3. Algirdas Julien Greimas: dalla semantica strutturale alla semiotica
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3. Algirdas Julien Greimas: dalla semantica strutturale alla semiotica
3. Algirdas Julien Greimas: dalla semantica strutturale alla semiotica generativa 3.1. Brevi cenni bio-bibliografici Greimas nasce nel 1917 in Lituania. Lascia la Lituania nel 1944 e si laurea a Parigi nel 1948 con una tesi sul vocabolario della moda del 1830. Il suo primo campo d’interesse è la lessicologia, presto abbandonata in favore della semantica. Lo studio della semantica porta alla redazione di un libro fondamentale: Semantica strutturale [1966]. Anche il progetto di descrivere la semantica delle lingue naturali, tuttavia, rivela presto limiti insormontabili: per questa ragione Greimas passa gradualmente alla messa a punto di una teoria semiotica di più ampio respiro: a partire dal 1970 lavora al progetto che porterà all’elaborazione della cosiddetta “semiotica generativa”: nel 1970 pubblica Del senso (saggi di semiotica); nel 1983 pubblica Del senso II, e nel frattempo, nel 1979, pubblica insieme a Joseph Courtés il Dizionario ragionato della teoria del linguaggio, dal quale risulta evidente come l’impianto costruito da Greimas si basi su un insieme di concetti interdefiniti. Intorno all’opera di Greimas nasce una vera e propria scuola semiotica (École de Paris), ma va anche ricordato che la figura di Greimas è al centro di una sorta di costellazione di autori che in varia misura hanno contribuito alla messa a punto della teoria. Per citarne alcuni: Saussure, Hjelmslev, Benveniste, Tesnière, Brøndal, Martinet, Merleau-Ponty, Dumézil, Lévi-Strauss, Propp, Jakobson, Barthes, ecc. 3.2. La semantica strutturale Abbiamo detto che negli anni Sessanta gli sforzi di Greimas si concentrano sull’elaborazione di una semantica strutturale: l’idea di fondo è che sia possibile descrivere il piano del significato attraverso l’identificazione di unità del contenuto (sèmi), così come la fonologia identifica unità dell’espressione (fèmi). L’obiettivo è quello di arrivare alla descrizione completa della semantica delle lingue naturali, e l’idea del parallelismo tra organizzazione del piano dell’espressione e organizzazione del piano del contenuto è ripreso chiaramente da Hjelmslev e dalla glossematica [cfr. § 2.3.1.2]. 50 Secondo Greimas la relazione che sul piano dell’espressione si istituisce fra tratti distintivi e fonemi,1 può essere fatta corrispondere sul piano del contenuto a una relazione analoga: i tratti distintivi saranno denominati sèmi, e tali tratti andranno a costituire i sememi. In un saggio sul discorso poetico, Greimas chiarisce i termini di questa corrispondenza: se il primo processo analitico è quello di distinguere due piani di un oggetto semiotico, cioè il piano dell’espressione e il piano del contenuto, la seconda mossa è quella di ipotizzare un isomorfismo tra i due piani. Tale isomorfismo caratterizzerebbe il livello profondo e il livello di superficie: “È noto che la fonologia è riuscita, peraltro non senza difficoltà, a costruire i concetti di fonema, unità astratta, indipendente dalle realizzazioni foniche al livello dei segni, e di fèma o tratto distintivo, unità minima costitutiva del fonema. La semantica, che ha seguito lo stesso percorso, ma con un notevole ritardo, propone a sua volta quali nozioni corrispondenti i sememi e i sèmi.” [Greimas 1972: 138] L’isomorfismo ipotizzato da Greimas può assumere la seguente rappresentazione schematica: livello profondo: fèmi livello di superficie: fonemi Piano dell’espressione sillabe fonemi realizzati Piano della manifestazione sememi realizzati livello di superficie: sememi livello profondo: sèmi enunciati semantici Piano del contenuto Figura 3.1 [ibidem] Greimas si sofferma poi sui problemi legati all’ipotesi dell’isomorfismo dei due piani e delle loro articolazioni, ma per il momento ci interessa mettere in evidenza l’idea di una corrispondenza tra gli elementi del piano dell’espressione, così come li 1 Cfr. supra, § 2.3.3, quando si è parlato di fonemi e di tratti distintivi a proposito della commutazione. 51 ha individuati la fonologia, e gli elementi del piano del contenuto, così come ha intenzione di descriverli la semantica. Vediamo allora più da vicino lo statuto dei sèmi e dei sememi. I sèmi, in quanto tratti distintivi, non hanno altra esistenza se non relazionale e strutturale. Il loro valore si determina sempre in una relazione binaria e tale relazione deve essere considerata una categoria semantica. Per esempio i sèmi “maschile” e “femminile” non vanno intesi in senso sostanziale, ma in senso esclusivamente differenziale, poli di una categoria semantica che possiamo denominare “sessualità”. La natura dei sèmi, dunque, è teorica e metalinguistica: i sèmi ci servono per rendere intelligibili i valori di senso. Sebbene i sèmi vengano definiti per il loro “carattere minimale”, occorre precisare che l’analisi semica non può portare a un inventario finito, come avviene invece per i fèmi in ambito fonologico: “Il carattere minimale del sèma (che, non dimentichiamolo, è un’entità costruita) è dunque relativo e si fonda sul criterio della pertinenza della descrizione.” [Greimas e Courtés 1979: 301] I lessemi, invece, sono luoghi d’incontro di diversi sèmi. Per esempio il lessema alto racchiude i sèmi “spazialità”, “dimensionalità”, “verticalità”; il lessema lungo contiene i sèmi “spazialità”, “dimensionalità”, “orizzontalità”. Ora, analizzando i lessemi nelle loro occorrenze concrete, ci si accorge che sono costituiti da sèmi differenti: i sèmi nucleari, che sono costanti, e i sèmi contestuali (detti anche classemi), che dipendono appunto dal contesto in cui si inserisce il lessema. I sèmi nucleari individuano elementi invarianti di una unità di significazione. Greimas [1966] analizza il lessema «testa», e trova che nelle varie occorrenze i sèmi sono i seguenti: a) “estremità” + “superiorità” + “verticalità” la testa di un palo essere alla testa della ditta avere debiti fin sopra alla testa b) “estremità” + “anteriorità” + “orizzontalità” + “continuità” testa di una trave stazione di testa c) “estremità” + “anteriorità” + “orizzontalità” + “discontinuità” vettura di testa testa di corteo prendere la testa 52 Questo inventario mette in evidenza due tratti comuni: quello di “estremità” e quello di “superatività” (superiorità o anteriorità), e questi tratti comuni vanno a definire il nucleo semico del lessema testa. Ma se il nucleo semico descrive l’insieme invariante dei sèmi, le variazioni di senso possono provenire solo dal contesto: “in altri termini, il contesto deve comportare le variabili semiche le quali sole possono render conto dei mutamenti di effetti di senso suscettibili di venir registrati.” [ibid.: 71] Per cui al nucleo semico si aggiungeranno i sèmi contestuali, o classemi, che produrranno particolari effetti di senso: per esempio spaccare la testa, rompersi la testa, testa di morto, ecc. Pertanto i sèmi contestuali determinano le accezioni particolari di un termine. A questo punto possiamo definire il semema. Il semema è la somma di un nucleo semico (invariante) e di sèmi contestuali (effetti di senso). Il semema, di fatto, è un effetto di senso, e viene rappresentato da Greimas [1966] in questo modo: Sm = Ns + Cs Abbiamo dunque un nucleo semico la cui combinazione con i semi contestuali provoca degli effetti di senso (sememi). Per esempio, se consideriamo il lessema testa nella frase «prendere la testa di un corteo», ai sèmi nucleari “estremità” e “superatività” dobbiamo aggiungere i sèmi contestuali “anteriorità” e “discontinuità”. Per contro il lessema è un modello virtuale che sussume l’intero funzionamento di una figura di significazione: tale modello virtuale è – si badi bene – anteriore a qualsiasi formulazione del discorso, il quale, dal proprio conto, può produrre solo sememi particolari. Il lessema dunque “appare come un insieme di possibili percorsi discorsivi, che, partendo da un nucleo comune, sfociano ogni volta, grazie all’incontro di sèmi contestuali differenti, in altrettante realizzazioni sotto forma di sememi.” [Greimas e Courtés 1979: 190] Il lessema va dunque pensato come un modello virtuale della significazione che si realizza sotto forma di sememi. 3.3. Il progetto semiotico Nella seconda fase della riflessione semiotica greimasiana si delinea un progetto teorico di vasta portata, il cui esito complessivo va sotto il nome di Percorso Generativo. Di seguito vediamo brevemente quattro presupposti di questo progetto: (i) (ii) (iii) (iv) la centralità del livello immanente il passaggio dai segni ai testi il “mondo naturale” come linguaggio la vocazione scientifica della semiotica 53 (i) La centralità del livello immanente Negli anni Sessanta, all’epoca di Semantica strutturale, l’idea di Greimas è dunque quella di lavorare sul piano del contenuto così come si era già lavorato, con successo, sul piano dell’espressione. Tuttavia i limiti di questo progetto appaiono subito evidenti: per quanto alcuni sèmi si presentino come effettivamente fondamentali, risulta impossibile trovare inventari limitati di sèmi per descrivere la semantica del linguaggio naturale. Se non è possibile costruire tassonomie di tratti minimi sul piano del contenuto, Greimas pensa di battere un’altra strada tentando di individuare una struttura che accomuni tutti gli universi semantici: questa struttura però non si troverebbe nel livello manifesto dei segni, bensì in un livello più profondo. L’idea è che al livello profondo si possano reperire strutture semantiche molto generali in grado di generare i segni così come vengono manifestati. È evidente dunque come il progetto semiotico di Greimas si basi sulla distinzione, già centrale in Hjelmslev, tra immanenza e manifestazione. Se è vero che il dato immediato che ci si pone di fronte, cioè un testo realizzato (un oggetto materiale), è il livello della manifestazione, è anche vero che l’oggetto di studio della semiotica, secondo Greimas, deve essere la forma (hjelmsleviana), o la langue (saussuriana). La manifestazione presuppone logicamente una forma semiotica immanente, sia a livello di espressione sia a livello di contenuto, ed è a quel livello che la semiotica deve lavorare. In termini hjelmsleviani, il livello immanente è quello della forma, al quale sono riconducibili gli assi del linguaggio (processo e sistema): quando, parlando del processo, Hjelmslev precisava che è fondamentale l’ordine posizionale degli elementi (proprietà interna), si situava con precisione al livello immanente, prima delle possibili manifestazioni temporali e spaziali [cfr. supra, § 2.3.2]. Occuparsi del livello immanente, secondo Greimas, significa porre l’attenzione sui sistemi soggiacenti che permettono ai segni di significare. (ii) Dai segni ai testi A questa prima mossa, che ricolloca lo studio della semantica nel livello immanente dei segni, Greimas aggiunge una seconda mossa: anziché occuparsi di segni isolati, bisogna porre l’attenzione sui sistemi semiotici. Il che vale a dire che per descrivere il piano del contenuto (la semantica) occorre passare dai segni (termini isolati) ai testi, cioè a oggetti di taglio superiore. Il passaggio è determinante perché con Saussure si era parlato solo di segni linguistici, con Hjelmslev si era cominciato a ragionare sulle frasi, ma ora si passa dal frastico al transfrastico, cioè si supera il taglio della frase e si passa, appunto, a considerare ampie porzioni testuali. Questo slittamento peraltro rende conto della prospettiva specificamente semiotica di questo approccio: la nozione di testo, molto più della nozione di segno, aiuta a passare da una semantica del linguaggio naturale a una semantica dei linguaggi. Non dobbiamo più ricercare il significato di una parola, o di una forma, o di una nota, ma cerchiamo di descrivere il significato di un racconto, di un quadro (preso nel suo insieme), di una partitura, di una conversazione. 54 (iii) Il “mondo naturale” come linguaggio Al primo livello, quello dell’oggetto semiotico da analizzare, si situa anche il “mondo naturale”, che secondo Greimas deve essere inteso a tutti gli effetti come un linguaggio: “Pur ammettendo il carattere privilegiato della semiotica delle lingue naturali – dato che queste hanno la proprietà di ricevere le traduzioni delle altre semiotiche –, dobbiamo tuttavia postulare l’esistenza e la possibilità di una semiotica del mondo naturale e concepire la relazione fra i segni e i sistemi linguistici (‘naturali’), da un lato, e i segni e i sistemi di significazione del mondo naturale, dall’altro, non tanto come una referenza del simbolico al naturale, del variabile all’invariabile, quanto invece come un reticolo di correlazioni fra due livelli di realtà significante.” [Greimas 1970: 52] Questa posizione esclude una visione referenzialistica del linguaggio, nel senso che rifiuta l’idea che le lingue si applicano in modo speculare a porzioni del reale. Piuttosto ci sarebbe una correlazione fra diversi sistemi linguistici, cioè tra diversi sistemi di significazione. Seguiamo nel dettaglio la definizione dizionariale di “mondo naturale”: Intendiamo con mondo naturale l’apparenza secondo la quale l’universo si presenta all’uomo come un insieme di qualità sensibili, dotato di una determinata organizzazione che lo fa talvolta designare come il “mondo del senso comune”. Rispetto alla struttura “profonda” dell’universo, che è di ordine fisico, chimico, biologico, ecc., il mondo naturale corrisponde, per così dire, alla sua struttura “di superficie”; ma è, d’altro canto, una struttura “discorsiva”, poiché si presenta nell’ambito della relazione soggetto/oggetto, come l’“enunciato” costruito dal soggetto umano e da lui decifrabile. [Greimas e Courtés 1979: 218] L’ipotesi del mondo naturale come linguaggio dà una prospettiva nuova alla questione del referente. Se le semantiche logico-filosofiche sostengono che il significato di una parola è il suo referente (cioè l’oggetto “reale” a cui si riferisce), e il significato di un enunciato consiste nel criterio di verità,2 la teoria semiotica di Greimas considera il mondo esterno come un mondo significante fatto di “natura” e di “cultura”, non già come un referente neutro con il quale la lingua costruirebbe dei legami. Il mondo naturale in questa prospettiva è dunque fortemente culturalizzato. (iv) La vocazione scientifica della semiotica Il progetto semiotico di Greimas eredita dalla linea teorica Saussure-Hjelmslev una vocazione scientifica: tale visione si esplica nella definizione di semiotica come gerarchia di metalinguaggi. L’ipotesi di vari livelli semiotici che si presuppongono in un ordine gerarchico vede al primo livello la lingua-oggetto che deve essere 2 Per una esposizione esaustiva dei presupposti che caratterizzano le semantiche logico-filosofiche, cfr. Violi [1997: 13-30]; opp. infra, § 8.1. 55 analizzata. Al secondo livello si dispongono gli strumenti descrittivi della semiotica, e abbiamo quindi un metalinguaggio descrittivo. È proprio a questo punto che Greimas pone il problema della scientificità. Il metalinguaggio del secondo livello può essere non-scientifico, nel caso sia “naturale” come la lingua-oggetto che si incarica di descrivere. Il linguaggio della critica pittorica, per esempio, è non scientifico nella misura in cui si presenta come sottoinsieme di una lingua naturale (per es. quella italiana o quella francese). Il metalinguaggio, al contrario, è scientifico se è costruito, cioè se tutti i termini che lo compongono costituiscono un corpus coerente di definizioni.3 Perché si verifichi una situazione di questo tipo, è necessario quindi che si ponga al terzo livello un linguaggio metodologico destinato a definire le categorie descrittive e a verificarne la coesione interna. Tuttavia tale sistema di incassamento, per dirla con Greimas, deve essere “quaternario”, nel senso che deve esserci un quarto livello in cui si discute la validità delle modalità – per esempio dell’induzione e della deduzione –, e in cui si rivedono condizioni di validità della descrizione semiotica così come è stata attuata nei livelli precedenti. Quest’ultimo livello è costituito dal cosiddetto linguaggio epistemologico.4 3.4. Il percorso generativo Lavorando sul livello immanente, Greimas pensa a un sistema semantico organizzato per livelli di profondità, e tra questi livelli pone un meccanismo di generatività: si tratta insomma di pensare a elementi più profondi in grado di generare elementi più superficiali secondo regole di conversione. In questi termini la teoria greimasiana è definibile come una teoria della generazione del senso: al livello più profondo si situano elementi di tipo logicosemantico che si convertono in piani semantico-sintattici più superficiali, per poi passare, attraverso i meccanismi dell’enunciazione, al livello discorsivo: il tutto in vista della manifestazione al momento della semiosi. Questo quadro complesso è riassunto schematicamente nel Percorso Generativo: 3 La nozione di scientificità così come è esposta in Greimas [1966] è ripresa da Hjelmslev [1943], il quale prevede un complesso sistema di semiotiche e di meta-semiotiche che si presuppongono e si controllano. 4 Vedremo in seguito [cfr. infra, § 9.1.] che questa gerarchia di livelli si pone, secondo Fabbri [1998], alla base della scientificità della semiotica. In quella sede Fabbri mostra le anomalie della prassi semiotica qualora le connessioni tra i livelli non funzionassero: in quel caso Fabbri parla di “anelli mancanti”. 56 Percorso generativo Componente Sintattica Strutture semionarrative Componente Semantica livello profondo SINTASSI FONDAMENTALE livello di superficie SINTASSI NARRATIVA SEMANTICA SUPERFICIALE NARRATIVA Strutture discorsive SEMANTICA FONDAMENTALE SINTASSI DISCORSIVA SEMANTICA DISCORSIVA Discorsivizzazione Tematizzazione attorializzazione temporalizzazione spazializzazione Figurativizzazione Figura 3.2 [Greimas e Courtés 1979: 159] 3.4.1. Strutture semio-narrative: il livello profondo Al livello più profondo delle strutture semionarrative si situa il quadrato semiotico, che costituisce la struttura elementare della significazione. Il quadrato semiotico è lo schema generale delle articolazioni possibili di una categoria semantica. Il sèma “maschile”, che abbiamo preso prima come esempio, può essere identificato rispetto a due posizioni: da una parte rispetto al suo contrario (“femminile”), dall’altro rispetto alla sua negazione (“non maschile”): “Sessualità” “maschile” “femminile” “non maschile” Figura 3.3 [Marsciani e Zinna 1991: 46] 57 La forma completa del quadrato semiotico, interamente sviluppato, è la seguente: S1 non S2 S NON-S S2 non S1 Figura 3.4 L’opposizione orizzontale è detta di contrarietà, mentre l’opposizione sulla diagonale è detta di contraddittorietà. Ecco un esempio con lo sviluppo completo della categoria /sessualità/: “Uomo” “Donna” “Ermafrodita” ‘sessualità’ ‘maschile’ ‘femminile’ ‘non-femminile’ ‘non-maschile’ ‘non-sessualità’ “Angelo” Figura 3.5 [Marsciani e Zinna 1991: 49] La categoria /sessualità/ si articola nei sèmi “maschile” e “femminile” (contrari), “non-maschile” e “non-femminile” (contraddittori rispetto ai primi 58 due); la categoria si oppone altresì alla sua assenza “non-sessualità”. Nella parte esterna sono indicati alcuni sememi che possono farsi carico della manifestazione dei singoli sèmi (“uomo”, “donna”, ecc.). In quanto struttura che rende conto dell’organizzazione profonda di una categoria semantica, il quadrato semiotico porta alle estreme conseguenze il concetto saussuriano di valore,5 secondo il quale un segno può darsi solo su base oppositiva: il quadrato è di fatto una struttura differenziale, un quadro formale per la comprensione del funzionamento di una categoria semantica. Tra gli esempi forniti dallo stesso Greimas, c’è lo sviluppo in forma di quadrato della categoria delle ingiunzioni: ingiunzioni prescrizioni interdizioni non-interdizioni non-prescrizioni non-ingiunzioni Figura 3.6 [Greimas 1970: 149] Nei semafori, dice Greimas, il verde significa prescrizione, il rosso interdizione (il transito è vietato), il giallo può significare non-prescrizione (quando succede al verde), o non-interdizione (quando succede al rosso), o anche non-ingiunzioni (quando lampeggia da solo). Il quadrato delle ingiunzioni può essere investito dal punto di vista del contenuto considerando le relazioni sessuali di un gruppo umano dal punto di vista semiotico. Partendo dall’opposizione Cultura vs Natura, dove la Cultura racchiude le relazioni permesse mentre la Natura racchiude le relazioni che una società esclude, i termini del quadrato semiotico diventano i seguenti: 5 Cfr. supra, § 1.8.1. 59 Relazioni permesse (Cultura) Relazioni matrimoniali (prescritte) Relazioni “normali” (non interdette) Relazioni escluse (Natura) Relazioni “anormali” (interdette) Relazioni non matrimoniali (non prescritte) Figura 3.7 [Greimas 1970: 151] Come si può vedere, il quadrato organizza un universo concettuale e l’organizzazione dipende dalle codificazioni sociali. Se è evidente, infatti, che le relazioni matrimoniali sono quelle prescritte, più problematiche sembrano le relazioni “anormali”, all’interno delle quali possiamo mettere con sicurezza l’incesto, ma con maggiori oscillazioni l’omosessualità (sappiamo che alcune società giudicano anormale l’omosessualità, mentre altre la giudicano normale, cioè non interdetta). Ancora, alcune società giudicano “normale” l’adulterio dell’uomo e non-prescritto l’adulterio della donna. Ora, il modello rappresentato dal quadrato è semantico (semantica fondamentale), in quanto struttura una categoria semantica e rende conto dell’articolazione del senso all’interno di un micro-universo di significato (da questo punto di vista è dunque una descrizione tassonomica). È invece un modello sintattico (sintassi fondamentale) in quanto consente operazioni: la sintassi infatti opera delle trasformazioni in base alle quali un contenuto è affermato e un altro è negato. Così se da un lato abbiamo una sorta di tassonomia semica (visione statica del quadrato), dall’altro abbiamo le operazioni che un soggetto semiotico può fare su queste posizioni virtuali (visione dinamica del quadrato): negare S 1 significa generare il suo contraddittorio non-S1; affermare non-S1 può portare ad affermare S 2 sulla base di una implicazione particolare. Dal punto di vista dinamico (sintattico), il quadrato è dunque in grado di prevedere dei percorsi e delinea le condizioni embrionali della narratività. 60 Nell’elaborazione del quadrato semiotico come articolazione profonda della semantica, Greimas prende ispirazione da alcuni studi di Lévi-Strauss [1958]. Da una prospettiva strutturale che si caratterizza per la ricerca di costanti, Lévi-Strauss analizza alcuni miti e trova che essi si riproducono con gli stessi caratteri nelle diverse regioni del mondo. In particolare Lévi-Strauss si sofferma sui miti tebani (nello specifico su quello di Edipo), e ipotizza che tali racconti mettano in relazione due diverse concezioni dell’origine dell’uomo, che evidentemente coesistevano a quel tempo presso i greci: secondo la prima concezione gli esseri umani spuntarono dalla terra (origine ctonia); in base alla seconda concezione nacquero da progenitori umani. Rileggendo alla luce di questa coesistenza alcuni miti, Lévi-Strauss costruisce uno schema in cui prova a mettere in correlazione un serie sintagmatica con una paradigmatica: Cadmo cerca sua sorella Europa, rapita da Zeus Cadmo uccide il drago Gli Sparti si sterminano vicendevolmente Edipo uccide suo padre Laio Edipo sposa Giocasta, sua madre Eteocle uccide suo fratello Polinice Antigone seppellisce Polinice, suo fratello, violando il divieto Labdaco (padre di Laio) = «zoppo» Laio (padre di EEdipo immola la dipo) = «sbilenco» sfinge Edipo = «piede gonfio» Figura 3.8 [Lévi-Strauss 1958: 240] La serie sintagmatica manifesta le sequenze dei miti, mentre la serie paradigmatica raggruppa nelle stesse colonne verticali avvenimenti analoghi. Nella prima colonna i miti tebani presentano casi in cui i rapporti familiari vengono “sopravvalutati” (Edipo sposa sua madre Giocasta, Antigone sfida la morte e seppellisce suo fratello Polinice); nella seconda colonna ci sono invece i casi in cui i rapporti di parentela vengono “sottovalutati” (Edipo uccide suo padre, Eteocle uccide suo fratello, ecc.). Secondo Lévi-Strauss questi miti affermerebbero e negherebbero l’origine parentale dell’uomo. La terza colonna riguarda i mostri e la loro distruzione (Edipo annienta la Sfinge, Cadmo uccide il drago): simbolicamente vi si potrebbe leggere la negazione dell’origine dell’uomo dalla terra. Ma dalla quarta colonna si evince che una serie di personaggi mitici si caratterizzano per la loro zoppia, e questo confermerebbe l’origine ctonia dell’uomo, indicando la condizione imperfetta dell’uomo emerso dalla terra. Dice Lévi-Strauss: “Quale significato finisce dunque con l’avere il mito di Edipo così interpretato «all’americana»? Esso esprimerebbe l’impossibilità, in cui si 61 trova una società che professa di credere all’autoctonia dell’uomo […], di passare da questa teoria al riconoscimento del fatto che ciascuno di noi è realmente nato dall’unione di un uomo e di una donna. La difficoltà è insuperabile.” [ibid.: 242] Ne consegue che il mito non risolve la contraddizione che si genera dalle due concezioni sull’origine dell’uomo, ma le fa convivere mettendo in un rapporto di analogia due contraddizioni: “la sopravvalutazione della parentela di sangue sta alla sottovalutazione di quest’ultima, come lo sforzo di sfuggire all’autoctonia sta all’impossibilità di riuscirci.” [ibidem] L’ipotesi di Lévi-Strauss è che i miti si basino su contraddizioni soggiacenti e che le narrazioni mitiche servirebbero proprio a “sanare” queste contraddizioni. In altri termini, sono proprio queste contraddizioni a generare le narrazioni, i personaggi, le azioni, i drammi. Insomma, se la logica esclude le contraddizioni, l’antropologia e la semiotica sostengono che i contrari possono coesistere, e che anzi proprio questa coesistenza sarebbe alla base delle narrazioni. Greimas riprende questa idea delle polarità soggiacenti e pensa di svilupparla nell’articolazione logica del quadrato, che va a porsi al livello più profondo della semantica. 3.4.2. Strutture semio-narrative: il livello di superficie Il primo meccanismo di conversione, quello che rende conto del passaggio dal livello profondo al livello di superficie delle strutture semionarrative [cfr. il Percorso Generativo, Figura 3.2], consiste nel passaggio dall’astrazione del quadrato a una narratività antropomorfizzata. In altri termini: le relazioni logico-semantiche del quadrato e le possibili operazioni sintattiche di affermazione/negazione di valori si traducono ora in azioni e volizioni di soggetti. I valori virtuali del quadrato vengono investiti in oggetti (oggetti di valore) che possono trovarsi in congiunzione o in disgiunzione con i soggetti: di qui le dinamiche narrative per rendere conto di queste trasformazioni. La narratività è dunque la sequenza ordinata di situazioni e di azioni: è la versione “umanizzata” di quello che succedeva con il quadrato a livello profondo. Mentre lì c’erano solo delle articolazioni semiche, ora quelle articolazioni diventano valori, intervengono dei soggetti che vogliono fare delle cose, trasformare delle situazioni, ecc. È bene sottolineare fin da ora che questa è una delle idee più importanti di Greimas: il senso può essere colto solo attraverso la sua narrativizzazione. Se si accetta l’ipotesi che qualsiasi discorso è organizzato in forma narrativa, la componente narrativa diventa un universale del piano del contenuto dei linguaggi; la narratività diventa il principio organizzatore di qualsiasi tipo di discorso, dai discorsi figurativi (cioè narrativi in senso stretto), ai discorsi scientifici o filosofici. Così dalle differenze valoriali del quadrato si passa al confronto-scontro tra soggetti e oggetti con un progressivo incremento di senso. Per questa ragione Greimas ritiene fondamentale la descrizione della grammatica narrativa di superficie, e in questo prende molta ispirazione da Propp, il quale aveva prodotto un importante lavoro di analisi della fiaba russa. 62 Vladimir Propp (1895-1970), folklorista russo, nel 1928 pubblica Morfologia della fiaba, un lavoro per molti versi pionieristico in cui analizza un corpus di alcune centinaia di fiabe russe di magia alla ricerca di schemi narrativi costanti. Propp si accorge che al di là delle varianti superficiali, le fiabe di magia manifestano funzioni narrative sempre uguali: e quindi, se i personaggi e le situazioni sono numerosissime, le funzioni narrative sono invece assai limitate (Propp ne individua trentuno). Proviamo a vedere le funzioni principali che si ripetono pressoché uguali nel corpus analizzato da Propp: 1. 2. 3. 4. 5. 6. Uno dei membri della famiglia si allontana dalla casa (allontanamento); All’eroe viene fatta una proibizione (proibizione); La proibizione viene violata (violazione); Il cattivo tenta di eseguire una investigazione (investigazione); Al cattivo vengono date notizie sulla vittima (delazione); Il cattivo tenta di ingannare la sua vittima per impossessarsene o per impadronirsi dei suoi beni (perfidia); 7. La vittima cade nel tranello e aiuta involontariamente il nemico (complicità); 8. Il cattivo arreca un danno o una lesione a uno dei membri della famiglia (danneggiamento); 8a A uno dei membri della famiglia manca qualcosa; egli desidera avere qualcosa (mancanza); 9. Si verifica la sciagura o la mancanza; l’eroe riceve un ordine o un invito, viene inviato o lasciato andare (mediazione); 10. Il ricercatore acconsente o decide di reagire (reazione incipiente); 11. L’eroe abbandona la casa (partenza); 12. L’eroe viene messo alla prova (prima funzione del donatore); 13. L’eroe reagisce alle azioni del futuro donatore (reazione dell’eroe); 14. L’eroe riesce a entrare in possesso del mezzo magico (ottenimento del mezzo magico); 15. L’eroe si dirige, raggiunge o viene portato sul luogo in cui si trova l’oggetto della sua ricerca (trasferimento spaziale tra due regni); 16. L’eroe e il cattivo si battono in uno scontro diretto (lotta); 17. Imprimono un marchio all’eroe (marchiatura); 18. Il cattivo è vinto (vittoria); 19. Viene posto riparo alla sciagura iniziale o viene eliminata la mancanza iniziale (rimozione della sciagura o della mancanza); 20. L’eroe ritorna (ritorno); 21. L’eroe viene perseguitato (persecuzione); 22. L’eroe scampa alla persecuzione (salvezza); 23. L’eroe, non riconosciuto, arriva a casa o in un altro paese (arrivo in incognito); 24. Il falso eroe avanza pretese infondate (pretese infondate); 25. All’eroe viene affidato un difficile compito (compito difficile); 26. Il compito è assolto (soluzione); 27. L’eroe è riconosciuto (riconoscimento); 28. Il falso eroe o il cattivo è smascherato (smascheramento); 29. L’eroe assume un nuovo aspetto (trasfigurazione); 30. Il cattivo è punito (punizione del falso eroe); 31. L’eroe si sposa e viene proclamato re (matrimonio). 63 Nelle fiabe non sono presenti sempre tutte le funzioni, ma le sequenze vengono rispettate e questo schema funziona assai bene come impianto di base per rendere conto delle azioni standard di quei racconti. Al di là dei suoi esiti immediati, la ricerca di Propp è stata una grande lezione di metodo che pone le basi per l’analisi strutturale dei racconti. Gli strumenti della narratologia proppiana diventano così le basi per la costruzione del livello semio-narrativo (cfr. il Percorso Generativo, Figura 3.2). Alla base della grammatica narrativa di superficie si dispongono gli attanti narrativi: gli attanti sono tipi narrativi molto generali e astratti, che non vanno confusi con i personaggi della narrazione. Greimas descrive un modello attanziale di questo tipo: Destinante Æ Aiutante Æ Oggetto ↑ Soggetto Æ Destinatario ¨ Opponente Figura 3.9 La prima azione, secondo la semiotica narrativa di Greimas, consiste in una sorta di contratto: un Destinante trasmette qualcosa a un Destinatario, per esempio il mandato a compiere una certa azione. Il Destinante, pertanto, è colui che desidera lo svolgimento di una certa azione, e alla fine è colui che ne certifica il successo con la sanzione. Occorre precisare fin da subito che spesso i due ruoli sono ricoperti nei racconti dallo stesso personaggio. Tra Destinante e Destinatario c’è sempre in gioco un Oggetto, concreto o astratto che sia. L’Oggetto è anzitutto in relazione con un Soggetto per cui esso ha valore e che si batte per ottenerlo. Anche Destinatario e Soggetto sono spesso rappresentati da uno stesso personaggio. Quindi in genere all’inizio dei racconti un DestinatarioSoggetto si impegna a realizzare il volere del Destinante attraverso delle prove (contratto), e il Destinante si impegna a sua volta a retribuire il Destinatario-Soggetto con una sanzione positiva o negativa sulla base di un giudizio sul suo operato. Di solito l’impresa del Soggetto è contornata da circostanze favorevoli e/o sfavorevoli: in termini attanziali queste si traducono in aiutanti (animati o inanimati) e opponenti (anch’essi animati o animati: cioè persone che ostacolano l’azione, oppure ostacoli ambientali, meteorologici, ecc.). In una campagna elettorale un politico, in quanto Soggetto, prefigura un’impresa: quella di ottenere determinati risultati (Oggetto). Per il raggiungimento di questo scopo un politico può riferirsi a diversi mandanti (Destinanti): di solito si dichiara che siano gli elettori, ma per una 64 serie di valori specifici il mandante può essere anche, per esempio, la Chiesa. Da questo punto di vista è evidente che tra il Soggetto e il Destinante si stipula un contratto, e che il destinante alla fine del mandato elettorale potrà giudicare l’operato del Soggetto. Durante l’impresa il Soggetto-politico potrà avere degli aiutanti (la stampa, la congiuntura economica, gli intellettuali, ecc.), o degli opponenti (critiche autorevoli, attacchi personali, ecc.). I ruoli attanziali, che si collocano nelle strutture semio-narrative di superficie, vengono ricoperti nel discorso dagli attori6 . Le possibilità previste da Greimas sono le seguenti: 1): 2): 3): A1 A1 A2 A3 A1 a1 a1 a1 a2 a3 Figura 3.10 [Greimas 1983: 45] Tra l’attante e l’attore ci può essere un rapporto univoco (caso 1: l’attante del Destinante viene personificato dal re); oppure un attore può rappresentare un sincretismo di più attanti (caso 2: il re parte egli stesso per recuperare la principessa); oppure ancora una posizione attanziale può essere ricoperta da più attori (caso 3: tre eroi vanno alla ricerca della principessa scomparsa). Oltre a ricoprire un ruolo attanziale, un attore “incarna” un ruolo tematico: il ricco, il potente, il prigioniero, ecc: “Un testo narrativo è una macchina che trasforma i ruoli tematici degli attori, facendoli passare da poveri a ricchi, da prigionieri a uomini liberi, da straccioni a re. Altrettanto spesso, insieme ai ruoli tematici, il testo mette in scena la trasformazione dei ruoli patemici, mutando i personaggi da tristi a gioiosi, da calmi a ansiosi, da indifferenti a appassionati.” [Marsciani e Zinna 1991: 75] Conviene ricordare che stiamo sintetizzando il tentativo di Greimas di delineare una grammatica elementare della narratività. Siamo cioè alla ricerca di una serie di elementi ricorsivi che caratterizzano i racconti. Da questo punto di vista numerosi esempi ci vengono offerti dalle soap opera, generi televisivi strutturalmente ripetitivi, nel senso che si basano su schemi narrativi altamente standardizzati. Per esempio molte soap, proprio per prevedere lunghe e faticose trasformazioni dei ruoli tematici, mettono in scena di solito due famiglie, una di estrazione sociale bassa e una di estrazione molto alta. Quasi sempre c’è un Soggetto che si pone come scopo (quindi abbiamo un sincretismo tra Destinante e Soggetto) quello di trasformare il suo ruolo tematico, passando da una condizione disagiata a una evidentemente molto più agiata. 6 Per il livello discorsivo cfr. infra, § 3.4.3. Ora anticipiamo il discorso sugli attori al solo scopo di evitare confusione tra gli attanti, che indicano ruoli generali, e gli attori, che intervengono nelle strutture discorsive. 65 Per operare questa trasformazione, il Soggetto deve entrare in congiunzione con un Oggetto (di solito occorre sposare il rampollo della famiglia ricca), ma è chiaro che l’impresa avrà innumerevoli ostacoli, grazie all’intervento di opponenti che dilatano il raggiungimento dell’oggetto. Va da sé che la dilatazione del racconto passa attraverso continue trasformazioni patemiche in cui gli attori sono gioiosi, furibondi, allegri, appassionati, ecc. I due ruoli attanziali fondamentali, quelli del Soggetto e dell’Oggetto, si interdefiniscono reciprocamente: il Soggetto è tale solo nella relazione con l’Oggetto. Per comprendere questa interdefinizione, bisogna ricorrere alla categoria di valore: “il soggetto si congiunge con un oggetto dotato di valore, con un oggettovalore, un oggetto in cui si investe il valore semantico e narrativo che instaura il soggetto stesso come soggetto narrativo.” [Marsciani e Zinna 1991: 77] Per spiegare meglio le possibili valorizzazioni di un oggetto Greimas ricorre all’esempio dell’automobile: l’oggetto può essere acquistato in virtù di diverse possibili valorizzazioni, dalla rapidità degli spostamenti alla comodità, dal prestigio sociale al senso di potere. È importante capire questo sganciamento valoriale rispetto agli oggetti: sono anzitutto i valori a circolare e a determinare le dinamiche narrative, mentre il ruolo giocato dagli oggetti è, in definitiva, marginale. In un saggio diventato celebre Floch [1990], riflettendo sul modo in cui l’oggetto-macchina viene valorizzato negli spot pubblicitari, individua quattro tipi di valorizzazione: • la valorizzazione pratica, che corrisponde a valori “utilitari” come la maneggevolezza, il confort, la robustezza. L’oggetto viene presentato in quanto strumento: Floch riporta l’esempio di un annuncio Volvo in cui si insiste sulla sicurezza che la vettura offre a chi viaggia al suo interno. Nel caso in questione chi siede nel sedile posteriore è una bambina, e quindi è in gioco la protezione del futuro dei figli; • la valorizzazione utopica, contraria a quella pratica, che comprende valori “esistenziali” come l’identità, la vita, l’avventura. L’attenzione qui non è posta tanto sull’oggetto quanto sul soggetto che, congiungendosi con l’oggetto-macchina, intende realizzare la propria identità. Il visual di un annuncio Volkswagen preso a esempio da Floch recita: “Le vent de l’aventure”, dove il desiderio di avventura del destinatario prevale su qualsiasi altra caratteristica dell’oggetto pubblicizzato; • la valorizzazione ludica, che corrisponde alla negazione dei valori utilitari e comprende il lusso, la gratuità, la raffinatezza, la “follia”, ecc. In questo caso si considera l’oggetto a prescindere dalla sua funzionalità ma per il piacere che procura. L’annuncio BMW riportato da Floch recita: “Conduire sans motif apparent”, indicando che la conduzione della macchina può avvenire per puro piacere, senza un motivo preciso; • la valorizzazione critica, che corrisponde alla negazione dei valori “esistenziali” e comprende, per esempio, i rapporti qualità/prezzo, innovazione/costo, ecc. L’oggetto viene scelto per la sua convenienza economica: l’annuncio Wolkswagen scelto da Floch mostra un personaggio intento a usare la pompa di benzina per suicidarsi: la soluzione suggerita 66 implicitamente è quella di usare la macchina pubblicizzata, che evidentemente ha un consumo accettabile. Tali valorizzazioni vengono proiettate sul quadrato semiotico nel modo seguente: maneggevolezza confort affidabilità costi/benefici qualità/prezzo valorizzazione pratica valorizzazione utopica valori “utilitari” valori “esistenziali” valori “non esistenziali” valori “non utilitari” valorizzazione critica valorizzazione ludica vita identità cultura gratuità raffinatezza Figura 3.11 [Floch 1990: 176] Gli esempi riportati da Floch mettono bene in evidenza come l’oggetto-macchina in sé sia marginale, ma diventi appetibile nel momento in cui viene investito di una qualche valorizzazione.7 Gli oggetti valorizzati costituiscono dunque un incremento di senso rispetto al quadrato semiotico, e vanno a costituire l’area della semantica narrativa [cfr. il Percorso Generativo, Figura 3.2]: diventano così gli elementi che “scatenano” la sintassi narrativa, e infatti il Soggetto tende verso il valore che per lui è investito in un Oggetto. È in questa ricerca, in questa tensione, che consiste l’organizzazione canonica degli enunciati narrativi. La grammatica narrativa prevede due tipi di enunciati molto generali: gli enunciati di stato e gli enunciati del fare. Gli enunciati di stato stabiliscono una relazione di giunzione tra un attante Soggetto e un attante Oggetto. Le possibilità sono quindi le seguenti: S«O S»O 7 il Soggetto è congiunto con l’Oggetto il Soggetto è disgiunto dall’Oggetto Il quadrato delle valorizzazioni, secondo Floch, è efficace nella misura in cui può dare luoghi a percorsi, cioè a una sintassi narrativa: con l’analisi dello spot della Citröen BX Floch mette in evidenza il passaggio da una valorizzazione pratica (efficienza) a una valorizzazione ludica (la “follia” di un tuffo in mare con la macchina), a una valorizzazione utopica (la macchina rappresenta uno stile di vita). Sull’efficacia del quadrato di Floch, cfr. Marrone [2001: 184-187]. 67 È importante ribadire “che l’oggetto di cui si sta parlando può essere concreto (per esempio un personaggio di una narrazione che sia ricco è in congiunzione col suo denaro: S1 « Oricchezza) ma anche astratto: un personaggio infelice può essere descritto come disgiunto dalla felicità che, per esempio, aveva in precedenza: S2»Ofelicità. L’oggetto è individuato dal testo, e la sua caratteristica essenziale è di aver valore per il soggetto. Di conseguenza, si può dire che nell’ambito degli enunciati di stato oggetto e soggetto si individuino a vicenda. Il soggetto è colui per cui l’oggetto ha valore; l’oggetto è ciò che importa al soggetto.” [Volli 2000: 121] La narrazione, secondo Greimas, non è altro che una trasformazione di stati: si passa da stati di congiunzione a stati di disgiunzione e viceversa. La trasformazione opera infatti sulla relazione di giunzione tra Soggetto e Oggetto. Entriamo così negli enunciati del fare, dove un Soggetto tende a provocare la congiunzione o la disgiunzione di un Soggetto (che può essere se stesso o un altro) da un Oggetto. Ecco le due possibilità: S1 Æ (S2«O) S1 Æ (S2»O) trasformazione congiuntiva trasformazione disgiuntiva dove: S1 = soggetto del fare S2 = soggetto di stato “È intuitivo interpretare il primo caso riportato qui sopra per esempio come un dono (S1 regala O a S2) e il secondo come un furto (S1 toglie O a S2). Ma in questa maniera si possono schematizzare rapporti molto più complessi, come uno scambio [S1Æ(S2«O) e S2Æ(S1«O)] oppure il procurarsi ciò che si vuole [S1Æ(S1«O)] o ancora, l’abbandonare qualcuno [S1Æ(S2»S1)].” [ibidem] Fin qui la semiotica narrativa di Greimas si preoccupa di ampliare e approfondire l’ossatura narratologica messa a punto da Propp e da Lévi-Strauss. Ma un tale sistema, per quanto articolato nelle sue varie parti, ha dei limiti evidenti: infatti può essere applicato a testi che si basano su azioni ben chiare, dove siano reperibili stati di congiunzione e di disgiunzione; ma cosa dire di quei testi complessi in cui al centro dell’attenzione non vi sono le azioni dei personaggi ma, per esempio, conflitti interiori, riflessioni, stati cognitivi? Per dirla in altri termini: una grammatica narrativa di superficie pensata in questi termini servirebbe a capire meglio l’articolazione di una fiaba e forse de I promessi sposi, ma potrebbe poco di fronte all’Ulisse di Joyce o alla Ricerca del tempo perduto di Proust. Ma anche nel caso di testi non letterari (conversazioni, comizi, ecc.), appare evidente che l’interesse non può essere circoscritto alle azioni e alle trasformazioni narrative, essendo fondamentale ciò che fa agire e trasformare le situazioni, e cioè la dimensione cognitiva degli attanti. Secondo Greimas tale dimensione può cominciare a essere descritta ricorrendo ai verbi modali (teoria delle modalità). Se l’enunciato del fare prevede una 68 trasformazione, e dunque una performanza, ricorrendo alle lingue naturali possiamo descrivere questa situazione con la struttura modale del far-essere (l’esempio discorsivo potrebbe essere “prendere una mela”8 ). Tuttavia abbiamo detto che ci interessa ciò che fa realizzare la performanza, lo stato cognitivo che muove l’azione, e cioè la competenza. Ricorrendo alle lingue naturali possiamo descrivere la competenza con la struttura modale dell’essere del fare (l’esempio discorsivo potrebbe essere “voler prendere una mela”). La competenza è insomma quel modo di essere che ci consente di eseguire un atto. La performanza presuppone la competenza, e le due strutture modali, insieme, costituiscono quello che Greimas definisce atto pragmatico: se Eva prende la mela (performanza) è perché Eva voleva prendere la mela (competenza presupposta dall’atto). Se la performanza è il “fare che modalizza l’essere”, e la competenza è “l’essere che modalizza il fare”, restano da registrare due combinazioni possibili: “il fare che modalizza il fare”, e “l’essere che modalizza l’essere”. Il fare che modalizza il fare è una forma di manipolazione: il serpente fa in modo che Eva prenda il frutto dell’albero (l’esempio discorsivo potrebbe essere “far prendere una mela”). L’essere che modalizza l’essere è una forma di sanzione: è il momento in cui Eva, ascoltando le parole del serpente, crede che l’oggetto sia investito di potere (“credere nel potere della mela”); oppure può essere inteso come il momento in cui si giudica un certo atto. Ecco una rappresentazione sintagmatica delle quattro strutture modali: MANIPOLAZIONE far-fare SANZIONE essere dell’essere performanza cognitiva di S2 competenza cognitiva di S2 COMPETENZA di S1 essere del fare PERFORMANZA di S1 far-essere atto pragmatico Figura 3.12 [Greimas 1983: 73]9 In questi termini l’atto pragmatico è l’insieme di una competenza e di una performanza, e risulta collocato in un quadro contrattuale all’interno del quale la manipolazione e la sanzione costituiscono due momenti essenziali. Nel momento della manipolazione un Destinante (S2) fa sì che un secondo soggetto (S1) faccia un’azione. Nel momento della sanzione il Destinante giudica l’atto compiuto da S1. 8 9 Alcuni esempi che seguono sono ripresi da Marsciani e Zinna [1991]. Lo schema riporta le integrazioni di Magli e Pozzato [1983: XIII] 69 Oltre alle modalizzazioni del «fare» e dell’«essere», occorre considerare i valori modali del dovere, del volere, del sapere e del potere (surmodalizzazioni). In base a questi valori, la competenza può essere pensata come una catena orientata di modalità: dovere Æ volere Æ sapere Æ potere Un soggetto, sulla base di un contratto con un Destinante-manipolatore, deve o vuole fare qualcosa, e per questa ragione deve acquisire una competenza, il saper fare, cui può seguire un poter fare. Infine la performanza, cioè il far-essere, realizza l’azione. Pertanto si può dire che i personaggi hanno dei programmi narrativi (PN): i programmi narrativi indicano sintatticamente gli scopi e le azioni dei soggetti e possono essere espressi come enunciati di traformazione congiuntiva o disgiuntiva: PN = F[S1Æ(S2«Ov)] PN = F[S1Æ(S2»Ov)] I programmi narrativi possono essere semplici o complessi. I programmi complessi si servono di sottoprogrammi d’azione, o programmi narrativi d’uso (PNu), che si inseriscono nel programma narrativo di base (PNb) e servono, ad esempio, per l’acquisizione della competenza. Eccone un esempio schematico: PNb: [S1 (volere) Æ (S2«O1)] PNu1 O2v: (sapere) [S1Æ(S2«O2v)] PNu2 O3v: (potere) [S1Æ(S2«O3v)] Figura 3.13 [Zinna e Marsciani 1991: 100] Il programma narrativo di base, descritto nella linea superiore, include due programmi narrativi d’uso in cui il soggetto deve acquisire la competenza: in altri termini deve congiungersi con oggetti investiti di valori modali (sapere, potere, ecc.). 70 In questo senso i programmi narrativi d’uso rappresentano delle dilatazioni, delle espansioni. Dilatazioni di questo tipo giocano evidentemente sulla durata e sono in grado di creare la suspense narrativa. Scrive Volli [2000: 125]: “Insomma le modalità ci forniscono uno strumento estremamente potente per descrivere i rapporti dei personaggi del racconto non solo sul piano delle azioni, ma su quello altrettanto importante delle intenzioni, delle conoscenze, delle credenze. Non si tratta di caratterizzazioni puramente psicologiche, come si potrebbe credere ingenuamente. Fattori «psicologici» come il volere o il sapere sono in realtà parte essenziale del meccanismo narrativo e devono essere presenti perché anche il racconto più elementare e antirealistico (come per esempio una fiaba) possa svilupparsi felicemente.” C’è una fase del romanzo I tre moschettieri di Dumas in cui si manifesta una sintassi narrativa che sintetizza una chiara situazione polemico-contrattuale e che raggiunge il suo culmine nell’atto pragmatico inteso come correlazione tra competenza e performanza. Al ballo della “Caccia al Merlo” in onore del re e della regina, quest’ultima deve presentarsi con i dodici fermagli ragalatigli dal re. Il problema è che Sua Maestà Anna d’Austria ha regalato i diamanti al suo amante inglese il duca di Buckingham e l’unica soluzione consiste nel recupero dei fermagli. A questo punto si instaura una prima situazione contrattuale che vede la regina in quanto Destinante-manipolatore (S2) far sì che un secondo soggetto, D’Artagnan (S1), compia l’azione di recupero. Si tratta quindi di una manipolazione (far-fare). Abbiamo detto che l’atto pragmatico si definisce come correlazione di una competenza e di una performanza, e sappiamo anche che la sintagmatica delle modalità procede nella direzione dovere o volere Æ sapere Æ potere Æ fare (cioè competenza Æ performanza): il Programma Narrativo di base di D’Artagnan consiste nel raggiungimento dell’oggetto di valore in questione, ma egli deve far fronte a due ordini di problemi: (i) per quanto riguarda la surmodalizzazione del “poter fare”, deve ottenere un permesso speciale dal signore di Treville, comandante dei Moschettieri, operazione che richiede un sottoprogramma d’uso; (ii) deve considerare il programma narrativo dell’anti-soggetto, il cardinale Richelieu, coadiuvato dalla perfida contessa di Winter. L’operazione ha successo, nel senso che la performanza si realizza, tuttavia il Programma Narrativo di base si dilata in diverse occasioni per l’inserimento di Programmi Narrativi d’uso, e certi momenti durativi creano l’effetto di suspense, come per esempio il colloquio di D’Artagnan con Treville. 3.4.3. Strutture discorsive Le strutture discorsive [cfr. il Percorso Generativo, Fig. 2] sono meno astratte e più intuitive delle precedenti, per quanto, come le precedenti, si collochino ancora nel livello immanente. Mentre i passaggi precedenti erano denominati conversioni, il passaggio dal livello delle strutture narrative al livello delle strutture discorsive è denominato convocazione, nel senso che chi vuole produrre un discorso convoca una serie di conoscenze e capacità che gli sono offerte da repertori personali e 71 culturali, e trasforma i ruoli più o meno astratti delle strutture semio-narrative in spazi, in tempi, in attori, in temi, in figure. In altri termini, comincia la vera e propria messa-in-scena, con luoghi, personaggi, temi, in un’ottica narrativa pienamente umana. Alla base della convocazione c’è un’istanza dell’enunciazione che media tra un’enunciazione, cioè un contesto produttivo originario, e un enunciato, che quindi presuppone un’enunciazione e ne mantiene delle tracce (marche). In altri termini, chi produce un discorso (soggetto dell’enunciazione) parte da un contesto e da una serie di competenze, e proietta fuori di sé, cioè fuori dall’io-qui-ora dell’enunciazione, degli attori (non-io), dei tempi (non-ora) e degli spazi (non-qui), che sono diversi da quelli del contesto dell’enunciazione e che andranno a caratterizzare l’enunciato. Ecco perché qualsiasi enunciato presuppone un’enunciazione e nello stesso tempo ne mantiene traccia sotto forma di marche dell’enunciazione: “Ci possono essere casi in cui il soggetto dell’enunciazione viene segnalato esplicitamente (con un pronome di prima persona nella lingua, con un movimento di macchina al cinema, con la rappresentazione del pittore in una tela etc.), oppure casi in cui, viceversa, ogni traccia della produzione enunciativa viene nascosta (con l’‘egli’ linguistico, le figure di profilo in pittura, la mancanza di intrusioni d’autore in letteratura etc.), di modo che l’enunciato appare privo di ogni riferimento a chi lo ha prodotto e, dunque, interamente proiettato verso la ‘realtà’ che tende a rappresentare. Per Greimas, insomma, l’enunciazione è sempre presente nell’enunciato anche quando non è percepibile, dato che l’assenza della sua esplicitazione – segnalando, ad es. nel discorso storico, la volontà di costruire forme di ‘oggettività’ – appare ancora più significativa della sua presenza.” [Fabbri e Marrone 2001: 12] Il soggetto dell’enunciazione si costruisce, quindi, solo negativamente, poiché l’approccio semiotico ha a che fare con tutto ciò che il soggetto dell’enunciazione non è, con tutto ciò che lo presuppone, cioè con l’enunciato. Il processo attraverso il quale il soggetto dell’enunciazione proietta fuori di sé attori, spazi e tempi, è detto débrayage (letteralmente “disinnesco”). Il ritorno all’istanza dell’enunciazione è detto embrayage: è il caso di un narratore che – dopo essersi eclissato – alla fine di un racconto riemerge per offrire chiavi interpretative ai lettori; oppure è il caso di un personaggio che alla fine del film guarda nella camera riportando bruscamente lo spettatore nel contesto dell’enunciazione (finzione) filmica.10 La teoria dell’enunciazione ha avuto soprattutto il pregio di mettere in evidenza come nei testi appaiano solo i simulacri dei due poli della comunicazione: da un lato l’enunciatore empirico (in carne-e-ossa) proietta un simulacro di sé nell’enunciatore del testo (narratore), dall’altro l’enunciatario empirico è anch’esso rappresentato nel testo da un suo simulacro (narratario). Anche l’embrayage, cioè il ritorno all’istanza 10 Sull’enunciazione audiovisiva cfr. Bettetini [1984]. Per un inquadramento storico-teorico dell’enunciazione cfr. Manetti [1998]. 72 dell’enunciazione, è comunque un ritorno a un simulacro, e mai alla vera istanza dell’enunciazione. Dunque in virtù dell’enunciazione avviene la convocazione che realizza le strutture discorsive: da una parte abbiamo le procedure di spazializzazione (con l’uso di toponimi), temporalizzazione (con l’uso di crononimi), attorializzazione (con l’uso di antroponimi), cioè la definizione di luoghi, tempi e personaggi; dall’altro abbiamo la disseminazione di temi, cioè di stereotipi specifici, e di figure, cioè forme concrete della nostra esperienza percettiva. Ecco la spiegazione di Floch [1985: 55]: “Facciamo l’esempio di un percorso generativo particolare, definito dalla ricerca, da parte del soggetto, di un oggetto di valore come la ‘libertà’. Investito nel discorso e, in particolare, spazializzato, il percorso di liberazione diverrà una ‘evasione’. Da quel momento il tema diventa già meno astratto; ma lo stesso percorso potrà diventare apertamento figurativo con l’apparizione di ‘grate segate’, di ‘cavalcate’, di ‘imbarchi’, o ancora di ‘lampade meravigliose’ e di ‘tappeti volanti’. Immettere nel discorso è, quindi, anche, per investimenti semantici sempre più complessi e particolari, fare di un percorso narrativo, astratto, un percorso tematico poi un percorso figurativo.” Analogamente, il tema dello «sperpero»11 può avere vari percorsi figurativi: 1. la vita debosciata, con la rappresentazione di festini; 2. la dilapidazione per il gioco, con la rappresentazione di roulette, case da gioco, ecc.; 3. la dilapidazione per amore, con la rappresentazione di regali, capricci, ecc.; 4. l’acquisito di droga, ecc. Proviamo a fare un esempio. Supponiamo che Alexandre Dumas, nella sua casa di Parigi, nel dicembre del 1844, abbia scritto questa nota per un amico: Caro amico, ti scrivo questo soggetto da Marsiglia, dove ho trovato ispirazione per una storia d’avventure e di vendette. La storia comincia il 24 febbraio 1815. Edmondo Dantès, marinaio di Marsiglia, sta per essere nominato capitano del Pharaon e sta per sposare la bella catalana Mercedes. Ma Fernando, spasimante di Mercedes, e Danglars, compagno di bordo di Edmondo, denunciano Dantès quale agente bonapartista. Il giudice Villefort fa rinchiudere Dantès nel Castello d’If. Qui Dantès rimane per quattordici anni e conosce rocambolescamente l’abate Faria, ritenuto da tutti un folle perché dichiara di avere un tesoro nascosto. Faria muore, Dantès riesce a fuggire mettendosi nel sacco del cadavere dell’abate e liberandosi una volta in mare. Seguendo le indicazioni dell’abate Faria troverà il tesoro nell’isola di Montecristo e diventerà il ricco e potente Conte di Montecristo. La vendetta avviene a Parigi, dove il Conte di Montecristo ritrova Fernando (conte di Morcerf) e sua moglie Mercedes, il ricco banchiere Danglars e Villefort. Montecristo costringe al suicidio Morcerf, fa impazzire Villefort, e infine perdona Danglars dopo avergli fatto patire sofferenze atroci. Io sono sicuro che questa storia potrà interessare, ma non so come reagirà il pubblico di fronte alla vendetta spietata di Montecristo, che in fondo si sostituisce alla Provvidenza. Vorrei sapere che cosa ne pensi tu, che hai una così elevata sensibilità etica. 11 L’esempio è discusso in Pozzato [2001: 71]. 73 Per il momento non si consideri il fatto che ci troviamo di fronte a un testo manifestato (scrittura realizzata), perché lo stesso esempio si potrebbe immaginare realizzato con altre sostanze (pittura, cinema, ecc.). Ci si concentri invece sul livello immanente del discorso. Il primo débrayage è nelle prime due righe: chi scrive installa un simulacro dell’enunciatore e un simulacro dell’enunciatario. Tecnicamente si definisce débrayage enunciazionale, perché il testo crea un simulacro di chi scrive: però attenzione, si tratta di un simulacro, e non solo perché chi scrive non è affatto a Marsiglia, come sappiamo, bensì a Parigi; il punto da mettere a fuoco è che l’istanza linguistica (io) è sempre altra cosa rispetto all’istanza enunciazionale, cioè rispetto alla persona che realmente sta scrivendo. Nel secondo paragrafo abbiamo un débrayage che si definisce invece enunciativo, perché proietta soggetti diversi da quello dell’enunciazione e costruisce un discorso oggettivato, in terza persona: Alexandre Dumas (io), nella sua casa di Parigi (qui), nel dicembre del 1844 (ora), proietta nel discorso degli attori (non-io), con antroponimi come “Edmondo Dantès”, “Fernando”, “Mercedes”, ecc.; degli spazi (non-qui), con toponimi come “Marsiglia” e “l’isola di Montecristo”; dei tempi (non-ora), con crononimi come “24 febbraio 1815”. L’enunciato acquisisce così una sua dimensione e presuppone un atto d’enunciazione. Nel discorso si sviluppa una grammatica narrativa che vede nel livello profondo l’articolazione del valore libertà, e a livello di superficie dapprima la ricerca della libertà, che può andare a buon fine solo tramite il congiungimento del soggetto con l’oggetto-tesoro, e poi la realizzazione della vendetta (con importanti trasformazioni patemiche). Ma nel terzo paragrafo del testo abbiamo un embrayage: chi scrive ci riporta all’istanza di enunciazione intervenendo in prima persona (io), riferendosi a un pubblico, chiamando in causa il suo interlocutore (tu). L’embrayage – che presuppone sempre un débrayage – produce, evidentemente, un effetto di realtà, ma è bene sottolineare che anche in questo caso non si tratta di un ritorno all’istanza dell’enunciazione reale, bensì a dei simulacri: l’io del testo non coincide ovviamente con il Dumas in carne-e-ossa, così come il tu non è altro che un simulacro dell’interlocutore di Dumas. Il film E la nave va di Federico Fellini racconta di un gruppo di cantanti lirici che nel 1914, a bordo di un transatlantico, portano le ceneri del grande soprano Edmea Tetua da spargere in mare. Tutto il film è contornato da embrayage che mettono in luce la finzione e in tal modo riportano all’atto dell’enunciazione filmica: si vede bene che il mare è di polietilene, che il tramonto è dipinto, e i personaggi non mancano di esclamare: “sembra finto”. Alla fine del film, con un embrayage straordinario, viene inquadrato lo studio 5 di Cinecittà dove la nave è stata costruita: si vedono i martinetti idraulici che la fanno rullare realisticamente, si vedono i tecnici, i fotografi, le telecamere, e infine si vede lo stesso Fellini impegnato in una carrellata. Tutto è ricostruito in studio, insomma, e Fellini non manca di rimarcarlo, ma è evidente che l’embrayage finale non riporta al contesto reale d’enunciazione, ma a un simulacro del contesto reale, così come il regista che si vede alla fine è solo un simulacro del regista che produce l’opera. Dal punto di vista semiotico di una teoria dell’enunciazione i discorsi mettono in gioco solo simulacri, e i pronomi disseminati nei discorsi (io e tu nel linguaggio naturale, movimenti di macchina e attori che si rivolgono verso la telecamera nel linguaggio cinematografico) non coincidono mai con i soggetti dell’enunciazione. Seguendo i livelli del percorso generativo si arriva gradualmente a strutture che conosciamo meglio grazie alla nostra esperienza. Dai valori del quadrato, 74 estremamente astratti, si passa alla grammatica narrativa di superficie, e poi, in virtù dei meccanismi enunciativi, si arriva agli attori, agli spazi, ai luoghi, ai temi, alle figure. È importante infine precisare che il Percorso Generativo non è il percorso di generazione del testo da parte del suo autore, quanto piuttosto un quadro generale all’interno del quale si tenta di posizionare gli strumenti di cui dispone la teoria. In altri termini, il Percorso Generativo definisce un oggetto significante secondo il suo modo di produzione e non secondo la storia della sua creazione. “Generazione”, precisa bene Floch, si oppone così a “genesi”: “Si tratta di un’opposizione metodologica capitale: la costituzione del senso – dall’articolazione minima fino a quelle che sono riunite nel piano dell’espressione – è uno sviluppo logico, costruito a posteriori dall’analista; non è lo svolgimento temporale della sua materializzazione. La ricchezza di significazione di un’opera non ha niente a che vedere con il tempo passato per realizzarla e nemmeno per concepirla.” [Floch 1985: 48] 3.5. Le passioni e l’estesia Da diverso tempo la semiotica greimasiana sta tentando di integrare il modello narrativo espresso dal Percorso Generativo con categorie di tipo patemico ed estesico, relative cioè alle passioni e alle percezioni. Se la grammatica narrativa rende conto delle azioni, e la teoria delle modalità rende conto delle cognizioni, a una teoria semiotica testuale così concepita mancano elementi fondamentali come le emozioni, le tensioni, le disposizioni psicologiche degli attori. La semiotica comincia così ad analizzare i sentimenti e le passioni rappresentate nei discorsi. E lo fa, secondo Fabbri e Marrone [2001],12 sulla scorta di motivazioni “esterne” ed “interne”. Esternamente si registra un interesse diffuso per la problematica dell’affettività in varie discipline (economia, antropologia, sociologia, linguistica, ecc.). Internamente agli studi semiotici cresce invece la consapevolezza che la passionalità caratterizza le relazioni intersoggettive di cui sono intessute le strutture narrative. Le azioni narrative – detto in altri termini – dipendono dalla passionalità, cioè dall’essere dei soggetti, e una teoria semiotica deve rendere conto anche di questo livello. Greimas [1983] tenta anzitutto la strada dell’analisi lessematica delle passioni. Convinto che i lessemi siano spesso delle condensazioni che racchiudono strutture narrative e discorsive complesse, Greimas individua una passione lessicalizzata – per esempio la “collera” –, e servendosi delle definizioni dizionariali la “smonta” scoprendo i percorsi narrativi latenti. Infatti la “collera” è un lessema che può coprire una sequenza discorsiva costituita da situazioni statiche e azioni: l’analisi deve scomporre il lessema in unità sintagmatiche per costruire una configurazione 12 Cfr. Premessa alla Parte quarta: La dimensione passionale. 75 passionale. Le definizioni dizionariali della “collera”, in questo senso, sembrano nascondere una sequenza di questo tipo: “frustrazione” Æ “scontento” Æ “aggressività” Ma è centrale anche il concetto di delusione per un’attesa non soddisfatta, e dal punto di vista narrativo questo implica un soggetto (di stato) che ha una fiducia nei confronti di un altro soggetto (del fare): se il soggetto del fare viene meno alla fiducia che il soggetto di stato ha riposto in lui, allora l’insoddisfazione può portare all’esplosione della collera. Dal punto di vista lessicale si apre una costellazione di termini collegati: “ostilità”, “rancore”, “offesa”, “vendetta”, ecc. E dal punto di vista discorsivo si alternano stati di tensione e di distensione. L’analisi di Greimas è molto dettagliata, ma quello che ci interessa in questa sede è il procedimento metodologico, che consiste nell’“aprire” un lessema per svelarne i percorsi narrativi e discorsivi potenziali. Tuttavia le passioni non sono analizzabili solo a partire dal lessico e dall’enciclopedia, ma anche a livello della discorsività. Da questo punto di vista è interessante analizzare la produzione delle passioni nel quadro del Percorso Generativo. Nel livello più astratto delle strutture semio-narrative si situa il “motore” delle passioni, cioè le disposizioni fisiche e somatiche che generano sentimenti positivi o negativi, attrazioni o repulsioni, simpatie o antipatie e via dicendo. In termini semiotici è fondamentale l’azione della cosiddetta categoria timica, che si esprime nell’opposizione euforia/disforia e che sovradetermina altre categorie organizzate in forma di quadrato semiotico. La categoria timica è alla base dei giudizi di valore e determina atteggiamenti positivi (euforici) o negativi (disforici) rispetto a qualcosa o a qualcuno. Tecnicamente diremo che la categoria timica, esprimendo giudizi di valore, assiologizza una categoria. Ecco l’esempio che porta Volli, dove il quadrato della pulizia viene assiologizzato dalla categoria timica che rende euforico il bianco (pulizia) e disforico il nero (sporco): 76 ASSIOLOGIZZAZIONE DI UNA CATEGORIA OPPOSIZIONE TIMICA Euforia Disforia Investimento assiologico positivo Investimento assiologico negativo QUADRATO DELLA PULIZIA bianco lato dei detersivi nero lato dello sporco non nero non bianco Figura 3.14 [da Volli 2000: 132] Gli investimenti assiologici determinano le pulsioni profonde e sono quindi alla base degli effetti passionali. Come ricordano Marsciani e Pezzini [1996: XXXIII], le assiologie determinate dalla categoria timica delineano i campi di valori che caratterizzano il livello semio-narrativo di superficie (grammatica narrativa), dove le attrazioni e le repulsioni si traducono in azioni, lotte, scambi, desideri, competizioni tra soggetti e oggetti. Infine a livello discorsivo l’investimento timico del livello profondo prende corpo in configurazioni e ruoli patemici, per cui gli attori saranno felici, allegri, collerici, nostalgici, ecc. Ma è importante sottolineare come in questa prospettiva la dimensione patemica diventi la componente fondamentale di ogni tipo di discorso, nel senso che precede logicamente la costituzione dei discorsi. Dal momento che la narratività si organizza sulla base di uno schema narrativo canonico, Fontanille [1993] pensa a un percorso canonico delle passioni e mette a confronto i due schemi in questo modo: 77 Schema Narrativo Canonico contratto-manipolazione competenza performanza conseguenza sanzione Schema Passionale Canonico costituzione disposizione patemizzazione emozione moralizzazione La costituzione, dice Fontanille, è la fase nella quale il soggetto “emerge” all’interno del discorso, nel senso che “è messo nella condizione di conoscere una passione”. Il soggetto è dunque ricettivo rispetto a eventuali sollecitazioni passionali. Le analisi dei testi convergono nel rilevare, in questa fase, particolari modulazioni ritmiche e quantitative del soggetto: agitazione, rallentamento e imbarazzo sono esempi tipici di temporalità ritmica sospesa, neutralizzata rispetto a eventi che potrebbero verificarsi ma che per il momento non avvengono. E lo stile tensivo che caratterizza questa fase resta di solito invariata nelle fasi successive del percorso passionale. La disposizione, secondo Fontanille, è la fase in cui un soggetto acquisisce le determinazioni per provare una passione specifica. Mentre prima eravamo nella fase della predisposizione generica alle passioni, ora le passioni cominciano a determinarsi: per esempio il soggetto, tramite il sospetto, comincia a determinare la sua gelosia. La patemizzazione è la fase trasformatrice, è il momento in cui il soggetto capisce il suo turbamento ed è in grado di identificarlo come passione. In pratica il soggetto può dare un nome al suo stato sulla base delle codificazioni passionali della propria cultura. In questo senso la patemizzazione è anche una spiegazione retroattiva degli stati precedenti. L’emozione, sottolinea Fontanille, ci riconduce all’individuo e al suo corpo: “ S e infatti la costituzione, con la sua temporalità musicale e ritmica e le sue proprietà tensive, concerneva essenzialmente la componente propriocettiva, la disposizione e la patemizzazione lasciavano in apparenza in pace il corpo del soggetto; ecco allora che con l’emozione quest’ultimo ricompare: sussulto, trasposto, fremito, tremore, convulsione, sobbalzo, turbamento e così via – tutte queste passioni manifestano, grazie a una reazione somatica vissuta dal soggetto e osservabile dall’esterno, la conseguenza timica della trasformazione passionale e più in particolare il carattere sopportabile o insopportabile, atteso o inatteso di tale conseguenza per il corpo del soggetto.” [Fontanille 1993: 259] La moralizzazione conclude il percorso passionale: il soggetto valuta le fasi del percorso passionale sia sulla base della cultura nella quale è inserito sia a titolo personale, in quanto egli stesso è implicato nella scena passionale. È il momento in cui si valuta se si è stati troppo irruenti, troppo impulsivi, troppo vanitosi, troppo 78 generosi, ecc. È essenziale, ricorda Fontanille, che ci sia una regolamentazione individuale e sociale degli stili tensivi, delle competenze e delle manifestazioni passionali. Come abbiamo visto la semiotica delle passioni, indagando le radici dell’affettività, ha cominciato a considerare la corporeità come un elemento basilare della significazione: in questo senso si collega a una semiotica dell’estesia, un paradigma che tenta di ricollocare la dimensione sensoriale e somatica all’interno del modello teorico del Percorso Generativo. L’ipotesi di partenza è che il senso sia legato ai sensi, che la significazione sia legata alle dinamiche della percezione, e che quindi si debba ripensare semioticamente il rapporto soggetto-mondo. Da questo punto di vista il testo di Greimas Dell’imperfezione, del 1987, segna una svolta teorica: proprio per l’attenzione che egli pone agli aspetti estesici, ovvero percettivi, dell’esperienza estetica. In brani letterari di Calvino, Tournier, Rilke, Tanizaki e Cortázar, Greimas analizza descrizioni che mettono in evidenza la presa estetica, cioè una messa in relazione percettiva tra soggetto e oggetto. Il Robinson di Michel Tournier, di fronte a una goccia d’acqua che rimane sospesa quasi a “invertire il corso del tempo”, vacilla come a causa di un abbaglio, e addirittura riesce a immaginare “un’altra isola dietro quella dove soffriva in solitudine, più fresca, più calda, più fraterna”. Quella che si verifica, secondo Greimas, è una presa estetica eccezionale, cioè una relazione particolare tra soggetto e oggetto di valore. In seguito il soggetto può ricostruire l’accaduto e provare nostalgia per quell’effetto percettivo durato un tempo non quantificabile: “Il susseguirsi della quotidianità, l’attesa, la rottura di isotopia come frattura, il vacillare del soggetto, lo statuto particolare dell’oggetto, la relazione sensoriale tra i due, l’unicità dell’esperienza, la speranza di una congiunzione totale futura – sono questi alcuni degli elementi costitutivi della presa estetica che ci ha rivelato il testo di Michel Tournier.” [Greimas 1987: 17] Il signor Palomar di Italo Calvino, passeggiando lungo una spiaggia deserta, vede una fanciulla distesa sulla sabbia che prende il sole a seno nudo. Secondo Greimas, in questo passaggio si rivela la presa estetica: “Si volta e ritorna sui suoi passi. Ora, nel far scorrere il suo sguardo sulla spiaggia con oggettività imparziale, fa in modo che, appena il petto della donna entra nel suo campo visivo, si noti una discontinuità, uno scarto, quasi un guizzo. Lo sguardo avanza fino a sfiorare la pelle tesa, si ritrae, come apprezzando con un lieve trasalimento la diversa consistenza della visione e lo speciale valore che essa acquista, e per un momento si tiene a mezz’aria, descrivendo una curva che accompagna il rilievo del seno da una certa distanza, elusivamente ma anche protettivamente, per poi riprendere il suo corso come niente fosse stato.” L’aspetto interessante di questo effetto estetico è che l’oggetto si impone per la sua “pregnanza” e la presa estetica è quasi il risultato di un “volere reciproco di congiunzione”, un “incontro a metà strada del soggetto con l’oggetto”. Non solo: la facoltà visiva – più razionale – sfocia nella tattilità (“fino a sfiorare la pelle tesa”), cioè in un livello più profondo della sensorialità. Ecco come Greimas definisce il fenomeno della presa estetica: “Ad un tratto accade qualcosa, non sappiamo cos’è: né bello, né buono, né vero, ma tutte queste cose insieme. E neppur questo: accade un’altra cosa. Cognitivamente inafferrabile, 79 questa frattura della vita quotidiana è suscettibile, a posteriori, di ogni tipo di interpretazione: crediamo di ritrovarvi l’attesa inaspettata che l’aveva preceduta, o di riconoscere la madeleine che rinvia alle sorgenti immemoriali dell’essere; essa fa nascere la speranza di una vita vera, di una fusione totale del soggetto e dell’oggetto. Insieme al sapore dell’eternità ci lascia un fondo d’imperfezione.” [ibid.: 52] L’importanza del testo di Greimas è riassunta in questo modo da Pozzato: “le riflessioni di Greimas sul livello estetico-estesico sono state di grande importanza poiché hanno segnato l’ingresso nella semiotica testuale delle ‘zone basse’ della coscienza (emozioni, tensioni, propensioni) il cui carattere è essenzialmente graduale, continuo, modulare, quanto i programmi narrativi e le modalità sono invece di ordine categoriale e pertanto organizzati in strutture logiche di tipo oppositivo.” [Pozzato 2001: 170] Con la “rivoluzione estesica”, secondo Fabbri e Marrone [2001],13 si è cominciato a pensare che le componenti sensoriali come l’udito, l’odorato, il gusto, il tatto, contribuiscono in qualche misura alla costruzione della semantica dei testi. In questa prospettiva, occorre ribadirlo, è centrale il corpo in quanto oggetto del mondo e punto di vista sul mondo, in quanto esteriorità e interiorità, luogo del “timismo profondo” dove si generano le attrazioni e le repulsioni rispetto a se stessi e rispetto agli oggetti del mondo. Grazie alla mediazione del corpo avviene la traduzione reciproca tra processi cognitivi e stati di cose, tra mente e mondo.14 3.6. Riepilogo Negli anni Sessanta l’idea di Greimas è che – sulla scorta di Hjelmslev – si possa descrivere il piano del contenuto dei linguaggi trovando delle unità minimali. Le figure del contenuto di Hjelmslev diventano, nella terminologia di Greimas, i sèmi. Lo stadio successivo della riflessione di Greimas porta all’elaborazione di un progetto semiotico più ampio che prevede (1) il passaggio dalla considerazione dei segni alla considerazione dei sistemi semiotici (testi), (2) la considerazione del livello immanente dei testi, cioè le strutture soggiacenti che caratterizzano i sistemi e i processi della significazione. Il piano del contenuto dei linguaggi diventa così un sistema pensato a strati, in cui dal livello più profondo e astratto, tramite meccanismi di conversione, si arriva a un livello più superficiale e concreto in virtù di un continuo incremento di senso. Il livello più profondo è costituito dal quadrato semiotico, che rappresenta la base per lo sviluppo di una grammatica narrativa del livello di superficie (attanti, enunciati narrativi, modalità, ecc.). Da lì si arriva alle strutture discorsive, che manifestano la messa in scena del senso. Infine, al livello della manifestazione, ci sono le strutture testuali. 13 14 Cfr. Premessa alla Parte quinta: Estetica ed estesia. Sulla corporeità in semiotica cfr. infra, § 5.2.1. 80 Il Percorso Generativo di Greimas si fonda sull’ipotesi per la quale il senso può essere colto solo attraverso la sua narrativizzazione: in questo modo la narratività diventa il principio ordinatore di tutti i linguaggi e di tutti i discorsi: linguaggi naturali, visivi, musicali, discorsi verbali, non verbali, testi narrativi, giuridici, scientifici, ecc. Di recente il progetto di ricerca greimasiano si è sviluppato tentando di integrare categorie patemiche ed estesiche. Dal un lato, con la semiotica delle passioni, si ritiene importante analizzare il ruolo che le emozioni e gli stati psicologici hanno nei testi; dall’altro, con la semiotica dell’estesia, si tenta di reintegrare le componenti sensoriali e somatiche – quindi percettive – all’interno del Percorso Generativo.
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