Andrea Palladio e la civiltà della villa veneta
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Andrea Palladio e la civiltà della villa veneta
n° 318 - gennaio 2005 © Tutti i diritti sono riservati Fondazione Internazionale Menarini - è vietata la riproduzione anche parziale dei testi e delle fotografie Direttore Responsabile Lucia Aleotti - Redazione, corrispondenza: «Minuti» Via Sette Santi n.1 - 50131 Firenze - www.fondazione-menarini.it Andrea Palladio e la civiltà della villa veneta La mostra che si terrà a Vicenza dal 5 marzo al 3 luglio presso il palazzo Barbaran da Porto, sede del Centro Internazionale di Studi di Architettura “Andrea Palladio”, rappresenterà un viaggio affascinante attraverso trecento opere provenienti da tutto il mondo, fra le quali spiccheranno dipinti di Veronese, Tiziano, Tiepolo, Guercino, Jacopo Bassano, e disegni di Raffaello, Giulio Romano, Baldassarre Peruzzi, Palladio, Tiepolo e Canaletto. Accanto a dipinti e disegni, mappe, modelli architettonici antichi o realizzati appositamente, costituiranno un’introduzione a quello che fu un mondo complesso e articolato, fornendo gli elementi per meglio comprenderlo e valutarne non solo l’importanza dal punto di vista architettonico ed artistico, ma anche il ruolo socio-politico nell’assetto globale del territorio della Serenissima. Se il concetto della “vita in villa” sul modello della civiltà romana antica, rinato con Francesco Petrarca come ideale letterario, si sviluppò nella Firenze quattrocentesca del Magnifico e portò a diverse realizzazioni innovative nella Roma di Raffaello e Bramante, la civiltà delle ville venete rappresentò qualcosa di molto più complesso, un fenomeno prima di tutto sociale, oltre che artistico, iniziato nel Cinquecento e destinato ad avere profonda influenza per più di due secoli nel tessuto del territorio in cui si sviluppò. Per valutarne la portata, basti ricordare che le ville censite in Veneto e Friuli sono ancora oggi oltre 4.000, e che il 90% dei comuni del Veneto ne ospita almeno una: la villa - intesa non solo come dimora, ma nel senso più ampio di complesso comprendente anche tutti gli annessi agricoli - costituì un elemento chiave nella organizzazione politica ed economica della Repubblica veneziana, svolgendo un ruolo essenziale nella storia del territorio come struttura fondiaria, proprietaria e produttiva. L’attività di Andrea di Pietro detto il Palladio, nato a Padova nel 1508, si identifica con il periodo aureo della civiltà delle ville, che si affermava e rafforzava in virtù delle capacità produttive di una terra adatta alla coltivazione di cereali e vite e alla produzione della seta; la vita in campagna era anche considerata dall’aristocrazia veneziana più salubre di quella cittadina, specie nei mesi caldi, quando il centro di Venezia era colpito da frequenti epidemie e assediato dalle zanzare. Il giovane Andrea, che aveva iniziato l’attività con un periodo di apprendistato a Padova, seguito dalla collaborazione presso la bottega vicentina degli scalpellini Girolamo Pittoni e Giovanni da Porlezza, fu notato e apprezzato per le sue capacità tecniche da Gian Giorgio Tris- A. Palladio: Villa Barbaro - Maser (Treviso) sino, personaggio fra i più eminenti di Vicenza, umanista letterato e diplomatico. Grazie al Trissino, al quale dovette il soprannome di Palladio, Andrea riceveva dal 1540 le prime commissioni come progettista e costruttore; contemporaneamente, accanto all’attività pratica, coltivava lo studio degli esempi antichi in una serie di viaggi a Roma, Verona, Pola, Nimes. Oltre all’intensa attività per l’aristocrazia vicentina e veneziana, Palladio riceveva nel 1549 l’incarico di realizzare il più importante edificio del suo tempo per la città di Vicenza, le logge attorno al gotico Palazzo della Ragione, commissione che segnava la definitiva consacrazione della sua fama. L’ultimo viaggio a Roma, dove nel 1554 diede alle stampe la guida Le antichità di Roma, lo intraprese in compagnia di Daniele Barbaro, patriarca di Aquileia che si era dedicato alla traduzione in volgare del trattato di architettura di Vitruvio e che trovava in Palladio il supporto delle competenze tecniche per Paolo Veronese: Sala dell’Olimpo e crociera (particolari degli affreschi) Villa Barbaro, Maser (Treviso) pag. 2 verificare e chiarire i passi più difficili del testo latino. Fu proprio per i due fratelli Barbaro, il patriarca Daniele e Marco Antonio, ambasciatore della Serenissima, che poco più tardi Palladio progettava la villa di Maser. Nel secondo dei Quattro libri dell’architettura, pubblicato a Venezia nel 1570, Palladio inserisce la pianta e un’incisione della facciata principale della villa, descrivendo con dovizia di particolari l’edificio e le sue pertinenze, seguendo il percorso dell’acqua che scende giù dalla collina retrostante, forma un laghetto usato come peschiera, scorre nella cucina, irriga i giardini e riempie gli abbeveratoi per il bestiame, finendo poi con l’irrigare il frutteto. Appare qui evidente come il rapporto dell’edificio padronale con le attività proprie della fattoria fosse strettissimo, un legame indissolubile sottolineato dal fatto che l’architetto progettava tutto il complesso, e non solo l’abitazione del proprietario: nella villa Barbaro il corpo centrale - residenziale - si unisce senza soluzione di continuità alle barchesse laterali, destinate a contenere gli attrezzi agricoli e il raccolto di granaglie (il termine viene da barco, unità di misura dei carichi di cereali), adottando una soluzione comune a molti altri analoghi complessi dell’epoca. La villa vera e propria, cuore dell’azienda agricola, costituiva il simbolo del potere della famiglia del proprietario ed era destinata a funzioni di rappresentanza, essendo un punto di riferimento per conoscenti e personaggi eminenti che viaggiavano nella regione. Nella sua pur accurata descrizione di villa Barbaro, Palladio omette di citare Paolo Veronese, autore degli affreschi che ornano le sale della residenza, tanto da far ipotizzare agli studiosi che l’intervento del pittore abbia travalicato il compito della pura decorazione degli ambienti interni e si sia spinto ad interferire con il progetto palladiano, forse fino a modificare l’assetto originario della facciata, alzando la finestra centrale del piano superiore tanto spezzare la base del timpano di coronamento: una soluzione “anticlassica” del tutto originale, che non ha riscontro nelle altre realizzazioni palladiane. Il gioco-contrasto tra razionale circoscrizione degli spazi secondo principi ispirati alla classicità e illusionismo manieristico nella decorazione delle superfici connota tutto il ciclo di affreschi, uno dei più alti esempi della pittura di Veronese. Le architetture dipinte si fanno negazione di quelle reali, “sfondate” in ampie visioni paesaggistiche del territorio circostante, in cui è raffigurata anche la stessa villa all’interno della quale si trova l’osservatore. Le “illusioni” pittoriche costituiscono il filo conduttore di tutto l’apparato decorativo, nel quale compaiono personaggi a grandezza naturale in atto di uscire da porte trompe-l’oeil o affacciati da balaustre e balconi affrescati. Ciò che l’architetto ha delimitato e circoscritto nettamente, il pittore espande al di là della barriera delle pareti, in una dimensione fantastica libera dai vincoli della “misura” palladiana, così come il finestrone sulla facciata che deborda incon- A. Palladio: Villa Emo - Fanzolo (Treviso) tenibile oltre il limite prescritto dal timpano appare spalancarsi verso sfrenate fantasie manieristiche. Uno degli esempi più significativi della progettazione palladiana di villafattoria, interamente realizzato sotto la guida dell’architetto, è rappresentato da villa Emo a Fanzolo, costruita intorno al 1560. Il complesso, giunto fino a noi nella sua integrità, dispiega ai lati dell’edificio padronale - preceduto da un pronao a quattro colonne doriche che sorreggono il timpano con lo stemma degli Emo - due lunghe barchesse, aperte in undici archi ciascuna e concluse dalle torricelle delle colombare. La decorazione delle sale all’interno, opera del veneziano Giovan Battista Zelotti, fu eseguita intorno al 1565 e viene ricordata da Palladio nella descrizione della villa contenuta nei Quattro libri. Nella realizzazione di Villa Emo, Palla- pag. 3 dio raggiunge una mirabile sintesi di forma e funzione, associando l’ideale petrarchesco della vita in villa e le forme di derivazione classica con le necessità della produzione agricola. La più celebre fra le ville palladiane, Villa Almerico Capra Valmarana, detta la Rotonda, si distacca dalla tipologia della villa-fattoria di campagna per assumere l’aspetto monumentale di un fabbricato suburbano destinato a funzioni di rappresentanza; già altre ville edificate in anni precedenti rispondevano ad esigenze di questo genere, in virtù delle quali Palladio aveva ad esempio allontanato le barchesse dall’edificio padronale, ponendole a debita distanza. Questo mutamento funzionale e concettuale avrebbe determinato l’evoluzione della villa verso soluzioni sempre più monumentali e scenografiche fino alla costruzione di vere e proprie regge, la più famosa delle quali, Villa Pisani a Strà, verrà edificata nel Settecento. L’impianto della Rotonda è però unico non solo nel percorso creativo di Palladio ma in assoluto, dotata com’è di quattro facciate uguali, ciascuna delle quali si protende con un pronao a sei colonne verso il paesaggio circostante; l’architetto stesso offre nei Quattro libri una descrizione dell’edificio che rende ragione della sua originale struttura: «Onde perché gode da ogni parte di bellissime viste, delle quali alcune sono terminate, alcune più lontane, & altre che terminano con l’Orizzonte; vi sono state fatte le loggie in tutte quattro le faccie». Tutto l’edificio ruota in torno alla sala centrale, circolare, dalla quale si dipartono quattro corridoi che si concludono nelle logge, così che dal centro della sala è possibile avere la contemporanea visione del paesaggio da ogni lato, resa più ariosa dalla posizione soprelevata della costruzione rispetto alla campagna circostante. Commissionato nel 1566 da Paolo Almerico, un alto prelato che dopo una brillante carriera alla corte papale si era ritirato nella città di origine, l’edificio ha una pianta perfettamente simmetrica in tutti i suoi lati ed è dominato dalla cupola che sovrasta la sala circolare centrale e che è all’origine del nome popolare di Rotonda, che condivide con il Pantheon di Roma. L’architettura dei templi dell’antichità appare qui aver fornito il principio ispiratore più che in ogni altra costruzione civile di Palladio, e questo risulta ancora più evidente nel progetto pubblicato nei Quattro libri, dove la sala centrale è coronata da una cupola semisferica che non fu poi realizzata. Intorno al 1571 la costruzione della villa era compiuta, mentre la decorazione con affreschi e stucchi fu condotta in epoca successiva, dopo la morte di Palladio avvenuta nel 1580, e niente aggiunse al mirabile dialogo fra la costruzione - splendida, nella sua ambigua identità fra sacro e profano - e il paesaggio circostante, che tanto ha colpito e continua a incantare i visitatori. Scrisse Goethe nel suo Viaggio in Italia : «L’architetto forse non ha mai creato nulla di più lussuoso. Lo spazio oc- A. Palladio: Villa Capra - Vicenza; Veduta di una facciata e prospetti dai Quattro libri cupato dalle scalinate e dai vestiboli è molto maggiore di quello della casa stessa; ciascuno dei lati, infatti, potrebbe figurare come il prospetto di un tempio [...] E così come l’edificio si offre in tutta la sua magnificenza da qualunque punto lo si guardi, altrettanto incantevole è il panorama che si gode da esso». La villa-fattoria è una realtà molto lontana dal molteplice aspetto di questa dimora-tempio-monumento, eretta a glorificazione di colui che l’aveva commissionata e del geniale artefice che l’aveva concepita; la Rotonda sarebbe divenuto il punto di partenza del palladianesimo, destinato a percorrere una lunga strada e a dare notevoli frutti nell’Inghilterra del Seicento - con il classicismo palladiano rappresentato dall’architetto Inigo Jones e del Settecento, con la pubblicazione dei tre volumi del Vitruvius Britannicus ad opera dell’architetto Colen Campbell, per il quale la Rotonda continuava a costituire l’inimitabile modello di riferimento. donata brugioni
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