ARGOMENTO: Il tema del disprezzo del mondo nella cultura
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ARGOMENTO: Il tema del disprezzo del mondo nella cultura
ARGOMENTO: Il tema del disprezzo del mondo nella cultura tardoantica e altomedievale DOCUMENTI 1. Che tutta la progenie dei mortali sia condannata fin dall’origine1 ce lo prova questa stessa vita, se vita si deve chiamare, piena di tanti e così grandi mali. Cos’altro ci dimostra la profonda, orrenda ignoranza, da cui nascono tutti gli errori che trascinano in un tenebroso abisso tutti i figli di Adamo, e dai quali l’uomo non può liberarsi senza fatica, dolore e paura? Cosa ci dice lo stesso amore per tante cose vane e nocive e, derivate da esso, le pene acerbe, le preoccupazioni, le tristezze, le paure, le false gioie, le discordie, le liti, le guerre, le insidie, le collere, le inimicizie, l’inganno, l’adulazione, la frode, il furto, la rapina, la perfidia, la superbia, l’ambizione, l’invidia, gli omicidi, i parricidi2, la crudeltà, l’inumanità, la nequizia, la lussuria, la petulanza, l’impudenza, l’impudicizia, le fornicazioni, gli adulteri, gli incesti e tanti stupri e cose immonde – peccati contro natura di entrambi i sessi – che è vergognoso perfino nominare, i sacrilegi, le eresie, le bestemmie, gli spergiuri, l’oppressione degli innocenti, le calunnie, i raggiri, le prevaricazioni, le false testimonianze, i giudizi ingiusti, le violenze, i latrocini e tutti quei mali simili che non vengono in mente e tuttavia non mancano mai in codesta vita degli uomini? Certo, queste sono azioni di uomini malvagi, ma hanno la loro radice nell’errore e nel disordinato amore con cui nasce ogni figlio di Adamo 3. E chi non sa con quanta ignoranza della verità, manifesta fin dall’infanzia, con quanta abbondanza di vana cupidigia, che comincia ad apparire nei fanciulli, l’uomo venga in questa vita? Tant’è vero che, se lo si lasciasse vivere come vuole e se lo si lasciasse fare tutto ciò che vuole, incorrerebbe in tutti, o in quasi tutti, i delitti e le vergogne che prima ho elencato e in quelli che non ho potuto elencare. […] 2. Da questa misera vita, che è quasi un inferno, può liberarci solo la grazia di Cristo Salvatore, nostro Dio e Signore (questo infatti vuol dire lo stesso nome di Gesù, che significa appunto “Salvatore”), soprattutto facendo in modo che, dopo questa, non cadiamo per l’eternità in un’altra e più misera esistenza, che non è vita, ma morte. Per quanti possano essere, in questa vita, i sollievi che riceviamo per intercessione dei santi e per mezzo delle cose sante, tuttavia non sempre chi chiede un beneficio lo riceve. Ciò avviene per far sì che non si abbracci la religione in vista di questi benefici4; essa dev’essere abbracciata piuttosto in vista dell’altra vita, dove non ci sarà alcun male 5. E la Grazia aiuta le persone migliori in questo genere di mali 6 affinché li sopportino con cuore più fedele e più forte7. Agostino di Ippona, De civitate Dei, XXII, 22 1. Orsù, omiciattolo, fuggi un po’ le tue occupazioni, allontanati un po’ dai tuoi tumultuosi pensieri8. Liberati adesso dalle tue pesanti preoccupazioni e metti da parte le tue faticose distrazioni9. Dedicati un po’ a Dio, e riposa un po’ in lui. Entra nella camera della tua mente, lascia fuori ogni cosa tranne Dio e ciò che ti serve per cercarlo e, chiusa la porta 10, cercalo. Dì ora, o mio cuore tutto intero, dì ora a Dio: Cerco il tuo volto; il tuo volto, Signore, io ricerco 11. 2. Orsù dunque, tu, Signore mio Dio, insegna al mio cuore dove e in che modo possa cercarti, dove e in che modo possa trovarti. Signore, se tu non sei qui, dove cercherò te, assente? E se sei in ogni luogo, perché non ti vedo presente 12? Ma certo tu abiti una “luce inaccessibile”. E dov’è la luce inaccessibile? E come posso arrivare alla luce inaccessibile? E chi mi condurrà e introdurrà in essa, in modo che io possa vederti in essa? E poi, in base a quali tracce, a quale aspetto ti cercherò? Non ti ho mai veduto, Signore Dio mio, non conosco il tuo aspetto. Che farà, Signore altissimo, che farà quest’esule tuo lontano13? Che farà il tuo servo travagliato dall’amore per te e gettato lontano dal tuo volto? Anela a vederti, e troppo gli manca il tuo aspetto. Desidera accedere e te, e la tua casa gli è inaccessibile. Desidera trovarti, e non sa dove sei. Cerca di raggiungerti e non conosce il tuo volto. Signore, sei il mio Dio, e sei il mio Signore, e mai io ti vidi. Tu mi creasti e ricreasti, mi desti ogni mio bene, e io non ancora ti conosco. In fondo io sono stato creato per vederti, e non ho ancora fatto ciò per cui sono stato creato. 3. O misera sorte dell’uomo, che ha perduto ciò per cui era stato creato14! O duro e crudele il suo destino! Ahimé, cos’ha perduto e cosa ha trovato15, cosa ha lasciato e cosa gli è rimasto! Ha perduto la beatitudine per la quale è stato 1 la predisposizione al male della natura umana deriva dal peccato originale il termine indica, in senso proprio, l’uccisione del padre o, più genericamente, l’uccisione di un proprio familiare i peccati prima enumerati sono commessi da uomini malvagi, ma derivano tutti dalla naturale predisposizione al male comune a tutti gli uomini, che si manifesta nella loro ignoranza (errore) e nella tendenza a rivolgere il proprio amore verso falsi oggetti, anziché verso Dio (disordinato amore). L’ “amore” è “disordinato” perché dopo il peccato originale non è più orientato verso il Creatore, ma verso le creature 2 3 4 il fatto che le preghiere non vengano sempre esaudite si spiega con la volontà della Provvidenza, che non vuole che la fede sia abbracciata con finalità utilitaristiche 5 la vita eterna del Paradiso 6 nei mali di cui si soffre nella vita 7 i mali della vita terrena devono essere sopportati in vista della vita eterna 8 i pensieri agitati di chi è occupato nelle cose mondane 9 tutte le quotidiane, faticose attività che distraggono dalla contemplazione di Dio 10 Mt VI, 6 11 Salmo 27, 8 Dio è presente nel creato, ma si nasconde in esso; è impossibile scorgerlo se non si mostra a noi 13 l’uomo è esule, è lontano da Dio a cui appartiene, perché è stato cacciato dall’Eden dopo il peccato originale 14 la felicità dell’Eden 15 quanto è grande ciò che ha perduto e quant’è piccolo ciò che ha trovato 12 creato, e ha trovato la miseria per la quale non è stato creato. Ha lasciato ciò senza cui non può mai esser felice 16, e gli è rimasto ciò che in sé è soltanto misero. Allora 17 l’uomo mangiava il pane degli angeli, di cui ora ha fame; mangia ora il pane del dolore, che allora non conosceva. O lutto di tutti gli uomini, o pianto universale dei figli di Adamo! Quello18 ruttava per la sazietà, noi sospiriamo per la fame. Egli viveva nell’abbondanza, noi mendichiamo. Egli possedeva felicemente e miseramente abbandonò, noi infelicemente viviamo nel bisogno e miseramente desideriamo. E, ahimè, restiamo a mani vuote. Perché non seppe19 custodire per noi, potendolo fare con facilità, ciò di cui abbiamo tanto bisogno? Perché ci tolse la luce e ci immerse nelle tenebre? Perché ci tolse la vita e inflisse la morte? Noi, pieni di affanni, da dove siamo stati cacciati, dove siamo stati mandati! Da che altezza siamo precipitati, quanto in basso siamo rovinati! Dalla patria all’esilio, dalla visione di Dio alla nostra cecità. Dalla gioia dell’immortalità all’amarezza e all’orrore della morte. Misero mutamento! Da quanto bene a quanto male! Grave danno, grave dolore, grave è tutto. Anselmo d’Aosta20, Proslogion, IX 40 45 50 Tanto sia el fetor fetente, che non sia null’om vivente che non fugga da me dolente, posto ’n tanta ipocondria. En terrebele fossato, ca Riguerci è nomenato, loco sia abandonato da onne bona compagnia. Gelo, granden, tempestate, fulgur, troni, oscuritate, e non sia nulla avversitate che me non aia en sua bailia. 60 65 70 La demonia enfernali sì me sian dati a ministrali, che m’essercitin li mali c’aio guadagnati a mia follia. 55 Enfin del mondo a la finita sì me duri questa vita, e poi, a la scivirita, dura morte me se dia. 1 Il giorno dell'ira, quel giorno che dissolverà il mondo terreno in cenere come annunciato da Davide e dalla Sibilla. 5 Quanto terrore verrà quando il giudice giungerà a giudicare severamente ogni cosa. Aleggome en sepoltura un ventre de lupo en voratura, e l’arliquie en cacatura en espineta e rogaria. Li miracul’ po’ la morte: chi ce viene aia le scorte e le vessazione forte con terrebel fantasia. Onn’om che m’ode mentovare sì se deia stupefare e co la croce signare, che rio scuntro no i sia en via. Signor mio, non è vendetta tutta la pena c’ho ditta: ché me creasti en tua diletta e io t’ho morto a villania. Jacopone da Todi, O Segnor per cortesia E dunque quando il giudice si siederà, ogni cosa nascosta sarà svelata, niente rimarrà invendicato. 20 Re di tremendo potere, tu che salvi per grazia chi è da salvare, salva me, fonte di pietà. La tromba diffondendo un suono stupefacente tra i sepolcri del mondo spingerà tutti davanti al trono. 25 10 15 16 La Morte si stupirà, e la Natura quando risorgerà ogni creatura per rispondere al giudice. Sarà prodotto il libro scritto nel quale è contenuto tutto, dal quale si giudicherà il mondo. In quel momento che potrò dire io, misero, chi chiamerò a difendermi, quando a malapena il giusto potrà dirsi al sicuro? 30 Ricorda, o pio Gesù, che io sono la causa del tuo viaggio; non lasciare che quel giorno io sia perduto. Cercandomi ti sedesti stanco, mi hai redento con il supplizio della Croce: che tanto sforzo non sia vano! [...] Tommaso da Celano, Dies Irae Dio prima del peccato originale 18 Adamo 19 il soggetto è sempre Adamo 20 Sant’Anselmo d'Aosta (Aosta, 1033/1034 – Canterbury, 21 aprile 1109) è stato un teologo medioevale che si è occupato del problema fede-ragione 17 “Io ho veduto, dice l’Ecclesiaste, che il riso è ingannatore e alla gioia ho detto: perché mi lusinghi invano?”21. La voluttà mentisce; non è un piacere, ma un dolore ed un tormento. La ricchezza mente; non è abbondanza, ma è privazione delle ricchezze che sono nel cielo. Gli onori mentono; non sono onori, ma oneri e ludibrio del secolo. La vera felicità consiste nel tenere a vile la felicità del mondo e ricercare con ardore le cose divine, trascurando quelle della terra. Quelli che piangono per vani oggetti, piangono invano, e quelli che ridono delle vanità, ridono del proprio male; essi sbagliano perché si rallegrano di ciò che dovrebbe rattristarli, ridono quando converrebbe loro piangere; simili ai bambini che si baloccano e saltellano mentre muoiono i loro genitori. O nulla del mondo! “L’uomo, dice l’Ecclesiaste, uscì nudo dal seno di sua madre, e nudo vi ritornerà, non portando con sé nulla dei frutti delle sue fatiche. O inenarrabile miseria! quale venne, tale se ne andrà. E che cosa vale l’essersi tanto affaticato?”22. I più floridi regni del mondo non sono che vento, e vento sono le ricchezze e la gloria loro; essi si assaltano e combattono gli uni contro gli altri e passano come vento; sono terribili come le tempeste e scompaiono ad un tratto come polvere. Tutti i beni di questo mondo sono fallaci; hanno apparenza e non realtà; stimolano la fame e la sete e non l’appagano; dànno solletico agli occhi, ma non cibo all’anima. La ragione è questa, che l’anima è stata creata a immagine di Dio, e per ciò capace di godere di un bene infinito, che è Dio; essa fu fatta per Iddio, e quindi non può essere né soddisfatta né tanto meno riempita da nessun bene finito, ombra e niente come le cose tutte della terra. Infatti, non appena ella gode di un oggetto, subito ne desidera un altro. L’anima terrestre e carnale somiglia al cane avido il quale, mentre ingoia il boccone che gli fu gettato, cerca con l’occhio quello che il padrone può avere tra mano. Eucherio di Lione23, De contemptu mundi, IV Non c’è nessuno che possa vantare la purezza del suo cuore, poiché tutti pecchiamo in molte cose. [...] Ecco, tra i santi nessuno è tale da non poter cambiare, i cieli non sono puri al Suo 24 cospetto; perfino nei Suoi angeli ha trovato malvagità. Quanto più abominevole e inutile è l’uomo, che beve l’iniquità come fosse acqua? Non per nulla Dio si pentì di aver creato l’uomo in terra, tanta era la malvagità degli uomini sulla terra, e tutti i pensieri dell’uomo volti in ogni momento al male: allora, preso da dolore nel profondo del cuore, distrusse l’uomo che aveva creato25. Certo, l’iniquità ha passato il segno, e si è raffreddata la carità di molti. Tutti hanno tralignato, sono diventati inutili, non c’è chi faccia il bene, non ce n’è nemmeno uno. Quasi tutta la vita dei mortali è piena di peccati mortali, tanto che è difficile trovare uno che non inclini alla sinistra, che non si converta in vomito, che non imputridisca nello sterco 26. Preferiscono gloriarsi delle malefatte ed esultare nelle azioni peggiori, ripieni di ogni iniquità, malizia, fornicazione, avarizia, depravazione, pieni di invidia, omicidi, contese, inganni, malignità, maldicenti, calunniatori, odiosi a Dio, insolenti, superbi, gonfi, inventori di nuovi mali, disubbidienti ai genitori, sconsiderati, sfrontati, senza affetti, senza lealtà né misericordia. Di tali persone e di peggiori è pieno questo mondo [...]. Certo, come si dissolve il fumo si dissolveranno, e come si scioglie la cera di fronte al fuoco, così i peccatori periranno al cospetto di Dio. Lotario dei Conti di Segni27, De contemptu mundi, sive de miseria conditionis humanae, II L’uomo nato da donna vive per un tempo breve, ricolmo di molte miserie. Egli spunta e si consuma come un fiore, fugge come l’ombra, e non resta mai nel medesimo stato”. Pochi infatti ora giungono a quarant’anni, pochissimi a sessanta. [...] Se poi qualcuno raggiunge la vecchiaia, subito il suo cuore è abbattuto, il capo è agitato, il respiro langue e l’alito puzza, il viso si corruga e la statura si curva, gli occhi si oscurano e le giunture vacillano, le narici colano e i capelli cadono, le mani tremano e i gesti deperiscono, i denti marciscono e le orecchie insordiscono. [...] L’uccello nasce per il volo, e l’uomo nasce per la fatica. Tutti i suoi giorni sono pieni di fatica e tribolazioni, e neppure di notte la sua anima trova riposo. [...] Quanta ansietà opprime i mortali, quanti affanni li assalgono, quante preoccupazioni li molestano, quanti spaventi li terrorizzano, quanto tremore li scuote, quanto orrore li sovrasta, quanto dolore li affligge, quanta tristezza li turba, quanto turbamento li rattrista! Povero e ricco, servo e padrone, sposato e celibe, buono e malvagio, tutti sono afflitti dai tormenti terreni, e sono tormentati dalle afflizioni mondane. Credi al maestro che lo ha provato28: “Se sarò empio, guai a me; e se sarò giusto, non potrò levare il capo per il peso dell’afflizione e della miseria.” Lotario dei Conti di Segni, De contemptu mundi, sive de miseria conditionis humanae, II Per i Padri della Chiesa e per i grandi asceti del primo millennio, la fuga mundi non era dettata da un disgusto scaturito da un indomabile odio nei riguardi del mondo sensibile. La sua attuazione era originata da un atto di rinuncia delle gioie mondane e lanciava l’asceta nella lotta e nell’agone contro le immagini della mente, scaturite dalle passioni carnali radicate nell’animo umano, fino a quando egli non avesse conquistato la quiete interiore. Il mondo era visto dall’anacoreta non con odio e con sprezzo, ma con compassione, poiché tutta la natura, avvolta dall’opacità causata 21 Eccle. II, 2 Eccle. V, 14 23 Eucherio di Lione (Lione, 380 – Lione, 449 o 450) è stato un vescovo di origine gallica. È venerato come santo dalla Chiesa cattolica, che lo festeggia il 16 novembre, ed è annoverato tra i Padri della Chiesa occidentale 24 Di Dio 25 Riferimento al Diluvio universale; la citazione è dal passo relativo del libro Genesi 26 tenda a una cattiva strada 27 Diventerà papa assumendo il nome di Innocenzo III (1198-1216) 28 Le citazioni di questo passo sono dal libro di Giobbe, il personaggio biblico che rappresenta la sofferenza del giusto 22 dalla colpa originaria, gemeva per la sua condizione decaduta. La fuga mundi veniva, perciò, sperimentata come un esilio volontario, come un’esperienza di morte del vissuto che, rompendo ogni legame terreno, permetteva al monaco del deserto di accedere alla preghiera pura e alla contemplazione divina. Nella desolazione dei secoli caratterizzati dalle invasioni barbariche e durante la lenta ripresa della cultura europea, all’inizio del secondo millennio i termini fuga mundi e contemptus mundi assumono un identico significato, tendente a esprimere un ben preciso comportamento interiore nei riguardi del mondo quale luogo del peccato e dell’eterna perdizione dell’uomo, prima che questi rotoli repentinamente negli affollati abissi infernali. Nel corso dell’XI e del XII secolo assistiamo a una vera e propria naissance, ricca di un variegato immaginario sulla morte, di un genere letterario altamente specializzato nel divulgare il tema ascetico del disprezzo del mondo, dapprima fra le mura dei monasteri e in seguito predicato fra i laici, soprattutto in epoca francescana. Questa letteratura nasce e si sviluppa in opposizione al mondo aristocratico e borghese, come reazione contro una cultura edonistica che sempre più si diffonde in Europa. Alla rivalutazione della vita terrena, alcuni ambienti monastici oppongono il tema del giudizio universale finale e delle raccapriccianti pene infernali nei loro aspetti maggiormente spettacolari. Infatti, queste tematiche producono una sorta di potente drammatizzazione dell’esistenza, divaricata fra il peccato e la pena, la sofferenza e la redenzione, e sono entrambe ovviamente legate al motivo della morte. [...] La cultura ecclesiastica reagisce insomma al nuovo amore per la vita che si va diffondendo in quest’epoca soprattutto insistendo sul tema della morte, utilizzato da un lato per svalutare l’esperienza terrena... dall’altro per indurre alla conversione, al pentimento e al distacco dal mondo. J. Delumeau, Il peccato e la paura. L’idea di colpa in Occidente dal X al XVIII secolo, Bologna 1987 1 5 10 Senno me pare e cortisia29 empazzir per lo bel Messia. Ello me sa sì gran sapere a cchi per Deo vòle empazzire30, en Parisi non se vide cusì granne filosafia31. Chi pro Cristo va empazzato 32, pare afflitto et tribulato, ma el è magistro conventato en natura e ’n teologia33. Chi pro Cristo ne va34 pazzo, a la gente sì par matto35; chi non à provato el fatto, par che sia for de la via36. 15 Chi vòle entrare en questa scola, trovarà dottrina nova37; tal pazzia, chi non la prova, ià non sa que ben se scia38. Ritengo assennato e “cortese” impazzire per il bel Messia. L’aggettivo “cortese” allude, come già in O Segnor per cortesia, al sistema di valori dell’“amor cortese” provenzale; vi sono inquadrati amore, virtù, salute fisica, in una cornice di decoro e liberalità. “Senno” (dal francese antico sen, dal francone sin) vale “ragione”. Le prime attestazioni del termine in Italia risalgono al XIII secolo. L’aggettivo “bel” proietta l’immagine di Cristo in una dimensione estetico-passionale caratteristica dell’entusiasmo mistico di Jacopone 30 Considero <sia> (Ello me sa; “ello” per egli, è pleonastico, come in molti testi antichi e fino all’Ottocento) una così grande sapienza quella di chi (a cchi è una forma risultante dal dativo di possesso latino, come nella forma meridionale “a cchi sei figlio?”) vuole impazzire per Dio. 31 che a Parigi non si è mai vista una dottrina filosofica tanto profonda. Il “sì”, così, al v. 3 indica la presenza logica di una consecutiva al v. 5, ma Jacopone omette la particella correlativa “che” e giustappone per paratassi le due affermazioni. 32 Chi diviene pazzo per (pro) Cristo, cioè avendo fatto esperienza del suo amore. 33 ma egli è maestro addottorato (magistro conventato) in natura e teologia. I due termini “natura” e “teologia” rimandano in forma polemica alle discipline fondamentali delle università medievali. Jacopone attacca in particolare la logica scolastica ed evoca come unica forma di sapienza il mistero della natura umana (“natura”) e divina (“teologia”) di Cristo. L’imitazione di Cristo, nella forma autolesionista e provocatoria dell’umiliazione ricercata, costituisce teoria e prassi della “pazzia” mistica dell’autore. 34 diviene, come “va” al v. 7. 35 alla gente comune appare così (sì) folle; “matto” si oppone a “pazzo” in quanto designa la follia in senso corrente 36 chi non ha fatto esperienza (provato el fatto) <dell’amore di Cristo> mostra di essere (par che sia) fuori della retta via. L’interpretazione è confortata da quanto si dice poi ai vv. 17-18: il primo riprende, variandolo, il v. 13, il secondo sviluppa l’affermazione del v. 14. La stessa affermazione compare in O iubelo del core, vv. 27-28: “Chi non ha costumanza / te reputa ’mpazzito”, ma qui i versi sembrano recuperare il testo del Vangelo di Giovanni (XIV, 6): “Ego sum via et veritas et vita; nemo venit ad Patrem nisi per me” [“Io sono la via, la verità e la vita, Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”]. 37 Chi vuole entrare in questa scuola (quella appunto della “pazzia”) troverà una nuova dottrina. È detto con irrisione rispetto ai precetti delle scuole teologiche, controllate dalla gerarchia ecclesiastica. Ma il riferimento alla “dottrina nova” riprende anche un passo del Vangelo di Giovanni (XIII, 34), poco precedente a quello citato sopra: “Mandatum novum do vobis, ut diligatis invicem; sicut dilexi vos, ut et vos diligatis invicem” [“Vi dò un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi gli uni gli altri”]. 29 20 25 30 38 Chi vòle entrare en questa danza39, trova amor d’esmesuranza40; cento dì de perdunanza a chi li dice vellania41. Chi girrà42 cercando onore, no n’è43 degno del Suo amore, ca44 Iesù ’nfra dui latruni en mezzo la croce staìa45. Chi va cercando la vergogna, bene me par che cetto iogna46; ià non vada plu47 a Bologna per ’mparare altra mastria48. Jacopone da Todi, Senno me pare e cortisia non sa ancora (ià non, dal latino iam non) quale bene sia. l’equiparazione dell’esperienza mistica della “pazzia” ad una “danza” (contrapposta alla scuola), con tutto ciò che di gioioso e corporale comporta, è l’invenzione poetica più convincente del testo. Tanto più che il termine riprende letteralmente quello provenzale – dansa – che designa la ballata, e quindi la lauda, con un effetto di forte suggestione. Proprio attraverso la danza, nel XVI secolo, giungevano all’estasi mistica i dervisci musulmani (dal turco dervis, dal persiano dervis, “mendicante”) di Konja, in Turchia. 40 a dismisura, senza limiti. In O iubelo del core , al v. 19, “parlanno esmesurato”, che definisce l’esito stilistico dell’ “esmesuranza”. 41 cento giorni d’indulgenza a chi lo insulta. Il paradosso, con un forte scarto rispetto al senso comune, vuole negare insieme la logica laica (“cortese”), e quella ecclesiastica, seguendo la “dottrina” della “pazzia”: alla dichiarazione d’accoglienza amorosa segue l’istigazione all’umiliazione del nuovo adepto. Ma la dottrina di Jacopone è perfettamente coerente: come sotto si vedrà, all’amore di Cristo, e quindi alla teologia dell’imitazione di Cristo, corrisponde la ricerca dell’umiliazione, secondo la modalità autolesionistica di cui alla nota 5. La citazione dell’indulgenza può anche avere una connotazione ironica, considerato che il suo uso temporale fu sempre al centro delle critiche volte alle gerarchie ecclesiastiche dai movimenti riformatori. “Vellania” si contrappone a “cortisia” della ripresa. 42 andrà 43 non è 44 perché (dal latino quia > qua in latino volgare, I sec. d. C.) 45 stava 46 giunga presto 47 più 48 per imparare un’altra dottrina 39
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