A proposito di una straordinaria figura dogon
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A proposito di una straordinaria figura dogon
A proposito di una straordinaria figura dogon ... un aiuto per la lettura dell’arte dogon 1 101X Dogon Arcaico, Mali. XVII /inizio XIX secolo. Legno duro con bella patina sacrificale. H. cm. 31,7. Provenienza: Ludwig Bretschneider [66122], Munich, 1966. Collezione privata tedesca. Collezione privata belga. 2 A proposito di una straordinaria figura dogon ____________________________________________________________ Superba statuetta antropomorfa realizzata in legno duro con patina scura, risultante da un lunghissimo uso. La scultura, che appare condotta secondo un andamento plastico del tutto surreale, riveste, allo stato attuale delle conoscenze, un carattere di assoluta unicità e costituisce un elemento di straordinaria importanza sul piano iconografico. Considerazioni preliminari Prima di portare la disamina nel dettaglio, mi preme ricordare (l’ho già fatto più volte nei miei scritti) come una scultura dogon non rappresenti mai un unico momento del rapporto ‘essere umano – universo’ ma ne colga svariati, in rapporto all’evoluzione della personale conoscenza iniziatica. Persino l’entità raffigurata può essere percepita in forma mutevole, in quanto la scultura, come diremmo oggi, costituiva una sorta di promemoria di interdizioni, di ammonizioni e di allusioni ai miti ancestrali. Anche la nostra conoscenza dell’intero pantheon o del divenire cosmogonico di questo popolo, che ci è stata rivelata grazie ad informazioni desunte da una tradizione orale [si pensi a Ogotemmêli e Griaule ...] e che mescola miti ed osservazione della realtà (Sirio ...), non può essere affrontata considerando tali “rivelazioni” come verità fondamentali, bensì vedendo in esse il frutto di una mediazione interpretativa, operata in prevalenza dagli Hogon. Aggiungerò, a questo punto, il mio atteggiamento di dissenso nei confronti di una pressoché totale omologazione degli appassionati sulle tesi cronologiche e culturali, generalmente mutuate da una tradizione orale assai tardiva, che in particolare Hélène Leloup aveva “codificato”. La comune accettazione di un tale metodo operativo, mi aveva fatto credere, per anni, di costituire una voce fuori dal coro. Poi, alla fine degli anni novanta, ho scoperto il pensiero di Nadine Martinez, studiosa francese, a cui va ascritto il merito di aver iniziato un processo di riordino dell’intera etnoestetica dogon. Facendo ora tesoro di tutte queste considerazioni, proverò a dare corpo ad una tale complessità iconografica, adottando un processo inverso, 3 partendo, cioè, dai particolari per giungere all’insieme. L’occhio Ciascun occhio, enorme, potrebbe far allusione a: - ‘la pietra per l’olio (sesso femminile)’ [pag. 117 in “Dio d’acqua”, Marcel Griaule, Bompiani, Milano, 1968] - ‘il paniere del sistema del mondo’ (paniere intrecciato che il suo costruttore aveva preso a modello e del quale gli uomini dovevano fare la loro unità di volume) o ‘granaio del sistema del mondo’ [pag. 52/54 in “Dio d’acqua”, opera citata]. - il simbolo di Sirio ⌠allegato *1⌡. - ‘il cofano dimezzato della serratura, con la sua chiave’, disegnato sopra all’altare di Amma per simboleggiare ‘la parola che Amma apporta al mondo’ [pag. 26 in “la serrure et sa clef “ G. Dieterlen in “Echange et communications réunis”, Paris, 1970⌠allegato *2⌡], al momento della fondazione della Ginna, la casa dogon [“Porte & Serrature - Dogon & Bambara”, Denise e Beppe Berna, Galleria del Vicolo Quartirolo, Bologna, 1980]. L’occhio ed il genio Tra le ‘mille’ sfaccettature che caratterizzano l’immagine del nommo (Jacky Bouju in “Le Génie et le pouvoir de l’eau - Nommo, le génie de l'eau. Paroles Dogon, Tellem & Nongom”, Université de Provence), senza scivolare in quel abusato alone fantascientifico che ahimè ha finito per avvolgere qualsiasi raffigurazione del nommo, si può ancora riconoscere in quei grandi occhi una chiara allusione al nommo femminile anfibio. La testa Oltre a quanto citato, la morfologia della testa si caratterizza per una fascia prominente centrale che del nommo evoca la metamorfosi in ‘serpente’, culminando anteriormente con l’immagine ‘del soggolo femminile’ e posteriormente con quella ‘della treccia di capelli’ [due elementi che segnano il passaggio tra la cultura Niongom e quella Bombou Toro ]. 4 La gamba sottile Scartata l’opinione di un autore [vicino a Bretschneider] che attribuiva l’assottigliamento dell’arto allo sfregamento di un anello, legato ad una catena, ed anche quella che lo collegherebbe ai morsi degli animali, richiamati dal profumo dell’unguento [ lannea acida ], che appare contraddetto dalla sopravvivenza della gamba stessa, si possono correttamente vedere in ciò gli esiti della pratica del grattage rituel, consistente nell’asportazione di frammenti, per la preparazione delle pozioni. Destituita di ogni fondamento, appare anche l’ingenua proposta formulata da qualche autore (Hélène Leloup ... ), di considerare analoghe sculture come raffigurazioni di malati, votate ad elevare una sorta di supplica per la guarigione e legate al culto del binu. Il personaggio mascherato Fra le varie ipotesi, che ho preso in considerazione e poi scartato, vi era anche quella dell’effigie di un personaggio mascherato (in alcune figure, comunque marcatamente meno arcaiche, si vedono maschere poste davanti al viso). L’insieme A questo punto, provando a costruire una sintesi riassuntiva di tutte queste ‘allusioni cultuali’, si può giungere a delineare come più verosimile, in una sorta d’insieme dinamico, l’immagine complessa del nommo femmina. La cronologia Sul piano cronologico, la scultura trova collocazione in un arco temporale compreso tra il XVII e l’inizio del XIX secolo. Per i Dogon Arcaici, una tale ascrizione coglie, di massima, il passaggio dalla cultura Niongom a quella Bombou Toro. I riscontri Come precisato in apertura, la mia ricerca, svolta tanto su fonti arcaiche quanto su moderni database, non ha sortito alcun riscontro puntuale e viene pertanto confermata, l’unicità di questa scultura. Ottimo stato di conservazione. ____________________________________________________________ Scritto da Beppe Berna a Bologna, Febbraio 2016 5 copyright © denise e beppe berna 6
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