Il libro dei Sikh - Associazione Immigrati Cittadini onlus
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Il libro dei Sikh - Associazione Immigrati Cittadini onlus
PREFAZIONE Sikhi Sewa Society è una società al servizio delle persone, nata a Novellara, Reggio Emilia. Questa società è nata con l’intento costruire una migliore comprensione fra la cultura Sikh e quella italiana e tutte le altre presenti in Italia. L’idea di pubblicare un libro nacque quando celebrammo la nascita del Khalsa con manifestazioni in quasi tutta Italia. Durante queste manifestazioni tutte le persone guardavano passare tutti questi Sikh e cercavano di capire che cosa stesse accadendo e molti sfortunatamente non capivano. Tramite questo libro cerchiamo da una parte di spiegare le nostre tradizioni, usi e costumi, e dall’altra di costruire un miglior rapporto con gli altri. Spiegare tutta la storia di una cultura è molto lungo e pressoché impossibile scriverlo in un solo libro, quindi ci saranno in futuro altri saggi che cercheranno di coprire tutta la storia. Ci auguriamo di riuscire nel nostro intento e di appagare la curiosità dei lettori sulla nostra cultura. Cogliamo l’occasione per ringraziare di cuore tutti coloro che ci hanno aiutato a trasformare in realtà questa nostra idea. Quelli che hanno capito il perché fosse necessario la creazione di questo saggio e ci hanno dato una mano nella sua pubblicazione. E speriamo continuino a farlo anche in futuro. SIKHI SEWA SOCIETY I DIECI MAESTRI Guru Nanak Dev Ji Guru Nanak Dev ji, il fondatore della religione Sikh, nacque il 15 aprile del 1469 in un’era nella quale le continue invasioni, guerre, massacri, turbolenze stavano devastando il subcontinente asiatico sebbene l’India fosse governata dal Bahal Khan, il primo della dinastia Lodhi (1451-1526). Guru Nanak capì fin da subito che le tendenze distruttive e conflittuali avevano preso piede ovunque in tutta l’India e specialmente nella sua terra nativa, il Panjab. Egli era sicuro che solo la diffusione di una nuova religione avrebbe potuto calmare le turbolenze e iniettare allo stesso tempo fiducia e speranza fra le persone. Questo suo pensiero in seguito diede origine al Sikhismo. Questo nuovo credo offriva ai suoi seguaci una nuova vita e una nuova identità. Nato in una famiglia Indù, Guru Nanak aveva una mente molto acuta e quindi capiva molto bene tutto ciò che gli succedeva intorno già da piccolo. Quando portava il bestiame del padre a pascolare stava ore sedute ad ascoltare i saggi della zona; sebbene fosse un adolescente spiegava le proprie idee ad essi e molte delle volte sembrava essere più saggio di loro. Durante la permanenza di circa 8 anni a Sultanpur, Guru Nanak si sposò con Mata Sulakhni all’età di 19 anni e divenne padre di due figli maschi, Srichand e Lakhmidas. Il suo pensiero filosofico iniziò rapidamente a diffondersi e anche persone di paesi lontani venivano da lui per ascoltare le sue idee per accrescersi mentalmente. Ma Guru Nanak sapeva che aveva ancora molto da scoprire, capire ed imparare per poter comunicare con i suoi discepoli e portarli ad un’elevazione spirituale. Così decise di viaggiare per diffondere la propria idea e raccogliere consigli e visioni di altre persone. Iniziò i viaggi nel 1496 e rimase in viaggio per 28 anni, prima di ritirarsi spiritualmente sulle sponde del fiume Ravi, vicino a Lahore, dove rimase gli ultimi 15 anni della sua esistenza. La sua prima fase di viaggi fu svolta soltanto in India, da Hardwar a Banaras, Kampur, Jagganthpuri, India meridionale ed infine lo Sri Lanka. Nella seconda fase visitò terre straniere come il Tibet, Kabul, Mecca e Baghdad. Con queste esperienze ebbe modo di conoscere e capire le ideologie degli altri paesi del mondo in modo da poter dare dei contorni efficaci e ben definiti al modello di credo che voleva creare. Raccolse tutti i pensieri in inni che lui stesso scriveva. Questi inni si basavano sulla compassione dell’Induismo e sulla fratellanza dell’Islamismo ma allo stesso tempo ripudiava i sistemi di caste, che secondo lui erano la vera causa delle guerre. Ovunque andasse Guru Nanak sottolineava la sua credenza in un solo Dio, ed egli non stava solo nelle chiese, moschee a spiegare la religione ma andava perfino nelle case delle persone per spiegare a cosa aspirava il nuovo credo, ovvero il Sikhismo. Il termine Sikh deriva dal sanscrito shishya, che significa discepolo o devoto seguace; definizione in perfetta sintonia con le ideologie di credo del Guru. Dopo essere tornato dai suoi viaggi Guru Nanak si stabilì sulle sponde del fiume Ravi e costruì qui un villaggio chiamato Kartarpur. Qui i suoi fedeli aumentarono sempre più. Egli mise a fuoco un elevato numero di vergognose disparità sociali, che erano state consentite dalla società di quel tempo, in particolare la discriminazione contro le donne. Un suo inno su questa tematica, presente nel Guru Granth Sahib, libro sacro dei Sikh, testimonia il suo grado di preoccupazione: “perché dovremmo disprezzare la donna quando proprio grazie a lei sono nati grandi santi, re ed eroi? Senza di lei il genere umano non può andare avanti”. Questo grande uomo di straordinaria visione con una fermezza di pensiero che lo ha aiutato a raggiungere l’impossibile, terminò la propria esistenza terrena il 7 settembre 1539. Guru Angad Dev Ji Guru Angad fu il successore del fondatore del Sikhismo, che lo scelse a preferenza ai suoi due figli. Guru Angad dimostrò di essere un degno successore alimentando la nuova fede con piena consapevolezza delle sue potenzialità e del contributo che potrebbe apportare per l’India, nonostante il fatto che il subcontinente fosse già sede di molte grandi religioni. Il suo primo passo in assoluto fu quello di insistere sulla disciplina tra i seguaci della fede. Iniziò dunque l’attività di raccolta di tutti gli inni di Guru Nanak e 62 dei propri e li mise insieme sotto forma di libro. La lingua nella quale scrisse il libro fu il Gurmukhi (che viene utilizzato tutt’oggi per la scrittura e la stampa da parte di persone di fede Sikh). Gli inni furono composti in panjabi medievale, hindi e altre lingue di quel tempo. Questo libro può essere definito come il precursore del Guru Granth Sahib. Guru Amar Das Ji Quando Guru Angad decise di porre fine alla propria esistenza terrena, il 29 marzo 1552, gli succedette Guru Amar Das ji, suo carissimo discepolo. Guru Amar Das diede la priorità al rafforzamento organizzativo della fede Sikh soddisfacendo le esigenze del sangat (congregazione dei fedeli) che iniziava a formarsi in gran numero in molte parti dell’India. Come il numero di fedeli aumentò, il Guru organizzò il sangat in 22 manjis (circoscrizioni ecclesiastiche) che contribuirono a sviluppare la coesione e la continuità necessaria nella fede. Egli inoltre istituzionalizzò il concetto di langar, una cucina comunitaria aperta a tutti, indipendentemente dalla loro religione o casta. Ogni Gurdwara, tempio Sikh, ha annesso un langar. Il Guru decise di mangiare lì tutti i giorni insieme a tutti e quando l’imperatore Moghul Akbar lo venne a visitare, nel villaggio di Goindwal nel 1567, fece lo stesso, sedendosi alla pari di altra gente comune. Il contributo di Guru Amar Das per l’evoluzione del Sikhismo fu unico e di ampio raggio; per cominciare egli vide come primaria necessità la creazione di un codice di condotta utile a promuovere una nuova categoria di persone di alto livello e in grado di attuare le grandi riforme che egli aveva in mente, come l’emancipazione delle donne; lasciò che le vedove potessero risposarsi e sancì la nomina di donne come predicatrici. Proibì alle donne Sikh di esercitare il sati, l’auto-immolazione delle vedove su pire funerarie dei mariti, né potevano essere obbligate ad indossare il velo. Con queste e molte altre decisioni garantì la parità dei sessi e mise in evidenza la peculiarità culturale tra i Sikh e altri credi religiosi di quel posto, poiché nessuno di loro aveva mai mostrato una tendenza a dare alle donne il loro giusto posto nella società. Guru Amar Das fu uno studioso ed anche un pensatore, egli scrisse 907 inni che sono raccolti nel Guru Granth Sahib. Egli fece anche i primi passi nel costruire il più sacro di tutti i santuari Sikh, il tempio Harmandir Sahib, conosciuto anche come il Tempio D’Oro, scegliendo un’area con un’immensa piscina circondata da un boschetto e un’ampia varietà di flora e fauna. L’effettiva costruzione di un edificio destinato a diventare il nucleo emblematico del Sikhismo impiegherà svariati decenni e deve molto ai Guru quarto e quinto, rispettivamente Guru Ram Das e Guru Arjan Dev, ma fu Guru Amar Das che ideò il posto. Guru Ram Das Guru Amar Das decise di lasciare l’esistenza terrena il 1° settembre 1547 e passò il trono di Guru a Ram Das, nato il 24 settembre 1534 a Chunna Mandi, il quale aveva impressionato il terzo Guru identificandosi totalmente con i principi e le finalità del Sikhismo. Nessuno dei Guru usò la propria posizione di leader per condurre una vita privilegiata, anzi lavorarono sempre a fianco della congregazione nel langar, nella costruzione di nuovi luoghi di culto e quant’altro necessario da fare. Guru Ram Das diresse personalmente lo sviluppo della costruzione del Tempio D’Oro. Il suo primo passo fu quello di acquistare la piscina e gran parte del terreno circostante per la costruzione del Harmandir Sahib, la casa di Dio. Intorno al tempio nasceva la città santa di Amritsar, alla quale i Sikh, sia da vicino che da lontano, si recavano con grande gioia per ammirare il proprio amato santuario al centro dell’acqua, simbolo di immortalità. La città santa di Amritsar deriva il suo nome dal sanscrito amrit e sarovar; il primo che significa elisir di lunga vita o acqua santa e il secondo lago o piscina contenente acqua santa; uniti insieme AmritSar. Egli abbandonò la vita terrena il 1° settembre 1581 dando la carica di Guru a Arjan Dev. Guru Arjan Dev Ji Ciò che il quinto Guru, Arjan Dev, nato il 15 aprile 1563, realizzò nei 25 anni della sua gestione, si rivelò di importanza duratura per il futuro del Sikhismo. Svolse un ruolo fondamentale nel rafforzare i tendini della fede. In linea con la convinzione di base Sikh che “non ci sono Indù o Musulmani, siamo tutti uguali agli occhi di Dio”, egli invitò un santo musulmano da Lahore a porre la prima pietra di fondamenta del Harmandir Sahib nel 1588. Il Tempio D’Oro, strutturato su un solo piano, fu costruito sotto il livello del terreno circostante in modo che il livello basso dell’edificio sottolinei che noi esseri umani non siamo ai livelli di Dio, essendo lui al di sopra di tutto. L’Harmandir Sahib dimostra quello che è il principio della religione Sikh, ovvero che la casa di Dio è aperta a tutti; infatti al Tempio si può accedere da tutte quattro le direzioni, chiunque può entrarci, indipendentemente da casta o credo. L’entrata della struttura principale, quella che emerge sul sarowar, è però limitata da un’unica via d’accesso, questo perché sulla terra esiste una sola entità superiore. Oltre alla creazione del Tempio D’Oro e la città santa di Amritsar, il contributo filosofico alla fede di Guru Arjan Dev fu la compilazione delle sacre scritture Sikh sotto forma dell’Adi Granth, in seguito noto come il Guru Granth Sahib. Questa antologia non contiene solo i pensieri, inni e insegnamenti dei primi 5 Guru Sikh ma anche di filosofi e santi Indù e Musulmani come Kabir, Namdev, Ravidass, Sheik Farid, Jaidev e Surdas, e incarna così la più alta forma di evoluzione che gli uomini di saggezza avevano da offrire. Nessuna religione fino a quel momento aveva permesso che i pensieri e le idee di saggi appartenenti ad altre fedi potessero essere inclusi nel proprio libro sacro. Il Guru Granth Sahib sancisce inoltre il principio enunciato da Guru Nanak, cioè che “tutte le fedi devono essere rispettate per la loro nobiltà di intenti”. Gli sforzi prodigiosi di Guru Arjan Dev produssero un libro sacro di 1948 pagine, contenente più di 7000 inni, 2218 dei quali scritti da lui stesso. Nel Guru Granth Sahib sono presenti 31 ragas (uno schema di note melodiche della musica classica indiana) in modo che la razionalità dei pensieri è resa liricamente. Tutto questo non si sarebbe potuto fare senza la massima cura che Guru Arjan Dev dedicò per lo stile, la sintassi e il ritmo per assicurare un flusso naturale della lettura. Guru Arjan Dev posizionò il Guru Granth Sahib ad Harmandir Sahib nel 1604. Il successore dell’illuminato imperatore Moghul Akbar fu il figlio Jahangir che divenne presto l’autore di brutali azioni che cambiarono il corso della storia indiana per sempre. A differenza di suo padre, che era stato molto impressionato da ciò che la fede Sikh rappresentava, Jahangir diede sempre ascolto a uomini bigotti ed invidiosi che volevano porre fine non solo al Guru ma a tutti i Sikh, questo perché essi erano preoccupati per la velocità con la quale la comunità Sikh stava crescendo giorno dopo giorno, e con un gran numero di Indù e Musulmani che diventavano seguaci della nuova fede. Così il Guru fu catturato e gli venne proposto di convertirsi all’Islam per salvare la vita ma egli rifiutò e così Jahangir decise di torturarlo per dare una lezione a tutti i suoi fedeli. Guru Arjan Dev fu fatto sedere su una fornace con il fuoco acceso sotto e fu versata acqua bollente sul suo corpo. Più tardi il suo corpo bruciato fu gettato nel fiume Ravi, e questo accadde nel caldo 30 maggio del 1606. La forza d’animo e la serenità del Guru di fronte a questa tortura prese alla sprovvista i Moghul stessi. Guru Hargobind Sahib Ji Guru Hargobind nacque il 19 giugno 1595 e aveva soltanto 11 anni quando suo padre, Guru Arjan Dev ji si era sacrificato a Lahore per salvaguardare la religione Sikh. I contributi straordinari del padre per la religione Sikh avevano fatto una profonda impressione sul figlio. Egli si rivolse per ispirazione alla forza mentale e resistenza mostrate dal padre. La prima delle vaste conseguenze del martirio di Guru Arjan Dev fu l’effetto di rivendicazione sul giovane Hargobind che decise di convertire una comunità, fino ad allora abituata a scopi pacifici e spirituali, in una capace di salvaguardare i propri diritti di fronte alle ingiustizie imperiali; un compito molto impegnativo che Guru Hargobind riuscì a portare a termine sfruttando la rabbia che i Sikh avevano per il martirio di Guru Arjan Dev. Mano a mano che il numero di volontari disposti ad unirsi in battaglia aumentò, iniziarono a prendere forma i piani di Guru Hargobind. Egli mandò uomini in lungo e in largo per comprare cavalli e armi efficaci. Aprì anche campi di addestramento dove si insegnava il tiro con l’arco, equitazione, scherma, lotta corpo a corpo e altre tecniche di combattimento. Con una mossa lungimirante il giovane Guru introdusse il concetto di meeri e peeri: pari tempo doveva essere dedicato alle problematiche temporali, meeri, e spirituali, peeri. L’impatto di questo concetto sui Sikh fu immediato, in quanto offriva loro di seguire la fede e i suoi ideali e al tempo stesso di essere pronti a difenderli. Se il peeri viene attaccato verrà in aiuto la lama tagliente del meeri. Dopo la morte dell’imperatore Moghul Jahangir, il suo successore Shah Jahan si mostrò non meno ostile nei confronti dei Sikh. Molto presto nel suo regno, Shah Jahan ordinò la demolizione dei tempi Indù in costruzione e vietò la riparazione di quelli vecchi. Sempre sugli ordini dell’imperatore, il baoli di Guru Arjan Dev a Lahore, un pozzo contenente acqua potabile per tutti, venne riempito di terra e ci fu costruita sopra una moschea. Alla luce di queste azioni dell’imperatore, la decisione di Guru Hargobind di allontanarsi da Amritsar fu molto saggia. Si lasciò alle spalle un patrimonio unico, il Gurdwara, casa di preghiera del Sikhismo. I Sikh vanno in Gurdwara per ascoltare i brani del Guru Granth Sahib, in alternanza con shabads, inni, cantati dai sacerdoti Sikh, noti come ragi, con voce piena di riverenza. L’esperienza non può essere descritta ma solo sentita. Guru Hargobind, il santo-soldato che diede ai Sikh la reputazione di essere tra i migliori combattenti al mondo, lasciò l’esistenza terrena il 3 marzo 1644. Egli aveva notevolmente rafforzato l’autostima dei Sikh e dato loro un’identità rinnovata. Guru Har Rai Sahib Ji Hai Rai successe a suo nonno, all'età di 14 anni. Di indole diversa da Guru Hargobind, fu studioso, meditativo e immerso nelle Scritture. Aveva però un cuore d’acciaio, ed è stato risolutamente contrario a tutto ciò che gli sembrava una violazione della decenza umana. Ciò è dimostrato dal fatto che quest'uomo di pace prese una posizione inflessibile contro l'imperatore Moghul Aurangzeb, che avrebbe presto portato tutto il subcontinente indiano sotto il suo governo. Aurangzeb era un uomo crudele e dal pugno di ferro, incapace di perdonare chi lo affrontava a viso aperto. Per assicurarsi il trono, non ebbe scrupoli a finire i suoi fratelli e imprigionare il padre, l'imperatore Shah Jahan. Lo scontro di volontà tra Guru Har Rai e Aurangzeb avvenne quando l'ultimo fratello Dara Shikoh fu perseguitato dalle truppe dell'imperatore al fine di eliminarlo come concorrente al trono imperiale. Il Guru, che amava Dara per il suo liberalismo e l’inclinazione filosofica, inviò un contingente Sikh per deviare le truppe imperiali in modo che Dara potesse sfuggire, cosa che fece, anche se fu catturato subito dopo e messo a morte su ordine di Aurangzeb. Un irato Aurangzeb, ora saldamente fisso sul suo trono, mandò un invito a Guru Har Rai per incontrarlo. Egli rifiutò l'invito con queste parole: "Io non sono un re che porta omaggio a te, né ho il desiderio di ricevere qualcosa da te, né siamo nel rapporto di sacerdote e discepolo l'uno dell'altro, dunque perchè mi hai convocato?" Piuttosto che andare egli stesso, mandò il figlio Ram Rai ad incontrare Aurangzeb, ma gli disse che in nessun caso doveva accettare eventuali obiezioni che l'imperatore poteva sollevare agli scritti del Guru Granth Sahib. Purtroppo, Ram Rai esitò. Durante la lettura di un verso all'imperatore, ha consapevolmente travisato un pezzo che sentiva fosse visto come dispregiativo verso l'Islam. Quando suo padre venne a sapere ciò che egli aveva fatto, si rifiutò per sempre di vedere suo figlio per la sua temerarietà nel modificare un verso scritto da Guru Nanak. Guru Harkrishan Sahib Ji Nonostante Ram Rai fu il suo figlio maggiore, Guru Har Rai scelse il suo più giovane figlio Harkrishan, di cinque anni, a succedergli quando lasciò il 6 ottobre 1661 a Kiratpur. Guru Harkrishan consolò i discepoli e chiese a loro di non disperarsi ma di attenersi alle volontà dell’onnipotente. Si era seduto sul trono, una piccola figura, giovane, però matura e molto saggia. I Sikh lo riconobbero come l'immagine del Guru Nanak. Videro sul suo volto la stessa luce presente sul volto di Guru Nanak. Guru Harkrishan ebbe un'abilità rara nella spiegazione dei passaggi del Guru Granth Sahib. Affermava ai suoi discepoli la presenza di un unico Dio e chiese loro di imparare le virtù della pazienza, della carità e dell'amore. Così Guru Harkrishan continuò l'insegnamento dei precedenti Guru mantenendo intatto tutto ciò che aveva ereditato da loro. Il giorno del Vaisakhi, 29 marzo del 1662, egli portò un gran numero di seguaci Sikh a Kiratpur e il festival durò tre giorni. Il Guru fu invitato dal Re Jai Singh a visitarlo nella sua dimora a Delhi e Guru Harkrishan accettò l’invito. Guru Harkrishan attraversò Ropar, Banur e Ambala. Lungo la strada, continuò a dare insegnamenti religiosi ai seguaci che lo venivano a trovare. Quando egli era a Panjokhara, un Sikh disse al Guru “i suoi seguaci stanno venendo a trovarla da Peshawar, Kabul e Kashmir, rimanga qui un giorno in più in modo da concedergli la possibilità di incontrarla”. Il Guru acconsentì. Nel villaggio viveva un pandit (sacerdote Indù), Lal Chand, che si vantava della sua alta casta di appartenenza e della conoscenza che aveva di tutto e tutti. Egli venne a vedere il Guru e gli chiese “si dice che siete al trono del Guru Nanak, ma cosa conoscete dei vecchi libri religiosi?” Guru Harkrishan disse al pandit di portare una qualsiasi persona e il Guru avrebbe fatto spiegare da quella persona. Lal Chand giocò d’astuzia e portò al cospetto del Guru Ram Chhajju, l’analfabeta del villaggio e così il Guru gli chiese di spiegare al pandit il Bhagavadgita, un’antica scrittura Indù. Ram Chhajju stupì tutti con le sue spiegazioni sul libro sacro. L'orgoglio di Lal Chand si sbriciolò, egli cadde ai piedi del Guru. Poi sia lui che Ram Chhajju diventarono i discepoli del Guru e viaggiarono con lui fino a Kurukshetra. Lal Chand si convertì al Sikhismo e rimase affianco al Guru fino al decimo Guru, Guru Gobind Singh e prese il nome di Lal Singh e morì da eroe in una battaglia di Chamkaur del 7 dicembre 1705. A Delhi, Guru Har Krishan si fermò nella dimora del Re Jai Singh, che oggi è conosciuto con il nome di Gurdwara (tempio) Bangla Sahib. Tragicamente, Guru Harkrishan fu preso improvvisamente da un’attacco di febbre. La febbre segnò l'inizio di un attacco del vaiolo. La madre del Guru, Mata Sulakkhani, diventò molto triste, e disse “figlio, voi occupate il posto del Guru Nanak, siete colui che con uno sguardo fa sparire i malesseri degli altri, perché ora vi trovate malato?” Guru Harkrishan rispose “colui che ha preso questo corpo mortale deve anche soffrirne i difetti, sia la felicità che la sofferenza fanno parte di questa vita terrena. Qualunque sia l’ordine del Signore va accettato, nel bene e nel male”. Lei chiese ancora “come potrò vivere senza di te, figliolo?” Il corpo è deteriorabile - disse Guru Harkrishan - poiché imparate ad avere fede nella volontà di Dio, raggiungerete la pace eterna”. Il cuore di Mata Sulakkhani venne svegliato di fronte alle verità di queste parole e si liberò così dalle catene legate alla vita terrena. Guru Harkrishan era in una fase molto critica e riuscì soltanto a dire ai suoi discepoli le parole “Baba Bakale” che aveva il significato di dire che il Guru seguente si trova nella città di Bakala. Il riferimento era indirettamente inteso a Tegh Bahadur. Guru Harkrishan lasciò infine questa vita terrena il 30 marzo del 1664. Guru Tegh Bahadur Sahib Ji Il nono Guru, Tegh Bahadur, che successe a Har Krishan, nacque il 1° aprile 1621. Era il più giovane dei cinque figli di Guru Hargobind. Anche se si era ritirato a condurre la vita di un mistico nel suo villaggio di sua madre Mata Nanaki, aveva talmente impressionato il padre con il suo coraggio e la valorosa condotta nella battaglia di Kartarpur che Guru Hargobind aveva previsto, con una precisione impressionante, che lui, e suo figlio dopo di lui, avrebbero reso orgogliosi i Sikh. Tegh Bahadur fu un accanito viaggiatore. A causa della mobilità dei cittadini alla fede Sikh, i suoi viaggi andavano da Delhi, Mathura, Banaras e Allahabad a Gaya, Patna, Dacca e Dhubri (in Assam). Fu a Patna che suo figlio Gobind - il decimo e ultimo Guru - nacque. Il suo ritorno a Chak Nanaki nel Punjab nel 1672 vide la fine dei suoi viaggi. Chak Nanaki in seguito guadagnò fama con il nome di Anandpur Sahib dopo aver costruito lì una formidabile roccaforte su un alto promontorio ai piedi dell'Himalaya nello stato di Bilaspur. Ma a quel punto il profilo di una grande tragedia stava cominciando ad emergere, alimentato dall'intolleranza religiosa di Aurangzeb. Nel aprile 1669 l'imperatore diede ordini ai governatori di tutte le province del Mughal di demolire le scuole e templi degli infedeli e con la massima urgenza di sopprimere gli insegnamenti e la pratica pubblica della religione di questi miscredenti. Nel Kashmir questa politica sconsiderata, che doveva avere un effetto altamente destabilizzante e prendere un tributo enorme di vite umane, è stata attuata con crudeltà eccezionale da parte del governatore di quella provincia, Iftikhar Khan. Egli usò la forza per convertire i pandit (sacerdoti Indù) del Kashmir all'Islam. Presi dalla disperazione essi decisero di chiedere aiuto a Guru Tegh Bahadur. Il Guru dopo aver rassicurato e mandato a casa i sacerdoti, confermando che avrebbe protetto la loro religione dalle grinfie dell’Islam, il 25 maggio del 1675, decise di andare ad Agra per parlare con l'imperatore Aurangzeb che disse al Guru “o perdi la vita o la religione” e Guru Tegh Bahadur rispose “posso perdere anche la testa ma non la mia religione”. E così fu, Aurangzeb fece decapitare il Guru che riuscì però comunque a salvaguardare la religione Indù dalle grinfie dell’Islam. La testa del Guru fu portata ad Anandpur, dove viveva il Guru con la sua famiglia, da un suo fedele Sikh, Bhai Jetta, che la consegnò al figlio Gobind Rai, che decise che avrebbe dato un nuovo volto a questa religione e ai Sikh e divenne il decimo Guru, Guru Gobind Singh ji. Guru Gobind Singh Ji Aveva soltanto nove anni quando Guru Tegh Bahadur si scarificò per salvaguardare la fede Indù. Guru Gobind Singh si proclamò Guru il giorno di Vaisakhi il 29 marzo del 1676. Come Guru prestò molta attenzione alla padronanza delle abilità sia fisiche che letterarie. Ebbe un talento naturale per le composizione poetiche ed i suoi primi anni furono dedicati assiduamente a questo. Molto del lavoro letterario di Guru Gobind Singh fu svolto a Paonta, luogo sul quale si era temporaneamente spostato nell'aprile del 1685. Per Lui la poesia era un mezzo per rivelare il principio divino e far concepire una visione del Supremo ed unico Dio. Con la sua poesia predicò l'amore e l’uguaglianza e un codice di comportamento rigorosamente etico e morale, disapprovando le credenze nelle superstizioni. La spada non ha mai avuto il significato di aggressione e deve essere usata soltanto per auto-difesa. Era l'emblema della salvaguardia dell’umanità nei momenti più gravi. Guru Gobind Singh scrisse anche nel suo Zafarnamah “Quando tutti gli altri mezzi contro la tirannia falliscono è lecito usare la spada”. Durante il suo soggiorno a Paonta, Guru Gobind Singh si servì del suo tempo libero per esercitarsi nelle varie forme militari, quali l’equitazione e il tiro con l’arco. La sua aumentata influenza sulla gente e gli addestramenti marziali dei suoi uomini incrementarono la gelosia dei rivali Moghul che con Raja Fateh e Chand Garhval attaccarono i Sikh ma uscirono sconfitti da questa battaglia a Bhangam, circa 10 chilometri da Paonta, il 18 settembre del 1688. Prima di lasciare Paonta, Guru Gobind Singh, soprannominò i Sikh Singh, leone, e gli fu richiesto di portare sempre con sé i cinque simboli del Khalsa, tutti che iniziano con la lettera K; i Kesh, ovvero i capelli e barba mai tagliati, neppure ritoccati o spuntati; il Kangha, un pettine piccolino che si può mettere fra i capelli per mantenerli ordinati; il Kara, un braccialetto d'acciaio; il Kachera, boxer un po’ più larghi del normale; il Kirpan, piccolo pugnale. I Sikh furono incoraggiati a soccorrere i poveri e a combattere gli oppressori, per avere fede in un unico Dio e per considerare tutti gli esseri umani uguali, indipendentemente dalle caste e dalla dottrina religiosa. Guru Gobind Singh stesso ha ricevette il rito di inizializzazione dai cinque beniamini, così l’autorità del Khalsa cambiò il suo nome da Gobind Rai a Gobind Singh. Molti poeti recitano “Gobind Singh, maestro e discepolo allo stesso tempo”, un azione mai registrata fino ad allora da parte di un entità così elevata. Altri dettagli importanti per essere un vero Sikh sono che essi non devono fare uso di tabacco ed alcolici. Un Sikh non deve avere rapporti sessuali fuori dal legame coniugale, non deve mangiare carne, né pesce. Dopo l’attacco ad Anandpur Sahib la famiglia del Guru si separò e i due figli più giovani, Zorawar Singh (nato il 1696) e Fateh Singh (nato il 1699), e la madre, Mata Gujri, vennero ospitati dal loro servo, Gangu, che poco dopo li denunciò alle forze Moghul del Sirhind in cambio di denaro. Così i bambini vennero uccisi perché non volevano convertirsi all’Islam il 13 dicembre del 1705 e la loro nonna, Mata Gujri, lasciò il proprio corpo lo stesso giorno. Guru Gobind Singh aiutato da un musulmano Ral Kalha di Raikot, raggiunse Dina nel cuore del Malva. Lì arruolò alcuni guerrieri ed compose inoltre la famosa lettera, Zafarnamah ovvero epistola di vittoria, indirizzata all'imperatore Aurangzeb. La lettera era un atto d'accusa per l’imperatore e i suoi comandanti che non mantenerono il loro giuramento, di finire tutte le rivalità se il Guru e il suo esercito avessero lasciato la città di Anandpur, ma al contrario attaccarono la città di Anandpur. Da Dina, Guru Gobind Singh continuò il suo viaggio fino a che riuscì a prendere posizione su entrambi i lati del lago di Khidrana, così da poter fare un’ultima battaglia finale. Il combattimento del 29 dicembre 1705 fu molto duro ed atroce. Nonostante il gran numero di soldati, le truppe dei Moghul non riuscirono a bloccare il Guru e dovettero battere in ritirata. La parte più valorosa in questa battaglia fu svolta da un gruppo di 40 Sikhs; loro che avevano abbandonato il Guru a Anandpur durante il lungo assedio dei Moghul, che però quando tornarono dai loro famigliari vennero rimproverati da quest’ultimi perché avevano lasciato il Guru da solo, e così sotto la direzione di una donna coraggiosa e determinata, Mai Bhago, riuscirono a riacquistare fiducia in se stessi e tornarono dal Guru. Essi combatterono da eroi per controllare l'avanzamento del nemico verso la posizione del Guru. Il Guru dopo la battaglia benedì i 40 Sikhs come 40 mukte, cioè i 40 liberatori. Dopo avere passato un po’ di tempo nella giungla di Lakhi, Guru Gobind Singh arrivò a Talvandi Sabbo, ora denominata Damdama Sahib, il 20 gennaio del 1706. Durante il suo soggiorno di oltre nove mesi, un certo numero di Sikh lo raggiunse. Preparò una nuova recensione del Guru Granth Sahib, con Bhai Mani Singh, come suo scrittore. L’epistola, Zafarnamah, trasmessa da Guru Gobind Singh, fece rifletter l'imperatore Aurangzeb che immediatamente lo volle invitare per una riunione e mandò una lettera per il Guru. Guru Gobind Singh ricevette la lettera che lo convocava a Deccan. Egli era in prossimità di Baghor, nel Ragiastan, quando arrivò la notizia della morte dell'imperatore Aurangzeb ad Ahmadnagar il 20 febbraio 1707. Il Guru decise allora di ritornare nel Panjab, passando da Shahjahanabad (Delhi). Nel frattempo i due figli dell'imperatore defunto stavano litigando per via della successione. Guru Gobind Singh dichiarò una preferenza per il fratello maggiore, il principe liberale Muazzam, che salì poi al trono con il titolo di Bahadur Shah. Il nuovo imperatore invitò Guru Gobind Singh per una riunione di ringraziamento che avvenne ad Agra il 23 luglio 1707. L'imperatore Bahadur Shah volle muoversi contro il Kachhvaha Rajputs di Ambra (Jaipur) posto in cui suo fratello più giovane, Kam Baksh, aveva sollevato la sommossa contro di lui e il Guru decise di accompagnarlo. I due accampamenti attraversarono il fiume Tapti fra il 11 e 14 giugno 1708 e il Ganga il 14 agosto, arrivando a Nanded, sul Godavari, verso fine agosto. Mentre Bahadur Shah continuò la marcia, Guru Gobind Singh decise di rimanere per un po’ a Nanded. Qui venne a contatto di un uomo di Bairagi, Madho Das, il quale si convertì al Sikhismo e prese il nome di Gurbakhsh Singh (Banda Singh Bahadur, nome col quale è conosciuto al giorno d’oggi). Guru Gobind Singh diede a Banda Singh cinque frecce dalla propria faretra e cinque dei suoi Sikh e disse di andare nel Panjab per continuare la campagna contro la tirannia dei sovrani della zona. Nawab Wazir Khan di Sirhind si ingelosì vedendo l'imperatore e il Guru stare fianco a fianco e così incaricò due dei suoi più fidati uomini di assassinare il Guru prima che l’amicizia con l’imperatore aumentasse. Uno dei due colpì il Guru nella parte sinistra sotto il cuore quand’egli stava riposando nel suo alloggio dopo la preghiera serale del Rehraas. Prima che tentasse un altro colpo, Guru Gobind Singh lo uccise con la sua spada, mentre il suo compagno fuggente fu preso dalle spade dei Sikh che stavano venendo in soccorso al Guru. Appena la notizia raggiunse l’accampamento di Bahadur Shah, egli inviò subito dei chirurghi esperti per assistere il Guru. La ferita fu cucita e sembrò guarire rapidamente ma un giorno Guru Gobind Singh tirò con forza un arco molto rigido e la ferita si riaprì. Ciò indebolì molto il Guru che decise di lasciare il corpo, il 7 ottobre 1708, ma prima di farlo consegnò ai Sikh il loro nuovo e definitivo Guru, il libro sacro, Guru Granth Sahib. Da quel momento in poi i Sikh dovevano fare ricorso solo alla parola divina e non ci sarebbe più stata una figura umana per loro. IL GATKA Il Gatka è un arte marziale la cui diffusione tra i Sikh iniziò ai tempi del sesto Guru, Guru Hargobind (1595-1644), quando la popolazione Sikh minacciata di genocidio dall’Impero Moghul, assunse un carattere guerriero, per difendere la propria sopravvivenza, utilizzando inizialmente le antiche tecniche di combattimento del Kalari Payat, trasformandole via via in un nuovo e originale sistema di combattimento, Il Gatka (La Grazia). Guru Gobind Singh, decimo Guru, fu poeta, filosofo, guerriero e anche un grande riformatore sociale che riorganizzò la comunità Sikh per combinare la spiritualità con le arti marziali. Egli istituì il Khalsa (comunità Sikh) che era costituita da veri e propri guerrieri pronti a dare la propria vita pur di difendere sé stessi, le proprie famiglie e la loro fede, contro gli attacchi dei musulmani. “tu userai la spada se sarai nel giusto”, disse il decimo Guru. Il binomio santo-soldato caratterizzava in modo appropriato il guerriero appartenente alla comunità Khalsa. Guru Gobind Singh promosse lo studio delle arti marziali tra i Sikh e spronò nell’allenamento del Gatka tutti i Sikh, uomini, donne e bambini. La disciplina del Gatka venne insegnata come un vero e proprio esercizio spirituale. Lo strumento principale di questa arte marziale è la spada, ma vengono utilizzate tutte le armi e anche le mani nude. La spada nel Gatka viene usata secondo il movimento del moto infinito, basato sulla forma dell’otto ripiegato. Questo movimento permette di cambiare i piani di attacco e difesa, senza mai interrompere il moto della spada. Si viene così a generare una sorta di sfera intorno al guerriero in cui esso è libero di cambiare obiettivo o funzione. In questo modo il praticante sarà anche libero di usare tutte e due le braccia, muovendosi insieme alla sfera che lo circonda e lo protegge, in tutte le direzioni del piano. Il controllo dello spazio interno ed esterno, e l’utilizzo di tutte le armi, permette al gatkar (allievo o praticante) di affrontare più avversari contemporaneamente, creando un sistema di difesa completo a 360°. Questa caratteristica del Gatka contribuì al successo di questa arte marziale nella lotta dei Sikh contro l’Impero dei Moghul. La conoscenza di questa arte marziale è stata successivamente diffusa in Occidente grazie al Maestro Yogi Bhajan (1929-2004) che ne ha trasmesso tecniche e filosofia. Oggi in India la trasmissione di questa arte marziale è strettamente collegata alla tradizione Sikh, mentre in Occidente il Gatka, rappresenta anche una disciplina in grado di dare al praticante degli strumenti che utilizzerà per raggiungere un equilibrio psico-fisico. Attraverso i movimenti e le tecniche del Gatka, l’allievo è in grado di pervenire ad un equilibrio della mente negativa e della mente positiva, favorendo così il bilanciamento della mente neutra. Con la ripetizione di precisi schemi di movimento, in un determinato stato di coscienza, il discepolo può allargare il proprio spazio personale, espandere i propri confini e le proprie opportunità, in senso fisico, mentale, emotivo e sociale. In India il Gatka nacque per combattere il nemico fuori, mentre in Occidente la sua pratica insegna a confrontarsi anche con il nemico dentro di noi, l’inconscio, che se inesplorato può divenire pericoloso, ma se conosciuto, può essere gestito e diventare fonte di forza. CHI É UN SINGH Singh deriva dal sanscrito sinha, che significa leone, ed è una componente essenziale del nome maschile di un Sikh. Ogni nome maschile Sikh deve terminare con Singh. Storicamente, questo fu ordinato da Guru Gobind Singh a tutti i Sikh, il giorno del Vaisakhi, il 30 marzo 1699, quando egli inaugurò il Khalsa (comunità Sikh). Mantenere il cognome Singh ha il significato di liberarsi da qualsiasi casta, perché nel subcontinente dell’Asia meridionale, il cognome identifica la casta di appartenenza. Quindi con l’utilizzo di un solo cognome, Singh, si elimina qualsiasi discorso legato alle caste nelle famiglie Sikh. Ogni maschio Sikh da allora porta Singh come parte del suo nome. Questo era anche un modo di inculcare tra i Sikh uno spirito di fratellanza. Indossando i simboli distintivi, le cinque K, con una barba fluente e un turbante ben legato sulla testa, un Singh mostra un alto valore morale ed etico. Come gli eventi successivi dimostrano, i Singh divennero una forza coesiva ammirata anche dai loro nemici per le loro doti di coraggio. Al giorno d’oggi, tutti i Sikh vengono chiamati Singh anche prima della formale iniziazione che avviene tramite l’Amrit, battesimo, quindi si può capire che Singh possono essere in tanti ma Sikh sono solo coloro che sono battezzati. Perciò la differenza fra Sikh e Singh è che il primo ha un significato puramente spirituale mentre il secondo è più un uso comune fra persone del Panjab e non solo. IL PERCHÉ DEL COGNOME KAUR Kaur, significa in Panjabi "principessa" ed è ampiamente usato come secondo nome dalle femmine Sikh. Come per i maschi anche questa usanza fu introdotta il giorno di Vaisakhi dal decimo Maestro, Guru Gobind Singh. Con questa azione venne confermato ulteriormente l'uguaglianza di sessi voluta dal fondatore del Sikhismo, Guru Nanak. Kaur fornisce alle donne Sikh uno status uguale a tutti gli uomini. Poiché il numero dei Sikh nel mondo è in continuo aumento questo pone un problema di duplicità di nomi, e capita molte volte di trovare individui che hanno gli stessi nomi esatti. Per ovviare a questo problema, alcuni Sikh hanno iniziato ad aggiungere il nome del loro paese di origine come il cognome in modo di evitare il problema di avere più persone con lo stesso nome. Tuttavia questa aggiunta ha solo un senso logico perché non è chiaro quale sistema sia quello conforme al principio stabilito dal Guru. IL GURDWARA Il tempio Sikh è chiamato Gurudwara (abitazione del maestro). In ognuno di essi è insediato, nella sala principale, usata per la preghiera e per il servizio quotidiano, il volume della Sacra Scrittura Sikh, il Guru Granth Sahib. Il Gurdwara è aperto a tutti ed ognuno, indipendentemente da casta, credo, cultura o nazionalità, può visitarlo. Prima di entrare in un Gurdwara si devono togliere le scarpe e bisogna coprirsi la testa. Appena entrati nella sala principale, ci si avvicina al Libro Sacro e ci si inchina di fronte ad esso in segno di riverenza e poi ognuno va a sedersi per ascoltare la preghiera. Ogni Sikh, sia uomo che donna, può leggere la preghiera o compiere i servizi liturgici. I servizi cominciano col canto degli inni con accompagnamento di strumenti musicali. In speciali occasioni il canto è intercalato da letture di poemi o altre composizioni che esaltano eventi particolari della storia Sikh. I servizi si concludono con l’Ardaas (supplica), la preghiera che invoca la benedizione di Dio per la pace, prosperità e protezione di tutta l’umanità. Dopo le preghiere, viene letto un brano detto hukumnama dal Guru Granth Sahib, che è una frase che indica un compito per la comunità Sikh, dopodiché viene distribuito alla congregazione il karahparshad, un budino di semolino, fatto di burro, farina, zucchero ed acqua. Presso ogni Gurudwara si innalza il nishan sahib, una bandiera di color arancione con su il disegno del khanda, la spada a doppio taglio che simboleggia la combinazione del potere temporale e di quello spirituale nel modo di vivere Sikh. Ogni città o cittadina, è fornita di uno o più Gurdware, quanti si considera necessari. Tutti hanno la stessa santità, anche se alcuni, oltre ad essere luoghi di preghiera, hanno anche importanza storica. I cinque Gurdware più importanti sono conosciuti come i cinque takhat, cioè troni o sedi d’autorità. Essi sono: Takhat Patna Sahib che si trova nel Bihar, Takhat Kesgarh Sahib ad Anandpur Sahib, Takhat Damdama Sahib a Talwandi-Sabo in Panjab, Takhat Hazur Sahib a Nanderd in Maharashtra e infine l’Akal Takhat Sahib in Amritsar, che è il più importante e sacro luogo Sikh. Nel Sikhismo non c’è una classe sacerdotale. Tuttavia, colui che compie il servizio divino quotidiano è chiamato Granthi, curatore del Guru Granth Sahib e coloro che cantano gli inni sono chiamati Ragi e il canto medesimo è detto Kirtan, cioè lode del signore. Sangat e Pangat I due aspetti più importanti di un Gurdwara sono il Sangat, congregazione dei fedeli e il Pangat ovvero cucina della comunità, conosciuto quest’ultimo anche col nome di Guru-ka-Langar. Questa cucina della comunità è stata stabilita con lo scopo di provvedere cibo a tutti i devoti, pellegrini e visitatori o ospiti. È simbolo di eguaglianza, fraternità e cameratismo. È qui che, sia l’alto che il basso, il ricco e il povero, il colto e l’ignorante, re e straccioni, condividono tutti lo stesso cibo seduti insieme sullo stesso piano lungo la stessa fila. Questa cucina è mantenuta da un contributo comune versato da tutti i Sikh. L’istituto del Langar (cucina comune), è uno dei mezzi più efficaci per creare uguaglianza sociale in tutto il genere umano. LA VITA QUOTIDIANA DI UN SIKH Ogni Sikh dovrebbe alzarsi la mattina presto prima dell’alba. Dopo aver fatto il bagno, dovrebbe meditare sul nome di Dio. “alzati presto e medita sul nome, si, trattieniti sul Signore notte e giorno, allora non soffrirai alcun dolore e tutte le tue preoccupazioni svaniranno” (Guru Granth Sahib, p.255). Ogni giorno vengono recitate le seguenti composizioni, preghiere: Di mattina: Japji Sahib, Jaap Saihb, Tavparsad Swayie, Chaupaee Sahib ed Anand Sahib La sera: Rehraas Sahib Di notte, prima di coricarsi: Sohila Sahib Si richiede ad un Sikh di andare al Gurdwara tutti i giorni, ove possibile. Cerimonie dei Sikh Le cerimonie più importanti per i Sikh sono quelle associate alla nascita, col dare il nome al bambino, l’Amrit (battesimo), Anand Karj (matrimonio) e i riti per i defunti (funerali). Non ci sono rituali specifici per queste cerimonie; il loro unico aspetto è la recitazione dei Shabad (inni sacri) dal Guru Granth Sahib. Presso i Sikh i morti vengono cremati e le loro ceneri sono gettate nel canale o nel fiume più vicino. Nessuna santità è attribuita a fiumi particolari ed è inoltre proibito erigere monumenti sui resti di un morto. Tutte queste cerimonie, qualunque sia il loro scopo immediato, hanno un unico obiettivo comune, cioè di ricordare la relazione di ciascuna persona con Dio. Esse sono concepite come mezzi verso un fine determinato, cioè l’unione dell’anima con il signore. Amrit, Battesimo Sikh L’Amrit è un dovere per ogni Sikh. Non è fissata nessuna età massima o minima per essere battezzati. Un Sikh si impegna a mantenere i principi della sua fede e a seguire il Codice di Condotta prescritto dai Guru. Ogni persona, uomo o donna che sia, di qualsiasi nazionalità, etnie o stato sociale, che aderisca ai principi della Fede, ha il diritto di ricevere il battesimo e di entrare nella Comunità Sikh: il Khalsa Panth. Una Sikh una volta battezzato deve portare sempre con sé le cinque k, che sono: Kesh (capelli e barba lunghi), Kanga (un piccolo pettine), Kara (un braccialetto di ferro), Kachera (un particolare tipo di sottoveste, biancheria intima) e Kirpan (un pugnale). Sono proibiti ogni tipo di intossicamenti, come alcool, tabacco e derivati; spuntarsi o tagliarsi i Kesh; mangiare qualsiasi tipo di carne, pesce. L’adulterio è considerato peccato; un Sikh deve considerare la moglie di un altro uomo alla stregua di una sorella o madre, e la figlia di un altro come sua. La stessa regola è applicata anche alle donne. Anand Karj, Matrimonio Secondo la religione Sikh, il legame matrimoniale è un sacramento, un’unione santa e non un contratto. “non sono moglie e marito coloro che soltanto si siedono vicini; invece lo sono coloro che hanno un solo e unico spirito comune in loro” (Guru Granth Sahib, p.788). Il Sikhismo non crede nel celibato. La condizione matrimoniale e la vita di famiglia è considerata onorevole, naturale e addirittura ideale. Il matrimonio della coppia Sikh è solennizzato dalla circumambulazione del Guru Granth Sahib per quattro volte. Ogni volta un Shabad, è recitato dal prete Sikh che officia nella cerimonia. Il prete, quindi, raccomanda alla coppia di modellare la loro relazione coniugale sul modello prescritto in questi quattro Shabad. La stessa cerimonia, senza cambiamenti, è eseguita per il nuovo matrimonio di una vedova o di un vedovo. Festività I Sikh celebrano i seguenti giorni festivi: Gli anniversari di nascita e morte dei dieci Guru; il giorno dell’insediamento del Sacro Granth come guida; la nascita (formazione) del Khalsa, il Vaisakhi; i giorni del martirio di quei Sikh che si sono distinti sacrificandosi per la loro religione o in difesa degli oppressi; i giorni connessi agli eventi importanti della storia dei Sikh. IL TURBANTE Per i Sikh il turbante è sacro e non è considerato come un cappello o copricapo qualsiasi. I Guru hanno istruito tutti i Sikh a mettere il turbante ed hanno sacrificato la loro vita per proteggere questo onore. Il turbante dice agli altri che siamo diversi. Il nostro aspetto distinto di Sikh non solo ci fa pensare più spesso sul nostro comportamento e la sua riflessione su una società più ampia, ma ci suscita anche riflessioni sui nostri stessi ideali e rispecchiano gli insegnamenti del Guru Granth Sahib. Il turbante è lì a ricordarci della nostra connessione a Dio. Contestualizza noi come devoti di Dio e ci dà un modo per vivere in segno di gratitudine per questo dono di riconoscimento. Questa responsabilità di essere riconosciuti è anche un modo di mantenere le distanze dalle abitudini autodistruttive, come fumo, alcool, tabacco e altri tipi di sostanze nocive alla salute. Non esiste altra religione al mondo che indossi il turbante come una dimostrazione quotidiana di Identità. Il turbante di un Sikh è la sua funzione primaria di identificazione. Si tratta di una dichiarazione di appartenenza al Guru, ed è una dichiarazione di impegno interiore di chi lo indossa. I capelli e barba mai tagliati e il turbante sono una dichiarazione di vivere in conformità e, ove necessario, morire a sostegno, degli insegnamenti dei Guru Sikh e al Guru Granth Sahib. I Sikh non attribuiscono particolari significati al colore o alla forma del turbante i quali dipendono dallo stile regionale; indossare il turbante simboleggia il rispetto per Dio e per sé. Avere il turbante non significa automaticamente essere un buon Sikh. Il Sikhismo si esprime attraverso l’amore che si ha per Dio e nell’agire in modo corretto; senza queste qualità la firma esteriore non significa nulla. Un’uniforme regale deve essere accompagnata da azioni regali. OPINIONI DI ALTRE PERSONE RIGUARDO IL SIKHISMO Ho studiato le scritture delle più grandi religioni, ma non ho mai trovato altrove la stessa capacità attrattiva nei confronti di cuore e mente che invece ho trovato in questi volumi. Essi sono concisi, nonostante la loro lunghezza e sono una rivelazione delle ampie conquiste del cuore umano, spaziando dal più nobile concetto di Dio fino al riconoscimento e anche all’insistenza sulle necessità effettive del corpo umano. C’è qualcosa di insolitamente moderno in queste scritture e questo mi ha sorpreso, finché non ho saputo che esse sono in effetti moderne, in confronto ad altre Sacre Scritture. Forse questo senso di unità è l’origine di quella forza che io trovo in questi volumi. Essi parlano a persone atee o di qualsiasi religione. Essi parlano al cuore dell’uomo e alla mente indagatrice. (Sig.ra Pearl S. Buck, ricercatrice) Il Sikhismo è una fede del messaggio universale, indirizzato a ogni individuo. Ciò è ampiamente illustrato nelle scritture dei Guru. I Sikh devono smettere di considerare la loro fede come semplicemente una buona religione fra tante ma cominciare a pensarla come la religione di questa new age. La religione predicata da Guru Nanak è quella della new age. Essa soppianta completamente e soddisfa ogni precedente legge delle religioni a lei precedenti. Le altre religioni contengono la verità, ma il Sikhismo contiene la pienezza della verità. Solo il Guru Granth Sahib afferma, fra tutte le altre scritture religiose esistenti al mondo, che esistono altri mondi e universi oltre al nostro. Le precedenti scritture erano tutte concentrate solo su questo mondo e sulla parte complementare di tipo spirituale. Pensare che parlino di altri mondi così come fa il Guru Granth Sahib significherebbe estendere i loro evidenti significati fuori dal contesto. La religione Sikh è davvero la risposta ai problemi dell’uomo moderno. (Prof. H.L. Bradshaw) La religione del Guru Granth Sahib è una religione universale e concreta. A causa di pregiudizi sui Sikh essa non ha potuto diffondersi nel mondo. Il mondo oggi necessita del suo messaggio di pace e amore. (Archer) Guru Nanak non credeva che ci fosse un Dio per gli Indù, per i Musulmani e un Dio o più dei per i Pagani. Per lui Dio era difficile da nominare perché, unico, indivisibile, a sé stante (generatosi autonomamente, non derivato da altro), senza tempo, onnipresente e perfetto. Questa era l’idea che Guru Nanak aveva del creatore e di colui che sostiene il mondo materiale, e questa concezione era tale da superare tutte le distinzioni meschine di credo, di setta, di dogma e di rituali. La realizzazione di tale Dio infrange le sofisticherie dei teologi ed i cavilli dei dialettici. Depura la mente dalle oscurità di valutazioni astruse su minuzie e permette al cuore di esercitarsi nella comprensione umana. (Frederic Pinot, Studioso Inglese) “oh Dio, dacci luce, dacci la capacità di capire, in modo che possiamo sapere quello che ti piace. E possano tutti (l’umanità intera) prosperare attraverso la tua grazia.” Waheguru Ji Ka Khalsa, Waheguru Ji Ki Fateh (lodate il Khalsa di Dio, vittoria a Dio). Il Sikhismo è una religione pratica, una fede di speranza ed ottimismo. I suoi ideali formano una larga parte degli elementi più progressivi dell’umanità di oggi. Ella mostra al genere umano come condurre una vita valida e utile nel mondo, e questo la eleva allo stato di fede del mondo universale. Per ulteriori informazioni o qualsiasi altra cosa potete inviarci una mail all’indirizzo seguente: [email protected] Ringraziamo ancora una volta tutti i lettori, grazie di cuore.
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