state caratterizzate da esiti tre loro contrastanti, con risultati soddisfacenti in alcune zone e totalmente deludenti in altre. Ciò è dipeso dalla presenza di nocivi che nel breve periodo hanno decimato i capi immessi. Per quanto riguarda i lanci “pronta caccia” questi hanno avuto un discreto successo, sensazione peraltro confermata ai membri della commissione dai cacciatori incontrati nel corso della stagione venatoria. Auspichiamo che alla parole seguano ….i numeri indicati sulle schede riepilogative! Con rammarico dobbiamo altresì inserire l’immancabile nota negativa. Nello specifico dobbiamo, nostro malgrado, portare a conoscenza che in alcuni (per fortuna pochi) comuni il lancio dei capi è stato fatto in zone diverse da quelle segnalate alla Commissione. Nella speranza che simili fatti non trovino seguito nel futuro, la Commissione cercherà di trovare e fare attuare tulle le misure possibili per prevenire questo tipo di inconvenienti. Certi di aver messo in campo tutto l’impegno necessario per soddisfare al meglio le attese della maggior parte dei cacciatori praticanti la caccia con il cane da ferma, consapevoli del fatto che molto resta da fare per attuare al meglio una efficiente strategia di ripopolamento della selvaggina, restiamo sempre a disposizione per recepire suggerimenti e proposte al fine di migliorare quanto fatto sino ad oggi. Doveroso il ringraziamento al Presidente del C.A., ai membri del C.T.G, alla Segretaria Alba, alla Redazione che ospita le nostre note, ai “colleghi” delle altre commissioni e a tutti i volontari che, con la loro disponibilità, collaborazione e supporto, hanno permesso alla Commissione di attuare quanto prefissato ad inizio anno. A nome mio e di tutti i componenti della commissione auguro a tutti i cacciatori e alle rispettive famiglie buon Natale e felice Anno nuovo.. Il Presidente Luigi Poleni Riflessioni in merito all’evoluzione delle forme d’interazione tra fauna a vita libera e animali domestici - Dr. Eugenio Testa Responsabile Servizio Sanità Animale ASL della Provincia di Bergamo Storicamente i rapporti esistenti tra animali a vita libera ed animali allevati sono stati di aperta e radicata competizione. - competizione nell’utilizzo del foraggio tra animali a vita libera ed animali allevati - competizione nel controllo del territorio e nelle interazioni ambientali - predazione da parte di predatori naturali nei confronti degli animali liberi ed allevati Competizione nell’utilizzo del foraggio tra animali a vita libera ed animali allevati Tale tipo di rivalità, e tutto sommato di malcelata ostilità, nei confronti degli ungulati a vita libera proprio per i danni dagli stessi causati in periodi di estrema scarsità di foraggio ancora non molto tempo fa si manifestava a spots, tramite spiacevoli episodi di uccisione o ferimento di camosci, cervi e caprioli 10 CACCIAINVALBREMBANA colti nell’atto di saccheggiare, a volte effettivamente in modo più che sensibile, le riserve di fieno necessarie nei primi periodi di pascolamento dei bovini agli inizi della primavera successiva. In particolare ciò avveniva in zone disagevoli e, conseguentemente, con un’oggettiva impossibilità al trasporto di nuovo foraggio presso quelle baite. Situazioni ed episodi che si ponevano spesso al limite tra bracconaggio vero e proprio e difesa della propria attività economica, spesso con peculiarità non da tutti conosciute e, di conseguenza, non correttamente comprese. Oggi, grazie anche allo sviluppo notevole della viabilità agro – silvo – pastorale degli ultimi anni, in particolare volta a servire le zone di pascolo e di alpeggio, tali fenomeni sono ormai scomparsi o sono limitati a situazioni di vero e proprio degrado socio economico o di evidente disturbo comportamentale. Il mutato assetto produttivo anche della zootecnia montana e le migliorate con- dizioni sociali, nonché il maggior livello culturale contestualmente raggiunto dagli allevatori montani, hanno mutato tale tipo di atteggiamento per cui gran parte dell’ostilità, prima ben presente ed accesa, si è a volte tramutata nell’atteggiamento opposto di totale accettazione se non, spesso, di messa a disposizione delle scorte di foraggio all’aperto anche per gli ungulati a vita libera. Tale mutamento di atteggiamento, di per sé stesso più che positivo, segno di un’evoluzione culturale a lungo auspicata ed auspicabile, ha comportato però, in particolari condizioni oro geografiche, una eccessiva facilità di avvicinamento degli ungulati in cerca di nutrimento ai centri antropizzati più marginali, ma ormai anch’essi sede di doppie case e giardini con specie vegetali non autoctone. Da ciò ne sono derivati gravi episodi di intossicazione mortale da ”Laurone” ( o Lauroceraso, pianta velenosa e tossica), inopinatamente presente a costituire siepi anche CACCIAINVALBREMBANA 11 in piccole frazioni montane poco o per nulla abitate, e la maggior frequenza di infezioni da toxoplasma grazie all’oggettiva probabilità che in tali ambienti gli ungulati a vita selvatica vengano molto più facilmente a contatto con feci di gatti domestici. Tale possibilità appare oggi aggravata dall’imperante e sempre più diffusa sensibilità animalistica che sta in qualche modo generalizzando, in modo del tutto inopportuno e, peraltro, di dubbia legalità, un fenomeno esclusivamente tipico dell’ambiente fortemente urbanizzato, e cioè quello delle colonie feline urbane, tutelate dalla legge e dal comune sentire. Già agli inizi. degli anni 90, in uno studio svolto sui caprioli abbattuti in caccia di selezione nell’ATC Prealpino, segnalavo un picco di siero positività per toxoplasma proprio in soggetti abbattuti in ambiente montano comunque antropizzato, noto per la presenza invernale degli ungulati a ridosso dei piccoli centri abitati o delle frazioni saltuariamente abitate ma comunque frequentate da una più che consistente popolazione felina (spesso per il deprecabile fenomeno dell’abbandono proprio nei nuclei di edifici rurali più marginali, forse anche con la speranza di una maggior possibilità di sopravvivenza per l’animale comunque abbandonato). Competizione nel controllo del territorio e nelle interazioni ambientali Da sempre la presenza di animali a vita libera disturba l’attività di pascolo del bestiame allevato, non fosse altro perché fonte di distrazione dei cani da pastore e motivo della probabile presenza di cacciatori, a volte accompagnati da ausiliari non del tutto rispettosi delle greggi. Oggi la competizione è bidirezionale e, frequentemente, il bestiame mal custodito diviene fonte di disturbo dell’attività venatoria esercitata in forma di caccia di selezione, e quindi caratterizzata da lunghi appostamenti. Siamo oggi di fronte a forme di utilizzo del territorio molto meno razionali e capillari di quanto non fosse un tempo: l’abbandono di gran parte del territorio, in particolare delle zone meno redditizie e più scomode, sostanzialmente identificabili nella fascia di territorio al limite 12 CACCIAINVALBREMBANA inferiore degli alpeggi, ha reso tali aree spesso più ricche di ungulati selvatici di quanto non sia la fascia superiore, ma di fatto si tratta sempre più di una terra di nessuno; regno incontrastato di pascolo anomalo, spesso totalmente incustodito ed incontrollato, nonché prolungato al di fuori di ogni tradizione e ragionevole previsione. L’omesso controllo di queste micro popolazioni di ungulati domestici e l’assenza del tradizionale rispetto nei confronti delle diverse proprietà, un tempo principio radicato e fortemente rispettato, rischia di creare zone franche ove le interazioni etologiche e sanitarie tra ungulati a vita libera ed ungulati domestici, o originariamente tali, divengono la regola per tempi molto superiori a quelli del tradizionale alpeggio. Inoltre proprio l’esclusione di tali zone dalle zone di pascolo estivo classificate come”alpeggi” riduce considerevolmente le precauzioni ed i requisiti sanitari necessari alla salita degli animali domestici perché, in realtà, non vi è una vera e propria salita al monte né, soprattutto, una certa e completa demonticazione. Il protrarsi di tale pascolo incontrollato anche nel periodo invernale favorisce e potenzia tale anomala e pericolosa forma di promiscuità, per il vero conseguenza di una zootecnia improvvisata che nulla ha a che vedere con la tradizione ed ancor meno con le nuove e più razionali tecniche di allevamento, in particolare degli ovini e dei caprini. strumento realmente in grado di cogliere eventuali problematiche sanitarie e, soprattutto, quale unico supporto ad eventuali provvedimenti coercitivi, ivi incluso l’obbligo di trattamento terapeutico e/o limitazioni alla movimentazione degli animali, salita all’alpeggio in primo luogo. Permangono però problemi notevoli nel far sì che tale strumento svolga il suo insostituibile ruolo. Predazione da parte dei predatori naturali La predazione da parte dei predatori naturali nei confronti di animali a vita libera è intuitivamente un importante meccanismo spontaneo efficace nell’impedire 1a diffusione di molte patologie infettive e/o infestive: il soggetto, più o meno defedato a causa dell’azione del patogeno, è facile vittima del predatore ed ha cosi meno possibilità di diffondere ulteriormente l’agente eziologico della malattia stessa. La predazione da parte dei predatori naturali nei confronti di animali allevati ha anch’essa avuto un’importanza notevole, sia pur indiretta: il rischio di predazione impediva la piaga del pascolo incontrollato; la presenza di guardiani e di cani addetti alla protezione delle greggi da lupi ed orsi scoraggiava anche gli anomali fenomeni di stretta promiscuità che troppo spesso si vengono a realizzare per lunghi periodi. In definitiva proprio l’assenza del rischio di predazione, per esempio ancora ben presente in alcune regione del centro sud italiano, l’assenza della piaga dell’abigeato (anche per il valore pressoché risibile degli animali allevati), l’improvvisazione di alcuni soggetti che allevatori non sono ed attuano un poco Progressiva sottovalutazione dell’accertamento clinico Il sempre maggior ricorso ad accertamenti diagnostici di laboratorio ha inevitabilmente portato ad una certa sottovalutazione dell’atto clinico: per il vero, per patologie onnipresenti o quasi, e denunciabili solo se clinicamente manifeste, l’accertamento clinico è ancora oggi efficace e poco costoso. razionale tentativo di utilizzare aree marginali sempre più degradate tramite il pascolo di bestiame ovi-caprino, nonché la marginalità economica di detta attività anche per coloro che la attivano, sono tra le cause fondamentali di questo recente, se non recentissimo, fenomeno di interazione eccessiva che pone interrogativi non solo di carattere sanitario ma anche ecologico ed ambientale. La normativa in materia di “Alpeggio” Il Regolamento di Polizia Veterinaria, e le successive modifiche ed integrazioni anche di carattere esclusivamente regionale, stabilisce i seguenti obb1ighi: - visita clinica nelle 72 ore antecedenti la monticazione - rilascio di apposita certificazione veterinaria (mod. 7) attestante la qualifica sanitaria della mandria o del gregge nei confronti delle malattie sottoposte a piani di profilassi e bonifica obbligatori. Essenzialmente la certificazione è rivolta alla tutela degli animali domestici che trascorreranno il periodo di alpeggio in stretta promiscuità tra loro: Tubercolosi bovina, Brucellosi bovina, Leucosi Bovina Enzootica, malattia respiratoria da herpervirus nei bovini; Brucellosi per gli ovini e caprini; Peste Suina Classica e Malattia Vescicolare del Suino per i suini. Tutte patologie infettive essenzialmente riguardanti gli animali domestici e per le quali sono attuati piani di risanamento ed eradicazione obbligatori. Esistono però altre patologie infettive e/o infestive per le quali non sussistono specifici obblighi di accertamento preventivo per la salita al monte. In particolare sono patologie infettive virali o batteriche (ad esempio: Virus Respiratorio Sinciziale, Cheratocongiuntivite infettiva) o infestive (rogna, infestazioni da strongili, distomi, paramphistomi, ecc.) per le quali scatta l’obbligo di denuncia, ed i conseguenti provvedimenti restrittivi previsti dal Regolamento di Polizia Veterinaria, non solo e semplicemente alla singola ed isolata identificazione dell’agente patogeno ma, bensì, al manifestarsi delle sintomatologia correlata (e cioè a malattia clinicamente manifesta). Inoltre sono, in genere, patologie frequentemente presenti ma caratterizzate da un sostanziale equilibrio tra patogeno ed ospite che si vengono a manifestare solo nel momento in cui tale equilibrio dinamico viene in qualche modo alterato dall’insorgenza di altre patologie, infettive e non, o dalla concomitanza con fattori stressanti di un certa entità (ed anche 1a monticazione può essere un fattore stressante). Tale serie di considerazioni porta a rivalutare l’importanza della visita clinica ante monticazione quale unico Difficoltà operative oggettive L’accertamento clinico, anche di massa o su un campione statisticamente significativo, e realmente difficoltoso in alcune specie (grossi greggi di ovini, greggi di caprini), presuppone sempre una concreta e fattiva collaborazione da parte del conduttore del gregge che, ovviamente, nel timore di possibili provvedimenti restrittivi e delle gravissime conseguenze economiche legate ad eventuali limitazioni o ritardi al permesso di monticazione, non è certamente incentivato in tal senso. Limiti oggettivi dell’efficacia dell’accertamento clinico Laddove si sia in presenza di patologie in cui l’animale domestico sia il serbatoio naturale dell’agente patogeno (ad esempio cherato-congiuntivite infettiva) l’assenza di una sintomatologia conclamata è sicuramente un elemento di rassicurazione, ma non fornisce ogni garanzia potenzialmente utile. Del resto la semplice identificazione dell’agente patogeno in uno o più soggetti, in assenza di sintomatologia clinica, non consentirebbe l’adozione di provvedimenti restrittivi. Un ausilio fondamentale, ma ancor oggi poco considerato, viene dall’attuazione sistematica di trattamenti chemio-terapici a carattere preventivo. La stragrande maggioran- CACCIAINVALBREMBANA 13 za degli allevatori professionisti, infatti, effettua trattamenti preventivi, soprattutto prima della monticazione (bagni acaricidi, trattamenti antielmintici a largo spettro e/o mirati). L’allevatore quindi ben conosce l’utilità di tale prassi, ma ne conosce anche i costi, per altro piuttosto significativi. Sarebbe opportuno incentivare tale procedura, anche con contribuzioni economiche ad hoc, quando la destinazione delle greggi dovesse essere una zona ad alta frequentazione di ungulati selvatici. La via della coercizione, in assenza di patologie conclamate, non è percorribile, e potrebbe anche avere effetti opposti a quelli desiderati. La necessità di concreta collaborazione, più che di coercizione, è dimostrata dalla semplice e banale considerazione che il controllo dei comportamenti tenuti dal custode degli animali al pascolo in alpe o, comunque, in zone disagevoli e lontane dalle vie di comunicazione e dai centri abitati, non può che essere saltuario e sporadico. Appare inoltre importante non limitare il trattamento alla sola zona ad alta vocazione (alpeggio) perché, proprio durante tale stagione, le maggiori interazioni etologiche e le più pericolose forme di promiscuità interspecifica avvengono negli areali più marginali ove, per altro, è più probabile la presenza di piccoli gruppi di animali appartenenti ad allevatori hobbisti o non professionisti che, seppur certificati, 14 CACCIAINVALBREMBANA rappresentano un rischio maggiore per tutte le patologie non soggette a piani di eradicazione o monitoraggio obbligatori. Conclusioni Fatto salvo il rispetto della vigente normativa in materia di certificazioni sanitarie previste per la salita all’alpeggio, si ritiene di poter individuare tre azioni assolutamente importanti nella gestione dei delicati e complessi meccanismi di interazione tra specie di ungulati a vita libera ed ungulati domestici al pascolo: - rivalutazione dell’importanza della visita clinica: sensibilizzare i Veterinari Ufficiali nel recuperare quello che era il fondamento della loro professionalità. - Ottenere nel contempo la necessaria collaborazione dei conduttori delle greggi in alpe anche applicando sostanziose riduzioni degli importanti premi economici loro spettanti qualora non sia stata prestata l’opportuna collaborazione e, soprattutto, qualora non venga immediatamente segnalata l’insorgenza di qualsiasi sintomatologia conclamata negli animali al pasco,o a carattere infettivo o infestivo. - Incentivare l’effettuazione di trattamenti profilattici preventivi: per “greggi” di ovini e/o di caprini diretti in zone ad alta densità di ungulati selvatici, e studiare forme di incentivazione economica al conduttore del gregge affinché provveda a trattare adeguatamente i suoi animali subito prima della monticazione. A tali condizioni si ritiene che l’autorità competente in materia di gestione del patrimonio faunistico possa imporre l’obbligo di trattamento per l’accesso a zone di elevato pregio, rammentando la necessità di provvedere a coprire, con la massima attenzione possibile, le zone marginali o immediatamente vicine alla stessa. Razionalizzare e riordinare l’intero settore del pascolo (con particolare riferimento agli ovicaprini, in particolare ai caprini): non è certamente ipotizzabile un ritorno alla gestione del territorio montano allora caratterizzata da miriadi di parcelle di pascolo, gelosamente custodite dai diversi titolari, né è altrettanto ipotizzabile un ritorno di predatori naturali in numero tale da poter portare ad uno spontaneo ritorno ad un pascolo fortemente controllato. Quindi è assolutamente importante incentivare il controllo del pascolo in alpeggio, in particolare dei caprini, magari legando a detto controllo una quota significativa del premio di monticazione previsto per gli ovi-caprini che tanta importanza ha nella redditività fornita da tali specie animali. Vietare e severamente sanzionare ogni forma di pascolo incontrollato, sia in alpe che nelle zone ad essa vicine o, comunque, in zone frequentate non occasionalmente da ungulati a vita libera, soprattutto nei mesi invernali (da novembre a marzo) ai caprini. Infatti, proprio in tale periodo, stante la penuria di foraggio, divengono altamente probabili, se non inevitabili, prolungati ed anomali episodi di promiscuità tra ungulati selvatici a vita libera e soggetti caprini, formalmente definiti domestici ma, a volte, oggettivamente liberi di vagare per la quasi totalità dell’anno. Diversamente operando, tra pochissimi anni il problema non sarà più quello di studiare e prevenire le possibili infezioni crociate tra greggi domestiche ed ungulati selvatici a vita libera, ma piuttosto quello ben più grave di gestire popolazioni di animali a vita totalmente libera, sostanzialmente inselvatichiti, e dallo status giuridico indefinito: certamente non selvatici, e quindi comunque non a prelievo venatorio, ma nemmeno più domestici, e quindi a stato sanitario non conosciuto o solo presunto. L’habitat della starna - Vitali GiovamBattista Tecnico forestale e faunista La starna è una specie a distribuzione euroasiatica. È sedentaria e nidificante in quasi tutto l’areale europeo, tranne in Europa Orientale dove presenta una certa tendenza alla migrazione. In Italia è sedentaria e nidificante; la Perdix perdix italica è una sottospecie endemica della nostra penisola. In Lombardia la P.p. italica è probabilmente estinta, sostituita da sottospecie alloctone introdotte con le attività di ripopolamento. Dopo un periodo di massima abbondanza, agli inizi del secolo passato, è iniziato un declino generale che in Europa ha assunto aspetti drammatici a partire dal dopoguerra. Questo declino si è manifestato sia con una contrazione delle consistenze delle popolazioni, sia come forte contrazione degli areali di presenza. La contrazione delle consistenze delle popolazioni a volte è stata eclatante: in un’area della Francia settentrionale il carniere annuale è passato da 5.000 capi nel 1938 a 12 nel 1984. Anche la consistenza del carniere mondiale ha evidenziato lo stesso andamento: dai 20.000.000 di capi abbattuti prima della seconda guerra annuale si è passati ai 3.800.000 della metà degli anni ottanta, quest’ultimo dato computa anche tutti i soggetti definiti comunemente “da pronto caccia”Numerosi studi hanno evidenziato che tale declino è legato alla forte modifica del paesaggio agrario, ovvero il passaggio da un’agricoltura tradizionale ad un sistema agricolo convenzionale, in cui gli elementi agroforestali (siepi campestri, filari, incolti ecc..) sono progressivamente scomparsi e l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi è aumentato fino a pochi anni fa. Nel sistema agricolo tradizionale (piccoli appezzamenti, forte presenza di siepi campestri, di cereali a paglia e prati) la Starna raggiungeva densità elevate, forse maggiori di quelle riscontrabili negli ambienti naturali originari. In Italia le consistenze e le densità erano talmente elevate che un elevato prelievo venatorio non influenzava lo status delle popolazioni. Oggi la consistenza europea della popolazione di strana è stimata in 2,6-5,1 milioni di copie, di cui la maggior parte localizzate in Russia. In Italia si stimano dalle 2.000 alle 4.000 coppie, con una generale tendenza al decremento. In Lombardia la popolazione presente fino alla metà degli anni 90 nelle zone appenniniche Pavesi si è progressivamente ridotta fino al limite della scomparsa. Ciclo biologico e comportamento sociale La strana è una specie solitaria e territoriale durante la nidificazione, strettamente monogama, e i pulcini sono allevati da entrambi i genitori. La deposizione avviene tra aprile e giugno: la femmina depone in media 10-15 uova in un nido posto direttamente sul suolo, l’incubazione dura 23-25 giorni e la schiusa è sincrona. Il successo riproduttivo, rilevato nelle popolazioni presenti nell’Appennino settentrionale, viene stimato in 3,3 giovani per coppia, ma tale dato è estremamente influenzato dalla qualità dell’habitat riproduttivo. Al di fuori del periodo riproduttivo la specie diventa gregaria formando gruppi, detti “brigate”, di 5-10 e più individui che compiono limitati spostamenti per la ricerca di cibo. Normalmente le brigate sono formate dai giovani dell’anno e dai genitori, a cui si possono aggregare soggetti isolati o coppie non riproduttive. I giovani restano con i genitori fino a gennaio, quando le brigate cominciano a disgregarsi e si formano le coppie. Esigenze ambientali La specie è caratteristica degli ambienti aperti, in particolare il paesaggio tipico dell’agricoltura tradizionale, dove i seminativi a rotazione si alternano ai prati permanenti, alle legnose agrarie (frutteti, vigneti, pioppeti), alle aree marginali (incolti e cespuglietti) e a piccole formazioni forestali (piccoli boschi e siepi campestri). In ambienti di pianura, con scarso o nullo equipaggiamento forestale, è di fondamentale importanza la presenza di una rete di siepi campestri o fasce/bande boschive. Durante la stagione invernale è straordinariamente importante che la starna possa aver a disposizione delle aree a vegetazione fitta e coperta da utilizzare come rifugio. Esigenze alimentari La starna si alimenta preferibilmente di semi, di germogli e erba, occasionalmente può cibarsi anche di frutti e radici. La parte animale della dieta è di fondamentale importanza per i giovani di età fino a tre settimane. La presenza di insetti, soprattutto uova, larve e adulti di diverse specie di formica, di afidi, coleotteri delle famiglie dei Carabidi, degli Stafilinidi e dei Crisomelidi, larve di lepidotteri, di imenotteri, delle famiglie dei Tentredini e Collemboli, è un fattore determinante per la sopravvivenza degli starnotti, infatti l’estinzione locale della starna è molte volte legata alla mancanza di aree marginali che garantiscono un’abbondante presenza d’insetti. Diversi studi hanno evidenziato che nella dieta annuale sono predominanti i cereali coltivati (grano, orzo e mais), semi di leguminose (trifoglio, erba me- CACCIAINVALBREMBANA 15 dica e soja), di graminacee prative (poe, festuche, lolium ….) ma anche di crocifere, di composite e di labiate. Durante la stagione invernale la dieta è caratterizzata soprattutto da graminacee (grano e orzo), mentre con l’inizio della primavera l’alimentazione si diversifica. Gli insetti sono importanti soprattutto in estate (10-13% della dieta) ed in autunno ( 13-15% della dieta), ovvero quando nella popolazione sono presenti i giovani. In inverno, con la copertura nevosa, la strana scava e si infiltra sotto la neve fino a raggiungere il terreno alla ricerca di cibo. Nei periodi di gelo con copertura nevosa si verificano alti tassi di mortalità per inedia, quando i soggetti di starna non possono accedere alle risorse trofiche. che di Home range, in quanto l’area occupata viene difesa tenacemente. Il territorio in cui si insedia una coppia è, normalmente, ben equipaggiato con incolti erbacei, cereali a paglia, medicai, siepi campestri e cespuglietti. L’ampiezza dell’area vitale aumenta sensibilmente con la presenza della nidiata, fino ad arrivare a 5-6Ha per nidiata a 8-10Ha per gruppo durante il periodo invernale. Il territorio utilizzato dalla nidiata è particolarmente caratterizzato dalla presenza di siepi campestri, da incolti erbacei e campi di cereali a paglia con stoppie; in inverno soprattutto i campi di frumento e orzo che offrono una elevata disponibilità alimentare di grande qualità, e, in generale, i campi con residui colturali con una copertura di vegetazione spontanea. Siti di nidificazione e rifugio I siti di nidificazione sono rappresentati dalle siepi campestri e dalle fasce erbacee, ma possono essere anche utilizzati i medicai e i seminativi a grano e orzo. La localizzazione del nido è fondamentale per la sopravvivenza della nidiata, infatti le siepi, le fasce erbacee e le aree marginali garantiscono un buona sicurezza, ed in maniera minore anche i campi di cereali a paglia, almeno fino alla mietitura. I prati stabili e quelli avvicendati, sebbene attraggano la specie, non sono sicuri a causa delle operazioni di sfalcio periodico. Home range (area vitale) L’area vitale di una copia di starne è dipendente dalla disponibilità di cibo e dalla presenza di siti idonei per la nidificazione: maggiore è la disponibilità di cibo e di siti di nidificazione, minore è l’Home range. L’ampiezza dell’area vitale è quindi variabile: da 1Ha/coppia in territori altamente vocati, a 20Ha/coppia per i territori caratterizzati da un’agricoltura convenzionale intensiva. Nel caso di densità di coppie sarebbe più opportuno parlare di territorio più 16 CACCIAINVALBREMBANA Siti di pastura L’alimentazione avviene preferibilmente in aree aperte e campi coltivati adiacenti alle siepi, ai cespuglietti, alle fasce erbacee o incolte, in modo da rifugiarsi rapidamente in caso di pericolo. Per l’alimentazione degli starnotti è importante l’altezza della vegetazione, infatti quest’ultima non deve essere troppo alta e folta, in quanto gli insetti tendono ad alzarsi verso la luce. In generale vengono frequentati soprattutto i seminativi a grano, orzo o avena, ma dalla primavera i siti di pastura cominciano a diversificarsi: in primavera sono più utilizzate le zone a vegetazione spontanea, erba medica e arati, in estate vengono frequentati anche le ortive in pieno campo, il mais e la soja; in autunno i siti di alimentazione sono al massimo della diversificazione, ma le stoppie di cereali e i terreni arati sono i più frequentati. Caratteristiche fondamentali del mosaico ambientale ottimale Tipologia della tessera ambientale % territoriale Seminativi a cereali a paglia 30-40% Incolti e fasce erbacee 5-10% Boschi e foreste < 25% di cui almeno il 5% rappresentato da boschetti aventi una superficie < di 1Ha e da siepi campestri. Siepi campestri e fasce boscate 8-15 Km/Kmq Qualsiasi progetto di reintroduzione della starna deve essere preceduto da un’attenta valutazione dell’ambiente su cui si andrà ad operare, evidenziandone i fattori positivi e quelli negativi, ricorrendo, se necessario, a programmare degli interventi di miglioramento ambientale specifici. Il generale i fattori negativi che possono limitare o far fallire ogni tentativo di ripopolamento sono essenzialmente una ridotta complessità dell’agro sistema, una scarsa presenza di cereali a paglia, un’inadeguata densità territoriale dei sistemi agroforestali, un uso diffuso di pesticidi e la monocoltura diffusa oppure una boscosità eccessiva. Gli interventi di miglioramento ambientale che favoriscono la specie e consentono di ottenere buoni risultati di ripopolamento sono gli interventi di riqualificazione degli elementi forestali lineari (siepi campestri), le colture faunistiche, una gestione dei prati rispettosa delle cove, la conservazione dei margini erbacei ed incolti e la realizzazione, in pianura, di piccoli complessi boschivi. IL ROCCOLO - Flavio Galizzi - Servizio fotografico al Roccolo Bonomi, al “Corone” di Dossena. I roccoli dislocati in quota, nella nostra Valle, costituiscono una eccezionale documentazione storico-culturale del nostro passato, e rappresentano, sotto il profilo edificatorio, architettonico e artistico, testimonianze di una tradizione venatoria unica in tutto l’arco alpino, e anche in Europa. Definirle solo “testimonianze della tra dizione e delle cultura venatoria bergamasca” è però forse riduttivo, anche se l’aspetto venatorio è sicuramente quello preponderante. Il Roccolo è stato il luogo dove si svolgeva un’attività complessa, quasi di impresa, che richiedeva l’impegno di diverse persone, in cui l’attività dell’”aucupio” (questo è il termine tecnico con cui si definisce la cattura degli uccelli con l’ausilio delle reti), era solo un aspetto, quello della “raccolta”, di una serie di lavori e piccole attività che tenevano impegnati i titolari degli impianti e i loro aiutanti, spesso l’intera famiglia, per tutto l’arco dell’anno. Un poco di riposo se lo potevano permettere solamente a inverno inoltrato, al termine del passo delle cesene, quando la neve copriva col suo candido manto ogni cosa. Già all’inizio della primavera si saliva al Roccolo per l’apertura dei locali, la pulizia delle foglie, ed era subito tempo di potatura: la potatura di contenimento e di formazione degli impianti già strutturati, e la messa a dimora di nuove essenze, specie di quelle di pastura. La doppia corona degli alberi che delimitavano il corridoio dell’anello princi- pale dell’impianto, “ol sigalér”, dentro il quale scorre il filo di sostegno delle reti di cattura, richiedeva una impegnativa e continua manutenzione. In certe località piuttosto rocciose, alle quote più elevate, bisognava addirittura portare la terra con le gerla se si voleva piantare qualche pastura, perché anche gli alberi hanno bisogno di nutrimento. Oltre il lavoro al Roccolo, a casa c’era da tenere in ordine il locale degli uccelli da richiamo, che andava aerato e tenuto ben pulito per la buona salute degli uccelli tenuti in cattività. Spesso la batteria degli uccelli allevati per l’intero anno era ridotta a pochi e buoni esemplari, quelli da “primavera”, perché il costo per alimentarli era alto; così all’inizio del passo si utilizzavano le prime catture della stagione, sapientemente “impastellate” perché potessero ben sopportare la cattività. Un gesto molto significativo di “riconoscenza” nel confronti della cesena tenuta imbragata come “zimbello”, per la collaborazione al buon esito dell’attività durante l’ultimo periodo del passo, era quello di liberarla alla fine della stagione venatoria. Era l’unica a beneficiare di questo gesto simbolico, ma la dice CACCIAINVALBREMBANA 17 tutta sulla sensibilità e il senso di riconoscenza del roccolatore verso la natura per quanto gli regalava, e da cui traeva, nonostante la dura fatica, i frutti. Gli impianti erano posizionati tutti sulle principali vie del passo migratorio, individuate da una sapiente e secolare osservazione dei principali movimenti migratori, per la quale i nostri roccolatori erano esperti eccezionali. Di queste esperienze acquisite sul campo, fatte proprie e tramandate negli anni, scrupolosamente annotate, si sono avvalsi nei secoli i più importanti ornitologi, che nei loro scritti hanno sempre parlato di questi impianti, fin dal 1700, che visitavano a dai quali traevano importanti osservazioni e dati relativi ai calendari annuali del passo delle diverse specie. 18 CACCIAINVALBREMBANA Anche il Caffi, fondatore del Museo di Scienze di Bergamo e curatore della pubblicazione “Gli uccelli del Bergamasco”, la cui prima edizione è del 1913, utilizzò abbondantemente i dati provenienti dai cacciatori e roccolatori delle nostre Valli, i quali si sentivano fieri e orgogliosi di poter collaborare con il mondo scientifico, il quale, di suo pari, riconosceva loro un ruolo insostituibile per la crescita e l’approfondimento di questi studi. Un rapporto che ancora oggi, seppur da certi settori ancora sopportato con un certo disagio, continua, e ci auguriamo possa migliorare. Grazie al sostegno di pochi amici in politica (anche se non sempre ne hanno saputo cogliere la valenza storico culturale, limitandosi all’interesse elettorale), e all’impegno di molti appassionati nel quotidiano, in particolare di molti tra noi cacciatori convinti che non vi è altra strada che quella della collaborazione, previo reciproco riconoscimento, il periodo delle avversità ad ogni costo sembra essere in declino. Ad una posizione di emarginazione nei confronti dei cacciatori si va via via sostituendo un atteggiamento di attenzione e di riconoscimento di un ruolo insostituibile, grazie alle competenze e alla disponibilità collaborativa di un ampio settore di cacciatori, per la conoscenza e la conservazione delle specie della fauna alpina, sotto ogni profilo. Noi cacciatori abbiamo quindi un com- pito da continuare a portare avanti: quello di impegnarci per meglio conoscere e riconoscere sul territorio queste tracce del nostro passato, della nostra storia e della nostra specifica cultura venatoria, oltre che ricostruire con le istituzioni scientifiche e di ricerca quel clima collaborativo indispensabile per una nostra crescita personale, di gruppo e collettiva. Dobbiamo imparare a rispettare e leggere queste testimonianze del nostro passato nella giusta dimensione storicoculturale-documentaria, perché tornino a rivivere in una ricollocazione idonea ai tempi moderni. Su questi nostri territori montani, luoghi di fatiche e di “vita dura”, dove si formava il carattere del bergamasco forse un poco rude, ma onesto e lavoratore, è stata disegnata una fitta rete di sentieri che costituiscono una risorsa di straordinaria importanza ambientale, frutto del lavoro di secoli e di generazioni di valligiani i quali, mentre altri per necessità hanno dovuto andare a guadagnarsi il pane quotidiano altrove, sono rimasti “custodi” della loro terra e delle tradizioni dei loro avi. Questi sentieri sono il respiro del bosco, sono i canali attraverso i quali possiamo accedere ai suoi segreti, che permettono alla montagna di esserci vicina e di comunicare con noi, e noi con lei. Nei roccoli d’alta quota, come in molti capanni, è trascorsa la vita di centinaia di persone che nella montagna hanno trovato una ragione di vita, accettandone lo spirito e la durezza, godendo delle poche risorse che poteva offrire. La montagna diveniva per loro come una seconda sposa, un’amante discreta che a volte li negava per mesi alla famiglia, ma li ricompensava con i suoi frutti. Per il conduttore il roccolo era una seconda casa, un ambiente di lavoro da cui traeva le risorse per mantenere la famiglia; e lassù, per difendere e mantenere questo posto di lavoro, alcuni hanno perso anche la vita, lasciando vuoti incolmabili, a quali ci si rassegnava con estrema sofferenza, ma con grande dignità, sostenuti dalla solidarietà di tutti. Anche questi sono segni della cultura delle nostre valli, che non possiamo dimenticare. Nuovi spazi culturali per una nuova collocazione storico documentaria possono essere individuati in progetti di mappatura e recupero di molte di queste strutture, ma anche di collaborazione scientifica di ricerca per una valorizzazione del territorio, come il Comprensorio Alpino ha già fatto in questi anni con il “Progetto Galliformi”. Le volontà e le risorse vanno individuate nelle Istituzioni territoriali e nelle Associazioni, come la nostra, ma che non deve essere la sola, che operano per la salvaguardia e la rivalutazione degli aspetti storico–culturali della nostra Valle. Le nostre piccole comunità locali vivono, e possono continuare a vivere, dentro un tessuto socio-ambientale e culturale non sostituibile con altri modelli, pena la loro estinzione, e di questo tessuto devono continuare a nutrirsi, dentro equilibri delicati, sempre più fragili, degni di più attenzione. Un impegno forse per alcuni gravoso, ma che, se vissuto nel giusto spirito, può ridare una ragione di vita a molti che vogliono continuare ad identificarsi “nella loro montagna”, con tutta la sua storia da custodire gelosamente per tramandarla, in compagnia di molti altri che già si sentono parte viva di questo contesto culturale dai contorni indefiniti. CACCIAINVALBREMBANA 19 Prima sagra venatoria estiva per uccelli da richiamo - Angelo Bonzi - Fotografie di Gianni Gritti Sabato 16 agosto nella splendida cornice del parco Luigi Selmo (ex colonia ENEL) si è svolta la prima sagra venatoria estiva per uccelli da richiamo organizzata dalla commissione migratoristi del Comprensori Alpino Valle Brembana. calendario nazionale delle mostre ornitologiche . Grazie alla divulgazione dei volantini e delle locandine esposte,notevole è stato l’afflusso di pubblico e degli espositori, giunti da ogni parte della Lombardia, anche per l’allestimento di un piccolo impianto di cattura (roccolo) che rientrava come tema culturale all’interno della manifestazione. Alle ore 5,30 si è avuta la classica apertura con la gara di canto dove i vari lo sfondo del campo gara tranquillamente “infroscato” la “cùridura” Quest’anno i cacciatori da appostamento fisso, in collaborazione con il C.A. hanno deciso di allietare una giornata estiva del mese di agosto ,con un’inconsueta musica: i canti e i gorgheggi di centinaia di uccelli canori. La manifestazione si è svolta in collaborazione con l’ A.M.O.V. e rientrava nel che hanno messo a confronto i loro soggetti di notevole levatura tecnica avendo, al contempo, modo di apprezzare le bellezze naturali che circondano il luogo del ritrovo. Il parco, per l’occasione, grazie al lavoro di cacciatori volontari, è stato attrezzato oltre che per l’esposizione degli uccelli giudici, con molta professionalità e pazienza, dopo alcune ore di osservazioni hanno individuato i soggetti meritevoli di encomio. Le categorie ammesse erano cinque: tordo bottaccio, tordo sassello, merlo, fringuello e tordina per una classifica che di seguito vi riportiamo. la “sua” primavera la ricostruzione del vecchio capanno… … e il suo spaccato interno 20 CACCIAINVALBREMBANA presenza del Comitato di Gestione grazie e… arrivederci premiati, autorità e organizzatori sul palco CLASSIFICA GARA DI CANTO TORDO BOTTACCIO 1 AVOGADRO ROBERTO 2 GASPARI BRUNO 3 LANCINI STEFANO 4 PASINETTI MAURIZIO 5 ORIZIO BENIAMINO 6 7 8 9 10 Punti 45 5 30 20 15 Sogg. 33 21 11 25 3 TORDO SASSELLO 1 MASSARI TIZIANO 2 PASINETTI MAURIZIO 3 VENTURINI MIRCO 4 LOCATELLI LUCA 5 ORIZIO BENIAMINO 6 REGAZZONI ALESSIO 7 8 9 10 Punti 40 38 33 28 20 18 Sogg. 28 23 32 11 4 42 MERLO 1 LANCINI STEFANO 2 GAUDENZI SEVERINO 3 ORIZIO BENIAMINO 4 BENEDETTI BRUNO 5 LOCATELLI DARIO 6 7 8 9 10 Punti 24 22 15 13 10 Sogg. 7 3 13 10 2 PRISPOLONE 1 SANTIN FABIO 2 GALIMBERTI F. 3 GAUDENTI LUCIO 4 GEROSA ANTONIO 5 LANCINI STEFANO 6 ALIPRANDI GIULIO 7 8 9 10 Punti 50 48 32 28 26 22 Sogg. 31 32 3 13 7 18 ALLODOLA 1 VALLONCINI MARIO 2 ANCINI STEFANO 3 BENEDETTI BRUNO 4 ORICIO BENIAMINO 5 6 7 8 9 10 Punti 32 28 20 15 Sogg. 9 21 12 17 FRINGUELLO 1 CROTTA PAOLO 2 ALLIEVI TIZIANO 3 AVROLI NATALE 4 ALIPRANDI GIULIO 5 BENEDETTI BRUNO 6 LOCATELLI G. CARLO 7 8 9 10 Punti 50 48 47 42 30 26 Sogg. 42 4 20 31 2 32 Sul palco, alla premiazione insieme ai responsabili, erano presenti diversi rappresentanti delle istituzioni, che oltre agli elogi di rito, si sono prestati ad un cordiale e costruttivo dibattito con il numeroso pubblico presente. Molto applaudito il sindaco del comune di Roncobello che al ricevimento del premio per il comune con il maggior numero di roccoli, ha evidenziato il grande radicamento e la grande passione che anima i suoi concittadini a questa secolare tradizione informando i presenti che, durante il tragitto per raggiungere gli impianti situati a volte in zone impervie, hanno trovato la morte alcuni suoi paesani, rimasti vittime di slavine o eventi correlati agli stessi. Verso le ore dodici ha fatto seguito alla sagra un gustoso e apprezzato pranzo a base di prodotti locali contornato da abbondanti bevande che hanno, di fatto, sancito la conclusione della bellissima giornata. La manifestazione era alla sua prima edizione ma, considerato il notevole successo, ci auspichiamo che anche nei prossimi anni i cacciatori interessati promuovano queste lodevoli iniziative che, se coniugate in un giusto contesto, servono a dimostrare anche agli scettici la bontà e la professionalità del mondo venatorio. Gli organizzatori ringraziano tutti quelli che hanno collaborato alla buona riuscita della manifestazione e colgono l’occasione per augurare a loro e alle loro famiglie i più sinceri auguri di un buon Natale e di un felice Anno Nuovo. CACCIAINVALBREMBANA 21 LA DONNA E LA CACCIA - Luigi Capitanio “Anche i femne adèss i ndà a càssa, laùr de macc”. Con questa affermazione un anziano cacciatore, occasionale avventore del bar, tracanna l’ultimo sorso del suo “bianchino” e, scuotendo la testa, esce dal locale non prima di aver aggiunto; “ma che i staghe a cà a cunsà i solètè”. Una considerazione la sua, più che una notizia. Anche le donne al giorno d’oggi vanno a caccia! È vero, e questo non appare più come un fenomeno occasionale al punto da destare stupore, tant’è che le richieste di rilascio delle licenze di caccia da parte delle donne sono in deciso aumento. Va pure detto però che in Italia le donne che praticano la caccia sono ancora poche rispetto ai colleghi uomini; nel nostro comprensorio poi si possono addirittura contare sulle dita di sole due mani. Poco, in rapporto agli oltre mille cacciatori maschi che praticano l’attività venatoria sulle nostre montagne. Non va meglio nelle altre regioni italiane, ad eccezione forse dell’Alto Adige, dove le cacciatrici sono oltre 250, 22 CACCIAINVALBREMBANA o in alcune città, come Firenze ad esempio, dove sono in atto iniziative per costituire club di caccia e cinofilia per sole donne. In altre regioni d’Europa invece, dove la tradizione venatoria è fortemente legata alla cultura e meglio tollerata dal resto della società, le percentuali di presenza femminile in ambiente venatorio sono decisamente superiori. Ne sono buon esempio la Francia e la Germania, dove il loro numero ha ormai superato il 10% dei praticanti, e ancora meglio in Danimarca e in Inghilterra, dove in alcune attività venatorie tradizionali le donne sono presenti con club e associazioni riservate ed esclusive. Ora, percentuali a parte, visto l’interesse crescente del gentil sesso verso questa nobile attività, oggi ricreativa ma comunque vecchia come il cucco, gli interrogativi che emergono al riguardo sono: “come è vista la presenza delle donne in un mondo che fino a poco tempo fa era dominio dei soli uomini?” e, approfondendo ancor più ci si chiede: “ma la donna non ha mai praticato la caccia?”, magari anche solo in tempi remoti per procurarsi il cibo, o, come probabile, è stata invece costretta a trasformarsi in “non cacciatrice” a tempo pieno per occuparsi di faccende domestiche? Se così fosse, l’attività venatoria al femminile, seppur in circostanze diverse, sarebbe solo un ritorno alle origini, pertanto non più un fenomeno nuovo. Come è considerata dai colleghi maschi questa presenza? È vista con sospetto? Per rispondere a questi interrogativi non basterebbero certo le pagine del nostro “giornalino”, servirebbe quantomeno un numero speciale. Chi scrive in questo caso non merita tanto spazio; l’argomento però, pur non rappresentando ancora un fenomeno di massa, mi tocca assai da vicino visto che la nonna paterna, portando la colazione di metà mattino al nonno nel suo capanno di caccia, quando ne aveva occasione non disdegnava di dare un paio di schioppettate ai malcapitati uccelletti che si posavano a tiro. Anche per questo ne parlo volentieri, mi ricordano con nostalgia tempi passati, dove anche la nonna mi insegnava, tra le al- tre cose, l’arte di pigliare le cince more con il vischio. E ci sapeva fare credetemi! Ma ritornando alle domande iniziali; è ancora tanto diffuso l’ostracismo verso le donne che praticano la caccia o le condizioni attuali di cultura, benessere e di apertura mentale degli attuali cacciatori maschi, hanno fatto sì che le barriere del “riservato ai soli uomini” siano tramontate in modo definitivo? Rispondere a questa domanda non è difficile. La presenza della donna nel mondo venatorio in veste di “praticante”, tranne casi particolari, oggi è ben tollerata dagli uomini, tant’è che in più occasioni questa presenza viene anche stimolata e, a differenza del passato, dove solo poche di loro, quasi sempre appartenenti al ceto medio-alto della società, potevano discutere di caccia e cinofilia, oggi non di rado troviamo donne nelle attività venatorie e cinofile con competenze da fare invidia a molti uomini; forse anche per la consapevolezza, tutta femminile, che per riuscire bene in un mondo dominato dai maschi (la caccia e la guerra sono state per secoli di dominio maschile!) devono dare molto di più in termine di competenza e di impegno. Va sottolineato come la presenza della donna nella caccia porti sconcerto ancor più negli ambienti anticaccia che in quelli venatori. Un noto rappresentante di un movimento anticaccia interpellato sul tema ebbe a dire: ”Non è tollerabile l’attività venatoria in generale, ancor più se praticata da una donna, essa è nata per dare la vita alle creature non certo per toglierla…… è inaccettabile e disumano…. Forse hanno dimenticato il loro ruolo e la loro femminilità….” Non è certamente il solo a rimanere incredulo e inorridito nel costatare che anche il gentil sesso è presente nella caccia. E questo non solo per l’impegno fisico che tale Foto di Francesco Cuffaro attività comporta; ci sono donne che praticano sport estremi quali l’alpinismo, con spedizioni e scalate molto impegnative, il rafting, che prevede discese in canotto di fiumi tumultuosi, deltaplano, paracadutismo ed altro ancora, dove la fatica e il rischio sono ben più grandi di quelli legati all’esercizio venatorio. La vera ragione di tale intolleranza sta nell’uccisione del selvatico, quale essere vivente, atto ritenuto in forte contraddizione con la delicatezza dell’animo femminile, non avvezzo per sua natura all’orrore del sangue. Questo atteggiamento è spesso la reazione di chi non conosce, o di proposito vuole ignorare, le realtà rurali delle nostre valli, dove le donne, di frequente con parecchi figli da tirar grandi, tra le tante incombenze avevano pure il compito di sgozzare una gallina o di uccidere un coniglio. Eppure la femminilità di queste don- ne non era certo in discussione. Le donne certamente non sono nuove nella caccia. Oggi, grazie al lavoro di archeologi e paleontologi, sappiamo sempre di più sulla vita dei nostri antenati preistorici che, vestiti di pelle animale, (la pelliccia era già di moda!) piano piano occuparono la terra; e la caccia, in questo contesto, è universalmente associata ad una prima divisione sessuale delle mansioni. Che gli uomini fossero impegnati nella caccia e le donne più o meno distanziate da questa attività, dove l’atto violento di uccidere necessitava di maggiore forza è probabile; ma lo si afferma solo per semplice deduzione, senza nessuna prova definitiva. Neppure le pitture rupestri risalenti al Paleolitico inferiore, dove vengono rappresentate solo figure maschili in attività di caccia, sono in grado di risolvere questo dubbio. Va rilevato però che tra i primi ominidi la ricerca di cibo era perlopiù un’attività individuale senza distinzione di sesso e, nella fase iniziale, dove prevaleva il recupero di carcasse spesso sottratte ad animali carnivori, è assai probabile che la divisione dei compiti tra maschi e femmine ancora non esistesse. È ancora intuibile invece che nelle cacce iniziali ai grossi animali erbivori, attuate attraverso la spinta verso trappole predisposte, le donne fossero presenti in ugual misura, come pure nelle attività di macellazione. Non è poi così importante sapere se la separazione dei ruoli tra uomini e donne nella caccia sia avvenuta ad opera dell’Homo erectus o dell’Homo sapiens; lo è invece il sapere con certezza che migliaia d’anni dopo, una delle civiltà più evolute, quella dei Greci, incoronasse Diana, aggraziata figura femminile, dea della caccia. Oggi ci si interroga semmai sulle motivazioni che spingono ragazze e donne di ogni età a diventare seguaci di tale Dea. Spirito di emulazione dei colleghi maschi? Ricerca di forti emozioni a diretto contatto con la natura? Dimostrazione di identico valore di un sesso considerato frettolosamente debole in un’attività dove, astuzia, intelligenza e prestanza fisica sono necessariamente tutt’uno? Forse è una, o più d’una di queste ragioni che le spingono ad alzarsi al mattino molto presto, le inducono a vestire comodi abiti di foggia maschile, spesso rinunciando, ma solo temporaneamente, alla propria immagine, per iniziare l’avventura di una giornata di caccia. E allora forza donne, pure voi andate a caccia! Trine Glad al recupero di 2 camosci CACCIAINVALBREMBANA 23 8° CONVEGNO DELL’ASSOCIAZIONE EUROPEA DELLE MALATTIE DELLA FAUNA SELVATICA (EWDA) - Alessandra Gaffuri Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, sezione di Bergamo DALLA CACCIA DI SELEZIONE ALL’ETICA VENATORIA - Pier Giorgio Sirtori La caccia nei tempi andati, dalla preistoria alla storia, è stata intesa come attività per procurarsi del cibo. Per molti secoli è diventata appannaggio dei Signori proprietari e successivamente anche ritenuta uno sport. In modo particolare la caccia agli ungulati, da una trentina d’anni, con la crescita della conoscenza e l’aumento, anche in Italia, delle popolazioni di selvatici, è stata seriamente indirizzata verso una forma di GESTIONE del patrimonio faunistico. Principi fondamentali di questa gestione sono l’attenta conservazione e il razionale utilizzo di quella risorsa rinnovabile costituita dalla fauna selvatica. Si è cosi evidenziata la necessità di una vera specializzazione di questo tipo di caccia da sviluppare attraverso un cospicuo aumento di conoscenze specifiche, diffuse attraverso corsi di preparazione conclusi con verifiche ed esami. Si é così accresciuta e diffusa la cultura venatoria migliorando la formazione dei cacciatori di selezione. Censimenti, valutazione della vocazione faunistica dei territori, controllo sistematico dei prelievi, rilievi biometrici e dinamica delle popolazioni di ungulati sono gli elementi di base sui quali si costruiscono i piani di prelievo e si attua 24 CACCIAINVALBREMBANA la gestione faunistica. Tutto questo ha condotto i cacciatori di selezione a modificare i comportamenti e a superare i vecchi preconcetti. Ma per ottenere i risultati sperati occorre che i comportamenti individuali aderiscano correttamente ai criteri approvati (anche da Organismi superiori) e alle indicazioni dei piani di prelievo. ETICA VENATORIA significa rispetto delle regole, dell’ambiente, della fauna cacciata, dei cacciatori e delle tradizioni. A questo punto è ovvia una considerazione: all’interno del gruppo (Comprensorio alpino, distretto, settore, squadra…) ci sentiamo tutti fruitori del Capitale faunistico che ci viene dato in gestione. Pertanto chi “sgarra” nel comportamento, in qualche modo, danneggia sempre i suoi soci, e questi, quando riconoscono il trasgressore, tendono ad isolarlo ed escluderlo perché si sentono danneggiati. Nella mia ormai lunga esperienza di caccia agli ungulati ho imparato a ritenere indispensabile la figura dell’accompagnatore formato da esperienza e corsi di preparazione; in montagna particolarmente l’accompagnatore è motivo di sicurezza in generale e crea col cacciatore un vincolo di correttezza. Quante volte può capitare di scambiare im- pressioni ed opinioni osservando a lungo il capo da prelevare per valutarne tutte le caratteristiche prima di decidere la correttezza de prelievo, la distanza, la posizione, l’eventuale difficoltà del ricupero. Quattro occhi esplorano e vedono meglio di due ! Anche con la più buona volontà può tuttavia succedere un errore di valutazione compiuto veramente in buona fede. In questo caso la condivisione di responsabilità tra cacciatore e accompagnatore andrà valutata con molta attenzione tenendo conto di tutte le circostanze. Quando si parla di comportamento corretto (etica venatoria) la prudenza va posta in primo piano perché nella caccia agli ungulati si usano armi a palla potenti e pericolose per micidialità e gittata; bisogna quindi porre la massima attenzione per evitare possibili gravissimi incidenti. Il maggior numero di incidenti gravi, secondo alcune statistiche europee, si verifica durante la caccia al cinghiale. Per questa specie, in Italia, la forma prevalente di caccia è quella collettiva in braccata, con numerosa partecipazione di cacciatori alle poste e con l’utilizzo di mute di cani specializzati. Ma in Val Brembana questo tipo di caccia non si pratica. All’inizio di ottobre si è svolto in Croazia l’8° Convegno dell’European Wildlife Disease Association (EWDA), associazione partner dell’americana Wildlife Diseases Association, che raggruppa studiosi e ricercatori impegnati nel settore della fauna selvatica. Entrambe le associazioni si propongono la finalità di acquisire, diffondere ed applicare la conoscenza dello stato di salute e delle malattie degli animali selvatici in relazione alla loro biologia, conservazione ed interazione con gli uomini e gli animali domestici. Al convegno è stato presentato un lavoro scientifico, sotto forma di poster, dal titolo: “Monitoraggio sanitario in provincia di Bergamo: un programma coordinato tra il servizio veterinario ufficiale, l’amministrazione pubblica e i cacciatori”. Con questo lavoro si è voluto far conoscere l’attività svolta nella nostra provincia per il controllo delle malattie negli animali a vita libera e sottolineare l’importanza della collaborazione tra il servizio veterinario pubblico, l’amministrazione provinciale e le associazioni venatorie nel perseguire il comune intento di controllare e tutelare lo stato di salute dei nostri animali selvatici. I dati presentati hanno evidenziato l’importanza del lavoro svolto, sia per quanto riguarda il numero di analisi effettuate sia per le malattie controllate. L’impostazione del nostro monitoraggio rispecchia quanto viene realizzato anche in alcuni paesi europei; nell’ambito del convegno, infatti, relatori di diversa nazionalità hanno sottolineato l’importanza dei piani di monitoraggio sugli animali cacciati (sorveglianza attiva) e sugli animali che vengono rinvenuti morti sul territorio (sorveglianza passiva). È stato inoltre evidenziato il ruolo dell’uomo e delle sue attività come ele- menti che potranno in futuro influenzare la diffusione di malattie negli animali a vita libera. I cambiamenti climatici ed ambientali infatti stanno determinando la diffusione di insetti e di microrganismi in territori dove questi organismi non riuscivano, nei decenni scorsi, a perpetuare il loro ciclo biologico. Le popolazioni di animali, sia domestiche che selvatiche, sono maggiormente esposte al rischi di contrarre malattie veicolate da insetti vettori, quali ad esempio il virus della Blue Tongue o della West Nile Disease. L’introduzione di nuove malattie accade anche attraverso lo spostamento di animali, che può avvenire in modo naturale (migrazioni) o per azione diretta dell’uomo. In questo secondo caso bisogna essere consapevoli che l’immissione di nuovi animali in un territorio determina anche l’introduzione di batteri, virus e parassiti che essi portano con sé e che magari non sono presenti nell’area di ripopolamento. Il convegno è stato un importante momento di confronto delle attività di ricerca e delle novità che queste hanno messo in rilievo; non sono mancati spunti ed idee per migliorare il lavoro che già viene svolto con ottimi risultati nella nostra provincia. CACCIAINVALBREMBANA 25 Rubriche Appunti di biologia animale - Tiziano Ambrosi LE ZECCHE (Seconda parte) (la prima è s tata pubblicata sul numero 33 del mese di maggio 2008) IXODES RICINUS PREMIO SPECIALE PER LA TESI DI DOTTORATO DI LUCA PELLICIOLI - Flavio Galizzi Abbiamo accolto con molto piacere la notizia che la tesi, già illustrata nella nostra rivista, riguardante le popolazioni di Camosci in valle Brembana, per i cui dati il dr. Luca Pellicioli si è avvalso della collaborazione dei Cacciatori del nostro Comprensorio, ha avuto un ulteriore importante riconoscimento ufficiale. Ha infatti ricevuto il Premio speciale assegnato dalla Fondazione Cassin nell’ambito della III Edizione del Premio intitolato a “Riccardo Cassin”. La cerimonia di premiazione è avvenuta nella serata del 26 Novembre 2008 a Lecco. Ogni anno la Fondazione Cassin, che si occupa di vari aspetti della montagna, bandisce il premio “Riccardo Cassin” a lavori/pubblicazioni che hanno portato un contributo alla conoscenza della cultura di montagna . Quest’anno il premio della Giuria nella 26 CACCIAINVALBREMBANA Sezione “Cultura di Montagna” è stato assegnato alla Tesi di Dottorato discussa presso Università degli Studi di Milano da Luca Pellicioli, dal Titolo: “Valutazione dello stato sanitario della popolazione di camoscio delle Alpi Orobie”. Copia della Tesi è stata consegnata alla Sede del Comprensorio come documentazione importante di studio sulla fauna del nostro territorio, a disposizione presso la nostra Biblioteca. La motivazione espressa dalla giuria del Premio è stata la seguente: “Per il contributo dato alla divulgazione scientifica della cultura di montagna”. Complimenti vivissimi a Luca da parte della Redazione, del Comitato di Gestione e dei nostri cacciatori. Un ulteriore tassello al nostro impegno rivolto al tema importante delle “Collaborazioni”. Ixodes ricinus è una delle zecche più comuni nell’Europa temperata, ed è un importante parassita dei ruminanti domestici e, in alcune zone, anche del cane; occasionalmente può infestare anche l’uomo. Questo parassita agisce da vettore di alcune malattie molto importanti negli animali infestati, come la babeiosi (bovina, canina e umana), ma l’interesse per questa specie è aumentato negli anni con la scoperta di una nuova patologia, la malattia di Lyme, o borelliosi di Lyme. Questa malattia infettiva è causata da una spirocheta, Borellia burgdorferi, che viene trasmessa esclusivamente al cane e all’uomo attraverso il morso di Ixodes ricinus. La presenza di questo parassita in Europa centrale e settentrionale è legata al suo comportamento alimentare eclettico, infatti è stata riscontrata la sua presenza in circa 50 specie di mammiferi e volatili, e anche nelle lucertole. Lo stadio di parassita adulto richiede generalmente un ospite di grosse dimensioni, come cervi, bestiame, cani, uomo. Le larve e le ninfe si trovano principalmente su piccoli mammiferi e uccelli, ma possono nutrirsi anche su grossi animali e carnivori domestici. Questa zecca ha una attività stagionale ben delineata, preferendo temperature miti e umidità elevata, ma mostrando una capacità di adattamento in funzione delle condizioni climatiche prevalenti, mantenendo un tipico ciclo a due picchi con punte massime in primavera e autunno, oppure un unico picco stagionale più o meno marcato in primavera, o estate, o autunno. I fattori ambientali che determinano la sopravvivenza e lo sviluppo degli stadi non parassitari di Ixodes ricinus sono rappresentati da una vegetazione sufficientemente alta da mantenere un’umidità relativa a livello del suolo pari all’80%, es. foreste decidue; mentre le foreste di conifere sono un habitat meno frequente. La loro sopravvivenza è possibile anche in aree aperte con vegetazione naturale e precipitazioni elevate, come nei pascoli permanenti e nelle regioni collinari. La diffusione naturale di Borellia burgdorferi è strettamente correlata alla lunga cooesistenza di I. ricinus con alcuni vertebrati che fungono sia da ospiti per la zecca, sia da serbatoio per l’agente patogeno. La zecca funge da vettore perché si infetta ingerendo il sangue di un ospite infetto e, una volta completata la trasmissione transtadiale, trasmette la Borrellia ad un altro ospite. Tuttavia non tutti gli ospiti vertebrati morsi da una zecca infetta agiscono automaticamente da serbatoio, essendo quindi in grado di passare successivamente l’infezione a una zecca non infetta. Le spirochete risiedono nell’intestino delle zecche infette che non si sono nutrite, la diffusione delle spirochete nell’organismo della zecca si verifica progressivamente durante il pasto, infatti, alcune ore dopo, le spirochete invadono le ghiandole salivari del parassita e vengono distribuite, attraverso la saliva, nella sede di infissione del parassita. Poiché B. burgdorferi sembra infettare I.ricinus in qualsiasi sua area di diffusione, la distribuzione delle zecche assume un interesse epidemiologico importante. La zecca Ixodes necessita di un’umidità elevata, e questa caratteristica fisiologica ha una profonda influenza sia sull’interazione zecca-ospite che sulla dinamica della malattia. Benché questa zecca abbia un’ampia distribuzione geografica, è assente dalle zone dominate da vegetazione umida troppo secca. I boschi di ontani, per esempio, presenti nelle valli fluviali, rappresentano un habitat sfavorevole, così come i boschi di querce giovani, queste zone diventano troppo secche durante i mesi estivi tanto da non mantenere le condizioni igrofile necessarie per la sopravvivenza delle zecche. Le zecche vettori stanno divenendo sempre più abbondanti in alcune aree di contatto con l’uomo, come foreste di crescita secondarie vicine ai centri urbani; questo fornisce un habitat adatto per le spe- Larva, ninfa, adulto di Ixodes ricinus CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 27 Rubriche Rubriche cie selvatiche come cervi e caprioli. Le piante ornamentali utilizzate nelle zone abitate e alcuni tipi di coltivazioni di cereali e frutteti, conducono questi animali ancora più vicino all’uomo e al cane. Benché gli ungulati selvatici non rappresentino un buon serbatoio per le spirochete, costituiscono una buona fonte di nutrimento per I.ricinus; queste condizioni, ideali per la trasmissione zoonosica, spiegano il rischio potenziale di epidemia. La densità delle zecche è determinata principalmente dalla disponibilità di ospiti adatti alle necessità alimentari degli insetti adulti. In quasi tutte le zone dove è presente la malattia di Lyme, sono abbondanti sia i caprioli, sia I.ricinus. Recentemente in alcuni paesi europei la percentuale di caprioli è aumentata considerevolmente, e questo può aver portato ad un aumento del numero di zecche I.ricinus e un aumento dell’incidenza della malattia di Lyme nel cane e nell’uomo. Tuttavia non ci sono prove formali che supportino tali teorie. Quindi il ruolo di cervidi, pecore, bovini ed altri grossi mammiferi, nel determinare la popola- Armi e balistica - Sergio Facchini SOLO CONTRO TUTTI, ovvero il .270 Winchester e gli altri... Area di diffusione europea della Ixodes ricinus. zione di I.ricinus, dev’essere ancora esaminata nel dettaglio. La prevenzione della malattia di Lyme, nel cane e nell’uomo, deve tenere in considerazione anche il controllo delle zecche sugli animali; poiché il periodo di attività di questa zecca varia in funzione della regione, occorre comprendere a fondo l’idoneità del parassita per habitat diversi, in momenti diversi e luoghi diversi. Quindi aver una valutazione del rischio delle regioni permette ai proprietari dei cani di evitare l’ingresso in queste aree di rischio senza una protezione adeguata. Misure protettive che comprendono tanto le misure di prevenzione dell’infestazione, quanto l’uccisione dei parassiti presenti sugli animali. E’ importante quindi usare prodotti con un’azione molto rapida, poiché l’inoculazione della spirocheta avviene nelle prime 12-24 ore dall’inizio del pasto di sangue. DERMACENTOR RETICULATUS Nelle zone in cui è presente, è la più comune zecca del cane. I suoi stadi immaturi preferiscono generalmente piccoli roditori, mentre 28 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche gli adulti abbondano sui cani. Predilige regioni fredde con adeguate umidità relative. Generalmente assente nelle aree mediterranee, dove mancano i requisiti di umidità. E’ più comune nelle aree boscose dove l’umidità relativa non ne minaccia la sopravvivenza. Il periodo di attività varia notevolmente in funzione della regione: è attiva in autunno e/o inverno nelle regioni mediterranee, ma può essere attiva e abbondante in primavera e estate nelle regioni scandinave. Nell’Europa centrale ha maggiore attività da gennaio/ febbraio fino all’estate, quando in genere entra in periodo di apausa, per divenire nuovamente attiva a fine settembre. Nelle aree di distribuzione, il D. reticulatus è il principale vettore della Babebiosi canina. I protozoi del genere Babesia, sono patogeni importanti sia per il cane che per il gatto domestico. La distribuzione della malattia sembra essere correlata alle aree di urbanizzazione. Poiché le aree più favorevoli (campi aperti e non coltivati, canali lungo sentieri con vegetazione boscosa) costituiscono l’origine da cui le zecche partono per colonizzare altri posti, occorre proteggere adeguatamente i cani che frequentano queste zone ad alto rischio. Già quarantacinque anni fa, quando ottenni il primo porto d’armi, mi interessavo molto di ciò che ruotava intorno al mondo della caccia ed in misura del tutto speciale di quanto veniva stampato sulle armi a canna rigata. Erano davvero pochi gli articoli concernenti gli ungulati alpini che apparivano su “Diana”, l’unica pubblicazione quindicinale edita a Firenze e distribuita capillarmente in tutto il Paese; ma bisognava accontentarsi e sperare in tempi migliori per apprendere i fondamenti delle armi e dei calibri, perchè allora almeno il 98% dei cacciatori si dedicava alle classiche cacce italiche: lepre, piuma e migratoria. Sulle Alpi i camosciari erano presenti in numero discreto, ma la gran parte di loro correva dietro alle sacre antilopi con vecchi catenacci, residuati della II guerra mondiale, in special modo con i Mauser finiti nei fienili delle baite o celati nei muri a secco delle mulattiere; solamente i ricchi, nel portafogli, potevano permettersi armi di pregio con ottiche di pari qualità. La Casa Editrice Sansoni, nel 1963 o ‘64, ebbe la fantastica idea di dare alle stampe un’opera che fece epoca: “L’Enciclopedia della Caccia”. Uscì a dispense settimanali e per me fu una vera gioia completarla. Quell’opera segnò il mio futuro di cacciatore a palla perchè in essa trovai una nutrita messe di informazioni fondamentali, valide anche oggi. Scorrendo ripetutamente quelle pagine, spesso arricchite da illustrazioni di qualità, appresi tante verità teoriche che, negli anni successivi a quelle letture formative, avrei constatato con la pratica sul terreno di caccia. Ovviamente ciò che più mi appassionavano erano le armi lunghe e soprattutto quelle rigate per la caccia agli ungulati. Ricordo che quando lessi, riguardo la scelta del calibro, le note concernenti il .270 Winchester rimasi ammaliato dalla semplicità del testo e dalla lapidaria conclusione:”Per il capriolo e per il camoscio è insuperabile!”. Detto fatto, per modo di dire, passarono ancora molti anni prima che potessi acquistare la mia prima carabina, ma la lettura assidua dell’Enciclopedia della Caccia e di altri testi di approfondimento, ben pochi per la verità, si rivelò sempre un piacevole ed istruttivo appuntamento. Ebbi modo di conoscere alcuni cacciatori di camosci ed apprendere da loro che l’arma utilizzata era in calibro.270 Winchester e che tutti, indistintamente, ne erano entusiasti. Nei primi anni ‘60 non era ancora in uso l’incivile abitudine di tirare ai camosci a distanze inverosimili, come molti “co de tambor” fanno oggi con ottiche mostruose, cavalletti tipo commandos ed altre diavolerie. Il .270, come dicevamo, faceva tutto e bene, senza tanto chiasso e con proverbiale costanza. Nato intorno al 1925, il .270 Winchester era un figlio del .30-06 Springfield. Anziché palle di 7,85 mm. di diametro, utilizzava palle di 7,06 mm. che, grazie al restringimento ed al leggero allun- gamento del colletto del bossolo del .30-06., spingeva gli iniziali proiettili di 130 grani a velocità prossime ai 930-940 metri al secondo, veri missili per quegli anni lontani, dotati di energie prossime ai 3700 Joule! Senza dubbio era il calibro giusto per le cacce negli spazi aperti degli States dove si insidiavano le antilopi pronghorn, i bighorn, i cervi mulo ed altri ancora. Ovviamente il successo fu immediato in tutta l’America e l’utilizzo del .270 Winchester come calibro polivalente si diffuse a macchia d’olio, pur sottolineando il fatto che allora le palle utilizzate erano di un’efficacia sul selvatico ben lontana da quella odierna, ovvero le cosiddette soft point di prima generazione erano le uniche disponibili. Pochi anni dopo il 1925, vista l’insistente domanda da parte dei cacciatori di un proiettile più pesante da usare su selvaggina di massa notevole, wapiti e alci per intenderci, la Winchester studiò una palla di 150 grani, sempre nella configurazione soft point, che incontrò il favore dei cacciatori americani. Sono ben 83 anni che il .270 Winchester è un indiscusso protagonista nella vita venatoria di moltissimi nembrotti ed il suo successo commerciale pare non destinato a diminuire, rispetto ad altri calibri che hanno avuto vita breve come delle stelle comete! Ancor oggi se la prima carabina del neofita è spesso camerata in .270 Winchester un motivo valido ci sarà! Infatti quando un gruppo di appassionati si ri- CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 29 trova a discutere di calibri, infallibilmente il tema sulla scelta del calibro più amato e proteiforme prende corpo con le indubbie qualità del .270 Winchester, che vanta milioni di estimatori sparsi in tutto il mondo; viene considerato uno dei cinque migliori calibri in assoluto, assieme al .30-06 Springfield al .308 Winchester al .243 Winchester e al .300 Holland & Holland Magnum, da gente che ha passato gran parte della vita a caccia in tutti i continenti, spaziando dal capriolo all’alce, ivi comprese tutte le più grandi specie di pecore selvatiche, Marco Polo ed Argali inclusi. Jack O’Connor, che cacciò tutti i grandi animali delle Montagne Rocciose per quarant’anni, spaziando dall’Alaska all’Idaho, fu uno strenue sostenitore del .270 Winchester, calibro che preferiva ad ogni altro per insidiare big horn, dall sheep e mountain goat, con occasionali abbattimenti di alci, wapiti e caribou. Iniziò con una carabina Winchester modello 54 dotata di ottica di puntamento ad ingrandimento molto basso, mai più di 4X ma preferibilmente di 2,5x, di solito Zeiss o Leupold, dotata di reticolo fine tipo Plex o Crosshair in quanto cacciava nella piena luce del giorno. Ebbene, con un’arma che complessivamente pesava non più di 3,5 kg., che rinculava poco, girò in lungo e in largo l’America Settentrionale, oltre molti paesi dell’Africa e dell’Asia, senza mai cambiare attrezzatura: palla da 130 grani per animali fino a circa 150 kg. E palla da 150 grani per quelli più pesanti. Non ebbe mai modo di pentirsi di quelle scelte perchè i risultati gli davano ragione, visti i numeri e la costanza degli abbattimenti. Anche con le coriacee antilopi maggiori africane non ebbe problemi: kudu maggiori, roan, sable, eland di derby ed orix cadevano sotto i colpi del .270, grazie anche alla sua grande esperienza di tiratore provetto. Dopo la II guerra mondiale, all’incirca alla metà degli anni ‘50, il .270 Win. iniziò a diffondersi in Europa Occidentale, salvo che nei Paesi di lingua tedesca, dove i calibri di Brenneke e Mauser erano ancorati indissolubilmente alle tradizioni venatorie locali, ben rappresentati dal sempreverde ed immortale 7x64 Brenneke. Il successo di questo calibro americano fu scontato poiché aveva caratteristiche allora non comuni: tensione di traiettoria molto alta, precisione e costanza del tiro ottime, potenza di impatto elevata, disponibilità di armi americane (Winchester e Remington) buona a prezzi non esorbitanti, reperibilità delle munizioni buona. In sin- 30 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche tesi molte virtù e pressochè nessun difetto, se escludiamo la mancanza di palle molto pesanti, oltre i 150 grani. Logica conseguenza, almeno in Italia, fu che il .270 Win. fu adottato con entusiasmo soprattutto dai cacciatori di camosci che allora sognavano un calibro un po’ più teso dell’8x57js; accontentarsi di 50 o più cm. di calo del proiettile a 300 metri rispetto ai 20-22 del .270 Winchester sarebbe stato assurdo, perlomeno nella caccia in alta montagna, dove le distanze stimate spesso erano errate e di molto. Col passare degli anni il .270 Win. consolidò la propria fama di calibro d’eccellenza per la caccia al camoscio, assieme all’ultra veloce teutonico 6,5x68 che, verso la fine degli anni ‘50 si affacciò timidamente nel mondo armiero, anche se già collaudato negli anni 1938-39 alla vigilia del II conflitto mondiale. Comunque il .270 Win. come numero di vendite surclassò di gran lunga il concorrente tedesco, soprattutto a causa dei costi sia delle armi americane più abbordabili di quelle prodotte in Austria o in Germania che dell’alto costo delle munizioni del 6,5x68 offerte dalla R.W.S. Conosco cacciatori anziani che usano la loro carabina in .270 Win. dalla fine degli anni ‘50 e che non l’hanno mai cambiata, anche quando sono arrivati cinghiali e cervi ad allargare l’orizzonte venatorio delle Alpi Occidentali. Oggi poi, con l’utilizzo di polveri altamente progressive e di palle speciali, dotate di espansione controllata e valori di coefficenti balistici elevati, il nostro beneamato calibro ha ripreso quota notevolmente, tant’è che anche in Tirolo e Baviera il .270 Win. viene scelto per i classici kipplauf da montagna. Tanto per avere un’idea delle sue prestazioni ecco i dati recenti desunti da un catalogo recente della Blaser che utilizza palle CDP, molto valide per tutti i nostri ungulati alpini a tutte le distanze di tiro “intelligenti”, ossia fino ai logici 300 metri: le velocita alla bocca, a 100-150-200-250300 sono rispettivamente di 950-845-796749-703-658 metri/sec.con energie di 37903004-2665-2356-2076-1823 Joule. Ci sono voluti molti anni, ma finalmente anche i camosciari delle Alpi Orientali si sono dovuti ricredere, abbandonando il loro marcato scetticismo, e ammettere le non poche qualità balistiche del calibro americano. Sempre secondo il catalogo Blaser dove sono riportati velocità e potenze dei calibri offerti dalla casa di Isny tutti i vari 6 mm. ed i 6,5 mm. in massa, ad eccezione del 6,5x68, sono surclassati dal .270 Winchester per quanto riguarda l’energia sviluppata alle usuali distanze di tiro e per la traiettoria tesa (-9,8 cm.a 250 metri e -23,7 cm. a 300 metri), ad eccezione dei calibri Weatherby che però sono dei Magnum e quindi non facenti parte dei calibri ordinari. L’unico grande e vero antagonista del .270 Winchester, come calibro polivalente su tutta la selvaggina europea, è il 7x64 Brenneke che batte il cugino americano per i pesi di palla più sostenuti (fino a 177 grani) ed ovviamente per la potenza; ma per i tiri lunghi il .270 sta un passo avanti, come ha sempre sostenuto il padre della ricarica nostrana, il noto Dr. Bonzani. Una considerazione da sottolineare: Ed Matunas, esperto di balistica americano, autore di molti saggi venatori balistici e cacciatore, dopo innumerevoli prove effettuate con munizioni di fabbrica di ogni tipo con molte armi in calibro .270 Win., è giunto alla conclusione che il .270 Winchester è un calibro che deve essere oggetto di ricarica, in quanto quasi nessuna delle marche di munizioni usate per i suoi esperimenti (e di colpi ne ha sparati migliaia) rispettava i dati di velocità. Tutte erano molto più lente, da 100 a 250 piedi ovvero da 30 a 75 metri/sec. di quanto riportato sulle confezioni, per presumibili motivi di sicurezza; le uniche che invece si comportavano correttamente erano le Federal Premium che raggiungevano le velocità alla bocca dichiarate. Altra nota curiosa proviene dal catalogo delle munizioni della R.W.S. di cui nessuno, mi auguro, dubiterà: i soli due calibri con relative munizioni tutte contraddistinte dal pallino nero, simbolo grafico che sottolinea l’idoneità ad un abbattimento sicuro per capriolo, cinghiale e cervo, risultano essere il .270 Winchester e l’8x68S ! E’ sufficiente o non siamo ancora soddisfatti? Chi avrebbe potuto migliorare le già superbe qualità del .270 Winchester se non la medesima Casa americana? Infatti da una decina d’anni un altro .270 è apparso sulla scena: il .270 Winchester Short Magnum, dotato di grandi caratteristiche balistiche, ma concettualmente assai diverso... Alla resa dei conti, dobbiamo essere certi che il .270 Winchester è un grandissimo calibro, soprattutto per la caccia agli ungulati in montagna, un vero amico fidato che mai ci tradirà. E se sentite qualcuno che ne parla male, affermando che si tratta di un calibro obsoleto, lasciatelo dire perchè anche gli asini hanno diritto di ragliare... La ricarica - Martino Bianchi Marzoli La palla La palla, ogiva, proiettile, o in inglese bullet, è la parte più importante della ricarica. Essa, infatti è la protagonista della balistica esterna e terminale. La prima, la balistica esterna, è quella scienza che studia la traiettoria del proiettile da quando abbandona la volata dell’arma a quando raggiunge il bersaglio (parabola di tiro, incidenza del vento, effetto angolo di sito...etc.). Questa è la parte che interessa maggiormente i tiratori che, sparando a bersagli di carta non si curano dell’effetto della palla sul bersaglio vivo. La seconda, la balistica terminale, è la scienza che studia gli effetti del proiettile sul capo da abbattere (penetrazione, shock idro-dinamico, etc..). Questo argomento è di fondamentale importanza per tutti i cacciatori e in particolar modo per coloro che cacciano animali così detti a pelle dura, quelli cioè che per la loro conformazione e per il loro peso offrono maggior resistenza alla penetrazione della palla. In Europa la categoria “pelle dura” inizia da animali che, a peso vivo, superano almeno i 60/70 Kg, cioè cinghiali cervi etc. Tuttavia molteplici ferimenti di caprioli e camosci che per la loro taglia potremmo quasi definire “varmint”, cioè piccole prede, derivano da cattive scelte di palla rispetto al calibro, distanza e quindi velocità della fucilata. Tornando alla balistica esterna, ai fini delle scelte di ricarica, ci occuperemo solo di una parte di questa scienza e cioè quella legata alla morfologia del proiettile trascurando, per il momento, lo studio di tutti quelle cause esogene che influenzano la traiettoria dell’ogiva es: vento, angolo di sito, pressione, altitudine, umidità, etc. BALISTICA ESTERNA Dovremo tener conto di alcuni fattori tra loro interconnessi e che nel loro insieme influenzano pesantemente il mantenimento della velocità del proiettile e quindi la sua caduta. Il primo elemento fondamentale è la DENSITA’ SEZIONALE (DS) che in formula matematica è: DS = P/d² dove P è il peso e d (al quadrato) è il diametro della palla. In altri termini, a parità di diametro, maggiore sarà il peso, più lunga sarà la palla e maggiore sarà la DS. Immaginiamo una palla con altissima densità sezionale: sarà molto affusolata e allungata, quindi simile ad una freccia e conseguentemente tenderà a conservare molto la traiettoria offrendo minor attrito (diametro sottile) rispetto alla propria massa. Naturalmente vi è un limite alla crescita della DS, poiché oltre un certo valore la palla diviene troppo lunga e tende a sbandare e oscillare fuori controllo, oltre al fatto che diventerebbe troppo pesante e quindi lenta per il proprio calibro. La DS è componente fondamentale del COEFFICIENTE BALISTICO (CB) la cui formula è : CB=DS/F Dove DS è densità sezionale precedentemente descritta, e F è un coefficiente derivante dalla forma della palla. Una palla round nose, avrà una F molto alta e quindi un CB basso, volerà meno bene e perderà più velocità rispetto ad una ballistic tip, per esempio. In conclusione: maggiore è il coefficiente balistico maggiore è la tenuta di velocità e quindi minore è il calo di traiettoria a distanza. Le palle con alto coefficiente balistico sono strette, lunghe, affusolate, con coda rastremata. Il mercato offre ogni tipologia di forme e materiali per le esigenze specifiche della balistica esterna Es: • HOLLOW POINT vuol dire “punta forata”, che consente di creare una depressione sulla punta per aumentare la stabilità della palla. • BOATTAIL, che letteralmente vuole dire “coda di barca”, serve a offrire meno resistenza agli attriti dell’aria e a stabilizzare la traiettoria. • BALLISTIC TIP è stata inventata dalla Nosler, che ha pensato di istallare una punta in polimero che consente di aumentare il coefficiente balistico e nel contempo evitare che la punta della palla si deformi a causa di accidentali cadute della cartuccia. • SPITZER dal tedesco significa “punta affusolata”, palla con punta in piombo da caccia, che al contrario della precedente, se cade si deforma con conseguenti rischi per la traiettoria. • SEMIPOINT, cioè “punta semitonda”. • ROUNDNOSE cioè “naso tondo”. • FLATNOSE, cioè “naso piatto”; tutte e tre queste ultime palle hanno un coefficiente balistico molto basso ma CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 31 1. Selezione di varie palle con relative sezioni. Da sinistra: Nosler Partition, Lapua Scenar, Sierra Matchking, Nosler Ballistictip, Nosler Accubond, Hornady Amax, RWS Hmantel, Rws Tug un buon impatto sull’animale e sono quindi prettamente palle da caccia per animali a pelle dura. • MOLY oppure MOLYCOTTED: “molycottate” cioè rivestite di Disulfide di Molybdeno, una sostanza che diminuisce l’attrito. • SOLID: interamente di lega di rame o ottone, studiate per cacce africane. Nella scelta del proiettile si devono considerare i seguenti raggruppamenti convenzionali: 2. Varie palle estratte da cervi abbattuti 3. Nosler Ballistictip cal 9,3mm: si noti che il cuore in piombo è completamente assente. Il cervo maschio colpito da questa palla al cuore ha percorso quasi 600mt prima di capitolare perché la palla perdendo massa si è fermata a metà lavoro. • MATCH, significa “competizione”, si tratta di ogive con alti coefficienti balistici, selezionate in modo da mantenere un peso costante, scarsamente efficaci sul selvatico in quanto progettate per forare la carta. • VARMINT: di solito di piccolo calibro con piombo tenero ma di grande precisione e studiate per tiri su piccoli animali a pelle tenera e a distanza. • GAME, cioè caccia, tra cui la maggiorparte delle Rws, le Spitzer della Sierra o le varie serie della Norma tipo Orix, Vulkan etc. Nosler Partition, Accubond…etc., cioè proiettili con interno in piombo di varie durezze e incamiciate in rame. • BIG GAME: quelle monolitiche e con punte arrotondate o particolarmente dure, adatte per cacce africane o per predatori pericolosi. Alla fine tuttavia vale la solita vecchia regola della ricarica e cioè: provare, riprovare, e testare sempre tutto. La palla giusta sarà quella che darà la rosata più stretta. Anche ai fini venatori, il colpo preciso sarà sempre mortale. BALISTICA TERMINALE 4. Palla match ha lo stesso problema della precedente non avendo il piombo saldato alla camicia di rame 5. Nosler Accubond: più robusta della sorella Ballistictip in quanto ha il piombo saldato al rivestimento e un fondello più spesso 32 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche Normalmente i cacciatori si riferiscono a due soli parametri: il primo fra tutti è la velocità. Si è diffusa la convinzione che è la velocità che uccide. In effetti questa è un fattore chiave dell’effetto balistico terminale sul selvatico perchè da un punto di vista meramente matematico l’energia è uguale a massa per velocità al quadrato J= M x V², (M può essere misurata in grammi). Quindi la velocità influisce esponenzialmente di più rispetto al peso della palla. Tuttavia se la palla non si deforma attraversando il corpo del selvatico, non cede l’energia di cui dispone e l’effetto sarà quello di forare da parte a parte il bersaglio provocando minimi danni e quindi l’inevitabile quanto inutile ferimento. Ecco allora che entrano in gioco variabili molto più importanti cioè la durezza e composizione meccanica del proiettile. Purtroppo in Italia non esiste una letteratura che ci possa permettere di approfondire adeguatamente l’argomento. Ci si dovrebbe in qualche modo fidare delle case produttrici e accettare, prendendoli per buoni, gli argomenti commerciali da queste proposti. Le uniche analisi in tal senso sono appannaggio delle forze armate e per questo coperte da segreto. Negli USA esiste in commercio una sorta di gelatina balistica chiamata “Bullet Test Tube” che può essere assimilata a quella militare e che consente di effettuare degli esperimenti caserecci che forniscono dati molto interessanti. L’obbiettivo dello studio non è certo quello di sapere se una palla è efficace su questo o quell’animale ma più semplicemente quale è la velocità per cui la si può ritenere molle, cioè a rischio di eccessiva frammentazione, dura, cioè eccessivamente penetrante oppure bilanciata, cioè ideale nel rapporto di penetrazione ed espansione con ottimizzazione della cessione controllata d’energia. Mi è successo di sparare da breve distanza ad un capriolo, notoriamente animale delicato, e vederlo scappare a gambe levate ferito, per poi ritrovarlo dopo giorni con un grande ematoma alla spalla; oppure sparare due colpi mortali alla spalla di uno jarling di camoscio e ritrovarlo, ferito e a distanza, con due buchini di uscita precisi e accoppiati uno di fianco all’altro al cuore. Nel primo caso la mia Ballistictip da 100 grani calibro .257 è esplosa senza riuscire a penetrare la scapola, cioè palla giusta a 200mt ma troppo veloce e tenera a 50. Nel secondo caso, invece, la X Barnes calibro .264 (6,5mm) da 120 gr non si è infungata come avrebbe dovuto a causa della scarsa velocità a quasi 300mt. (circa 200m/s meno che alla bocca). Quale è dunque la velocità ideale per un proiettile al fine di una sua deformazione graduale e controllata?? Sparato il colpo nella gelatina, si estrae il proiettile, lo si pesa, si misura il diametro del “fungo”, si misura la lun- ghezza del percorso dentro la gelatina, la cavità lasciata, e si mettono in relazione tutti questi fattori attraverso un algoritmo in grado di determinare se quella palla è dura, bilanciata, o molle a quella data velocità. Mi rendo ben conto che la stragrande maggioranza dei lettori non avrà né tempo né modo di stare a fare esperimenti così complessi, per cui consiglio ai più di trovare almeno due palle che riescano ad essere stabilizzate nella propria arma ad una buona velocità e poi provare a sparare alla distanza ipotizzata (es camoscio 250mt, cervo al bramito 80mt) dentro una serie di giornali bagnati con acqua, recuperare la palla e osservare se si è infungata bene (diametro almeno il doppio dell’originale), e che non abbia perso troppo peso ( perdita di peso non superiore al 25%). Questi semplici riferimenti danno, seppur in maniera molto approssimativa, una giusta indicazione; tuttavia, se capita di ferire degli animali colpiti bene nella zona vitale, cambiate palla. NOTE DI CARATTERE ETICO Sulla scelta del proiettile vi sono svariate correnti di pensiero. Alcuni sostengono che la palla debba infungarsi poco e passare da parte a parte l’animale provocando una seconda ferita di uscita e quindi maggior sanguinamenti, che consenta successivamente al cacciatore di tracciare il capo ferito. Altri sposano la medesima filosofia perchè sostengono che in tal modo viene rovinata poca carne dell’animale abbattuto che poi sarà mangiato. Altri ancora, come ad esempio i più grandi professional hunters africani, sostengono che la palla debba fermarsi sotto pelle dalla parte opposta all’entrata senza fuoriuscire. Personalmente non posso che sentirmi appartenente alla terza categoria, poiché una palla che attraversa tutto l’animale e si ferma sottopelle dalla parte opposta ha scaricato tutta l’energia, un proiettile che passa e va, invece no. Un animale colpito con tale energia morirà nel raggio di poche decine di metri anche se l’emorragia si fermerà all’interno del corpo. Non a caso gli americani dicono “ la potenza di una cartuccia si misura con la quantità di tessuto distrutto” A quei cultori della carne, posso solo dire che evitare un inutile sofferenza ad un animale può ben valere qualche etto o kilo di carne sprecata. Inoltre se si spara appena dietro la spalla, in modo da evitare le ossa delle articolazioni, l’animale non soffrirà e non sarà rovinata carne, perchè il costato è ricoperto da poco tessuto; chi ha avuto occasione di cacciare animali calvi nell’Est Europeo, a completamento del piano, lo sa di certo. Forniti tutti gli elementi per la scelta del miglior proiettile, non resta che spiegare come inserirlo nel bossolo precedentemente preparato e riempito della dose di polvere. Innanzitutto bisogna tarare il die: inserire nello shellholder un bossolo vuoto uguale identico agli altri del lotto che si intende ricaricare (di uguale marca, lotto, lunghezza ricalibratura... etc degli altri ) portare la leva della pressa in basso a fondo corsa con il bossolo in alto, avvitare il die fino a sentire che tocca il bordo del colletto del bossolo . A quel punto svitare il die di ¾ di giro per evitare che il proiettile venga crimpato dentro il bossolo (venga cioè stretto il colletto formando un unghia sulla palla). Svitare al massimo la vite superiore di regolazione del mettipalla del die, appoggiare la palla sulla bocca del colletto del bossolo e abbassare la leva della pressa a fine corsa; mantenendola in quella posizione avvitare la vite di regolazione del mettipalla fino a sentirla indurirsi per aver incontrato la punta del proiettile. A questo punto la regolazione è a zero, il che significa che se si possiede un die match si potrà utilizzare la scala millimetrica per determinare di quanto si vuole pressare la palla nel bossolo. In caso contrario si procederà poco alla volta, per tentativi, misurando di volta in volta la lunghezza della cartuccia. Trovata la misura giusta con il freeboring adeguato, inserire tutte le palle del lotto desiderato facendo attenzione ad effettuare le pressate con movimenti fluidi, regolari e sempre costanti in modo da ottenere la massima uniformità di inserimento. Una volta pressata la palla, la cartuccia è finita; bisogna solo controllare la lunghezza totale e la concentricità del proiettile con un apposito strumento. E ora buon tiro a tutti. 6. RWS H Mantel: la mia preferita, e perfettamente infungata ha abbattuto sul posto il cervo colpito 7. Gelatina balistica sezionata in due parti: mostra una scarsa espansione della palla dovuto ad eccessiva velocità 8. Palla H Mantel sparata da 300wm a breve distanza nella gelatina della foto precedente: la palla si disintegra nella parte anteriore e conserva integralmente il resto del fusto. 9. Per centrare la palla nel bossolo la Redding ha messo a punto dei dies con una camera di centraggio interna. Inclinare la pressa con questi dies consente di tenere in appoggio al centro il proiettile durante la fase di inserimento. 10. Attrezzo di controllo e ritaratura della concentricità della palla. CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 33 Curiosità Educazione faunistica - Flazio Galizzi - Stefania Pendezza L’orso e la predazione Il fulmine e i pericoli in quota Parlare dell’orso è diventata una moda, vista la sua presenza attuale nella nostra provincia, da secoli non più visitata da questo plantigrado. Facciamo comunque alcune considerazioni utili per avere qualche conoscenza in più, in particolare riguardo al suo comportamento. Si tratta di un mammifero che appartiene all’ordine dei carnivori, anche se la sua dieta è onnivora. Si nutre infatti prevalentemente di vegetali, tra cui radici, funghi, frutta, erbe, ma anche di lumache e altri invertebrati; è particolarmente ghiotto di miele, per cui non è raro che distrugga gli alveari per nutrirsene, ma assume spesso anche atteggiamenti da vero predatore, uccidendo sia animali domestici che selvatici. La sua tecnica di predazione si basa prevalentemente su potenti zampate inferte sul muso della preda, sul collo o sulla schiena, dilaniando con i suoi potenti unghioni le carni e provocando spesso profonde lacerazioni e forti sanguinamenti. Le vertebre del collo e della schiena risultano spesso spezzate. L’orso si ciba prima delle parti molli della preda, viscere e parte toracica, per nutrirsi poi della carne. Le ossa e la pelle sono regolarmente lasciate sul posto. Trattandosi di un onnivoro la predazione di grossi mammiferi è un comportamento occasionale, ma si può verificare quando il territorio dove si insedia risulta fortemente antropizzato e i suoi incontri con gli animali al pascolo sono frequenti. Trattandosi di un animale opportunista, sono assolutamente da evitare comportamenti come quello di predisporre luoghi con offerte di cibo, poiché indurrebbero nella specie inopportune frequentazioni indesiderate del territorio, disturbando la sua naturale selvaticità e inducendo la tendenza ad avvicinarsi ai luoghi frequentati dall’uomo. Non si tratta però, normalmente, di un animale né aggressivo né pericoloso per l’uomo, salvo particolari situazioni in cui si senta minacciato, quando la femmina debba difendere i suoi piccoli o sia ferito. Evita il contatto con l’uomo e quando ne percepisce la presenza si allontana, quindi l’incontro con questo plantigrado è sempre del tutto occasionale. La sua presenza, al pari di quella del lupo, è indice di selvatichezza dei luoghi e di un altissimo valore di biodiversità del territorio. Dei pericoli che rappresentano i fulmini in montagna si è detto più volte, ma rare sono state le documentazioni della sua potenziale mortalità per quanti si trovassero al momento sbagliato sulla sua traiettoria. L’immagine del grosso larice, attraversato dalla cima alle radici dalla potenza devastatrice di un fulmine, ne è una testimonianza, e di questi eventi se ne possono documentare diversi, a monito per gli escursionisti che si venissero a trovare in questi luoghi durante i forti temporali estivi. Del loro potenziale effetto mortale anche sugli animali, non altrettanto facilmente osservabile, ne offriamo ora una documentazione eloquente attraverso le immagini che ci sono state inviate da Fulvio Manzoni di Santa Brigida. Testimoni dell’insolita quanto significativa avventura, con Fulvio, sono stati Mirco Buzzoni, Oscar Santi e Dario Manganoni. Si erano recati nella zona del Mincucco, sul versante est verso Ca’ San Marco, per una battuta di caccia al camoscio, salendo per il sentiero che parte all’altezza del ponte che attraversa la valletta che scende dal Ponteranica, appena sopra la diga di Alta Mora. All’altezza del “bàrec” che si trova sopra la casera Ponteranica, a monte del sentiero 34 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche tamente le caratteristiche ambientali del territorio considerato, e perimetrate in funzione della specie o delle specie per le quali vengono create, ovvero le ZRA devono avere un’elevata vocazionalità per le specie a cui si riferiscono. Molti ambiti o comprensori incentivano la creazione di zone rosse potenziando la quantità totale di selvaggina immessa sul territorio, ovvero una buona parte delle immissioni di ripopolamento vengono effettuate solo ed esclusivamente nelle ZRA. Purtroppo molto spesso si osserva l’istituzione di zone rosse che funzionano più per la protezione dei cacciatori che come rifugio per la fauna selvatica. Infatti, molte ZRA sono localizzate nelle immediate vicinanze dei centri abitati, o addirittura li conglobano, con una scarsa o nulla vocazionalità per le specie per le quali, in teoria, sono state create. In realtà il significato dell’esistenza di quest’ultime sta nel fatto che servono per evitare i cacciatori commettendo che portache al Mincucco, hanno notato, erronee valutazioni delletre distanze dalle adagiati sul fianco, ben camosci, incorrano in infrazioni. aabitazioni poca distanza uno dall’altro, morti, Le caratteristiche delle senza apparenti segni ambientali sul corpo che zone di rifugiointendere ed ambientamento ne facessero la causa. Si Le specie per lefemmina quali vengono trattava di una adulta,create del le zonepiccolo di rifugio ed ambientamento sono suo dell’anno e dello jarling sostanzialmente fagiano, la starna dell’anno prima;iluna famigliola al e la lepre. Sebbene queste specie siano le completo. sole sono consideraAdche unanormalmente attenta osservazione del te, nondella è escluso che si creare corpo femmina, si possano notava una zone rossestrisciata anche per selvatici. evidente sulaltri fianco, e unoPer esempio, provinciale scavo per nel terraterritorio all’altezza delle zam-esistono aree particolarmente interessanti pe posteriori, quasi un’esplosione: per la conservazione di nuclei di popoverosimilmente la linea di percorso lazione di anatidi, sulledell’animale quali possono di un fulmine sul corpo istituite delle del zone di rifugio eessere il punto di impatto fulmine stes- ed ambientamento. so a contatto del terreno. La potenza Tornando specieaveva stanziali di magdella scaricaalle elettrica causato gior interesse, è intuitivo la morte anche degli animalievidenziare che cache le necessità ecologiche di ciascuna sualmente pascolavano vicino. specie sono diverse e quindi, E’ curioso osservare come leanche con- le caratteristiche ambientali delle ZRA, seguenze meccaniche dell’impatto devono essere diverse: delle evidenti del fulmine presentino · ilnei fagiano deve disporre analogie due casi: sia poter il larice che di aree boscate, cespuglieti, (borl’animale presentano una radure evidente di ineriti, lungo prati, pascoli) nelle quali i fastrisciata l’asse longitudinale possano trovare unaevidente abbondanegianotti sul terreno risulta molto te quantità di insettidall’impatto con i quali sfamarsi il solco provocato del e, se possibile, fulmine al suolo.coltivazioni di cereali a paglia (frumento, orzo, segale, avena); · la starna richiede un ambiente tipico dell’agricoltura tradizionale, ovvero una buona diversificazione colturale con la presenza di prati o pascoli, arbusteti e presenza strutturel’esilio foreDue secoli. Tanto di è durato stali di tipo lineare (fasce boscate, della siepi dell’orso bruno dalle montagne campestri, ecc..) provincia di Bergamo. Dopo così tanto · lepre, tipico animale steppitempo lalamemoria del suo incedere lenco, necessita apertipatrimonio con coltre to nel bosco di eraspazi diventato erbosa ed di è meno esigente confronti esclusivo qualche anticonei faggio. Dal delle superfi boscate o cespugliate. maggio 2008,ciperò, il vento è cambiato: quanto descritto sembrerebbe che unDa esemplare di 3 anni, 150 chilogramsia realizzare per ciascumi necessario di peso, si aggira perZRA le Orobie. naAll’inizio delle specie considerate. Nella realtà erano solo voci, avvistale situazioni meno complicate, in menti dubbi, sono qualche fotografi a sfuocaquanto le caratteristiche di ta catturata in lontananza,ambientali pecore ucciuna zona rifugio ed ambientamento se e sbranate e qualche unghiata sugli possono soddisfare esigenze uffi ecologialveari. Poi le primeleconferme ciali: che di tutte eviene tre le rinvenuta specie contemporaa Rovetta un’orma neamente. Infatti del le esigenze ecologiche a testimonianza suo passaggio. A del fagiano si sovrappongono parzialquesta scoperta segue l’analisi di alcumente a quelle della starna e della lepre, ni ciuffi di pelo “sospetti”da parte del elaboratorio viceversa per ciascunadell’Istituto specie. di genetica NaIn determinati ambiti territoriali la zionale della Fauna Selvatica: non vi starna puòdubbi, esserel’orso utilizzata come “spesono più bruno è tornato cie guida” per l’identificazione e la gesulle Orobie. stione delle ZRA. gli “abitanti umani” Come reagiscono delle valli al ritorno dell’orso? Alcuni Diagramma di altri Venncon della sovrappocon entusiasmo, diffi denza o sizione delletimore. esigenze delle addirittura Fra ecologiche i primi annovetre specie riamo sicuramente i bambini. Durante gli interventi didattici dedicati alla Fauzona della di rifugio ed ambientamennaUna Selvatica bergamasca, finanziati to deve possederedalla un Provincia rapporto di equilianche quest’anno Berbrato superfi cie boschiva gamo,tra gli la esperti hanno ricevuto (boschi moltiso formazioni e le su-e sime domandeforestali da partelineari) degli alunni perfi a prato/pascolo e quelle eadelcedellecialunne a proposito dell’orso reali paglia. (inserire dusaf zona rossa le suea abitudini. In particolare, bambini polifunzionale “destinazione d’uso del delle scuole primarie si sono dimostrati suolo di una ZRA per più in zona i più entusiasti all’idea dispecie un ritorno in montana o collinare”) pianta stabile del plantigrado sul noSe territorio. questo è vero perpotrebbe l’identifisuonare cazione stro Questo delle zone rosse “generiche”, la creaziostrano: un animale che dovrebbe incutene di zone rosseunper una determinata re quantomeno rispetto reverenziaspecie deveneiessere effettuata attentale, incontra più piccoli una passione mente, considerando le caratteristiche e un gioia che è difficile trovare negli ambientali del territorioquesto ed in particolaadulti. Naturalmente atteggiare la vocazionalità per dall’immaginario quella specie. mento è supportato Un’altraa scelta comune questafondamentale età: l’orso èidentifi spessocare le ZRA è quella del modello gestioassociato alle immagini delle favole o nale che si intende allaassociastessa, dei cartoni animati.applicare I bambini ovvero defila nirne gli dell’orsetto obiettivi gestionali no all’orso figura Winnie eThe le modalità con cuiBalù raggiungerli. Pooh o dell’orso del Libro della I modelli gestionali possono variare in funzione delle aspettative di chi propone l’istituzione di una ZRA, o di come si inserisce la zona in un contesto più ampio di gestione faunistica e di realtà ambientale. Giungla. Ovviamente la realtà è diversa I due principali modelli gestionale dalla fantasia e i bambini vanno guidasono ti allai seguenti: scoperta di questo meraviglioso ZRA didei tipoboschi “A”: zone di dimensioni abitante nel modo corretto: ridotte per favorire l’irradiamento mantenendo l’entusiasmo per il suonariturale fauna selvatica loro proveniente torno, della ma anche spiegando che non da azioni si tratta di di unripopolamento. orsacchiotto conTali cuizone giodevono avere un’elevata vocazionalità care o a cui avvicinarsi. per le specie riferimento. Molti sonodigli aspetti legati all’orso ZRA tipo di “B”: zoneselvatica di maggiore che gli di esperti fauna della estensione in cui effettuare Provincia sono stati chiamatiripopolaad apmenti con soggetti provenienti “zone profondire dalle domande dei da bambini di ripopolamento e cattura” locali o con nelle scuole. Innanzi tutto gli alunni si soggetti giovani strutture di sono stupiti per attraverso il nome dato all’orso: ambientamento, dai quali ottenere nuJJ5. Ancora più meravigliati sono stati clei di popolazione di qualità in grado di automantenersi e di soddisfare le aspettative venatorie in un’ottica lungimirante, ed effettuare azioni di miglioramento ambientale. Il ritorno dell’ orso in provincia di Bergamo Le ZRA per la gestione della lepre L’istituto delle zone rosse è particolarmente adatto alla gestione della lepre, in quanto la specie tende a vivere in maniera concentrata in certe aree o settori e si mostra più produttiva in determinati contesti. Da un punto di vista venatorio, la costituzione di specifiche ZRA risulta alquanto vantaggiosa, infatti i carnieri di lepre aumentano considerevolmente negli anni successivi. Le zone rosse esprimono una funzione confronti della delmultipla fatto che nei si conoscesse anchegestione il nome della lepre: sensibilmente la madre,migliorano Jurka, e quello del padre, produzione di lepri sul territorio, manJoze. tengono nucleispiegato di popolazione È statodei quindi loro che di a forte densità e consen proposito di JJ5 si sanno così tante cose poiché è un orso proveniente dal Parco Nazionale dell’Adamello e fa parte del progetto di reintroduzione del plantigrado ad opera del Parco. Infatti, per cercare di risollevare le sorti dell’ultimo nucleo di orso bruno delle Alpi italiane, nel 1996 ha preso avvio mediante finanziamenti LIFE dell’Unione Europea il Progetto Ursus - tutela della popolazione di orso bruno del Brenta, più noto come CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 35 Life Ursus. L’intervento di salvaguardia nei confronti del plantigrado - promosso dal Parco Naturale Adamello Brenta e condotto in stretta collaborazione con la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica – ha portato alla reintroduzione di 9 individui (3 maschi e 6 femmine di età compresa tra 3 e 6 anni). È normale, quindi, che al successo dell’operazione Life Ursus sia seguita una fase di colonizzazione di nuovi territori da parte degli animali introdotti o dei loro cuccioli ormai cresciuti. Ed ecco quindi JJ5 alla ricerca di nuovi spazi anche in provincia di Bergamo. Ai bambini sono state mostrate alcune foto di JJ5 fra quelle apparse sui giornali ed è stata spiegata la tecnica fotografica utilizzata per immortalare l’orso: questo tipo di apparecchi vengono messi in funzione automaticamente dagli animali stessi quando attivano delle fotocellu- le ad infrarossi. Dopo quasi due mesi di tentativi, il 23 Agosto JJ5 ha lasciato impresso nella memoria digitale di una fototrappola quattro belle immagini di sé, che hanno fatto il giro dei giornali locali e nazionali. La luce dei flash, però, non deve essere stata di suo gradimento, visto che il bonario colosso ha messo fuori 36 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche uso con una zampata la fotocamera che lo ha ritratto, posizionata alla base di un faggio. Evidentemente, come le vere star, non ama essere paparazzato. Gli esperti di fauna selvatica hanno spiegato ai bambini anche le caratteristiche e le abitudini principali del plantigrado, in particolar modo aspetti legati alla sua dieta: la maggior parte dei bambini è infatti convinta che JJ5 viva unicamente di miele. È stato spiegato loro che l’orso è un animale onnivoro la cui dieta cambia a seconda della stagione. Dopo il letargo, in primavera, spesso il cibo scarseggia: la sua alimentazione in questo periodo è composta principalmente da piante erbacee, radici, germogli ma anche dalle carcasse degli animali morti durante l’inverno. Durante l’estate e l’autunno, invece, grazie all’abbondanza di cibo, gli orsi passano gran parte del tempo ad alimentarsi per aumentare le scorte di grasso che gli consenti- ranno di superare l’inverno (iperfagia), aumentando il proprio peso di circa il 30%. In questa fase gli insetti (soprattutto formiche), la frutta (mirtilli, lamponi, mele, pere, frutti della rosa canina, noci, ecc.), nonché semi e radici, diventano importanti componenti alimentari. Certamente quando ne ha occasione, l’orso non disdegna facili bottini come il miele degli apicoltori o le pecore lasciate in alpeggio. E a proposito delle pecore uccise in questi mesi da JJ5, i bambini si sono divisi: la maggior parte ha preso le difese degli ovini: “Povere pecorelle!!!”, è stato il commento più diffuso. Altri invece: “Beh, anche l’orso dovrà pur mangiare, no?”. In pochi, a dire il vero, hanno pensato ai poveri allevatori! È stato quindi spiegato che l’orso, come gli altri grandi predatori (lupo, lince e aquila) è ovunque sinonimo di ecosistemi floridi e sani. Essi concorrono alla selezione naturale e mantengono in salute anche le popolazioni di erbivori da cui traggono nutrimento, come caprioli, cervi e cinghiali. Molti bambini hanno proposto di offrire a JJ5 cibo per dissuaderlo dall’aggredire le pecore. “Posso lasciargli gli avanzi della cena in giardino?”. Niente di più sbagliato ovviamente. Ai bambini è stato spiegato che sarebbe un grave errore abituare l’orso a dipendere dall’uomo per il suo approvvigionamento di cibo. A tale proposito è stato portato l’esempio del Parco Nazionale d’Abruzzo e in particolare dell’orsa Yoga, un esemplare abituato fin da giovane a cibarsi nei cassonetti dell’immondizia o a far visita alle scorte alimentari dei campeggiatori in tenda. Questo suo comportamento, col tempo, l’ha resa troppo confidente con l’uomo. A tal punto da far visita alle bancarelle di dolciumi nel bel mezzo di una sagra nel paesello di Opi, dove la gran ressa degli abitanti incuriositi ha creato una situazione potenzialmente pericolosa. In seguito a questo episodio Yoga è stata rinchiusa in una grande area faunistica delimitata da una recinzione. Tutto ciò sarebbe stato forse evitato se si fossero adottate delle tecniche dissuasive fin dal principio. I bambini hanno dimostrato di comprendere perfettamente il rischio di rendere non autosufficiente un animale che fa della sua indipendenza dall’uomo un’assicurazione sulla propria vita. La speranza degli amanti della natura è che le informazioni sull’orso date ai bambini, spogliate da qualsiasi preconcetto, possano condurre questi ultimi a gioire per il suo ritorno sulle nostre montagne, rapportandosi però a questo animale con il rispetto e l’attenzione che merita. Pagine d’autore - Annibale Facchini Alexandrine Devo confessare che per questo numero della nostra rivista mi sono trovato “la pappa fatta”. Mio fratello Sergio (ns. esperto balistico) non solo ha tradotto professionalmente e pazientemente questo libro francese ma ha anche scritto la premessa! Buona lettura e buone feste! Racconto tratto da “Chasseurs de chamois”, traduzione di Sergio Facchini Stamani cammino senza pensieri sul sentiero, con un leggero sorriso sulle labbra ed il cuore leggero, con tutta una giornata davanti a me per seguire la mia fantasia. Senza zaino, il mio pranzo nelle tasche, il binocolo al collo e la mia vecchia doppietta “405” a tracolla, scendo al Plan du Lac fischiettando. Il Plan du Lac è uno dei pascoli più alti, una larga gola circondata da falesie a picco, sulle cui cime la foresta allarga la sua frangia scura. Il lago, che un tempo doveva occupare tutta la parte inferiore dell’anfiteatro morenico, poco a poco si è colmato con gli apporti dei disgeli di primavera ritirandosi completamente in una estremità, una placca d’acqua limpida bordata di canne e ricoperta di muschio, dalla quale spuntano alcuni vecchi tronchi morti; tutto il resto del Plan adesso è prato, una prateria grassa dove le bestie prosperano diventando superbe, dove le piante di montagna, più folte e più vigorose che altrove, danno al latte un sapore squisito e forte. Come passo vicino alle baite, sento nell’ombra di una porta aperta Alexandrine che mi dice buongiorno ed io entro senza tante cerimonie. Non è compromettente, lei, Alexandrine, dichiara settantaquattro anni. È una vecchietta di roccia, sempre sorridente, sempre di buon umore, che ogni anno viene qui a “monticare”, da più di mezzo secolo. Lei fa i migliori formaggi di tutti i paesi intorno e nella sua baita, autentico museo delle Alpi, non è mai entrato né un cucchiaio né una secchia per mungere di metallo. Ogni cosa, dalla lampada ad olio che rischiara la stalla alla zangola con cui fa il burro, è di legno chiaro, levigato a sabbia, pulito e senza una macchia. Senza chiedere il mio parere, Alexandrine mi ha dato uno sgabello a una gamba per mungere e mi sono sistemato alla sua tavola. Presto saranno una rarità questi sgabelli bassi che ci si fissa al corpo con una cintura per avere le mani libere, quando si va a mungere nei campi con un secchio per mano, passando di vacca in vacca. Ben appoggiati a treppiede sulle proprie gambe e su quella dello sgabello, è necessaria una certa abitudine per tenersi in equilibrio e bisogna soprattutto ricordarsi di rimanere sporti in avanti per evitare di fare qualche spiacevole capitombolo. Dunque Alexandrine pretende di offrirmi del miele che mi serve in una ciotola di sicomoro con una spatola di bosso. Con il miele ci sono dei mirtilli, delle fragole, salsicce e lardo che qui si chiama “bacon”, come in Inghilterra, derivato da una vecchia parola francese di altre parti. C’è anche del gruviera, del formaggio morbido, del caprino e ancora altro formaggio dorato come il rame, lucido e duro come il granito, che ha, sembra, cinque anni, e tutte le virtù. Infine del latte, della panna e del caffè. È del tutto inutile rifiutare, Alexandrine non me lo perdonerebbe. Ogni volta che lei mi vede passare è sempre così e mai sono riuscito a farle accettare un pagamento qualsiasi, dato che, quando risalgo la valle, per lei ho sempre qualche piccolo regalo, dalla lana da lavorare a maglia al tabacco da presa, perché lei fiuta in una tabacchiera di sorbo. Legato sopra lo zaino con dello spago, un anno ho portato fin qui anche un cucù della Foresta Nera, di legno ovviamente, il cui tic-tac la immerge in un’estasi perpetua. In cambio lei mi ha messo nel suo testamento! Siccome ha avuto solamente delle figlie, sarò io ad ereditare il più tardi possibile la carabina di suo marito, Jean Dubouloz, che fu il più grande cacciatore di quelle montagne molto prima della mia nascita e che un giorno trovarono morto di freddo nella neve al Pré des Cavales, con un grosso camoscio legato sullo zaino. Spesso, notando con quanta curiosità esaminassi quel pezzo unico, Alexandrine lo staccava dalla parete per farmelo osservare più da vicino. Pulito, lucidato religiosamente, senza un filo di polvere, è una curiosa arma svizzera a stantuffo, con due cani, uno davanti all’altro e a due colpi nella medesima canna, con la pallottola del primo cha fa da culatta al secondo. Con essa il defunto conficcava un chiodo in una tavola a cento passi ed lo credo volentieri, perché provandola l’ho trovata straordinariamente precisa. Quella vecchia carabina l’ho usata una volta, una soltanto. CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 37 È tutta una storia. Da molto tempo intuivo che la vecchia voleva chiedermi un favore, ma mi sarei ben guardato di indicarne qualcuno, per timore di vederla chiudersi in se stessa, ma un giorno, arrivando alla baita, l’ho trovata con un’aria decisa ed ho capito che stava per parlare. Pur intuendo attraverso i suoi giri di parole e le sue reticenze, ho impiegato un bel po’ per capire il suo desiderio, ma finalmente si spiegò e quando l’anno dopo tornai nella stagione di caccia, avevo nello zaino tutto quello di cui avevo bisogno. Per cominciare delle palle e delle borre che mi avevano fatto espressamente, essendo quell’arma di un calibro abbandonato dalla produzione corrente, inoltre dei bossoli di rame e per finire della polvere da sparo di Berna, della polvere nera di contrabbando a grossi grani rotondi. Non essendo abituato ai fucili a bacchetta, soprattutto di un modello così complicato, ho impiegato molto tempo per caricare la carabina; subito dopo ho abbracciato Alexandrine e sono salito a prendere il sentiero. Nel bosco, sotto i rami bassi, non sapevo come portare quella lunga canna che si impigliava dappertutto. Mezz’ora dopo mi trovavo tra le tavole di rocce a sbalzo che sovrastano il lago e ho guardato, molto in basso, la baita della mia vecchia amica. Era seduta sulla panca addossata al muro, con le mani incrociate sulle ginocchia, e guardava la montagna con vicino a sé sua nipote, una piccola selvaticona, moretta e sfacciata, che porta le vacche nei campi non esitando a bastonare energicamente il toro. Andare a sparare con la vecchia carabina lassù nella foresta – è questo che mi aveva chiesto la vecchietta - per sentirla rimbombare ancora sulle grandi muraglie di granito, come ai tempi in cui Jean Dubouloz percorreva la montagna con la forza della sua giovinezza; lei attendeva il suo ritorno ogni sera, lei - la bella Alexandrine - la ragazza più graziosa della zona; e mentre stavo armando il vecchio ordigno, più emozionato che mai, lo confesso senza vergogna, tirando un colpo d’arma da fuoco, un fruscio nei cespugli mi fece sollevare la testa. Nel cuore della foresta c’è una piccola sorgente circondata di cortecce marce e di rami morti, una sorgente silenziosa che sgorga dalla spaccatura di un bacino di pietra e che si perde non lontano, nel muschio ai piedi del costone strapiombante. In quel posto ho trascorso alcune serate fiabesche guardando la notte invadere il bosco, mentre da lontano i ghiacciai fiammeggiavano al sole rosso calante, ma quel giorno, dritto nel cielo, con le zampe anteriori sul bordo del costone, un camoscio superbo si era attardato come a sfidarmi. Prima di aver avuto il tempo di riflettere, avevo puntato la pesante carabina e fatto fuoco. Girando solamente la testa dalla mia parte e tremando leggermente sulle sue forti zampe, non si era mosso, ma, non appena premetti il secondo grilletto, il camoscio crollò come un masso. Solamente allora, con una detonazione potente e greve come un suono d’organo, ben differente dallo schiocco secco delle nostre carabine di oggi, udii echeggiare l’arma e capii perché la cara vecchia aveva voluto sentirla tuonare ancora una volta sulla montagna. Quando ritornai, col camoscio sulla schiena, lei aveva ripreso il suo lavoro e sbatteva il burro nella zangola, con gli occhi altrove. Ho pulito il vecchio fucile che ho rimesso al suo posto, ho appeso il camoscio nel ripostiglio delle provviste e sono partito senza dir nulla. Qualche tempo dopo, nella vicina città, un notaio mio amico mi confidò, sotto il sigillo del segreto, che la sua cliente Alexandrine era venuta a trovarlo, facendo nove ore di cammino in montagna fino alla stazione e altrettante per risalire, proprio appositamente per aggiungere qualche riga al suo testamento. Premessa del traduttore. L’autore di questo stupendo libro di caccia al camoscio, “Chasseurs de chasmois”, il Dr Pierre Mélon, notaio marsigliese, già pilota nella prima guerra mondiale e scalatore, deceduto nel corso di una battuta di caccia al camoscio, trasporta il lettore nell’incantato mondo alpino. Egli parla di gente, di caccia e di animali come se avesse sempre abitato in una sperduta valle della Savoia. La caccia al camoscio è vissuta infatti come una vera conquista e non come una sfida dall’esito scontato in cui conta solamente il successo venatorio. Nella traduzione mi sono perciò attenuto scrupolosamente al testo originale perché si potessero cogliere intensamente le sfumature e le atmosfere così bene descritte in moltissime pagine, dato che, a più di settant’anni dalla prima stampa, quest’opera occupa sicuramente una posizione di rilievo nella letteratura venatoria di montagna. 38 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche Racconti Perché ho scelto un bra cco italiano - Lara Leporatti Mi chiamo Lara ho 31 anni e sono toscana! Vado a caccia e seguo mio padre, da quando avevo sei anni. Sono cresciuta giocando con Musetta e Billy, i setter di babbo e probabilmente anche l’amore per i cani mi ha avvicinato alla caccia. Quando avevo 15 anni Billy, oramai vecchio, ci lasciò. Portai a casa il mio primo cane, una piccolissima setter inglese di Nome Zara, un cane che adoravo e con tanta passione venatoria e un bello stile di caccia: fermava e fermava bene. Il problema era sapere dove era, almeno, per tutta la prima ora di caccia… Quando anche lei iniziò ad invecchiare ed avere problemi di salute, ebbi il desiderio di prendere un altro cane. Avevo già provato ad avere una cucciolata, ma non era andata molto bene, per cui cominciai a sfogliare diverse riviste di caccia ed enciclopedie di cani che avevo in casa. L’impresa però si presentava più difficile del previsto, poi un amico mi disse: “Perchè non ti prendi un BRACCO ITALIANO?” Così dopo aver letto e riletto le descrizioni sul bracco, mi innamorai subito dello sguardo dolce e da filosofo che ha quel simpatico cagnone! Ma: dove trovarlo??? Tramite internet ed un “forum” sul quale si parlava di caccia, mi dissero che proprio qui, a Firenze, c’era un appassionato di Bracchi Italiani, l’ex presidente della FIDC di Firenze, Massimo Fabbri. Mi proposero di contattare lui, poiché, sicuramente, mi avrebbe saputo dire dove trovare un cucciolo e così feci. Fu proprio lui a dirmi: “Mi è rimasta una cucciola, ma la cedo solo se vai a caccia!”. E così, superato l’interrogatorio, fui promossa a pieni voti, per ritirare il cane! Ricordo ancora quando tutti i cani, di corsa, mi vennero incontro e lei mi saltò subito in braccio, come se mi avesse scelto e dicesse: “Ora vengo con te!”. Era quasi bianca, anzi, bianco-arancio, mielato. La misi in auto e tornai a casa con la mia “bracchetta”, che si dimostro subito di gran carattere! Era l’8 dicembre, il giorno della festa dell’Immacolata Concezione ed i bambini iniziavano a lanciare i primi botti di Natale, così mentre eravamo in giardino ci fu un esplosione. Mi preoccupai, a causa di quello scoppio improvviso, pensando che la cagnetta si sarebbe spaventata e invece non accadde. Era lì che guardava in su, con un’aria interrogativa e per niente spaventata. Poi s’impadronì del divano e così, senza un pianto e un lamento, passò la prima notte con me. Anche la paura del “colpo di fucile”, la temutissima “prima fucilata”, sembrava superata brillantemente. Per mio babbo era come se avessi attuato un tradimento: avevo preso un altro cane e non era un setter! Non avevo mai visto dei bracchi a caccia, qui nelle mie zone. Tutt’oggi se ne vedono pochi; prevalgono Setter ed Epagneul Breton, anche se lo Springer Spaniel Inglese si sta facendo posto come cane da “tutta-caccia” e da carniere. Darma è nata il 6 Ottobre, avevo davanti a me mesi e mesi di addestramento, ma non sono stati molto difficili, perché faceva esattamente quello che dicevo. Tutt’ora, caccia sempre senza perdermi di vista e li capii perché dicono che il bracco caccia per il suo padrone; mai affermazione fu più vera. Nel bracco italiano il collegamento è costante ed istintivo. Non va mai, come si dice, “fuori mano”, per cui il proprietario può contare ininterrottamente sulla presenza del cane, il quale, rimane “ a vista”, pronto ad eseguire i comandi, ma non trascurando l’usta dei selvatici. Mio padre, mio zio e mio fratello, erano scettici sulle capacità venatorie di questo cane senza pelo! Ma si sono ricreduti subito. Secondo mio babbo, il bracco era un cane lento, poco adatto alla caccia nelle nostre zone e poi la mancanza di pelo folto, come nel setter, non lo avrebbe fatto entrare nelle macchie, presenti in abbondanza qui da noi. La mia bracca però, sapeva benissimo come fare e alternava “filate”, quando la temperatura e la brezza mattutina lo permettevano, a momenti in cui il solo modo per arrivare al fagiano era seguire il suo odore, mentre se ne andava via di pedina. E la ferma…? La ferma del bracco è spettacolare, sembra una moviola…è un rallentare fino a rimanere perfettamente immobile: un fascio di nervi e muscoli che assaporano l’aria e l’effluvio del momento. Ad un mio cenno e solo mio, “rompe” e “forza” la ferma, incalzando il fagiano, la starna, o la pernice che sia e aspetta sempre di sapermi dietro di lei, mai un momento prima. Quando cacciamo, io e lei, non c’è bisogno di tante parole: mi guarda, con il braccio le indico dove andare e lei esegue. Non mi molla un attimo e se, a volte, succede che, per il bosco, non riesco a passare e ci perdiamo di vista, lei abbaia, per farmi sapere dov’è, così la chiamo e proseguiamo insieme. Difficilmente si perdono animali con il bracco che, infatti, ha un istinto innato per il riporto. Mi ricordo che, quando tentavo di insegnargli a riportare con i vari “riportini” (gli oggetti adoperati per insegnare, ai cani, il riporto), dopo i primi due riporti, prendeva l’oggetto, scappava e lo distruggeva. Oppure si sedeva, mi faceva un gran sbadiglio e non eseguiva più il riporto. Non so quante telefonate feci al povero Scheggi, che continuava a dirmi: ” Non preoccuparti riporterà anche gli elefanti!” Infatti, è andata così, ancora oggi con i “riportini” scappa ma con un animale mai! Uno dei primi fagiani gli fu fregato da un pointer, dal secondo in poi, appena un fagiano cade, da bracco lento e con trotto aggraziato diventa una Ferrari Testa Rossa e, quando ha il fagiano in bocca, nessuno glielo toglie. Lo deposita solo davanti a me e ogni tanto al mio babbo. E’ un cane instancabile: sa dosare la sua forza e il suo trotto, alternato al galoppo, nei rientri, fa sì che tu possa andare a caccia tutto il giorno, mentre altri cacciatori, con cani molto più veloci, sono costretti a cambiare cani o a lasciarli riposare. Mi è capitato, più volte, magari su inviti in riserva, che mi chiedessero: “Ma, torni a caccia? Non è stanco, il cane?”. Oppure, c’è chi ti chiede: “E’ proprio un bracco? Però, non è lento come prima. ”Oppure ancora: “Mi ricordavo che erano cani bavosi, il tuo non lo è!”. O, ancora: ”I bracchi sono cani delicati” e, chi più ne ha più ne metta! Fortunatamente però non sono tutti così, naturalmente, parlo dei proprietari… Ce ne sono molti i quali, come me, hanno scelto questo cane bellissimo, che caccia per il suo padrone e che rappresenta perfettamente il connubio giusto di cane e cacciatore e il collegamento che dovrebbe avere un cane con il suo padrone. La sua indole buona lo fa stare perfettamente anche in casa: a lui basta sapere che il suo padrone e lì e lo segue ovunque, alle volte anche dove vorresti essere da sola, senza sguardi indiscreti! Ma lui e lì e aspetta con tanta pazienza. E’ un cane giocherellone. Una palla, uno straccio, un bastone, qualsiasi cosa, per lui, è buona per giocare, inoltre va d’accordo anche con gli altri cani proprio per la sua indole. Ho scelto un bracco italiano, l’ho scelto perché è un cane completo, che si rivela, a caccia e nella vita, un fedele compagno e un amico! Ho scelto un B.I. e lo sceglierei altre 100 volte!!! CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 39 Racconti Sosta di caccia - Romano Pesenti È tutta la mattina che, sotto un sole insolente, inseguiamo quel maledetto volo di cotorni gia trovato in addestramento, in agosto, sui prati là sotto il Sodadura di Taleggio. A parte la prima fortunata coppiola verso la baita di Campofiorito, quando tu Diana all’alba inoltrata le hai gattonate e sorprese ancora in pastura, la ricerca del volo sbrancato e incrodato certamente fra le frane del Ger è stata faticosa, pericolosa fra i dirupi e, ahimé vana. Sono sparite, come ingoiate in qualche imbuto o anfratto fra i sassi franosi della parete, tra rocce impossibili da raggiungere. Forse al sicuro su qualche cengia, immobili ci hanno osservato, o chissà dove rimesse; forse più lontane, fra gli erti cespugli dei canàj catìf del Suc di Maesimo, ci stanno aspettando. Sono sudato e tu sei stanca e assetata. Stai lasciando sulle pietre aguzze qualche goccia di sangue.... Seduti sotto un vecchio faggio scartoccio il panino preparato iersera in baita, sbocconcello un cacciatorino e penso al branco dei cotorni introvabili. Ma dove saranno andati? Diana seduta ad educata distanza, aspetta paziente qualche boccone, che ad intervalli regolari le passo con affetto. Mi guarda innamorata ed aspetta la solita carezza. Lo so, lo so, ...sei stata brava! Lassù nel prato mi hai fatto rivivere le solite emozioni. Da vecchia ed esperta compagna le hai trattate coi guanti, da vera felina le hai accompagnate fino alle rocce del dosso, permettendomi una facile coppiola. - È solo merito tuo ...brava! - Toh, bevi ancora. Purtroppo gli anni cominciano a pesare, ad entrambi, ...ma non pensiamoci; godiamoci, qui seduti al fresco, questa bella giornata. Due le abbiamo qui appese ad un ramo: se Dio vorrà, e con l’aiuto del tuo naso, magari verso sera le ritroveremo nuovamente lassù in pastura ...Forse canteranno. DAI MlEI RICORDI tratto dal libro “Emozioni dipinte”, dipinto di Roberto Lemmicon il consenso di Editoriale Olimpia 40 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche La leggenda della beccaccia fasciata In cucina - Carlo Calvetti - Lino E. Ceruti Ero ancora bambino quando papà Luigi mi raccontava delle beccacce. Le “regine dei boschi” le chiamava… e con molta riverenza. Come suo padre: nonno Lino. L’ascoltavo e guardavo il suo viso scarno con i miei piccoli occhi che spalancavano il mio piccolo cuore. Quel che mi affascinava era la sua mimica. Lui non mi guardava. I suoi occhi erano proiettati nel vuoto e descriveva, per filo e per segno, ciò che aveva vissuto e, in quel momento, stava rivedendo. Ciò che diceva mio padre sulla caccia era “Vangelo venatorio”. Persino il giorno in cui mi raccontò la leggenda della beccaccia ferita da un pallino ad una zampa. “Si curò la ferita” mi disse “attorcigliandosi attorno alcune piume dell’addome e dopo qualche giorno, guarì”. Leggenda… sì… era una leggenda. Buona per un ragazzo che a dieci anni sognava di arrivare velocemente ai sedici per poter andare a caccia, con il fucile in mano e il porto d’armi in tasca. Da allora son passate molte stagioni venatorie e di quella leggenda, quasi, non rimaneva neppure il ricordo. Fino a tre giorni fa. Tre giorni fa, mi chiama “l’Angelo mecànèk” e, nella sua autofficina, mi mostra la beccaccia abbattuta il giorno prima. Incredibile… una beccaccia dalla zampa fasciata con piume addominali !!! Forse colpita da un pallino? Chissà. Basterebbe “sfasciare” le piume per saperlo. Lo facciamo? E se, poi, fosse proprio così? Già… …se fosse così? Se fosse così, come la mettiamo con la leggenda? Dove andrebbe a finire il fascino del racconto dei padri senza la leggenda della beccaccia fasciata? Come cambierebbe l’atmosfera vicino a quel camino che arde? E l’attenzione e lo stupore dei giovani occhi sgranati? E… e… e il VANGELO VENATORIO? Guardo la beccaccia fra le mani… alzo lo sguardo e incrocio gli occhi di Angelo… anche lui cerca i miei… Non serve parlare. Abbiamo capito che la leggenda non può morire. Deve continuare. …ed è giusto sia così. Alcune proposte dello Chef Carlo Calvetti per gustare le beccacce, i tordi e la lepre. BECACCCE RIPIENE Riempite le beccacce con una farcia così composta: tritate l’intestino con altrettanti fegatini di pollo e prosciutto crudo, un pizzico di prezzemolo tritato, sale, pepe e spezie in misura necessaria, mischiando bene. Cuocere la beccaccia al forno con burro, declassare con un filo di cognac ed aggiungere qualche goccia di fondo di cottura ridotto. Servite in casseruola di porcellana, versando sopra la beccaccia il fondo di cottura. TORDI ALLA PIZZICAGNOLA Togliere ai tordi l’osso del petto. Introdurre all’interno una fettina di prosciutto crudo cosparso di tartufo bianco tritato ed arrotolato. Cuocerli con burro e declassateli con qualche goccia di vino bianco. Servite ben caldi i tegame di porcellana. TORDI ALLA GIUDEA Disossare il petto e la metà anteriore del dorso del tordo, limitandovi a spuntare solo le unghie delle zampette. Riempite con una noce di fegato grasso, cotto; fermateli con uno stecchino in modo che le zampette vengano a trovarsi all’altezza delle cosce. Salate e coceteli in tegame con burro a fuoco piuttosto vivo. Deglassate con vino bianco, poi aggiungete fondo di cottura ridotto. A parte preparate altrettanti fondi di carciofi piuttosto grandi e fritti all’olio. Servite in corona su un piatto di servizio, sistemando un tordo su ogni carciofo e versandovi sopra il fondo di cottura. LEPRE RIPIENA ALLA BUONGUSTAIA Svuotate la lepre raccogliendo tutto il sangue. Servate le cosce ed i lombi, lardellando finemente queste parti. Tritate finemente il fegato, il cuore e i polmoni con 100 grammi di prosciutto crudo e 150 grammi di mollica di pane bagnata e spremuta, 1 cipolla tritata e rosolata al burro, il sangue della lepre, un cucchiaio di parmigiano grattugiato, un pizzico di prezzemolo tritato, sale pepe e noce moscata in quantità necessaria; amalgamate bene il tutto e con il composto riempite la lepre. Cucite l’apertura del ventre e cocetela glassata. Servite salsandola leggermente con salsa buongustaia, addizionata col fondo della lepre passato, sgrassato e ridotto. CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 41 Avvenimenti e iniziative - Lino E. Ceruti La giornata al cinghiale Tutta colpa di Luigi Capitanio. Lui conosce mezzo mondo e l’altro mezzo conosce lui. Ci trovavamo in Val d’Ambièz, nel massiccio del Brenta, in un anfiteatro naturale che mi lasciava senza parole… che maestoso spettacolo! Eravamo lì a ricordare un grande Maestro: montanaro e cacciatore. Non ricordo quante volte avevo letto il suo “Sergente nella neve” ma ricordo quanta ammirazione gli avevo sempre riservato. Stavamo ricordando Mario Rigoni Stern, fra le altre cose, anche presidente di “Ars Venandi”. “Vieni,” mi dice Luigi “ti faccio conoscere Paolo… fa parte del Clubert. E’ toscano… simpatico”. Così è stato, infatti: toscano e simpatico. Fa presto a sbocciare l’amicizia in montagna fra cacciatori e, a noi, è bastato poco. Prima di ritornare alle rispettive case ci disse: “Alla prima cacciata al cinghiale, nel mese di novembre, mi farebbe piacere avere anche voi con noi”. E così fu. Un giorno mi trovo una e-mail con il suo invito. Anche Luigi era della partita. La Toscana è la Toscana, ragazzi… da Guardo Luigi… ci sembra vi sia qualqualunque parte ti giri ti trovi immerso cosa che non quadri nel dialetto orobico in un paesaggio surreale. Emozionato come non mai, facciamo di quel “bergamasco”. Infatti è di Roma ma vive da molti il viaggio. anni nella nostra Guida Luigi con città senza perdere la sua macchina l’originario accento così, io, ho il temdella “caput munpo di guardarmi di”.. attorno. E’ bello e piaceArriviamo in un vole parlare con piccolo borgo antilui e ci parliamo co… in un contesto volentieri per tutta architettonico tipila serata fino al moco toscano. mento di andare a Incontriamo Ivananna. no ed Emilio (coLa mattina mi nosciutissimi nel Luigi Capitanio alla cerimonia di chiusura alzo emozionato. nostro comprensoPrima di vestirmi controllo la doprio) e, ancora, Osvaldo e Silvano di Ars pietta che mi ha prestato Luigi, le carVenandi. tucce a palla… E’ un piacere essere lì con loro. 20… sono 20… saranno abbastanza? Una cena con altri cacciatori amplia le Mah… semmai me ne farò prestare nostre conoscenze e amicizie. Fra i tanti conosciamo “un’arma- qualcuna. dio”… grande tanto… che Paolo si afDopo colazione ci riuniscono per il fretta a presentarci “questo nostro ami- tradizionale inizio della giornata di co è delle vostre parti… è di Bergamo”. caccia. Che piacere… ci presentiamo e gli Scopro che insieme a noi poveri suchiedo “di che paese sei?”. burbicani e rozzi discendenti dei Celti “A ragà… semo fra de noi… ciave- ci sono pure dei “Teteschi di Cermania” mo er tavolo bene imbandito e ‘l vino verso i quali scambiamo più sorrisi e inl’è quasi dei Castelli… femo onore a li chini che “pòn ciorno” in italo-tedesco. toscani” Ci sono cacciatori tedeschi ed italiani il borgo che ci ha ospitato la formazione delle squadre italo-tedesche 42 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche i “Passator cortesi” in… agguato con i corni in mano. Intonano arie antiche, generate nei boschi… le ascolto con umile partecipazione. Poi, la suddivisione delle squadre e l’avvio verso le poste. Durante il tragitto cerco di captare le parole convenzionali… conosco la peggiore: “padellare”, cioè sbagliare il cinghiale. Bisogna che faccia attenzione, non voglio far brutta figura. Ci mettono alla posta. Sopra di me c’è Silvano e sopra ancora Osvaldo. Luigi, Ivano ed Emilio li hanno “fermati” prima. Aspettiamo. Quando l’uomo sta zitto, il bosco ti parla… i suoi abitanti lo rallegrano e tu sprofondi in un sereno torpore nel quale vorresti rimanere a lungo. Sentiamo, però, il latrare dei cani che si sposta da un lato all’altro della collina. A volte viene verso di me e, allora, mi tengo pronto… sta arrivando… il cuore si sposta alternativamente tra l’addome e le ginocchia… Poi, il latrare si allontana in direzione opposta… il cinghiale dev’essere tornato indietro. Guardo verso l’alto e incrocio gli sguardi di Silvano ed Osvaldo… alziamo le spalle in silenzio come per dire: pazienza. … e di pazienza in pazienza arriva, verso le quattordici e trenta il suono del corno che sancisce la fine della caccia. Le canne della doppietta sono ancora pulite ma l’anima è piena di meraviglie e di serenità. Al borgo incontro Paolo che, incuriosito mi chede “Allora Lino… com’è andata?” “Bene Paolo” gli rispondo “ne ho padellati otto” Mi guarda con occhi strabuzzati. “Co… come? hai padellato otto cinghiali?” “Eh sì, caro Paolo, ne ho padellati otto però… in compenso… ho centrato quattro cani” Lo vedo sbiancare poi, incrocia il viso divertito di Luigi e capisce che non sto facendo sul serio. Tira un sospiro di sollievo e fulminan- domi amorevolmente con gli occhi mi dice: “ragazzaccio”. Già… ragazzaccio. Un ragazzaccio felice d’aver trascorso una giornata in amicizia con tanti galantuomini. Torniamo a casa e durante il viaggio parliamo poco… davanti agli occhi compaino e svaniscono paesaggi e volti… nelle orecchie rientrano latrati e suoni di corno… e poi… strette di mano e pacche sulle spalle che in italo-tedesco volevano dire: “tu sei un mio amico”. Grazie Paolo, grazie Fausto e grazie anche a tutti voi del Clubert. macchè “Passator Cortesi”… questa è amicizia silvestre-venatoria Un grande maestro di vita e di caccia: Emilio Rudari… 84 anni… il migliore!!! Paolo La Ferla (al centro) Grazie di tutto !!! La propiziazione alla giornata di caccia CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 43 Avvenimenti e iniziative All’interno della Festa: La biciclettata Organizzata con il patrocinio e il contributo del comune e della Pro-Loco di San Giovanni Bianco, ha visto la partecipazione di 25 ciclisti di tutte le età che, partiti dal piazzale della festa, sono saliti a Oneta per visitare la Casa di Arlecchino e, attraverso la pista ciclabile, sono arrivati a Lenna alla sede del Comprensorio Venatorio Alpino di Valle Brembana dove hanno visitato la sede dei cacciatori, il centro di verifica animali e ascoltato il bravo Luigi Capitanio che ha proiettato un documentario sulla fauna presente nelle nostre Alpi Orobiche. All’arrivo, sul piazzale della festa, un’estrazione a sorpresa: il Sindaco Gerardo Pozzi ha, personalmente, messo a sorteggio fra i partecipanti una mountain-byke. Grazie Gerardo. - Lino E. Ceruti XXI Festa del Cacciatore e del Pescatore … e questa è la 21°. Un po’ stanchi, un po’ flosci, un po’ per inerzia. Questo deve far riflettere. Probabilmente è giunta l’ora di favorire interni cambiamenti. Non tutto, per carità… una cosa per volta… piano piano ma, qualcosa deve cambiare. Una certezza rimane: questa festa continua… deve continuare. Anche Gerardo Pozzi, Sindaco di San Giovanni Bianco, è di questo parere e l’ha dimostrato, con grande impegno, per favo- rire il ritorno di questa festa al paese d’origine. A Lenna siamo stati certamente bene e, per questo, dobbiamo ringraziare il suo Sindaco “Mario barba” che ci ha ospitato per due anni ma… quest’anno, l’Amministrazione di San Giovanni ci ha creduto molto di più. … e le immagini parlano da sole. Senza fare nomi che porterebbero, sicuramente, alla dimenticanza di qualcuno… gli organizzatori intendono abbracciare tutti i volontari con un sentito grazie. Grazie dal profondo del cuore. La visita alla sede dei cacciatori Tutti pronti entario La proiezione del docum quattro chiacchiere in compagnia In attesa dell’estrazione… e veduta d’insiem servizio al self-service L’arrivo alla festa … una foto ric ordo E sempre all’interno della Festa: La premiazione della gara Pesenti/Gritti a.m. “prova di lavoro per cani da seguita” svoltasi in Val Taleggio e organizzata dalla Società Italiana Pro Segugio provinciale di Bergamo … e dopo una dura serata c’è chi lava i piatti... il cosiddetto “gruppo di famiglia” posa per la foto ricordo il consigliere regionale Pietro Macconi (primo a sinistra) sempre vicino al mondo venatorio bravissimo lo chèf… bra vissimo il “Mimo” (di spalle nel riquadro) e bravi gli aiutanti 44 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche Che ragazzacci … e chi pensa ad altro. burloni e sempr e allegri !!! e meglio Prima è sempr di buono sa co metter qual ia nc pa in a, il Con la maglietta azzurr o consigliere provinciale Kik tori zza ani org li deg o (un zi Bon tra, des a mo ulti e, della festa) S. Gerardo Pozzi Sindaco di o B.c ni Giovan CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche 45 COMPRENSORIO VENATOTRIO ALPINO VALLE BREMBANA: Enrico Bonzi – Presidente Lino E. Ceruti - Rappresentante Provincia Pietro Milesi – Rappresentante Comunità Montana Angelo Bonzi – Rappresentante CPA/ANLC Teofano Boffelli – Rappresentante ANUU Giuseppe Bonomi – Rappresentante F.I.D.CCarlo Milesi – Rappresentante F.I.D.CAthos Curti – Gruppo Cinofilo Bergamasco Giovanni Morali – Rappresentante C.A.I. Bruno Calvi – Rappresentante C.A.I. Antonio Locatelli – Rappresentante Coldiretti Sperandio Colombo - Rappresentante Coldiretti Avvenimenti e iniziative - Lino E. Ceruti Giornata Ecologica a Dossena COMMISSIONI: Avifauna tipica alpina: Presidente sig. Piergiacomo Oberti Ungulati: Presidente sig.Gian Antonio Bonetti Lepre: sig. Midali Cristian Capanno: sig. Umberto Arioli Stanziale ripopolabile: sig.Luigi Poleni Senza tromboni, giornali, radio e televisioni… come sempre attenti alle reali problematiche ambientali, i cacciatori di Dossena continuano con umiltà e competenza a dedicarsi al volontariato. Le foto sottoriportate non hanno bisogno di commenti. Grazie a nome di tutti i cacciatori del Comprensorio. SEDE: Lenna (BG) – Piazza IV Novembre, 10– tel./fax 034582565 www.comprensorioalpinovb.it - e-mail : [email protected] Segretaria : Alba Rossi Orari di apertura: Mercoledì, Giovedì e Venerdì: dalle 9.00 alle 12.30 e dalle 14.00 alle 16.30 - Sabato dalle 9.00 alle 12.30 ASSESSORATO PROVINCIALE SETTORE CACCIA E PESCA Via San Giorgio – tel. 035387700 Assessore Sett. Caccia e Pesca – Luigi Pisoni Ufficio Tecnico Caccia e Pesca Dirigente – Alberto Cigliano Collaboratori tecnico faunistici – Giacomo Moroni – Alberto Testa Servizio di Vigilanza Provinciale Responsabile – Gian Battista Albani Rocchetti Dai… forza… partiamo ci sono anche le buche sulla strada …cominciamo con i rami sulla strada forza… tutti con il badile in mano lasciamo in ordine… portiamoli via mi chiedo cosa farebbero senza di noi ? Collaboratori – Bruno Boffelli, Cristiano Baroni SERVIZI DI PUBBLICA UTILITÀ Pronto Soccorso Sanitario Ospedale Civile S. Giovanni B.: Tel. 034527111 Centro antiveleni – Ospedali Riuniti di Bergamo: Tel 035269469 (Tel 118) Soccorso Alpino CAI – Elisoccorso: Clusone: Tel. 034623123 Pronto Soccorso Veterinario – BG Via Corridoni 91 - Tel. 035362919 Corpo Polizia Provinciale: numero verde 800350035 Emergenza Sanitaria; Tel. 118 Vigili del fuoco: Tel 115 dai che manca poco… 46 CACCIAINVALBREMBANA - Rubriche visto?... che ti dicevo per un po’ siamo a posto. CACCIAINVALBREMBANA 47
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