Organo ufficiale della Società Italiana di Medicina

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Organo ufficiale della Società Italiana di Medicina
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Vol. 2 - n.
1 - Gennaio-Aprile 2004
Volume 1, n. 1, 2003
Promozione ed educazione alla salute: prevenzione dei comportamenti a rischio
in età adolescenzialeLe patologie vulvari non neoplastiche nelle adolescenti
Salute riproduttiva: cosa pensano, quanto sono informati
e come si comportano gli adolescenti
S. Donati, S. Andreozzi, E. Medda, M. Grandolfo
Il bullismo: giovani tra prevaricazioni e vittimizzazioni
Organo ufficiale
della Società Italiana
di Medicina
dell’Adolescenza
T.L. Schwarzenberg
L’assistenza sanitaria territoriale ed i bilanci di salute
dell’adolescente
G. De Luca, P. Ruggiero, G. Raiola, S. Bertelloni, V. De Sanctis
Periodico quadrimestrale - Spedizione in abbonamento postale 45% - art. 2 comma 20/B legge 662/96 - Milano
In caso di mancata consegna restituire al mittente che si impegna a pagare la relativa tassa.
CASO CLINICO - ESPERIENZA SUL CAMPO - FRONT LINE
MAGAM NOTES
Editoriale
Gli argomenti che vengono trattati in questo numero
della Rivista Italiana di Medicina della Adolescenza (R.I.M.A.)
sono sostanzialmente tre: la salute riproduttiva,
i comportamenti a rischio (bullismo) ed i bilanci di salute.
Tutti coloro che si occupano di adolescenti hanno potuto
verificare quanto sia importante effettuare una educazione sessuale
ed ai sentimenti nei ragazzi in età peripuberale e puberale. Il 90% degli adolescenti e l’82% dei
genitori ritiene che questo compito debba essere svolto dalle scuole. Nonostante ciò, nel nostro
Paese non esistono programmi ben codificati di educazione alla salute ed alla sessualità.
Lo stesso discorso vale per i comportamenti a rischio in età adolescenziale.
Anche in questo caso la scuola potrebbe rappresentare il luogo più idoneo e qualificato per
affrontare il problema. Per combattere il fenomeno del bullismo sono state proposte ed adottate,
nelle scuole inglesi, varie tecniche di intervento: indagini-interviste, rappresentazioni teatrali,
role-playing, filmati, incontri con esperti qualificati.
A differenza di quanto è accaduto nella realtà americana, in Italia la diffusione della
Medicina della Adolescenza è ancora limitata pur nella crescente consapevolezza che essa
debba appartenere, per continuità “culturale ed assistenziale”, alla Pediatria.
I bilanci di salute in età adolescenziale, già largamente utilizzati per i pazienti più piccoli,
possono rappresentare un utile strumento per identificare i comportamenti a rischio, le patologie
più comuni della età adolescenziale e per promuovere scelte autonome e responsabili da parte
dei ragazzi.
A partire da questo numero della R.I.M.A. verranno inserite due nuove rubriche:
“Esperienze sul campo” e “M.A.G.A.M. notes” (Mediterranean Action Group for Adolescent
Medicine). La prima rubrica vuole creare un collegamento più stretto con tutti coloro che si
occupano di adolescenti. Potranno essere riportate esperienze personali, progetti, iniziative a
favore degli adolescenti. Saremo molto lieti di ricevere non solo i Vostri contributi ma anche
i Vostri suggerimenti e commenti.
M.A.G.A.M. notes verrà curata dalla dottoressa Bernadette Fiscina, pediatra-adolescentologa di New York. Pubblicherà, in lingua inglese, le ricerche e le attività dei Colleghi che si
occupano di adolescenti, prevalentemente nell’area del Mediterraneo.
La M.A.G.A.M. è stata fondata a Ferrara il 7 Settembre 2001, attualmente viene da me
coordinata ed ha lo scopo di diffondere la “teoria e pratica adolescentologica” nei Paesi
dell’area del Mediterraneo.
Ci auguriamo che questo ulteriore sforzo organizzativo della nostra Società (S.I.M.A.)
possa contribuire a diffondere ulteriormente la cultura adolescentologica non solo in Italia
ma anche nell’area del Mediterraneo.
Vincenzo De Sanctis
1
S.I.M.A.
Società Italiana
di Medicina dell’Adolescenza
DOMANDA DI AMMISSIONE PER I NUOVI SOCI
La Società Italiana di Medicina
dell'Adolescenza (S.I.M.A.)
è stata fondata nel 1992.
Ha lo scopo di diffondere
la "teoria e pratica"
adolescentologica
nel nostro Paese.
La domanda di iscrizione
deve essere inviata
per posta o fax
all'attuale Presidente
della Società.
Dr. Vincenzo De Sanctis
U.O. di Pediatria
ed Adolescentologia
Arcispedale S. Anna
Corso Giovecca, 203
44100 Ferrara
Il sottoscritto, presa visione delle norme statutarie della Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza
(S.I.M.A.), che si impegna a rispettare ed a far rispettare, CHIEDE di essere ammesso come socio ordinario.
Si riportano i seguenti dati personali (in chiare cifre e lettere):
Cognome
Pediatra
Nome
SI
NO
SI
NO
Luogo e data di nascita
Residenza:
Via
C.A.P.
Città
Prov.
Regione
Qualifica Universitaria
Qualifica Ospedaliera
Altro
Libero Professionista
Tel. 0532236934
Fax 0532247107
Iscritto S.I.P.
SI
NO
Pediatra di libera scelta
Telefoni con prefissi: casa
SI
NO
fax
cellulare
e-mail
A tutti i Soci vengono inviati:
la Rivista Italiana di Medicina
dell'Adolescenza (R.I.M.A.)
e gli Atti del Congresso
Nazionale della Società
Sede di lavoro:
Via
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Città
Prov.
Regione
Data
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Soci presentatori**
Firma dei Soci
1)
2)
* Con la firma si concede alla S.I.M.A. (a giudizio del Consiglio e nel rispetto della Legge) l’uso del nominativo per le informazioni di notizie
e congressi sull’Adolescentologia Medica, in modo diretto ed indiretto (anche tramite altre Società mediche, sociopsicologiche, antropologiche o riviste e giornali che studiano e diffondono articoli sull’Adolescenza utili alla Pediatria).
** Cognome e nome leggibile per esteso ed al lato la firma
Il sottoscritto, ai sensi della legge 675/96, acconsente al trattamento dei dati personali per tutte le attività scientifiche che verranno svolte dalla Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (S.I.M.A.).
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Organo ufficiale
della Società Italiana
di Medicina dell’Adolescenza
SOMMARIO
DIRETTORE SCIENTIFICO
Vincenzo De Sanctis (Ferrara)
Editoriale pag. 1
COMITATO EDITORIALE
Silvano Bertelloni (Pisa)
Antonietta Cervo (Pagani, Salerno)
Salvatore Chiavetta (Palermo)
Giampaolo De Luca (Amantea, Cosenza)
Ettore De Toni (Genova)
Teresa De Toni (Genova)
Carlo Pintor (Cagliari)
Giuseppe Raiola (Catanzaro)
Giuseppe Saggese (Pisa)
Calogero Vullo (Ferrara)
V. De Sanctis
Salute riproduttiva: cosa pensano,
quanto sono informati e come si comportano
gli adolescenti pag. 5
S. Donati, S. Andreozzi, E. Medda, M. Grandolfo
Il bullismo: giovani tra prevaricazioni
e vittimizzazioni pag. 13
T.L. Schwarzenberg
INTERNATIONAL EDITORIAL BOARD
Magdy Omar Abdou (Alexandria, Egypt)
Hala Al Rimawi (Irbid, Jordan)
Thanaa Amer (Jeddah, South Arabia)
Mike Angastiniotis (Nicosia, Cyprus)
Yardena Danziger (Petah-Tiqva, Israel)
Oya Ercan (Istanbul, Turkey)
Bernadette Fiscina (New York, USA)
Helena Fonseca (Lisbon, Portugal)
Daniel Hardoff (Haifa, Israel)
Christos Kattamis (Athens, Greece)
Ashraf Soliman (Doha, Qatar)
Joan-Carles Suris (Lausanne, Switzerland)
L’assistenza sanitaria territoriale ed i bilanci di
salute dell’adolescente pag. 25
G. De Luca, P. Ruggiero, G. Raiola, S. Bertelloni, V. De Sanctis
Caso clinico
Una giovane adolescente con amenorrea primaria
e dolori addominali ricorrenti pag. 33
S. Bertelloni, P. Garofalo
Esperienza sul campo
Sportello andrologico permanente pag. 37
M.M. Sturniolo, M. Carlucci, C. Curcio, A. Papini,
M. Cruscomagno, L. Vulcano, F. Salvestrini
SEGRETARIA DI REDAZIONE
Gianna Vaccari (Ferrara)
Front Line
Insegnare la prevenzione pag. 41
M. Strambi
DIRETTORE RESPONSABILE Pietro Cazzola
DIREZIONE MARKETING Armando Mazzù
CONSULENZA GRAFICA Piero Merlini
Gli adolescenti “attardati” pag. 43
S. Ciacci, F. Franchini
Registrazione Tribunale di Milano n. 404 del 23/06/2003
Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano
Tel. 0270608091 - 0270608060
Fax 0270606917
E-mail: [email protected]
“Inventare” la propria identità pag. 44
E. Bonfiglioli
MAGAM notes
Epidemiology of chronic diseases in adolescence
in Mediterranean population pag. 47
Abbonamento annuale (3 numeri) Euro 30,00.
Pagamento: conto corrente postale n. 20350682 intestato a:
Edizioni Scripta Manent s.n.c., via Bassini 41, 20133 Milano
Stampa: Cromografica Europea s.r.l. Rho (MI)
C. Kattamis
È vietata la riproduzione totale o parziale, con qualsiasi mezzo, di articoli, illustrazioni e
fotografie senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. L’Editore non risponde dell’opinione
espressa dagli Autori degli articoli.
Ai sensi della legge 675/96 è possibile in qualsiasi momento opporsi all’invio della rivista
comunicando per iscritto la propria decisione a:
Edizioni Scripta Manent s.n.c. Via Bassini, 41 - 20133 Milano
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Salute riproduttiva: cosa pensano,
quanto sono informati e come si
comportano gli adolescenti italiani
Serena Donati, Silvia Andreozzi, Emanuela Medda, Michele Grandolfo
Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute
Istituto Superiore di Sanità, Roma
Riassunto
Lo studio riporta i risultati di un’indagine campionaria su conoscenze, attitudini e comportamenti sulla salute
riproduttiva degli studenti che frequentano i primi due anni delle scuole medie superiori di 11 regioni italiane. Oltre il 95% degli
intervistati suggerisce che la scuola debba garantire l’educazione sessuale, il 23% dalle elementari e il 58% dalle medie inferiori. Oltre il 90% ritiene che l’educazione sessuale stimoli maggiore consapevolezza. Il 36% riferisce di aver partecipato a corsi
di educazione sessuale organizzati dalla scuola. Oltre l’80% riferisce di vivere con naturalezza, curiosità ed entusiasmo i cambiamenti puberali. Solo il 33% identifica correttamente il periodo fertile del ciclo. Circa l’80% ha dichiarato l’intenzione di usare
un contraccettivo in caso di rapporto sessuale. Il 18% riporta di aver avuto rapporti sessuali completi e, di questi, solo l’11%
riferisce di non aver usato alcun metodo contraccettivo. Il 98% e il 58% ritiene l’AIDS e l’epatite malattie a trasmissione sessuale.
Poco meno dell’80% considera il preservativo in grado di proteggere dalle malattie a trasmissione sessuale, che risultano essere poco conosciute.
Parole chiave: adolescenti, indagini CAP, salute riproduttiva.
Reproductive health: knowledge, attitude and practice among
italian adolescents
Summary
This study reports the results of a survey on knowledge, attitude and behaviour on reproductive health among
adolescents attending the first two years of high school in 11 Italian regions. More than 95% ask for sexual education at school,
23% from age 6 and 58% from age 11. More than 90% consider sexual education useful to increase consciousness and selfesteem. Thirty-six percent have been involved in sexual education activities at school. More than 80% refer they are living the
puberal changes with naturalness, curiosity and enthusiasm. Only 33% know the fertile period of the menstrual cycle. About 80%
intend to use a contraceptive in case of sexual intercourse. Eighteen percent of interviewed have had sexual intercourses, 11%
of them without using a contraceptive method. The knowledge on sexually transmitted diseases (STDs) is poor. Even though 98%
consider AIDS a STD, only 58% know that also hepatitis is a sexually transmitted disease. About 80% think that condom is useful in preventing STDs.
Key words: adolescents, KAP survey, reproductive health.
In Italia gli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta sono stati caratterizzati da forti mutamenti sociali, culturali e legislativi rispetto alla
sessualità, basti pensare all’abrogazione del divieto di propaganda
e uso di qualsiasi metodo contraccettivo, all’introduzione della
legge sul divorzio confermata dal successivo referendum del 1974,
all’istituzione dei consultori familiari nel 1975, all’approvazione della
legge sull’interruzione volontaria di gravidanza nel 1978 e all’esplosione della problematica AIDS. Gli atteggiamenti sociali nei confronti
della sessualità sono cambiati: oggi si parla in modo più esplicito di
tematiche inerenti la sessualità sia nei rapporti interpersonali sia
attraverso i mass-media. Tuttavia, la maggior parte degli adolescenti
giunge alla scoperta della sessualità senza un’informazione e un’educazione sessuale adeguata ai loro bisogni (1, 2).
I giovani denunciano bisogno di maggiori approfondimenti a fronte
di conoscenze insufficienti e approssimative, determinate spesso
da fonti non qualificate (3-6).
5
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
le conoscenze e gli atteggiamenti circa la fisiologia riproduttiva, la
contraccezione e le malattie a trasmissione sessuale. L’ultima parte
concerne le informazioni sulle variabili socio-anagrafiche.
La raccolta dei dati, iniziata nel febbraio 1998, ha richiesto circa tre
mesi. I processi di codifica, inserimento e pulizia dei dati sono stati
effettuati presso l’ISS dove, mediante il programma statistico BMDP,
si è proceduto anche all’analisi uni e multivariata.
L’educazione sessuale dovrebbe mirare a garantire la formazione
integrale della persona e il riconoscimento della sua identità di
genere attraverso modalità d’azione basate sulla valorizzazione
delle persone mediante il coinvolgimento di tutte le agenzie educative formali e informali presenti sul territorio (famiglia, scuola, associazionismo, parrocchie, ecc.).
Nel 1998 l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) in collaborazione con 24
ASL di 11 regioni Italiane ha organizzato e realizzato un’indagine
campionaria per studiare le conoscenze, gli atteggiamenti, le aspirazioni e i comportamenti degli adolescenti rispetto alle tematiche
sessuali anche in relazione agli aspetti affettivi ed emozionali. Si è
cercato di cogliere le opinioni dei ragazzi circa l’educazione sessuale ricevuta, i loro suggerimenti rispetto alla progettazione di
nuovi interventi, alle figure di riferimento da privilegiare e ai contesti
più adeguati per realizzare tali iniziative. Si sono investigate le conoscenze e gli atteggiamenti circa la fisiologia riproduttiva, la contraccezione e le malattie a trasmissione sessuale. Si è inoltre cercato di
esaminare i vissuti dei giovani in relazione alle trasformazioni corporee e alla sessualità.
L’indagine aveva quindi la finalità di delineare un quadro del panorama giovanile, alla ricerca di indicazioni per la programmazione di
interventi volti a soddisfare le richieste degli adolescenti rispetto
all’educazione sessuale non più intesa come sola acquisizione di
informazioni, ma inquadrata nell’ambito più globale dello sviluppo
delle capacità comunicative e affettive della persona.
Risultati e discussione
Le 11 regioni che hanno aderito all’indagine sono distribuite sull’intero territorio nazionale: Sicilia, Puglia, Basilicata, Campania e
Abruzzo al Sud; Lazio e Marche al Centro; Emilia Romagna,
Lombardia, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia al Nord.
Su un totale di 7484 studenti selezionati per l’indagine ne sono stati
intervistati 6532 (87.3%) perché 952 studenti (12.7%) erano assenti
al momento dell’indagine. Nessuno studente si è rifiutato di partecipare all’iniziativa.
I dati analizzati nelle tabelle sono presentati divisi per sesso e sono
relativi a 6467 questionari perché è stato necessario escluderne 61
nei quali mancava l’informazione relativa al sesso degli studenti e 4
(0.06%) per incompletezza delle risposte.
Caratteristiche socio-demografiche
Il campione è composto da 3396 maschi (52.5%) e 3071 femmine
(47.5%). In Tabella 1 è riportata la distribuzione per età. Trattandosi
di studenti dei primi due anni delle superiori la fascia d’età maggiormente rappresentata è quella 13-15 anni (75%).
Il 31% degli intervistati frequenta i licei (il 9% il classico, il 22% lo
scientifico), il 35% gli istituti tecnico/industriali, il 20% gli istituti professionali, il 6% il liceo linguistico e il 9% il liceo artistico o le magistrali (Tabella 2).
Confrontando questi dati con quelli relativi alle tipologie di scuole
secondarie superiori italiane nell’anno scolastico 1995/96 la distribuzione percentuale per tipo di scuola appare pressoché analoga
(7). Gli studenti del primo anno sono il 53% del campione contro il
47% del secondo anno.
Il 55% degli intervistati risiede al Sud Italia, il 27% al Centro e il 18%
al Nord. L’area geografica di appartenenza rappresenta una variabile di grande interesse nell’analisi dei dati perché i ragazzi residen-
Materiale e metodi
Lo studio, di tipo trasversale, ha riguardato un campione random di
studenti del primo biennio di tutte le tipologie di scuole medie superiori esistenti in 24 ASL di 11 regioni coinvolte nell’indagine. Al fine
di poter raggiungere una precisione sufficiente delle stime è stato
previsto un campione di circa 250 soggetti per Azienda USL.
Le interviste sono state effettuate da personale delle Aziende USL
opportunamente addestrato. La somministrazione del questionario
è avvenuta in classe, in presenza dell’insegnante. Gli intervistatori si
sono presentati alla classe specificando la finalità dell’indagine e
richiedendo il consenso dei ragazzi. Nella presentazione dell’iniziativa gli intervistatori hanno espresso la loro disponibilità a chiarire
eventuali dubbi durante la compilazione del questionario e hanno
poi controllato che gli studenti lavorassero individualmente. Quale
ulteriore garanzia di anonimato, insieme ai questionari sono state
distribuite delle buste in cui i ragazzi hanno chiuso il questionario
compilato prima di riconsegnarlo.
Il questionario, composto da 64 domande di tipo chiuso con risposta a scelta multipla, è articolato in quattro sezioni, per ognuna delle
quali gli item coprono i tre aspetti di conoscenza, attitudine e comportamento. La prima sezione indaga sulle esperienze, le opinioni e
le esigenze dei ragazzi riguardo le informazioni in tema di sessualità;
la seconda esplora le relazioni con gli altri; la terza i vissuti in relazione alle trasformazioni corporee e alla sessualità e la quarta sonda
Tabella 1. Età (compleanno compiuto).
Risposta
≤ 14 anni
15 anni
> 15 anni
Maschi
N
%
1043 30.9
1367 40.5
967
28.6
dati mancanti: 30 sul totale di 6467
6
Femmine
N
%
1079 35.3
1338 43.7
643 21.0
Totale
%
33.0
42.0
25.0
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Salute riproduttiva: cosa pensano, quanto sono informati e come si comportano gli adolescenti italiani
L’81% delle femmine e il 75% dei maschi riferisce di aver ricevuto le
prime informazioni sulle modificazioni del proprio corpo legate allo
sviluppo sessuale tra gli 8 e i 12 anni, mentre il 12% del campione
ha avuto questa opportunità solo dopo i 13 anni, presumibilmente
dopo l’avvento dei cambiamenti puberali.
La fonte di informazione più frequente è, come in molti altri studi
(5, 8, 9), quella del gruppo dei pari: gli amici sono citati da più
della metà degli intervistati (55%). In particolare questa fonte
informativa sembra essere più frequente tra i maschi (58%) rispetto alle femmine (50%) in accordo con quanto evidenziato in
numerose indagini (1, 9, 10). La maggior parte delle ragazze, 76%
contro il 33% dei ragazzi, dichiara di aver ricevuto informazioni
anche dalla madre.
Le fonti di informazione riferite dai giovani come preferite confermano al primo posto, senza differenze per sesso, gli amici (50%) ribadendo l’importanza del gruppo dei pari come referente fondamentale circa lo sviluppo sessuale. Le ragazze sceglierebbero come interlocutrice la madre con una percentuale doppia rispetto ai maschi
(55% contro il 24%) i quali si rivolgerebbero al padre in maniera nettamente superiore (33%) rispetto alle prime (8%). Il 28% del campione desidererebbe rivolgersi al medico (31% per le ragazze e 24% per
i ragazzi), benché solo il 9% del campione ne avesse avuto l’opportunità in passato, a conferma della richiesta di confronto con professionisti. Oltre il 95% del campione, senza differenze significative per
sesso, ritiene che la scuola debba garantire l’informazione sessuale,
il 58% vorrebbe che l’insegnamento iniziasse dalle scuole medie
inferiori e il 23% dalle elementari (Tabella 3).
Questi dati suggeriscono che i ragazzi considerano la scuola un
riferimento cruciale e desiderano ricevere le informazioni almeno nel
momento in cui avvengono i cambiamenti puberali.
La quasi totalità del campione (91%) ritiene che l’informazione sessuale determini maggiore consapevolezza e rassicurazione in quanto in grado di colmare i dubbi e le incertezze inerenti la sessualità
che possono emergere in questa fase evolutiva (Tabella 4).
“L’igiene e le malattie a trasmissione sessuale” sono l’argomento
maggiormente richiesto (75%), seguito da “sessualità e suoi aspetti psicologici” (59%) e da “metodi anticoncezionali” (52%). “Aborto”
e “gravidanza” e “conoscenza e funzionamento dei metodi anticoncezionali” sono argomenti richiesti in misura maggiore dalle ragazze rispetto ai ragazzi verosimilmente a causa del loro diretto coinvolgimento.
Senza marcate differenze per sesso, gli studenti ritengono che l’informazione sessuale ricevuta sinora sia stata sufficiente nel 46% dei
casi, adeguata nel 45% e inadeguata nell’8%. In definitiva, nonostante i ragazzi si dichiarino abbastanza soddisfatti dell’educazione ricevuta in tutti i possibili ambiti di riferimento, la richiesta di maggiori
informazioni denuncia una necessità di sostanziali approfondimenti.
Il 56% degli intervistati non ha mai partecipato ad iniziative organizzate riguardanti la sessualità, con notevoli differenze per area geografica. Le percentuali di ragazzi che riferiscono di non aver avuto
occasione di parteciparvi variano dal 67% al Sud, al 56% al Centro,
al 38% al Nord. In definitiva, a fronte di una generale carenza di ini-
Tabella 2. Scuola.
Risposta
Maschi
N
%
176
5.2
759
22.4
1482 43.7
Liceo classico
Liceo scientifico
Istituto
tecnico/industriale
Istituto professionale 783
Liceo artistico
133
Altro
55
23.1
3.9
1.6
Femmine
N
%
407 13.3
655 21.4
788 25.7
485
218
510
15.8
7.1
16.7
Totale
%
9.0
21.9
35.2
19.7
5.4
8.8
dati mancanti: 16 sul totale di 6467
Tabella 3. Ritieni che la scuola debba garantire
l'informazione sessuale?
Risposta
No
Sì, dalle elementari
Sì, dalle medie
inferiori
Sì, dalle medie
superiori
Maschi
N
%
147
4.3
781
23.0
1966 58.0
Femmine
N
%
94
3.1
707 23.0
1790 58.3
495
478
14.6
15.6
Totale
%
3.7
23.0
58.2
15.1
dati mancanti: 9 sul totale di 6467
Tabella 4. Ritieni che l'informazione sessuale determini:
Risposta
Maggiore
consapevolezza e
rassicurazione
Ansia e disagio
Altro
Non so
Maschi
N
%
3021 89.6
Femmine
N
%
2858 93.3
81
24
247
65
22
118
2.4
0.7
7.3
2.1
0.7
3.9
Totale
%
91.3
2.3
0.7
5.7
dati mancanti: 31 sul totale di 6467
ti al Sud riferiscono conoscenze, attitudini e comportamenti relativi
alla salute riproduttiva diversificati rispetto ai loro coetanei del
Centro e del Nord Italia. Al contrario, il vivere in città (44% dell’intero campione: 50% al Nord, 43% al Centro-Sud) o in paese e campagna (56%) non sembra comportare differenze considerevoli.
Informazioni in tema di sessualità
Oltre il 90% del campione, indipendentemente dall’area geografica
di appartenenza, ritiene sia necessaria un’educazione alla sessualità in accordo con quanto emerso da tutte le indagini condotte in
ogni ordine e tipologia di scuola nel nostro paese. Il dato riflette
bisogni conoscitivi dei giovani adolescenti omogeneamente distribuiti tra maschi e femmine.
7
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
associazioni culturali e le parrocchie, mentre i ragazzi indicano, più
spesso delle loro coetanee, le discoteche, le palestre e le associazioni sportive. Ci pare importante sottolineare l’elevata frequenza
con cui i ragazzi sembrano gradire simili contesti informali per dialogare con gli adulti, sia perché si tratta di contesti scelti sulla base di
un interesse e non di un “dovere” (scuola) o di un disagio (servizi
sociosanitari), sia perché il rapporto con l’altro può essere giocato
su un piano più paritario.
Tabella 5. Hai la possibilità di fare ai tuoi genitori domande
sulla sessualità?
Risposta
Maschi
N
%
Sì, qualsiasi domanda 914
27.0
Sì, ma preferisco
1822 53.7
non farlo
Solo alcune
389
11.5
No, nessuna
265
7.8
Femmine
N
%
811 26.4
1713 55.9
361
182
11.8
5.9
Totale
%
26.7
54.7
11.6
6.9
dati mancanti: 10 sul totale di 6467
Percezione del sé
e identità sessuale
Il 97% del campione percepisce che si stanno verificando o si sono
già verificati cambiamenti nel proprio corpo. Gran parte del campione sembra vivere positivamente la percezione del proprio corpo e il
grado di soddisfazione e di accettazione del proprio sé corporeo è
maggiore nei maschi rispetto alle femmine. Il 56% degli intervistati
riferisce di vivere tali cambiamenti con naturalezza, il 14% con curiosità, il 13% con entusiasmo, un altro 13% con indifferenza e solo il
5% dell’intero campione (l’8% delle femmine contro il 2% dei
maschi) ha riferito di viverli con disagio (Tabella 6).
In definitiva le modificazioni corporee legate alla pubertà sono vissute dai giovani come eventi naturali, caratteristici del normale corso
dello sviluppo, oggetto di interesse e motivo di entusiasmo, molto
raramente causa di difficoltà e disagio.
I giovani sembrano avere una rappresentazione positiva rispetto al
proprio corpo a seguito dei cambiamenti puberali. L’85% del campione ha riferito di aver parlato con qualcuno dei cambiamenti in atto
o avvenuti. Gli amici sono citati nel 67% dei casi da maschi e femmine, mentre i genitori dal 60% delle femmine contro il 28% dei
maschi.
Circa l’80% degli intervistati si sente cercato dagli altri spesso e/o
sempre; oltre il 90% si sente evitato mai o solo qualche volta; tra il
70% e il 90% si sente ammirato e riferisce che gli altri/e “ci provano”
qualche volta e/o spesso, mentre circa il 20% si sente criticato molto
spesso e/o sempre. A circa l’80% piace abbastanza e/o molto stare
in famiglia e con i compagni di scuola; mentre la percentuale raggiunge quasi il 100% quando ci si riferisce agli amici perché presu-
ziative appositamente organizzate per approfondire le tematiche
sessuali il risiedere nel Nord Italia offre molte più opportunità.
Tra quelli che hanno avuto questa opportunità l’83% ha partecipato ad
iniziative organizzate dalla scuola. Sembra quindi che la scuola, nonostante le proposte di legge siano ancora in fase di discussione, si sia
fatta promotrice di iniziative, in virtù del suo mandato istituzionale,
rispetto alla realizzazione di progetti sull’educazione alla salute.
Benché la maggior parte affermi di poter rivolgere ai propri genitori
almeno qualche domanda sulla sessualità, il 55% del campione riferisce che preferisce non farlo. Sembra quindi che molti, pur percependo un atteggiamento di disponibilità da parte dei genitori, siano
reticenti a sceglierli come interlocutori. Solo il 27% del campione si
sente libero di porre qualsiasi domanda ai propri genitori (Tabella 5).
Tra quelli che hanno sperimentato il colloquio con i genitori il 34% si
ritiene pienamente soddisfatto, il 53% definisce le risposte accettabili e il 13% sbrigative. Complessivamente i figli sembrano giudicare positivamente il confronto con i loro genitori.
L’88% ritiene gli adulti disponibili a rispondere completamente (20%),
o almeno in parte (68%), alle domande sulla sessualità. Circa la capacità degli adulti a svolgere tale ruolo, il 70% dei maschi e il 59% delle
femmine, che giudicano gli adulti disponibili a rispondere alle domande sulla sessualità, li ritengono capaci di farlo. Quindi i giovani reputano gli adulti in generale, e non solo i genitori, validi interlocutori in
tema di sessualità. Tra quelli che hanno sperimentato il dialogo con gli
adulti, poco meno del 90%, senza differenze per sesso e per area
geografica, ritiene che sia stata un’esperienza utile.
In definitiva sia la famiglia sia, più in generale, gli adulti sono considerati un punto di riferimento importante. Nonostante i giovani
denuncino difficoltà nella comunicazione inerente la sessualità
con gli adulti sembrano tuttavia assegnare attributi positivi a questo tipo di confronto
Il 63% del campione totale, 67% al Sud e 58% al Nord, ritiene che
l’incontro con adulti possa avvenire in altre sedi oltre alla scuola e ai
servizi sociosanitari del territorio. Questo dato appare molto interessante anche alla luce di quanto i ragazzi suggeriscono alla domanda successiva che fa riferimento alle sedi che ritengono più idonee
per lo scambio con adulti.
Il 68% degli intervistati, specie le femmine (79% contro il 57% dei
maschi), citano i centri sociali. Oltre questi, le ragazze citano le
Tabella 6. Se sì, come li hai vissuti, o li stai vivendo?
Risposta
Con disagio
Con indifferenza
Con entusiasmo
Con curiosità
Con naturalezza
Maschi
N
%
59
1.8
550
17.0
592
18.3
360
11.1
1673 51.7
dati mancanti: 252 sul totale di 6242
8
Femmine
N
%
254 8.5
260 8.7
197 6.6
483 16.2
1787 59.9
Totale
%
5.0
13.0
12.7
13.6
55.7
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Salute riproduttiva: cosa pensano, quanto sono informati e come si comportano gli adolescenti italiani
ovulatorio. La percentuale di conoscenza corretta del periodo fertile
del ciclo passa dal 30% al Sud, al 32% al Centro e al 41% al Nord
Italia, riflettendo le diverse opportunità di accesso all’informazione
per area geografica di appartenenza. Del resto, anche in un’indagine condotta nel 1993-1994 in 5 scuole medie superiori di Roma, la
conoscenza corretta del periodo fertile del ciclo riguardava solo il
42% degli studenti di età compresa tra 14 e 21 anni (9); mentre la
percentuale di conoscenza corretta rilevata in indagini conoscitive
realizzate nel Nord, Centro e Sud Italia tra donne in età feconda, 1845 anni, era in media pari al 65% (11-16).
La conoscenza dei metodi contraccettivi è stata indagata attraverso
due domande: la prima intesa a verificare una generica conoscenza
dei principali metodi contraccettivi, la seconda una generica conoscenza del loro funzionamento. Il questionario non prevedeva domande volte a verificare l’effettiva conoscenza del meccanismo d’azione
dei metodi anticoncezionali, per cui i dati fanno riferimento a ciò che gli
intervistati ritengono di conoscere. Gli/le intervistati/e riferiscono di
conoscere l’esistenza e il funzionamento del preservativo e della pillola in oltre l’80% dei casi, mentre tutti gli altri anticoncezionali sono
conosciuti da meno del 50% del campione e il loro meccanismo d’azione è dichiarato conosciuto da percentuali ancora più basse.
Eccezion fatta per il preservativo, riferiscono di conoscere l’esistenza e il meccanismo d’azione di tutti gli anticoncezionali in percentuale notevolmente più bassa i ragazzi che risiedono al Sud rispetto al Centro-Nord. Nel lavoro di Donati et al. (9) il questionario prevedeva domande di approfondimento per validare l’effettiva conoscenza dei diversi metodi contraccettivi da parte degli intervistati e
le percentuali di risposte corrette sono risultate sistematicamente
inferiori a quelle rilevate in questa indagine. Ad esempio, solo il 33%
era a conoscenza del meccanismo d’azione della pillola, e meno
del 20% era a conoscenza delle informazioni di base di fisiologia
riproduttiva indispensabili per l’utilizzo dei metodi naturali.
A conferma del fatto che quanto riferito dai ragazzi non sia garanzia
di effettiva conoscenza, a fronte dell’elevatissima percentuale di
intervistati che riferisce di conoscere il preservativo (98%) e il suo
funzionamento (96%), solo il 54% del campione sa che il preservativo ha una data di scadenza contro il 12% che lo ignora e il 34% che
non sa esprimersi in merito.
Rispetto all’area delle conoscenze, i principali determinanti di conoscenza corretta emersi dal modello di regressione logistica sono il
vivere al Nord rispetto al Centro o al Sud, l’aver partecipato ad esperienze organizzate di educazione alla sessualità, il poter parlare con
i genitori, la percezione di aver ricevuto informazioni sufficienti o
adeguate, ritenere che l’educazione alla sessualità determini maggiore consapevolezza, l’aver avuto rapporti sessuali completi, l’essere di sesso femminile e frequentare il liceo classico o scientifico
rispetto agli Istituti tecnici e professionali (Tabella 8).
La maggior parte degli/delle intervistati/e (67%) afferma di aver riflettuto sulla contraccezione e il 73% dichiara di aver parlato di questo
argomento con i coetanei. Tenendo conto che oltre la metà del campione desidererebbe ricevere informazioni sui metodi contraccettivi
e sul loro funzionamento, si può dedurre che questo argomento sia
mibilmente questi ultimi, al contrario dei primi, sono scelti individualmente.
I pensieri associati alla sessualità denotano una forte differenza di
genere: il 50% dei maschi associa alla sessualità l’idea di “provare
piacere” e il 30% quella di “dare corpo ai propri desideri” e di “legarsi all’altra”, mentre al 40% delle femmine viene in mente il “legarsi
all’altro” e la “paura di rimanere incinta” e al 30% la considerazione
“c’è tempo” .
In conclusione sembra che i ragazzi associno alla sessualità l’idea
del piacere mentre le ragazze pensino più spesso agli aspetti di
legame e di rapporto che la sessualità comporta e siano più consapevoli del rischio di una gravidanza indesiderata, probabilmente
anche in relazione ai modelli culturali tradizionali ancora forti nel
nostro paese.
Fisiologia riproduttiva
e contraccezione
Il 78% del campione ritiene che i maschi siano biologicamente
maturi per generare figli dalle prime eiaculazioni, l’86% ritiene che le
femmine siano biologicamente mature per generare figli dalla prima
mestruazione. La maggior parte delle risposte errate è dovuta all’alternativa che fa coincidere la maturità riproduttiva col momento
della prima attrazione sessuale nei confronti dell’altro. Nonostante la
maggior parte degli/delle intervistati/e riferisca di conoscere i
segnali dell’avvenuta maturità sessuale nei maschi e nelle femmine,
tuttavia solo il 54% del campione (61% delle femmine e 47% dei
maschi) pensa che una ragazza possa rimanere incinta quando ha
il suo primo rapporto sessuale (Tabella 7).
Probabilmente sopravvivono e continuano a circolare informazioni
erronee che affondano radici nelle tradizioni popolari (9). Non a
caso tale convinzione erronea riguarda il 51% degli intervistati che
risiedono al Sud contro il 46% di quelli del Centro e il 34% del Nord.
Inoltre il fatto che molti degli intervistati non hanno ancora avuto
esperienze sessuali che li abbiano stimolati a confrontarsi con questi interrogativi potrebbe spiegare l’elevata percentuale (25%) di
risposte “non so”.
Il 67% del campione non sa collocare correttamente il momento
Tabella 7. Pensi che una ragazza possa rimanere
incinta quando ha il suo primo rapporto sessuale?
Risposta
Maschi
N
%
Sì
1581 46.9
No
875
25.9
Non so
917
27.2
dati mancanti: 43 sul totale di 6467
Femmine
N
%
1862 61.0
489 16.0
700 22.9
Totale
%
53.6
21.2
25.2
* per questa domanda potevano essere indicate più risposte
9
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Tabella 8. Determinanti del livello di conoscenza - regressione logistica.
Variabile
Età
Sesso
Pregressa partecipazione
a corsi di educazione sessuale
Rapporti sessuali completi
Tipo di scuola
Percezione dell’educazione
sessuale ricevuta
L’educazione sessuale determina
Darebbero la stessa educazione
sessuale ai propri figli
Possibilità di fare domande
ai genitori
Capacità degli adulti nel rispondere
ai giovani
Area geografica di residenza
Modalità
≤ 14 anni
15 anni
≥ 16 anni
Maschi
Femmine
No
Sì
No
Sì
Istituti tecnici/professionali
Licei classici/scientifici
Non ne hanno ricevuta
Inadeguata
Sufficiente
Adeguata
Ansia e disagio
Maggiore consapevolezza
Non so
Sì
No
Non so
Nessuna/solo alcune
Sì, ma preferisco non farlo
Sì, qualsiasi domanda
Non sono capaci/non so
Sì, sono capaci
Nord
Centro
Sud
Odds ratio
1
1.22
1.33
1
1.32
1
1.21
1
1.46
1
1.40
1
1.44
1.75
1.93
1
2.77
1.04
1
1.40
0.92
1
1.39
1.17
1
1.21
1
0.53
0.45
Limiti di confidenza 95%
1.06 - 1.42
1.12 - 1.58
1.16 - 1.51
1.07 - 1.38
1.22 - 1.75
1.22 - 1.60
0.85 - 2.44
1.08 - 2.81
1.19 - 3.11
1.81 - 4.22
0.63 -1.70
1.16 - 1.69
0.79 - 1.08
1.18 - 1.65
0.97 - 1.42
1.05 - 1.39
0.43 - 0.66
0.37 - 0.55
Malattie a trasmissione
sessuale
particolarmente importante per i giovani del nostro campione.
Il 74% dei maschi e l’86% delle femmine sostiene che in caso di rapporti sessuali completi, a prescindere dalla loro frequenza, si preoccuperebbe sempre di procurarsi un contraccettivo, mentre il 15% del
campione lo farebbe “talvolta” e il 5% non se ne preoccuperebbe
“mai”.
Quindi, i quattro quinti del campione mostra un’attitudine verso un
comportamento consapevole, responsabile e poco propenso al
rischio di una gravidanza indesiderata.
Il 45% degli intervistati afferma di aver già avuto rapporti sessuali
incompleti, il 18% completi, mentre il 36% sostiene di non aver avuto
alcun tipo di rapporto sessuale (Tabella 9).
Tra gli/le intervistati/e che hanno già avuto rapporti sessuali completi
l’89% riferisce di aver usato qualche metodo contraccettivo, a conferma della già rilevata attitudine positiva verso la procreazione
responsabile. L’anticoncezionale utilizzato più spesso (64%) risulta
essere il preservativo (70% dei maschi contro il 52% delle femmine)
seguito dal coito interrotto, citato dal 14% delle femmine contro il 4%
dei maschi.
Tra gli intervistati che hanno già avuto rapporti sessuali completi, il
57% afferma di usare “sempre” il preservativo, il 32% “talvolta” e
l’11% “mai”, con una differenza rilevante tra maschi (8%) e femmine
(18%).
Alcune domande del questionario mirano a valutare le conoscenze
degli intervistati riguardo le malattie sessualmente trasmissibili
(MST), le modalità di contagio e le strategie di prevenzione, con particolare riferimento all’AIDS e all’epatite virale.
Alla domanda relativa a quali metodi anticoncezionali siano in grado
di proteggere dalle malattie a trasmissione sessuale il 78% degli
studenti (82% al Nord contro il 76% al Sud) cita il preservativo.
La Tabella 10 riporta le conoscenze relative alle malattie a rischio di
Tabella 9. Hai mai avuto rapporti sessuali?
Risposta
Maschi
N
%
Sì, completi
808
23.8
(rapporti con penetrazione)
Sì, incompleti
1683 49.6
(accarezzarsi, toccarsi, baciarsi...)
No, nessun rapporto 899
26.5
dati mancanti: 17 sul totale di 6467
10
Femmine
N
%
370 12.1
Totale
%
18.3
1250
40.8
45.5
1440
47.1
36.3
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Salute riproduttiva: cosa pensano, quanto sono informati e come si comportano gli adolescenti italiani
vi ancora privi di risposte qualitativamente adeguate e suggeriscono nuove modalità operative per favorire l’organizzazione di interventi di promozione della salute sessuale.
Il mondo degli adulti dovrebbe considerare i giovani non come problema, ma come risorsa, non come destinatari e fruitori delle iniziative, ma come protagonisti delle stesse; dovrebbe far tesoro della
creatività, disponibilità e carica emotiva degli adolescenti, accettandone allo stesso tempo la discontinuità e la provocazione. Sarebbe
in definitiva utile guardare all’adolescenza come ad un momento di
grandi opportunità.
Il gruppo dei pari rappresenta sicuramente il più importante riferimento per l’adolescente grazie all’intensa attività comunicativa tra i
suoi membri, espressione di un forte bisogno di solidarietà e comprensione: ciascuno porta le sue ansie e difficoltà nella convinzione
che troveranno risoluzione nell’ambito del gruppo grazie alla confidenza e alle sensibilità reciproche (20). Accanto all’innegabile e fondamentale influenza dei coetanei emerge l’importanza di avere altre
fonti informative che consentano ai ragazzi di confrontarsi in modo
più esauriente avendo maggiori possibilità di valutare e scegliere la
fonte che ritengono più adeguata al particolare percorso maturativo
che stanno vivendo (21). La famiglia, nonostante le difficoltà comunicative, rappresenta comunque un contesto importante per parlare
di sessualità, in quanto simboleggia una fonte di sicurezza e una
presenza costante per gli adolescenti che, anche se alla ricerca di
risposte autonome e personali, non negano il desiderio di ritrovare
la protezione della famiglia nei momenti di bisogno (20). Proprio per
le ambivalenze e le conflittualità denunciate dai figli e dai genitori, si
può dedurre che tale contesto non possa costituire il riferimento
esclusivo per gli adolescenti in tema di educazione alla sessualità,
ma debba prevedere la costante e continua collaborazione con altre
agenzie di socializzazione deputate a questo compito. Sarebbe
quindi opportuno sviluppare, accanto agli interventi con gli studenti, programmi che coinvolgano i genitori a partire da quelli con figli
iscritti alle scuole elementari e medie inferiori.
La scuola rappresenta sicuramente un’agenzia educativa molto
importante. La vita scolastica è, infatti, un momento privilegiato di
comunicazione e relazione tra i giovani; essa offre un’esperienza irripetibile del vivere insieme in una fase della vita in cui alla maturazione dell’io corporeo va affiancandosi la costruzione di una propria
identità sessuata (22). La scuola non è solo il luogo dell’apprendimento, ma anche quello della socializzazione, dello scambio e della
crescita (23, 24) e ha quindi il compito di costruire un ambiente
strutturato in cui il ragazzo prenda confidenza con gli aspetti sociali della vita promuovendo la capacità di esprimersi adeguatamente
nel rispetto delle differenze altrui. Altri riferimenti importanti del territorio sono rappresentati dai così detti “gruppi formali” ovvero da
forme di aggregazione che si caratterizzano per la loro dimensione
strutturata, per la condivisione di particolari attività e obiettivi di natura religiosa, sportiva, sociale, politica, ecc., e per l’ammissione di
figure adulte (educatori, allenatori, ecc.). In tali ambiti le iniziative di
educazione sessuale possono godere di condizioni di maggiore
calore e affettività favorendo il coinvolgimento degli adolescenti. In
Tabella 10. Secondo le tue conoscenze quali delle seguenti malattie si
possono trasmettere attraverso i rapporti sessuali?
Risposta
Maschi
N
%
Anemia mediterranea 386
11.4
Epatite virale
1929 57.0
Sifilide
582
17.2
Gonorrea
299
8.8
AIDS
3323 98.1
Alcuni tumori
257
7.6
Non so
57
1.7
Femmine
N
%
202 6.6
1822 59.4
536 17.5
274 8.9
3025 98.6
128 4.2
46
1.5
Totale
%
9.1
58.1
17.3
8.9
98.4
6.0
1.6
dati mancanti: 14 sul totale di 6467
trasmissione sessuale: il 98% del campione cita l’AIDS e il 58% l’epatite virale. La sifilide e la gonorrea sono citate come MST solo dal
17% e 19% del campione, rispettivamente.
Per quanto riguarda la conoscenza relativa alle vie di trasmissione
dell’AIDS, i ragazzi dimostrano una buona conoscenza dei fattori di
rischio: oltre il 90% cita l’uso dello stesso ago e/o siringa e i rapporti sessuali senza preservativo e il 72% cita la trasmissione da madre
a figlio durante la gravidanza (conoscenza più diffusa al Nord).
Tuttavia il 76% cita anche la donazione del sangue quale possibile
via di trasmissione e il 20% il sottoporsi ad un esame del sangue,
mentre il 15% degli intervistati continua a credere che il virus possa
trasmettersi attraverso le punture di insetti e il 21% pensa che si
possa contrarre nei bagni pubblici. In definitiva le molteplici campagne informative veicolate dai media nel nostro paese, se da un lato
sono state sicuramente efficaci nel far conoscere alla popolazione
giovanile le principali modalità di contagio, dall’altro non sembrano
essere state altrettanto efficaci nel far conoscere i comportamenti
non a rischio per la trasmissione dell’HIV. Analoghi risultati erano
stati già pubblicati nei primi anni ’90 in Italia (17-19).
Per quanto riguarda la conoscenza delle vie di trasmissione dell’epatite virale i livelli di conoscenza sono molto più bassi rispetto a
quelli rilevati per l’HIV, specie al Sud Italia. L’uso dello stesso ago
e/o siringa è citato dal 26% (34% al Nord contro il 23% al Sud) e i
rapporti sessuali senza preservativo dal 33% del campione (42% al
Nord contro il 30% al Sud), mentre il 47% del campione indica quale
via di infezione le punture di zanzara o altri insetti, il 36% la donazione e il 24% l’esame del sangue.
Conclusioni
In conclusione, anche nella complessa età di transizione, gli adolescenti offrono un quadro generale di popolazione sana, capace di
affrontare con naturalezza questa fase caratterizzata da profondi
mutamenti fisici e psichici. I giovani appaiono interessati e disponibili al dialogo con i coetanei, ma anche con gli adulti. Rispondono
con franchezza alle domande, facendo emergere bisogni conosciti-
11
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
13. Dipartimento di Statistica dell’Università di Firenze. Caratteristiche
mediche e socio-demografiche dell’IVG: Indagine nell’area fiorentina.
Firenze: Dipartimento di Statistica dell’Università di Firenze, 1988.
conclusione per aiutare i giovani a costruire una solida e autentica
identità personale e sociale occorre educare ad essere padroni
delle proprie azioni, educare alla capacità d’ascolto, educare al
pensiero critico, alla libertà come conquista difficile e mai definitiva,
educare a saper gestire il conflitto e ad utilizzarlo in senso positivo
perché non si diviene adulti perché si conosce il mondo, ma perché
si acquisiscono gli strumenti per affrontarlo.
14. Butitta E, Figliolo C, Li Volsi D, Vociona A, Monastra A. La pianificazione
familiare: Indagine CAP su un campione di 195 donne nicosiane.
In: Atti del Congresso Nazionale “Il Consultorio Familiare”.
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Numero speciale: I “numeri” dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia.
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e della formazione. In: Atti del Convegno ”Psicologia, Scuola, Europa”.
Roma, 26 febbraio 1999.
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Rapporto generale. Vol I. Metodologia ed analisi.
Bologna: Tecnoprint, 1982.
Corrispondenza:
Dott.ssa Serena Donati
12. Giacobazzi G, Merelli M, Morini M, Nava P, Ruggerini MG.
I percorsi del cambiamento. Ricerca sui comportamenti contraccettivi
in Emilia Romagna. Torino: Rosenberg- Sellier Editori, 1989.
Istituto Superiore di Sanità
Viale Regina Elena 299 - 00181 Roma
e-mail: [email protected]
12
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Il bullismo:
giovani tra prevaricazioni
e vittimizzazioni
Tito Livio Schwarzenberg
Servizio Speciale di Adolescentologia - Dipartimento di Scienze Ginecologiche, Perinatologia e Puericultura
Università “La Sapienza” di Roma
Riassunto
Il problema dell’aggressività nei e tra i minori è da tempo oggetto di studio e di dibattito specie tra gli antropologi,
psicologi, sociologi, giuristi e pedagoghi. Solo in questi ultimissimi anni, tuttavia, l’attenzione degli studiosi (enfatizzata anche dai
mass-media) si è andata focalizzando sul fenomeno certamente antico ma troppo a lungo, coscientemente o incoscientemente,
trascurato o rimosso del bullismo. Il comportamento del bullo, che mira deliberatamente a fare del male e/o a danneggiare, può
assumere forme differenti: dirette (fisiche e/o verbali) oppure indirette attraverso la diffusione di maldicenze per lo più mirate all’esclusione della vittima dai gruppi di aggregazione. È emersa, inoltre, in questi ultimissimi anni, una nuova tipologia di “bullismo
telematico o cyber-bullismo” che si realizza attraverso le più recenti e sofisticate tecnologie dell’SMS e, addirittura, di internet per
mezzo di e-mail, chat-line e siti compiacenti sotto la vile protezione dell’anonimato.
Il bullismo è senz’altro un fenomeno in crescita sia all’interno che all’esterno della scuola, dove accomuna alunni di tutto il mondo
fin dai primissimi anni di scolarizzazione, specie nei paesi industrializzati e nei contesti urbani. Da recenti indagini è, comunque,
emerso che il bullismo in Italia sembra presentare un’incidenza significativamente più elevata rispetto alla maggior parte degli altri
paesi europei. La percentuale dei bambini italiani che affermano di aver subito ripetute angherie da parte dei propri compagni di
scuola supera il 41% nelle elementari e sfiora il 27% nelle medie.
La percentuale di coloro che riconoscono di aver commesso frequenti prepotenze è da collocarsi, invece, al 28% nelle elementari e al 20% nelle scuole medie. In Italia il bullismo ha le sue radici ovunque, dal Nord al Sud, nelle scuole prestigiose dei quartieri
residenziali e in quelle assai meno selettive delle periferie depresse, senza contare che in alcune aree del nostro Meridione si ha
la netta impressione che la lotta tra “clan” e “famiglie” si insinui fin dentro le aule scolastiche. Anche se le femmine si riconoscono meno frequentemente dei maschi come attrici di soprusi e prepotenze a danno dei propri compagni, il loro coinvolgimento risulta ugualmente elevato e, parallelamente, emergono specifiche modalità nell’aggressione femminile, di tipo più indiretto/relazionale che, con maggiore finezza psicologica, tende ad isolare ed umiliare la vittima designata. Numerose e documentate ricerche
hanno confermato che le condizioni di vittima e di bullo tendono, spesso, a persistere nel tempo conducendo ad una vera e propria escalation di violenze agite e/o subite che porta, non di rado, i prevaricatori ad atti di violenza conclamata o di vera criminalità e trascina le vittime verso l’abbandono scolastico, la profonda depressione e, in casi estremi, il suicidio.
È quindi indispensabile che i Pediatri e gli Adolescentologi confermino la propria diretta responsabilità e competenza in ogni aspetto di promozione e tutela della salute delle giovani generazioni non solo approfondendo le proprie conoscenze sul grave diffuso
fenomeno del bullismo scolastico ed extrascolastico, ma anche utilizzando tutte le necessarie collaborazioni per un’efficace prevenzione in ambiente scolastico e familiare e per un intervento diretto su vittime e prevaricatori, nella piena consapevolezza della
frequente alternanza e sovrapposizione dei due ruoli e del costante coinvolgimento di tutto il “sistema” ambientale e sociale.
Parole chiave: bullismo, prevaricazioni, vittimizzazioni, scuola.
Bullying: victims and aggressors in school communities
Summary
Issues concerning aggressive behaviors of teenagers have been subject since a long time to studies and debates
especially among anthropologists, psychologists, sociologists, jurists and pedagogues. However, only in the very last years the
attention of people – also enhanced by the mass-media – has been focused on bullying, already known for sure as an ancient phenomenon, but, consciously or unconsciously, neglected or disregarded for too long.
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The behavior of bullies, which deliberately sets out to hitting and/or to other forms of physical/psychical abuses, can assume different forms: direct (physical and/or verbal), or indirect, by gossiping or spreading rumors mostly aimed at isolating the “victim”
from the group. In these very last years, furthermore, a new type of “cyber-bullying”, arose coming off through the most recent and
sophisticated SMS, internet, e-mail, chat line technologies, and “complaisant” internet sites, under the cowardly protection of
aggressors, often anonymous in the mentioned cases.
Bullying is surely growing, both inside and outside the school structures, where it joints schoolboys all over the world since the
first years of attendance, especially in the industrialized countries and urban contexts. From recent surveys it anyhow came out
that bullying in Italy seems to be characterized by a significantly higher percentage in respect to the largest part of other European
countries. As far as primary and secondary school pupils are concerned, the percentage of Italian children, who assert to have
been subject to repeated vexations by their schoolfellows, is higher than 41%, and near to 27%, respectively. The percentage of
those who admitted to have done frequent overbearing acts has been individuated, instead, as 28% and 20%. Roots of bullying in
Italy are everywhere, from the North to the South, in glamorous schools of residential neighborhoods and in those much less selective schools situated in depressed suburbs, also influenced by the fact that in some zones of the South of Italy the clear impression emerges, that the fight between “clans” and “families” penetrates not seldom inside the school-rooms.
Even if females use to acknowledge as actresses of overbearing actions and abuses of power in prejudice of their schoolfellows
less frequently than males, their involvement turns out to be as deep as the males’ one and, at the same time, specific modalities
of female aggression came out, as especially indirect/relational forms which, by using more psychological subtlety, aim to isolate
and to humiliate the victim appointed.
Numerous and documented researches have confirmed that the conditions of victims and bullies tend to persist in the long run,
leading to a real escalation of violence, inflicted and/or suffered, which not seldom leads prevaricators to accomplish acts of
clear violence, or properly criminal, and drags the victims to the abandonment of the school, to deep depression and, in extreme cases, to suicide.
It is therefore absolutely necessary that Pediatricians and/or anybody else involved in Adolescent Health Care confirm his/her
direct responsibility and competence in every aspect concerning promotion and health protection of the young generations, not
only by deepening the knowledge on the dramatically diffused phenomenon consisting in bullying, either at school or outside, but
also by using all the necessary collaboration to achieve an efficient prevention in the school and domestic environment. Common
efforts of Pediatricians and Adolescentologists should be finalized to promote direct interventions towards victims and prevaricators, in the full consciousness of both the frequent reciprocity and superimposition of the two above-mentioned roles, and of the
steady involvement of the entire social and environmental system.
Key words: bullying, victims, aggressors, school.
L’argomento “bullismo”, a parte l’intrinseca complessità, appare di
notevole rilevanza clinica ed epidemiologica costituendo, senz’altro,
la più frequente causa di malessere tra i giovani in età scolare e
adolescenziale con potenziali e spesso rilevanti ricadute anche nelle
successive epoche della vita.
Paradossalmente, tuttavia, si ha la netta impressione che il fenomeno del bullismo, fino a tutt’oggi, sia stato consciamente o inconsciamente ignorato o rimosso dalla cultura medica prevalente. In
parallelo, soprattutto nell’ultimo decennio, importanti contributi
scientifici sull’argomento sono stati prodotti (in Italia e all’estero) da
psicologi, sociologi, educatori, antropologi, filosofi, teologi, giuristi
e, addirittura, da criminologi.
Con il fermo impegno di non aggiungere un’incongrua medicalizzazione alla dominante e, spesso, esagerata psichiatrizzazione e criminalizzazione delle principali problematiche giovanili ritengo, tuttavia, indispensabile che la classe medica, soprattutto in ambito adolescentologico, prenda finalmente nozione e coscienza delle condotte aggressive in ambiente scolastico e non solo quando queste
degenerano in atti di vandalismo o di franca violenza, illeciti o delittuosi. Allo stesso modo non si possono più trascurare o ignorare le
sofferenze profonde seppure silenziose di chi, inerme, subisce ripe-
tute palesi prevaricazioni fisiche e/o verbali o più sottili (ma non
meno laceranti) calunnie, ridicolizzazioni o esclusioni sociali.
È ragionevole ritenere che oppressi e oppressori siano sempre esistiti, in tutti i tempi, in ogni età, condizione e luogo seppure nella più
variegata gamma di espressioni: ed è da sfatare qualsiasi luogo
comune tendente a sminuirne la rilevanza nel più o meno recente
passato in cui le più marcate differenze sociali si associavano a
concetti estremamente fumosi di democrazia.
È altrettanto innegabile che ciascuno di noi, riandando con la
memoria agli anni della propria giovinezza, dovrà onestamente
ricordare più di un episodio in cui è stato autore, vittima o spettatore di soprusi o, quanto meno, di pesanti “gogliardate” (1) .
Una “fisiologica” aggressività, d’altronde, come l’istinto del possesso o la prevenzione, talora fino all’ostilità, per l’“estraneo” fanno
parte della natura umana e sono facilmente riconoscibili in ogni individuo fin dalla più tenera età, non di rado intimamente connessi con
i primordiali istinti di autoconservazione e di protezione della specie.
Sono piuttosto da rimarcare e da criticare certi “strani” valori educativi che moltissimi adulti sono soliti trasmettere al giorno d’oggi
alle nuove generazioni come, ad esempio, che la vita consiste in
una lotta continua, che di conseguenza se si vuole emergere biso-
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Volume 2, n. 1, 2004
Il bullismo: giovani tra prevaricazioni e vittimizzazioni
e pacchiano; chi vuole apparire troppo sicuro di sé; sfrontato”; sullo
Zingarelli (1993) al lemma “bullo” corrisponde la definizione di “prepotente, bellimbusto, che si mette in mostra con spavalderia”;
anche il Dizionario Enciclopedico Zanichelli riporta “giovane prepotente, bellimbusto”; infine, il Devoto-Oli (1993) segnalando che per
bullo si deve intendere un “teppista, sfrontato” aggiunge che l’attributo si adatta “in senso non cattivo a un bellimbusto che si renda
ridicolo per la vistosità e l’eccentricità dell’abbigliamento”.
Bisognerà quindi attendere il 1996 per trovare il termine bullismo
nella sezione “neologismi” di alcuni dizionari (5) quale traduzione
letterale del termine anglosassone bullying (in cui appare evidente
l’etimologia o, quantomeno, la consonanza con the bull, il toro). Per
maggiore completezza vale la pena di segnalare che sull’
del
1990 viene finalmente indicato che il sostantivo the bully denota una
persona che “usa la propria forza o potere per intimorire o danneggiare una persona più debole” e dalla comune radice derivano sia il
verbo transitivo to bully (= vessare, angariare, intimorire) che il già
citato sostantivo bullying.
Può essere utile ricordare che il termine usato in Scandinavia per
riferirsi al bullismo è, invece, mobbing (in Norvegia e in Danimarca)
e mobbning (in Svezia e in Finlandia) dove è evidente la comune
radice anglosassone del verbo to mob (aggredire, assalire, accerchiare in massa, malmenare). In realtà, come ben sappiamo, in Italia
e in molti altri Paesi il termine mobbing viene di regola meglio utilizzato per indicare la violenza psicologica e la molestia morale sul
posto di lavoro. Sta di fatto che il termine bullying può trovare difficilmente un suo esatto corrispettivo nella lingua italiana, dal
momento che bullismo alla fine richiama alla mente solo un particolare atteggiamento prevaricatore mentre bullying, nella felice quanto intraducibile condensazione della lingua inglese, indica una specifica modalità di relazione tra due soggetti dove esiste contemporaneamente uno più forte che prevarica e uno più debole che viene
prevaricato (6-8).
Siamo in grado, a questo punto, di meglio comprendere le seguenti definizioni “ufficiali” di bullismo:
Uno studente è oggetto di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimiz-
gna imparare precocemente ad imporsi, ad affrontare il prossimo
quasi fosse il nemico, altrimenti si corre il rischio di essere sopraffatti, umiliati o, quanto meno, ignorati. Viene in tal modo palesemente privilegiato un atteggiamento di aggressività, diffidenza verso
il prossimo, disprezzo della debolezza perché se non si vuole rimanere indietro bisogna anticipare tutti, scalzare gli avversari, mostrarsi “forti” per primi, quindi: concorrenza spietata ed arrivismo esasperato.
Assodato che le angherie e le prepotenze in ambito scolastico (ed
extra-scolastico) sono un fenomeno diffuso e di antica data, è
importante sottolineare che solo a partire dalla fine degli anni 60 e i
primi anni 70, inizialmente in Svezia, l’opinione pubblica e il mondo
scientifico hanno prestato concreta attenzione al fenomeno del bullismo (2, 3) e, rapidamente, tale interesse si diffuse agli altri Paesi
Scandinavi. In Norvegia, alla fine dell’anno 1982, l’opinione pubblica venne profondamente scossa dalla notizia del suicidio di tre
ragazzi di età compresa tra i 10 e i 14 anni che si erano tolti la vita
non riuscendo più a sostenere né, tantomeno, a contrastare le gravi
forme di bullismo perpetrate a loro danno da un gruppo di coetanei.
La risonanza di tale episodio fu enorme sollevando dibattiti e accesi confronti tali da indurre, a partire dall’autunno del 1983, il
Ministero norvegese della Pubblica Istruzione ad avviare una campagna nazionale contro il bullismo in tutte le scuole elementari e
medie del Paese.
Il “pioniere” degli studi, Dan Olweus (professore di Psicologia
all’Università di Bergen, in Norvegia nonché presidente dell’International Society for Research on Aggression) è attualmente considerato la massima autorità mondiale in tema di bullismo e vittimizzazione e, come avremo occasione di verificare in seguito, ai suoi
canoni, esperienze e suggerimenti si sono uniformate quasi tutte le
ricerche successivamente condotte nelle altre Nazioni. Se, infatti,
per alcuni anni gli studi sul bullismo rimasero circoscritti alla
Scandinavia, verso la fine degli anni 80 e gli inizi degli anni 90 gli
interessi sull’argomento cominciarono a coinvolgere molti altri Paesi
europei ed extraeuropei: Inghilterra (4), Irlanda, Spagna, Finlandia,
Giappone, Australia, Stati Uniti e Canada. In Italia, un primo nucleo
di ricercatori coordinato dalla professoressa Ada Fonzi (docente di
Psicologia dello Sviluppo presso l’Università di Firenze) diede, nello
stesso periodo, inizio allo studio del fenomeno in questione, partendo dal presupposto che anche nel nostro Paese, come in tutti gli
altri Paesi industrializzati già oggetto di indagine, esso fosse inevitabilmente presente e con marcata consistenza. Difatti, fin dalle
prime indagini conoscitive emerse che il bullismo scolastico incideva pesantemente in Italia (almeno come frequenza, se non come
gravità): circa il doppio dell’Inghilterra, il triplo della Norvegia e della
Spagna, sei-otto volte più che in Irlanda o in Finlandia (Tabella 1).
È fin troppo noto che il termine “bullo” (seppure con diverse sfumature dialettali) fa parte ormai da tempo del linguaggio italiano corrente assumendo, tuttavia, significati sostanzialmente diversi da
quello più recentemente attribuitogli e al quale, almeno in questa
sede, ci dobbiamo riferire. Infatti, sul Dizionario Garzanti (1987) leggiamo: “giovane prepotente e spavaldo; chi veste in modo vistoso
Tabella 1. Giovani implicati in atti di bullismo
(percentuale orientativa sulla popolazione scolastica).
Finlandia
Irlanda
Giappone
Norvegia
Spagna
Canada
Inghilterra
Italia (Cosenza)
Italia (Firenze)
Italia (Sardegna)
15
6,0%
8,0%
12,5%
15,0%
15,0%
20,0%
27,0%
38,0%
46,0%
50,0%
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
figure della vittima e del suo persecutore. Se vogliamo, infatti, conoscere realmente il problema per tentare di prevenirlo o, quantomeno, di contenerlo dovremo allargare il nostro campo di osservazione includendo l’intero gruppo sociale dei ragazzi e degli adulti
comunque coinvolti. Anzitutto è frequentemente riconoscibile non
un singolo ma un piccolo gruppo di persecutori, dove accanto a
uno o più leader (o bulli principali/attivi) si affiancano i cosiddetti gregari, figure negative minori spesso impopolari, che pur non essendo i promotori delle violenze stesse collaborano alla loro realizzazione in subordine ai leader. Sempre dalla parte dei “cattivi” si possono, talora, individuare i rinforzi, figure di appoggio che pur non
partecipando materialmente all’atto persecutorio, deridono la vittima ed incoraggiano il bullo. Fortunatamente esiste anche un fronte
opposto dove sono riconoscibili i difensori, che si attivano per far
smettere il sopruso, confortano e aiutano la vittima, provvedono a
informare dell’accaduto gli adulti competenti. All’intorno ruota il
gruppo degli spettatori, che mantengono le debite distanze dagli
attori principali e, non di rado, se interrogati negano ogni evidenza.
Altri ancora meritano di essere indicati come estranei, non perché
materialmente assenti, ma in quanto distratti o incapaci di assumersi una posizione e, quindi, una responsabilità definita. Per ultima, ma centrale nel proprio ruolo, abbiamo la vittima. Tra le vittime
stesse sono state proposte, quindi, importanti distinzioni in:
Vittime passive o sottomesse: che non provocano i maltrattamenti che ricevono, ma sono incapaci di reagire efficacemente;
Vittime provocatrici: che tendono a dare fastidio e ad irritare,
sono iperattive e petulanti, quando reagiscono lo fanno in modo
scomposto, incongruo e inefficace;
Vittime volontarie: che, paradossalmente, accettano il proprio
ruolo di vittima, quasi per “stare al giuoco”, nella speranza di
essere così maggiormente accettate dal gruppo.
Viene descritta, inoltre, la figura del BULLO/VITTIMA (in gran parte
assimilabile alla vittima/provocatrice) che corrisponde a quei soggetti che, di volta in volta, sono oggetto o soggetto di atti di bullismo.
Sempre tra le vittime sono state individuate ulteriori, anche importanti, sottocategorie che consentono di distinguere tra:
Vittima vera: che tale si riconosce e come tale viene identificata
dai coetanei;
Vittima paranoide: che afferma di essere vittimizzata, ma i coetanei concordemente lo smentiscono;
Vittima che “nega il ruolo”: che viene riconosciuta dai coetanei
come oggetto di bullismo, ma non vuole accettare il proprio
ruolo per quanto evidente.
È estremamente arduo e, forse, impossibile proporre un “identikit
tipico” della vittima e del suo persecutore. Alcuni stereotipi semplicistici e banalizzanti che prefigurano la vittima designata di bassa
statura, obesa, debole, balbuziente, trascurata nella cura della persona, occhialuta, portatrice di handicap e (chissà perché) con i
capelli rossi o, all’opposto, il bullo alto, forte, arrogante, dominatore, indisciplinato vengono il più delle volte smentiti dall’evidenza dei
fatti. Forse solo per i soggetti iperattivi, con difficoltà di apprendi-
zato quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle
azioni offensive messe in atto da uno o più compagni (7).
Un comportamento da bullo è un tipo di azione che mira deliberatamente a far del male o a danneggiare, spesso è persistente, talvolta
dura per settimane, mesi e persino anni ed è difficile difendersi per
coloro che ne sono vittime. Alla base della maggior parte dei comportamenti sopraffattori esiste un abuso di potere e un desiderio di
intimidire e di dominare (8).
Ne consegue che un comportamento prevaricatore potrà essere
correttamente inquadrato nella fattispecie del bullismo solo se potrà
rispondere contemporaneamente ai seguenti tre requisiti fondamentali:
Intenzionalità = cioè precisa e decisa volontà di arrecare danno;
Asimmetria di relazione = cioè evidente squilibrio di forza, potere e
prestigio tra il prevaricatore (più forte) e la vittima (più debole);
Persistenza = cioè il perdurare e il ripetersi nel tempo delle prevaricazioni stesse.
Ne consegue che non devono essere confusi con atti di bullismo i
frequenti, talora anche violenti ma fondamentalmente “normali” conflitti tra pari, laddove i contendenti:
a) non insistono oltre un certo limite per imporre le proprie ragioni;
b) si sforzano di giustificare il proprio disaccordo;
c) si scusano, si accordano o contrattano per soddisfare le proprie
esigenze;
d) sono comunque in grado di interrompere la lite e di cambiare
argomento.
È possibile identificare due categorie principali di bullismo: una di
tipo diretto e l’altra di tipo indiretto. Nel primo caso il prevaricatore
interviene direttamente sulla vittima con attacchi fisici (pugni, calci,
percosse, morsi, spinte, furti, danneggiamenti) o verbali senza contatto fisico (derisioni, insulti, minacce). Nel caso di bullismo indiretto il prevaricatore o il gruppo di prevaricatori mirano ad isolare e ad
umiliare la vittima prescelta senza affrontarla direttamente ma mettendo in giro calunnie, storie o maldicenze miranti ad una vera e
propria esclusione sociale. La maggior parte delle indagini conoscitive sul fenomeno del bullismo hanno confermato che i prevaricatori maschi utilizzano di regola la modalità diretta di aggressività mentre le femmine si orientano, il più delle volte, verso l’aggressività indiretta relazionale (9-11).
È emersa, inoltre, in questi ultimissimi anni, una nuova tipologia di
“bullismo telematico o cyber-bullismo” che si realizza non solo attraverso le già sperimentate molestie/minacce telefoniche, ma utilizzando le più recenti e sofisticate tecnologie informatiche e multimediali delle SMS e, addirittura, di internet per mezzo di e-mail, chatline e siti compiacenti sotto la vile protezione dell’anonimato.
Non si deve dimenticare, inoltre, che per il bullo che è riuscito a consolidare il proprio ruolo prevaricante è spesso sufficiente lanciare a
distanza un segnale minaccioso (gesto, sguardo) perché la vittima
si senta bloccata e impotente, imprigionata nel proprio ruolo di inferiorità e sottomissione.
Sarebbe, comunque, un grave errore considerare il bullismo un
semplice fenomeno diadico che vede, contrapposte, le sole due
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Il bullismo: giovani tra prevaricazioni e vittimizzazioni
mento e per quelli appartenenti ad etnie diverse si può confermare
un reale maggior rischio di vittimizzazione (Tabella 2).
Analoghe considerazioni possono valere per quanto riguarda i rapporti tra bullismo ed estrazione economico-sociale e culturale delle
famiglie di origine. È fin troppo noto e provato che la violenza e la
devianza non originano “solo” da famiglie disgregate, con bassa
scolarizzazione e nei quartieri a rischio. Il fenomeno, che indubbiamente risente di determinati stili educativi, non risparmia infatti il
ceto-medio o l’alta borghesia laddove prefigura quella situazione
così efficacemente compendiata dalla paradossale espressione di
malessere del benessere. Parallelamente, numerose ricerche sono
state condotte per individuare e meglio comprendere le complesse
dinamiche psicologiche individuali e/o di gruppo che sottendono il
fenomeno del bullismo. Appaiono molto convincenti, a tal fine, le
osservazioni di A. Fonzi (10-12) per cui la condizione sia di vittima
che di bullo appaiono legate ad una difficoltà intrinseca nel riconoscimento di emozioni fondamentali: rabbia, sofferenza, pietà, felicità. In altre parole, entrambi gli attori principali di quel dramma
complesso che è il bullismo risulterebbero sgrammaticati in una
competenza sociale fondamentale che è l’empatia, che permette di
cogliere e di condividere i segnali emotivi che provengono dagli
altri. A ciò si deve aggiungere il disimpegno morale, meccanismo
attraverso cui il prevaricatore e i suoi sostenitori giustificano il proprio comportamento, diluiscono le proprie responsabilità e, non di
rado, arrivano a deumanizzare la vittima (Tabella 3).
Un importante filone di ricerche riguarda i rapporti tra episodi di bullismo in età scolare e disadattamenti nelle età successive.
Anche se il bullismo, almeno in prima battuta, non dovrebbe essere
considerato “tout court” una condotta deviante, coloro che hanno
alle spalle una storia di prepotenze, aggressioni e prevaricazioni
hanno un elevato rischio di sviluppare nel tempo comportamenti
antisociali. All’opposto, le vittime frequentemente somatizzano le
proprie sofferenze (con cefalee, coliche addominali, nausea, difficoltà di respirazione, malessere generale, ansia, insonnia), hanno
un crollo nell’autostima e cadono in depressione: in questi soggetti
si nota frequentemente un calo inspiegabile nel rendimento scolastico che può sfociare nell’abbandono degli studi. Questi dati ci
fanno anche sospettare che non pochi suicidi tentati e realizzati
dagli adolescenti potrebbero essere legati non tanto a delusioni
affettive o fallimenti scolastici quanto alla violenza persecutoria di
alcuni compagni!
Il motivo principale per cui, quasi ovunque nel mondo, il fenomeno
del bullismo è stato così a lungo sottovalutato o ignorato deriva
senz’altro dalla cappa di omertà che avvolge tutto il “sistema” prevaricante: gli adulti responsabili che non vedono o non vogliono
vedere per non essere colpevolizzati, il bullo che si sente protetto
dal proprio disimpegno morale, la vittima che non sa a chi rivolgersi o che, comunque, preferisce tacere. Ne consegue che i casi di
bullismo che spontaneamente emergono altro non sono che la
punta di un iceberg di estese e preoccupanti dimensioni (Tabella 4).
Un approccio “clinico globale” alla complessa problematica del bullismo dovrebbe, comunque, seguire il percorso ordinato e ormai
Tabella 2. Stili educativi a rischio di bullismo.
Atteggiamento negativo di fondo, con mancanza di
“calore” e poco coinvolgimento da parte dei genitori
Atteggiamento educativo troppo permissivo e tollerante
Uso troppo coercitivo del potere da parte di uno o
entrambi i genitori
Rapporti conflittuali tra genitori
Separazioni, divorzi, violenze, disturbi psichiatrici,
alcoolismo, tossicodipendenze ma anche…
il malessere del benessere
Tabella 3. Il disimpegno morale
(deresponsabilizzazione e auto-assoluzione
delle condotte anti-sociali).
Per diffusione di responsabilità (….fanno tutti così!)
Per confronto vantaggioso (….si è visto ben altro!)
Per occultamento delle conseguenze
(….alla fine non è morto nessuno!)
Per deprezzamento della vittima
(….è un fesso, un rompiscatole, se l’è voluta!)
Tabella 4. Perché una vittima tace.
Perché non si è ancora resa conto di essere vittima di bullismo
Perché non sa a chi rivolgersi
Perché ritiene inutile confidarsi
Perché teme derisioni e/o ritorsioni
Perché teme di essere considerata vigliacca
Perché teme di essere considerata spia
Perché, comunque, è meglio “cavarsela da soli”
Perché tacere e non reagire può anche essere considerato un
atto di forza
abbastanza standardizzato di ogni ricerca e successivo intervento
in ambito medico:
Conoscenza (e coscienza) del problema
↓
Verifica/indagine epidemiologica (esistenza e consistenza del fenomeno in un determinato campione)
↓
Studio dei meccanismi etiopatogenetici
↓
Ipotesi/possibilità di intervento
↓
Prevenzione/trattamento
↓
Verifica dei risultati
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Volume 2, n. 1, 2004
3) tipologia delle prevaricazioni;
4) aggressività rispetto al sesso di appartenenza;
5) tempi e luoghi in cui l’aggressività è agita e/o subita;
6) empatia per le vittime e i prepotenti.
Alcuni item del questionario sono, infine, preposti alla sua validazione,
attraverso la verifica di eventuali incoerenze da parte dell’intervistato.
Per meglio comprendere il reale significato dei dati epidemiologici italiani e stranieri sul bullismo derivanti dal questionario anonimo, è bene
chiarire che viene chiesto agli intervistati se e quante volte hanno fatto
o subito prepotenze negli ultimi 5-6 giorni o negli ultimi 2-3 mesi, proponendo le seguenti cinque ipotesi:
1) non è mai successo;
2) è successo una volta o due;
3) è successo qualche volta;
4) è successo circa una volta alla settimana;
5) è successo parecchie volte alla settimana.
La risposta affermativa alla prima domanda sta ad indicare l’assenza
del fenomeno, mentre la seconda è indice di presenza occasionale. La
presenza reale di bullismo risulta, invece, dalle risposte affermative alle
ultime tre ipotesi: la cui somma costituisce il c.d. indicatore di presenza. La somma delle risposte affermative alle ultime due ipotesi (“è successo una volta alla settimana”, “è successo più volte alla settimana”)
rappresenta, invece, l’indicatore di gravità del bullismo. Ne consegue
tuttavia che, in questa prospettiva, quando si parla di indice di gravità
ci si riferisce esclusivamente alla frequenza e non alla tipologia delle
prevaricazioni stesse.
Agli studi italiani sul bullismo hanno finora partecipato (in forma per lo
più collaborativa) diversi centri istituzionali e di volontariato, pubblici e
privati, dislocati nelle principali regioni del Paese, talora identificati da
sigle suggestive, quali:
JUMP = Juveniles and Models of Crime Prevention (CENSIS –
Programma Europeo COISIN) (20) ;
NOVASRES = No alla Violenza a Scuola Rete Europea di Scambio
(Commissione Europea – Programma Connect) (21);
PROMECO = Centro per la Promozione della Comunicazione
(Ferrara) (22);
PREGIO = Prevenzione Giovanile (Trento);
LARISO = Laboratorio per la Ricerca e l’Intervento Sociale (Sardegna)
(23).
La finalità delle varie ricerche condotte finora in Italia e all’estero sul
bullismo si può, in modo apparentemente semplicistico, compendiare
nel tentativo di dare una risposta esauriente ai seguenti quattro quesiti principali: “esiste il bullismo nel nostro Paese? Quali dimensioni ha?
In che forme si manifesta? Cosa è possibile fare per contrastarlo?”
Le prime indagini italiane, come già anticipato, hanno riguardato la
città di Firenze (10,18) e la città di Cosenza (24), quindi aree del Paese
tra loro distanti non solo dal punto di vista geografico, ma anche per
tradizione, cultura e stili educativi. Il questionario anonimo è stato somministrato a scolari delle ultime tre classi elementari e ad un campione
significativo di studenti delle tre classi medie. Nel capoluogo toscano
la diffusione complessiva del fenomeno delle prepotenze subite nelle
elementari raggiungeva il 50,6% delle bambine e il 41% dei maschi;
Per uno studio epidemiologico dell’esistenza e consistenza del bullismo nelle scuole sono stati finora utilizzati strumenti diversi (11, 13-16):
1) Interviste individuali
2) Compilazione di un diario sulle prepotenze agite o subite
3) Nomina, da parte dei coetanei di coloro che fanno o subiscono prepotenze
4) Nomina, da parte degli insegnanti dei bulli e delle vittime
5) Somministrazione di un questionario anonimo
6) Osservazione diretta dell’iterazione sociale degli alunni durante il
momento della ricreazione, mediante l’utilizzo di telecamere e di
microfoni “cordless”.
Ciascuna delle metodiche di indagine sopra elencate presenta, ovviamente, peculiarità di utilizzo, vantaggi e svantaggi. Le interviste, ad
esempio, possono risultare eccessivamente dispendiose, sono applicabili a campioni numericamente limitati e selezionati, provocano
spesso nei soggetti intervistati reazioni difensive. Il diario, pur essendo un utile e semplice strumento conoscitivo “di classe”, tende tuttavia a sottostimare la frequenza reale dei comportamenti di prevaricazione non potendo consentire l’anonimato e favorendo la reticenza
omertosa. L’osservazione televisiva (in audio e video) è utilissima per
evidenziare i comportamenti spontanei di ostilità diretta tra coetanei,
ma risulta di scarsa utilità per cogliere i comportamenti indiretti di
manipolazione e/o esclusione sociale delle giovani vittime.
Particolarmente efficace, attendibile, riproducibile ed economico si è,
invece, dimostrato il questionario anonimo tanto nella valutazione dell’incidenza quantitativa che delle caratteristiche qualitative delle prepotenze agite e/o subite, anche su ampi campioni di popolazione
scolastica. I limiti di qualsiasi questionario sono, ovviamente, legati sia
alle procedure tecniche-operative (costruzione, presentazione, somministrazione, compilazione, decodificazione, elaborazione, interpretazione dei risultati) sia al fatto che da essi può emergere solo un’osservazione indiretta del fenomeno indagato condizionato dal punto di
vista del singolo compilatore, senza contare che diversi item possono fare riferimento a definizioni comportamentali più che a dettagliate
descrizioni delle medesime.
A tutt’oggi, lo strumento che ha ricevuto il maggior numero di consensi negli studi condotti a livello internazionale sull’esistenza, la consistenza e le specifiche caratteristiche del bullismo è il Dan Olweus
Questionnaire (6, 7, 17) nelle sua versione inglese del 1993 (5). Di tale
questionario esiste una versione specifica per le scuole elementari e
una per le scuole medie e superiori. Rispetto alla versione inglese,
quella utilizzata in quasi tutte le ricerche italiane è stata modificata ed
adattata alle nostre esigenze da A. Fonzi (10, 18) e comprende 28
item: due in più della versione inglese originale.
È indispensabile, a questo punto, soffermarsi brevemente su alcune
caratteristiche strutturali del questionari anonimo che, come già premesso rappresenta, per consenso internazionale, lo strumento ideale
per la conoscenza della natura e delle caratteristiche del bullismo in
campioni numerosi. Anzitutto, tale questionario è organizzato in sezioni diverse, tese a determinare i seguenti indicatori specifici (19):
1) indice quantitativo delle prevaricazioni;
2) aggressività diretta e indiretta;
18
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Il bullismo: giovani tra prevaricazioni e vittimizzazioni
Tabella 5. Prepotenze subite dai bambini italiani
delle scuole elementari; indice di presenza %.
Località
Tabella 7. Prepotenze agite dai bambini italiani
delle scuole elementari; indice di presenza %.
Maschi
Femmine
Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta
35,1
35,2
Emilia-Romagna (Bologna)
46,5
37,1
Toscana (Firenze)
41
Campania (Napoli)
Località
Maschi
Femmine
Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta
30,4
24,8
Emilia-Romagna (Bologna)
34,9
31,5
50,6
Toscana (Firenze)
33,3
13,5
50,1
45,6
Campania (Napoli)
43,6
31,9
Calabria (Cosenza)
21,9
16,8
Calabria (Cosenza)
13,8
6,7
Sicilia (Palermo)
39,4
39,6
Sicilia (Palermo)
26,6
31,8
Campione Nazionale
42,9
40,2
Campione Nazionale
32,8
22,8
nelle medie il 31,2% delle ragazze e il 29,2% dei maschi: dati che
dimostravano (per lo meno nell’area toscana) una maggiore vittimizzazione delle femmine rispetto ai maschi nelle elementari, mentre nelle
medie tale scarto tendeva ad annullarsi. Per quanto concerne la gravità (=frequenza) delle prevaricazioni subite, con il passaggio dalle
elementari alle medie si verificava un cambiamento radicale: mentre
nelle elementari, per le femmine, il ricevere prepotenze era un fenomeno più diffuso ma meno “grave” che per il maschi, alle medie tali
differenze tendevano ad annullarsi (10,4% vs 11%). Per quanto riguarda le prepotenze agite, l’andamento generale del fenomeno era ben
diverso per i due sessi: alla scuola elementare dominavano nettamente i maschi (33,3%) sulle femmine (13,5%); nelle medie, nonostante un
aumento degli atti di bullismo commessi dalle ragazze (15,1%) e una
riduzione tra i ragazzi (28,5%), la distanza tra i due sessi rimaneva marcata (10).
Paragonando l’incidenza percentuale delle prepotenze agite e subite
nei due sessi a Firenze e a Cosenza si nota, immediatamente, una stridente differenza dal momento che, nell’area calabrese, tutti i valori
risultano nettamente più bassi che nel capoluogo toscano, pur confermandosi la diffusa pratica del bullismo nei due ordini scolastici.
Da queste primissime indagini sul bullismo e da quelle successivamente condotte nelle diverse regioni italiane balzano immediatamente
agli occhi marcate differenze quantitative che, seppure in qualche
modo prevedibili, assumono particolare rilievo in quanto indicative del-
l’influsso ecologico sul manifestarsi del comportamento studiato (10).
Esaminando globalmente l’andamento del fenomeno nel suo complesso (Tabelle da 5 a 12) si nota come alcune località sono più colpite dal bullismo – come la Campania, la Sicilia, la Sardegna e, in parte,
la stessa Toscana – e altre decisamente meno – come la Calabria e il
Piemonte e Valle d’Aosta. Anche se non è sempre possibile dare una
spiegazione univoca a queste differenze territoriali appare, anzitutto,
evidente che il fenomeno è per sua natura disomogeneo e ad eziologia multifattoriale. Anzitutto, sono particolarmente influenti le diversità
di genere e di ciclo scolastico, ma indubbia rilevanza assumono le
caratteristiche personologiche, le tradizioni ambientali, gli stili educativi, le relazioni familiari e la dinamica di classe; assai meno condizionanti, sulla base di quasi tutte le indagini finora condotte, sono risultate l’ampiezza della scuola e le condizioni socio-economiche della famiglia. Le differenze tra maschi e femmine non sono, tuttavia, omogenee
sorprendendo talora gli stessi osservatori per certi comportamenti in
netta controtendenza rispetto alle aspettative. Così, in Emilia e in misura assai più rilevante in Campania e in Sicilia, ma anche in Sardegna
le femmine che si riconoscono prepotenti sono in numero decisamente maggiore che nelle altre sedi, capovolgendo l’immagine tradizionale della donna, soprattutto meridionale, abituata e rassegnata a subire
violenze e prepotenze piuttosto che a farle (25-30).
Con l’intento di uniformare i singoli riscontri regionali sono stati anche
elaborati su campioni omogenei di popolazione scolastica elementare
Tabella 6. Prepotenze subite dai bambini italiani
delle scuole elementari; indice di gravità %.
Tabella 8. Prepotenze agite dai bambini italiani
delle scuole elementari; indice di gravità %.
Località
Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta
Maschi
Femmine
15,7
12,3
Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta
Località
Maschi
Femmine
11,4
6,2
Emilia-Romagna (Bologna)
24,4
12,4
Emilia-Romagna (Bologna)
14,0
10,1
Toscana (Firenze)
23,1
16,9
Toscana (Firenze)
19,2
2,2
Campania (Napoli)
22,8
21,6
Campania (Napoli)
23,7
9,8
Calabria (Cosenza)
8,8
6,1
Calabria (Cosenza)
6,7
1,7
Sicilia (Palermo)
13,1
15,0
Sicilia (Palermo)
8,3
11,2
Campione Nazionale
20,1
14,7
Campione Nazionale
14,8
6,4
19
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Tabella 9. Prepotenze subite dai ragazzi italiani delle scuole
medie indice di presenza %.
Località
Maschi
Tabella 11. Prepotenze agite dai ragazzi italiani delle scuole
medie indice di presenza %.
Femmine
Località
Maschi
Femmine
Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta
19,2
16,5
Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta
21,7
10,0
Toscana (Firenze)
29,2
31,2
Toscana (Firenze)
28,5
15,1
Roma (Provincia)
14,4
19,4
Roma (Provincia)
20,5
12,8
30,3
Campania (Napoli)
29,6
32,3
Campania (Napoli)
33,1
Calabria (Cosenza)
10,6
16,9
Calabria (Cosenza)
10,9
8,4
Sicilia (Palermo)
17,5
25,7
Sicilia (Palermo)
19,9
20,2
Sardegna
24,0
21,2
Sardegna
39,2
19,9
Campione Nazionale
25,0
27,8
Campione Nazionale
23,4
16,4
e media quelli che, al momento attuale, possono essere considerati i
dati nazionali sul fenomeno del bullismo nel nostro Paese (5,12), che
abbiamo riportato in grassetto nelle Tabelle da 1 a 8.
Per quanto attiene alla tipologia delle prepotenze subite, un dato
preoccupante emerge dalla ricerca condotta in Piemonte e Valle
d’Aosta (25) e riguardante le prepotenze di tipo sessuale sia verbali
(insulti, proposte, provocazioni, ricatti) che fisiche (perlopiù toccamenti) di cui sono vittime quasi esclusivamente le ragazze. Da tali episodi
(evidenziabili, per altro, solo da interviste, diari o racconti) traspare
chiaramente il senso di impotenza e di sofferenza delle ragazze vittime
della violenza. Al momento attuale non si dispone di dati di confronto
con quelli piemontesi e valdostani, ma quanto finora emerso è drammaticamente indicativo di un modo allarmante e sciagurato di impostare anche le più precoci relazioni tra i due sessi (Tabella 13).
Le prepotenze vengono subite prevalentemente in classe, dai propri
compagni di classe (alle elementari nel 57,2% dei casi, alle medie nel
51,9%): questo dato contrasta con quanto generalmente rilevato in altri
Paesi europei, laddove come luoghi più a rischio vengono indicati i
corridoi, i bagni, i cortili, le palestre e le mense, vale a dire zone dove
la vigilanza da parte degli adulti è meno presente (Tabella 14) (31).
Il dato italiano, che da un lato conferisce al fenomeno delle prepotenze scolastiche quasi un’etichetta di “normalità” da inserirsi nella vita
quotidiana dello scolaro, dall’altro è un indice preoccupante dello scarso controllo e/o dell’eccessiva tolleranza da parte del personale
docente rispetto al verificarsi e al reiterarsi di tali episodi (5).
Per quanto riguarda il fenomeno del bullismo nelle scuole superiori (di
massimo interesse conoscitivo e operativo per gli adolescentologi) gli
studi italiani, al momento attuale, sono piuttosto limitati e fanno riferimento, soprattutto, a due qualificate indagini condotte su ragazzi di
età compresa tra i 14 e i 17-18 anni, rispettivamente a Ferrara (con il
supporto del Centro Promeco) (31) e nella provincia di Trento
(dall’Associazione Villa S. Ignazio) (32). Per quanto riguarda l’area ferrarese, ben l’82% degli studenti intervistati aveva denunciato l’esistenza di episodi di bullismo. Le prepotenze prevalenti nelle scuole superiori del capoluogo emiliano erano costituite da prese in giro, seguite da
offese, scherzi pesanti e piccoli furti, ma non mancavano denunce di
prevaricazioni assai più gravi quali minacce, aggressioni, furti importanti e estorsioni in denaro (31). La maggior parte delle prepotenze più
gravi prevaleva nelle prime classi delle medie superiori, mentre tendeva a decrescere nelle ultime classi senza, tuttavia, mai scomparire.
Questo interessante fenomeno è stato collegato allo stabilirsi delle
gerarchie all’interno del gruppo-classe nella fase iniziale del percorso
scolastico mentre, con il successivo passare degli anni, si realizza una
progressiva maturazione degli adolescenti che comporta un migliore
Tabella 10. Prepotenze subite dai ragazzi italiani delle scuole
medie indice di gravità %.
Tabella 12. Prepotenze agite dai ragazzi italiani delle scuole
medie indice di gravità %.
Località
Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta
Località
Maschi
Femmine
Maschi
Femmine
8,6
6,3
Piemonte (Torino)-Valle d’Aosta
8,8
3
12,0
4,1
Toscana (Firenze)
10,4
11,0
Toscana (Firenze)
Roma (Provincia)
5,9
8,9
Roma (Provincia)
7,0
4,1
Campania (Napoli)
10,9
10,3
Campania (Napoli)
17,5
12,5
Calabria (Cosenza)
4,8
6,4
Calabria (Cosenza)
4,8
2,3
Sicilia (Palermo)
9,8
9,0
Sicilia (Palermo)
8,2
5,6
Sardegna
6,1
5,9
Sardegna
9,8
4,6
Campione Nazionale
10,2
8,7
Campione Nazionale
10,6
5,3
20
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Il bullismo: giovani tra prevaricazioni e vittimizzazioni
Tabella 13. Tipo di prepotenza subita (valori percentuali su campione italiano) (modificato da 31).
Offese Verbali
Colpi Fisici
Minacce
Esclusione
Mettere In Giro Voci
Furti
Maschi
49,7
52,2
22,0
16,4
24,3
25,0
Scuole Elementari
Femmine
52,8
30,8
14,6
18,0
31,4
23,7
Totale
51,0
42,0
19,2
17,2
27,8
24,4
Maschi
44,9
27,7
17,7
6,8
23,3
11,5
Scuole Medie
Femmine
45,3
13,4
8,4
6,2
26,3
7,3
Totale
45
20,7
13,0
6,4
24,6
9,3
Tabella 14. Luogo in cui si verificano le prepotenze (valori percentuali su campione italiano) (modificato da 31).
Classe
Cortile
Corridoi
Altrove
Maschi
52,3
44,1
21,2
26,6
Scuole Elementari
Femmine
62,5
38,5
18,6
20,4
Totale
57,2
41,3
19,9
23,7
Maschi
49,9
13,5
23,5
24,6
Scuole Medie
Femmine
53,9
11,2
16,5
15,7
Totale
51,9
12,3
19,6
20,2
confermato essere l’aula scolastica la sede “privilegiata” delle prepotenze (27,6%), seguita dal cortile (16,8%) e dai corridoi della scuola.
Puntuale e degna di profonda riflessione ci sembra, infine, la seguente frase desunta da uno dei “racconti” di un adolescente trentino:
”….quando le donne decidono di escludere qualcuno è peggio, perché non ti sfiorano fisicamente, ma non ti parlano e tu senti che parlano di te, ma loro fanno finta di niente, poi si inventano canzoni su di te
e barzellette. In conclusione penso che sia peggio il bullismo femminile di quello maschile anche perché in quello maschile può intervenire
qualcuno ma in quello femminile bisogna soffrire e accettarlo…”
(Tabella 16).
Nonostante la dimostrata rilevanza epidemiologica delle prepotenze
agite e subite nelle scuole italiane non esiste, al momento attuale, nel
nostro Paese alcun programma ufficiale, coordinato e strutturato di
intervento per contenere e contrastare il bullismo. In altre parole(15) in
Italia si fa ancora fatica a riconoscere il problema nella propria intrinseca realtà, o meglio lo si conosce ma non lo si riconosce e a volte ci
si interroga ancora su quale sia “il livello di aggressività che occorre
raggiungere prima di prendere misure adeguate” (33). All’opposto, è fin
troppo ovvio che bisogna saper agire con tempestività ed efficacia
perché gli adulti vedano, le vittime parlino, i compagni soccorrano evitando o limitando, così, sia i danni immediati del bullismo che la radicalizzazione di ruoli ormai consolidati.
Ovviamente non può essere questa la sede per una disamina dettagliata delle strategie teoriche e operative finora adottate per contenere il fenomeno del bullismo. È giusto rimarcare, comunque, che le
esperienze italiane anche se, finora, di carattere prevalentemente spe-
assestamento dei rapporti interpersonali, laddove le vittime diventano
più consapevoli e meno tolleranti e i bulli realizzano altre modalità di
relazione sociale. A ciò si deve aggiungere l’abbandono scolastico sia
da parte dei bulli con più scarsi risultati nello studio, che da parte di
non poche vittime più pesantemente prese di mira.
I luoghi dove vengono realizzate le prepotenze confermano, anche per
le superiori di Ferrara, il primato della classe (54,8%), seguita dai corridoi (42,3%) e dai bagni (30,7%). Il 39,1% dei ragazzi ha, comunque,
dichiarato che gli adulti (professori e personale non docente) non sono
presenti nel momento in cui avvengono le prepotenze. Quando sono
presenti, tuttavia, il più delle volte fanno finta di niente o non si accorgono di nulla, talvolta ridono del fatto assieme agli studenti e solo nel
22,1% dei casi intervengono in favore delle vittime.
Non molto dissimile e, sotto alcuni punti di vista più articolata, è la ricerca condotta nelle scuole superiori del Trentino (32): più del 50% degli
intervistati ha dichiarato di essere stato vittima di episodi di bullismo e,
anche in questo caso, i valori più elevati si riscontrano nella fascia dei
più giovani, di cui 1/3 (33%) sono vittime ricorrenti: circa il 24% ha
dichiarato di essere stato vittima di un qualche episodio di prepotenza
nei sei giorni precedenti l’intervista: di questi l’11,6% ha dichiarato di
aver subito tali episodi qualche volta e l’1,7% tutti i giorni (Tabella 15).
Dai risultati dell’indagine condotta nel Trentino viene confermato che
anche nelle scuole superiori di quella regione le prepotenze di natura
verbale sono nettamente più frequenti di quelle di tipo fisico: il 41,9%
dei ragazzi lamenta di essere stato preso in giro; il 30,1% è stato offeso; il 23,4% è stato oggetto di calunnie; il 3,4% si sente socialmente
escluso e il 10,8% ha subito minacce. La maggioranza dei ragazzi ha
21
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
alunni o studenti più problematici. Più recentemente si è sperimentato
con successo il coinvolgimento attivo dei ragazzi stessi nella risoluzione del problema, attraverso il supporto di coetanei appositamente
selezionati e istruiti in speciali programmi di peer-education e di peercounselling (14, 37).
Sarebbe giunto, a questo punto, il momento di trarre delle considerazioni conclusive, ma l’argomento che abbiamo trattato è così vasto,
complesso e in piena evoluzione conoscitiva e operativa da consentirci, tuttalpiù, qualche momento di semplice riflessione. Anzitutto, possiamo accettare la conclusione che i bambini italiani siano peggiori di
quelli di tutti gli altri Paesi, come dire che i nostri figli sono i più cattivi
del mondo? Come è ovvio non si può che rigettare una simile ipotesi
non solo per la fisiologica indulgenza verso le proprie (innegabili) mancanze, ma in base al semplice buon senso e alla comune esperienza.
Basti ricordare che in molte scuole medie e secondarie d’oltre oceano
gli studenti vengono regolarmente perquisiti all’ingresso e sono obbligati a passare attraverso metal-detector per depositare non solo eventuali armi improprie ma (fin troppo frequentemente) pericolosissime
armi da fuoco. Ciò nonostante vengono registrati episodi sanguinosi e
vere e proprie stragi, che non hanno risparmiato neanche la “vecchia”
Europa: a Erfurt, in Germania, uno studente ha recentemente ucciso
quattordici insegnanti, due studentesse e un poliziotto prima di togliersi la vita! Certamente, tuttavia, la dimostrata maggiore prevalenza statistica delle prepotenze tra gli scolari italiani merita di essere interpretata criticamente. Anzitutto la forma più frequente di bullismo riscontrata in Italia è quella di tipo verbale (che da sola rappresenta circa il
50% di tutte le violenze): ma proprio tale tipo di prepotenza, il più delle
volte, non viene considerata come particolarmente grave dagli stessi
ragazzi che, quasi sempre, la identificano con lo scherzo (o con quella forma di umorismo tipicamente nostrano che è lo sfottò). Tutto ciò
comporta inevitabilmente sia una maggiore tolleranza che un tendenza all’offesa, ma anche una più facile e spontanea ammissione del
fatto sia da parte di chi subisce che di chi agisce.
Se con queste considerazioni possiamo, in parte, ridimensionare la
drammaticità del bullismo in Italia, esso rimane comunque un fenomeno diffuso e preoccupante che non giustifica alcuna distrazione da
parte nostra o abbassamento della guardia.
Se è vero che l’Adolescentologia è una scienza multidisciplinare, che
deve coinvolgere (in forma collaborativa e non competitiva) esperti delle
più diverse estrazioni e competenze, altrettanto multidisciplinari (nei
limiti del possibile) dovranno essere il nostro patrimonio culturale e le
abilità professionali. È questa, quindi, un’ulteriore occasione per i
Pediatri e gli Adolescentologi di riaffermare con energia la propria diretta responsabilità in ogni aspetto di promozione e tutela della salute
delle giovani generazioni approfondendo, anzitutto, le personali conoscenze sul grave e diffuso fenomeno del bullismo. Ma, altrettanto
importante, dovrà essere il passaggio dal momento conoscitivo/speculativo a quello operativo utilizzando tutte le necessarie collaborazioni
per un’efficace prevenzione in ambiente scolastico e familiare e per un
eventuale intervento diretto su vittime e prevaricatori, nella piena consapevolezza della frequente alternanza e sovrapposizione dei due ruoli
e del costante coinvolgimento di tutto il “sistema” ambientale e sociale.
Tabella 15. Bullismo nelle scuole superiori
(tipologie delle prepotenze subite – valori %)
(Fonte: Villa S. Ignazio, Indagine sul bullismo nelle scuole superiori
della Provincia di Trento, 2001).
Sono stato preso in giro
41,9
Ho subito delle offese
30,1
Sono state messe in giro storie sul mio conto
23,4
Ho subito dei colpi (spinte, pugni, ecc.)
16,9
Ho ricevuto minacce
10,8
Ho subito danni alle mie cose (oggetti, vestiti, ecc.)
7,2
Ho subito furti
6,5
Sono stato offeso per il colore della pelle o per l’origine
5,8
Non c’è nessuno che mi rivolga la parola
3,4
Tabella 16. Bullismo nelle scuole superiori
(luoghi in cui si verificano le prepotenze – valori %)
(Fonte: Villa S. Ignazio, Indagine sul bullismo nelle scuole superiori
della Provincia di Trento, 2001).
Aula
27,6
Cortile
16,8
Corridoi
14,4
In nessun luogo
12,9
Spogliatoi
7,0
Palestra
5,8
Mensa
4,5
Laboratori
4,5
Altri spazi del convitto
3,7
Bagni
2,8
Totale
100,0
rimentale e locale e nonostante le prevedibili difficoltà operative, sono
state di estremo interesse e rilevanza (14, 34-37). Premesso che contenere potrebbe apparire, a prima vista, più semplice che prevenire e
che, comunque, si dovrà sempre evitare di medicalizzare quelli che in
realtà sono prevalentemente problemi educativi, appare altrettanto evidente che qualsiasi intervento sul bullismo, dopo un indispensabile
preliminare momento conoscitivo, presuppone un approccio sistematico capace di affrontare il problema su più livelli: da quello istituzionale (che coinvolge l’intera struttura scolastica), a quello di singola classe fino a quello individuale (in cui vengono comprese le varie tipologie
di vittime, bulli e spettatori). Parallelamente si dovrà agire sulle famiglie
e, se necessario, coinvolgere anche la comunità locale: servizi sociali,
servizi di sostegno psicologico ed educativo sul territorio, comunità
giovanili, fino alle stesse agenzie di controllo (autorità giudiziaria e di
pubblica sicurezza). Un tale programma di prevenzione e contenzione
del bullismo si dovrà avvalere, ovviamente, anche di specialisti esterni
alla scuola chiamati a formare gli insegnanti, a promuovere le attività
didattico-educative, ad aiutare (e, se necessario, a curare) i singoli
22
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Il bullismo: giovani tra prevaricazioni e vittimizzazioni
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Dipartimento di Scienze Ginecologice, Perinatologia e Puericultura
Università “La Sapienza”, Roma
Via dei Sardi 58 - 00185 Roma
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23
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
L’assistenza sanitaria
territoriale ed i bilanci di salute
dell’adolescente
Giampaolo De Luca1, Pasquale Ruggiero2, Giuseppe Raiola3, Silvano Bertelloni4, Vincenzo De Sanctis5
1
Pediatra di Famiglia, Responsabile Regionale della Formazione e del settore Adolescenza per la Calabria della FIMP,
Direttore Scientifico della Associazione Formazione Sanitaria “Maria Berlingò”
2
Sociologo, Associazione Formazione Sanitaria “Maria Berlingò”
3
Ambulatorio di Auxoendocrinologia – Unità Operativa di Pediatria – Azienda Ospedaliera Pugliese Ciaccio - Catanzaro
4
Dipartimento di Medicina della Procreazione e dell’Età Evolutiva, Divisione di Pediatria, Università di Pisa
5
Unità Operativa di Pediatria ed Adolescentologia, Arcispedale S. Anna, Ferrara
Riassunto
Gli adolescenti necessitano di un’adeguata rete assistenziale a livello territoriale, che dovrebbe assicurare adeguati programmi di prevenzione e di educazione alla salute.
I pediatri di famiglia, capillarmente presenti sul territorio nazionale, potrebbero assolvere a queste funzioni in ambito individuale attraverso l’esecuzione di appropriate visite-filtro definibili con il termine di bilanci di salute. Tali visite-filtro, basate su metodologie operative adeguate, omogenee e standardizzate, potrebbero essere inoltre in grado di individuare precocemente i soggetti a rischio di emarginazione sociale e di disagio. I bilanci di salute potrebbero avere importanti ricadute sullo stato di salute della popolazione, prevenendo sia problematiche tipiche dell’età adolescenziale sia riducendo l’incidenza dei fattori di rischio
per le “killer diseases” nell’adulto.
Le normative vigenti non permettono tuttavia la piena presa in carico degli adolescenti da parte dei pediatri di famiglia, limitando le loro possibilità di intervento sul territorio.
Parole chiave: adolescenti, pediatra di famiglia, bilanci di salute negli adolescenti.
Territorial adolescent health and guidelines for adolescent preventive services
Summary
Given their specific training and experience, paediatricians should to be considered the most suitable professionals to provide primary care for adolescents and to guarantee adequate preventive service and counselling for them.
By carrying out appropriate “filter” visits aimed to evaluate the state of adolescent health, the primary care paediatricians, already
present throughout the entire Italy, could offer a unique opportunity in individual health counselling and comprehensive health
issues. To do this, appropriate methodologies and guidelines should be developed and validated, with the aim to identify also the
young people with a high risk of social alienation. Application of a similar programs may allow paediatricians to contribute to the
improvement of health status of adolescents, by reducing their “typical problems”, and that of the general population as well, by
decreasing the risk factors for the so-called “killer diseases”. News legislative regulations will allow such a standardised form of
care to adolescents across the Italian country.
Key words: adolescents, paediatric primary care, adolescents health, preventive services.
La medicina dell’Adolescenza si è affermata come sub-specialità
autonoma della pediatria, ed è rivolta agli aspetti preventivi, diagnostici e terapeutici specifici dell’età adolescenziale. Secondo la definizione dell’OMS, l’adolescenza è “il periodo della vita dell’individuo il
cui inizio coincide con la comparsa dei primissimi segni di maturazione puberale ed il cui termine sopravanza la conclusione della pubertà
stessa identificandosi con l’arresto dell’accrescimento somatico, vale
a dire con la conclusione di quella che viene comunemente definita
come età evolutiva”. Tale definizione, molto complessa, non indica
un’età ben circoscritta per cui, più semplicemente, si usa definire l’età
adolescenziale come quella età compresa tra i 10 ed i 18-20 anni.
Schematicamente si può dividere l’adolescenza in tre periodi: la prima
adolescenza che va dai 10 ai 12 anni; la media adolescenza che va
dai 12 ai 15 anni; la tarda adolescenza che arriva fino ai 18 anni e,
25
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
secondo alcuni, anche oltre (1-4). In questo ampio periodo, si passa
dalla prima apparizione dei caratteri sessuali secondari alla maturazione sessuale completa (adolescenza somatica o pubertà), dai processi psicologici e dai meccanismi di identificazione del bambino a
quelli tipici dell’adulto (adolescenza psicologica), da una condizione
di dipendenza socioeconomica allo stato di indipendenza (adolescenza socio-economica) (5, 6).
uno dei genitori (8). È chiaro che una siffatta normativa crea una notevole difformità di assistenza ai pazienti proprio in un periodo, quale è
quello adolescenziale, in cui sarebbe più opportuna una continuità
delle cure. Non esistono, inoltre, protocolli per il passaggio dell’adolescente dal pediatra al medico di medicina generale, venendo quindi a mancare un percorso assistenziale unitario che metta in evidenza i possibili problemi di salute del singolo soggetto.
Nonostante il quadro normativo sia penalizzante per i pediatri, sono
sempre più numerosi i bambini dai 7 ai 14 anni assistiti dai pediatri
(Figura 1), perché si ritiene che sia lo specialista più idoneo ad assistere l’età preadolescenziale ed adolescenziale (9-11).
Permangono, tuttavia, delle resistenze da parte dei medici di medicina generale tendenti a non dilatare l’età pediatrica oltre il 14° anno
di età (12); resistenze che non sono suffragate né da norme o principi, né da competenze assistenziali specifiche. Da un punto di vista
di principio, infatti, lo Stato Italiano ha recepito, con la legge n.176
del 27 maggio 1991 la “Convenzione dei diritti del fanciullo”, svoltasi a New York il 20 novembre 1989, in cui si affermava che “nell’infanzia è compresa ogni persona di età inferiore ai 18 anni”. Tale
legge, di fatto, assegna l’adolescente all’età pediatrica, anche se
l’ultimo accordo per la pediatria di famiglia (DPR 272/2000) riprende tale legge solo come dichiarazione a verbale n° 2: “Le parti
dichiarano che affronteranno, unitamente ai soggetti interessati, in
fase preliminare al rinnovo del presente accordo, le tematiche introdotte dalla legge 27 Maggio 1991, n° 176, che recepisce le indicazioni della Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo di New
York del 20 novembre 1989”.
Anche il Piano Sanitario Nazionale 2001-2003, che richiama il POMI
nel “garantire ad ogni bambino-adolescente il suo pediatra e la con-
L’adolescente e l’assistenza
sanitaria territoriale
Già il Piano Sanitario Nazionale 1998-2000 individuava al capitolo
“Fasi della vita e salute” la necessità di dedicare una specifica attenzione all’età evolutiva con l’obiettivo di prevenire i comportamenti a
rischio in età preadolescenziale ed adolescenziale e di monitorare lo
stato di salute dell’infanzia, della preadolescenza e dell’adolescenza
(7). Purtroppo, ad oggi, non esiste una figura professionale che si
occupi, in maniera istituzionalizzata e completa, dell’adolescente e
delle sue problematiche. Con il Progetto Obiettivo Materno Infantile
“POMI” del giugno 2000, e con alcune indicazioni, contenute nell’Accordo Collettivo Nazionale per la Pediatria di libera scelta (8), si è cercato di razionalizzare l’attività assistenziale agli adolescenti.
Purtroppo, tale accordo prevede l’esclusività della cura pediatrica
solo fino al 6° anno di vita; mentre dal 7° al 14° anno, i soggetti possono essere assistiti, anche, dai medici di medicina generale, che
sono incentivati economicamente all’assistenza di tale fascia d’età
(8). Dai 14 ai 16 anni, il pediatra può mantenere l’assistenza dell’adolescente, solo se lo ha già in carico, dietro richiesta scritta da parte di
Pediatra
90
Medico
80
70
60
50
40
30
20
10
0
1987
1989
1991
1993
Anni solari
26
1995
1997
1999
Figura 1.
Dati relativi
all’assistenza sanitaria
della popolazione
pediatrica
da 0–14 anni della
Regione Toscana,
(anni 1987–2000)
(da PL Tucci, mod.).
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
L’assistenza sanitaria territoriale ed i bilanci di salute dell’adolescente
strategie d’intervento omogenee sul territorio nazionale anche per
individuare i soggetti con disagio ed a rischio di marginalizzazione.
Per raggiungere questi obiettivi, vi è innanzitutto la necessità di
modificare gli “spazi” assistenziali, rendendoli più facilmente fruibili
all’adolescente. Ad esempio, il pediatra dovrebbe modificare il suo
ambulatorio. Nella sala d’attesa non dovrebbero mancare le riviste,
i libri ed un impianto di musica, particolarmente gradito in questa
fascia d’età. Inoltre, l’adolescente non deve sentirsi confuso con i
bambini in età prepubere o con i neonati ma deve essere visitato
con l’opportuna riservatezza che in genere si riserva agli adulti (4).
Il pediatra, quindi, dovrebbe avere un lettino più grande per eventuali visite ginecologiche ed un separè per consentire all’adolescente di spogliarsi in assoluta riservatezza, perché non bisogna dimenticare che l’adolescente è un soggetto sessuato in una fase di
profondo cambiamento somatico (4). Una particolare attenzione
dovrebbe essere riservata proprio all’esame dei genitali. È opportuno che tale esame si accompagni con delle spiegazioni di carattere
educativo-sanitario (insegnare l’esame obiettivo dei testicoli e l’autopalpazione dei seni). Spesso è presente negli adolescenti, soprattutto maschi, un senso ingiustificato di inadeguatezza, relativo allo
sviluppo delle caratteristiche sessuali secondarie (4). È necessario
stabilire un rapporto di empatia, in cui venga definito il ruolo del
medico quale figura disponibile ad ascoltarlo per aiutarlo a risolvere i suoi problemi (4). In alcune situazioni può essere opportuno che
la visita-colloquio si svolga senza la presenza dei genitori, con i
quali l’adolescente dialoga sempre meno, in un rapporto che assomiglia, sempre di più, ad un patto di non belligeranza (17).
tinuità terapeutica” e di “ estendere l’area pediatrica all’adolescenza …….”, nelle linee guida della tutela della salute, dell’infanzia ed
adolescenza dichiara di “prevenire i comportamenti a rischio in età
pre-adolescenziale ed adolescenziale ….e monitorare lo stato di
salute dell’infanzia della preadolescenza e dell’adolescenza nella
dimensione fisica, psichica e sociale…”, lasciando intravedere la
necessità di una continuità delle cure, dal bambino all’adolescente.
A livello formativo, l’Adolescentologia è stata inserita tra le aree di
addestramento professionale della Scuola di Specializzazione in
Pediatria a norma del Decreto Ministeriale dell’11 Maggio 1995
(G.U. 167 del 19 luglio 1995). Con questo inserimento si dovrebbero notevolmente migliorare le competenze dei pediatri nei confronti
degli adolescenti. Sarebbe, comunque, auspicabile che anche i
medici di medicina generale, visto che rivendicano l’assistenza ai
soggetti di età compresa tra i 7 ed i 14 anni, acquisiscano competenze specifiche su questa fascia d’età. Attualmente non si intravede una soluzione rapida a questi contrasti, anche se in Europa sono
molti gli Stati che riconoscono al Pediatra l’assistenza dei soggetti
fino al 18° anno di età (9). Sembrerebbe però opportuno che, con le
attuali confuse normative in vigore nel nostro Paese, sia il medico di
medicina generale che si vuole occupare di adolescenti, sia il pediatra di famiglia, dedichino un tempo adeguato della loro formazione
alle tematiche adolescentologiche al fine un miglioramento della
qualità dell’assistenza verso questi particolari soggetti. Nel campo
dalla formazione professionale un ruolo fondamentale può essere
svolto dalla FIMP e dalla FIMMG e dalle altre sigle sindacali, con
programmi sviluppati in accordo con la SIP e soprattutto con la
Società Italiana di Medicina dell’Adolescenza (SIMA) che sta sempre più radicandosi nell’ambito della pediatria di famiglia (4).
Si potrebbe così auspicare una presa in carico degli adolescenti,
giunti a 14-18 anni di età, da parte di un medico di medicina generale motivato e formato, in accordo ed in continuità con il pediatra.
Tale obiettivo determinerebbe quella continuità delle cure a cui sembrerebbe tendere ogni sforzo legislativo in materia (4).
Tabella 1. Principali motivi che portano l’adolescente a
consultare un medico.
Per problemi acuti (organici e/o psichici)
Per problemi cronici (organici e/o psichici)
Per controllo (valutazione di normalità)
Le problematiche assistenziali
degli adolescenti ed i bilanci di
salute
Tabella 2. I bilanci di salute (B.S.) previsti
dagli accordi collettivi nelle diverse Regioni Italiane.
I motivi che portano l’adolescente a consultare un sanitario sono elencati in Tabella 1. L’adolescente ha bisogno di sentirsi uguale agli altri
soprattutto per quanto attiene alla sfera sessuale e comportamentale
(4). Questo desiderio di normalità rappresenta una tappa fondamentale per la successiva strutturazione della sua personalità (4).
Un attento programma preventivo teso ad individuare precocemente tali problematiche, deve necessariamente tenere in dovuto conto
i profondi cambiamenti fisici, psichici e sociali che rendono l’adolescente, di per sé, un soggetto “a rischio”, più recettivo a cattive abitudini trasferitegli dalla società del consumo, dell’edonismo, dell’indifferenza. A ciò si aggiunge l’incertezza politica ed ambientale che
caratterizza l’epoca attuale. Si renderebbero, pertanto, necessarie
27
Regione
8-10 anni
10-12 anni
12-14 anni
Calabria
–
–
B.S.
Basilicata
–
–
B.S.
Campania
B.S.
–
B.S.
Abruzzo
–
B.S.
--
Molise
–
B.S.
--
Lazio
B.S.
–
B.S.
Toscana
B.S.
–
--
Liguria
B.S.
–
B.S.
Veneto
–
B.S.
B.S.
Piemonte
–
–
B.S.
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Un peculiare controllo clinico, che viene effettuato nell’ambito del
Progetto Obiettivo Materno Infantile (POMI), da parte dei pediatri,
viene definito Bilancio di Salute. Si tratta di una serie di interventi
medici personalizzati, secondo un programma di visite periodiche
finalizzate che tengono conto, in maniera preminente, dei problemi
propri o prevalenti dell’età in cui sono effettuati (3, 13-15). Tali “visite-filtro” sono previste dagli accordi stipulati nelle diverse Regioni,
dai pediatri di famiglia, e sono utili ad evidenziare i principali problemi di salute nelle varie fasi dell’età evolutiva (Tabella 2). La loro
esecuzione nell’età prestabilite si basa sull’evidenza che esiste
un’età ottimale per evidenziare precocemente alcune patologie o
problematiche allo scopo di attuare un tempestivo e, se possibile
risolutivo intervento terapeutico (14, 15).
Anche per l’adolescente, il mantenimento dello stato di salute si
basa sulla precoce identificazione e sul controllo dei fattori di rischio
e dei comportamenti individuali che favoriscono l’insorgenza di
patologie. In effetti le principali manifestazioni cliniche dell’adolescente sono la conseguenza di problematiche tipiche di questa
fascia d’età (Tabella 3) (16).
I bilanci di salute nell’adolescente dovrebbero, quindi, essere effettuati con cadenza periodica, possibilmente ogni anno, in considerazione dei rapidi cambiamenti, peculiari di questa età (3, 10, 11, 18)
o almeno uno, per ognuna delle tre fasi in cui viene divisa l’età adolescenziale (4, 16). Purtroppo nella gran parte degli accordi
Regionali, dove sono previsti, vi è in genere solo un bilancio di salute per l’età adolescenziale (Tabella 4) (19).
Il bilancio di salute dovrebbe avere una durata non superiore ai 30
minuti in quanto gli adolescenti mal sopportano incontri eccessivamente lunghi (3, 11, 20), e dovrebbero prevedere un piano base e
dei successivi livelli definiti di implementazione, come previsto per i
primi 6 anni di età (8). Nel piano base si dovrebbe effettuare una
valutazione medica completa, compresa quella dello sviluppo
puberale ed una valutazione psico-socio-comportamentale tesa ad
individuare comportamenti a rischio (3, 11, 15) (Tabelle 4 e 5). In
particolare andrebbe esaminato il rischio di disagio e di marginalizzazione, valutando l’inserimento dell’adolescente nel gruppo degli
amici, il suo comportamento e il rendimento scolastico, i rapporti
con la famiglia, l’eventuale pratica sportiva, i rapporti con il cibo, l’eventuale uso di alcol, fumo o droghe, siano esse leggere o pesanti.
Inoltre, si dovrebbero individuare, precocemente, stati depressivi,
crisi di angoscia, bruschi cambiamenti di umore ed alterati rapporti
con la famiglia, la scuola, gli amici. Sono da ricercare fattori di
rischio per tendenze al suicidio, che rappresenta la terza causa di
morte in questa fascia d’età.
I bilanci di salute dovrebbero anche essere l’occasione per una
valutazione della vita sentimentale e sessuale del soggetto in
maniera tale da fornire informazioni adeguate, senza pregiudizi, atte
a prevenire comportamenti che possono favorire gravidanze precoci ed indesiderate o malattie sessualmente trasmesse (3, 21, 22).
A questa attività di base si possono associare successivi livelli che
prevedono il raggiungimento di obiettivi specifici. Nel primo livello di
implementazione si può prevedere l’intervento del solo pediatra che
Tabella 3. Principali problematiche degli adolescenti
(da: ref. 16, mod.).
Problematiche Adolescenziali
Manifestazioni Prodotte
Incidenti
1° causa di morte
in soggetti tra 11-24 anni
Suicidi
3° causa di morte tra 14 -24 anni
Abuso sostanze tossiche
Incremento del consumo
di fumo di sigaretta
alcol e droghe.
Attività sessuale
Malattie sessualmente trasmesse,
gravidanze indesiderate, IVG.
Disturbi nutrizione
Alterate abitudini alimentari,
anoressia, bulimia, obesità.
Effetti mass-media
Incremento dei comportamenti
violenti, abuso di sostanze,
sessualità vissuta in maniera
inadeguata e distorta.
Disagio e marginalizzazione
Scarso rendimento scolastico,
inadeguato rapporto con gli altri,
pochi amici, tendenza
alla depressione.
Tabella 4. Valutazione medica nei bilanci di salute
dell’adolescente (da: ref. 3, mod.).
10-12 anni
12-15 anni
16-20 anni
I Livello
Anamnesi
*
*
*
Esame obiettivo generale
*
*
*
Altezza/peso
*
*
*
Pressione arteriosa
*
*
*
Sviluppo puberale
*
*
*
Stato nutrizionale
*
*
*
Sviluppo psicologico
*
*
*
Copertura vaccinale
*
*
*
II Livello
Valutazione scoliosi
**
**
**
Test uditivi
**
**
**
Test visivi
**
**
**
Valutazione dermatologica
**
**
**
Valutazione ginecologica
**
**
**
Test per malattie
sessualmente trasmesse
***
***
***
Esami di laboratorio
(test tubercolinico
colesterolemia,
esami strumentali)
***
***
***
*Valutazione clinica da parte del pediatra; **Valutazione clinica del pediatra
con l’eventuale supporto specialistico; ***Da effettuare, negli adolescenti a
rischio sulla base di rilievi anamnestici, clinici o di pregressi esami di laboratorio o strumentali.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
L’assistenza sanitaria territoriale ed i bilanci di salute dell’adolescente
che rimane una valutazione soggettiva e l’ISEE, parametro assolutamente oggettivo, potrebbe consentire di censire lo stato socio-sanitario di una popolazione di adolescenti attraverso un metodo di lavoro “socio-metrico” scientificamente ripetibile. Dati preliminari, suggeriscono l’esistenza di una certa correlazione tra i parametri forniti
dall’ISEE ed i risultati ottenuti con bilanci di salute, opportunamente
eseguiti, nel rilevare i soggetti a rischio di disagio soprattutto nei
grossi centri cittadini (G. De Luca et al., in fase di realizzazione),
mentre tale correlazione risulta meno evidente nei centri con meno di
15 mila abitanti (G. De Luca et al., in fase di realizzazione).
Tabella 5. Valutazione psico-socio-comportamentale nei bilanci di salute
dell’adolescente = HEADSS (da Saggese G, Bertelloni S; ref.3.)
H. (home)
Relazioni familiari, atteggiamento nei confronti del cibo, immagine
corporea
E. (education)
Rendimento scolastico, aspirazioni future
A. (activities)
Amicizie, tipo di sport, guida (uso del casco), ricerca dei comportamenti a rischio
D. (drugs)
Uso di tabacco, alcool, marijuana, altre droghe
S. (suicide)
Atteggiamenti o tendenze psicologiche indicative di propositi suicidi
Conclusioni
S. (sex)
Attività sessuale e conoscenza dei rischi correlati (gravidanza, malattie a trasmissione sessuale, contraccezione)
In applicazioni delle norme vigenti, l’assistenza territoriale dell’adolescente dovrebbe essere totalmente affidata al pediatra di famiglia
per meglio supportare le problematiche fisiche, psichiche e comportamentali, presenti in questa delicata e fondamentale tappa della
vita di ogni individuo. Ciò consentirebbe una capillare e coordinata
esecuzione di bilanci di salute a tutti gli adolescenti. È necessario un
percorso formativo sulle metodologie applicative dei bilanci di salute, che devono prevedere dei livelli attuativi diversi a seconda degli
obiettivi preposti. Il piano base ed i primi livelli di implementazione
possono essere affidati esclusivamente al pediatra, mentre i livelli
successivi d’implementazione dovrebbero prevedere la partecipazione anche di altre e qualificate figure professionali. Con l’utilizzo di
linee guida “ad hoc” e, prestabilendo in maniera appropriata gli
obiettivi da raggiungere, si potrebbe migliorare, in alcuni casi, lo
stato di salute della popolazione in generale, con una notevole riduzione dei costi sociali, dovuti al trattamento di patologie o condizioni in larga parte prevenibili. Il costo di un servizio di prevenzione,
basato sui bilanci di salute, è,infatti, notevolmente più basso rispetto alla cura delle affezioni tipiche dell’adolescente (3, 9, 23). Un tale
programma di prevenzione, fornendo delle adeguate informazioni
agli adolescenti, miranti a modificare le loro abitudini alimentari ed il
loro stile di vita potrebbe, inoltre, contribuire a prevenire le cosiddette “killer diseases”, cioè le malattie cardiovascolari, l’ipertensione, l’obesità, il tumore al polmone, consentendo, in prospettiva,
anche un risparmio della spesa sanitaria totale (3, 15, 24). L’aspetto
più importante rimane comunque il fatto che attraverso i bilanci di
salute si potrebbero raggiungere precocemente soggetti “difficili”
ad alto rischio di marginalità sociale. I bilanci di salute all’adolescente potrebbero, infine, contribuire allo studio, anche dal punto di
vista epidemiologico, di alcuni aspetti socio-sanitari di particolare
rilevanza, capaci di orientare strategie politiche d’intervento che
mirino a ridurre e/o prevenire particolari forme di disagio sociale.
opera attraverso diversi moduli attuativi. Un primo modulo può
essere quello dell’Educazione Sanitaria che può avere tra gli obiettivi, a seconda dell’età, la prevenzione degli incidenti, ad esempio
promuovere l’uso del casco in moto e delle cinture di sicurezza in
auto, l’educazione sessuale e la contraccezione, oppure le problematiche legate al fumo, all’uso di alcol e droghe.
Un secondo modulo può riguardare la profilassi delle malattie infettive con due obiettivi principali, cioè mantenere e/o incrementare i
livelli di copertura vaccinale e garantire la copertura vaccinale antinfluenzale ai soggetti a rischio. Possono poi essere ipotizzati ed
attuati altri moduli e per tutti si deve prevedere un’azione esecutiva
che permetta il raggiungimento degli obiettivi prefissati attraverso
delle apposite linee guida. Il Secondo livello di implementazione
dovrebbe prevedere un lavoro in comune tra pediatra ed altre figure professionali come ginecologo, dermatologo, infettivologo, ortopedico, oculista, per affrontare le problematiche più propriamente
mediche, tipiche dell’età adolescenziale (4, 16, 21). Per quanto
riguarda il rilievo precoce dei comportamenti a rischio, del disagio
sociale e della marginalizzazione dell’adolescente è prospettabile la
messa a punto di moduli di lavoro in comune con il neuropsichiatria
infantile, lo psicologo, il sociologo, l’assistente sociale, le insegnanti scolastiche. Insieme a queste figure professionali dovrebbero
essere stabilite, anche delle linee guida per un corretto utilizzo del
televisore o di internet, o programmi di educazione alla salute, come
quelli relativi all’uso di alcol e droghe. Alcuni studi stanno cercando
di realizzare degli strumenti di lavoro pratici per una precoce individuazione del disagio in età adolescenziale da correlare alle valutazioni psico-socio-comportamentali ottenute con i bilanci di salute
(G. De Luca et al., in corso di realizzazione). A questo proposito, un
strumento socioeconomico come L’ISEE (Indicatore della Situazione
Economica Equivalente), utilizzato dallo Stato e da numerosi Enti
Locali per individuare soggetti effettivamente portatori di bisogni,
permette di conoscere l’immediata combinazione della situazione
economica, patrimoniale e finanziaria, della famiglia del soggetto
interessato. La combinazione dei due strumenti, il bilancio di salute,
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Pratica Pediatrica ambulatoriale. Ed. Italiana.
Milano: Mediserve 1997:44-55.
Corrispondenza:
Dott. Giampaolo De Luca
Via Tevere 9/b - 87032 Amantea (CS)
I nostri obiettivi
Chi siamo
Un’Associazione di volontariato, senza scopi di lucro con l’intento
di sostenere il progetto di uno “Studio Italiano Sindrome di
Klinefelter”, nata dalla volontà di un gruppo di portatori della sindrome stessa che sulla base della loro esperienza personale, si
sono resi conto dell’informazione insufficiente e, a volte, inesatta
che si riscontra purtroppo fra buona parte degli operatori sanitari,
che mostrano un approccio sbagliato alla sindrome di Klinefelter
(SK) e di conseguenza anche ad un atteggiamento “non adeguato” per i loro pazienti. Tale situazione contribuisce ad aumentarne
i problemi di natura psicologica (al momento della diagnosi può
venir detto loro che sono destinati ad una morte prematura, che
possono avere problemi di orientamento sessuale, ecc). Sarebbe
invece indispensabile fornire tutto il supporto necessario a migliorare la loro qualità di vita. Vogliamo evitare che nuovi individui portatori della SK, debbano subire lo stesso calvario. L’Associazione
ha un Comitato Scientifico di Ricerca, per realizzare una casistica
odierna ed uno studio aggiornato sulla SK, ritenuta erroneamente una sindrome rara.In realtà la sua incidenza è tale da interessare un individuo maschio su 500 nuovi nati (secondo recenti
studi condotti in Danimarca, la frequenza potrebbe essere di
1:400) e se diagnosticata precocementepossono essere prevenute o più adeguatamente trattate le complicanze a carico di
diversi organi ed apparati (disturbi del linguaggio e della socializzazione, deficit di androgenizzazione, osteoporosi, cancro alla
mammella, disfunzione tiroidea, , diabete, sterilità, ecc….).
INFORMAZIONE CAPILLARE su tutto il territorio nazionale, rivolta agli operatori delle strutture sanitarie oltre che ad insegnanti ed educatori in genere (in un bambino la SK si manifesta di solito con problemi di natura “comportamentale”)
SENSIBILIZZARE cittadini, Enti Pubblici e Privati, Autorità, Medici ecc… sui problemi dei soggetti affetti da SK, promuovendo interventi per il potenziamento della ricerca scientifica e genetica ed
incentivando altresì l’elaborazione di terapie per la gestione e cura della sindrome stessa o delle sue
complicanze.
PROMUOVERE interventi legislativi a favore dei soggetti affetti da SK e servizi pubblici atti ad
assicurare maggiore attenzione assistenziale ai portatori della sindrome ed alle loro famiglie (esenzione totale del ticket, somministrazione gratuita di testosterone similmente a quanto accade per
altre patologie in cui sono presenti deficit ormonali, istituzione di un’anagrafe genetica utile anche
per altre patologie sostenute da anomalie cromosomiche, ecc…)
FORNIRE alla Ricerca il supporto necessario alla realizzazione di un iter diagnostico e terapeutico tale da inserire la SK fra le patologie più frequenti tra quelle a base genetica, dando la possibilità a coloro che ne sono affetti di poterci convivere evitando tutte le patologie che ne possono derivare; ciò è possibile soltanto con una diagnosi ed una terapia effettuate precocemente, fin dalla pubertà
EDUCARE alla giusta interpretazione della SK, che è a tutt’oggi considerata dai più una sindrome a decorso “deficitario”, soprattutto dal punto di vista intellettivo e delle capacità cognitive,
secondo uno stereotipo non sempre corrispondente alla realtà, soprattutto per il cariotipo 47,XXY.
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La Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza, organo ufficiale della Società Italiana di Medicina
dell'Adole-scenza, si propone di favorire la cultura e
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Articoli in supplementi al fascicolo
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1996; 23 (Suppl 2):89
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Articoli standard di riviste
Parkin MD, Clayton D, Black RJ, Masuyer E, Friedl
HP, Ivanov E., et al. Childhood leukaemia in Europe
after Chernobil: 5 year follow-up. Br J Cancer 1996;
73:1006
Libri
Ringsven MK, Bond D. Gerontology and leadership
skill for nurses. 2nd ed. Albany (NY): Delmar
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Capitolo di un libro
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In: Laragh JH, Brenner BM, editors. Hypertension:
pathophysiology, diagnosis, and management. 2nd
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Clinical exercise stress testing. Safety and performance guidelines. Med J Aust 1996; 164:282
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32
Caso Clinico
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Una giovane
adolescente con
amenorrea primaria
e dolori addominali
ricorrenti
Riassunto
La sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser
(MRKH) è una rara causa di amenorrea primaria caratterizzata da
malformazioni delle strutture mülleriane (utero, 2/3 posteriori della vagina) (100%), eventualmente associate ad anomalie del tratto urinario
(36%) e dello scheletro (colonna vertebrale) (10-20%). Meno frequentemente si possono presentare deficit staturale e sordità. Il cariotipo è
femminile normale (46, XX) e ciò permette la diagnosi differenziale con
alcune forme di pseudoermafroditismo maschile, come la sindrome di
Morris o il deficit di 17β-idrosteroidodeidrogenasi, in cui si ha fenotipo
femminile e assenza di derivati mülleriani ma cariotipo 46, XY.
Viene descritta una giovane adolescente (età 13, 6/12) con storia clinica di dolori addominali ricorrenti, agenesia renale monolaterale, normale sviluppo puberale e amenorrea primaria affetta da sindrome di
Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser. Vengono inoltre delineati i vari quadri
clinici con cui si può manifestare la sindrome e i possibili trattamenti.
Silvano Bertelloni1, Franca Fruzzetti2, Piernicola Garofalo3
2
1
Sezione di Adolescentologia, Divisione di Pediatria II
Divisione di Ostetricia e Ginecologia, Dipartimento di Medicina della Procreazione
e dell’Età Evolutiva, Università di Pisa, Ospedale Santa Chiara, Pisa
3
Divisione di Endocrinologia, Ospedale “V. Cervello”, Palermo
Presentazione del caso
Una giovane adolescente di 13 anni e 6/12 viene ricoverata per “amenorrea primaria in soggetto con dolori addominali ricorrenti”. Pz. è
nata da terza gravidanza, preceduta da due aborti e decorsa regolarmente; parto eutocico a 38 settimane; peso alla nascita g. 2950. Il
periodo perinatale e lo sviluppo psicomotorio vengono riferiti nella
norma. Anamnesi familiare e patologica remota senza note di rilievo.
All'età di 10.5 anni, la bambina ha iniziato a presentare dolori addominali ricorrenti per i quali il pediatra ha predisposto un ricovero presso una struttura ospedaliera durante il quale sono stati effettuati vari
esami risultati nella norma, ad eccezione di un'ecografia renale dalla
quale emergeva l’assenza del rene di sinistra con rene destro vicariante. La funzionalità renale risultava conservata e non vi erano segni
clinici o di laboratorio di infezioni delle vie urinarie. A quel momento,
la ragazza presentava una crescita nella norma per le potenzialità
genetiche [statura cm 134 (25-50° centile), statura bersaglio cm 155.0
(10-25° centile)], un sovrappeso (eccesso ponderale 15% rispetto al
peso ideale per la statura), ed una certa progressione dello sviluppo
puberale (stadio puberale B2/3; Ph2). Una radiografia del polso e
della mano sinistra dimostrava un'età ossea di 11.5 anni.
Circa tre anni dopo, perdurando il dolore addominale e non avendo
ancora avuto il menarca nonostante lo sviluppo somatico ormai
completato, la giovane giunge alla nostra osservazione.
All’ingresso, i genitori riferiscono che la ragazza non presenta abitudini dietetiche anomale, anche se saltuariamente adotta regimi nutrizionali leggermente restrittivi per non aumentare di peso; non beve alcolici e non fuma. I dolori addominali e si presentano ancora con una
certa ciclicità e recedono con l’assunzione di antidolorifici.
All’esame obiettivo, la giovane presenta uno sviluppo puberale
quasi completato, ma non ha avuto menarca; esiste una certa disarmonia tra sviluppo del seno e quello della peluria androgeno-dipendente (Tabella 1); la statura è adeguata a quella bersaglio e l’età
ossea avanzata di 1 anno rispetto a quella cronologica. Nonostante
un leggero deficit ponderale, il peso risulta nella norma per la statura (Tabella 1). Anche i comuni esami di laboratorio e la funzionalità
renale risultano nella norma. La valutazione endocrinologica mette
in evidenza livelli sierici di gonadotropine e di steroidi ovarici e sur-
Parole chiave: Sindrome di Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser, amenorrea primaria, agenesia utero-vaginale, agenesia renale.
Primary amenorrhea
and cyclic abdominal pain
in a young adolescent
Summary
Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser syndrome is a rare
disorder characterized by the congenital absence of müllerian structures (i.e. uterus and vagina) (100%). Renal and/or urinary tract abnormalities (30%) as well as spine defects (10-20%) may also be present.
Other abnormalities, as growth delay and deafness, may be associated with a lesser frequency. Karyotype is normal female (46, XX); this
finding permits to differentiate the syndrome from some forms of male
pseudohermaphroditism with complete female phenotype, as complete androgen insensitivity syndrome or 17β-hydroxysteroid deydrogenase deficiency, in which karyotype is 47, XY.
A young adolescent (13.5 years) with normal pubertal development but
primary amenorrhea, cyclic abdominal pain, and unilateral renal agenezia was reported, in whom the diagnosis of Mayer-Rokitansky-KusterHauser syndrome was made. The clinical spectrum of the syndrome is
detailed and the treatment and adult outcome are also outlined.
Key words: Mayer-Rokitansky-Kuster-Hauser syndrome, primary amenorrhea, uterus and vagina agenesia, renal agenesia.
renalici nella norma per l’età (Tabella 2).
L'ecografia addominale conferma l'agenesia renale sinistra (Figura
1a); viene inoltre eseguita un’ecografia pelvica che dimostra la presenza di un corpo uterino ipoplasico (Figura 1b). Alla visita ginecologica si riscontra l'assenza dell'orifizio vaginale, associato ad un orifizio
uretrale spostato in basso con ipertrofia delle piccole labbra, mentre il
clitoride e le grandi labbra risultano nella norma. Il cariotipo è 46, XX.
La laparoscopia conferma la presenza di un abbozzo di corpo uterino, l’assenza della cervice e della parte superiore della vagina.
33
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Figura 1a e 1b.
Ecotomografia
dell’addome
inferiore
dimostrante
l’agenesia
uterina e renale.
A
B
Diagnosi
Tabella 1. Valutazione auxologica.
Età cronologica, anni:
13, 6/12
Età ossea, aa*:
14, 6/12
Altezza, cm:
Sindrome di Mayer-Rokitansky-KusterHauser (MRKH) (OMIM 277000)
159.0 (50° centile)
Peso, kg:
49.3
Deficit ponderale, %:
–5.2
Stadio puberale (Tanner):
B5
Ph3
I2
Statura bersaglio, cm:
155.0 (+8.5)
Statura bersaglio, SDs:
–1.20
Statura prevista, cm**:
161.2
Statura prevista, SDs:
–0.20
Si tratta di una rara patologia congenita (incidenza 1 : 5.000 nati
femmine) (1), ma che rappresenta la seconda causa di amenorrea
primaria (2). La patogenesi della sindrome di MRKH è riconducibile
ad un’alterazione nello sviluppo embrioniario dei dotti paramesonefrici di Müller, che sono responsabili della formazione delle tube, dell'utero e dei 2/3 posteriori della vagina (2). Alcuni autori indicano la
sindrome con il termine di “aplasia mülleriana” (OMIM #158330),
ma questo termine andrebbe riservato ad una condizione in cui vi è
anche assenza o ipoplasia delle tube, probabilmente legata a mutazioni nel gene che codifica per il fattore di trascrizione epatica-2 (3).
La ricorrenza in più membri di una stessa famiglia ha suggerito una
possibile origine genetica anche per la sindrome di MRKH (3).
Tuttavia, ad oggi non è stato individuato alcun singolo gene responsabile di questa anomalia, nonostante i molti che sono stati esaminati (4, 5). Si ritiene pertanto più plausibile un’ereditarietà di tipo poligenico/multifattoriale con un basso rischio di ricorrenza (1-2%) (5).
Dal punto di vista clinico, la sindrome di MRKH si caratterizza per
l’assenza della vagina, che di solito è rappresentata da un breve
canale che termina a cul di sacco, di lunghezza intorno a 1-2 cm,
che deriva dall’invaginazione del seno urogenitale (2, 5). In alcune
pazienti la vagina può essere di maggiori dimensioni e permettere
rapporti sessuali soddisfacenti (5). Per definizione, si ha agenesia o
grave ipoplasia dell'utero (2). Possono comunque essere presenti
dei residui uterini con zone endometriali funzionanti, che determinano l’insorgenza di dolori addominali ciclici al momento dello sviluppo puberale (2, 6). La funzionalità ovarica, lo sviluppo dei caratteri
* valutata con il metodo di Greulych & Pyle;
**valutata con il metodo di Bayley e Pinneau.
Tabella 2. Valutazione endocrinologica.
Pz.
Valori normali*
LH, mU/ml
6.9
2-15 (FF)
FSH, mU/ml
8.7
2-12 (FF)
17-β-estradiolo, pg/ml
72.1
20-90 (FF)
Progesterone, ng/ml
5.8
0.1-3 (FF)
Cortisolo, ng/ml
220
60-300
17-idrossiprogesterone, ng/ml
0.7
0.1-0.8 (FF)
DHEAS, µg/dl
90.7
0.3-4
Testosterone, ng/ml
0.1
0.1-0.8
*Post-puberali (Laboratorio di Endocrinologia Ginecologica, Università di
Pisa); Pz. = paziente; FF = fase follicolare.
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Una giovane adolescente con amenorrea primaria e dolori addominali ricorrenti
sessuali secondari e l'accrescimento staturale sono usualmente
nella norma (2). La diagnosi viene usualmente posta al momento
della pubertà per l'assenza del menarca in un soggetto con normale sviluppo dei caratteri sessuali secondari. Il cariotipo è femminile
normale (46, XX) (2, 6). Sono state comunque descritte delle rare
pazienti con associata insufficienza ovarica, eventualmente associata a mosaicismo dei cromosomi sessuali (5).
Alcuni autori distinguono due forme cliniche distinte, una forma
classica di sindrome MRKH, in cui sono presenti solo le anomalie
uterine e vaginali, ed una forma più complessa o non classica nella
quale sono presenti anche altre anomalie, principalmente a carico
del rene (30%), della colonna vertebrale (10-15%) e dell’apparato
uditivo (10%) (7); per quest’ultima condizione è stato proposto il termine di sindrome GRES [genital (G), renal (R ), ear (E), skeletal (S)]
(7). Un’aplasia dei derivati mülleriani può inoltre essere presente in
alcune sindromi polimalformative (Tabella 3) (5), suggerendo la
necessità di un’accurata valutazione clinica e strumentale in tutte le
pazienti con anomalie di sviluppo dell’utero e della vagina.
Diagnosi differenziale
Le principali forme di amenorrea primaria dalle quali la sindrome di
MRKH deve essere differenziata sono rappresentate dalla sindrome
di Turner (disgenesia gonadica) e da alcune forme di pseudoermafroditismo maschile, come l’insensibilità completa agli androgeni (o
sindrome di Morris) e il deficit di 17β-idrossisteroido-deidrogenasi
(8, 9) (Tabella 4).
Tabella 3. Sindrome MRKH: forme cliniche.
Forma
Caratteristiche
Classica
Non classica o
complessa*
Tabella 4. Principali cause di amenorrea primaria.
Aplasia isolata di utero,
cervice e vagina
Aplasia dei derivati mülleriani
Anomalie renali**
Anomalie scheletriche
Sordità congenita
Disgenesia gonadica
Sindrome di Turner
disgenesia gonadica XX pura
Malformazioni
Sindrome di MRKH (aplasia mülleriana)
atresia vaginale-setto vaginale trasverso
imene imperforato
Pseudoermafroditismi maschili Resistenza completa agli androgeni
Deficit di 17β-idrossisteroido deidrogenasi
Associata a sindromi S. di Wolf-Hirschhorn (o delezione 4p)
malformative
S. di Goldenar (o facio-auricolo-vertebrale)
S. di Al-Awadi (o ipoplasia gambe-pelvi-utero)
S. di Roberts
Associazione MURCS***
Embriopatia da talidomide
Ritardo semplice del menarca
*sindrome GRES; **l’associazione tra agenesia uterina e difetti di sviluppo
renale è a volte indicata con il termine “adisplasia urogenitale”;
***MU: aplasia mülleriania; R: aplasia renale; CS: displasia dei somiti cervico-toracici.
Iperandrogenismo- Sindrome dell’ovaio policistico
Insufficienza gonadotropinica
Anoressia mentale
Iperprolattinemia - Adenomi ipofisari
o masse della regione ipotalamica
Ipotiroidismo dell’adolescente
Malattie croniche non endocrine
Tabella 5. Sindrome di MRKH: diagnosi differenziale.
Criterio clinico
Sindrome
di MRKH
Sindrome
di Turner
Sindrome
di Morris
Deficit di 17β-idrossisteroidodeidrogenasi
Sviluppo mammario
normale
assente o ridotto
normale
assente o ridotto
Peluria ascellare e/o pubica:
presente
presente
assente o scarsa
irsutismo marcato
Vagina
assente o corta
normale
normale o corta
normale o corta
Clitoride
normale
normale
normale o ipoplasico
normale o ipertrofico
Ernia inguinale mono/bilaterale
assente
assente
spesso presente (40-50%)
presente (~100%)
Livelli di testosterone
femminili normali
femminile normali/ridotti
maschili normali/elevati
maschili normali
Livelli di estrogeni
femminili normali
ridotti o indosabili
maschili aumentati
maschili normali
Livelli di LH
normali
elevati
normali o aumentati
normali o aumentati
Livelli di FSH
normali
elevati
normali o aumentati
normali o aumentati
Cariotipo
46, XX
45, X/vari mosaici
46, XY
46, XY
–
–
mutazioni gene AR
mutazioni gene 17βHSD3
Anomalia genetica
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Nella sindrome di Turner la diagnosi viene di solito posta in età prepuberale per la presenza di bassa statura associata a segni dismorfici, come pterigium colli, cubito valgo, basso impianto delle orecchie, epicanto, ptosi palpebrale, torace largo, nei multipli, brachimetacarpia (8); nelle pazienti con diagnosi tardiva, l’assenza o l’arresto dello sviluppo dei caratteri sessuali secondari associati ad elevati livelli di gonadotropine permettono di sospettare la sindrome
che sarà confermata dall’esecuzione del cariotipo (cariotipo 45, X o
vari mosaicismi); all’ecografia l’utero, benché infantile, è normalmente presente (8).
Le pazienti con sindrome di Morris (Tabella 5) giungono frequentemente all’osservazione per amenorrea primaria, ma dal punto di vita
clinico presentano una peluria androgeno dipendente del tutto
assente o molto scarsa con normale sviluppo del seno; possono
inoltre presentare ernia inguinale mono o bilaterale, che a volte consente la diagnosi già in epoca prepuberale (9). Dal punto di vista di
laboratorio, all’agenesia uterina e vaginale si associano livelli di
testosterone nel range di normalità per un soggetto di sesso
maschile. Il deficit di 17β-idrossisteroido-deidrogenasi presenta
molti caratteri in comune con la sindrome di Morris (Tabella 5), ma
dal punto di vista clinico si differenzia per la notevole virilizzazione
del fenotipo, con marcato sviluppo della peluria androgeno-dipendente e clitoridomegalia, ma assenza completa o parziale di sviluppo del seno. In quasi il 100% dei soggetti è presente un’ernia inguinale contenente i testicoli (10). In ambedue queste ultime condizioni il cariotipo è 46, XY e la diagnosi può essere confermata da indagini di biologia molecolare che permettono di mettere in evidenza
specifici difetti genetici (Tabella 5).
Tabella 6. Sindrome di MRKH: successo delle tecniche
di ricostruzione della vagina (11).
Metodo
n
Successo funzionale, %
Dilatatori
334
86
Neovagina cutanea
1311
92
Vaginoplastica intestinale
152
93
Vaginoplastica peritoneale
268
77
Intervento di Vecchetti
(convenzionale)
548
100
Intervento di Vecchetti
(laparoscopico)
65
95
È inoltre possibile una gravidanza surrogata con l’utilizzo di tecniche di fertilizzazione in vitro e donatrici di utero (2, 11).
Bibliografia
Evoluzione in età adulta
e terapia
La sindrome di MRKH non compromette né il potenziale di vita né la
funzione gonadica delle pazienti, ma naturalmente ha un importante impatto sul benessere psico-sociale della donna, poiché alla sindrome conseguono infertilità per cause anatomiche e, in molte
pazienti, impossibilità parziale o totale ad avere rapporti sessuali
completi soddisfacenti (2, 6, 11). Vi è quindi la necessità di un follow-up prolungato di queste pazienti da parte di un team che comprenda almeno ginecologo, neuropsichiatra e psicologo, anche per
gli importanti risvolti psicologici nelle pazienti (2, 11) (The missing
vagina monologue: ”il mio problema non è capire come o perché si
è realizzata la malattia, ma come poter convivere normalmente con
essa”). A questo riguardo, può essere di particolare rilevanza l’apporto dato da gruppi di supporto e associazioni di pazienti (per
esempio www.mrkh.org).
Dal punto di vista pratico è possibile effettuare interventi di chirurgia plastica, anche in laparoscopia o mediante l’applicazione
di intrusi, che portano alla formazione di un canale vaginale in
grado di permettere alla maggioranza di queste donne una normale vita sessuale (Tabella 6) (11).
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Corrispondenza:
Dr. Silvano Bertelloni
Sezione di Adolescentologia, Divisione di Pediatria II
Università di Pisa, Via Roma, 67 - 56125 Pisa
e-mail: [email protected]
36
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Sportello
andrologico
permanente
Mattia Maria Sturniolo 1, Maria Carlucci 2, Carmine Curcio 2,
Alessandro Papini 3, Mirella Cruscomagno 4,
Loredana Vulcano 1, Francesco Salvestrini 2
1
U.O. Educazione Sanitaria A.S. 2 – Castrovillari (Cosenza)
Dipartimento di Chirurgia Generale e Specialistica
Sezione di Urologia, Università degli Studi di Siena
3
U.O.di Urologia - Arezzo
4
Insegnante referente alla salute – Istituto Alberghiero di Stato – Castrovillari (Cosenza)
2
L
a decisione di sviluppare un progetto di prevenzione andrologica a
livello della scuola media superiore è nata dalla constatazione che
durante questa età si possono sviluppare alcune patologie che possono avere importanti ripercussioni sulla fertilità e sul comportamento sessuale in età adulta.
La scuola rappresenta l’ambiente ideale per sviluppare progetti di
educazione alla salute in quanto in essa è possibile creare spazi protetti di “ascolto” atti a favorire un contatto tra adolescenti e medici.
L’Istituto Alberghiero (IPSSAR) di Castrovillari, raccogliendo la
richiesta di un progetto preventivo in campo andrologico (Tabella 1),
si è reso disponibile come “scuola pilota” a collaborare con l’U.O. di
Educazione alla Salute, dimostrando grande sensibilità alle problematiche della salute fisica e mentale maschile.
Durante l’anno scolastico 2002/03 è stato istituito all’interno
dell’Istituto Alberghiero uno “Sportello Andrologico permanente”
settimanale mirato a fornire agli studenti, che ne facevano richiesta,
informazioni atte a promuovere la tutela della salute riproduttiva e
sessuale maschile.
Tabella 1. Obiettivi del progetto
1. Fornire un’adeguata e completa informazione
sulle probematiche della salute maschile.
(Tale azione preventiva risulta importante e necessaria
per contrastare informazioni distorte, reticenze
e pregiudizi sulla salute sessuale e riproduttiva).
2. Offrire durante la vita scolastica l’opportunità di incontri
individuali e/o di gruppo con un medico competente su
problemi andrologici e di educazione alla salute.
(Porgere informazioni corrette; approfondire, accogliere
e sostenere i ragazzi durante lo sviluppo sessuale
e riproduttivo).
3. Aiutare a superare il comune pudore della visita medica
alla quale purtroppo molti giovani e adulti sfuggono.
Come il progetto
è stato strutturato
È stato adottato il metodo dell’educazione tra pari, attivato in molti
programmi di prevenzione, nel quale è determinante l’abbandono di
comportamenti dannosi e l’adozione di atteggiamenti a tutela della
salute. Durante gli incontri particolare attenzione è stata rivolta al
processo comunicativo ed agli aspetti fisiologici.
Il medico è stato accompagnato nelle classi dall’insegnante referente alla salute, figura a cui gli studenti si affidano ed espongono
le loro problematiche fin dal primo anno di Istituto.
Allo scopo di sensibilizzare gli studenti al progetto, il percorso formativo è stato presentato da un medico agli studenti delle classi
quarte e quinte. L’operatore ha ritenuto opportuno far partecipare a
questa fase del programma anche le studentesse, poiché le tematiche avrebbero affrontato anche i problemi di coppia. Inoltre le
ragazze, più abituate alla visita ginecologica, hanno potuto contribuire a convincere i loro compagni di classe a sottoporsi alle visite
andrologiche, con meno timori.
37
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Il numero degli studenti che ha richiesto un colloquio individuale o
la visita è costantemente aumentato dopo i primi riscontri positivi dei
loro coetanei.
Gli studenti hanno espresso impressioni positive su tutto il percorso
e hanno dichiarato di aver percepito il beneficio dal “sentirsi presi in
seria considerazione per le loro problematiche”.
Dagli incontri, sono emerse importanti tematiche della sfera fisica,
sessuale, comportamentale, taciute o misconosciute fino a quel
momento.
Per spiegare l’utilità, i vantaggi, lo scopo dell’iniziativa che la scuola
offriva loro, è stata adottata una terminologia semplice adatta all’età
e al livello delle conoscenze degli studenti. È stata sottolineata la
disponibilità all’ascolto e la rigorosa riservatezza. Inoltre, è stato
ampiamente spiegato che la sessualità è qualcosa di cui si può parlare e, soprattutto, di cui un esperto si può far carico.
Dopo questa prima fase informativa, l’operatore medico si è reso
disponibile, con cadenza settimanale, per colloqui individuali o di piccoli gruppi. Durante i colloqui l’operatore ha cercato di creare un’atmosfera accogliente, di massima riservatezza e con disponibilità all’ascolto, evitando coinvolgimenti di tipo emotivo e/o giudicante.
Alle domande e alle dichiarazioni di disagio, o preoccupazione,
sono state date risposte ampie e chiare con spontaneità ma senza
rinunciare al rigore scientifico. Inoltre, l’operatore, di fronte alla percezione di un disagio non verbalmente espresso, ha cercato di attivare opportune strategie per far emergere il “non detto”.
Ad esempio discutendo casi generici nei quali l’intervento del medico è stato determinante per la risoluzione di un evento condizionante una relazione affettiva.
Dalla prima fase di sensibilizzazione e dai colloqui, si è passati alla
seconda fase del progetto, cioè l’esecuzione di uno screening
andrologico. Hanno aderito 85 ragazzi dei 125 che frequentavano le
classi IV e V. Dopo un’accurata anamnesi, sono state eseguite la
visita clinica e l’ecografia uro-genitale, secondo le descrizioni
semeiologiche e strumentali riportate in letteratura.
Figura 1.
Numero di patologie
andrologiche
rilevate
in 40 studenti.
Seconda fase
Sessanta degli 85 ragazzi che avevano aderito alla seconda fase,
sono stati visitati (70.5%).
Dei 25 ragazzi non sottoposti a visita clinica, 5 erano assenti per
motivi di salute e 20 perché impegnati in attività scolastiche in
altra sede.
In 20 su 60 ragazzi che sono stati visitati (33.3%), non è stata rilevata alcuna condizione patologica a carico dell’apparato riproduttivo; negli altri 40 soggetti è stata individuata una (n = 22) o più patologie andrologiche (Figura 1 e Tabella 2).
La lunghezza del pene in stretching è risultata pari a cm 12.4±1.8
(media + DS) e la sua circonferenza pari a cm 9.6 ± 1.0.
Tutti i ragazzi avevano completato lo sviluppo puberale.
La presenza di eccesso ponderale ed obesità (BMI > 25) è stata
rilevata nel 33% degli adolescenti (Figura 2).
Numero degli studenti
25
22
20
15
12
10
5
5
1
0
1
2
3
Numero delle patologie
4
Figura 2.
Percentuale di eccesso ponderale
ed obesità (BMI > 25) negli studenti
dell’Istituto Alberghiero
di Castrovillari.
Risultati
Prima fase
Durante gli incontri, sono stati osservati nei ragazzi vari atteggiamenti: scostanti, burloni, silenziosi, ipercritici.
Tali comportamenti spesso celavano l’esigenza di essere “riconosciuti” e presi in considerazione.
38
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Esperienza sul campo
Conclusioni
Tabella 2. Principali tematiche emerse durante gli incontri
L’istituzione dello “Sportello Andrologico permanente” durante l’anno scolastico 2002-03 in una scuola media superiore è stato motivato dall’esigenza di diffondere la cultura andrologica, consapevoli
dell’importanza di una prevenzione primaria e secondaria preceduta da una fase di informazione e di educazione.
Proporre una visita andrologica preventiva non è semplice. Molti
giovani, e spesso anche gli adulti, risentono di retaggi culturali
ancora esistenti, per cui effettuare programmi di prevenzione in questo campo richiede il dispendio di molte energie.
A differenza di quanto è stato osservato in altre indagini, fin dal
primo incontro, la maggioranza dei ragazzi ha manifestato un’immediata disponibilità per l’opportunità che si stava offrendo loro:
uno spazio per essere ascoltati da una figura competente (medico)
in grado di porgere elementi di confronto e di sicurezza evitando
inquinamenti affettivi e giudicanti.
La scuola è un luogo non solo di apprendimento di insegnamenti
tradizionali, ma anche di socializzazione, di solidarietà e di confronto nel gruppo dei pari. Queste peculiarità facilitano la possibilità di
prendersi cura degli adolescenti sia dal punto di vista medico che
psicosociale. Sostenere i ragazzi e dare evidenza scientifica alle loro
emozioni e alle loro relazioni sentimentali, considerandole operazioni fondamentali della mente, ha facilitato l’intervento di prevenzione
e di convincimento alla visita andrologica.
Sulla base dei risultati del primo anno di attività e la positiva ricaduta sul benessere dei giovani, l’IPSSAR ha confermato anche quest’anno lo ”Sportello Andrologico” dando l’opportunità ai suoi studenti di poter usufruire di un progetto educativo sulla salute sessuale maschile, convinti che la conoscenza induca a modificare
comportamenti errati, pregiudizi e tabù che influenzano negativamente la sessualità e la vita riproduttiva in età adulta.
rapporti sessuali protetti e non protetti
non conoscenza di una sana igiene intima
eiaculazione precoce e condizioni di stress relative
infezioni
difficoltà a trovare il tempo da trascorrere con la ragazza
perché studenti lavoratori
informazioni sul funzionamento degli anticoncezionali
timori di affezioni patologiche a livello testicolare
(varicocele)
domande sulle esigenze dei partner
carenze lessicali
riferite problematiche di performance
da parte di coloro che praticavano sport
I risultati della visita clinica e la necessità di eventuali approfondimenti diagnostici, sono stati illustrati ad ogni singolo ragazzo, ed i
risultati sono stati consegnati in busta chiusa ai genitori o ai medici
curanti. È stato, inoltre, distribuito un opuscolo divulgativo sulla prevenzione andrologica.
Tabella 3. Patologie andrologiche rilevate
in 40 adolescenti dell’Istituto Alberghiero di Castrovillari
(età: range 17-20 anni)
Patologia
n. casi
Varicocele sinistro*
Varicocele destro*
Varicocele bilaterale*
Disvolumetrie testicolari
Recurvatum penieno dorsale
Recurvatum penieno laterale sinistro
Recurvatum penieno laterale destro
Frenulo corto
Fimosi
Balanopostite aderenziale
Cisti epididimo
Criptorchidismo sinistro
Idrocele bilaterale
Ginecomastia bilaterale
Ipotrofia testicolare bilaterale
Oligospermia severa
28
1
1
6
1
3
1
7
8
1
3
1
1
1
1
1
Bibliografia essenziale
Da Cortà Fumei M. Identità di genere, relazioni, sessualità, prevenzione:
il ruolo della scuola. 1° Congresso Nazionale “La Prevenzione in Andrologia”
Arezzo 19-20 maggio 2000
Rifelli G. Psicologia e psicopatologia della sessualità.
Ed. Il Mulino, Bologna, 1998
Papini A. et al. Screening andrologico pediatrico. Nostra esperienza
di due anni. Giornale Italiano di Andrologia 1997; 2:95
Sturniolo MM. et al. Indagine conoscitiva dei comportamenti
di un campione di adolescenti che praticano sport. Min Ped 2002; 6:672
Skoog SJ, Roberts KP, Goldstein M, Pryor JL.
The adolescent varicocele. What’s new with an old problem in young
patients? Pediatrics 1997; 100:112
Corrispondenza:
Dott.ssa Mattia Maria Sturniolo
* di cui 17 di 1° grado, 7 di 2° grado, 6 di 3° grado
Via San Giovanni Vecchio, I Traversa n. 6 - 87012 Castrovillari (CS)
e-mail: [email protected]
39
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
Commento
L’educazione alla salute può essere definita “l’insieme delle attività, procedure e proposte
tecniche finalizzate al migliore sviluppo del benessere psicofisico degli adolescenti”.
La scuola italiana, da alcuni anni, sta attraversando un periodo di trasformazioni dirette a realizzare progetti
nell’ambito della prevenzione dei comportamenti a rischio, dell’educazione alla sessualità ed affettività, educazione alla salute, all’ambiente ed alla gestione delle emozioni.
Agli insegnanti spetta il compito, oltre alla trasmissione di informazioni culturali, di svolgere un’educazione più
ampia che aiuti i giovani a costruire una buona identità individuale e sociale. La ridefinizione dei processi educativi
spesso avviene con la partecipazione degli operatori della sanità, che possiedono competenze nell’ambito dei meccanismi
fisiopatologici dell’età evolutiva.
Il progetto di Sturniolo e coll. è stato sviluppato per fornire, agli adolescenti dell’Istituto Alberghiero di Castrovillari, un’adeguata e
completa informazione sulle problematiche della salute maschile (“Sportello andrologico permanente”).
Oltre all’aspetto metodologico, che richiede abilità tecniche di insegnamento e padronanza relative all’educazione sessuale, tre
aspetti che meritano di essere presi in considerazione:
1.
il riscontro positivo, da parte degli adolescenti, per l’iniziativa proposta dai Medici e dalla Referente alla Salute della scuola;
2.
l’interesse, da parte della scuola, di dare continuità al progetto andrologico;
3.
il riscontro, alla visita medica, di patologie andrologiche non accertate in precedenza.
Un recente studio da noi condotto in collaborazione con 31 pediatri di famiglia, che avevano in carico 4.577 ragazzi di età compresa tra i 10 e 14 anni (De Sanctis V e coll. “Il pediatra di famiglia e le patologie andrologiche: risultati di una indagine condotta con la collaborazione di 31 pediatri di base”. X Congresso Nazionale SIMA – 22-24 Ottobre 2003, pag. 135), ci ha convinti della necessità di dedicare più spazio, nei convegni di aggiornamento, ai problemi andrologici dell’adolescente.
A nostro avviso la maggior parte dei pediatri ha bisogno di ricevere informazioni di base che gli consentano di inquadrare le problematiche andrologiche dell’età evolutiva, di conoscere i quadri clinici di più comune osservazione e di poter iniziare un adeguato
iter diagnostico.
Ciò non stupisce perché la situazione rispecchia abbastanza fedelmente ciò che accade nel campo della medicina dell’adulto, nel quale
la ginecologia ha avuto sempre un grande spazio, mentre minore attenzione è stata riservata alle problematiche andrologiche.
Vincenzo De Sanctis
Ferrara
40
Insegnare la prevenzione
Mirella Strambi
Dipartimento di Pediatria, Ostetricia e Medicina della Riproduzione
Sezione di Pediatria e Neonatologia, Università di Siena
Dalla metà degli anni ‘50, l’aumento della criminalità giovanile e del tasso di povertà unitamente ai cambiamenti nell’organizzazione sociale e nella struttura del nucleo familiare con incremento delle separazioni, delle nascite fuori dal matrimonio, della
mobilità delle famiglie hanno reso necessari maggiori investimenti
ed iniziative per l’infanzia e l’adolescenza a livello scolastico, sociale e sanitario, aumentando il senso di responsabilità per la “care”
dei giovani.
Inizialmente, gli interventi sono stati programmati per rispondere alle
crisi già esistenti e polarizzati su specifici obiettivi, come il contenimento e la riduzione dei crimini giovanili o la trasformazione dei caratteri deboli in personalità con un più elevato contenuto morale, ad
esempio sviluppando le Case residenziali per ragazzi con disturbi
della personalità. Successivamente, le nazioni (occidentali?) si resero
conto che i problemi dei giovani diventavano più gravi e la società ne
subiva sempre più gli effetti negativi, si svilupparono metodi di intervento e di trattamento a più ampio raggio. L’ultimo trentennio ha quindi visto lo sviluppo di numerosi servizi e di strategie politiche per cercare di ridurre il disagio giovanile. Inizialmente studiati per aiutare la
famiglia, la scuola e la comunità, questi interventi sono poi stati rivolti al miglioramento delle condizioni di vita dei giovani.
Avendo lo scopo di realizzare un trattamento precoce, la maggior
parte di tali programmi è stata focalizzata alla prevenzione di singoli problemi e, non essendo realizzati tenendo conto delle teorie
o dei modelli di ricerca basati sullo sviluppo psicofisico del bambino, si sono mossi in maniera disorganica e spesso in direzioni
non univoche.
Studi di risultato dimostrarono che questo approccio metodologico
aveva scarsi effetti positivi sulle problematiche della salute dell’adolescente, come abuso di sostanze, gravidanza, malattie sessualmente trasmesse, abbandono scolastico, ingresso in percorsi di
vita violenti e delinquenziali.
Si iniziò quindi un percorso di rivalutazione critica dei precedenti
interventi che, attraverso studi longitudinali, ha portato allo sviluppo
di una seconda generazione di programmi di prevenzione; nei quali
si è cercato di identificare i fattori di rischio più strettamente correlati ai disturbi del comportamento. Esempi di questa nuova metodologia d’intervento sono l’identificazione delle influenze esercitate da
gruppi di pari sull’abuso di droghe, sull’attività sessuale precoce e
sui modelli che favoriscono il reclutamento in questi stili di vita.
Intorno al 1990 iniziò una profonda riflessione sugli sforzi di prevenzione che sino ad allora erano stati realizzati e che si indirizzavano
solamente alla risoluzione di una singola problematica. I modelli
correnti furono criticati perché ignoravano la coesistenza di più
disturbi del comportamento in un singolo soggetto, ignoravano i fattori di rischio, dimenticavano di associare i fattori di rischio ambientali e personali e l’interazione tra l’individuo e l’ambiente, ed ignoravano i fattori positivi che promuovono un sano sviluppo psico-fisico.
Tale riflessione ha portato ad una visione più globale del problema
“prevenzione”, arrivando al convincimento che l’età di transizione
tra quella del bambino e quella dell’adulto richiede molto più che
evitare la droga, la violenza o l’attività sessuale precoce. Si dovrebbe cioè garantire uno sviluppo globale ed armonico del bambino in
ambito sociale ed emotivo, rappresentando questo l’aspetto più
importante per prevenire ogni condizione di disagio. Un sicuro legame di attaccamento con coloro che ne hanno cura serve al bambino come base per la separazione e l’esplorazione del mondo circostante, costruisce abilità e sviluppa quelle competenze sociali, emozionali, cognitive, comportamentali e morali che lo portano ad uno
stabile senso di identità da cui dipende la stabilità nelle età successive. L’identità dell’adolescente è quindi strettamente connessa con
le esperienze e con lo sviluppo della consapevolezza di sé che ha
maturato nell’infanzia e nella pre-adolescenza, mentre uno sviluppo
psico-affettivo insoddisfacente determina nel giovane la mancanza
di un senso delle regole emozionali, delle proprie competenze, dell’efficacia interpersonale.
La promozione della salute richiede oggi un nuovo sforzo per guardare ai temi della salute in positivo. Si tratta cioè di sviluppare per
l’adolescenza una serie di azioni che mettano al centro del percorso l’adolescente nella sua interezza psico-fisica, superando i “vecchi” programmi centrati sulle malattie, sui malesseri, sulle situazioni
a rischio. Pensare con maggiore efficacia alla prevenzione negli
adolescenti sembra oggi possibile solo all’interno di una prospettiva promozionale, che ponga l’accento sull’aumento di occasioni, di
spazi “da vivere”, di elementi propositivi. La prevenzione diviene,
pertanto, un compito molto più complesso perché deve affrontare
fenomeni multifattoriali, senza restringere in senso troppo patologico il campo, prefigurando un’ampia gamma di interventi, che in rapporto ad analisi ed obiettivi specifici, possano essere orientati maggiormente verso il sostegno a bisogni naturali di crescita piuttosto
che alla riduzione di fattori di rischio e al contenimento di situazioni
problematiche, in un continuum che va dalla promozione della qualità del processo di crescita, alla prevenzione delle diverse forme di
devianza sia auto- che etero-distruttive. Si dovranno pertanto incentivare situazioni di cui gli adolescenti e i giovani non siano soltanto i
destinatari o gli utenti, ma i reali protagonisti delle varie iniziative. Il
mondo adulto deve saper accogliere la disponibilità, la creatività, la
fantasia, la carica emotiva che gli adolescenti esprimono e, nel con-
41
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza
Volume 2, n. 1, 2004
lo di curare i malati ed i giovani che scelgono di studiare Medicina
lo fanno con questa idea. Per molti di essi, il fondamento della loro
successiva etica professionale sarà prevalentemente quello di
assumersi la responsabilità dei pazienti a loro affidati; in alcune specialità questo approccio centrato sulla cura dell’individuo malato è
così dominante da escludere quasi completamente ogni visione
degli altri problemi sanitari. Eppure se la malattia e la disabilità sono
definibili, in negativo, come la perdita dello stato di salute, lo stato
di salute altro non è se non l’equilibrio dell’uomo con se stesso e
con l’ambiente che lo circonda. Salute è armonia, salute significa
rispetto tra uomini di etnie diverse e religioni diverse, fra uomini ed
ambiente, fra le varie comunità degli studenti, fra docenti e studenti, tra Università, scuola e territorio. La personalizzazione dei curricula da parte delle Università ha offerto un’occasione importante
per inserire gli opportuni messaggi sulla promozione della salute in
tutte le discipline sanitarie. In questo senso, tutto il percorso formativo dovrebbe venire coinvolto in questi programmi, come suggerito
dal network europeo organizzato dall’ufficio dell’Organizzazione
Mondiale della Sanità sulle Scuole che promuovono salute. Infatti,
un’adeguata formazione degli operatori rappresenta il primo passo
per dare valenza, struttura e continuità agli interventi di prevenzione
finalizzati al benessere degli adolescenti.
tempo, deve anche saper accettare la loro discontinuità, incoerenza e provocazione.
Un’azione portante deve riguardare lo sviluppo di processi di integrazione che promuovano lo scambio di sapere, di saper fare e di
informazione tra le varie risorse ed agenzie educative presenti sul
territorio e tra queste e gli adolescenti, in modo da costruire una rete
in grado di contenere e sostenere gli adolescenti ed i giovani nel
loro percorso di crescita, promuovendo, di conseguenza, interventi
preventivi realmente adeguati alle esigenze della famiglia, della
scuola, della comunità. Si tratta di costruire un’azione di diffusa
presa di coscienza che determini un salto qualitativo significativo,
partendo da una situazione attuale nella quale si finisce sempre per
affrontare, anche nel percorso di formazione, i problemi patologici
anche se per discuterne in termini di prevenzione. Questo “nuovo”
metodo di fare la prevenzione richiede ovviamente un’elevata professionalità di tutti i soggetti coinvolti, l’acquisizione della capacità
di lavorare “insieme” da parte di soggetti differenti (famiglia, scuola,
sociale, sanità, privato no profit) e l’esigenza di programmi di formazione alla prevenzione.
Da questo nuovo percorso formativo non può essere estranea
l’Università, ed in particolare la Facoltà di Medicina e Chirurgia. In
tutte le società, il ruolo principale del medico viene visto come quel-
Il costo dell’abbonamento
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Gli abbonati riceveranno
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del Congresso Nazionale
della Società Italiana di
Medicina dell’Adolescenza
42
Gli adolescenti “attardati”
Sara Ciacci, Fabio Franchini
Dipartimento di Pediatria, Ospedale Pediatrico Meyer, Firenze
L’adolescenza, cioè la fase di sviluppo situata tra fanciullezza ed età adulta, è caratterizzata da specifici pattern psicologici che
possono creare, nei giovani, un senso di inadeguatezza per una diversa percezione del sé con un senso di infelicità esistenziale ed una
situazione di conflittualità con le persone circostanti.
Alcuni Autori distinguono tra “pubertà”, riferendo questo termine
soprattutto agli eventi clinici ed ormonali che caratterizzano lo sviluppo
dei caratteri sessuali, e “adolescenza”. Questo secondo termine indicherebbe più propriamente l’accrescimento somatico generale e lo
sviluppo psicologico. Molti ritengono che, indipendentemente dall’età,
i comportamenti psico-sociali tipici dei teen-ager non si osservano finché il giovane non presenta le modificazioni ormonali che contraddistinguono la pubertà. Altri sostengono, invece, che i mutamenti psicosociali dei teen-ager si manifesterebbero anche nei giovani con ritardo
puberale. La pubertà e lo sviluppo psico-sociale sono comunque tra
loro interconnessi ed entrambi risultano essere importanti nella valutazione e nell’assistenza sanitaria dei giovani. Le ragazze manifestano i
primi segni della pubertà tra gli 8 e i 10 anni di età. Nei ragazzi, i primi
segni della pubertà compaiono circa due anni dopo rispetto alle ragazze, cioè fra i 10 e i 12 anni d’età. Sia nei ragazzi, sia nelle ragazze, le
modificazioni somatiche della pubertà richiedono circa quattro anni
per completarsi. L’adolescenza “avanzata”, cioè quella dopo il completamento dello sviluppo puberale tra i 18 ed i 25 anni o poco più, è
rivolta essenzialmente all’assolvimento di alcuni “impegni”:
ricerca della stabilità sociale ed economica;
sviluppo dei valori;
verbalizzazione dei concetti;
ricerca del partner.
Nella nostra società, vengono esercitate forti pressioni sugli studenti
delle scuole medie-superiori, affinché prendano decisioni concernenti
il loro futuro; entrando successivamente all’università o iniziando un
lavoro. Il proseguimento dell’istruzione comporta spesso il mancato
raggiungimento della libertà economica, poiché la maggior parte degli
studenti universitari continua a dipendere finanziariamente dai genitori. Questo fatto può essere fonte di conflitti per molti giovani.
La scelta professionale, nei Paesi in cui non è istituito un servizio sociale di orientamento professionale non è, a volte, fondata sulla constatazione delle attitudini necessarie per l’esercizio di un mestiere o di una
professione, ma è il frutto di diverse condizioni: capricci dei giovani,
errori o ambizioni dei genitori, influenza dell’ambiente, eccetera. Da ciò
può scaturire una condizione di disagio psicologico, per quei giovani
che, oltre a non tenere conto delle proprie inclinazioni naturali, non
hanno avuto nessuno che li orientasse.
Gli adolescenti “avanzati” sono impegnati anche nell’elaborazione di
un sistema di valori applicabili agli eventi della vita; questo spiega, in
parte, perché i giovani universitari evidenziano un inevitabile idealismo.
Durante questo periodo, gli atteggiamenti ascetici sono comuni e molti
giovani si uniscono a vari tipi di movimenti come gruppi religiosi.
L’adolescente “avanzato” abbraccia le varie cause con estremo zelo,
considerando spesso cose ed eventi in termini di “bianco o nero” e
con apparente giusta indignazione. Questi atteggiamenti, possono
essere per gli adulti (genitori ed insegnanti compresi), fonte di difficoltà
di comunicazione, in quanto questo idealismo può portare a forme di
esasperazione comportamentale. Parte dello sviluppo psicologico dell’adolescenza riguarda le capacità cognitive. Gli adolescenti “avanzati” hanno generalmente raggiunto la capacità di verbalizzare i loro concetti. I diciannovenni sono capaci di discutere per ore su argomenti
che a loro interessano particolarmente a differenza dei teen-ager dove
questa caratteristica sembra essere del tutto assente. Nella fase dell’adolescenza “avanzata”, il far parte di un gruppo diviene inoltre meno
importante rispetto allo sviluppo di un’intima e stretta relazione con un
individuo del sesso opposto. Questo tipo di relazione è diversa dalle
precedenti esperienze eterosessuali, poiché comporta la creazione di
un’intimità e di un interesse molto più profondo nei confronti dell’altro
individuo. Gli adolescenti più giovani tendono invece a considerare la
persona del sesso opposto come un “oggetto” da usare, piuttosto che
un “individuo” del quale occuparsi intimamente. Sarebbe quindi
necessario che oltre alle figure educative (insegnanti/genitori) il medico pediatra offrisse assistenza non solo ai “giovani” adolescenti, ma
anche a coloro che hanno raggiunto l’adolescenza “avanzata”,
seguendoli in quello che è il passaggio dall’assistenza di tipo pediatrico a quella propria dell’adulto. Inoltre, ai giovani che stanno raggiungendo l’età adulta sarebbe utile fornire un elenco di medici locali e dei
centri assistenza che si occupano dei giovani. In tal modo, il rapporto
tra il paziente e il pediatra, associato ad altre figure professionali,
diventerebbe più professionale ed incoraggerebbe i giovani ad assumersi la responsabilità della propria salute fisica e psicologica.
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4. Vullo C., De Sanctis V. Curare gli adolescenti. Roma, NIS 1992
43
“Inventare” la propria identità
Eugenia Bonfiglioli
Studentessa Liceo Classico L. Ariosto di Ferrara
Il grande tema di questi ultimi anni è l’adolescenza.
Molti adulti si stupiscono di come i tempi siano cambiati, di come la
nostra generazione sia così vuota di sentimenti e valori, oppure
cerca solo di nasconderli. Una volta i giovani trasgredivano per ottenere qualcosa (il 1968 e le lotte studentesche), mentre oggi si ha
tutto e si trasgredisce contro la propria persona. Tutti noi, durante il
periodo che va da 13-20 anni, cerchiamo di inventare un’identità, il
più possibile diversa dagli standard visti
finora. Quante volte si vedono ragazzi che
cambiano il loro modo ”d’essere” o meglio
dire “d’apparire” perché solo così possono
sentirsi amati e rispettati dalla società, vittime di una realtà sempre più martellante e
complessa?
Forse la risposta va cercata e sicuramente
viene trovata nella nostra società che ci
bombarda di pubblicità e ci costringe, già
dall’infanzia, ad essere competitivi ed allo
stesso tempo insicuri. Tutto questo iter
porta poi a tragiche conseguenze, quali la
droga, l’alcol e le numerose malattie alimentari e psicologiche, e una continua
ricerca di un’identità mai avuta.
Dunque riguardando il mio passato di studentessa, pur brillante e pieno di soddisfazioni, scopro che nel mio percorso scolastico è mancata proprio un’educazione alla
salute che potesse responsabilizzare gli
adolescenti.
Il giovane italiano d’oggi è essenzialmente
portato a non occuparsi della propria salute
poiché vi sono scarse informazione e
discussione sulle problematiche legate alle
dipendenze, all’alimentazione e alle malattie.
Ora nella scuola sono presenti molti progetti che si prefiggono di creare e di potenziare l’identità e la cittadinanza europea. Io
stessa sono stata coinvolta in progetti
come scambi con la Germania e ho frequentato corsi in alcuni paesi
europei dove si è a contatto con altri popoli.
Sinceramente mi è parso che le altre gioventù siano più responsabili, e questo mi ha fatto porgere una domanda: perché l’Italia?
In un paese come il nostro, i giovani non hanno un ruolo molto
importante. Basti vedere la nostra scuola, di certo non è né una
delle più qualificate né moderne. E poi è difficile inserirsi nel mondo
del lavoro, a causa anche del continuo
invecchiamento delle istituzioni e quindi il
giovane italiano tende a liberarsi delle sue
responsabilità, non vedendo i coetanei
che lavorano per la comunità.
L’identità, però, va costruita principalmente credendo nelle proprie potenzialità, sia
fisiche che intellettuali, portando enorme
rispetto alla propria persona.
Un grosso ruolo l’ha quindi la scuola, nella
quale noi passiamo quasi la metà del
nostro tempo, poi la famiglia, nella quale
molti giovani d’oggi non trovano né appoggio e né conforto. Sinceramente è complicato consigliare un modo per poter annientare questi problemi.
La comunicazione sta di certo alla base
dell’esito della ricerca delle proprie identità
e consapevolezza.
Nell’era della tecnologia è sempre più difficile esporre la propria idea e la propria opinione, sia tra amici che in casa.
Quindi il mancato dialogo in famiglia, la
dimenticata comunicazione sono le cause
delle malattie psico-alimentari e delle
dipendenze. In conclusione, le campagne
per la salute sono utili, ma devono essere
incentivate e rafforzate da una comunicazione efficiente, che possa sensibilizzare
tutti gli adolescenti e che possa agire già
dalla prima infanzia.
44
Argentina
Cyprus
Egypt
Greece
India
Iran
Israel
Italy
Jordan
Portugal
Qatar South Arabia
Spain
Switzerland
Turkey
U.S.A.
MEDITERRANEAN ACTION GROUP
ON ADOLESCENCE MEDICINE
(MAGAM)
Dear Colleagues and Friends,
Welcome to MAGAM Notes, a section of RIMA (Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza, the official Journal of the Italian Society for Adolescent Medicine) dedicated to those who
provide health services to adolescents in countries in the Mediterranean area. We hope that these
pages will serve as forum of exchange for medical, psycho-social, ethical and educational matters
concerning adolescents and their health-care practitioners in these countries, in accordance with
the aims of MAGAM. These goals include the promulgation of adolescent medicine as a distinct
field, the organization of health services specifically for adolescents, and the education of personnel in the care of teens.
For those of you who are not acquainted with MAGAM, our organization was formed subsequent to a workshop with delegates from 9 Mediterranean countries that took place in 2001
under the auspices of SIMA (the Italian Society for Adolescent Medicine) and the Pediatric and
Adolescent Unit of the Arcispedale Sant’Anna of Ferrara, Italy. The group included adolescent
medical specialists, general pediatricians, pediatric endocrinologists, and chronic disease specialists who were determined to foster the theory and practice of adolescent medicine in this
region. Since that time, the group has enlarged in size and scope with two additional annual workshops, representatives from all the countries listed at the left, and other activities, including surveys,
publications and research programs.
MAGAM Notes opens with an instructive article by Professor Christos Kattamis of Athens,
and will become a regular feature of RIMA. We encourage your contributions in the form of original
articles, review papers, brief communications and experiences, letters and notices, written in
English. Please direct your correspondence to Dr. de Sanctis at the address on the Istruzioni agli
Autori page in the back of this Journal.
Bernadette Fiscina
New York - Member of Mediterranean Action Group for Adolescent Medicine (MAGAM)
Coordinator
Vincenzo De Sanctis
Pediatric & Adolescent Medicine Unit
C.so Giovecca, 203 - 44100 Ferrara - Italy
Tel. 0532-236.934 - Fax 0532-247.107
E-mail: [email protected]
Secretary
S. Bertelloni
Dept of Pediatrics, University of Pisa – Italy
Tel. 050-922743 - Fax 050-550595
E-mail: [email protected]
MAGAM NOTES
Epidemiology
of chronic
diseases
in adolescence
in Mediterranean
populations
Section Editor: Bernadette Fiscina, New York
Christos Kattamis
Emeritus Professor of Pediatrics - Medical School - University of Athens, Greece
Summary
In order to present a population-based view of a chronic disease of adolescence, we review some basic principles of epidemiology and genetics, and then discuss the condition of thalassemias in the Mediterranean area as a prototype of
the use of epidemiological studies in genetic disease.
Clinical epidemiological studies are important in adolescent medicine, since the data gathered can be used a) to estimate the
burden of disease in the population, b) to formulate programs for prevention and treatment and c) to evaluate the effectiveness
of these programs.
It is estimated that nearly 10% of adolescents suffer from chronic diseases. Genetic diseases comprise a major group of chronic disorders, and hemoglobinopathies are the most common single gene disorder.
Thalassemias are found in all of the Mediterranean countries, in Africa, the Near and Middle East, India and Asia. In affected
populations, the distribution of the genetic defects for hemoglobinopathies is extremely varied, as shown in studies in Greece
and Italy.
Recent molecular epidemiological studies of thalassemias have disclosed that only a few mutations, of the nearly 200 identified, are common and that 3-5 mutations are specific for any population. Some mutations have been associated with severe,
and others with milder forms of the disease.
Molecular epidemiological studies have greatly facilitated the implementation of preventive measures through prenatal diagnosis, the understanding of pathogenesis and genotype-phenotype relationships, the prediction of disease severity and the monitoring of treatment programs.
Keywords: epidemiology, adolescence, genetic diseases, hemoglobinopathies, Mediterranean populations
Introduction
to avoid responsibility, or to justify their unwillingness to grapple with
the different challenges of growing maturity.
Familiarity with the epidemiology of chronic disease in adolescence
is therefore important to practitioners of adolescent medicine, as it
involves the description of aspects of the disease in relation to the
characteristics of the population affected.
Studies in clinical epidemiology examine disease occurrence and its
clinical manifestations, the population characteristics, and the mode
of prevention and management. In the case of infectious diseases
the field is extended to the characteristics of the causative organism
and the mode of transmission.
It is estimated that nearly 10% of adolescents confront the challenge
of living with a chronic disease in parallel to the developmental tasks
of their age.
Thus, in these patients, the impact of chronic illness becomes more
complex, when manifestations of a disease or its treatment alter the
developing body size and shape; the condition may have an adverse
effect on self-esteem and body image of the patient (1, 2).
Chronic disease interfering with normal adolescent development
can also create conflicts between teenagers and parents, as they
provide parents with a justification for holding onto their teenager.
In turn, adolescents may use their illness to manipulate their parents,
47
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 1, 2004
MAGAM NOTES
Thus, epidemiological data constitute the basis for
the estimation of the burden of a disease in a population, the formulation of programs for prevention and
management, and the evaluation and follow–up of these programs
(3). Epidemiological studies are divided into three major types:
Table 1.
Common chronic diseases in childhood and adolescence.
Common in both Age groups
1. Genetic disorders
(e.g. hemoglobinopathies, cystic fibrosis)
2. Chronic Infectious diseases
(tuberculosis – chronic hepatitis B, C)
3. Respiratory diseases (asthma)
4. Neurological disorders (seizures)
5. Endocrinological (obesity – diabetes)
6. Gastrointestinal disorders (Crohn disease)
7. Malignancies
1. Descriptive Epidemiology records the incidence
and prevalence of death, disabilities and diseases of various types
and causes. As a rule, several agencies (international, national, local
health departments, etc.) tabulate current information about health
and disease.
2. Causative or Analytic Epidemiology searches for clues to the causes of a disease, based on the fact that the
disease does not occur randomly in the population.
In analytic epidemiology three subtypes of studies are used:
a) The cross sectional study surveys the prevalence of a
disease in various segments of the population (for example,
among age groups) at a particular time.
Predominantly in Adolescence
1) Accidents sequelae
2) Psychosocial problems
Substance abuse
(drugs – alcohol – smoking)
Anorexia nervosa
Depression
3) Sexually transmitted diseases (HIV)
b) The prospective study identifies a cohort of individuals
who exhibit a particular characteristic and follows them over
time for the development of a disease and
c) The retrospective study identifies a disease, and searches for previous differences in exposure or other characteristics between groups of affected and unaffected individuals.
3. Experimental Epidemiology utilizes clinical trials
to evaluate responses to various therapies in groups of subjects.
An important use of chronic disease epidemiology is the quantification of the distribution of a disease, which is described either by its
incidence rate or its prevalence.
The incidence rate indicates the number of persons newly affected
by a disease in a given population during a period of time, and is
usually reported as annual rate per 100,000.
In contrast, the prevalence of a disease indicates the total number of
persons in a population affected by the disease in a defined period.
The prevalence index is mainly used for permanent or chronic nontreatable diseases.
Frequently, there are difficulties in interpretation and comparison of
the data in adolescence obtained by both indices, because of variation in the definition of the age bracket, i.e. 10-19, 12-19, or 15-24
years (3).
The wide spectrum of chronic diseases in puberty and adolescence
can be divided into two groups: those common in childhood and
adolescence and those predominant solely in adolescence.
Relevant examples of common chronic diseases in the two groups
are listed in Table 1.
Genetic disorders are among those chronic diseases with major
impact on public health during puberty and adolescence.
We have chosen to discuss the management of these disorders, in
particular the hemoglobinopathies prevailing in Mediterranean
populations, as a prototype of the use of clinical epidemiological
studies in this area.
Genetic Diseases
The genetic diseases are classified into major groups according to
the specific defect, as listed in Table 2.
There are several thousand currently known genetic diseases, with
new entities being described on a regular basis.
Thankfully, the majority of these illnesses are extremely rare, and
only few have an incidence that places an appreciable burden on
public health.
Most genetic diseases are chronic and are clinically expressed in
childhood and adolescence.
Table 2.
Major Groups of Genetic Diseases.
- Single gene disorders
- Chromosomal abnormalities
- Congenital malformations
- Diseases with polygenic inheritance
- Common diseases with significant genetic component
- Mitochondrial DNA disorders
- Somatic cell mutations
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Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 1, 2004
MAGAM NOTES
Others are lethal at birth or shortly thereafter, while still others appear
during middle or late adult life.
It is roughly estimated that one in 20 newborns carries an abnormal
genetic load that may lead to a chronic health problem.
Epidemiological studies have demonstrated that the incidence of
chromosomal abnormalities and congenital malformations are
rather homogenous in various populations worldwide. In contrast,
the prevalence of many single gene disorders varies considerably
among populations (4).
Single Gene Disorders
Single gene defects are inherited in four well-defined modes: autosomal dominant, autosomal recessive, and X-linked recessive or
dominant.
A grand total of 10,174 monogenic diseases are listed in McKusick’s
Mendelian Inheritance in Man in 1998. Of these phenotypes 8,005
are classified as autosomal dominant, 1,730 as recessive, 412 as XLinked and 27 as Y-Linked (6).
In some western European countries epidemiological studies of the
prevalence of the more common monogenic diseases have been
performed (4); most of the surveys are based on the detection of
heterozygotes in a representative sample of the population.
When detection of heterozygotes is not done, the prevalence of the
disease is estimated from the detection and registration of
homozygotes.
Original surveys demonstrated remarkable variation in the frequency
of certain monogenic diseases among different populations.
Chromosomal Abnormalities
The common chromosomal abnormalities and their prevalences are
listed in Table 3. The total incidence of chromosomal defects is estimated at 0.7-0.8% of live births. The numerical abnormalities of sex
chromosomes are the most frequent while the most severe are
those with numerical autosomal chromosome abnormalities; among
the last the most common and well known is trisomy 21 or Down
syndrome (5).
Table 4.
Differences in the Frequency of Genetic Diseases.
Table 3.
Prevalence of common chromosome disorders.
Condition
Frequency/1000 births
I. Numerical
Sex chromosomes
45XX
47XXX
47XXY
47XYY
Disease
Population
Frequency/1000 births
Thalassemia Mediterranean-Oriental
5-15
0.1
1.0
1.3
1.0
Sickle Cell
Anemia
5-15
Autosomal
Trisomy 21
Trisomy 18
Trisomy 13
Others
1.4
0.1
0.1
0.2
Tay-Sachs
II. Structural
Balanced Translocation
Unbalanced
Total
2.0
0.5
7.7
Africans
Androgenital Yupik Eskimos
Syndrome North Americans
Ashkenazi Jews
Sephardic Jews
2.0
0-0.25
0.2-0.4
0.001-0.003
Source: Weatherall 1991 (Modified)
This is the case with thalassemias, which affect Mediterranean and
Oriental populations but in general not the northern Europeans (4, 7).
A list of monogenic diseases, with differences in frequency among
various population groups, is shown in Table 4.
Several theories exist to explain the discrepancies in prevalence
among populations. One hypothesis is that a high frequency may
reflect heterozygote advantage for the abnormal gene in a particular
environment. This seems to be the case for the genes of thalassemias, sickle cell anemia and G6PD deficiency, which reached their
extraordinary frequencies because carriers are protected against P.
falciparium malaria infections. This is an elegant example of balanced polymorphism (4).
Source: Weatherall 1991
In developed countries, the incidence of chromosomal abnormalities has changed over the past decades, thanks to the institution of
prevention programs in couples at risk.
Procedures for accurate screening and antenatal diagnosis are consistently improving, resulting in progressive decline of the prevalence of these abnormalities, mainly that of trisomy 21 (5).
A similar decline has been observed for severe congenital abnormalities after implementation of appropriate intervention programs
for early prenatal diagnosis.
Haemoglobinopathies
In 1983, a conservative estimate by WHO revealed that
nearly 250 million people worldwide are heterozygo-
49
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MAGAM NOTES
tes for the major hemoglobinopathies, essenFigure 1. Prevalence of thalassemia trait in Greece.
tially β and α thalassemias (more than 180 million) and sickle cell (60 million). Based on demographic data it was also estimated that by the year 2000 about
7% of the world population would be carriers for one of the
hemoglobinopathies (8).
Studies on the geographical distribution of the thalassemias
and of other clinically important abnormal hemoglobins demonstrate that thalassemias are found in the Mediterranean countries, in Africa, the Near and Middle East, India, Asia and South
East Asia. Sickle cell prevails in Africa with certain foci in
Southern European countries, the Middle East and India while
βo thalassemia and HbE are basically found in South East Asia.
Previously, hemoglobinopathies were rarely found in northern
European populations (9).
However, mass migrations from affected areas have changed
the distribution of hemoglobinopathies in these countries, to the
extent that, in the United States and in some northern European
nations, hemoglobinopathies have already become a serious
public health problem.
In adolescent Mediterranean populations, hemoglobinopathies
are the most common chronic monogenic diseases, with thalassemias most frequent, followed by sickle cell disease.
Prior to implementation of prevention programs, the numbers of
homozygotes born annually were estimated to reach about 200
in Greece and several hundred in Italy, based on the prevalence of β-thalassemia heterozygotes.
In Cyprus, Sardinia and other areas with an incidence of heterozygotes of 15-20%, the expected rate of affected newborns
To demonstrate the public health burden of the thalassemias, a budvaried from 1 in 177 to 1 in 100. For other Mediterranean countries,
get estimated in the 1980’s to control the disease in Cyprus provides
especially those of North Africa, extensive and precise epidemiologia good example of use of data.
cal studies were scanty (4, 8).
Projections showed that without a prevention program, if all children
In Greece, Italy and Cyprus, however, epidemiological studies have
with thalassemia were kept alive on proper treatment with transfusions
formed the basis for assessment of the public health burden of the
and chelation, in 20 years the health budget of the island would have
hemoglobinopathies, of their clinical and genetic heterogeneity, and
to be doubled in order to treat only the thalassemics (8).
of the effectiveness of novel treatments and prevention programs.
The magnitude of the problem is directly related to the prevalence of
In all three countries extensive surveys disclosed a high prevalence of
heterozygotes in the country.
β-thalassemia, with uneven distributions.
An example of this relationship is illustrated in Table 5, in which the
In Greece, β-thalassemia is found throughout the country, with wide
variation in the frequency of heterozygotes (10). The total number of β-thalassemia heterozygotes is around 8%.
There are areas with low frequency (<5%), as in the North, and
Table 5.
others with moderate (5-10%), high (10-15%) and very high
Estimation of expected homozygotes based on epidemiology
(>15%) frequency (Figure 1).
of the incidence of β-thalassemia heterozygotes.
In contrast, sickle cell disease is restricted to a few regions with
Incidence per cent
Homozygotes
previously high rates of malaria.
Heterozygotes Gene
Incidence
Per live births
In Cyprus the overall frequency is around 17% with some varia0.05
0.025
0.000625
1:1600
tion, usually higher in the plains and lower in mountainous areas.
0.10
0.05
0.0025
1:400
Even more uneven is the geographical distribution of β-thalassemia in Italy, with high prevalence in Sardinia, Sicily and South
0.15
0.075
0.005625
1:177
Italy. In the North, β-thalassemia trait is basically found in the
0.20
0.10
0.01
1:100
areas drained by the River Po (11).
50
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 1, 2004
MAGAM NOTES
frequency of expected homozygotes is calculated on the basis of the
prevalence of heterozygotes. Thus, with a heterozygote prevalence of
5% the expected homozygote frequency is 1 per 1600 births, with
10% there is an increase to 1:400 and with 20% to 1:100 births.
In this group of patients the more common mild mutations that,
combined with severe types, led to mild thalassemia intermedia
were: IVS1-6 (14%), polyA (11%), –101C→T (9%) and –87 (Table 6).
The clinical manifestations of these genotypes are generally not
severe, with good prognoses without intensive treatment by transfusion and chelation. Because of the mild course of the disease, couples with the above genotypes are, as a rule, excluded from antenatal diagnosis.
Thus, molecular epidemiological research has provided useful information on the relation of genotype to the severity of clinical phenotype, characterizing the genotypes of mild thalassemia intermedia that prevail in the population. But the most important contribution of these studies in the management of thalassemias has been
to the organization and implementation of prevention programs.
Molecular Epidemiology of Thalassemia
Since the 80’s, molecular methodology has been progressively
introduced in epidemiological surveys of β-thalassemias. With these
new techniques, important data have been collected on the distribution of the molecular defects of β-thalassemia in various populations and countries (12).
Such studies gave rise to the following conclusions:
i) Only a few of the total number of β-thalassemia mutations,
which exceed 200, are commonly found.
ii) For each population, 3-5 mutations, specific for the
population, cover the major percentage of mutations detected.
Table 6.
Type and incidence of β gene mutations among 448
patients with β-thalassemia major and 57 with intermedia
(100 affected chromosomes).
iii) In Mediterranean populations the most common mutations
are the β0 (CD39, IVS1-1), the β+ (IVS1-110, IVS2-745) and mild
β++ (IVS1-6).
Further analysis of the distribution of the common mutations reported for Mediterranean populations showed differences between
eastern and western Mediterranean countries, as well as between
areas of the same countries. In western Mediterranean countries,
more than 50% consist of β0 mutations, mainly CD39, while in
eastern countries a greater percentage is covered by a milder β+
mutation, namely IVS1-110 (13).
In Sardinia more than 90% of mutations are covered by the severe
CD39 mutation, while in Sicily the spectrum of mutations is wider
and rather similar to the spectrum of mutations in Greece.
In Greece, 27 β-thalassemia mutations have been detected. Of
those, 14 are β0 mutations that cause complete suppression of β
chain synthesis and the remaining 13 are β+ mutations with varying
degrees of incomplete suppression, ranging from severe suppression β+ (6), to mild β++ (2) and very mild β+++ (5). Some of the mutations are novel or specific for the Greek population (14).
The frequency of these mutations was evaluated in 1010 chromosomes from 505 homozygous patients with β-thalassemia (448 with
thalassemia major and 57 with intermedia) (15).
Of the total number of affected chromosomes 61% had a β+ and
only 38.9% β0 mutations.
Nearly 80% of affected chromosomes carried one of the five more
common mutations with an incidence above 5%.
The most common mutation was IVS1-110 in 45.2%, followed by
CD39 (15%) and IVS1-1 (12%).
Of interest was the heterogeneity in the spectrum of mutations
detected between patients with thalassemia major and intermedia.
The more common mutations in patients with thalassemia major
were similar to the thalassemic populations as a whole.
In contrast, the patients with thalassemia intermedia were compound heterozygotes of severe (β0 or β+ mutation) with mild β++
mutations (16).
Mutations
Alleles per cent
Major
Intermedia
β0 (severe)
Cd 39
IVSI-1
IVSII-1
FSC-6
(δ β0) Sic
Cd 6
8 others/<2%
16.5
12.2
2.7
2.1
2.1
0.2
3.2
11.0
7.0
8.5
–
5.0
3.0
–
TOTAL
39.0
34.5
β+ (severe)
IVS-1-110
IVS-II-745
IVS-5 ≠ Corfu del
3 others/<2%
44.0
5.6
1.1
0.5
13.0
1.0
4.0
–
TOTAL
51.2
18.0
β++mild and β+++ very mild
IVS1-6
-87
-28 A→G
Poly A
+1480 (C→T)
-101 (C→T)
+33p
7.0
1.8
0.2
0.2
–
–
–
14.0
7.0
3.0
11.0
2.0
9.0
1.0
TOTAL
9.2
47.0
Source: Kattamis C, Kanavakis E, Metaxotou-Mavromati A, Ladis V et al.
The genotype-phenotype interaction of β-thalassemia in Greece.
Unpublished data.
51
Rivista Italiana di Medicina dell’Adolescenza - Volume 2, n. 1, 2004
MAGAM NOTES
The experience gained during the last two decades in Cyprus, Italy, Greece and the United Kingdom
indicates that prevention is feasible though complicated
and expensive; it also necessitates careful consideration and adjustment of the prevention program to special local conditions.
In Cyprus preventive programs have resulted in a complete eradication of birth of affected children during the last 10 years; in
Sardinia and Greece only very few cases are born annually, while in
the United Kingdom, the results of prevention have been rather
disappointing (17).
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14th ed. Philadelphia W.B. Saunders, 1992; 154-155.
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Future Prospects
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Gardner RM, Sutherland GR. Chromosome abnormalities and
genetic counselling. Oxford, Oxford University Press, 1989.
Many of the developing countries of the Mediterranean area in which
hemoglobin disorders are common are experiencing a demographic
transition following improvements in public health and medical services that resulted in reductions in infant and childhood mortality.
Infants and children with hemoglobinopathies are now surviving to
require extensive and costly treatment.
In the near future, these conditions may place untenable burdens on
the public health systems in these countries.
At present, effective prevention programs are the best method for the
management of hemoglobinopathies. However, organization of
effective programs necessitates accurate epidemiological studies,
molecularly based if possible, appropriate medical services for prenatal diagnosis and termination of pregnancy if necessary, and
access to these services for the population at risk.
6.
McKusick VA. Mendelian Inheritance in Man. 12th ed, Baltimore Johns
Hopkins Univ. Press, 1998.
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Connor JM, Ferguson-Smith MA. Essential Medical Genetics. 2nd ed.
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Hb Bart’s hydrops fetalis Syndrome.
Seminars in Hematology 1995; 32:244-261.
Correspondence:
Christos Kattamis
1st Department Pediatrics, Choremis Research Lab,
St. Sophia Children’s Hospital, Athens, 115-27
e-mail: [email protected]
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