extra ecclesiam nulla salus
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extra ecclesiam nulla salus
Provenienza del testo: rivista Servitium, n. 30/1978 «extra ecclesiam nulla salus» una rilettura storico - critica Voglio subito precisare lo spirito che mi muove in questa ricerca storica: non la preoccupazione di salvare ad ogni costo una formula e, dietro di essa e con essa, salvare la credibilità della chiesa mi sta a cuore. Non mi fa difficoltà il pensare che le formulazioni dottrinali siano talmente storiche da poter essere completamente ribaltate. Non intendo quindi adeguarmi a quegli sforzi machiavellistici tesi a salvare la lettera delle formule anche quando il loro contenuto risulta completamente cambiato.1 D'altra parte non mi sembra possibile liquidare completamente un passato dicendo che si è sbagliato e che ora la si pensa diversamente. La storia, anche quella della chiesa, non è né completamente giusta né completamente sbagliata, ma è appunto storia, ossia sforzo di cercare la verità dentro ai condizionamenti del proprio tempo e della propria società, sforzo fatto di tante luci e di tante ombre. Spesso allora nelle formulazioni sbagliate c'è una verità nascosta e una testimonianza profonda di fede, come del resto spesso nelle formulazioni giuste c'è uno spirito che non cerca la verità ma la vuole piuttosto coprire e nascondere. L'onestà intellettuale vuole che riconosciamo le cose come stanno senza mezzi termini; la coscienza storica vuole però che ascoltiamo un soggetto determinato collocandolo nel suo ambiente e dandogli credito e la fede vuole che pensiamo i nostri predecessori dentro un piano di salvezza che li portava a Dio, unica e comune verità. Intendo allora pormi su una linea ugualmente distante dai due estremi accennati, una linea che rende ragione della storicità dei 'dogmi' e rende ragione, soprattutto, della mia storicità che diventa coscienza di debolezza, bisogno di dialogo, repulsione per il dogmatismo di ieri e anche per quello di oggi. 1 la riflessione giudaico-cristiana La formula Extra ecclesiam nulla salus affonda le sue ultime radici nel pensiero tardo-giudaico. La teologia che si sviluppa in questi ambienti vede nella salvezza del solo Noè con la sua arca, in mezzo alla catastrofe di tutto il resto dell'umanità, un simbolo della salvezza del santo resto di Israele. Il libro della Sapienza, rifacendo tutta la storia di Israele, dice: La sapienza di nuovo la (terra) salvò pilotando il giusto e per mezzo di un semplice legno (10, 4). E poco più oltre in un inno di lode aggiunge: Anche in principio, mentre perivano giganti superbi, la speranza del mondo, rifugiatasi in una barca e guidata per mano da te, conservò al mondo la semenza di nuove generazioni (14, 6). Lo sguardo sembra muoversi in un ampio giro universale, ma la tesi fondamentale del libro sta nell'affermare con forza che solo aderendo alla sapienza ci si può salvare. Ora questa sapienza si è fatta presente nel popolo di Israele. Un poema sapienziale presente nel libro di Baruch, più o meno dello stesso tempo rispetto al libro della sapienza, dopo essersi ripetutamente chiesto a chi è stata data la sapienza conclude: Egli (Dio) ha scrutato tutta la via della sapienza e ne ha fatto dono a Giacobbe suo servo, a Israele suo diletto. Per questo è apparsa sulla terra e ha vissuto fra gli uomini... Ritorna Giacobbe, e accoglila, cammina allo splendore della sua luce. Non dare ad altri la tua gloria, né i tuoi privilegi a gente straniera. Beati noi, o Israele, perché ciò che piace a Dio ci è stato rivelato (3, 37-4, 4). L'universalismo ebraico è inteso unicamente nel senso che gli altri popoli si uniscono a Israele, e questo anche presso i grandi profeti (si veda Is 60, 1 ss.). La prima epistola di Pietro riprende l'immagine dell'arca di Noè e l'applica alla comunità cristiana: E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attende-vano in prigione; essi avevano un tempo rifiutato di credere quando la magnanimità di Dio pazientava nei giorni di Noè, mentre si fabbricava l'arca, nella quale poche persone, otto in tutto, furono salvate per mezzo dell'acqua. Figura questa del battesimo, che ora salva voi (3, 19-21). Il ragionamento contenuto in questa lettera sembra essere: l'acqua del diluvio, che permise solo a qualcuno di salvarsi, simboleggia l'economia dell'antica legge, le cui prescrizioni rituali ottenevano molto spesso solo una purificazione esteriore (deposizione di sporcizia del corpo, come dice il seguito del testo 2 riferito). Al contrario non vi sono limiti alla efficacia del battesimo che opera la rigenerazione dell'anima (invocazione di salvezza rivolta a Dio). I padri della chiesa riprenderanno ampiamente questo passaggio della prima lettera di Pietro, e l'arca di Noè diventerà subito l'immagine della chiesa che attraverso un mare burrascoso. Bisogna però notare che l'autore della lettera citata gioca sulla simbologia dell'acqua più che sull'immagine dell'arca e sembra sviluppare una contrapposizione sia qualitativa (mentre l'acqua antica puliva il corpo, l'acqua del battesimo è pegno di salvezza), sia quantitativa (al tempo di Noè l'acqua salvò solo otto persone, ora l'acqua del battesimo può salvare tutti), anche se quest'ultima contrapposizione non è completamente sviluppata e non è accettata da tutti. Tuttavia essa sembra imporsi, poiché il contesto generale che la regge è la potenza salvifica di Cristo risorto e glorificato (1 Pt 3, 22) che raggiunge perfino gli spiriti dei trapassati. Il passo citato, contrariamente a come verrà poi ripreso, testimonia l'universalità della salvezza portata da Cristo. 2 Non mi è possibile entrare anche solo minimamente in un'analisi del nuovo testamento sulla universalità della salvezza. Voglio solo citare due passi, che saranno molto spesso ripresi lungo la storia della chiesa a sostegno dell'extra ecclesiam nulla salus. Il primo è quello che si trova nella seconda conclusione del vangelo di Marco: Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato (16, 16). Il binomio salvezza/condanna indica la radicalità escatologica in cui ogni uomo è messo: la sorte dell'uomo dipende in definitiva dal suo modo di collocarsi di fronte a Gesù Cristo. L'annuncio della buona novella porterà o la vita o la morte agli uomini, a seconda della loro risposta di fede o di incredulità. Il binomio fede/battesimo non indica un credere in correlazione con un aderire a una istituzione storica quale la chiesa, ma indica un credere che diventa concreto e che si traduce nella prassi. « Come in Mt. 28, 16-20, si parla di battesimo; ma ancora più chiaramente che in quel passo, qui esso è inteso come espressione o per lo meno indicazione della fede, e nella forma negativa è menzionata solo l'incredulità, non la mancanza del battesimo, come motivo della condanna ».3 Il secondo passo è quello degli Atti: In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati (4, 12). Qui viene indicata la ragione vera e profonda della pretesa di universalità del cristianesimo, ma questa pretesa viene anche precisata nel suo vero contenuto: la fede cristiana ritiene che la sorte di tutti gli uomini dipenda dalla persona di Gesù Cristo; nessun uomo si può salvare a prescindere da Gesù Cristo. E' però una fatale ambiguità — non senza naturalmente una qualche giustificazione — 3 passare da questa proposizione all'altra extra ecclesiam nulla salus: si tratta di piani diversi che non possono essere confusi. Se vogliamo allora tirare alcune indicazione da questo primo segmento storico possiamo dire: - - - la formula Extra ecclesiam nulla salus ha una sua preistoria nella teologia tardo-giudaica e si rifà alla simbologia dell'arca di Noè (Gn 7-8); la verità contenuta in questa formula non trapassa negli scritti del nuovo testamento, si può anzi dire che la riflessione centrale di questi testi nega la necessità di una istituzione religiosa o la necessità di appartenere a un popolo determinato; di contro il nuovo testamento pone la persona di Gesù come il luogo unico ed universale di salvezza, luogo aperto a tutti gli uomini e senza del quale nessuno si può salvare. Mi rendo conto che queste conclusioni non sono state provate, esse vengono qui anticipate come punti da cui intendo partire per la ricostruzione storica della formula che stiamo studiando. i primi tre secoli della chiesa Sant'Ignazio in viaggio verso Roma, esattamente a Troade, scrisse una lettera alla comunità di Filadelfia. Questa lettera vuole avvertire i cristiani a tenersi lontani dagli 'scismatici' e in questo con-testo Ignazio scrive: Tutti quelli che sono di Dio e di Gesù Cristo sono con il vescovo. Abbiamo dunque uno stretto collegamento tra l'essere in comunione con Dio e l'essere con il vescovo e quindi dentro la chiesa. Il senso profondo del pensiero di Ignazio si chiarisce subito dopo quando aggiunge: Non lasciatevi trarre in inganno fratelli miei, se qualcuno segue lo scismatico non ottiene l'eredità del regno divino.4 Non c'è dunque salvezza per colui che abbandona la comunità, per lo scismatico. Qualche decina di anni dopo Ireneo nell'Adversus haereses esprime un pensiero analogo a quello di Ignazio e ugualmente destinato a stimmatizzare coloro che si separano dalla chiesa. Egli dice: Dove c’è la chiesa qui c’è lo spirito di Dio, e dove c’è lo spirito di Dio qui c’è la chiesa e tutta la grazia. 4 Coloro che si separano dalla chiesa abbandonano la fonte della vita per bere un'acqua putrida che li porta alla morte, e non possono partecipare alla salvezza portata da Cristo.5 Sul finire del secondo secolo Clemente Alessandrino nel primo libro del Pedagogo, in un passo dove esalta le meraviglie della redenzione, vista come seconda grande creazione, scrive: Come infatti la sua (di Dio) volontà è opera, e questo si chiama mondo, così anche la sua intenzione è la salvezza degli uomini, e questo si chiama chiesa. 6 La salvezza degli uomini si attualizza nella chiesa. Il contesto però non ha minimamente un sapore negativo, ma è invece una lode a Dio che vuole la salvezza degli uomini. Partendo da questi testi la formula Extra ecclesiam nulla salus compare molto chiaramente nel terzo secolo quasi contemporanea-mente in oriente (Origene) e in occidente (Cipriano). Nelle sue omelie a commento del libro di Giosuè, Origene di fronte all'episodio della prostituta Rakhab la cui casa viene risparmiata perché aveva ospitato e nascosto gli esploratori ebrei (Gs 2, 1-21 e 6, 22-26), vede in questa casa l'immagine stessa della chiesa e scrive: Se qualcuno dunque vuole essere salvato venga in questa casa, nella casa di costei che un tempo fu una prostituta. Se qualcuno di quel popolo (giudaico) vuole essere salvato venga in questa casa per ottenere la salvezza. Al di fuori di questa casa, ossia al di fuori della chiesa, nessuno si salva.7 L'intento di Origene è chiaro: egli vuole fare una parenesi ai giudei « ai quali dice: non ingannatevi; voi credete di avere l'antico testamento e che questo vi basti. In realtà avete bisogno anche voi del sangue di Cristo. Anche per voi la sede insostituibile della salvezza è la casa della prostituta disprezzata, piena di idoli e di orrori, la chiesa venuta dai pagani, che attraverso il sangue di Cristo è divenuta sposa. Origene non vuole quindi assolutamente sviluppare una teoria sulla salvezza del mondo e sulla condanna dei non cristiani... E non è il caso di sottolineare ancora che Origene stesso, il quale poté invitare gli uomini alla chiesa con tanta drammaticità, era ben lontano da una teoria sulla perdizione della maggior parte dell'umanità ».8 L'immagine dell'arca di Noè ritorna in una lettera di Firmiliano, vescovo di Cesarea di Cappadocia, che verso il 258 scrive a Cipriano prendendo posizione accanto a lui contro la lettera di papa Stefano. Si tratta della famosa questione sulla validità del battesimo conferito dagli eretici: Stefano sostiene che il battesimo conferito dagli eretici è valido e non deve essere ripetuto e minaccia la scomunica per i vescovi che ribattezzano; Cipriano sostiene che il battesimo amministrato dagli eretici non è nulla. Di nuovo quindi siamo in una problematica intra-ecclesiale. 5 Ebbene in questo contesto Firmiliano scrive: Poiché l'arca di Noè non fu altro che il sacramento della chiesa di Cristo, che portò in salvo solamente coloro che erano all'interno dell'arca mentre tutti quelli che erano fuori perirono,... così anche ora tutti coloro che non sono nella chiesa con Cristo, periranno al di fuori, a meno che facendo penitenza si convertano all'unico e salutare lavacro della chiesa.9 E cita in questa lettera il passo della prima epistola di Pietro visto sopra. Nello stesso contesto, forse un paio d'anni prima, lo stesso Cipriano aveva scritto: Gli eretici non hanno nulla, perfino il loro martirio non serve a nulla e neppure le loro penitenze valgono qualcosa davanti a Dio, poiché salus extra ecclesiam non est.10 Leggermente diverso è il contesto in cui si muove l 'opera De uni-tate ecclesiae. Qui Cipriano si oppone accanitamente contro i moti di divisione interni alla comunità; il suo pensiero è quello di difendere la struttura episcopale e la necessità dell'unità. La divisione, per Cipriano, è peccato, è via della perdizione non via di salvezza. All'interno di questo ampio discorso egli dice: Chiunque si separa dalla chiesa e si unisce ad una adultera, si separa dalle promesse che sono date nella chiesa; egli non può raggiungere la corona di vittoria di Cristo, poiché ha abbandonato la chiesa. Egli è uno straniero, un profano, uno che appartiene alla potenza nemica. Non può avere Dio per padre chi non ha la chiesa come madre (Habere jam non potest Deum patrem, qui Ecclesiam non habet matrem). Se ci fu qualcuno che poté scam-pare anche senza essere nell'arca di Noè, allora c'è anche una scappatoia per chi sta fuori della chiesa. 11 Il problema della salvezza dell'umanità è fuori dalla prospettiva di Cipriano: a lui sta a cuore l'unità della chiesa, scossa al suo interno dalle divisioni e dalle discordie. Se dunque a Origene interessava rivolgersi ai giudei per invitarli a non limitarsi all 'antico testamento, a Cipriano interessa l'unità dei cristiani all'interno della struttura episcopale. Possiamo allora concludere questo primo sguardo alla storia della chiesa con le seguenti osservazioni. — La formula Extra ecclesiam nulla salus si forma nei primi tempi della chiesa e trova la sua struttura definitiva nel terzo secolo, esattamente in Origene e in Cipriano. — A questo primo stadio storico essa non indica mai il rapporto della chiesa con il mondo ad essa esterno, non comporta cioè un giudizio negativo nei confronti di coloro che stanno al di fuori della chiesa. — Al contrario essa è una formula intra-ecclesiale, che regola i rapporti teologici di quei membri che si sono separati attraverso uno scisma dalla comunità cristiana. Analogamente essa esprime la coscienza della chiesa nei confronti dei giudei e degli scismatici. H. De Lubac ha chiarito questa 6 impostazione senza alcun equivoco: « Il celebre assioma 'Nessuna salvezza fuori della chiesa' non ebbe in origine presso i padri della chiesa quel senso generale, che molti oggi pretendono; in situazioni ben concrete, esso intendeva quei colpevoli, che avevano sulla coscienza uno scisma, una ribellione, un tradimento nei confronti della chiesa ».12 Da una parte questa impostazione può sorprendere: nei primi secoli i rapporti della chiesa con il mondo circostante non cristiano erano tutt'altro che facili — basti pensare alle continue persecuzioni —; eppure la chiesa non ha elaborato una condanna teologica del mondo anche quando si è compresa come vascello che naviga sul mare del mondo in mezzo a continue difficoltà.13 Da un'altra parte l'impostazione vista deriva da una precisa coscienza che la chiesa ha di se stessa come 'piccolo gregge', come koinonia, e fondamentalmente come 'mistero'. E' assente da questa coscienza quella pretesa di assolutismo e di universalità che vedremo caratterizzare il periodo successivo. dal quarto al quindicesimo secolo Adagio adagio il nostro assioma, in mutate situazioni storiche e dentro nuove e diverse ecclesiologie, si va evolvendo acquistando un senso più incondizionato e più universale. Sintomi di una simile evoluzione sono già presenti in Lattanzio e soprattutto in Gerolamo.14 Sant'Agostino (354-430) nel Contra Faustum Manichaeum applica alla chiesa il simbolo dell'arca di Noè in una riflessione universale sul piano della salvezza e tendente a considerare tutto il genere umano. La cosa curiosa è che, commentando il ritorno della colomba con un ramoscello di ulivo (Gn 8, 11), Agostino scriva: questo significa che al di fuori della chiesa ci sono alcuni battezzati che all'ultimo momento possono ritornare alla chiesa come attraverso un bacio di pace. 15 Tuttavia il ritorno alla chiesa nella attuale economia di salvezza è necessario: il sacramento della speranza, dice Agostino, in questo tempo si identifica con la chiesa (in sacramento spei quo in hoc tempore consociatur Ecclesia). Il suo pensiero si precisa nel Sermo ad Caesareensis ecclesiae plebem, anche se questo è uno scritto polemico contro i donatisti e quindi rientra nella impostazione patristica precedente. Qui Agostino afferma esplicitamente che al di fuori della chiesa cattolica si può avere tutto, ma non la salvezza. 16 Il termine 'cattolico' è qui usato per indicare la chiesa universale, nello spazio e nel tempo, contro le chiese particolari o le sette, nel caso contro la setta dei donatisti. 7 Successivamente la chiesa cattolica verrà identificata con la chiesa di Roma, e questo già a cominciare da papa Gelasio I (492-496).17 Il simbolo Quicunque o pseudo-atanasiano, elaborato da un autore ignoto tra il 430 e il 500, presentando in forma schematica la fede cattolica esordisce dicendo: Chiunque vuole essere salvo deve innanzitutto tenere la fede cattolica, senza alcun dubbio egli perirà per tutta l'eternità se non l'avrà conservata integra e inviolata. Lo stesso simbolo termina così: Questa è la fede cattolica, fede che se uno non avrà fermamente creduto non potrà essere salvo. 18 E' questo il tempo in cui si tenta di mettere la fede in formule semplici, incisive, adatte ad essere facilmente imparate a memoria, formule che per la loro schematicità riducono considerevolmente la grandezza della fede. In questo contesto un discepolo di Agostino, Fulgenzio da Ruspe (468-533), scrive una specie di catechismo o De Regula verae fidei. In un punto di quest 'opera il nostro autore dice: Tieni per fermo e non dubitare che non solo tutti i pagani, ma anche tutti i giudei e tutti gli eretici e gli scismatici, che finiscono la presente vita fuori della chiesa cattolica, andranno nel fuoco eterno che è stato preparato per il diavolo e per i suoi angeli .19 Questa formula di Fulgenzio da Ruspe avrà molta fortuna, verrà infatti ripresa da alcuni concili universali. Qui c'è da notare: l'accostamento dei pagani agli eretici e agli scismatici: quanto prima valeva per i cristiani che abbandonavano la chiesa ora vale anche per i pagani, che vengono teologicamente messi sullo stesso piano; il non ottenere la salvezza al di fuori della chiesa viene reso con la condanna al fuoco eterno: si dice qual-cosa di più dunque o per lo meno lo si rende in forma plastica, atta a colpire l'immaginazione delle persone. Pelagio II (579-590), scrivendo una lettera ad alcuni vescovi scismatici dell'Istria, cita molto estesamente il passo di Cipriano riportato sopra, solo che identifica espressamente la chiesa cattolica con la sede di Roma .20 I processi che vanno avanti sono dunque due: da una parte i pagani vengono assimilati agli eretici e agli scismatici e quindi considerati 'colpevoli'; da un'altra parte la chiesa vera e cattolica viene sempre più identificata con la chiesa che fa capo al papato. Il concilio di Toleto XVI, iniziato nel 693, ribadisce che tutti coloro che sono al di fuori della chiesa, se non si convertono, saranno soggetti alla dannazione eterna. 21 Oramai questa visione si impone e diventa 'fede comune' di tutta la chiesa! Papa Innocenzo III — siamo già nel 1208 — nella professione di fede che impone ai valdesi afferma: 8 Crediamo con il cuore e professiamo con la bocca che la chiesa è una, santa, romana, cattolica e apostolica, al di fuori della quale crediamo che nessuno si possa salvare 22 Nel 1302 Bonifacio VIII, nella famosissima bolla Unam sanctam, afferma: Siamo costretti a credere e a ritenere che la chiesa sia una, santa, cattolica ed apostolica... al di fuori della quale non c'è né salvezza né remissione dei peccati. Riprende l'immagine dell'arca di Noè per ribadire due cose: come al di fuori dell'arca di Noè tutto fu distrutto, così al di fuori della chiesa tutto va perduto; come l'arca di Noè ebbe un unico comandante che era appunto Noè, così la chiesa è retta dal successore di Pietro.23 Il concilio ecumenico di Firenze, del 1442, riprende quasi alla lettera la formulazione di Fulgenzio da Ruspe: La santa chiesa romana... crede fermamente, dichiara e notifica che nessuno al di fuori della chiesa cattolica, sia egli pagano, giudeo, eretico o scismatico, o comunque separato dall'unità ecclesiale, potrà divenire partecipe della vita eterna, ma sarà anzi condannato al fuoco eterno, riservato al demonio e ai suoi angeli, a meno che vi aderisca prima della morte.24 Possiamo ora trarre alcune conclusioni anche da questo secondo periodo della storia della chiesa. Rimane fuori discussione che si assiste a un capovolgimento rispetto al periodo precedente: extra ecclesiam nulla salus suona qui come giudizio teologico sul mondo extra-ecclesiale. Che cosa è avvenuto? — La chiesa da piccolo gregge è diventata la chiesa imperiale, da una piccola componente della società è diventata talmente estesa da coincidere praticamente con il mondo esistente, abbracciando tutta quanta la famiglia umana, o almeno così allora si credeva. — Da questo cambiamento storico-sociologico è scaturita una nuova coscienza ecclesiale, un nuovo modo di comprendersi della chiesa: la chiesa si identifica con il regno di Dio realizzato su questa terra, essa è domina et imperatrix, in breve essa coincide per tutto e in tutto con l'azione stessa di Dio. — In questa impostazione colui che è al di fuori della chiesa: 1. essendo il vangelo stato annunziato fino ai confini della terra (così si pensava allora naturalmente!) se egli è al di fuori lo è per una sua scelta, e quindi per un rifiuto colpevole. Per questo egli è del tutto assimilabile agli eretici, agli scismatici e ai giudei; 2. egli è al di fuori di una qualunque azione di Dio perché questa è circoscritta e contenuta dalla chiesa; 3. data la situazione sociologica della chiesa colui che è al di fuori della chiesa è visto come 'nemico', egli è il diverso, l'avversario; in breve 9 egli è il seguace del diavolo. Da qui lo spirito di condanna che si sviluppa nei suoi confronti. Quello che c'è da aggiungere è che davvero questa era la fede generale e comune di tutta la chiesa, dal primo all'ultimo cristiano, senza eccezioni consistenti. E sotto questa fede ci stava la stessa fede nel valore universale dell'opera redentiva di Cristo: non era concepibile alcuna distinzione tra l'extra ecclesiam nulla salus e il « non v'è altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati » (At 4, 12). Così stavano allora le cose! il periodo delle controversie: dal XVI al XX secolo Il periodo che dobbiamo ora analizzare è talmente complesso che sono costretto a premettere alcune considerazioni generali per aiutare il lettore a seguire 'il filo della matassa'. Quanto nei due precedenti periodi avevo riservato alle conclusioni, devo qui anticiparlo come introduzione. Con la scoperta dell'America — presa naturalmente come simbolo per indicare tutte le scoperte geografiche e antropologiche successive — cambia radicalmente la visione del mondo: il mondo non coincide con l'Europa e tanto meno coincide con la chiesa. Sorge il problema teologico di che cosa pensare della situazione salvifica di questo mondo extra-ecclesiale, che si presenta ogni giorno sempre più esteso. Come se non bastasse, nella stessa società occidentale iniziano fenomeni di emancipazione dalla chiesa, esiste cioè un numero sempre più numeroso di uomini che si pongono in qualche maniera fuori dalla chiesa, e anche questi pongono dei problemi teologici. Di fronte a questa situazione la chiesa — in tutte le sue componenti teologiche e magisteriali — si trova come stretta da una alternativa impossibile: è impossibile pensare che l'azione di Cristo colga di fatto solo una minima parte dell'umanità (la chiesa) e che la stragrande maggioranza dell'umanità vada perduta; è impossibile rinunciare a una verità di fede ritenuta come vera per interi secoli e condensata appunto nell'extra ecclesiam nulla salus, che ribadiva la necessità di appartenere alla chiesa per raggiungere la salvezza. Alle prese con questo dilemma la chiesa tentò un compromesso, una via cioè che salvasse ad un tempo i due principi opposti: la necessità della chiesa in ordine alla salvezza e la portata universale dell'opera redentiva di Cristo. Questo compromesso — passi la parola — fu un equilibrio continuamente instabile, continuamente da cercare, continuamente da difendere fra i due opposti estremi, continuamente insoddisfacente. 10 La storia di questo terzo periodo si può ritenere conclusa all'otto agosto del 1949 con il decreto del santo ufficio all'arcivescovo di Boston, o se si preferisce con l'inizio del concilio Vaticano II. La scolastica si era già posto il problema della salvezza di un eventuale pagano che fosse in qualche maniera in buona fede, e l'aveva risolto ricorrendo a mezzi straordinari, paragonabili a un miracolo (Dio avrebbe potuto mandare un angelo, o una ispirazione speciale, o inviare un missionario). Ma qui il problema aveva un'impostazione meramente teorica. Nel secolo XVI, l'epoca appunto delle grandi scoperte, teologi come Bellarmino (1542-1621) e Suarez (1548-1617) e lo stesso concilio di Trento (DS. 1524) parlarono di un battesimo 'in voto', il che voleva dire che si poteva entrare nella chiesa senza ricevere concretamente il battesimo, ma attraverso particolari disposizioni interiori. Era un modo di allargare i confini della chiesa in modo di giustificare la salvezza di quanti vivevano al di fuori di essa. La professione di fede tridentina, emanata da Pio IV nel 1564, ribadisce la formula Extra quam (catholicam fidem) nemo salvus esse potest (DS. 1870). Ma ora comincia un duello veramente curioso: nel 1653 Innocenzo X condanna la frase di Giansenio « E' semipelagiano dire che Cristo sia morto per tutti » (DS. 2005); nel 1713 Clemente XI condanna la frase di Quesnel « Fuori della chiesa non c 'è grazia » (DS. 2429); ma nella professione di fede, prescritta da Benedetto XIV nel 1743 agli orientali, viene ribadito che al di fuori della chiesa cattolica nemo salvus esse potest (DS. 2540); e nel 1832 Gregorio XVI condanna l'indifferentismo di Lamennais, il quale affermava che « con una qualsiasi professione di fede si può ottenere la salvezza eterna » (DS. 2730). Ugualmente strana e conflittuale sembra la posizione di Pio IX (1846-1878): da una parte condanna la proposizione homines in cuiusvis religionis cultu aeternam salutem assequi posse (DS. 2785); e nel Sillabo condanna pure la frase « Si può almeno nutrire buona speranza per la vita eterna di coloro che non appartengono in nessun modo alla chiesa di Cristo » (DS. 2917), e giunge perfino a sostituire la vecchia formula Extra catholicam ecclesiam con una più radicale che suona Extra apostolicam Romanam ecclesiam e sottolinea che il legame della salvezza con la chiesa è ex fide tenendum;25 da un'altra parte ammette la salvezza di coloro che sono al di fuori della chiesa 'per ignoranzia invincibile' e sono quindi in buona fede: questi si salvano dunque senza appartenere alla chiesa (DS. 2866). Qui si ammette che quelli al di fuori della chiesa possano essere uomini onesti. Ugualmente nella lettera apostolica Iam vos omnes del 1868, indirizzata ai protestanti e agli acattolici, Pio IX afferma che gli acattolici non possono ritenersi sicuri della loro salvezza, ma non nega che si possano salvare (DS. 2999). Intanto, in mezzo a tutte queste battaglie, sono emersi due principi importanti: un allargamento del concetto di chiesa per mezzo del battesimo 11 in 'voto' per cui essa può abbracciare al limite tutti; un riconoscimento di uno stato di buona fede in cui si può trovare la persona al di fuori della chiesa, stato di buona fede che può giustificare la sua salvezza anche senza la chiesa. A ben vedere sono due principi che avvicinano le due polarità di quella 'impossibile alternativa' che abbiamo visto sopra: da un lato si estende la chiesa e dall'altro lato si aumentano le possibilità teologiche del 'pagano'. Da parte del magistero ufficiale della chiesa la questione dell'extra ecclesiam nulla salus, se si esclude il concilio Vaticano II, non cambiò molto durante il ventesimo secolo.26 Particolarmente importante è la posizione sostenuta da Pio XII nell'enciclica Mystici corporis (1943): i punti essenziali, per altro non da tutti interpretati allo stesso modo, sembrano essere i seguenti: il corpo mistico di Cristo è identico alla chiesa cattolica romana; struttura visibile e realtà invisibile della chiesa debbono essere tenute unite (si parlava di una appartenenza all'anima distinta di una appartenenza al corpo, che era un altro modo per esprimere la tradizionale appartenenza in voto vel in re); 3. la chiesa visibile è la causa della salvezza di tutti gli uomini; 4. i veri membri della chiesa sono quelli che appartengono anche alla struttura visibile della chiesa, tuttavia tutti coloro che inscio quodam desiderio ac voto ad mysticum Redemptoris Corpus ordinentur possono salvarsi (DS. 3821). 1. 2. Le discussioni teologiche seguite a questa enciclica hanno dimostrato che il pensiero contenuto in essa tentava di correre sul filo del rasoio: da una parte la chiesa visibile è mezzo di salvezza per tutti gli uomini e dall'altra gli uomini si possono salvare anche at-traverso un'appartenenza spirituale al Corpo di Cristo. Qualche anno più tardi la questione dell'Extra ecclesiam nulla salus occupò la cronaca internazionale a causa di un certo Leonard Feeney: costui andava dicendo che tutti i non cattolici, esclusi i catecumeni, non possono salvarsi. Intervenne l'allora santo ufficio con una lettera all'arcivescovo di Boston, dove vengono ancora una volta riassunti i punti della dottrina cattolica: la chiesa è mezzo di salvezza — divina sola institutione — non per necessità intrinseca; — il voto o il desiderio implicito sono sufficienti alla salvezza; — viene respinta l'affermazione Homines in omni religione aequaliter salvari posse (DS. 3866-3872). — Anche in quest'ultimo documento vi è un certo oscillamento sulla natura del voto implicito. Da un lato si dice infatti che esso consiste in una 12 disposizione dell'anima qua homo voluntatem suam Dei voluntati conformem velit. Da un altro lato si dice invece che il voto perfetta caritate informetur; nec votum implicitum effectum habere potest, nisi homo (idem habeat supernaturalem (3872). Ero partito dicendo che con l'inizio dell'età moderna la chiesa si era trovata in un'alternativa impossibile, e che aveva tentato di uscirne con un compromesso mai definitivamente trovato: credo che anche questi ultimi documenti del magistero confermino questo giudizio. Per uscire da questa alternativa impossibile bisogna cambiare l'impostazione del problema, bisogna cambiare i termini stessi del problema: è appunto quanto è avvenuto dopo e sta tutt'ora avvenendo. il concilio vaticano II: una diversa impostazione? I limiti che mi sono imposto in questo articolo non mi hanno per-messo di esplorare la grande evoluzione teologica che, attorno al problema della salvezza dei non cristiani, è avvenuta a partire dagli anni trenta. Sono convinto che i punti fondamentali del problema sono stati completamente rovesciati: è sorta una diversa concezione dell'atto di fede, una diversa visione della chiesa e della sua missione nel mondo e nella storia, una diversa valutazione del ruolo sacramentale delle religioni. Partendo da queste nuove premesse teologiche il problema dell'extra ecclesiam nulla salus viene oggi comunemente impostato, almeno in campo teologico, in termini completamente opposti a quelli tradizionali.27' Il filo conduttore di questa rilettura storica sono stati i documenti del magistero: penso dunque di dovermi limitare a presentare brevemente il pensiero del Vaticano II, senza entrare nelle recenti riflessioni teologiche, cosa questa che richiederebbe un servizio a parte. Il Vaticano II non ha ripreso l'assioma Extra ecclesiam nulla salus, neppure quando tratta espressamente dei non cristiani: si può presumere che ci sia stata un'esplicita volontà di non voler riprendere questa formula. Tuttavia in nessun punto il Vaticano II ha corretto l'assioma stesso. Il concilio ammette chiaramente la possibilità di salvarsi al di fuori della chiesa, sia attraverso un 'ordinamento' (ad Populum Dei diversis rationibus ordinantur) alla chiesa stessa, sia attraverso mezzi di grazia presenti nelle religioni non cristiane,28 e nella vita dell'uomo in generale.29 Anche per il concilio Vaticano II restò fermo ed indiscusso che solo Cristo è la « via », ma non ne concluse che tutto ciò che è — apparentemente — fuori di Cristo va classificato come non via: ne concluse soltanto che tutto ciò che è via fuori di lui, lo è in forza di lui, e quindi in realtà gli appartiene come via da via.30 13 Il ruolo della chiesa nell'impostazione del concilio appare molto complesso e volutamente non fissato: esso è condensato nella poliedrica frase che definisce la chiesa come universale saluti sacramentum. 31 Attorno alla linea dorsale qui descritta ruotano altre affermazioni non sempre e completamente armonizzabili, dovute alla pluralità delle correnti presenti nel concilio. Si noterà come l'accento tende a spostarsi dalla chiesa al Cristo, e si noterà soprattutto quanto diverso è lo spirito con cui i padri conciliari leggono le realtà religiose extra-ecclesiali. Per rendersi ulteriormente conto di questa positiva evoluzione nell'atteggiamento della chiesa basti ricordare qui — come ultimo documento magisteriale — 1'Evangelii nuntiandi di Paolo VI. Trattando, nella parte quinta, dei destinatari dell'evangelizzazione il Papa scrive: Esso (primo annuncio) si rivolge anche a immense porzioni di umanità che praticano religioni non cristiane, che la chiesa rispetta e stima perché sono l'espressione viva dell'anima di vasti gruppi umani. Esse portano in sé l'eco di millenni di ricerca di Dio, ricerca incompleta, ma realizzata spesso con sincerità e rettitudine di cuore. Posseggono un patrimonio impressionante di testi profondamente religiosi. Hanno insegnato a generazioni di persone a pregare. Sono tutte cosparse di innumerevoli 'germi del Verbo' e possono costituire una autentica 'preparazione evangelica'... Tale situazione suscita, certamente, questioni complesse e delicate, che conviene studiare alla luce della tradizione cristiana e del magistero della chiesa... Anche di fronte alle espressioni religiose naturali più degne di stima, la chiesa si basa dunque sul fatto che la religione di Gesù, che essa annunzia mediante l'evangelizzazione, mette oggettivamente l'uomo in rapporto con il piano di Dio, con la sua presenza vivente, con la sua azione: essa fa così incontrare il mistero della paternità divina che si china sulla umanità; in altri termini, la nostra religione instaura effettivamente con Dio un rapporto autentico e vivente, che le altre religioni non riescono a stabilire, sebbene esse tengano, per così dire, le loro braccia tese verso il cielo.32 Per dirla in termini più tradizionali: la salvezza è data anche nelle religioni non cristiane, quindi al di fuori della chiesa, ma la chiesa cattolica possiede un rapporto più autentico e più pieno con Dio. Mentre nelle religioni non cristiane l'uomo arriva a Dio a causa della sua buona fede, quindi a causa del suo stato soggettivo, nel cristianesimo c'è un rapporto oggettivo ed effettivo (sono i termini usati da Paolo VI) con Dio.33 considerazioni conclusive Ogni religione tende, quasi necessariamente, a porre la propria Divinità al di sopra di tutte le altre: questo fa parte della natura del sentimento religioso. Essendo la religione una forma ultima in cui la coscienza si pone di fronte alla realtà, colta nei suoi aspetti più universali, questa ultimità trapassa in una suprema universalità. Accettare che la propria Divinità sia inferiore o anche solo parallela ad altre, significa svuotare la portata stessa della 14 religione, che rinuncia ad essere l'ultima parola e perciò rinuncia ad esser religione. Da questo modo di concepire la propria Divinità può derivare per una religione storica — anche proprio in quanto religione — una pretesa di assolutezza con tendenze fanatiche di egemonia e di intolleranza. Si tratta in questo caso di una 'confusione' tra la natura universale e ultima dell'oggetto religioso (la Divinità) e l'organizzazione storico-concreta della religione che ne deriva. Questo errore è avvenuto anche nella storia del cristianesimo: nessuna meraviglia per questo, anche perché esistevano particolari condizioni storiche che lo hanno, se non determinato, almeno favorito. Il cristianesimo crede, senza alcuna ambiguità, che in Gesù Cristo si è giocato il destino salvifico di tutta l'umanità, sia quella che è esistita prima di Cristo, sia quella che esiste attualmente, sia quella che esisterà in un domani vicino o lontano. Su questo punto il contenuto vero e autentico della fede cristiana può essere espresso dalla frase: 'al di fuori di Cristo non c'è salvezza'; anche se l'espressione più corretta è naturalmente quella positiva ' in Cristo c'è la salvezza di tutto il mondo'. Quella verità originaria — presente cioè nei testi del nuovo testa-mento e nelle riflessioni delle prime comunità — lungo la storia si è stravolta nell'assioma esaminato, ma ora sta ritornando ai suoi contenuti autentici. La fede cristiana, partendo dal ruolo unico e universale svolto da Cristo, tende all'universalismo come promessa escatologica: ossia tende nella speranza alla manifestazione esplicita del fatto che ogni salvezza religiosa — e quindi anche ogni salvezza che avviene nelle religioni non cristiane — avviene in Cristo e per mezzo di Cristo. Questo universalismo come promessa è stato stravolto in un universalismo come pretesa. Se da questa impostazione vogliamo dire qualcosa della chiesa e sulla chiesa, possiamo dire che sotto l'assioma negativo 'Extra ecclesiam nulla salus' pulsa una coscienza autentica della comunità credente, riassumibile in due punti: 1. la coscienza della chiesa tiene ferma l'universalità di ciò che è accaduto in Cristo a favore di tutti gli uomini; 2. e la stessa coscienza indica storicamente un luogo dove la salvezza di Cristo si manifesta, come salvezza universale: questo luogo è la chiesa stessa. La formula vera sarebbe allora: dentro l'arca c'è la salvezza! AMILCARE GIUDICI 15 Via Monterosa ,81 20149 Milano Note 1 Proprio riferendosi alla formula Extra ecclesiam nulla salus H. Kung scrive: «...la teologia non manipola qui in modo non verace la verità, quando, da un lato, proclama un "al di fuori nessuna salvezza", e, dall'altro lato, permette esplicitamente un 'al di fuori salvezza'? Quando essa insegna cioè nelle cose il contrario, pur conservando la formula? Ed alcuni poi si domandano: a che scopo? Per affermare una continuità, che non esiste nei fatti? Per non far sfigurare un magistero, che ha trasceso la sua autorità? ». Cf., Veracità per il futuro della Chiesa, Brescia 1968, p. 190. 2 Commentando il v. 19 B. Schwank scrive: « Con quest'immagine (il carcere) viene espressa una duplice verità: l'attività redentrice del Signore fu un tutto che abbracciò ogni settore del mondo e realizzò la giustizia e la grazia di Dio. E inoltre: Cristo è il testimone fedele, il martire che fece conoscere la sua opera salvifica a tutte le creature, anche a quelle che si erano schierate contro Dio D. Cf. Prima lettera di Pietro, Roma 1966, p. 92. 3 Schweizer, Il vangelo secondo Marco, Brescia 1971, pp. 398-399. 4 Quot enim Dei et Jesu Christi sunt, hi sunt cum episcopo... Ne erretis, fratres mei. Si quis schisma facientem sectatur, regni divini haereditatem non consequitur ». Cf. PG 5, p. 700. 5 « Ubi enim Ecclesia, ibi et Spiritus Dei, et ubi Spiritus Dei, ille Ecclesia et omnis gratia: Spiritus autem veritas Quapropter qui non partecipant eum, neque a mammillis matris nutriuntur in vitam, neque percipiunt de corpore Christi procedentem nitissimum fontem: sed elfundiunt sibi lacus detritas de fossis terrenis, et de coeno putidam bibunt acquam... ». Cf. PG 7, pp. 966-967; un pensiero analogo di Ireneo si trova nella stessa opera qualche capitolo prima: PG 7, p. 855. 6 « Quemadmodum enim eius voluntas est opus, et id mundus nominator; ita etiam eius propositum est hominum salus, et ea votata est Ecclesia ». Cf. PG 8, p. 281. 7 «Si quis ergo salvari vult, veniat in hanc domum huius quae quondam meretrix fuit. Etiamsi de illo populo vult aliquis salvari, ad hanc domum veniat ut salutem consequi possit. Extra hanc domum, id est extra ecclesiam nemo salvatur ». Cf. PG 12, pp. 841842. 8 J. Ratzinger, Il nuovo popolo di Dio, Brescia 1971, p. 370 16 9 «Cum vero et arca Noe nihil aliud fuerit quam Sacrametum Ecclesiae Christi, quae tunc, omnibus foris pereuntibus, eos solos servavit qui intra arcam fuerunt, manifeste instruimur ad Ecclesiae unitatem perspiciendam, quemadmodum et Apostolus Petrus posuit dicens... (citazione di 1 Pt. 3, 21) sic et nuns quicumque in Ecclesia cum Christo non sunt, foris peribunt, nisi ad unicum et salutare Ecclesiae lavacrum per paenitentiam convertantur ». Cf. PL. 3, p. 1168. 10 Epistola ad Jubaianum: PL 3, pp. 1123-1124. " PL. 4, p. 503. 12 Il passo è riportato da J. Ratzinger, o.c., p. 371 in nota. 13 Fluctuat non mergitur diranno i padri: cf. H. Fries, Mutamenti dell'immagine della chiesa ed evoluzione storico-dogmatica, in Mysterium salutis, vol. VII. 14 Per il primo si veda: Divinae institutiones 4,30,11 s.; per il secondo: Ep. ad Damasum 2. 15 PL. 42, p. 265. 16 « Dominus Deus noster... faciet nos gratias agere Deo de salute eius, quam non potest habere nisi in Ecclesia catholica. Extra Ecclesiam catholicam totum potest praeter salutem. Potest habere honorem, potest habere sacramentum, potest cantare Alleluia, potest respondere Amen, potest Evangelium tenere, potest in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti fidem et habere et praedicare: sed nusquam nisi in Ecclesia catholica salutem potest invenire ». PL. 43, p. 695. 17 PL. 59, p. 89. 18 « Quicunque vult salvus esse, ante omnia opus est, ut teneat catholicam fled em: quam nisi quisque integram inviolatamque servaverit, absque dubio in aeternum peribit... Haec est fides catholica: quam nisi quisque fideliter crediderit, salvus esse non potent ». DS. 75-76. 18 « Firmissime tene, et nullatenus dubites, non solum omnes pagans, sed etiam omnes judeos, et omnes haereticos atque schimaticos, qui extra Ecclesiam catholicam praesentem finiunt vitam, in ignem aeternum ituros, qui paratus est diabolo et angelis eius ». PL 65, p. 704 20. DS. 468-469. 21 DS. 575. 22 DS. 792. 17 23 DS. 870-872 DS. 1351. Anche il concilio lateranense IV (1215) parlando della chiesa aveva detto: Una vero est fidelium universalis Ecclesia, extra quam nullus omnino salvatur... DS.802 24 25 Questa radicalizzazione è presente nell'allocuzione Singulari quadam del 1854, ora non più riportata nel DS. Si veda il commento di J. Ratzinger, o.c., pp. 375-376. 26 Dico da parte del magistero ufficiale, perché un giudizio completamente diverso andrebbe dato per la ricerca teologica, sulla quale non mi è possibile soffermarmi ora. Credo d'aver dimostrato tutto questo in un mio volume che sta uscendo presso le edizioni Boria con il titolo « Religioni e salvezza ». Ad esso mi premetto rimandare il lettore desideroso di accostare il problema della salvezza al di fuori della chiesa secondo le correnti teologiche attuali. 27 28 Lumen gentium n. 16. 29 Gaudium et spes, n. 12-22 30 Così J.Ratzinger, o.c., p. 378. 31 Lumen gentium n. 48 (ed. Dehoniane n. 416). L'evangelizzazione nel mondo contemporaneo, edizioni Paoline, pp. 48-50 32 La formula Extra ecclesiam nulla salus ritorna in molti autori e protagonisti della riforma protestante: non mi è qui possibile entrare in merito all'impostazione del problema presso i protestanti. Basti dire che in genere, presso i protestanti il senso della formula risulta invertito: non è la salvezza che viene definita a partire dalla chiesa, ma è invece la chiesa che viene definita a partire dalla salvezza. In altri termini: la chiesa è là dove avviene la salvezza, poiché la chiesa è in tutto e per tutto una realtà spirituale. 33 18
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