l`olivicoltura biologica

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l`olivicoltura biologica
“L’OLIVICOLTURA BIOLOGICA”
Viterbo, sabato 20 marzo 2004 sala conferenze
della Camera di Commercio di Viterbo
organizzato dall’APROV
Dr. Marco Camilli
Presidente ANAGRIBIOS
Associazione Nazionale dell’Agricoltura Biologica
Via XXIV Maggio 43 – 00187 Roma
Tel. 06/4682398 - Fax 06/4682214
www.coldiretti.it
e-mail: [email protected]
L’OLIVICOLTURA BIOLOGICA
L’olivo è una coltura facilmente convertibile al biologico se si applicano con criterio le pratiche
agronomiche che mantengono un equilibrio tra suolo, coltura, ambiente e mezzi di difesa. E proprio
la difesa fitosanitaria nel biologico è la pratica più impegnativa, perché si hanno a disposizione
pochi mezzi per contenere le avversità. Una buona preparazione tecnica dell’operatore diviene
essenziale per la lotta biologica dei parassiti che interessano la coltura.
Nella maggior parte dei casi si tratta di convertire al metodo biologico i vecchi oliveti propri dei
territori ad antica tradizione olivicola, che sono sempre ben dotati di cultivar ed ecotipi adattati e
selezionati in funzione delle principali avversità del luogo.
Senza voler entrare nel merito degli aspetti puramente tecnici relativi alla coltura in argomento
vorrei elencare alcuni punti strategici per lo sviluppo dell’olivicoltura biologica:
1. Gestione del suolo
• Valutazione dei concimi fogliari (biostimolatori: aminoacidi, acidi umici, estratti di
alghe, ecc.).
• Approfondimento delle conoscenze sulla fertilità biologica del suolo (equilibri dei
microrganismi, ecc.), specie in relazione allo smaltimento rifiuti.
• Valutazione dei concimi organici, loro efficacia a breve e lungo termine.
• Valutazione delle pratiche di inerbimento e controllo delle malerbe in funzione delle
caratteristiche pedoclimatiche.
2. Pratiche colturali
• Analisi del sesto d’impianto e delle forme di allevamento.
• Prove varietali per valutare l’adattabilità delle principali varietà alla conduzione
biologica (suscettibilità alle malattie, qualità, comportamento post-raccolta, ecc.).
• Regolazione della produzione (potatura, diradamento,ecc.).
3. Difesa delle colture
• Per la difesa della mosca dell’olivo, la sperimentazione e la ricerca su efficacia ed
impatto:
ü dei metodi di difesa territoriale con dispositivi di cattura massale (messa a punto
e condivisione del metodo sperimentale per la valutazione della componente
agro-ecologica e gestionale)
ü dei prodotti biocidi e fagoinibitori
ü del rame
4. Analisi del post raccolta
• Verifiche tecniche di conservazione.
5. Aspetti generali
• Analisi dell’ambiente pedoclimatico.
• Messa a punto di strumenti di informazione e formazione per il supporto tecnico alla
filiera.
• Tracciabilità-rintracciabilità della filiera.
• Divulgazione di informazioni e risultati della sperimentazione.
• Costi di produzione.
• Sbocchi commerciali e promozione.
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LA COMMERCIALIZZAZIONE
La mancanza di manodopera e l’età avanzata di numerosi agricoltori impongono scelte coraggiose
se non si vuole che questa attività sia fortemente limitata con conseguente abbandono degli oliveti.
La sopravvivenza dei piccoli produttori non è solo garanzia di qualità del prodotto ma costituisce
anche una garanzia per l’aspetto paesaggistico. Molto spesso l’olivicoltura è un’attività part-time e
la definizione di olivicoltore è più vicina quella di “operatore agroambientale” piuttosto che di
imprenditore agricolo.
D’altra parte, però, i contributi europei non bastano da soli a spiegare la crescita dell’agricoltura
biologica, e questo è vero anche per il settore dell’olivicoltura.
Con la diffusione della dieta mediterranea e con una più marcata attenzione agli aspetti salutistici
dell’alimentazione si è assistito negli ultimi anni ad un incremento e ad una domanda di olio
extravergine di oliva biologico. Le capacità dell’olio di preservare l’organismo dall’arteriosclerosi
abbassando i valori di colesterolo “cattivo” o LDL, causa tra l’altro dell’infarto miocardio, e di
innalzare il livello di quello “buono” o HDL, oltre alla presenza di acidi grassi insaturi, di alcune
vitamine (A,E) e sostanze antiossidanti, fanno di questo alimento un componente indispensabile per
una sana e corretta alimentazione.
Per quanto riguarda il mercato dell’olio biologico sarebbe sbagliato affermare in modo generico che
"costa di più". Del resto, una considerazione analoga vale per ogni prodotto biologico. L’olio di
oliva biologico si pone infatti nella fascia alta del mercato perché è un olio extravergine di alta
qualità. Sarebbe errato, dunque, confrontare i prezzi dell’olio biologico, rilevati magari nei negozi
specializzati, con un’extravergine "tradizionale", magari una miscela di oli mediterranei, venduto
nella grande distribuzione. Il confronto va evidentemente fatto con un olio convenzionale di qualità
comparabile: in questo caso, i prezzi sono spesso simili. In zone particolarmente vocate capita
anche che il prezzo del prodotto convenzionale superi quello biologico. D’altra parte, il maggior
costo del prodotto biologico si spiega con alcuni vincoli interni al settore, come i maggiori costi di
produzione, le inefficienze nella trasformazione e la stessa caratteristica di mercato di "nicchia", che
lascia ampi margini di speculazione, con ricarichi troppo elevati tra la produzione ed il consumo. A
differenza di altri prodotti agroalimentari biologici, per cui il canale di vendita privilegiato resta il
negozio specializzato, la forma di commercializzazione più diffusa per l’olio biologico è la vendita
in azienda del prodotto, imbottigliato o più spesso sfuso.
Un numero crescente di olivicoltori si sta orientando a commercializzare olio imbottigliato con il
proprio marchio, mettendo molta cura in tutti gli elementi del confezionamento: bottiglia, etichetta,
tappo, scatola. Molti produttori biologici sono ormai presenti su internet, su cataloghi di vendita per
corrispondenza specializzati e di qualità. Infatti l’olio, a differenza di altri prodotti alimentari, si
presta molto bene alla spedizione per posta o corriere perché è un prodotto non deperibile, anche se
fragile.
Il quadro della commercializzazione dell’olio “bio” è completato dalla vendita collegata al
ristorante aziendale, diffusa soprattutto negli agriturismi dell’Italia centrale, dove si concentra la
produzione di oli di alta qualità che godono di un’immagine forte, come i prodotti umbri, toscani e
laziali; dall’impiego nella produzione di sottoli e conserve biologici, che richiedono ovviamente
l’uso di olio biologico.
Da non sottovalutare infine l’esportazione, anche se di difficile stima, in particolare verso i paesi del
Nord Europa e degli USA. In questo senso bisogna anche considerare la concorrenza crescente di
altri paesi del Mediterraneo, che si stanno rapidamente orientando al biologico.
Molti produttori sono stati attratti dagli aiuti del regolamento CEE 2078/92 ma non sono poi riusciti
a produrre olio con marchio biologico, magari perché hanno portato al frantoio le olive biologiche
insieme a quelle convenzionali oppure perché hanno avuto difficoltà a commercializzare in modo
soddisfacente il prodotto.
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Non è comunque scontato affermare che il marketing riveste grossa importanza per la formazione
del prezzo del prodotto finale e solo quegli imprenditori che hanno potuto investire
nell’imbottigliamento e nell’etichetta riescono a spuntare prezzi remunerativi.
Con la bottiglia di olio extra-vergine bio logico vendiamo anche cultura, paesaggio, ambiente e
dentro questa bottiglia si trova qualità, certificazione e tracciabilità. Il turismo è il miglior veicolo di
propaganda e i ristoratori dovrebbero servire a tavola la bottiglia di olio etichettata il che aiuterebbe
sicuramente l’affermazione del prodotto e del produttore.
Il Reg. CE 1019/02 sulle norme di commercializzazione dell’olio di oliva, recepito poi dal decreto
del Ministro delle Politiche Agricole e Forestali del 14/11/2003, impone il confezionamento in
recipienti di capacità massima di 5 litri per il prodotto destinato al consumo finale con una deroga
elevata, dall’Italia, a 25 litri per le collettività (ristoranti, ospedali, mense, ecc.).
Il mercato della vendita diretta in azienda rappresenta una fascia del 30% del consumo nazionale
per un valore di circa 350 milioni di euro. Inoltre quasi il 79% degli acquirenti di prodotto in
azienda hanno dichiarato di valutare positivamente la nuova normativa di confezionamento,
etichettatura e di chiusura ermetica del prodotto. E’ ovvio che ci sono dei costi aggiuntivi e che si
aprono anche nuove opportunità di mercato ed è, anche, ovvio che il sistema olivicolo italiano deve
essere spinto a compiere un poderoso processo di rinnovamento, di ristrutturazione degli impianti
produttivi, di quelli di trasformazione e dell’organizzazione della commercializzazione preservando
la qualità, la sicurezza e la tracciabilità.
E’ comunque opportuno evidenziare, come da qualche anno la vendita dello sfuso sta diminuendo,
così ha rilevato uno studio dell’ISMEA, a causa di alcune nuove esigenze dei consumatori del tipo:
limitati spazi per grossi contenitori, necessità di disponibilità finanziarie cospicue, necessità di
effettuare travasi che comportano tra l’altro alterazioni del prodotto per il contatto con l’ossigeno e
la luce.
In conclusione si deve peraltro sottolineare che il confezionamento comporterà sicuramente una
spinta alla valorizzazione dell’autenticità della produzione italiana ed alla tracciabilità del prodotto,
garantendo maggiormente gli stessi produttori da possibili manomissioni o alterazioni.
LA RINTRACCIABILITA’
L'olio d'oliva è sempre stato soggetto a frodi e sofisticazioni per l'alto costo di produzione rispetto a
tutti gli altri oli.
Visto che non c’è l’obbligo di dichiarare la provenienza della materia prima sull’etichetta per la
mancanza di normativa al riguardo e che molti prodotti biologici che troviamo nella GDO
provengono dall’estero, alcuni da fuori della CE, credo sia opportuno spendere qualche parola sulla
rintracciabilità. Bisognerebbe offrire al consumatore prodotti le cui materie prime siano
rintracciabili, valorizzandone la provenienza e la tipicità attraverso un’etichettatura di vendita chiara
che evidenzi l’origine territoriale del prodotto.
Nel menu' della tavola globale un piatto "italiano" su tre è falso per colpa della pirateria
agroalimentare internazionale che utilizza impropriamente parole, colori, località, immagini,
denominazioni e ricette che si richiamano al nostro Paese per prodotti che non hanno nulla a che
fare con la realtà nazionale.
L'indicazione della provenienza dei prodotti è, anche, un elemento di trasparenza degli scambi
commerciali necessario per combattere la concorrenza sleale a garanzia delle imprese e dei
consumatori, che per gli alimenti assume anche un valore determinante per la sicurezza sanitaria ed
ambientale.
A tale proposito, Coldiretti ha raccolto oltre un milione di firme per presentare la proposta di legge
di iniziativa popolare che prevede "l'indicazione obbligatoria nell'etichettatura dell'origine di tutti i
prodotti alimentari" e che è già all'esame del Senato. L'etichettatura è lo strumento di trasparenza
sul quale si costruisce il rapporto di fiducia tra imprese e consumatori. Occorre pertanto superare le
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incertezze ancora presenti, nella legislazione comunitaria e nazionale, per arrivare a regole chiare
sulla rintracciabilità dal campo alla tavola delle produzioni e per l'etichettatura obbligatoria di
origine.
CONCLUSIONI
Ci auguriamo che con l’uscita imminente del Piano d’Azione Italiano sull’agricoltura biologica si
possa dare un nuovo, meritato impulso a questo settore in cui l’Italia è leader in Europa. Ne va della
credibilità e del lavoro serio e professionale dei nostri imprenditori agricoli che mirano alla
multifunzionalità dell’azienda agricola nel rispetto dell’ambiente e nella valorizzazione del
territorio.
I Patti di filiera sui quali si sta lavorando in questo periodo daranno sicuramente un nuovo impulso
al settore e faciliteranno il legame tra mondo della produzione, della trasformazione e della
distribuzione.
Vorrei, inoltre, ricordare che la valorizzazione del made in Italy biologico olivicolo, e non, passa,
anche, attraverso le nostre produzioni tipiche DOP, IGP che hanno un forte le game con il territorio
di produzione e con le tradizioni della nostra storia e cultura enogastronomia e la cui qualità nasce
proprio dal territorio e dall’ambiente di appartenenza. Dobbiamo evitare speculazioni commerciali
realizzate con materie prime provenienti dall’estero che diventano, una volta entrate nel nostro
Paese, automaticamente prodotti “made in Italy”. Così come dobbiamo garantire una scelta
consapevole al consumatore che spende un pò di più per alimentarsi con prodotti biologici garantiti
e certificati e che, non solo tutela la propria salute, ma contribuisce, indirettamente, anche allo
sviluppo economico, alla tutela dell’ambiente ed alla promozione della nostra agricoltura.
Bisogna, perciò, recuperare quelle abitudini alimentari che fanno parte del nostro bagaglio culturale
e tramandarlo alle giovani generazioni che sempre di più si lasciano condizionare dalla mania del
fast food.
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