Il difficile equilibrio tra principi civilisti e T.U.I.R.: Risvolti operativi Le
Transcript
Il difficile equilibrio tra principi civilisti e T.U.I.R.: Risvolti operativi Le
Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” Il difficile equilibrio tra principi civilisti e T.U.I.R.: Risvolti operativi Le Rimanenze di merci e materie prime Supervisione Comitato scientifico – Area Fiscale Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” Commissione di Studio UNGDCEC “Imposte Dirette” Delegato di Giunta Raffaella Messina Presidente Ida Palmieri Segretario Pierluigi De Benedittis Il presente documento è stato redatto dai seguenti membri della Commissione: Gruppo di coordinamento: Maria Carmela Ceravolo Vincenzo Cristarella Massimiliano Lombardi Stefania Nitti Ida Palmieri Contributi di: Roberto Gennari Anna Ilaria Giuliani Pamela Pennesi Virginia Tosi Con la Supervisione del Comitato Scientifico- Area Fiscale – Fondazione centro Studi UNGDC Michele Rossini Elisabetta Bombaglio Maesa Morelli Patrick Novembre 2 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” Sommario INTRODUZIONE .......................................................................................................................................................... 4 1. IL PRINCIPIO DI DERIVAZIONE NELLA REDAZIONE DEL BILANCIO CIVILISTICO DELLE PMI. ...................................... 6 1.1 PRINCIPI GENERALI ........................................................................................................................................................ 6 2. LE RIMANENZE DI MERCI E DI MATERIE PRIME NEL T.U.I.R. ................................................................................. 15 2.1 LA DISCIPLINA FISCALE GENERALE .................................................................................................................................... 15 2.1.1 - I beni oggetto di valutazione ....................................................................................................................... 16 2.1.2 La valutazione dei beni effettuata a costi specifici ......................................................................................... 17 2.1.3 - La valutazione dei beni valutati non effettuata a costi specifici .................................................................. 18 2.1.4 - La valutazione delle rimanenze dei semilavorati e dei beni in corso di lavorazione ................................... 21 3. FACILE O DIFFICILE COORDINAMENTO TRA NORMATIVA CIVILISTICA E FISCALE ................................................... 22 3.1 PRINCIPI GENERALI ...................................................................................................................................................... 22 3.2 CAPITALIZZAZIONE DEGLI ONERI FINANZIARI E I CONTRIBUTI IN CONTO ESERCIZIO PER L’ACQUISTO DELLE RIMANENZE....................... 23 3.3 MODIFICABILITÀ DEI CRITERI DI VALUTAZIONE ................................................................................................................... 26 3.4 SVALUTAZIONE DELLE RIMANENZE .................................................................................................................................. 27 3.4.1 - La R.M. 78/E del 12 novembre 2013 e La Circolare 10/E del 14 maggio 2014............................................. 29 3.5 RILEVANZA DELLE INDICAZIONI RIPORTATE NELLA NOTA INTEGRATIVA AL BILANCIO: L’ORIENTAMENTO DELLA CORTE DI CASSAZIONE.. 33 3.6 METODO DEL PREZZO AL DETTAGLIO ............................................................................................................................... 36 3.7 CENNI IN MERITO ALLE MODIFICHE APPORTATE DAL D.LGS.139/15 A SEGUITO DEL RECEPIMENTO DELLA DIRETTIVA 2013/34/EU CON SPECIFICO RIFERIMENTO ALLE RIMANENZE .............................................................................................................................. 37 4. INDICAZIONI OPERATIVE....................................................................................................................................... 38 4.1. I PRINCIPALI ASPETTI DA SOTTOPORRE A CONTROLLO ANCHE ALLA LUCE DEI CONTROLLI AGENZIA DELLE ENTRATE E DELLA GUARDIA DI FINANZA. LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE N.6517 DEL 31 MARZO 2015. ................................................................................. 38 4.2. CON I NUOVI OIC PIÙ TUTELE NEI CONFRONTI DEL FISCO? .................................................................................................. 41 5. LE RIMANENZE – T.U.I.R. / OIC A CONFRONTO: TABELLA DI SINTESI .................................................................... 43 6. CASI PRATICI ........................................................................................................................................................ 47 - CASO N. 1 - ESEMPIO SVALUTAZIONE DI BENI VALUTATI A COSTI SPECIFICI .................................................................................. 47 - CASO N. 2 - ESEMPIO DI VALUTAZIONE FISCALE DELLE RIMANENZE ........................................................................................... 49 3 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” Introduzione Il tema del coordinamento tra disciplina civilistica del bilancio e disciplina fiscale del reddito d’esercizio è ritornato di grande attualità sia con la riforma dei nuovi principi contabili nazionali iniziata nel 2010 e completata nel 2015 con la pubblicazione dell’OIC 24 - che alla luce dell’orientamento della Corte di Cassazione, in tema di rilevanza dell’informativa fornita in nota integrativa 1. A ciò si aggiunga che gli operatori del settore, professionisti ed imprese, che hanno seguito la chiusura dei bilanci d’esercizio 2014 applicando i nuovi OIC e parallelamente, redatto da poco, le relative dichiarazioni dei redditi, si trovano ora, ex abrupto, ad affrontare le novità introdotte, proprio in tema di bilancio, dal D.Lgs. 139/2015 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 205 dello scorso 4 settembre, con il quale è stata data attuazione alla direttiva europea 2013/34/UE del 26 giugno 2013 2. Recepite tali nuove disposizioni e le modifiche agli articoli 2424, 2425 e seguenti del codice civile, quali sono le implicazioni fiscali della nuova disciplina? La clausola di invarianza finanziaria dettata dall’art.11 del D.Lgs. 139/2015 stabilisce che “dall’attuazione del presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Si fa rilevare, tuttavia, che il legislatore non ha ancora previsto modifiche normative né al D.P.R. 917/86 per l’IRES, né al D.Lgs. 446/97, per l’IRAP. Come è stato sottolineato da più parti 3 appare auspicabile l’introduzione di disposizioni fiscali specifiche, volte a coordinare la normativa fiscale con le nuove disposizioni civilistiche, analogamente a quanto avvenuto con riferimento ai soggetti IAS adopter, in quanto, qualora le disposizioni vigenti non venissero modificate, si genererebbe una distorsione applicativa, dovendo determinare il reddito imponibile facendo riferimento alla precedente normativa civilistica e applicando alle fattispecie 1 Sentenza del 14 ottobre 2015, n. 20678. La direttiva ha abrogato la IV direttiva CEE e la VII direttiva CEE (direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE) per la parte relativa alla disciplina del bilancio di esercizio e di quello consolidato per le società di capitali e gli altri soggetti individuati dalla legge. Le disposizioni DLgs. 139/2015 entrano in vigore dal 1° gennaio 2016 e si applicano ai bilanci relativi agli esercizi finanziari aventi inizio a partire da quella data. 3 M. Venuti “I dieci anni dalla riforma del T.U.I.R.: bilanci e prospettive. Il principio di derivazione dal punto di vista dello studioso del bilancio d’esercizio” – Rassegna Tributaria 3/2015; G. Zizzo “Il principio di derivazione a dieci anni dall’introduzione dell’Ires” - Rassegna Tributaria 3/2014; 2 4 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” reddituali così individuate la disciplina tributaria in vigore, con evidenti implicazioni (e complicazioni) di carattere operativo. In questo scenario, alla luce anche dei recenti orientamenti dell’Amministrazione finanziaria in materia, il presente lavoro vuole essere una riflessione specifica sullo stato dell’arte in tema di coordinamento tra disciplina civilistica e disciplina fiscale di una posta di bilancio la cui valutazione rappresenta uno dei fattori maggiormente in grado di influenzare la formazione del risultato economico d’esercizio e del capitale di funzionamento: le Rimanenze. 5 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” 1. Il principio di derivazione nella redazione del bilancio civilistico delle PMI. 1.1 Principi generali L’art.83 del T.U.I.R. contiene la norma generale per la determinazione ai fini tributari del reddito d’impresa delle società di capitali e degli enti commerciali soggetti all’Ires e, per effetto del richiamo operato dall’art.56 del T.U.I.R., anche per la determinazione ai fini tributari del reddito delle persone fisiche e delle società di persone, soggetti all’Irpef 4: “Il reddito complessivo è determinato apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabiliti nelle successive disposizioni della presente sezione […]”. Il reddito imponibile dell’impresa, pertanto, si basa sul risultato d’esercizio evidenziato dal bilancio civilistico cui vanno apportate le variazioni, in aumento e in diminuzione, previste dagli articoli successivi all’art.83 T.U.I.R. e contenute nello stesso Capo II, al fine di tener conto della diversa qualificazione fiscale dei componenti economici di reddito: questo principio generale prende il nome di principio di derivazione. Il contenuto e la forma del bilancio sono disciplinati dagli articoli 2423 – 2427 bis del codice civile per la generalità delle imprese. I principi contabili sono criteri tecnici, interpretativi e integrativi, delle norme del codice civile che disciplinano la formazione ed il contenuto del bilancio d’esercizio e sono emanati dall’Organismo Italiano di contabilità (OIC). Il 20 agosto 2014 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge 11 agosto 2014 n.116, di 4 Non esisteva una disposizione simile nel T.U. ante riforma del 2004 in quanto per le società di capitali, le società cooperative e per gli enti commerciali si assumeva come base imponibile, con pochissime norme di integrazione, il reddito d’impresa come definito per le imprese individuali e le società di persone. Con la riforma la struttura del T.U. è stata rovesciata e, pertanto sono le norme dedicate al reddito delle imprese individuali e delle società di persone a richiamarsi alla regolamentazione del reddito d’impresa inserita nel Capo II (“Base imponibile delle società e degli enti commerciali residenti) Titolo II (Ires). 6 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” conversione del Decreto Legge 91/2014, che riconosce il ruolo e le funzioni dell’OIC quale “organismo italiano di riferimento in materia di principi contabili” (o “standard setter”) con l’obiettivo di orientare i principali utilizzatori dei principi contabili nazionali, ovvero le PMI. Nell’esercizio delle proprie funzioni, l’OIC persegue finalità di interesse pubblico, agisce in modo indipendente e riferisce annualmente al Ministero dell’Economia circa l’attività svolta. Infatti, con l’articolo 20 del Dl 91/2014, è stato aggiunto al Dlgs 38/2005 – che disciplina l’adozione dei principi contabili internazionali – l’articolo 9-bis “Ruolo e funzioni dell’Organismo italiano di contabilità”. In particolare, al comma 1, lettera a) dell’articolo 9-bis del Dlgs 38/2005, si legge che “L’Organismo italiano di contabilità, istituto nazionale per i principi contabili emana i principi contabili nazionali, ispirati alla migliore prassi operativa, per la redazione dei bilanci secondo le disposizioni del codice civile”. Acquistano così rilevanza normativa i richiami alle corrette tecniche di rappresentazione contabile che, effettuati prima da autorevole dottrina, erano privi di esplicito riconoscimento “legale”. È importante osservare, in questa sede, che i nuovi principi contabili revisionati dall’OIC, applicabili a decorrere dall’esercizio 2014, possono produrre effetti anche di carattere fiscale nel senso che, in tutti i casi in cui non vi sono norme tributarie specifiche che derogano a quelle di redazione del bilancio, devono applicarsi - per il principio di derivazione ex art.83 T.U.I.R. - le regole dettate dai principi contabili nazionali. Particolare attenzione dovrà essere, quindi, posta all’affermazione di conformità del bilancio ai principi contabili nazionali (generalmente riportata all’inizio della nota integrativa) anche in considerazione di eventuali esiti tributari di natura sanzionatoria, nel caso in cui i principi contabili non siano stati correttamente applicati. Risulta evidente, quindi, che un’errata applicazione dei principi contabili può implicare conseguenze anche di carattere fiscale nella determinazione del reddito di società ed enti, ma non solo. Il principio contabile OIC 12 precisa, in merito, che la sua applicazione è raccomandata anche nella redazione del bilancio delle società di persone e delle imprese individuali che svolgono attività commerciale. Restano, pertanto, pochi dubbi sulla portata generale dei principi contabili e, quindi, della loro applicabilità. I contribuenti (ditte individuali, società, enti, eccetera) sono tenuti ad effettuare, se non già fatta, una verifica sulla congruità delle scelte operate in sede di rilevazione delle operazioni di gestione e di redazione del bilancio, con i chiarimenti giunti dai principi contabili rinnovati, al fine di vedere riconosciute anche ai fini fiscali le loro scelte. Nella determinazione della base imponibile, ai fini delle imposte dirette, non sempre sono previste norme tributarie che derogano ai principi contabili e alle 7 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” norme di redazione di bilancio. In base al principio di derivazione, pertanto, sarà la corretta applicazione delle disposizioni del codice civile e dei principi contabili (OIC) a quantificare, in relazione a talune fattispecie, la parte di base imponibile che parteciperà alla determinazione del reddito complessivo da assoggettare a tassazione. D’altra parte, nell’ormai nota sentenza del 17 ottobre 2014 n.22016 5 la Suprema Corte ha stabilito che non può essere riconosciuta in capo al contribuente una piena discrezionalità nella determinazione delle quote di ammortamento deducibili, variandole di anno in anno: il bilancio d’esercizio deve essere predisposto sulla base delle disposizioni civilistiche, a nulla rilevando l’opportunità di ottimizzazione del carico fiscale in applicazione della norma tributaria. I Giudici di legittimità hanno, quindi, confermato, in continuità con l’orientamento prevalente, l’inderogabilità dei criteri civilistici di valutazione che garantiscono, ai fini della funzione informativa del bilancio d’esercizio, la trasparenza dei dati esposti, la leggibilità e la controllabilità del bilancio da parte dei soci e dei terzi (Cass. n. 23976/2004 e Cass. n. 4874/2006). La sentenza in commento induce, quindi, gli operatori del settore, professionisti e imprese, a prestare particolare attenzione a non cadere nella tentazione di trasferire in ambito civilistico, ed in modo non adeguatamente motivato in nota integrativa, criteri di valutazione derivati dalla norma fiscale; occorrendo sempre individuare e motivare la reale sostanza economica della valutazione al fine di rimuovere alla radice eventuali vizi d’illegittimità del bilancio per violazione dei principi fondamentali di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423 e ss. codice civile, e legittimare, peraltro, rilievi da parte dell’Amministrazione finanziaria. All’indomani dell’introduzione dei principi contabili revisionati e alla luce della posizione consolidata della Giurisprudenza in tema di bilancio e fiscalità diretta, si pone quindi la necessità di riflettere: 1) sullo stato attuale del coordinamento tra disciplina civilistica aggiornata nei termini anzidetti e 5 Cass. n.22016/2014 “[…] Questa Corte, con orientamento cui si intende dare senz’altro continuità ha infatti convincentemente statuito che il bilancio di esercizio di una società di capitali, che violi i precetti di chiarezza e precisione dettati dall’art. 2423 e ss. c.c. è illecito, ed è quindi nulla la deliberazione assembleare con cui esso sia stato approvato, non soltanto quando la violazione della normativa in materia determini una divaricazione tra il risultato effettivo dell’esercizio e quello del quale il bilancio dà invece contezza, ma anche in tutti i casi in cui dal bilancio stesso e dai relativi allegati non sia possibile desumere l’intera gamma delle informazioni chela legge vuole siano fornite per ciascuna delle singole poste iscritte (Cass. n. 4874/2006) […]”; 8 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” disciplina fiscale; 2) se, ogni qual volta manchi una specifica disposizione fiscale, si possa dare piena rilevanza alla valutazione svolta in sede di redazione del bilancio d’esercizio in conformità ai principi contabili - ed in conformità al principio di derivazione ex art.83 del T.U.I.R. - (teoria definibile “teoria derivativa”), ovvero se, invece, in mancanza di una valutazione fiscale ad hoc si debbano operare le dovute variazioni in sede di determinazione del reddito imponibile (teoria definibile “teoria ermeneutica”). Si pensi alla capitalizzazione degli oneri finanziari imputati alle Rimanenze: se il comportamento tenuto per la predisposizione del bilancio d’esercizio è conforme ai corretti principi contabili e la capitalizzazione è avvenuta applicando correttamente le modalità di calcolo contenute nell’OIC 13, la stessa, in ossequio al principio di derivazione, rileverà anche ai fini fiscali. Se correttamente rilevati, gli oneri finanziari capitalizzati resteranno esclusi dai limiti di deducibilità dell’art.96 T.U.I.R.. Non altrettanto di facile soluzione appare, invece, la problematica legata alla svalutazione delle Rimanenze di beni (non fungibili e fungibili) valutati a costo specifico: l’OIC 13, nella versione revisionata di agosto 2014, individua il costo specifico quale metodo generale per la determinazione del costo applicabile ai beni non fungibili e facoltativamente ai beni fungibili, i quali possono essere valutati con metodi alternativi (L.I.F.O., F.I.F.O., CMP). Anche i beni fungibili, pertanto, possono essere valutati con il metodo del costo specifico e la nota integrativa dovrà dare evidenza del mancato utilizzo della facoltà di adottare i metodi alternativi, motivandolo. La svalutazione dei beni valutati a costo non è prevista dall’art.92, comma 2, T.U.I.R. e, pertanto, benché iscritta in bilancio, non è rilevante fiscalmente “nella considerazione per cui i fenomeni di natura valutativa sono accolti in via del tutto eccezionale in sede di determinazione del reddito imponibile” (Circ.10/E del 14 maggio 2014; orientamento già espresso dall’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione 78/E del 12 novembre 2013). Prima di analizzare in dettaglio le maggiori problematiche relative alla valutazione delle rimanenze di magazzino, ai fini del bilancio e della determinazione del reddito imponibile, alla luce dei principi contabili revisionati, dei chiarimenti dell’Amministrazione finanziaria e delle pronunce della Giurisprudenza, pare opportuno sintetizzare le problematiche generali sottese al rapporto tra risultato economico d’esercizio e il reddito imponibile, ovvero il rapporto tra la normativa civilistica e la normativa fiscale. Questa breve riflessione di carattere generale è utile allo scopo delle successive considerazioni di dettaglio e al fine di tentare di risolvere possibili antinomie tra normativa civilistica e fiscale o proporre 9 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” soluzioni di raccordo valide sia ai fini civilistici che fiscali. Nella prassi aziendale, si usa distinguere tra “bilancio d’esercizio” (o “bilancio contabile”) e “bilancio fiscale” sulla base delle diverse esigenze informative e comportamentali che essi tendono a soddisfare: il bilancio d’esercizio è finalizzato a rappresentare la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’azienda ai soci ed ai terzi al fine di salvaguardare l’integrità del capitale e consentire la distribuzione degli utili; il cosiddetto “bilancio fiscale” soddisfa, invece, le esigenze di prelievo delle imposte da parte dell’Amministrazione finanziaria. Si rileva, quindi, un primo conflitto tra gli scopi perseguiti dalla disciplina civilistica di redazione del bilancio e quelli propri del sistema fiscale di tassazione del reddito. Non si può parlare, tuttavia, tecnicamente di un bilancio “fiscale” distinto da quello “civilistico” proprio per il principio di derivazione di cui all’art.83 T.U.I.R. scelto dal legislatore fiscale per i motivi che qui di seguito si possono sintetizzare: 1) idoneità del principio di derivazione ad esprimere l’effettiva capacità contributiva dell’impresa in quanto ricollegabile alla fonte del reddito stesso 6 e quindi espressione di una tassazione rispettosa del principio costituzionale della capacità contributiva ex art.53 Costituzione 7; 2) esigenza del legislatore di assicurare certezza e semplicità del rapporto tributario 8: in questo senso il bilancio esplicherebbe una funzione non puramente ad probationem ma anche ad substantiam ovvero non solo probatoria ma anche costitutiva dell’esistenza (o inesistenza) dei componenti 6 I. Vacca e A. Garcea, (a cura di) Guida all'applicazione dell'Ires e dell'Irap per le imprese IAS adopter , Circolare Assonime maggio 2011, hanno riconosciuto come nel nostro ordinamento vi è la considerazione che assumere l’utile di bilancio come parametro di determinazione della base imponibile appare aderente al principio costituzionale di capacità contributiva (art. 53 Cost.) poiché consente di commisurare il prelievo alla ricchezza novella prodotta dall’impresa e, quindi, a fatti economici reali ed effettivi. Il dato civilistico costituisce soltanto un punto di partenza da cui prende le mosse la determinazione fiscale del reddito, dovendo poi il medesimo essere "filtrato" attraverso tutta una serie di variazioni (in aumento o in diminuzione) puramente fiscali, necessarie per trasformare in imponibile il risultato dell'esercizio. 7 G.Zizzo” Il principio di derivazione a dieci anni dall’introduzione dell’Ires”, Rass. Tributaria, 2014, 6; R.Lupi ”La determinazione del reddito e del patrimonio delle società di capitali tra principi civilistici e norme tributarie”, in Rass.Trib., 1990, I, pp. 715-716: A.Fantozzi e M.Alderighi, “Il bilancio e la normativa tributaria”, in Rass. Trib., 1984, I, pp.117-125; T.Di Tanno, “Le norme generali sui componenti del reddito e le sanzioni improprie”, in Boll. Trib., 1988, p.925; E.Potito, “I rapporti tra bilancio civile e dichiarazione nella normativa del testo unico delle imposte sui redditi”, in Riv. Dir. Fin., 1989, I, p.42; G.Falsitta, “La dichiarazione tributaria e il bilancio d’esercizio”, in Trattato di diritto tributario, Vol. III, Padova, 1994, p.50 8 G.Tabet, “Il reddito d’impresa”, volume I, Saggi, Padova, 1997, pp.65 ss 10 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” positivi e negativi di reddito 9; 3) esigenza dei contribuenti di non rimanere esposti all’azione accertatrice dell’Amministrazione finanziaria e interesse della collettività alla riscossione dei tributi per rendere possibile il regolare funzionamento dei servizi pubblici; 4) esigenza del fisco di creare un collegamento tra la disciplina fiscale di determinazione del reddito imponibile e quella dell’accertamento del reddito. Corollario del principio generale di derivazione è il cosiddetto “principio di non tassatività” o di “previa imputazione a conto economico” in forza del quale devono ritenersi deducibili ai fini fiscali, e in assenza di norme tributarie che dispongano diversamente, i componenti negativi di reddito imputati a costo nel bilancio: l’eventuale omessa indicazione nel T.U.I.R. di un costo non ne sancisce, di per sé, l’indeducibilità (così come – specularmente - l’omessa indicazione di un ricavo la non tassabilità) ma, al contrario, se imputato contabilmente, sarà deducibile purché risponda ai principi generali (competenza, inerenza, etc). Conseguenza del “principio di non tassatività” è il rischio che siano imputati a conto economico costi ed oneri giustificati solo da motivazioni fiscali ma non coerenti con la disciplina dettata dal codice civile: in merito a ciò, si è già detto degli orientamenti della Giurisprudenza cui si rimanda (Cass. 17 ottobre 2014 n.22016)10. Il bilancio d’esercizio deve essere redatto secondo tutti i principi dettati dall’art.2423 bis c.c.: continuazione dell’attività d’impresa, iscrizione degli utili realmente realizzati, competenza, prudenza, continuità dei criteri di valutazione ed eventuali deroghe. In ambito civilistico il principio della competenza vive nell’ambito del principio della prudenza 11 al fine di evitare sopravvalutazioni e sottovalutazioni che incidano sul risultato d’esercizio e sulla conseguente rappresentazione del patrimonio netto. Il principio di prudenza, sintetizzato nella valutazione delle poste con il metodo generale del costo, prevede che proventi ed oneri di competenza debbano essere considerati 9 .G.Falsitta “Concetti fondamentali e principi ricostruttivi in tema di rapporti tra bilancio civile e “bilancio fiscale””, in Rass. Trib.,1984, I, pp.137-154 10 G.E. Colombo “Disciplina del bilancio e norme trinitarie: integrazione, autonomia o inquinamento?”, in Riv. Soc., I, 1980, p.1171; D.Stevenato “Rinvio degli ammortamenti a bilancio tra aperture e preconcetti” Corr.Trib.n.28/2005 pp.2203 e ss. 11 C. Oneto “Contabilità fiscale e bilancio d’esercizio”, MAGGIOLI Editore, pagg.21 e sgg.; 11 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” indipendentemente dall’incasso e dal pagamento, tenendo conto dei rischi e delle perdite di competenza dell’esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo. Il principio contabile OIC 29 definisce il momento temporale nel quale l’impresa deve tener conto dei costi e ricavi per cui gli amministratori devono recepire anche i fatti ed eventi che si sono manifestati dopo la chiusura dell’esercizio ma prima della formazione del bilancio. In ambito fiscale, il principio di competenza risponde alla finalità di assicurare la certezza del rapporto tributario. L’art.109 T.U.I.R., al comma 1, prevede le condizioni che devono sussistere congiuntamente per individuare l’esercizio di competenza: i componenti positivi e negativi di reddito devono essere certi nell’esistenza (an) e obiettivamente determinabili nell’ammontare (quantum). L’Amministrazione finanziaria 12 ha individuato le caratteristiche che devono avere i costi d’esercizio al fine della loro deducibilità: 1) competenza rispetto al tempo: i costi devono seguire i ricavi per cui, individuato l’esercizio di competenza dei ricavi, sono automaticamente deducibili i costi relativi di quello stesso esercizio; 2) certezza dell’esistenza: si verifica quando, sulla base degli obblighi contrattuali assunti, si manifestano costi e ricavi, anche in ragione dell’insorgenza di debiti e crediti relativi; 3) ammontare determinabile in modo obiettivo: ciò significa che la valutazione deve fondarsi su elementi oggettivi 13. La contrapposizione tra i principi di redazione del bilancio e quelli di determinazione del reddito d’impresa ai fini tributari, che sottendono evidentemente le diverse finalità del legislatore civilistico e di quello fiscale, rendono complicato il coordinamento tra la normativa civilistica e quella fiscale nonostante il principio generale di derivazione ex art.83 T.U.I.R.. Un esempio significativo è la svalutazione del magazzino nel caso di beni non fungibili nell’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate con la Risoluzione 78/E del 12 novembre 2013 (ripresa dalla Circolare 10/E del 14 maggio 2014): il principio di derivazione soggiace qui al principio generale della competenza per cui la perdita di valore rileverà nell’anno in cui sarà realizzata in seguito alla cessione del bene e non nell’anno in cui è stata stimata in bilancio per il principio della prudenza che impone di iscrivere in bilancio le perdite anche solo presunte. Né si riesce agevolmente ad invocare la lesione del 12 13 Risoluzione ministeriale 9/2940 del 22 ottobre 1981 Risoluzione ministeriale 9/375 dell’11 marzo 1981. 12 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” principio costituzionale della capacità contributiva ex art.53 Costituzione sotteso a quello di derivazione che, si è visto, permette di garantire la tassazione dell’effettiva capacità contributiva dell’impresa in quanto ricollegabile alla fonte del reddito stesso, perché, di fatto, il legislatore fiscale non nega tout court la deducibilità di un costo (la svalutazione della rimanenza del bene fungibile) bensì la rinvia al momento in cui quel costo si realizzerà per competenza e rileverà a titolo di perdita (e non di svalutazione) a seguito della cessione. E’ evidente che questo dell’indeducibilità fiscale della svalutazione delle rimanenze di beni infungibili (così come delle immobilizzazioni materiali) rappresenta una delle distorsioni di un sistema fiscale rigido basato su un principio di certezza del rapporto tributario che rischia di essere penalizzante, in una fase storica di crisi economica come quella che stiamo vivendo, soprattutto nel settore delle società immobiliari: l’obbligo di variare in aumento le svalutazioni di rimanenze di immobili merce rispetto al costo di acquisto rischia di produrre redditi imponibili anche in presenza di perdite di valore. Si pone, quindi, un problema oggettivo di cash flow per l’impresa che deve anticipare la tassazione di una perdita (prudenzialmente stimata attraverso la svalutazione ma non effettivamente ancora realizzata). Alla luce di ciò, anticipando un argomento che sarà trattato nei paragrafi successivi, ci si chiede se si possa consentire la deducibilità della svalutazione di un bene infungibile (immobile) al fine di tutelare il cash flow aziendale: si tratterebbe di posticipare, eccezionalmente, non la deducibilità di un costo, ma la tassabilità di un reddito al momento della vendita del bene realisticamente svalutato ai valori di correnti di mercato, in un momento storico in cui i costi storici iscritti in bilancio di certi beni non sono più realistici e difficilmente recuperabili nei prossimi anni. Diversamente, non pare esserci altra strada se non un intervento legislativo con una norma di legge ad hoc, una “legge di svalutazione” speculare alla legge di rivalutazione che ne richiama. Chiarito il quadro di riferimento, è ora possibile procedere alle considerazioni di dettaglio in tema di rimanenze. Le maggiori problematiche concernenti la valutazione delle rimanenze di magazzino, ai fini del bilancio e della determinazione del reddito fiscale sono: 1) la valutazione dei beni effettuata a costi specifici; gli oneri finanziari. La rilevanza dei contributi in conto esercizio ai fini della rilevazione delle rimanenze; 2) la valutazione dei beni non effettuata a costi specifici: il valore minimo fiscale; 13 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” 3) la valutazione dei beni fungibili e dei beni infungibili; 4) la definizione di valore minimo delle rimanenze; 5) la definizione di valore di realizzazione desumibile dall’andamento di mercato; 6) la modificabilità dei criteri di valutazione; 7) la svalutazione delle rimanenze. 14 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” 2. Le rimanenze di merci e di materie prime nel T.U.I.R. 2.1 La disciplina fiscale generale Ai fini della determinazione del reddito imponibile d’esercizio occorre tener conto della valutazione delle rimanenze di magazzino, ovvero l’insieme dei beni (materie prime, sussidiarie, di consumo, prodotti in corso di lavorazione, semilavorati, prodotti finiti e merci) che sono nella disponibilità giuridica dell’azienda alla fine dell’esercizio, includendo pertanto, oltre quelli che si trovano fisicamente in magazzino, anche quelli in viaggio e quelli presso terzi 14. Nello specifico è l’art. 92 del T.U.I.R., rubricato appunto “Variazione delle rimanenze”, a dettare regole precise per la valorizzazione fiscale di tale voce di bilancio, affiancando le disposizioni generali del Testo unico sui componenti del reddito di impresa e sulle valutazioni: 1. Le variazioni delle rimanenze finali dei beni indicati all’art.85, comma 1, lettere a) e b), rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il reddito dell’esercizio. A tal fine le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell’articolo 93, sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato a norma delle disposizioni che seguono. 2. Nel primo esercizio in cui si verificano, le rimanenze sono valutate attribuendo ad ogni unità il valore risultante dalla divisione del costo complessivo dei beni prodotti e acquistabili nell’esercizio stesso per la loro quantità. 3. Negli esercizi successivi, se la quantità delle rimanenze è aumentata rispetto all’esercizio precedente, le maggiori quantità, valutate a norma del comma 2, costituiscono voci distinte per esercizi di formazione. Se la quantità è diminuita, la diminuzione si imputa agli incrementi formati nei precedenti esercizi, a partire dal più recente. 4. Per le imprese che valutano il bilancio con il metodo della media ponderata o del “primo entrato, primo uscito” o con varianti di quello di cui al comma 3, le rimanenze finali sono assunte per il valore che risulta dall’applicazione del metodo adottato. 5. Se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato a norma dei commi 2, 3 e 4, è superiore al valore normale medio di essi nell’ultimo esercizio, il valore minimo di cui al comma 1, è determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni, indipendentemente dall’esercizio di formazione, per valore normale. Per le valute estere si assume come valore normale il valore secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio. Il minor valore attribuito alle rimanenze in conformità alle disposizioni del presente comma vale anche per gli esercizi successivi sempre che le rimanenze non risultino iscritte nello stato patrimoniale per un valore superiore. 6. I prodotti in corso di lavorazione e i servizi in corso di esecuzione al termine dell’esercizio sono valutati in base 14 Per beni presso terzi si intendono quelli presso terzi per lavorazione, magazzinaggio, spedizione, in visione, contratti estimatori e simili; oltre al caso in cui i beni siano ancora presso il fornitore per consegna franco fornitore o in deposito presso lo stesso e la fattura sia stata già emessa. 15 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” alle spese sostenute nell’esercizio stesso, salvo quanto stabilito nell’art.93 per le opere, le forniture e i servizi di durata ultrannuale. 7. Le rimanenze finali di un esercizio nell’ammontare indicato dal contribuente costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo. 8. Per gli esercenti attività di commercio al minuto che valutano le rimanenze delle merci con il metodo del prezzo al dettaglio si tiene conto del valore così determinato anche in deroga alla disposizione del comma 1, a condizione che nella dichiarazione dei redditi o in apposito allegato siano illustrati i criteri e le modalità di applicazione di detto metodo, con riferimento all’oggetto e alla struttura organizzativa dell’impresa 15 ” 2.1.1 - I beni oggetto di valutazione Le rimanenze oggetto dell’art.92 T.U.I.R. sono costituite dai beni indicati all’art.85, comma 1 T.U.I.R., lettere a) e b) ed in particolare: 1) prodotti finiti: beni che formano oggetto dell’attività dell’impresa e che hanno terminato in modo definitivo il ciclo produttivo; 2) semilavorati e prodotti in corso di lavorazione: beni che formano oggetto dell’attività dell’impresa quando non sono ancora ultimati; in particolare: semilavorati sono i beni in stadio intermedio di trasformazione e destinati ad entrare in una successiva fase del ciclo produttivo; i prodotti in corso di lavorazione sono beni e servizi in corso di formazione o prelevati durante il processo produttivo; in queste categorie sono ricompresi anche le forniture, opere e servizi svolte su ordinazione; 3) materie prime: sono materie e materiali sussidiari utilizzati nel processo produttivo; 4) altri beni mobili, esclusi quelli strumentali, acquistati o prodotti per essere impiegati nella produzione 16. 15 Sono in viaggio per la vendita con consegna non ancora avvenuta e clausola FOB free on board o franco a bordo; ovvero in viaggio per l’acquisto ma la fattura è stata già registrata in contabilità ai fini della proprietà, ovvero per l’acquisto ma la fattura non è stata ancora registrata e, pertanto, occorre tenerne conto mediante la registrazione della fattura da pervenire. Ai sensi dell’art.1510 c.c. il venditore, salvo patto contrario, si libera dall’obbligo della consegna rimettendo la cosa al vettore o allo spedizioniere; da questo momento le merci sono nella disponibilità del compratore. La Risoluzione Min.Fin.Dir.Gen. Imposte Dirette 01-10-1977, n.9/1196 afferma che nell’ipotesi in cui ricorrano le circostanze perfezionative del tipo di cessione e quelle inerenti la certezza o l’oggettiva determinabilità del costo, l’imputazione deve essere fatta nell’esercizio in cui avviene l’imbarco della merce (FOB, free on board o franco a bordo) nell’ipotesi di trasporto via mare. 16 Con Circolare ministeriale 26/11/1981 n,40 l’Agenzia delle Entrate ha ribadito che devono essere qualificate come rimanenze di magazzino anche i materiali di manutenzione, di consumo, cancelleria e materiali di pulizia. 16 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” 2.1.2 La valutazione dei beni effettuata a costi specifici La valutazione per singoli beni, quando è effettuata al costo specifico, segue le seguenti regole: a) beni acquistati presso terzi (materie prime, sussidiarie, semilavorati etc.), il costo specifico è costituito dal costo di acquisto del bene (risultante dalla fattura o dalla bolletta doganale) e, come oneri accessori di diretta imputazione (compresa eventuale IVA indetraibile 17), le spese di trasporto, le provvigioni, gli eventuali dazi relativi al bene; b) beni finiti prodotti dall’impresa, il costo specifico è costituito da: costo dei materiali impiegati, costo della manodopera diretta sulla base di un calcolo di ore di lavoro utilizzate specificatamente per la produzione del bene, costi industriali relativi alla produzione del bene, interessi passivi se imputati secondo corretti principi contabili ad incremento del costo delle rimanenze di beni o servizi oggetto dell’attività dell’impresa 18. Sono, invece, da escludersi nella determinazione del costo: 1) le spese di vendita, commerciali e di marketing; 2) le spese generali e di amministrazione; 3) le spese di pubblicità e ricerca; 4) gli interessi passivi salvo quanto sopra specificato. La ratio dell’esclusione degli interessi passivi è da ricondurre a due motivazioni: in primo luogo, come già evidenziato dall’OIC 13, risulta particolarmente difficoltoso procedere all’individuazione della quota di oneri che si riferiscono al finanziamento per l’acquisizione delle rimanenze di magazzino; in secondo luogo, non possono incidere sul costo di produzione scelte di carattere finanziario che rientrano nella politica aziendalistica che non è quella fiscale o di bilancio. Di regola, il criterio del costo specifico è utilizzato per la valorizzazione di beni infungibili poiché caratterizzati da individualità e specificità, in particolare da parte delle imprese produttrici di beni altamente specifici, non prodotti in serie in quanto diversi uno dall’altro. Tali imprese, se sono obbligate alla tenuta della contabilità di magazzino 19, devono tenere apposite schede di lavorazione ove annotare i 17 Risoluzione ministeriale 869/80. Circolare Ministeriale n.40 del 26/11/1981. 19 Le scritture ausiliarie di magazzino (art.14 comma 1 lettera d) D.P.R. 600/1973) sono obbligatorie solo per le imprese che per due esercizi consecutivi presentano: a) Ricavi superiori a euro 5.164.568,99; 18 17 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” costi sostenuti per la costruzione del bene. È auspicabile, tuttavia, che anche le “imprese minori” 20, benché non obbligate alla tenuta della contabilità di magazzino, tengano traccia di quanto sono specificatamente costati i singoli beni in rimanenza (“inventario contabile”), diversamente la valutazione a costi specifici è difficile da portare all’evidenza dell’Amministrazione finanziaria. 2.1.3 - La valutazione dei beni valutati non effettuata a costi specifici Concorre alla determinazione dell’imponibile fiscale la differenza tra l’ammontare delle rimanenze finali e quello delle rimanenze iniziali registrate nell’esercizio con riferimento: a) ai beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa (cosiddetti “beni merce”); b) alle materie prime e sussidiarie, ai semilavorati e agli altri beni mobili acquistati o prodotti per essere utilizzati nella produzione, ad esclusione dei beni strumentali 21; per i quali l’art.92 T.U.I.R. definisce i criteri di valutazione. per i quali l’art.92 T.U.I.R. definisce i criteri di valutazione. L’articolo in commento non contiene, invece, alcuna distinzione tra beni fungibili (beni che non presentano specifiche caratteristiche, che sono interscambiabili e che possono essere facilmente considerati nel loro insieme e normalmente valutati per categorie omogenee, poiché la loro rimanenza non è identificabile rispetto ad un preciso acquisto) e beni infungibili (beni aventi un elevato valore unitario, le cui caratteristiche e specificità li rendono specificatamente individuabili e la cui valorizzazione è, pertanto, normalmente effettuata a costi specifici di acquisto o di produzione). La norma si limita piuttosto a stabilire un valore minimo fiscale ammissibile per le rimanenze finali di beni “non … effettuata a costi specifici”: ciò significa implicitamente che la disciplina dell’art.92 si applica b) Rimanenze superiori a euro 1.032.913,80. Art. 18 – D.P.R. 600/1973 21 Cass. 05.02.2002, n,1531: non è qualificabile come rimanenza , e quindi non può essere valutato in base alle disposizioni dell’art.92 T.U.I.R., il diritto acquistato in forza di un preliminare di acquisto, “[…] vale a dire il mero credito alla prestazione del consenso per la stipula del contratto definitivo[…]”; Cass.23.10.2006, n.22735: costituiscono, invece, “beni merce” i beni utilizzati nei confronti dei clienti (es.beni destinati all’esposizione negli show rooms ciò in quanto qualsiasi bene si presti ad essere provato dai potenziali clienti, infatti, sarebbe di per sé un bene destinato alla vendita e come tale non potrebbe assumere la qualifica di bene strumentale. 20 18 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” limitatamente alla valutazione delle rimanenze di beni fungibili 22. Il valore minimo fiscale ottenuto applicando i criteri definiti dall’art.92 T.U.I.R. è quello derivante dall’applicazione del cosiddetto L.I.F.O. a scatti annuali. Al fine di determinare correttamente il valore minimo fiscale dei beni considerati, è necessario procedere come di seguito: a) suddividere i beni secondo categorie omogenee, per natura e per valore. b) attribuire alle categorie così formate un valore non inferiore a quello determinato secondo il metodo del L.I.F.O. a scatti annuali. a) Suddivisione dei beni secondo categorie omogenee, per natura e per valore. I criteri per la determinazione delle categorie omogenee non sono rigidi ma tengono conto delle caratteristiche e delle esigenze delle singole imprese considerando il valore, il tipo e/o la qualità dei beni. Il raggruppamento dei beni, ad eccezione dei prodotti in corso di lavorazione di cui si dirà di seguito, deve essere fatto in categorie omogenee per: a) natura, cioè aventi simili proprietà o affinità merceologiche; b) valore, nel senso che possono appartenere alla stessa categoria beni il cui valore unitario non diverge sensibilmente; al riguardo è prassi accettata considerare una differenza tra i valori dei beni che non superi il 20 per cento, inteso come scarto tra valore minimo e massimo dei beni appartenenti alla stessa categoria omogenea, per cui ad esempio si possono valutare congiuntamente tutti i beni il cui valore unitario è compreso tra euro 10.000 ed euro 12.000, non altrettanto per i beni compresi tra euro 8.000 (=10.000 meno 20%) ed euro 12.000 (=10.000 più 20%). Quanto all’omogeneità, essa va determinata con riferimento al momento in cui si procede al raggruppamento. Le risultanze dell’inventario devono essere, secondo le norme sulla determinazione del reddito delle “imprese minori” (art.9 lett.b D.L. 69/1989), indicate nel registro IVA acquisti; la stessa norma dispone che, per singole categorie omogenee di beni in giacenza, devono essere indicati le quantità in 22 Si vedrà nei paragrafi successivi, che l’OIC 13 individua il criterio del costo specifico quale criterio generale per la determinazione delle rimanenze sia dei beni infungibili che, facoltativamente, dei beni fungibili. 19 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” rimanenza, i valori ad essi attribuiti ed i criteri seguiti per la valutazione. Per le imprese in contabilità ordinaria non si ritrova analoga disposizione in quanto, essendo tenute alla redazione del libro inventari, nello stesso saranno fornite le medesime indicazioni. b) Attribuzione alle categorie così formate di un valore non inferiore a quello determinato secondo il metodo del L.I.F.O. a scatti annuali. Per il primo esercizio di formazione delle rimanenze, la valutazione di ogni categoria avviene al costo medio ponderato, dato dal rapporto tra il costo complessivo dei beni della stessa categoria e la loro quantità: CMP = Costo dei beni acquistati nell’esercizio / quantità totale acquistata Per gli esercizi successivi: se le rimanenze sono aumentate rispetto all’esercizio precedente, le maggiori quantità sono valutate al costo medio ponderato annuale, mentre la quantità corrispondente alle rimanenze iniziali viene valutata allo stesso valore assegnato alle rimanenze finali dell’esercizio precedente; se, invece, la quantità delle rimanenze è inferiore al periodo precedente, allora la diminuzione si imputa agli incrementi formati nei pregressi esercizi, iniziando dal più recente a ritroso fino a coprire la quantità venduta o in generale diminuita. Tale modus operandi comporta evidentemente un magazzino valutato ai costi meno recenti sebbene, nel rispetto del principio di competenza, i ricavi conseguiti saranno accostati quanto più possibile ai relativi costi sostenuti nello stesso periodo. Il comma 4 dell’articolo 92 T.U.I.R. fa, poi, salva la possibilità di adottare gli altri criteri convenzionali quali, il costo medio ponderato, il F.I.F.O. (first in, first out), e talune varianti del L.I.F.O. a scatti annuali (ad esempio L.I.F.O. continuo), usati in sede di redazione del bilancio d’esercizio. In tali casi si realizza una completa identità di valutazione tra il bilancio redatto ai fini civili e la norma fiscale: il principio di derivazione trova qui perfetta applicazione. Qualora, sia stato utilizzato un criterio diverso da quelli indicati, il valore del magazzino fiscale non potrà essere inferiore a quello ottenuto dall’applicazione del metodo del Lifo a scatti annuale. Il legislatore fiscale, al pari di quello civilistico, lascia quindi libera discrezionalità all’impresa di scegliere il criterio di valutazione più consono alla specifica attività che l’azienda svolge, fissando, si è già detto, il valore minimo al di sotto del quale non è dato scendere. 20 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” 2.1.4 - La valutazione delle rimanenze dei semilavorati e dei beni in corso di lavorazione Le imprese hanno, quindi, ampia possibilità di valutazione delle rimanenze secondo uno dei metodi previsti nel rispetto del valore minimo fiscale. Fanno eccezione alle disposizioni dei commi 1, 2, 3, 4 e 5 dell’art.92, le seguenti fattispecie: 1) i beni la cui valutazione viene effettuata a costi specifici, tipicamente beni infungibili; 2) le rimanenze dei beni in corso di lavorazione; 3) le rimanenze nelle attività di commercio al minuto. Dei beni di cui al punto 1) si è già detto nel paragrafo 2.1.2 che precede. Per quanto attiene alla valutazione dei semilavorati e dei beni in corso di valutazione, questa viene effettuata prendendo come riferimento le spese sostenute, inclusi gli oneri accessori di diretta imputazione (art.110 comma 1 lett.b) T.U.I.R.). Sono escluse solo le spese generali, quelle di ricerca e gli interessi passivi, fatte salve le eccezioni relative alla valutazione dei beni richiamati al paragrafo 2.1.2, lettera b). Il costo da rilevare ai fini del magazzino è rappresentato, quindi, dagli elementi indicati nella lettera b) dei criteri generali già richiamati al paragrafo 2.1.2.. Con riferimento alle rimanenze di merci nelle attività di commercio al minuto, di cui si dirà meglio infra, è consentito l’utilizzo del metodo del prezzo al dettaglio, in base al quale vengono adottati i prezzi di vendita in luogo del costo di acquisto. 21 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” 3. Facile o difficile coordinamento tra normativa civilistica e fiscale 3.1 Principi generali La quantificazione e la valutazione delle rimanenze rappresenta una delle operazioni più complesse tra quelle necessarie per la chiusura del bilancio, nonché uno dei fattori maggiormente in grado di influenzare la formazione del risultato economico d’esercizio e del capitale di funzionamento. Si tratta di un procedimento da svolgere in più fasi, che consta innanzitutto dall’accertamento delle quantità presenti in magazzino, dalla successiva attribuzione ad esse di un dato valore ed, infine, dal confronto di questo con quello ottenibile in base alle norme fiscali. È importante sottolineare che il risultato del processo di valutazione si riflette sui risultati di due esercizi, dato che il valore delle rimanenze finali di un esercizio costituisce quello delle rimanenze iniziali dell’anno successivo. La normativa civilistica sui criteri di valutazione delle rimanenze è contenuta nell’art. 2426 c.c., ai numeri da 9 a 11. Nel dettaglio l’art.2426 n.9 del c.c. stabilisce che le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni vengano iscritti al costo di acquisto o di produzione, oppure al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore. Tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci ove non permangano le medesime condizioni, per cui potrebbe essere necessario ripristinare i valori di costo. I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione. Per quanto concerne i beni fungibili 23 il codice civile all’art.2426 punto 10, afferma che le rimanenze possono essere calcolate con i seguenti metodi: − costo medio ponderato; − prima entrato, prima uscito (F.I.F.O.); − ultimo entrato, primo uscito (L.I.F.O.). 23 Beni di massa la cui rimanenza non è identificabile rispetto ad un particolare acquisto, quei beni che possono essere sostituiti perché non presentano particolarità qualitative. 22 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” La scelta di uno dei suddetti metodi può condurre a risultati diametralmente opposti nel caso in cui i prezzi d’acquisto dei beni in magazzino abbiano avuto andamento crescente o decrescente e ciò in quanto con il metodo F.I.F.O. le rimanenze vengono valutate ai prezzi relativi agli acquisti più recenti, mentre il contrario avviene col metodo L.I.F.O.. Con l’utilizzo della media ponderata si giunge ad un costo omogeneo delle quantità presenti in magazzino, particolarmente importante quando le quantità immesse in deposito si mescolano rendendo difficile distinguerle in seguito come avviene, per esempio, nel caso di oli alimentari e prodotti petroliferi. La normativa fiscale, art.92 del T.U.I.R., non compie alcuna distinzione tra beni fungibili e beni infungibili e stabilisce che le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici 24, siano assunte per un valore minimo, ossia un valore non inferiore a quello che risulta: - raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore; - attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato applicando alternativamente uno dei metodi convenzionali: L.I.F.O. a scatti (commi 2 e 3), media ponderata, F.I.F.O. o ad altre varianti del L.I.F.O., solo per le imprese che adottano tali metodi per la valutazione in bilancio delle rimanenze finali (comma 4). Secondo i principi contabili internazionali (IAS) i quali prediligono valori attuali rispetto a valori storici, giudicati sovente non significativi, il metodo di rilevazione delle rimanenze L.I.F.O. non è previsto in quanto, in un sistema di prezzi crescenti, può dar luogo ad un valore delle rimanenze finali inferiore a quello corrente. 3.2 Capitalizzazione degli oneri finanziari e i contributi in conto esercizio per l’acquisto delle rimanenze Il principio contabile n. 13 chiarisce che gli oneri finanziari sono generalmente esclusi dalla determinazione del costo delle rimanenze. La capitalizzazione degli oneri finanziari è ammessa qualora il finanziamento sia riferibile a un processo produttivo di durata pluriennale: − limitatamente al periodo di produzione (solo rimanenze autoprodotte); 23 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” − sempreché l’onere degli interessi sia stato realmente sostenuto nell’esercizio; − il costo più gli interessi non ecceda il valore netto di realizzo; La capitalizzazione sia menzionata in nota integrativa. Rispetto alla precedente versione del luglio 2005, il nuovo OIC 13, riformula la disciplina della capitalizzazione degli oneri finanziari con l’obiettivo di renderne più agevole la comprensione e l’applicazione. Nella determinazione del costo delle rimanenze gli oneri finanziari, come regola generale, sono esclusi. La capitalizzazione degli oneri finanziari è effettuata quando il tempo che intercorre tra l’esborso dei fondi al fornitore e il momento in cui il bene è pronto per l’uso, è significativo. Gli interessi relativi all’acquisizione ordinaria di beni sono normalmente esclusi dalla capitalizzazione. Il limite alla capitalizzazione è dato dal valore di realizzazione del bene. Il nuovo Principio non sembrerebbe fare alcun riferimento: • alla specificità del finanziamento, ammettendo i finanziamenti generici; • all’autoproduzione delle rimanenze, ammettendo gli anticipi a fornitori per l’acquisto. L’ammontare degli interessi passivi imputati a rimanenze deve essere espressamente indicato in nota integrativa ai sensi dell’art. 2427 n. 8. Per quanto riguarda la rappresentazione in bilancio degli oneri finanziari capitalizzati, gli interessi passivi e gli altri oneri finanziari che sono oggetto di capitalizzazione devono comunque essere imputati alla voce C.17 del conto economico, “Interessi e altri oneri finanziari”, e la loro capitalizzazione avverrà mediante la valorizzazione nel conteggio delle rimanenze finali, andando quindi ad influire sulla “variazione delle rimanenze” rappresentata nel conto economico. Il T.U.I.R. fornisce alcune indicazioni su come calcolare il valore di costo, operazione talvolta difficoltosa, specie nelle imprese manifatturiere dove molteplici elementi (lavoro, materie prime, energia etc.) contribuiscono alla produzione. Per la determinazione del costo fiscalmente rilevante occorre far riferimento ai criteri dettati dalla lett. b), comma 1, dell’art. 110, T.U.I.R., in tema di norme generali sulle valutazioni. “[…] si comprendono nel costo anche gli oneri accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese generali. […] Nel costo di fabbricazione si possono aggiungere con gli stessi criteri anche i costi diversi da quelli 24 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” direttamente imputabili al prodotto; per gli immobili alla cui produzione è diretta l’attività dell’impresa si comprendono nel costo gli interessi passivi sui prestiti contratti per la loro costruzione o ristrutturazione […]”. La capitalizzazione degli interessi è concessa, pertanto, solo ai fini della valutazione: 1) dei beni materiali e immateriali strumentali; 2) degli immobili alla cui produzione (non all’acquisto per la rivendita) è diretta l’attività dell’impresa. È utile rilevare, in merito, che, per le società di capitali e gli enti commerciali, l’art. 96, così come modificato dalla Finanziaria 2008, prevede un particolare meccanismo di deducibilità degli interessi passivi, in base al quale gli oneri finanziari possono essere dedotti in ciascun periodo d’imposta entro il limite del 30% del ROL (risultato operativo lordo della gestione caratteristica). Un’errata interpretazione e/o applicazione dei principi contabili porterebbe ad un fortuito quanto indebito vantaggio di natura tributaria, tali da implicare conseguenze di nantura sanzionatoria da un punto di vista fiscale, come nel caso degli interessi passivi e quindi del ROL previsto dall’articolo 96 del T.U.I.R.. Gli oneri finanziari, infatti, nel rispetto delle condizioni esposte dal codice civile e dai principi contabili, possono essere imputati alle rimanenze (OIC 13) oppure “capitalizzati” in caso di immobilizzazioni materiali (OIC 16) o immobilizzazioni immateriali (OIC 24). Pertanto, nel caso in cui l’imputazione o la capitalizzazione avvenga nel rispetto dei requisiti richiesti dalle norme e principi qui enunciati, tali interessi non concorreranno alla quantificazione del “limite del 30%” del ROL. Nel caso in cui ciò non accadesse, si potrebbe verificare un disconoscimento o rinvio, ai fini fiscali, della deducibilità di tali componenti negativi. Sono esclusi dall’ambito applicativo dell’art. 96 gli interessi passivi compresi nel costo dei beni ex art. 110, comma 1, lett. b), T.U.I.R., in base al quale è consentito, quale deroga alla regola generale, di: a) ricomprendere nel costo (di acquisizione o fabbricazione) dei beni materiali ed immateriali strumentali gli interessi passivi iscritti in bilancio ad aumento del costo per effetto di disposizioni di legge; b) ricomprendere nel costo degli immobili merce gli interessi passivi di finanziamento riferiti alla loro costruzione/ristrutturazione. Il principio OIC 13 precisa il trattamento contabile dei contributi in conto esercizio relativi all’acquisto delle rimanenze. Ai fini della valutazione delle rimanenze, i contributi in conto esercizio acquisiti a titolo definitivo sono portati in deduzione al costo di acquisto dei materiali; in tal modo la 25 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” valutazione delle rimanenze permette di sospendere i costi effettivamente sostenuti, ossia al netto dei contributi ricevuti. I contributi in conto esercizio, essendo un componente positivo di reddito, rientrano nella voce A.5) “Altri ricavi e proventi”. I costi per acquisto sostenuti per l’approvvigionamento di materie prime, sussidiarie, di consumo e merci rientrano tra i costi della produzione alla voce B.6), al lordo dei contributi ricevuti per tali acquisti. La variazione delle rimanenze di materie prime, semilavorati e prodotti finiti (pari alla differenza tra le rimanenze finali e quelle iniziali e al netto dei contributi in conto esercizio) è rilevata, in base alla tipologia di rimanenza. Nella voce B11 “variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie e di consumo e merci” rientrano le rimanenze usate indirettamente nella produzione (materiale sussidiario e di consumo) e quelle di merci e di materie prime che non hanno subito un processo di trasformazione. Nella voce A2 “variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti”, al netto dei contributi ricevuti, si includono le rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti, ossia prodotti già pronti per la vendita. Con riferimento ai contributi in conto esercizio (rilevati per competenza) per l’acquisto dei beni di cui all’art.85 comma 1, lettere a) e b) T.U.I.R., come evidenziato, la versione aggiornata dell’OIC 13, prevede, ai fini della valutazione delle rimanenze, che la variazione delle rimanenze di materie prime, semilavorati e prodotti finiti sia iscritta nelle voci B11 o A2 al netto dei contributi al fine di sospendere i costi effettivamente sostenuti 25: per il principio di derivazione, l’applicazione dei corretti principi contabili ha valenza anche ai fini fiscali. 3.3 Modificabilità dei criteri di valutazione Tra le maggiori discrasie tra codice civile e T.U.I.R. ritroviamo la “immodificabilità dei criteri di valutazione” delle rimanenze. Una volta scelto un metodo, questo deve essere mantenuto anno dopo anno; eventuali modifiche negli anni successivi vanno indicate e giustificate in nota integrativa. L’art. 2423 bis, comma 6, stabilisce che i criteri di valutazione utilizzati per la redazione del bilancio non possano essere modificati da un esercizio all’altro al fine di rendere comparabili i bilanci. Deroghe a tale principio sono previste solo in casi eccezionali ed ovviamente la motivazione dovrà essere riportata nella nota integrativa indicandone anche l’influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico. 25 N. Semeraro – E. Stifani “Principi contabili nazionali: gli interventi di rinnovamento” - Fiscooggi del 24/12/2014; 26 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” L'art. 2423 comma 4 consente una deroga all'immodificabilità dei criteri di valutazione se, in casi eccezionali, la valutazione è incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta. L'art. 2423-bis c.c. prevede che “ Deroghe al principio enunciato nel numero 6) del comma precedente sono consentite in casi eccezionali. La nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l'influenza sulla rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico.” Dalla lettura comparata dei due articoli si ricava: a) in entrambe le norme occorre un caso eccezionale; b) l'art. 2423 riguarda tutti i principi di redazione del bilancio e quindi anche i criteri di valutazione, l'art. 2423- bis riguarda esclusivamente i criteri di valutazione; c) nel caso dell'art. 2423, una volta appurata l'incompatibilità con la rappresentazione veritiera e corretta vi è l'obbligo di derogare, mentre nelle previsioni dell'art. 2423-bis la deroga è possibile ma non obbligatoria. In ogni caso la nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l’influenza sulla rappresentazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. Dal punto di vista fiscale in caso di mutamento dei criteri di valutazione, rispetto a quelli adottati nei precedenti esercizi, civilisticamente giustificato, l’impresa è tenuta fiscalmente ai sensi dell’art.110 co.6 T.U.I.R., a darne comunicazione all’Agenzia delle Entrate mediante la compilazione dell’apposito rigo presente nel quadro RS del modello Unico rubricato “Variazione dei criteri di valutazione adottati nei precedenti esercizi”, così come introdotto già dal periodo d’imposta 2013 in un’ottica di semplificazione. La scelta del criterio ha effetto dallo stesso esercizio in cui il contribuente decide di adottarlo. L'Amministrazione finanziaria non può opporsi alla scelta effettuata, ma può indagare al fine di accertare se il nuovo criterio rientra tra quelli fiscalmente consentiti. Nel caso in cui il criterio adottato non sia fiscalmente legittimo, l'Agenzia delle Entrate può rettificare il valore delle rimanenze mediante l'applicazione dei criteri indicati dall'art. 92, T.U.I.R. 3.4 Svalutazione delle rimanenze Il comma 5 dell’art.92 T.U.I.R. afferma che: “[…] se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato a norma dei commi 2, 3 e 4, è superiore al valore normale medio di essi nell’ultimo mese dell’esercizio, il valore minimo di cui al comma 1 è determinato 27 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” moltiplicando l’intera quantità dei beni, indipendentemente dall’esercizio di formazione, per il valore normale […]” 26. Tale principio sembrerebbe coincidere con quello dettato dal legislatore civilistico all’art.2426, comma 1, n.9 che prevede che le rimanenze debbano essere iscritte al costo di acquisto o di produzione, ovvero al valore di realizzo desumibile dall’andamento di mercato, se inferiore. È da rilevare, tuttavia, che: a) l’applicazione dei principi contabili risulta un obbligo in capo agli amministratori, mentre ai fini fiscali è una facoltà di legge. b) Non sempre il valore di realizzo desumibile dall’andamento di mercato di cui all’art.2426 codice civile coincide con il valore normale richiamato dall’art.9 comma 3 T.U.I.R. che coincide con il prezzo medio di mercato o corrente praticato, tenuto altresì conto che, per le valute estere si assume come valore normale il valore secondo il cambio alla data della chiusura dell’esercizio. c) Il momento temporale a cui fare riferimento per la valutazione delle rimanenze è differente: fiscalmente, si è visto, si fa riferimento al valore normale medio dell’ultimo mese dell’esercizio, civilisticamente rileva il minor valore di realizzo emerso alla data di approvazione di bilancio, quindi oltre la data di chiusura dell’esercizio e fino alla data dell’assemblea (OIC 13, § da 75 a 78). Ciò può comportare il disconoscimento delle svalutazioni delle rimanenze di magazzino basate sui criteri civilistici da parte dell’Amministrazione finanziaria che può eccepire la mancanza di idonea documentazione a provare che la svalutazione derivi dalla valutazione delle rimanenze in base all’andamento del mercato relativo al mese di dicembre 27. La svalutazione fiscale delle rimanenze, come tutte le norme attinenti la valutazione del 26 Il criterio di svalutazione delle rimanenze previsto dal codice civile è diverso da quello fiscale; ciò in quanto: - il primo impone la scelta del minore tra il costo e il valore di mercato (valore presunto di realizzo); - il secondo invece accoglie qualsiasi valore che non sia inferiore al minore tra il costo e il valore di realizzo riferito al valore normale medio di vendita dei beni nell’ultimo mese di esercizio. 27 Cass.n.39096 del 23 settembre 2013 “[…] per quanto concerne il reato di dichiarazione infedele il Tribunale evidenzia l’assoluta inconsistenza della ricostruzione difensiva – pedissequamente reiterata in sede di legittimità – secondo cui vi sarebbe stata una cessione di parte delle rimanenze che avrebbe diminuito il loro valore. Tale ricostruzione è infatti smentita dalla relazione al bilancio da parte degli amministratori nella quale si fa riferimento ad una non meglio precisata e, dunque, inverosimile rapida obsolescenza dei beni in oggetto cui conseguirebbe la difficoltà di porre gli stessi sul mercato […]”; 28 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” patrimonio aziendale - in contrapposizione alle norme sulla competenza – è evidentemente facoltativa 28 e può essere effettuata in qualsiasi esercizio ne continuino a sussistere i presupposti (differenza tra valore di mercato e di costo). La valutazione delle rimanenze comporta, infatti, conformemente al principio della continuità dei valori fiscalmente riconosciuti, il solo spostamento di elementi reddituali da un periodo d’imposta ai successivi: il valore delle rimanenze finali di un esercizio costituiscono il valore delle rimanenze iniziali, cioè componenti negative di reddito, dell’esercizio successivo, in quanto i ricavi delle vendite di tale esercizio derivano ovviamente anche dalle rimanenze dell’esercizio precedente. Il minor valore attribuito alle rimanenze vale anche per gli esercizi successivi, sempre che esse non risultino iscritte nello Stato patrimoniale del bilancio per un valore superiore. In merito l’Amministrazione finanziaria (C.M. 73/E del 27 maggio 1994) si è così espressa: “[…] ebbene la ripresa di valore ai fini civilistici comporta necessariamente l’assoggettamento ad imposizione di tale rivalutazione, stante il disposto dello stesso ultimo periodo del comma 4 dell’art.59 – oggi art.92 T.U.I.R. – secondo cui il minor valore attribuito alle rimanenze in conformità alle disposizioni di tale norma vale anche per gli esercizi successivi sempreché le rimanenze non risultino iscritte in bilancio ad un valore superiore […].”. Si evidenzia peraltro che la facoltà riconosciuta dal legislatore fiscale relativa alla possibilità di svalutare le rimanenze, disciplina unicamente la casistica riguardante i beni valutati con i metodi alternativi di cui ai commi 2, 3 e 4 dell’art.92 T.U.I.R., perché si tratta di metodologie convenzionali effettuate “per masse” di beni fungibili, mentre nulla prevede per la valutazione dei beni effettuata a “costi specifici”. 3.4.1 - La R.M. 78/E del 12 novembre 2013 e La Circolare 10/E del 14 maggio 2014 In merito alla svalutazione del magazzino è di rilievo la posizione assunta dall’Amministrazione Finanziaria con la Risoluzione Ministeriale n.78/E del 12 novembre 2013. La Risoluzione n.78/E, analizzando il caso specifico di una Società Alfa Spa, afferma che, in caso di svalutazione delle rimanenze di un bene infungibile (immobile) al costo specifico, comprensivo di prezzi di acquisto e degli oneri accessori, la svalutazione non ha incidenza ai fini fiscali. La svalutazione iscritta in bilancio non assume rilevanza ai fini Ires, ma presuppone in sede di dichiarazione fiscale una variazione in aumento del reddito imponibile in misura corrispondente alla svalutazione contabile effettuata. 28 R. Lupi “Diritto tributario –Parte speciale” - ED.GIUFFRE’ 1998 - pp.134 e ss; 29 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” L’Agenzia delle Entrate ha così motivato la propria posizione: L’articolo 2426, n. 9, del codice civile dispone che “Le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolati secondo il n. 1 ovvero al valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato, se minore. Tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi”. Il costo di acquisto ricomprende anche i costi accessori, mentre il costo di produzione è costituito dai costi diretti e indiretti per la quota parte ragionevolmente imputabile al prodotto, compresi “gli oneri relativi al finanziamento della fabbricazione interna o presso terzi” [cfr. articolo 2426, n.1, c.c.]. Ai sensi del successivo n. 10, “Il costo dei beni fungibili può essere calcolato col metodo della media ponderata o con quelli «primo entrato, primo uscito» o «ultimo entrato, primo uscito». Se il valore così ottenuto differisce in misura apprezzabile dai costi correnti alla chiusura dell’esercizio, la differenza deve essere indicata, per categoria di beni, nella nota integrativa”. Già in ambito civilistico, pertanto, si desume un trattamento diverso dei beni sulla base della natura degli stessi: solo per i beni fungibili non dotati di una propria individualità, per i quali è possibile la gestione in massa e il raggruppamento in categorie omogenee, è consentita la valutazione con criteri forfetari alternativi al costo [i.e. costo medio ponderato, FIFO, LIFO e relative varianti]. Ai fini della relativa valorizzazione a fine esercizio occorre, pertanto, attuare specifiche assunzioni sul flusso fisico di magazzino [cfr. principio contabile OIC n. 13 del 13 luglio 2005]. Diversamente, i beni infungibili, che per la loro specificità sono unici e non sono sostituibili con beni aventi caratteristiche perfettamente identiche, devono essere valutati al costo specifico [i.e. costo di acquisto o di produzione]. Per tali beni, infatti, risulta possibile una misurazione puntuale dei costi effettivi ad essi afferenti. E’ di tutta evidenza che la disciplina civilistica appena esaminata risulta improntata al rispetto del principio della prudenza nell’ambito di una rappresentazione veritiera e corretta dei fenomeni aziendali [cfr. articolo 2423 c.c.]. Ai fini fiscali, l’articolo 92, comma 1, del T.U.I.R. stabilisce che “(…) le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell’articolo 93, sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato a norma (...)” dei successivi commi 2, 3 e 4. Il successivo comma 5 prevede che “Se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato a norma dei commi 2, 3 e 4, è superiore al valore normale medio di essi nell’ultimo mese dell’esercizio il valore minimo di cui al comma 1 è determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni, indipendentemente dall’esercizio di formazione, per il valore normale”. La disciplina tributaria prevista in materia, così come riformata nell’ambito del Testo unico attualmente vigente, si 30 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” pone dunque in rapporto di dipendenza dalla normativa civilistica nella misura in cui dà ingresso – ai fini della valutazione delle rimanenze – ai criteri adottati in bilancio, nel rispetto tuttavia di un valore minimo che la norma fiscale impone. In tale ottica, va letto l’esclusivo riferimento nell’ambito dei fenomeni valutativi – accolti eccezionalmente in sede di determinazione del risultato di periodo – alle giacenze di magazzino dei beni valutati con criteri forfetari di tipo convenzionale. Il mancato richiamo nell’ambito del comma 5 dell’articolo 92 ai beni valutati a costi specifici porta, dunque, a ritenere che il legislatore abbia inteso individuare una specifica disciplina fiscale, ai fini della valutazione delle rimanenze, con esclusivo riferimento ai beni valutati con criteri di determinazione alternativi al costo, per i quali ha riconosciuto la possibilità di procedere alla relativa svalutazione. Tale facoltà risulta, al contrario, preclusa in relazione ai beni valutati al costo, la cui svalutazione non trova riconoscimento fiscale. Parimenti, ai sensi del comma 6 del medesimo articolo 92 sono valutati al costo i beni in corso di esecuzione al termine dell’esercizio, salvo quanto previsto per le opere, forniture e servizi di durata ultrannuale, la cui valutazione è fatta sulla base dei corrispettivi secondo le modalità previste dal successivo articolo 93. Un’interpretazione difforme da quella appena riportata, che consentisse la deducibilità fiscale delle riduzioni di valore subite dai beni valutati al costo, non sarebbe in linea con la ratio della norma. Dunque affinché si possa procedere alla svalutazione fiscale del magazzino è necessario poter dimostrare il suo minor valore di mercato onde evitare possibili contestazioni da parte dell'Amministrazione finanziaria. Diversamente, non pare esserci altra strada che un intervento legislativo con una norma di legge ad hoc, una “legge di svalutazione” speculare alla legge di rivalutazione che ne richiama le medesime modalità operative. L’Agenzia delle Entrate, a conferma della richiamata interpretazione, nella Circolare 10/E del 14 maggio 2014 ha affermato che la svalutazione delle rimanenze per i beni valutati a costo specifico è fiscalmente irrilevante. Il documento di prassi testualmente recita: “In tal senso, va letto l’esclusivo riferimento nell’ambito del comma 5 del medesimo articolo 92 ai beni valutati con criteri convenzionali alternativi al costo [LIFO, FIFO, CMP], per i quali è espressamente riconosciuta la possibilità di procedere alla relativa svalutazione. Ciò nella considerazione per cui i fenomeni di natura valutativa sono accolti in via del tutto eccezionale in sede di determinazione del reddito imponibile. In tale ottica, il decreto 8 giugno 2011, contenente “Disposizioni di coordinamento tra i principi contabili internazionali, (…) e le regole di determinazione della base imponibile dell’IRES e dell’IRAP per i soggetti IAS 31 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” adopter” ha, tra l’altro, disposto all’articolo 3 l’irrilevanza fiscale dei “(…) maggiori o minori valori da valutazione degli immobili classificati ai sensi dello IAS 2 (…)”. Appare coerente con il quadro normativo di riferimento, pertanto, l’irrilevanza fiscale dei maggiori valori delle rimanenze di beni valutati a costo specifico”. 32 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” 3.5 Rilevanza delle indicazioni riportate nella Nota Integrativa al bilancio: L’orientamento della Corte di Cassazione Come ampiamente illustrato nel paragrafo 1, il principio di derivazione ai sensi dell’art.83 T.U.I.R. assume completa applicazione ed ha rilevanza in assenza di “deroghe” operate dalla norma tributaria. Il bilancio redatto correttamente può costituire una garanzia per le imprese, anche nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. In via generale, infatti, nel caso non vi siano specifiche disposizioni tributarie, il comportamento seguito dall’impresa nella redazione dei conti annuali ha rilevanza anche ai fini fiscali (in base al principio di derivazione). Inoltre, poiché il codice civile contiene norme giuridiche, il redattore del bilancio deve conoscere le disposizioni che integrano il contenuto sul piano tecnico: queste sono costituite dai principi contabili nazionali emanati dall’Organismo Italiano di Contabilità. Appare ormai consolidato l’orientamento della Suprema Corte in tema di rilevanza anche ai fini tributari delle indicazioni riportate in nota integrativa. In tal senso, con la sentenza n. 22016/14, la Cassazione ha condiviso il comportamento dei verificatori che avevano considerato indeducibile parte degli ammortamenti iscritti in bilancio, i cui criteri di determinazione non erano giustificati nella nota integrativa e nonostante il rispetto dei limiti consentiti dalla norma fiscale. Medesimo orientamento si riscontra nella sentenza n. 451 del 14 gennaio 2015, concernente il caso di un contribuente che, perduta un’esenzione decennale di natura fiscale, aveva strumentalmente incrementato le aliquote di ammortamento, con conseguente abbattimento del reddito. Si legge nella sentenza: “… nel caso di specie; è incontestato che nessuna nota integrativa conteneva la benché minima motivazione circa la radicale modifica dei coefficienti di ammortamento intervenuta a far tempo dall'esercizio 1999, dunque proprio in concomitanza con la cessazione del regime decennale di esenzione territoriale Irpeg, che ne ha comportato una sorta di "prolungamento", nella misura in cui l'improvviso (ed apparentemente ingiustificato) raddoppio dei componenti negativi ha determinato un abbattimento dei redditi, nel momento in cui essi erano divenuti nuovamente imponibili. Né, si sottolinea, alcuna giustificazione al riguardo è stata mai successivamente fornita dalla contribuente, nemmeno nel corso del giudizio”. Successiva conferma di tale orientamento, si ha anche con la recente sentenza n. 20678 del 14.10.2015 in cui si legge “l'ammortamento deve essere necessariamente improntato a criterio di sistematicità e le quote di ammortamento, dovendo essere rapportate in modo tendenzialmente uniforme alla durata normale di 33 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” utilizzazione dei beni strumentali, non possono, in assenza di adeguata esposizione della relativa giustificazione economica nella nota integrativa di bilancio, variare in relazione alle diverse annualità”. La lettura di tali affermazioni della giurisprudenza di legittimità sembra suggerire che, l’Amministrazione finanziaria può sindacare in scelte di natura meramente civilistica al fine di disconoscere i vantaggi fiscali derivanti dalle medesime, con un evidente pericolo di valutazione finalizzata al solo recupero contabile, sindacando le scelte contabili non coerenti del contribuente. Si rammenta, in merito, che con la legge n. 244 del 24 dicembre 2007, fu inserito il comma 34 all’articolo 1 ove si affermava che: “Gli ammortamenti, gli accantonamenti e le altre rettifiche di valore imputati al conto economico a partire dall’esercizio dal quale, … , decorre l’eliminazione delle deduzioni extracontabili, possono essere disconosciuti dall’Amministrazione finanziaria se non coerenti con i comportamenti contabili sistematicamente adottati nei precedenti esercizi, salva la possibilità per l’impresa di dimostrare la giustificazione economica di detti componenti in base a corretti principi contabili” 29. Dal punto di vista operativo, significa che la variazione delle misure dell’ammortamento, così come anche il mutamento dei criteri di valutazione delle rimanenze devono trovare adeguata giustificazione nella nota integrativa non solo perché le omissioni di informativa in nota integrativa in merito sono in evidente contrasto con i principi di chiarezza e di veridicità da osservare nella redazione del bilancio, ma anche perché possono determinare la non rilevanza fiscale delle poste di bilancio. Il principio di derivazione ex art.83 T.U.I.R., infatti, è valido anche in senso favorevole alle imprese. Si pensi ancora, ad esempio, all’imputazione alle rimanenze (o alle immobilizzazioni materiali) degli interessi passivi che, effettuata secondo le indicazioni dei principi contabili OIC 13 (e OIC 16), è senza dubbio valida anche ai fini fiscali. Dal punto di vista pratico, il messaggio da cogliere parrebbe semplice: un bilancio completo (inteso nel suo complesso come appropriati schemi di bilancio ed esauriente informativa in nota integrativa) anche per una migliore difesa nei confronti del Fisco. Per completezza informativa si evidenzia infine che la direttiva europea 2013/34/UE, ha previsto 29 G.Valcarenghi – P. Noventa “Ammortamenti: il Fisco entra nelle valutazioni di bilancio” – in New Euroconference 22 ottobre 2015; F.Bava – A. Devalle “Modifica del piano di ammortamento da motivare in Nota integrativa” in Eutekne 27 ottobre 2015. 34 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” per le cosiddette microimprese l’esonero dalla redazione della nota integrativa 30 . In punto bisognerà attendere i chiarimenti, demandati all’OIC, per comprendere e valutare, operativamente, l’utilizzo delle “specifiche informazioni in calce allo stato patrimoniale”, anche e soprattutto in relazione a quanto sopra asserito in tema di validità ed importanza delle informazioni complementari al bilancio. Le principali informazioni da fornire nella nota integrativa in merito alle rimanenze di magazzino (art. 2427, c.c. e OIC 13, §§ 98-103) sono le seguenti: - principio generale di valutazione (minore tra costo e mercato); - metodo del costo adottato (costo medio ponderato, Fifo, Lifo, costo specifico); - criteri adottati per la svalutazione al valore di mercato (valore netto di realizzo, costo di sostituzione, ecc.), specificando anche a quale tipologia del valore di mercato sono state svalutata le rimanenze obsolete ed a lento rigiro. - ripristino del costo originario, qualora vengano meno le ragioni che avevano giustificato la svalutazione, nonché il conseguente effetto sul conto economico; - eventuale cambiamento dei metodi, le ragioni del medesimo ed il relativo effetto sul conto economico nonché il metodo di contabilizzazione. Gli eventuali cambiamenti rilevanti nella classificazione delle voci; - qualsiasi gravame relativo alle rimanenze (pegno, patto di riservato dominio, ecc.); - differenza, se significativa, fra il valore delle rimanenze di magazzino a prezzi correnti e la valutazione di bilancio, se inferiore; - eventuali interessi inclusi nei costi di voci che richiedono un processo di invecchiamento pluriennale, in quanto relativi a finanziamenti assunti chiaramente a forte di tali voci; - perdite di ammontare rilevante derivanti da ordini confermati di acquisto o di vendita che devono essere riconosciute nell'esercizio in cui sono note. Tale indicazione non è necessaria se le 30 Bilanci semplificati per le microimprese: Per le società minori, attraverso l’introduzione del nuovo art. 2435ter nel codice civile, viene prevista la possibilità di redigere un bilancio “semplificato”, con una sensibile riduzione degli oneri informativi. Si tratta delle società di cui all’art. 2435bis che nel primo esercizio o, successivamente, per due esercizi consecutivi, non abbiano superato due dei seguenti limiti: totale dell’attivo dello Stato patrimoniale: 175.000 euro; Ricavi delle vendite e delle prestazioni: 350.000 euro; dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 5 unità. Per tali soggetti è consentito procedere ad aggregazioni e semplificazioni che riducono in maniera rilevante l’onere amministrativo derivante dall’assolvimento degli obblighi di bilancio. In particolare, sarà possibile omettere la presentazione della nota integrativa, della relazione sulla gestione e del rendiconto finanziario, fornendo specifiche informazioni in calce allo stato patrimoniale. 35 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” perdite sono identificate chiaramente nel corpo del conto economico; Oltremodo, va ricordato che vi sono altri due tipi di informazioni che si devono/possono menzionare nella nota integrativa, ossia: - informativa complementare: considerata necessaria nel caso venga adottato il costo Lifo e l'effetto, se significativo sul risultato di esercizio, conseguente all'esistenza alla fine dell'esercizio di quantità inferiori a quelle dell'inizio dell'esercizio. Tali riduzioni di quantità, infatti, in fase di prezzi crescenti si concretizzano nell'accredito al conto economico di costi remoti (rinvio alla relazione di gestione per gli eventuali fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell'esercizio); - informativa facoltativa: l'ammontare, se rilevante, della svalutazione apportata per effetto del mercato. 3.6 Metodo del prezzo al dettaglio La normativa civilistica in merito alla valutazione del magazzino nel caso di beni fungibili, prevede, all’art.2426 comma 10, la possibilità di scegliere tra il metodo della media ponderata, il metodo F.I.F.O. e il metodo L.I.F.O.. Esistono ulteriori criteri alternativi di valutazione delle rimanenze, così come previsto dall’art. 92, comma 8 del T.U.I.R., tra i quali rientra il metodo del prezzo al dettaglio (Retail Method). Tale criterio, non costituendo un metodo di valutazione dei costi previsto dal Codice Civile, può essere utilizzato solo se produce valori assimilabili, con scostamenti trascurabili, rispetto a quelli che si otterrebbero utilizzando i tre metodi valutativi previsti dalla disciplina civilistica (OIC 13 §62). Il Retail Method, allo scopo di facilitare la valutazione delle giacenze fisiche soprattutto all’interno dei punti vendita, è generalmente utilizzato dagli operatori della grande distribuzione (ipermercati, supermercati), quindi si tratta di vendite al dettaglio che comportano rimanenze di grandi quantità di beni soggetti a rapida velocità di rotazione del magazzino (IAS 2). Anche gli esercenti attività di commercio al minuto possono applicare il metodo del prezzo al dettaglio e l’art. 92 comma 8 T.U.I.R. stabilisce che per tali esercenti si tenga conto del valore delle rimanenze così determinato anche in deroga alla disposizione del comma 1 dell’art.92 del T.U.I.R., a condizione che nella dichiarazione dei redditi in apposito prospetto allegato siano illustrati i criteri e le modalità di applicazione del suddetto metodo, con riferimento all’oggetto e alla struttura organizzativa dell’impresa. È importante ricordare che il prospetto dovrà essere conservato per tutto il periodo in cui siano possibili i controlli da parte degli Uffici finanziari. Per i commercianti al minuto le rimanenze 36 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” finali si valutano con il metodo del prezzo al dettaglio, e ciò anche se la sua applicazione produce risultati inferiori a quelli ottenibili con il L.I.F.O. a scatti. Il metodo del prezzo al dettaglio è un criterio che si basa fondamentalmente sulla contrapposizione tra i valori di costo e quelli di vendita, quindi si tratta di una rilevazione a valori e non a quantità. Per l’applicazione di tale metodo occorre aggregare le merci per gruppi merceologici caratterizzati dalla stessa percentuale di ricarico (Mark-up). Le entrate saranno rilevate sia “a costo” sia “a ricavo”, in modo da permettere l’individuazione del ricarico, mentre le uscite saranno contabilizzate “a ricavo”, ossia al prezzo di vendita. Ovviamente sarà modificata la valorizzazione “a ricavo” ogni volta che cambierà il prezzo di vendita. Al termine dell’esercizio, le rimanenze finali saranno valutate al costo “approssimato” che si otterrà sottraendo dal ricavo di vendita la percentuale di ricarico. In generale, nella determinazione dei costi si assume che il flusso prescelto (F.I.F.O., L.I.F.O., costo medio ponderato) segua il ciclo produttivo dell’impresa, ed è proprio in virtù di tale motivo che il nuovo OIC 13 prevede metodi alternativi di valutazione dei costi, tra cui appunto il Retail Method, per consentire un maggiore collegamento con il ciclo produttivo. Si osservi come la versione di agosto 2014 dell’OIC 13 fornisce una significativa novità in tema, rappresentata dall’introduzione di un esempio applicativo (OIC 13 §62, appendice “C”). 3.7 Cenni in merito alle modifiche apportate dal D.Lgs.139/15 a seguito del recepimento della direttiva 2013/34/Eu con specifico riferimento alle rimanenze Con riferimento alla norma richiamata in oggetto in tema di Rimanenze, si rileva sinteticamente che 31 rispetto alla precedente formulazione: 1) non sono cambiate le tecniche di valutazione; 2) non è più consentita l’iscrizione al valore costante di materie prime, sussidiarie e di consumo dei beni di “scarsa importanza” (art.2426 co.1 n.12 codice civile). Quanto al metodo LIFO, la bozza di direttiva ne prevedeva l’eliminazione; la versione definitiva ha mantenuto il metodo e, pertanto, le disposizioni del codice civile restano immutate. Quanto all’eliminazione dell’iscrizione al valore costante dei beni di “scarsa importanza”, spetterà ai principi contabili stabilire se il principio della rilevanza possa essere riferito alle singole categorie di beni e in quale misura. 31 M.Pozzoli “OIC 13: le novità sulla contabilizzazione delle rimanenze” – Norme e Tributi – Ottobre 2015 37 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” 4. Indicazioni operative 4.1. I principali aspetti da sottoporre a controllo anche alla luce dei controlli Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza. La sentenza della Cassazione n.6517 del 31 marzo 2015. Il tema della verifica delle rimanenze è di particolare rilevanza, sia per una loro corretta valorizzazione in bilancio, sia per i risvolti di carattere fiscale che assume in sede di verifica fiscale. Tale aspetto assume maggior importanza alla luce del recente pronunciamento della Suprema Corte (Sent.n. 6517 del 31/03/2015), con la quale è stata cassata la sentenza n. 219/1/2009 della Commissione Tributaria Regionale del Lazio, che aveva riconosciuto una sorta di "potere sanatorio" della differenza tra l'inventario fallimentare e le risultanze fisiche e inventariali di due anni precedenti. Procediamo con ordine: la valutazione delle rimanenze di fine esercizio consente di verificare che la giacenza fisica delle stesse corrisponda a quella contabile. Tra le principali cause che possono generare differenze inventariali ricordiamo i cali fisici delle merci (più o meno importanti a seconda della tipologia merceologica), le distruzioni accidentali, i furti, eventuali errori degli addetti al magazzino in fase di contabilizzazione del carico e dello scarico delle merci, perdite accidentali durante il trasporto, ecc. In questi casi semplici annotazioni contabili, o l'effettuazione di adempimenti formali come l'invio delle comunicazioni raccomandate all'Agenzia dell'Entrate e alla Guardia di Finanza nel caso di distruzione dei beni costituenti il magazzino, consentono una sicura tutela avverso le contestazioni in fase di verifica. Presunzione di cessione La presunzione di acquisto e vendita è disciplinata dall'art. 53 del D.P.R. 633/1972 come modificato dal D.P. n. 441/97 che, sebbene riferita all'Imposta sul Valore Aggiunto, ha implicazioni anche sulle Imposte dirette. La norma sancisce che si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovino nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi 38 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” rappresentanti. Tra questi luoghi rientrano le sedi secondarie, filiali, succursali, dipendenze, stabilimenti, negozi, depositi ed i mezzi di trasporto nella disponibilità dell'impresa. Si richiama qui la Sentenza n. 3435/2008 della Corte di Cassazione, che ha rigidamente ritenuto sussistere la presunzione di cessione anche nel caso in cui le merci si trovino in un locale che è nella disponibilità dell'accertato, ma che non sia stato segnalato all'Amministrazione Finanziaria ai sensi dell'art. 35, del D.P.R. 633/1972. La presunzione, in sede di accertamento, non opera se è dimostrato che i beni stessi: - sono stati impiegati per la produzione; - sono stati perduti o distrutti; - sono stati consegnati a terzi in lavorazione, deposito, comodato o in dipendenza di contratti estimatori, di contratti d'opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o di altro titolo non traslativo della proprietà. L'elencazione fatta dalla norma al riguardo è puramente esemplificativa: quello che rileva, infatti, è unicamente l'assenza di qualsiasi titolo traslativo della proprietà. Si evidenzia peraltro che fra i luoghi fisici ove il contribuente può svolgere le proprie operazioni sono stati previsti espressamente anche i mezzi di trasporto che si trovano nella disponibilità dell'impresa. La presunzione di cessione scaturisce, infatti, dal confronto tra l'entità dei beni acquistati, importati o prodotti (al netto dei beni utilizzati per la produzione perduti o distrutti, dei beni consegnati a terzi in lavorazione, deposito o comodato, ecc.) e l'entità dei beni effettivamente giacenti nei luoghi ove il contribuente svolge le proprie operazioni, comprese le dipendenze, ecc. La differenza tra le due entità evidenzia la quantità dei beni che, in via presuntiva, sono da considerare ceduti con la conseguenza che ove le effettive consistenze finali siano inferiori a quelle contabilizzate, i beni costituenti la differenza si considerano ceduti senza il pagamento dell'imposta. Trattasi di una presunzione legale "iuris tantum" con la quale la legge dà per avvenuto un certo fatto fino alla dimostrazione del contrario, da fornirsi da parte del contribuente. A tal fine l'art. 1 del citato D.P.R. n. 441 del 1997 stabilisce una serie di adempimenti a carico del contribuente, la cui concreta attuazione impedisce il sorgere delle suddette presunzioni nei suoi confronti. L'elencazione degli stessi mezzi di prova ha carattere tassativo, sono quindi escluse modalità di prova diverse da quelle espressamente contemplate da suddetto decreto. 39 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” Gli effetti delle presunzioni di cessione, conseguenti alla rilevazione fisica dei beni, operano esclusivamente al momento dell'inizio degli accessi, controlli e verifiche. La norma, quindi, presuppone implicitamente una verifica fiscale da parte degli organi accertatori al fine di rilevare, al momento dell'inizio delle operazioni di controllo, i beni esistenti nei luoghi di svolgimento delle operazioni del contribuente. Al comma 2 dell'articolo 4 del D.P.R. 441/97 è previsto che le differenze quantitative derivanti dal raffronto tra le risultanze delle scritture di magazzino di cui al D.P.R. n. 600 del 1973 o della documentazione obbligatoria emessa e ricevuta e le consistenze delle rimanenze finali registrate dallo stesso contribuente, costituiscano presunzioni di cessione o di acquisto per il periodo d'imposta oggetto del controllo. In tal caso le presunzioni di cessioni e di acquisto operano anche per i periodi d'imposta precedenti all'anno in corso, ma comunque oggetto del controllo, qualora emergano in relazione a tali annualità le differenze quantitative sopradescritte. Di fondamentale importanza quindi appare la valorizzazione del magazzino nell'inventario, suddividendo la consistenza dei beni in magazzino raggruppati per categorie omogenee per natura e per valore attribuito a ciascun gruppo. Si sottolinea l'opportunità che dall'inventario o da eventuali distinte utilizzate per la redazione dello stesso si rilevino gli elementi costitutivi i singoli gruppi e la loro ubicazione, al fine di non incorrere in un accertamento induttivo per inattendibilità delle scritture contabili di magazzino per difetto di specifica indicazione anche dei criteri di valutazione delle rimanenze di magazzino (Sent. Cassazione n. 18018 del 4 luglio 2007). Si richiama qui, come nota alla verifica di cali naturali e tecnici, quanto disposto dalla Circolare dell'Agenzia delle Entrate n. 31/E del 2 ottobre 2006 per le verifica delle differenze inventariali per i soggetti tenuti alla contabilità di magazzino nella grande distribuzione, laddove vengono invitati i verificatori ad esaminare le modalità di formazione delle differenze in relazione ad informazioni rese dal contribuente, e non procedere in maniera asettica alla semplice ed immediata ripresa a tassazione delle differenze riscontrate. Dal punto di vista operativo, in sede di bilancio occorrerà verificare la corrispondenza delle risultanze contabili con la consistenza fisica del magazzino. Occorrerà cioè verificare se nel corso dell'esercizio siano stati distrutti dei beni in giacenza, se ci sono beni propri presso terzi giustificati da idonea documentazione o viceversa, se tutti i locali nella disponibilità del soggetto siano dichiarati all'Amministrazione finanziaria, e così via. La Corte di Cassazione, con Sentenza n. 6517 de 31/03/2015, si è pronunciata a riguardo della 40 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” fattispecie in esame. La Suprema Corte nella suddetta sentenza ha riconosciuto la legittimità di un accertamento, scaturente da un Processo Verbale di Constatazione della Guardia di Finanza, nel quale l'Ufficio recuperava completamente a tassazione le maggiori imposte sui redditi dovute in conseguenza della presunta cessione a terzi, ai sensi dell'art. 53 del D.P.R. n.633/1972, di merci non reperite in magazzino, sebbene registrate nel libro giornale della società accertata. La presunzione di cessione, specifica la Corte di Cassazione, costituisce una presunzione legale relativa avverso la quale cioè è possibile fornire prova contraria da parte del contribuente. La prova contraria però deve essere fornita solo entro i limiti di oggetto e di mezzi probatori specificatamente indicati dall'art. 53 del D.P.R. 633/72. Come si vede l'orientamento giurisprudenziale è assolutamente rigido laddove, nonostante le casistiche riscontrabili nella realtà operativa possano essere le più disparate, ritiene che solo utilizzando i mezzi probatori specificatamente individuati dal legislatore sia possibile superare la presunzione semplice di cessione. 4.2. Con i nuovi OIC più tutele nei confronti del Fisco? Ai fini della redazione del bilancio l'applicazione dei principi contabili OIC consente di avere una rappresentazione veritiera e corretta delle poste di bilancio e, quindi, delle rimanenze; dal punto di vista delle verifiche fiscali si ravvisa però la necessità di valutare e lasciar traccia della storia dei beni costituenti il magazzino, al fine di non incappare in presunzioni semplici, quali la presunzione di cessione dei beni, difficilmente appellabili, se non con querela di falso ai sensi dell'art. 2700 c.c. dell'eventuale Processo Verbale di Constatazione, prodromico ad un eventuale accertamento. Si richiamano in proposito una serie di pronunce di Cassazione in merito. Con la sentenza n.16477, del 18 luglio 2014, la Suprema Corte ha precisato che una valutazione delle rimanenze effettuata in maniera complessiva e non analitica, e cioè per categorie omogenee per natura e valore, come prescritto dall’articolo 15, comma 2 del D.P.R. 600/1973 32 legittima 32 Articolo 15. - Inventario e bilancio. “Le società, gli enti e gli imprenditori commerciali di cui al primo comma dell'art. 13 devono in ogni caso redigere l'inventario e il bilancio con il conto dei profitti e delle perdite, a norma dell'articolo 2217 del codice civile, entro tre mesi dal termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi ai fini delle imposte dirette (Comma così modificato dall'Articolo 8, legge 30 dicembre 1991, n. 413). L'inventario, oltre agli elementi prescritti dal codice civile o da leggi speciali, deve indicare la consistenza dei beni raggruppati in categorie omogenee per natura e valore e il valore attribuito a ciascun gruppo. Ove dall'inventario non si rilevino gli elementi che costituiscono ciascun gruppo e la loro ubicazione, devono essere tenute a disposizione dell'ufficio delle imposte le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario. Nell'inventario degli imprenditori individuali devono essere distintamente indicate e valutate le attività e le passività relative all'impresa (Comma così modificato 41 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” l’accertamento induttivo ai sensi del successivo articolo 39, comma 2, lettera d): in questi casi l’Amministrazione finanziaria può utilizzare presunzioni “supersemplici”, prive dei caratteri di gravità, precisione e concordanza. La pronuncia è in linea con l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità 33, molto rigoroso sugli effetti della mancata o irregolare tenuta della contabilità di magazzino: in proposito si richiama la sentenza n.8273 del 26 maggio 2003, con cui la Cassazione ha chiarito che l’inventario e il bilancio sono scritture aventi una diversa finalità: “il bilancio … deve contenere l’indicazione e la valutazione delle attività e passività relative all’impresa”… l’inventario ai sensi dell’art. 2217 c.c., si chiude con il bilancio e con il conto dei profitti e delle perdite, il quale deve dimostrare con evidenza e verità gli utili conseguiti o le perdite subite”. Si richiama, infine, la recente sentenza della Corte di Cassazione n. 14501 del 10 luglio 2015, che ha nuovamente confermato che la mancata redazione dell’inventario di magazzino di fine anno giustifica la validità dell’accertamento induttivo effettuato dall’Agenzia delle Entrate, in quanto, detta omissione, avrebbe provocato agli accertatori “l’impossibilità di effettuare un controllo della corretta quantificazione e contabilizzazione di tali dati in bilancio”. Con la decisione in esame, la Corte suprema ha ribadito quanto già affermato nella Sentenza n. 7653 del 16/05/2012: “Codesta Suprema Corte ha già avuto modo di evidenziare con autorevolezza che: <In tema di imposte dirette, in caso di omessa presentazione del prospetto analitico delle rimanenze iniziali e finali, l'Ufficio può procedere ad accertamento di tipo induttivo, attraverso una dall'Articolo 3, d.p.r. 28 marzo 1975, n. 60). Il bilancio e il conto dei profitti e delle perdite, salve le disposizioni del codice civile e delle leggi speciali, possono essere redatti con qualsiasi metodo e secondo qualsiasi schema, purché conformi ai princìpi della tecnica contabile, salvo quanto stabilito nel secondo comma dell'art. 3.”. 33 Cassazione, 21 aprile 2011, n. 9201, ove si precisa che "Sia il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. c) (quanto agli accertamenti dei redditi notificati ai soci) che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 (quanto alla rettifica della dichiarazione IVA della società) autorizzano l'accertamento induttivo quando il contribuente non abbia consentito l'ispezione di una o più scritture contabili obbligatorie, fra le quali l'art. 2214 c.c. menziona espressamente il libro degli inventari…" Cassazione, 25 marzo 2011, n. 6937, per cui "Il giudice di appello… ha osservato che il libro degli inventari non era stato compilato per l'intero periodo, ed ha ritenuto che tale irregolarità contabile giustificasse anche per il 1998 il ricorso all'accertamento induttivo da parte dell'Ufficio" Cassazione, 2 marzo 2007, n. 4911, nella quale si afferma che "in caso di mancata esibizione, a richiesta dell'ufficio, di alcuna delle scritture contabili, come l'inventario, la cui tenuta sia obbligatoria a norma del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 13 e 14, legittimamente l'ufficio procede ad accertamento induttivo ai sensi del successivo articolo 39, comma 1, lett. d)" Cassazione, 26 maggio 2003, n. 8273, ove si prevede l'obbligo del contribuente di tenere a disposizione le distinte che sono servite per la compilazione dell'inventario Cassazione, 14 dicembre 2001, n. 15863, per la quale "l'inventario di inizio e fine esercizio è uno strumento essenziale per ricostruire il movimento delle merci nell'arco dell'anno, al pari… delle altre scritture contabili. Quando non sia possibile ricostruire tale movimento .. perché manchi… l'inventario di inizio e quello di fine anno.. l'ufficio può procedere ad accertamento induttivo del reddito di impresa, ai sensi del secondo comma dell'art. 39 del 2 d.P.R. 29 settembre n. 600, ricorrendo a presunzioni prive dei requisiti di gravità precisione e concordanza dell'art. 2729 c.c. e a fatti noti all'Ufficio, come i ricarichi medi per categorie omogenee di merci vendute nell'anno, restando escluso che possa ritenersi sufficiente, al fine di ritenere osservato il dovere di tenuta di scritture ausiliarie, la registrazione di sintesi del libro degli inventari" (Cass. Civ. Sez. I, 11.2.2000, n.1511)". 42 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” determinazione della percentuale di ricarico dei prezzi di vendita rispetto a quelli di acquisito, purché questa sia fondata su un campione di merci rappresentativo ed adeguato per qualità e quantità rispetto al fatturato complessivo, su percentuali di ricarico dei singoli beni obiettivamente rilevate dai documenti esaminati e su criteri di computo della percentuale di ricarico del campione logicamente condivisibili, siano essi fondati su una media aritmetica o ponderale>". Nel condividere il disposto delle richiamate sentenze, si ritiene invece di non poter condividere il comportamento spesso tenuto dall’Agenzia delle Entrate, la quale applica il metodo induttivo anche in situazioni che esulano dalle casistiche riportate, come ad esempio la ripetuta mancata congruità e adeguamento alle risultanze degli Studi di settore. 5. Le Rimanenze – T.U.I.R. / OIC a confronto: tabella di sintesi Valutazione T.U.I.R. OIC Art.92 T.U.I.R. OIC 13 § 42-61 Il legislatore fiscale si limita a fissare un limite minimo (valutazione con il metodo L.I.F.O. a scatti annuale) al di sotto del quale la minore valutazione eventualmente operata in bilancio non assume rilevanza ai fini della determinazione del reddito, mentre assumono rilevanza fiscale le eventuali valutazioni di bilancio eccedenti i predetti criteri. I criteri di valutazione civilistica assumono pieno riconoscimento fiscale nel senso che assume rilievo, ai fini dell'individuazione del valore minimo, il valore attribuito in bilancio. Qualora però si utilizzino in bilancio i criteri alternativi (media ponderata, F.I.F.O. e L.I.F.O.) il valore delle rimanenze non potrà essere inferiore a quello determinato con metodo L.I.F.O. a scatti annuale. Il legislatore civilistico (art.2426, n.9 e n.10 c.c.) distingue tra beni infungibili (n.9) e beni fungibili (n.10). Per i beni infungibili è obbligatoria la valutazione a costo specifico; per i beni fungibili il legislatore propone tre metodi (media ponderata, F.I.F.O. e L.I.F.O.). Non è previsto l'obbligo di utilizzare un metodo piuttosto che un altro e l'adozione è lasciata alla discrezionalità dell'imprenditore. L’OIC 13, nella versione revisionata di agosto 2014, individua il costo specifico quale metodo generale per la determinazione del costo applicabile ai beni non fungibili e facoltativamente ai beni fungibili, i quali possono essere valutati con i metodi alternativi (Lifo, Fifo, CMP). Anche i beni fungibili, pertanto, possono essere valutati con il metodo del costo specifico e la nota integrativa dovrà dare evidenza del mancato utilizzo della facoltà di adottare i metodi alternativi. delle rimanenze 43 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” Oneri finanziari T.U.I.R. OIC Art.96 T.U.I.R. Per i soggetti diversi da quelli aventi natura finanziaria, gli interessi passivi e gli oneri assimilati (voce C17 c.e.) sono deducibili in ciascun periodo d’imposta fino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati. L’eventuale eccedenza è deducibile, al netto della franchigia, nei limiti del 30 % del ROL. La quota di interessi e oneri finanziari assimilati non dedotta nel periodo d’imposta può essere dedotta nei successivi periodi d’imposta se e nei limiti di cui sopra. Civilisticamente gli oneri finanziari sono generalmente esclusi dalla determinazione del costo delle rimanenze. La capitalizzazione degli oneri finanziari è ammessa solo con riferimento a beni che richiedono un periodo di produzione (ad esempio, per la maturazione o l’invecchiamento) significativo. Con riferimento all’imputazione degli interessi passivi alle Rimanenze, trattasi di: 1) oneri relativi a prestiti contratti per la specifica costruzione o ristrutturazione di beni immobili oggetto dell’attività dell’impresa (cosiddetti immobili merce); Il limite della capitalizzazione degli oneri finanziari è rappresentato dal valore di realizzazione del bene (sulla misura e sui requisiti per la capitalizzazione degli oneri finanziari si veda l’OIC 16 “Immobilizzazioni materiali”). La scelta di capitalizzare gli oneri finanziari è applicata in modo costante nel tempo (cfr. OIC 29 “Cambiamenti di principi contabili, cambiamenti di stime contabili, correzione di errori, eventi e operazioni straordinarie, fatti intervenuti dopo la chiusura dell’esercizio”). (OIC 13 § 41) 2) oneri relativi a beni mobili che, solitamente, richiedono un processo produttivo di anni, ad esempio vini, liquori, prodotti alimentari stagionati come salumi e formaggi. T.U.I.R. OIC Contributi in Per il principio di derivazione Ai fini della valutazione delle rimanenze, i conto esercizio l’applicazione dei corretti principi contributi in conto esercizio acquisiti a titolo contabili ha valenza anche ai fini fiscali definitivo sono portati in deduzione al costo di acquisto dei materiali» (OIC 13 § 96). 44 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” T.U.I.R. Modificabilità In caso di mutamento dei criteri di dei criteri di valutazione, adottati nei precedenti valutazione esercizi, civilisticamente giustificato, l’impresa è tenuta fiscalmente ai sensi dell’art.110 co.6 T.U.I.R., a darne comunicazione all’Agenzia delle Entrate mediante la compilazione dell’apposito rigo presente nel quadro RS del modello Unico rubricato “Variazione dei criteri di valutazione adottati nei precedenti esercizi”, così come introdotto già dal periodo d’imposta 2013 in un’ottica di semplificazione. Svalutazione delle rimanenze OIC L'art. 2423.4 consente una deroga all'immodificabilità dei criteri di valutazione, prevista in generale per rendere comparabili i bilanci, se, in casi eccezionali, la valutazione risulta incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta. L'art. 2423-bis.2 prevede un'ulteriore deroga in casi eccezionali. La nota integrativa deve motivare la deroga e indicarne l’influenza sulla rappresentazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico. T.U.I.R. OIC Ai sensi dell'art.92 co.5 T.U.I.R., se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato a norma dei commi 2, 3 e 4, è superiore al loro valore normale medio nell’ultimo mese dell’esercizio, il valore minimo di cui al comma 1 è determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni, indipendentemente dall’esercizio di formazione, per il valore normale. Sul tema si segnalano i recenti interventi da parte dell’Agenzia delle Entrate (R.M. 78/E del 12 novembre 2013 e C.M. 10/E del 14 maggio 2014) che hanno affermato l’irrilevanza fiscale della svalutazione ritenendo che la valorizzazione delle rimanenze ex art.92, co.5, T.U.I.R. riguardi unicamente i beni fungibili valutati con i metodi di valutazione alternativi al costo e per i quali è possibile la svalutazione fiscale. Ai sensi dell'articolo 2426 c.c., numero 9: “le rimanenze, i titoli e le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni sono iscritti al costo di acquisto o di produzione, calcolati secondo il n. 1 ovvero al valore di realizzo desumibile dall’andamento del mercato, se minore; tale minor valore non può essere mantenuto nei successivi bilanci se ne sono venuti meno i motivi. I costi di distribuzione non possono essere computati nel costo di produzione”. Si rileva in tema di svalutazione del magazzino una discrasia rispetto alla normativa civilistica: fiscalmente, si è visto, si fa riferimento al valore normale medio dell’ultimo mese dell’esercizio, civilisticamente rileva il minor valore di realizzo emerso alla data di approvazione di bilancio, quindi oltre la data di chiusura dell’esercizio e fino alla data dell’assemblea. Ciò può comportare il disconoscimento delle svalutazioni delle rimanenze di magazzino da parte dell’Amministrazione finanziaria che può eccepire la mancanza di idonea documentazione. 45 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” T.U.I.R. Metodo prezzo dettaglio del Il comma 8 dell’art.92 T.U.I.R. consente al alle imprese che praticano il commercio al minuto di valutare le rimanenze con il metodo del prezzo al dettaglio, adottando cioè i prezzi di vendita in luogo dei costi di acquisto: la maggiore valutazione così ottenuta è controbilanciata da un maggior importo di rimanenze iniziali per l’esercizio successivo. OIC L'OIC 13 nella nuova formulazione di agosto 2014 ha fornito una breve descrizione del metodo del prezzo al dettaglio con un esempio applicativo in appendice nella prospettiva di rendere più chiara l’esposizione e i riferimenti presenti. 46 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” 6. Casi pratici - Caso n. 1 - Esempio Svalutazione di beni valutati a costi specifici Quando in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato secondo il metodo di valutazione applicato, risulta superiore al valore normale medio dei beni nell'ultimo mese dell'esercizio, (anche per obsolescenza, moda, danni, deterioramenti, ...) l'intera quantità delle rimanenze, indipendentemente dal periodo di formazione, si moltiplica per il valore normale (art. 92.5 T.U.I.R.). Il valore normale, rilevante ai fini fiscali, è quantificabile come il prezzo da sostenere per la ricostituzione del magazzino, in base alla media dei prezzi dell’ultimo mese del periodo di imposto (art. 9 T.U.I.R.). Questo "minor valore", attribuito alle rimanenze, costituisce, con riferimento ai valori di mercato, nuovo periodo di formazione per la valutazione L.I.F.O. ed è fiscalmente riconosciuto anche negli esercizi successivi, purché non si iscrivano ad un valore superiore in ossequio alle disposizioni civilistiche. L’eventuale svalutazione delle rimanenze valutate a costi specifici, invece, non è deducibile ai fini Ires ma lo è ai fini Irap. Ad esempio la svalutazione a valore normale degli immobili merce e degli altri beni valutati a costi specifici non assume rilevanza fiscale e non è, quindi, deducibile. Diventa quindi necessario operare in Unico una variazione in aumento del reddito corrispondente alla svalutazione contabile effettuata. Il chiarimento da parte dell’Agenzia delle Entrate è intervenuto nella risoluzione 78/E/2013 commentata. La Società Alfa s.p.a. possiede un immobile merce all’inizio dell’esercizio per un valore di euro1.000.000,00. Al termine dell’esercizio 2014, a seguito di variazioni intervenute nel mercato immobiliare, l’immobile merce in giacenza è valutato a euro 800.000,00 e la società chiude con un fatturato di euro 2.000.000,00. L’immobile merce ha subìto una svalutazione pari a euro 200.000,00. 47 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” All’01.01.2014 avremo le seguenti scritture: “Rilevazione rimanenze iniziali all’01.01.2014” Al 31.12.2014 avremo le seguenti scritture: “Valutazione immobile merce”, (art 2426 c.c) La società Alfa al 31.12.xx chiuderà quindi con un utile di euro 1.800.000,00. La svalutazione eseguita non ha rilevanza ai fini Ires, quindi in sede di Unico si opererà una variazione in aumento pari alla svalutazione determinando così un valore imponibile di euro 2.000.000,00. (art. 92 del T.U.I.R.) La società, quindi, dovrà pagare Ires pari a euro 550.000,00 (2.000.000,00 *27.5%). 48 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” Se il minor valore della merce avesse avuto valenza fiscale, come nel caso dei beni fungibili, la Società Alfa avrebbe conseguito un utile di euro 1.800.000,00 con un risparmio di imposta di euro 55.000,00. È chiaro quindi, che l’impresa oltre ad aver pagato maggiore imposte incorre nel pericolo, al momento dell’effettiva vendita del bene merce, di subire un minor ricavo per effetto della flessione del mercato immobiliare. Sarebbe quindi auspicabile che in un contesto di crisi economica e ancor di più di mercati sempre più frenetici, il nostro legislatore fiscale possa cogliere l’occasione di varare norme a favore delle imprese, piuttosto che norme inutilmente vessatorie. - Caso n. 2 - Esempio di valutazione fiscale delle Rimanenze Esercizio 2013 La Alfa S.p.A. ha acquistato nel corso dell’anno 2013 (anno di costituzione) il prodotto fungibile A per 300 pezzi, sostenendo costi complessivi per euro 260.000,00. La società ha altresì acquistato i seguenti beni infungibili: B per euro 14.000,00 e C per euro 5.500,00. Al 31.12.2013 residuano rimanenze di A per 12 pezzi e rimangono completamenti invenduti sia il prodotto B, che il prodotto C. Ai fini della valutazione fiscale delle scorte a fine esercizio si dovrà considerare quindi: Costo complessivo di acquisto di ciascun prodotto A nell’anno 2013: Valore del prodotto A acquistato = 260.000,00 euro Valore del prodotto B acquistato = 14.000,00 euro Valore del prodotto C acquistato = 5.500,00 euro Costo medio ponderato unitario prodotto A nell’anno 2013 = 260.000 / 300 pezzi = 867,00 euro Valore delle scorte di A al 31/12/2013: 867 x 12 pezzi = 10.404,00 euro Valore delle scorte di B al 31/12/2013: 14.000,00 euro Valore delle scorte di C al 31/12/2013: 5.500,00 euro Valore fiscale prodotto A: 10.404,00 euro 49 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” prodotto B: 14.000,00 euro prodotto C: 5.500,00 euro Totale Rimanenze : 29.904,00 euro Ipotizziamo che il valore contabile, ottenuto con un criterio non fiscalmente riconosciuto, sia pari a euro: prodotto A: 10.000,00 euro prodotto B: 14.000,00 euro prodotto C: 5.500,00 euro Totale Contabile: 29.500,00 euro È necessario apportare una variazione in aumento pari ad euro 404,00. Esercizio 2014 Nell’esercizio 2014 la Società Alfa acquista ulteriori 120 pezzi del prodotto A con un costo complessivo di euro 115.000,00. Le rimanenze di A al 31/12/2014 risultano pari a 17 pezzi. Il prodotto B viene interamente venduto, mentre il prodotto C è ancora invenduto. Costo complessivo di acquisto del prodotto A nell’anno 2014 = 115.000,00 Costo medio ponderato unitario dell’anno 2014= 115000/120 pezzi = 958,00 Valutazione delle scorte 31/12/2014: in base al metodo L.I.F.O. a scatti annuale, gli incrementi di quantità sono considerati voci distinte per periodo di formazione: 17 pezzi in rimanenza sono dunque considerati composti dai 12 pezzi di rimanenza del 31/12/2013 e da 5 pezzi tra quelli acquistati nell’anno 2014. Il valore del magazzino è il seguente: 12 pezzi a euro 867 (anno 2013) = euro 10.404,00 + 5 pezzi a euro 958 (anno 2014) = euro 4.790,00 Valore fiscale prodotto A: 15.194,00 euro prodotto C: 5.500,00 euro. Totale Rimanenze: 20.694,00 euro 50 Commissione di Studio U.N.G.D.C.E.C “Imposte dirette” euro: Ipotizziamo che il valore contabile, ottenuto con criteri non fiscalmente riconosciuti, sia pari a prodotto A: 14.600,00 euro prodotto C: 5.500,00 euro Totale Contabile: 21.100,00 euro È necessario apportare una variazione in aumento pari ad euro 594,00. Esercizio 2015 Nell’esercizio 2015 la Società Alfa S.p.A. ha acquistato 200 pezzi del prodotto A per un totale di euro 200.000,00. Le Rimanenze di A sono 13 a fine anno. Anche il prodotto C viene venduto interamente. Il valore del magazzino è il seguente: 12 pezzi a euro 867,00 (anno 2013) = euro 10.404,00 + 1 pezzo a euro 958,00 (anno 2014) = euro 958,00 13 pezzi con valore complessivo pari a euro 11.362,00 Valore fiscale prodotto A: 11.362,00 euro Totale Rimanenze: 11.362,00 euro Ipotizziamo che il valore contabile, sia pari a euro: Prodotto A: 12.300,00 euro Considerando che il valore contabile è superiore al valore fiscalmente riconosciuto, non è necessaria alcuna rettifica ai fini fiscali. 51