Piero della Francesca, La flagellazione di Cristo

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Piero della Francesca, La flagellazione di Cristo
Piero della Francesca, La flagellazione di Cristo
da Wikipedia
Autore
Data
Tecnica
Dimensioni
Ubicazione
Piero della Francesca
1444-1470
tempera su tavola
58,4 × 81,5 cm
Galleria Nazionale delle Marche, Urbino
Storia
Il piccolo dipinto, uno dei più emblematici di Piero della Francesca e del Rinascimento italiano in generale,
venne ritrovato nel 1839 nella sagrestia del Duomo di Urbino dal pittore nazareno tedesco Johann David
Passavant. Egli, durante un viaggio ad Urbino sulle orme di Giovanni Santi, il padre di Raffaello, vide la
tavola e ne annotò diligentemente una descrizione, in cui riportò anche la firma di Piero e la scritta
convenerunt in unum (si accordarono o si allearono), che si sarebbe trovata accanto al gruppo delle tre figure
e che è scomparsa dopo il 1863. La frase è tratta dal Salmo II, che fa parte del servizio del Venerdì Santo,
riferito alla Passione di Cristo: Adstiterunt reges terrae et principes convenerunt in unum adversus Dominum
et adversus Christum eius (I re e i principi della Terra si riunirono solennemente e convennero in un sol
posto/ad una unanime decisione contro il Signore e il suo Cristo). Non è chiaro dove la scritta fosse
originariamente, se sulla perduta cornice dorata o in calce sul dipinto, magari sotto le tre figure o in
posizione più centrale.
Niente si sa della commissione o della destinazione originale della tavola, che però all'epoca di Passavant era
ricordata tradizionalmente come dono del Duca Federico da Montefeltro al Duomo di Urbino. Essa non è
citata negli inventari di Palazzo Ducale e non entrò mai nell'eredita roveresca.
Datazione
La datazione della tavola, come della maggior parte delle opere di Piero della Francesca in generale, è un
tema molto controverso e dibattuto dagli storici dell'arte ed oscilla in un arco di quasi trent'anni, dal 1444 al
1472. La prima data è oggi in genere scartata, per il carattere prettamente albertiano dell'architettura: il
dipinto va collocato a dopo il 1447 (inizio del Tempio Malatestiano) o anche dopo il 1457 (Tempietto del
Santo Sepolcro), ipotizzando anche la conoscenza tra Piero e Alberti, che avrebbe potuto mostrargli studi e
disegni in anteprima.
Kenneth Clark ha osservato la somiglianza tra il giovane biondo della Flagellazione e un angelo del
Battesimo di Cristo, datato intorno al 1460; quindi una datazione attorno al 1458-1459, proposta dalla
maggior parte degli studiosi, sarebbe coerente. La tavola sarebbe quindi da collocarsi subito dopo il viaggio
di Piero a Roma, con alcune similitudini negli affreschi di San Francesco ad Arezzo, sia nelle architetture
(Incontro di Salomone e la Regina di Saba e Ritrovamento e verifica della Vera Croce) che in talune
fisionomie (il ritratto di Giovanni Paleologo nella Vittoria di Costantino su Massenzio e il Profeta Geremia,
accostato al giovane al centro degli astanti della Flagellazione). Inoltre la composizione "dicotomica"
riecheggia la scena del Sogno di Innocenzo III negli affreschi di Benozzo Gozzoli a Montefalco (terminati
nel 1452), dove Piero avrebbe potuto fermarsi all'andata o al ritorno da Roma. L'influsso romano si coglie
inoltre in alcuni dati stilistici, come l'affinamento della padronanza prospettica, l'accresciuta monumentalità,
l'assimilazione dei modelli antichi.
La datazione tarda, al 1470, si basa soprattutto sull'interpretazione storica della tavoletta, ad esempio
vedendo nel gruppo del convenerunt in unum un raduno di principi chiamati da Federico da Montefeltro a
rifondare una nuova lega dopo il decadimento della Pace di Lodi, un progetto risalente appunto a quegli anni.
Descrizione
La scena mostra la flagellazione di Cristo, un tema inconsueto
come opera a sé, facente più spesso parte di predelle o tutt'al più
dipinto all'interno di cicli su storie della Passione o della Vita di
Gesù. Le uniche altre rappresentazioni di una Flagellazione
isolata si hanno tra i disegni al Louvre di Jacopo Bellini (a destra)
o nella tavola di Luca Signorelli (1475-1480), allievo di Piero,
alla Pinacoteca di Brera. Come modelli Piero aveva potuto vedere
lo scomparto di predella della pala trecentesca di scuola senese
nel Duomo di Sansepolcro (simile è la posizione dei flagellatori),
che aveva a sua volta come prototipi la scena nel retro della
Maestà del Duomo di Siena di Duccio di Buoninsegna o un
affresco nella basilica inferiore di Assisi di Pietro Lorenzetti.
Ancora più originale è la composizione della scena, divisa in due
parti, con tre figure in primo piano a destra, sullo sfondo di una
via cittadina all'aperto, e la flagellazione vera e propria che
avviene a sinistra, più distante, sotto un edificio classicheggiante.
Due colonne in primo piano inquadrano la scena e, soprattutto
quella in posizione semicentrale, fanno da spartiacque con il
mondo esterno, regolato da una diversa concezione e
illuminazione. Anche nella Flagellazione di Bellini l'evento sacro
si svolge in profondità con figure diverse in primo piano, ma in
quel caso la scelta sembra del tutto episodica, legata a un
capriccio compositivo, senza un diretto rapporto reciproco.
Delle tre figure a destra, quella centrale è un giovane vestito di rosso, con i piedi scalzi; quello di sinistra è
un uomo maturo barbuto, con un cappello alla bizantina (come si vede anche negli affreschi di Arezzo,
derivati dalla visione dei partecipanti al Concilio di Ferrara-Firenze), i calzari da viaggio e un mantello bruno
avvolto all'antica, ritratto mentre sembra accennare una richiesta di silenzio per iniziare a parlare; il terzo, a
destra, è un uomo in età più avanzata, con la capigliatura rasata e con un sontuoso vestito broccato azzurro ed
oro. La loro posizione è ben individuabile confrontando i riquadri disegnati in prospettiva sul pavimento,
tanto che è possibile anche disegnare lo spazio della Flagellazione in pianta e in alzato.
La parte sinistra è ambientata in un edificio aperto posto più in profondità, retto da colonne scanalate
classicheggianti, con un sistema di travi ortogonali tra le quali si trovano lacunari con rosette. Il pavimento è
finemente decorato da intarsi marmorei, magistralmente scorciati. Dell'edificio si vedono sei campate, intese
come riquadri composti dalla griglia delle travi e del pavimento. Sotto la campata centrale della fila di destra
si svolge la flagellazione vera e propria, con il Cristo alla colonna martoriato da due individui abbigliati
all'antica. Quello di sinistra ha le gambe unite e muove solo il braccio, quello di destra ha una posa plastica
con le gambe aperte a compasso. Sulla colonna si trova una statua dorata. Assistono alla scena un uomo col
turbante, di spalle, che di solito rappresenta il consigliere giudeo di Pilato, e un uomo assiso in trono,
simboleggiante Pilato, con la berretta e i calzari rossi che lo rendono identificabile con l'imperatore bizantino
Giovanni VIII Paleologo, venuto in Italia per il concilio del 1439, di cui resta un'effige analoga su una
famosa medaglia di Pisanello. Sui gradini del trono si legge la firma dell'autore in lettere capitali romane:
OPVS PETRI DE BVRGO S[AN]C[T]I SEPVLCRI. Dalle radiografie si è scoperto che Piero dedicò
particolare cura alla pittura del turbante, disegnato a parte e poi riportato sulla base preparatoria tramite un
piccolo cartone su cui eseguì lo spolvero. Ciò farebbe pensare alla volontà di rappresentare con precisione il
copricapo, magari ripreso dalle descrizioni dei turchi ottomani, ai quali si potrebbe riferire il personaggio
stesso. Sullo sfondo si trovano due portali: quello di destra, che si trova dietro Cristo, è chiuso da un portone
con borchie metalliche; quello di sinistra, dietro l'uomo seduto, è aperto e mostra una scalinata con balaustra.
Lo sfondo
La parte destra è ambientata in una sorta di piazza all'aperto, lastricata in grandi riquadri di cotto incorniciati
da una griglia in pietra bianca. L'edificio della Flagellazione proietta una scura ombra sul pavimento dietro
le figure in primo piano, interrotta dopo sei riquadri del pavimento, da una nuova zona illuminata (in
corrispondenza col vano della scala?). La scenografia nella parte destra è offerta da un edificio marmoreo
classicheggiante con inserti policromi, che pare uscito da un progetto di Leon Battista Alberti. L'architetto
viene spesso chiamato in causa anche per la torre con loggiato che si vede sulla destra, oltre il palazzo rosato
con la pertica appesa. Secondo alcuni la torre sarebbe una citazione del progetto originario del campanile del
Duomo di Ferrara, attribuito all'Alberti.
Più indietro, la scena è chiusa da una parete con due ampie fasce decorate da girali vegetali policrome, con al
centro intarsi in opus sculatum romano, un motivo che si trova anche nell'affresco dell'Annunciazione di
Arezzo. Dietro la parete si leva un alto albero, che fa pensare a un giardino recintato e, più prosaicamente,
incornicia la testa del giovane al centro del gruppo in primo piano, evidenziandone poderosamente il ritratto.
In alto splende un cielo cristallino che, come è tipico nelle opere di Piero, si schiarisce verso l'orizzonte ed è
punteggiato da nubi con la caratteristica ombreggiatura a cuscinetto cilindrico.
Interpretazione
Il punto da cui partono tutte le proposte di interpretazione è il gruppo delle tre figure a destra, il perché della
loro preminenza ed il rapporto che esse hanno con la flagellazione vera e propria e i personaggi a sinistra.
La presenza di figure di dimensioni relativamente grandi in primo piano non era nuova nel Rinascimento e
veniva realizzata sfruttando le leggi prospettiche, a differenza delle proporzioni gerarchiche dell'arte
medievale. Di solito le figure in primo piano assumevano il ruolo di commentatori, testimoni o di mediatori
tra lo spettatore e l'evento rappresentato.
Le interpretazioni più antiche e tradizionali delle tre figure si dividono essenzialmente in due linee:
1. l'interpretazione storico-dinastica, legata ai Montefeltro e ai loro alleati politici
2. l'interpretazione allegorica, legata all'esegesi biblica ed alla speculazione teologica.
Interpretazioni dinastiche e storiche
La figura cruciale del dipinto è il giovane biondo al centro del gruppo degli astanti, che è girato verso lo
spettatore, in posizione preminente, e trasmette un parallelismo con la figura di Cristo retrostante: entrambi
sono al centro dei rispettivi gruppi ed hanno pose molto simili, soprattutto di piedi e mani; inoltre sono
equidistanti dalla colonna centrale.
1. L'interpretazione tradizionale vede nel dipinto una celebrazione dinastica dei Montefeltro e/o la
commemorazione di Oddantonio, il fratellastro e predecessore di Federico, ucciso appena
diciassettenne in una congiura il 22 luglio 1444. Oddantonio è indicato come la figura centrale, il
giovane biondo che è posto in parallelo col Cristo flagellato, che simboleggerebbe quindi il suo
sacrificio. La morte di Oddantonio, in quanto vittima innocente, verrebbe così assimilata alla
Passione di Cristo. Questa interpretazione si basa su elementi piuttosto vacui, che non giustificano il
senso complessivo del quadro, inoltre la figura del tirannico Oddantonio in quegli anni non era certo
ritenuta moralmente così irreprensibile da giustificare un paragone con Cristo, che al contrario
sarebbe apparso alquanto sacrilego. Lo stesso Federico da Montefeltro era salito al potere proprio per
l'eliminazione fisica di Oddantonio, per cui il suo sacrificio era ritenuto in un certo qual modo
necessario. Anzi, qualcuno avanza il sospetto che Federico fosse in qualche modo coinvolto nella
congiura. Le interpretazioni dei due personaggi laterali sono più complesse:
a) Federico da Montefeltro (a destra) e suo padre Guidantonio
b) i due consiglieri Manfredo del Pio da Cesena e Tommaso di Guido dell'Agnello, responsabili
della morte di Oddantonio a causa della loro politica impopolare che condusse alla congiura, ma
i due personaggi non sembrano affatto due iniqui consiglieri
c) due notabili delle famiglie responsabili della morte di Oddantonio, i Serafini e i Ricciarelli
d) due principi, uno bizantino e uno occidentale, magari Guidantonio da Montefeltro, o Francesco
Sforza, o Filippo Maria Visconti (a destra) e Giovanni VIII Paleologo o un ambasciatore
bizantino (a sinistra).
2. Il dipinto rappresenterebbe l'invito a partecipare alla crociata antiturca voluta dal Papa Pio II e mai
partita, rivolto a Federico da Montefeltro da Giovanni Bessarione, il delegato bizantino che aprì il
Concilio di Ferrara e Firenze del 1438-1439 per la riunificazione delle chiese orientali e occidentali,
(a sinistra) e dall'umanista Giovanni Bacci, a destra (committente di Piero negli affreschi di Arezzo e
anche di quest'opera,), mentre il giovane biondo e assorto al centro rappresenterebbe Bonconte da
Montefeltro, amatissimo figlio naturale di Federico, legittimato nel 1458 e morto di peste ad Anversa
nello stesso anno, ardente sostenitore della crociata antiturca. In questo modo le pene del Cristo
sarebbero assimilate sia ai cristiani d'Oriente oppressi dagli Ottomani sia alla morte di Bonconte.
3. Buonconte da Montefeltro sarebbe affiancato a destra dall'astrologo Ottaviano Ubaldini della Carda,
consigliere e tesoriere del duca di Urbino (la sua ricca veste è decorata di cardo), a sinistra da
Ludovico II Gonzaga, marchese di Mantova. Sia Ottaviano che Ludovico avevano perso un giovane
figlio come Federico, perciò la figura al centro sarebbe il ritratto congiunto dei tre giovani e il
dipinto instaurerebbe un parallelo tra il lutto dei loro padri e la passione di Cristo. E' stato ipotizzato
che Ottaviano fosse il committente del dipinto, destinato alla sua cappella del Perdono nel Palazzo
Ducale. L'altare della cappella è compatibile con il dipinto: la prospettiva del dipinto apparirebbe
perfettamente coincidente col punto di vista di un osservatore inginocchiato difronte ad esso.
4. Nel 2006 Silvia Ronchey ha identificato le otto figure della Flagellazione come una trasposizione
del messaggio politico di Giovanni Bessarione. Quando Piero della Francesca probabilmente dipinse
la tavola erano già passati vent'anni dai fatti del Concilio di Ferrara-Firenze e Costantinopoli era
stata presa dagli Ottomani nel 1453. Papa Pio II Piccolomini, su suggerimento del Bessarione, aveva
promosso una crociata, al cui appello però risposero ben pochi. La parte destra della tavola di Piero
della Francesca ritrarrebbe esattamente il momento di discussione di questo intervento storicamente
avvenuto in occasione del Concilio di Mantova (ecco un possibile senso per la frase convenerunt in
unum), alla luce della memoria del Concilio di Ferrara-Firenze di vent'anni prima:
a) il Cristo flagellato rappresenterebbe Costantinopoli (come testimonia la colonna con la statua
dorata del Costantino-Apollo-Helios che si trovava nell'antico foro costantinopolitano e che
allude anche alla reliquia della colonna della flagellazione già nella capitale bizantina, allora
assediata dagli ottomani) e, in senso più ampio, la cristianità intera
b) l'uomo di spalle col turbante sarebbe il sultano, scalzo perché in attesa dei calzari del basileus
c) in Ponzio Pilato seduto sarebbe rappresentato l'imperatore bizantino Giovanni VIII Paleologo,
con calzature color porpora, che solo gli imperatori bizantini potevano portare
d) le tre figure sulla destra rappresenterebbero da sinistra, Bessarione, Tommaso Paleologo, fratello
dell'Imperatore bizantino (scalzo perché non ancora imperatore non poteva indossare i calzari di
porpora del basileus) e Niccolò III d'Este, padrone di casa del Concilio.
Interpretazioni teologiche
Il secondo filone interpretativo è quello che esclude la storicità delle figure rappresentate, che sarebbero
invece da intendersi come figure bibliche, o simboli e allegorie:
1. il rilascio di Barabba con, partendo da sinistra, un funzionario romano, rappresentante di Pilato,
Barabba stesso (con i piedi nudi) e un rappresentante della comunità ebraica, corpulento e
riccamente vestito, al quale il prigioniero viene consegnato, secondo una consuetudine della Pasqua
ebraica, fuori dal Pretorio, per non contaminarsi (Giovanni 18, 28)
2. il pentimento di Giuda
3. la flagellazione di San Girolamo
4. tre sommi sacerdoti che, nel timore di sporcarsi le mani, rifiutano di entrare nel pretorio dove Cristo
è flagellato
5. il giovane biondo sarebbe il "giusto universale", nominato da Cristo a Pilato nel Vangelo di Matteo,
oppure il Parcaleto, o Spirito Santo consolatore, che sarebbe il doppio del Cristo, secondo
un'interpretazione legata ad alcuni versi del Vangelo di Giovanni
6. un angelo con ai lati la Chiesa latina e la Chiesa ortodossa, la cui divisione sulla questione teologica
della processione dello Spirito Santo soltanto dal Padre, come sostengono gli ortodossi, o anche dal
Figlio, come sostengono i cattolici romani, produrrebbe le sofferenze del Cristianesimo
7. le personificazioni di ebraismo, paganesimo greco e eresia platonica occidentale
8. una figura angelica tra ebrei e gentili, oppure tra i re e i principi
9. i tipi dell'umanità intera: l'arabo, il greco e il latino.
Altre interpretazioni
Esiste poi un filone scettico, di chi ha negato la presenza di un significato particolare nella tavola: ad
esempio lo scrittore Aldous Huxley in The Best Picture scrisse che la Flagellazione sembrava nient'altro che
"un esperimento di composizione, [...] così strano e così vincente in partenza che non rimpiangiamo l'assenza
di significato drammatico". Il filone ha esponenti celebri, come Gilbert e Toesca, che parlarono di semplice
giustapposizione tra le due parti, senza nesso.
L'estrema complessità della composizione spaziale ha inoltre fatto inoltre ipotizzare che si trattasse di una
credenziale, una prova del talento luministico e prospettico dell'artista che andava a proporsi nelle varie corti.
Il soggetto principale è rimpicciolito dalla distanza, mentre i personaggi secondari in primo piano sono
grandi in virtù della prospettiva, invertendo le consuetudini iconografiche medievali e le tradizionali
proporzioni gerarchiche.
Stile
La forza straordinaria dell'arte di Piero sta nella ricchezza e la stratificazioni di significati, chiavi di lettura e
rapporti geometrico-matematici, che riguardano tanto le costruzioni architettoniche che le figure e la loro
collocazione spaziale. Roberto Longhi parlò di "sogno matematico", dove le figure umane acquistano un
valore particolarmente enigmatico. Protagonisti dell'opera sono l'architettura e la luce.
Il colore terso e dagli accordi delicati è impregnato di quest'ultima, secondo lo stile della "pittura di luce" che
Piero apprese probabilmente da Domenico Veneziano e da una lettura aggiornata di Masaccio, come
dimostra la pienezza delle forme, che vengono modellate dalla luce stessa fino ad assumere valore plastico.
Quanto più la rappresentazione guadagna però in astrazione, tanto più la forma perde in movimento, dando
alla scena una fissità atemporale: la realtà del fatto particolare coincide con la totalità del reale, il tempo
coincide con lo spazio ed è pertanto dato una volta per sempre.
Il risultato espressivo è l'impersonalità, l'assenza di emozioni, la calma solenne nella dignitosa severità
manifestata dai personaggi rappresentati: "e tuttavia non esiste Flagellazione più emozionante della sua,
quantunque su nessun volto si scorga un'espressione in rapporto con l'avvenimento; anzi, quasi a rendere il
fatto più severamente impersonale, Piero introdusse nel meraviglioso dipinto tre maestose figure in primo
piano, impassibili come macigni" (Berenson).