l`allocazione del portafoglio nel ciclo di vita

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l`allocazione del portafoglio nel ciclo di vita
L’ALLOCAZIONE
DEL PORTAFOGLIO
NEL CICLO DI VITA
Quarant’anni di dibattito
Luigi Guiso
Einaudi Institute for Economics
and Finance & CEPR
Quaderno di ricerca
3 / 2016
Indice
Sommario 2
1. Introduzione
4
2. Una review della letteratura e del dibattito 7
3. Una riconsiderazione dell’evidenza empirica 17
4. Diversificazione e ciclo di vita 24
5. Implicazioni per gli advisors e gli asset managers 27
References
30
Indice
/1
L’allocazione del portafoglio nel ciclo di vita.
Quarant’anni di dibattito*.
Sommario
Questo lavoro ripercorre quarant’anni di dibattito
sull’allocazione del portafoglio nel ciclo di vita del
risparmiatore, offre nuove evidenze empiriche e trae
conclusioni per i profili di allocazione della ricchezza
lungo il ciclo di vita che consulenti finanziari e gestori
dovrebbero raccomandare alle famiglie. Il lavoro
mostra come il profilo ottimale da raccomandare
sia più complesso di quello semplice suggerito da
John Bogle, fondatore di Vanguard, secondo cui la
quota investita in azioni dovrebbe all’incirca essere
uguale a 100 meno l’età del risparmiatore. Le
raccomandazioni dovrebbero suggerire un piano di
* Questo lavoro, preparato per Assogestioni, attinge ai risultati
della mia ricerca con Andreas Fagereng e Charles Gottlieb
“Asset market participation and portfolio choice over the life
cycle”, Journal of Finance, 2016. Una versione del lavoro
è stata presentata a Milano al Salone del Risparmio, 2016.
allocazione della ricchezza tra azioni e obbligazioni
alle varie età, ma anche un programma per l’ingresso
nel mercato azionario all’inizio del ciclo di vita e per
l’uscita dal mercato azionario dopo che si lascia
il mercato del lavoro. Questi programmi devono
riflettere l’entità dello stock di capitale umano e la
sua incertezza nelle varie fasi del ciclo di vita, ma
anche la possibilità che occorrano eventi “disastrosi”
– eventi rari ma con conseguenze finanziarie molto
rilevanti. Tra questi, il rischio di crollo del mercato
azionario, di perdita prolungata del lavoro o di
malattie con lunghi periodi di cura.
Keywords: Scelte di portafoglio, allocazione nel ciclo di vita, consulenza finanziaria.
Sommario
/2
1
Introduzione
Figura 1 Profilo di allocazione del portafoglio nel ciclo di vita
raccomandato da Morningstar
100
90
80
70
60
50
40
30
20
10
0
Age 26 30 33 36 39 42 45 48 51 54 57 60 63
Stock share:low RA
Stock share:high RA
Da quando Burton Malkiel nel suo famoso libro
“A Random Walk Down Wall Street” suggerì che il
risparmiatore con un lungo orizzonte davanti a se
dovrebbe investire una buona parte dei risparmi nel
mercato azionario, la raccomandazione è divenuta
una regola per i practitioners. Morningstar, ad
esempio, traccia profili di allocazione del portafoglio
in cui raccomanda di allocare oltre il 90% della
propria ricchezza in un portafoglio azionario
all’età di 25 anni e ridurlo gradualmente di anno
in anno fino alla pensione (Figura 1). Ovviamente,
per un risparmiatore con una tolleranza al rischio
più bassa l’allocazione sarà più conservativa a ogni
età. Ma anche il profilo conservativo di Morningstar
raccomanda di investire il 75% in azioni all’età di 25
anni. John Bogle, il famoso fondatore di Vanguard,
ha cristallizzato questa raccomandazione in una
regola: investi in azioni un quota della ricchezza pari
a 100 meno l’età del risparmiatore. Un risparmiatore
di 25 anni che segue la regola di Bogle dovrebbe
investire il 75% della sua ricchezza finanziaria in
azioni e uno di 75 anni il 25%.
Nelle intenzioni di Malkiel - e implicitamente nelle
raccomandazioni di Morningstar e Bogle, come
di tutta l’industria dei fondi all’epoca - la ragione
per investire molto da giovani e ribilanciare con
l’avanzare dell’età, era che quando l’orizzonte
è lungo ci sono più opportunità per “rifarsi” da
una eventuale perdita (in particolare se rilevante)
rispetto a quando l’orizzonte è breve. In altre
parole, l’orizzonte lungo attenua il rischio perché
una perdita oggi può essere compensata con un
guadagno domani e quindi consente di prendere
più rischio, ottenendo così rendimenti più elevati
grazie all’equity
premium dell’investimento
azionario. Sebbene all’apparenza plausibile, questa
spiegazione è concettualmente sbagliata per
almeno due ragioni. Primo, perché l’orizzonte che
rileva per la valutazione del rischio non è quello
determinato dagli anni residui di vita, ma la distanza
che separa l’investitore tra un ribilanciamento del
portafoglio e l’altro. Se si investe per un anno,
quello che rileva è il valore dell’investimento dopo
un anno; quest’ultimo può essere lo stesso sia che
il risparmiatore abbia 50 o 70 anni. In aggiunta, se
è vero che la probabilità di incorrere in una perdita
investendo in azioni diminuisce con l’orizzonte
su cui si calcola il rendimento, è altrettanto vero
che anche l’esposizione a grosse perdite aumenta
con l’orizzonte di detenzione dell’investimento. Se
si investe in azioni per un anno un tracollo come
quello del 2008 può avvenire solo una volta. Se
si tiene l’investimento per 30 anni si può andare
incontro a 30 tracolli, seppure con probabilità molto
bassa. L’investitore è sensibile sia alla probabilità
1 - Introduzione
/4
della perdita sia alla sua entità. Mentre la prima
diminuisce con l’orizzonte, la seconda aumenta.
Se le due si compensano, la quota investita in
azioni può essere invariante all’orizzonte (si veda
Jagannathan e Kocherlakota, 1996). Sul finire
degli anni ‘60 e primi anni ’70 questo dibattito
investì accademici e practitioners, dove i primi
obiettavano ai secondi che il motivo usato per
raccomandare un profilo di investimento correlato
con l’età non aveva base analitica e i secondi che
ne difendevano la plausibilità. Quasi in simultanea,
Mossin (1968), Samuelson (1969) e Merton
(1969) costruirono casi in cui un risparmiatore
sceglieva il profilo ottimale del portafoglio lungo
il ciclo di vita (assieme a ricchezza e consumo) in
cui, sotto ipotesi non irragionevoli, l’allocazione
era la stessa indipendentemente dall’età e quindi
dall’orizzonte del risparmiatore. Ma se la ragione
a giustificazione della raccomandazione era errata
non necessariamente lo era la raccomandazione.
La domanda quindi è: quale è il motivo che fa sì
che la raccomandazione intuitivamente plausibile
di investire di più in azioni quando si è giovani e
ribilanciare il portafoglio verso una allocazione
meno rischiosa con il crescere degli anni è anche
una raccomandazione “giusta”, nel senso che è
ottima dal punto di vista del risparmiatore?
In questo lavoro ripercorro il dibattito su questo
argomento da quando si sviluppò nei primi anni
settanta agli ultimi anni (Sez. 2). Presenterò anche
nuove evidenze sull’effettivo comportamento dei
risparmiatori nel corso del ciclo di vita (Sez. 3 e 4) e
fornirò alcune implicazioni per le raccomandazioni
che gli intermediari finanziari dovrebbero dare ai
risparmiatori che pianificano la gestione dei loro
risparmi per la vecchiaia (Sez. 5).
Prima di procedere è utile chiedersi: l’allocazione
suggerita da Morningstar a chi è rivolta? O per
dirla diversamente, se a una persona di 30 anni si
raccomanda di investire l’80% dei propri risparmi
finanziari in azioni, questa raccomandazione implica
che tutti i trentenni dovrebbero investire in azioni?
E cosa succede all’allocazione della ricchezza dopo i
65 anni, l’età in cui si va in pensione? Implicitamente
il profilo suggerito da Morningstar implica che
tutti i risparmiatori dovrebbero partecipare al
mercato azionario a tutte le età, almeno fino al
pensionamento. Dopo non è chiaro. Ritornerò su
questo argomento più avanti.
1 - Introduzione
/5
2
Una review
della letteratura
e del dibattito
Le teorie dell’allocazione del portafoglio lungo il
ciclo di vita sviluppate alla fine degli anni sessanta
(Samuelson, 1969; Merton, 1969) mostrano che
per una famiglia è ottimale investire una quota
costante della propria ricchezza in un portafoglio
azionario (o attività rischiose, userò questi termini
come sinonimi) indipendentemente dall’età, ad
esempio il 60% della propria ricchezza finanziaria.
Questo risultato miliare è ottenuto sotto quattro
ipotesi chiave: che il rendimento delle azioni
sia indipendente da un periodo all’altro, che
l’attitudine al rischio dell’investitore non vari con
l’età, che il risparmiatore inizi la propria vita con
un dato stock di ricchezza da allocare con il quale
finanzia anche il proprio consumo – ovvero non ha
un reddito da lavoro; e che non ci siano “frizioni”
nei mercati, cioè comprare e vendere titoli non ha
costi, non ci sono commissioni, si può prendere a
prestito e assicurarsi facilmente etc. Queste ipotesi
non sono fatte per realismo, ma per isolare una
sola fonte di diversità tra i risparmiatori al variare
dell’età: la lunghezza dell’orizzonte temporale.
Se l’intuizione di Malkiel è vera si dovrebbe
trovare che l’allocazione del portafoglio dipende
dall’età. Questi contributi pionieristici generano
due implicazioni molto chiare: l’allocazione
del portafoglio tra azioni e titoli privi di rischio
(ipotizzando che ne esista uno) non varia con l’età
e quindi con l’orizzonte temporale. Ovviamente
se le persone differiscono nella loro avversione al
rischio, i più tolleranti investiranno una quota più
elevata in azioni, ma il profilo temporale è piatto a
tutte le età (anche dopo la pensione). In secondo
luogo, tutti i risparmiatori parteciperanno al
mercato azionario, anche se le persone hanno
orizzonti temporali diversi. Quindi il portafoglio
descritto dalla quota investita in azioni o dalla
partecipazione al mercato non ha nessun ciclo di
vita. Se ne conclude che la razionalizzazione di
Malkiel e di chi lo ha seguito per raccomandare
un profilo del portafoglio lungo il ciclo di vita
con una quota in azioni elevata da giovani e in
diminuzione con il progredire dell’età non ha un
fondamento robusto.
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/7
2.1 La “rivoluzione” di Merton
Household income in thousands of 1995 - USD
Reddito da lavoro ed età
60
50
40
30
20
25
Age
30
35
40
45
50
55
60
65
Less High School
High School
All
Fitted Polynomials
70
75
80
85
College
1500
1000
500
il valore della ricchezza in capitale umano evolve
con l’età del risparmiatore. Come mostra la Figura
2 il reddito da lavoro (calcolato su dati norvegesi
a cui farò riferimento più avanti; un profilo simile
tuttavia si osserva sui dati di qualunque paese,
Italia inclusa) segue una forma a campana lungo
il ciclo di vita e il capitale umano, calcolato sulla
base di questi profili di reddito, è molto elevato
da giovani, quando l’orizzonte di lavoro è lungo
e quindi si sconta al presente una lunga serie
di redditi a venire; ed è basso invece quando ci
si avvicina all’età della pensione e poi quando si
ottiene la pensione pubblica, assimilabile al reddito
da lavoro.
Non sorprendentemente, il livello del reddito
da lavoro e lo stock di capitale umano che ne
deriva, dipendono dal livello di istruzione e sono
mediamente più elevati per persone con istruzione
più elevata. Merton mostra che il capitale umano e
il reddito da lavoro giocano lo stesso ruolo di una
attività priva di rischio. Possiamo pensare al salario
0
HW in thousands of 1995 - USD
2000
Capitale umano ed età
Eppure, l’intuizione che investire meno nel mercato
azionario da anziani è così plausibile che non
può essere abbandonata con facilità. Negli anni
successivi, lo sforzo fu quello di costruire schemi
che potessero razionalizzare l’intuizione di Malkiel.
Chiaramente questo presupponeva l’abbandono
di una o più delle ipotesi fatte da Samuelson
(1969), Merton (1969) e Mossin (1968). In un
lavoro del 1971, Merton mostra che in presenza di
reddito da lavoro non è più vero che il profilo del
portafoglio investito in attività rischiose è piatto.
Se i risparmiatori, oltre ad avere della ricchezza
finanziaria accumulata, hanno anche del reddito
da lavoro, i risultati cambiano drammaticamente:
la presenza di reddito da lavoro genera un’altra
fonte di ricchezza su cui il risparmiatore può
contare nell’arco della propria vita, la ricchezza in
capitale umano. Questa (ipotizzando per semplicità
che il reddito da lavoro sia privo di rischio e possa
essere scambiato sul mercato) è uguale al valore
presente dei redditi da lavoro futuri, per una data
età del risparmiatore/lavoratore. Fatto importante,
Age
25
30
35
40
Less High School
All
45
50
55
60
High School
65
70
75
80
College
85
Figura 2 Reddito da lavoro e capitale umano nel ciclo di vita
Fonte: Fagereng, Gottlieb e Guiso (2016)
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come a una cedola staccata sul capitale umano,
analoga alla cedola degli interessi che maturano
su un’obbligazione. Nel decidere l’allocazione
tra attività rischiose e attività prive di rischio
(obbligazioni) il risparmiatore terrà conto di
quanto capitale umano ha e se ne ha tanto vorrà
scegliere un portafoglio più rischioso dato che ha
già in partenza una dotazione molto elevata di
ricchezza assimilabile a un’obbligazione. E poiché
il capitale umano è molto levato da giovani e
decresce con l’età, questo genera un profilo del
portafoglio finanziario che assomiglia a quello
raccomandato nella Figura 1. Sotto alcune ipotesi
semplificatrici, Merton mostra che la quota s(a)
della ricchezza finanziaria investita in azioni all’età
a è pari a:
dove H(a) è lo stock di ricchezza umana, W(a) lo
stock di ricchezza finanziaria e α(τ) la quota che
sarebbe investita in azioni se non ci fosse reddito
da lavoro. Quest’ultima dipende dalla tolleranza
al rischio del risparmiatore τ, oltre che dal premio
per il rischio delle azioni e dalla loro volatilità,
ma non dipende dall’età. Viceversa, la quota
s(a) effettivamente investita in azioni quando
il risparmiatore ha anche del reddito da lavoro
dipende dall’età, perché sia il capitale umano sia la
ricchezza accumulata evolvono lungo il ciclo di vita.
In particolare, la quota in azioni è elevata quando il
rapporto tra capitale umano e ricchezza finanziaria
è elevato e diminuisce se e quando questo
diminuisce. Come mostra la Figura 2, lo stock di
capitale umano è elevato da giovani e si riduce con
l’età. D’altra parte, la ricchezza accumulata segue
un pattern opposto fino alla pensione: cresce
perché le persone risparmiano e diminuisce più
o meno rapidamente dopo che le persone vanno
in pensione e usano parte dei risparmi passati per
sostenere il consumo. Quindi il rapporto H(a)/W(a)
diminuisce con l’età almeno fino alla pensione e
poi può aumentare, diminuire o più probabilmente
rimanere costante dato che sia il numeratore
sia il denominatore diminuiscono. A ogni età,
l’allocazione del portafoglio dipende dal rapporto
H(a)/W(a); per un giovane all’inizio dell’attività
lavorativa lo stock di ricchezza accumulato (a meno
di aver ricevuto una eredità dai genitori) sarà molto
contenuto, mentre lo stock di capitale umano sarà
molto elevato, per cui la quota in azioni sarà molto
elevata. Per una persona prossima alla pensione,
la ricchezza accumulata sarà al picco (per le stesse
ragioni messe in luce da Franco Modigliani nei
suoi lavori sul ciclo di vita del risparmio), mentre
il capitale umano sarà al minimo per cui anche la
quota in azioni sarà contenuta. Dopo la pensione
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/9
Financial Wealth in thousands of 1995 - USD
Ciclo di vita della ricchezza finanziaria
50
40
30
20
10
0
Age 25
30
35
40
45
50
55
60
65
70
75
80
Capitale umano/ricchezza finanziaria ed età
250
200
150
85
quest’ultima evolverà moderatamente. La Figura 3
mostra i profili tipici della ricchezza finanziaria e del
rapporto H(a)/W(a) calcolati su dati norvegesi. Il
punto rilevante è che il rapporto tra capitale umano
e ricchezza accumulata è molto elevato all’inizio
del ciclo di vita, per cui la quota ottimale in azioni
può facilmente eccedere l’unità – i risparmiatori
dovrebbero indebitarsi per investire sul mercato
azionario – ma scende molto rapidamente perché
rapidamente diminuisce il rapporto H(a)/W(a) .
Ad esempio, se l’equity premium è del 6% e la
deviazione standard dei rendimenti azionari è del
20%, un risparmiatore con un tolleranza al rischio
di 1/6 dovrebbe investire tutta la propria ricchezza
finanziaria in azioni se H(a)/W(a) =1, un rapporto
relativamente elevato che si realizza in giovane età,
e investirne invece il 25% quando H(a)/W(a)=0,
ovvero da anziani. Nelle età di mezzo, il portafoglio
dovrebbe essere ribilanciato di anno in anno per
adeguarlo all’evolvere del capitale umano che si
assottiglia con l’età.
Il modello di Merton ha il grandissimo pregio di
aver individuato una ragione solida e “naturale”
per investire di più in azioni da giovani e meno
da anziani e aiuta a disegnare meglio i profili di
100
50
investimento nel ciclo di vita. Ad esempio, implica
che le persone con livelli di istruzione più elevati
dovrebbero investire ancora di più in azioni da
giovani perché hanno un rapporto capitale umano/
ricchezza accumulata più elevato, ma dovrebbero
ribilanciare più rapidamente perché il capitale
umano scende più rapidamente con l’età. Il
modello, inoltre, genera una politica di allocazione
anche per il post-pensionamento che è determinata
essenzialmente dalla stessa forza che spiega la
dinamica del portafoglio prima del pensionamento:
l’evoluzione di H(a)/W(a). Per molti risparmiatori,
una ragionevole approssimazione è che il rapporto
H(a)/W(a) rimanga costante al variare dell’età
per cui anche la quota investita in azioni dovrebbe
rimanere costante.
Ma questo modello lascia aperti tre problemi.
Primo, genera livelli di investimento azionario
ottimali molto elevati da giovani, livelli che come
vedremo non si riscontrano nei dati (anche se la
raccomandazione di Morningstar è vicina al 100%
della ricchezza per i più giovani). Secondo, il modello
implica che tutti dovrebbero partecipare al mercato
azionario, sebbene con quote diverse in funzione
oltre che dell’età della loro avversione al rischio.
0
25
30
35
40
45
50
55
60
65
70
Figura 3 Ciclo di vita della ricchezza finanziaria e del rapporto tra capitale umano e ricchezza accumulata
Fonte: Fagereng, Gottlieb e Guiso (2016)
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/ 10
Figura 4 Ciclo di vita del portafoglio: oltre Merton
0.9
0.8
0.7
0.6
0.5
0.4
0.3
30
40
50
60
70
80
Quota del portafoglio in attività rischiose nel ciclo di vita
1 Si vedano i lavori di Gomes e Michaelides (2003), Gomes e
Michaelides (2005), Heaton e Lucas (1997), Gakidis (1998),
Haliassos e Michaelides (2002), Storesletten et al. (2007),
Campbell e Viceira (2001), Viceira (2001), Cocco et al. (2005),
Davis et al. (2006), Benzoni et al. (2007), Polkovnichenko (2007) e
Gomes et al. (2008) che emendano Merton in una o più direzioni.
Terzo, poiché le conclusioni sono ottenute sotto
una serie di ipotesi semplificatrici, c’è da chiedersi
se il meccanismo messo in luce da Merton come
forza trainante dell’allocazione del portafoglio nel
ciclo di vita – l’evoluzione del capitale umano –
rimanga vero in contesti più realistici.
Cominciamo dal terzo punto. Negli ultimi dieci anni
diversi studi hanno mostrato che le implicazioni di
base del modello di Merton (1971) si estendono ad
ambienti più complessi e realistici in cui il reddito da
lavoro è rischioso (i salari possono fluttuare di anno
in anno e si può perdere il lavoro), e questo rischio
non può essere facilmente assicurato, ci sono limiti
a quanto le persone possono prendere a prestito,
le persone hanno altre esigenze di risparmio, oltre
che per la pensione, come ad esempio accumulare
per comprare un immobile, oppure i loro redditi
da lavoro possono essere correlati, almeno nel
lungo periodo, con il rendimento nel mercato
azionario. Questi lavori mostrano che i risparmiatori
dovrebbero ribilanciare il loro portafoglio verso
una allocazione meno rischiosa mano a mano che
si avvicina il pensionamento e dovrebbero farlo
esattamente per la stessa ragione messa a nudo
da Merton: il capitale umano si riduce con l’età1.
schemi ipotizzando che il reddito da lavoro sia
incerto, che le persone vogliano lasciare un’eredità
ai figli e che ci siano dei limiti a quanto possono
prendere a prestito.
Sebbene la quota del portafoglio investita in
attività rischiose abbia un massimo da giovane,
seguito da una lunga fase di ribilanciamento
prima della pensione, la quota investita in attività
rischiose è bassa anche se crescente agli inizi del
ciclo di vita – quando l’incertezza sul mercato del
lavoro è molto elevata e dissuade dall’investimento
in azioni, generando un profilo più articolato di
quello raccomandato da Bogle o da Morningstar.
Questi schemi che inglobano ipotesi molto
più realistiche hanno il pregio di conservare
le implicazioni di base di Merton, ma hanno
comunque gli stessi suoi limiti: a) la quota investita
in azioni è molto elevata in genere, soprattutto da
giovani. In alcune fasi del ciclo di vita è pari al 100%
e non eccede questo valore solo perché è stato
imposto un limite all’indebitamento; b) ciascuno, a
qualsiasi età, partecipa al mercato azionario.
Ovviamente il profilo del portafoglio dipenderà
dai dettagli delle ipotesi. Ad esempio, quello nella
Figura 4 è un profilo tipico generato da questi
2 - Una review della letteratura e del dibattito
/ 11
2.2 Altri meccanismi per un ciclo di vita del portafoglio
Ovviamente possono esserci altri meccanismi, oltre
al ciclo di vita del capitale umano, che possono
generare un ciclo di vita del portafoglio e produrre
un profilo della quota in attività rischiose che
declina con l’età. Per esempio, come enfatizzato
da Bodie, Merton e Samuelson (1992), la maggior
flessibilità nell’offerta di lavoro quando si è giovani
rispetto a quando si è anziani consente di meglio
assorbire gli shock sui rendimenti del portafoglio
finanziario. Un altro meccanismo è ipotizzare
un profilo dell’avversione al rischio che cresca
con l’età, facendo ipotesi specifiche sulla forma
delle preferenze dei risparmiatori (Gollier and
Zeckhauser, 2002) o assumendo semplicemente
che l’avversione al rischio aumenti con l’età.
Oppure ipotizzare un ciclo di vita nella rischiosità
del capitale umano o nella prevedibilità dei
rendimenti azionari (Campbell and Viceira, 1999,
2002; Kandel and Stambaugh, 1995). Questi
fattori sicuramente possono contribuire a spingere
i risparmiatori e ribilanciare il proprio portafoglio
mano a mano che si avvicinano alla pensione, ma
nessuno è così poco controverso come il ciclo di
vita del capitale umano: è un fatto della vita che
lo stock di quest’ultimo sia elevato da giovani e
diminuisca con l’età.
2 - Una review della letteratura e del dibattito
/ 12
2.3 L’evidenza empirica
A dispetto delle implicazioni di questi modelli, i
dati microeconomici sui portafogli delle famiglie
mostrano due aspetti distinti: primo, la partecipazione
al mercato è limitata a tutte le età. Ovvero, solo
una quota di risparmiatori investe in azioni, vuoi
direttamente comprando i titoli di singole imprese
o indirettamente attraverso un fondo comune o un
ETF. Inoltre, la partecipazione al mercato segue un
evidente profilo per età: è bassa all’inizio del ciclo
di vita e sale continuamente fino alla pensione,
dopodiché scende monotonicamente. Questo
è vero in tutti i paesi (Guiso, Haliassos e Jappelli,
2002). In secondo luogo, la quota investita in azioni
tra coloro che partecipano al mercato azionario
sembra variare con l’età, ma il pattern in questo
caso è piuttosto controverso e varia a secondo del
paese, del campione, delle tecniche di stima, etc.
Riassumendo l’evidenza per vari paesi e diversi
lavori, Guiso et al (2001), sostengono che il profilo
della quota in attività rischiose tra i partecipanti
sia relativamente piatto. Sebbene in alcuni casi
“sembra che si intraveda una tendenza verso un
moderato ribilanciamento del portafoglio verso
attività meno rischiose con l’avanzare dell’età“. Una
ragionevole caratterizzazione del comportamento
dell’investimento finanziario nel ciclo di vita
effettivamente osservato è quindi un profilo a forma
di campana della partecipazione al mercato, con un
picco prima della pensione e un profilo costante o al
massimo lievemente calante della quota di ricchezza
investita in azioni. Queste evidenze sono in deciso
contrasto con i modelli illustrati in precedenza che
prevedono partecipazione al mercato a tutte le età da
parte di tutti e un profilo della quota che cala molto
rapidamente. La mancanza di evidenza empirica
sulla seconda implicazione è particolarmente
problematica perché se la ragione per ribilanciare il
portafoglio nel corso del ciclo di vita è la tendenza
del capitale umano a diminuire, dovrebbe essere
facile trovare evidenza di ribilanciamento proprio
perché il motivo che lo causa è un dato di fatto.
Partendo da queste osservazioni empiriche, lo
sforzo di diversi modelli è stato quello di cercare di
razionalizzare questi aspetti modificando in una a
più direzioni il modello di Merton e successivi. In
genere questi schemi falliscono su tre dimensioni:
a) generano quote troppe elevate di investimento in
azioni da giovani e quindi b) un ribilanciamento del
portafoglio molto marcato; c) non spiegano l’uscita
dal mercato azionario degli anziani.
2 - Una review della letteratura e del dibattito
/ 13
Tuttavia, mentre la limitata partecipazione al
mercato azionario e il profilo a campana della
partecipazione sono aspetti molto robusti dei dati,
ci sono almeno tre ragioni per dubitare dell’evidenza
empirica sul profilo della quota in azioni. Primo, il
grosso dell’evidenza empirica è ottenuta da indagini
cross section, riferite a un singolo anno. Queste
comparano non la quota dello stesso individuo a
due età diverse ma le quote di due individui con età
diverse nello stesso anno. Pertanto non è possibile
separare l’effetto dell’età da quello della coorte di
appartenenza: infatti, in un determinato anno, due
individui con età diverse appartengono a due coorti
diverse. Pertanto, eventuali differenze o assenza di
differenze nelle modalità di investimento, anziché
riflettere l’età possono riflettere il fatto che si è nati
in anni diversi e questo influenza la composizione
del portafoglio. È possibile ad esempio, che persone
che si sono affacciate al mercato azionario negli anni
dell’ultima crisi finanziaria – quelli oggi più giovani
– siano rimasti scottati dall’esperienza e questo
li induca a contenere la quota investita in azioni,
relativamente a persone che avevano iniziato la loro
esperienza come investitori/risparmiatori in anni
tranquilli. In questo caso il profilo per età stimato
dai dati in sezione risulterà più piatto di quanto in
verità non sia. In secondo luogo, la maggior parte
di questi studi non tiene conto del fatto che la
partecipazione al mercato è una scelta, al pari di
come allocare la ricchezza una volta che si decide di
partecipare. Un terzo (e serio) problema è che questa
evidenza promana principalmente da dati di survey
che sono notoriamente soggetti a severi problemi
di misura, particolarmente riguardo alla misurazione
della ricchezza delle famiglie. Ancor più rilevante è
che l’errore di misura può essere correlato con l’età
dando origine a pattern per età nella allocazione
del portafoglio, anche quando in realtà non siano
presenti, o occultando quelli che effettivamente
esistono. Questo ad esempio potrebbe avvenire
se la tendenza a under-report o a non riportare
del tutto i valori di specifici asset è correlata con il
livello della ricchezza che a propria volta è correlata
con l’età. In aggiunta, poiché le azioni sono uno
strumento meno presente nel portafoglio degli
investitori, e gli intervistati lo sanno, tenderanno a
mentire proprio su questi strumenti perché è meno
probabile che la loro bugia possa essere messa in
dubbio dall’intervistatore. Pertanto, effetti di età
spuri possono apparire quando si stima la relazione
tra composizione del portafoglio ed età usando dati
di survey.
Alcuni lavori sono meno soggetti a queste critiche.
Un’eccezione importante è Ameriks e Zeldes (2002).
Essi cercano di superare questi problemi usando un
panel di dati di risparmiatori di TIAA-CREF che copre
13 anni dal 1987 al 1999. Poiché osservano lo stesso
2 - Una review della letteratura e del dibattito
/ 14
risparmiatore per diversi anni, in linea di principio
possono distinguere tra variazioni del portafoglio
dovute all’età e quelle dovute all’anno di nascita,
oltre alle variazioni dovute al fatto che in determinati
anni i valori di borsa – e quindi la composizione del
portafoglio individuale – salgono o scendono per tutti
(effetti temporali). Inoltre poiché i dati hanno natura
amministrativa, sono esenti da problemi di under- o
non-reporting. Utilizzando una serie di metodologie
alternative essi sostengono che una ragionevole
caratterizzazione del portafoglio nel ciclo di vita nei
loro dati è tale per cui il profilo della partecipazione
lungo il ciclo di vita è a forma di campana, mentre
la quota investita in azioni mostra poca variazione
all’aumentare dell’età. Pertanto nella loro visione,
gran parte dell’aggiustamento nella gestione lungo
il ciclo di vita riguarda la partecipazione al mercato
piuttosto che la quota di ricchezza investita in azioni
tra i partecipanti al mercato azionario.
Sebbene i risultati di Ameriks e Zeldes (2002)
segnino un importante progresso nella letteratura
empirica, essi lasciano aperti una serie di dubbi.
Innanzitutto, i dati di TIIA-CREF riportano soltanto
gli asset detenuti dai risparmiatori presso TIIA-CREF,
non il loro portafoglio complessivo. Per di più, la
parte del portafoglio che rimane fuori è tutt’altro
che trascurabile: i risparmi pensionistici sono
infatti mediamente meno del 30% della ricchezza
finanziaria della famiglia media americana secondo
i dati della Survey of Consumer Finances. E non vi è
alcuna ovvia ragione per pensare che l’allocazione
del risparmio pensionistico sia la stessa del resto
della ricchezza finanziaria. In secondo luogo, i dati
si riferiscono all’individuo che partecipa al fondo,
non alla famiglia. Se l’asset allocation è una
decisione congiunta di marito e moglie, non tenere
conto di questo aspetto produce stime distorte.
In terzo luogo i partecipanti ai fondi TIAA-CREF
appartengono a un gruppo selezionato di individui
– tipicamente lavoratori di istituzioni di ricerca –
con caratteristiche marcatamente diverse dalla
popolazione. Poiché la relazione tra portafoglio e
ciclo di vita, stimata con questi dati, riflette il pattern
per età delle caratteristiche che rilevano per le scelte
di investimento (come il profilo per età del capitale
umano, quello della sua rischiosità, etc.), se questi
profili differiscono tra gruppi allora anche il profilo
del loro portafoglio sarà diverso. Pertanto, i clienti
di TIAA-CREF potrebbero non essere una buona
caratterizzazione del risparmiatore medio. Infine, la
dinamica dell’allocazione dei risparmi detenuti in un
fondo pensione può essere influenzata dalle regole
che governano il fondo che potrebbero anche
comportare un profilo per età dell’allocazione meno
pronunciato di quello del portafoglio complessivo di
un risparmiatore non soggetto a vincoli.
2 - Una review della letteratura e del dibattito
/ 15
3
Una riconsiderazione
dell’evidenza empirica
Come suggeriscono i precedenti rilievi e come
messo in luce da John Campbell nel suo Presidential
Address all’American Financial Association del
2006, il dataset ideale per studiare il ciclo di vita del
portafoglio finanziario delle famiglie è uno in cui:
1. si può seguire la famiglia e i suoi componenti
nel tempo per un numero elevato di anni in
modo da osservarli per una porzione importante
del loro ciclo di vita;
2. sono contenute informazioni dettagliate
sulla ricchezza delle persone e su tutte le singole
componenti;
3. i dati delle attività non sono influenzati da
errori di misura;
4. si osservano anche i redditi da lavoro delle
persone, possibilmente senza errore di misura.
Dati di questa natura sono rari e in genere non
esistono nella maggior parte dei paesi. Un’eccezione
è la Norvegia che raccoglie esattamente il dataset
ideale usato nel mio studio con Fagereng e Gottlieb
per studiare l’allocazione del portafoglio nel ciclo di
vita. Poiché in Norvegia la ricchezza è tassata, ogni
anno i contribuenti devono riportare al fisco tutte le
componenti della loro ricchezza. In realtà, per quanto
riguarda la ricchezza finanziaria, i dati al fisco sono
consegnati direttamente dagli intermediari presso
cui le attività sono detenute. Questo garantisce
che non ci siano under- o non-reporting, vuoi per
carenza di memoria vuoi per occultare il dato al
fisco a fini di evasione fiscale. I dati sono inclusivi
di tutte le componenti della ricchezza, strumento
per strumento, e possono essere poi riaggregati per
separare il portafoglio rischioso dal resto. I dati sono
disponibili per quasi venti anni, a partire dal 1995, e
coprono quindi una fetta importante del ciclo di vita
della famiglia. Le dichiarazioni sono fatte a livello
di singolo contribuente, ma un codice famigliare
consente di riaggregare i dati per famiglia. Poiché
i dati coprono l’intera popolazione, non sono
influenzati da “attrition” – la tendenza nelle survey
panel del campione a mutare composizione in
modo selettivo perché alcuni escono dal campione
(ad esempio i più ricchi che hanno anche più azioni
tendono ad uscire per primi). Le uscite qui sono
dovute solo a causa di morte (nella maggior parte
dei casi) o di divorzio o perché alcuni lasciano il
paese. Infine, per ciascun individuo si può ottenere
da un diverso file il suo reddito da lavoro e quindi
misurare lo stock del suo capitale umano (come
fatto nella Figura 1).
3 - Una riconsiderazione dell’evidenza empirica
/ 17
3.1 Cosa dicono i dati norvegesi?
Queste caratteristiche rendono i dati Norvegesi
ideali per studiare l’allocazione del portafoglio nel
ciclo di vita. Dividendo le attività finanziarie detenute
dalle famiglie in due gruppi, attività rischiose
(azioni in portafoglio detenute direttamente o
attraverso un fondo comune ) e liquidità (depositi
in conto corrente o a risparmio, obbligazioni statali
etc.) si può studiare l’allocazione del portafoglio
tra queste due asset class. Per facilitare lo studio,
Fagereng et al (2016) hanno estratto un campione
pari al 20% delle famiglie presenti nel 1995 e le
hanno poi seguite nel tempo. Nel 1995 l’età media
del capofamiglia era di 51 anni e la maggior parte
disponeva di un diploma di scuola media superiore.
Per la maggioranza delle famiglie il portafoglio era
composto di asset non rischiosi. Nel 1995 il 36%
della popolazione aveva azioni in portafoglio, di
cui 25% direttamente e il 24% attraverso fondi
comuni. La quota investita in attività rischiose tra i
partecipanti era del 32% di cui 23% direttamente
e il 9% tramite fondi. Nel corso degli anni, queste
proporzioni cambiano molto, con una crescita
dell’investimento in fondi mano a mano che
l’industria si espande e diffonde.
3 - Una riconsiderazione dell’evidenza empirica
/ 18
3.2 Profili per età
Ciclo di vita della quota
.4
1965 1960
1955
1950
.3
1970
Risky Share
1945
1940
1935
.2
1930
1925
1920
.1
Age
25
30
35
40
45
50
55
60
65
70
75
80
85
90
Ciclo di vita della partecipazione
.6
Participation Share
.5
1940
.4
1935
1930
1945
1955
.3
1920
1965
1970
.1
Age
Il grafico mostra ad esempio che nel 2003 (questo
è evidente se si osserva il pattern delle coorti del
1970 e del 1965) la quota in attività rischiose
per queste coorti, così come per le successive,
1925
1950
1960
.2
25
30
35
40
45
50
La Figura 5 riporta il profilo della quota della
ricchezza finanziaria investita in attività rischiose
(grafico superiore) e la partecipazione al mercato
al variare dell’età (grafico inferiore) per una serie
di coorti presenti nel campione. Ad esempio, nel
primo grafico la prima coorte evidenziata è quella
dei nati nel 1970 che nel 1995, quando iniziano i
dati, hanno 25 anni. Questi risparmiatori vengono
seguiti negli anni successivi. La seconda coorte
mostrata comprende quelli nati cinque anni prima
(nel 1965), che nel 1995 avranno quindi trent’anni,
sovrapponendosi alla coorte dei nati nel 1970
quando questi raggiungono i 30 anni nel 2000.
Ovviamente per ogni coorte, un anno di età in più è
anche un anno di calendario in più e l’osservazione
risente sia del passaggio dell’età sia di quello che
succede in quell’anno specifico.
55
60
65
70
75
80
85
scende moltissimo. Con tutta probabilità quel calo
è il riflesso di un crollo nella borsa di Oslo che
nel 2003 perse il 30%, facendo quindi scendere
automaticamente la quota di portafoglio in azioni.
Nel complesso, mettendo assieme queste diverse
coorti e seguendo l’evoluzione della composizione
del loro portafoglio al variare dell’età, il grafico
mostra che le coorti giovani che partecipano al
mercato azionario investono una quota elevata ma
relativamente costante in attività rischiose per un
certo numero di anni e poi iniziano a ribilanciare
il portafoglio ben prima di andare il pensione. Il
grafico della partecipazione, visto nel suo insieme,
suggerisce un profilo della partecipazione a forma
di campana. La partecipazione al mercato è bassa
da giovani e cresce costantemente fino agli anni
intorno al pensionamento; dopodiché tende a
declinare. Anche in questo caso ci sono differenze
di livello tra le coorti. In particolare, a parità di età
le generazioni più giovani tendono ad essere più
presenti sul mercato azionario delle generazioni
più anziane. Questo può dipendere dal fatto che
Figura 5 Ciclo di vita della quota e della partecipazione in attività rischiose.
Fonte: Fagereng, Gottlieb e Guiso (2016)
3 - Una riconsiderazione dell’evidenza empirica
/ 19
le generazioni più giovani sono cresciute proprio
mentre si affermavano i fondi comuni.
La Figura 6 mostra il profilo per età del tasso di
ingresso nel e di uscita dal mercato azionario usando
due definizioni alternative: la quota di entranti
(numero di persone che entrano nel mercato all’età
a e che non erano nel mercato all’età a-1 diviso per
il numero di persone di età a-1) e di uscenti (numero
di persone di età a che escono dal mercato diviso
per il numero di persone di età a-1 che erano nel
mercato) complessive e la quota di entranti di età a
che entrano per la prima volta e quella di uscenti di
età a che escono definitivamente.
Figura 6 Ciclo di vita dell’ingresso e dell’uscita dal mercato azionario
Ingresso
.15
Entry Rate
.1
.05
0
Age
30
35
40
45
50
55
Entry
60
65
70
75
80
85
Entry first time
Uscita
.1
Exit Rate
.08
.06
.04
.02
Age
30
35
40
45
50
55
Exit
60
65
Exit forever
70
75
80
85
Sia la probabilità totale di ingresso nel mercato
sia quella di ingresso per la prima volta sono
elevate tra i giovani e diminuiscono parecchio
con l’età. La differenza tra le due misure non è
marcata. L’uscita dal mercato mostra invece una
grossa differenza tra le due misure. La probabilità
di uscita permanente è molto bassa tra i giovani,
ma cresce parecchio con l’età soprattutto nel
periodo successivo alla pensione. Invece il tasso
di uscita totale, che include anche le uscite
temporanee, è molto alto tra i giovani. Questo
pattern suggerisce che i giovani sperimentino
con il mercato azionario. Alcuni, dopo la prima
esperienza rimangono delusi e abbandonano
definitivamente l’investimento azionario. La
maggior parte tuttavia ritorna a investire dopo
essere uscita.
Per meglio evidenziare la gestione del portafoglio
lungo il ciclo di vita, la Figura 7 mostra il profilo per
età della quota e della partecipazione al mercato
azionario stimati combinando le varie coorti.
I profili stimati mettono in luce in modo chiaro
tre aspetti della politica di investimento nel ciclo
di vita effettivamente seguita dalle famiglia in
media. Primo, non tutti partecipano al mercato. La
partecipazione è molto bassa da giovani ma cresce
rapidamente con l’età. A 45 anni più della metà delle
persone investe in azioni. I risparmiatori cominciano
a uscire dal mercato azionario quando iniziano a
uscire anche dal mercato del lavoro, intorno ai 65
anni. Secondo, la quota della ricchezza finanziaria
investita in attività rischiose tra in partecipanti al
mercato è elevata da giovani e relativamente piatta;
inizia a declinare già intorno ai 40 anni e scende
continuamente fino all’età della pensione di circa 20
punti percentuali. Quindi i risparmiatori ribilanciano
il loro portafoglio molto prima della pensione a
un ritmo di quasi un punto percentuale all’anno.
Congiuntamente, i due profili rappresentati nel
grafico suggeriscono una politica di aggiustamento
del portafoglio finanziario su due margini: un primo
margine che prevede il ribilanciamento della quota
molto prima della pensione; un secondo margine
Fonte: Fagereng, Gottlieb e Guiso (2016)
3 - Una riconsiderazione dell’evidenza empirica
/ 20
Figura 7 Ciclo di vita della quota e della partecipazione al mercato azionario
.7
.5
.5
.4
.4
.35
.3
.3
Age 25
.2
30
35
40
45
Risky Share (left)
50
55
60
65
70
75
80
85
Participation Probability (right)
Fonte: Fagereng, Gottlieb e Guiso (2016)
Participation
Conditional Risky Sahre
.6
.45
che vede l’uscita dal mercato azionario a partire
dall’uscita dal mercato del lavoro.
Questa evidenza dà supporto empirico al
meccanismo suggerito da Merton (1971) e
confermato dagli studi successivi. Ma allo stesso
tempo va oltre questo meccanismo perché implica
una quota investita in attività rischiose, soprattutto
tra i giovani, molto più bassa di quella prevista da
Merton e dai modelli successivi. E prevede una
probabilità positiva di uscita dal mercato tra gli
anziani che invece non è prevista da Merton (1971)
né dai modelli a lui successivi.
Fagereng et al (2016) emendano ulteriormente
i recenti modelli di allocazione del portafoglio nel
ciclo di vita per cercare di cogliere questi aspetti
suggeriti dai dati. A questo fine, oltre a usare ipotesi
di realismo come incertezza nei redditi da lavoro,
limiti alla possibilità di prendere a prestito e non
assicurabilità dei redditi da lavoro, introducono due
nuovi ingredienti chiave:
a.un (piccolo) costo fisso di partecipazione al
mercato azionario da pagare ogni periodo per
rimanere nel mercato azionario;
b.una piccola probabilità che si verifichi un
evento disastroso se si investe in azioni.
Ovvero la possibilità che si possa incorrere in
una perdita molto elevata – ad esempio del
50% – con bassa probabilità per la componente
azionaria del portafoglio finanziario.
Il costo fisso di partecipazione implica che non è necessariamente desiderabile stare sul mercato azionario in ogni periodo; se il livello della ricchezza che si
investe in azioni è sufficientemente contenuto, può
essere ottimale rinunciare all’equity premium, non
partecipare al mercato e risparmiare il costo fisso di
partecipazione. Questa possibilità interessa di più i
giovani – che hanno poca ricchezza accumulata perché ancora all’inizio del ciclo di vita – e gli anziani
in tarda età dopo che hanno decumulato una parte rilevante dei loro risparmi e rimangono con una
ricchezza contenuta. Il secondo ingrediente – una
piccola probabilità di un disastro – cattura un rischio
importante. La possibilità di incorrere in una perdita
notevole del capitale investito nel portafoglio azionario. Questo rischio è distinto dalla normale volatilità
che caratterizza i rendimenti azionari di anno in anno
e riflette episodi di crolli di borsa associati a crisi finanziarie come quella del 1929 o del 2008, oppure
casi di truffe a cui un investitore può essere esposto.
In entrambi i casi si tratta di eventi rari, ma con gravi
conseguenze per l’investimento.
Fagereng et al (2016) mostrano che con questi
ingredienti addizionali la gestione del portafoglio
lungo il ciclo di vita assomiglia molto a quella
osservata nei dati. In particolare:
a.La partecipazione al mercato è limitata a ogni età
e ha una forma a U rovesciata. I giovani entrano
3 - Una riconsiderazione dell’evidenza empirica
/ 21
nel mercato piano piano e gli anziani tendono
a uscire dopo il pensionamento. La ragione
principale per cui i giovani non partecipano
al mercato è la presenza del costo fisso di
partecipazione, mentre il rischio di disastro ha
un effetto limitato una volta che c’è un costo
di partecipazione. L’opposto per gli anziani: il
costo di partecipazione ha una effetto molto
limitato sull’uscita degli anziani dal mercato,
mentre quest’ultima è estremamente sensibile
al rischio di disastro. Questo comportamento
è intuitivamente molto plausibile. I giovani
hanno poca ricchezza e pertanto il costo di
partecipazione tende a eccedere il beneficio
dell’equity premium perché questo incide su
un investimento azionario contenuto in valore.
D’altro canto, proprio perché hanno poco
da investire in borsa e gran parte della loro
ricchezza è in capitale umano, sono anche poco
sensibili al rischio di un crollo in borsa. Per gli
anziani è vero l’opposto: una volta in pensione
posseggono i risparmi di una vita: il costo fisso
per loro è abbastanza irrilevante. Ma sono
estremamente sensibili al rischio di perdere
quanto risparmiato (anche se la probabilità è
bassa) perché il loro benessere futuro dipende
principalmente dai risparmi accumulati.
b.La quota investita in azioni è elevata da
giovani e il ribilanciamento della quota
comincia molto prima della pensione. Il
timing dell’aggiustamento della quota tra i
partecipanti al mercato e il timing dell’uscita è
simile a quello che si osserva nei dati.
c.La quota investita in azioni tra i partecipanti
è intorno al 50% tra i giovani, quindi molto
più contenuta che nei modelli à la Merton. La
ragione è che la probabilità che si verifichi un
disastro equivale a una riduzione dell’equity
premium e questo porta uniformemente a
una riduzione della quota investita in attività
rischiose.
d.Infine, tra coloro che rimangono sul
mercato, la quota investita in azioni dopo il
pensionamento è essenzialmente costante.
Nel complesso, questi risultati suggeriscono che la
raccomandazione sull’allocazione della ricchezza
lungo il ciclo di vita, se deve rimanere vicina
all’allocazione ottima, è molto più articolata di
quella riassunta nella regola approssimativa di
Bogle. Ritornerò su questo più avanti, discutendo le
implicazioni per l’industria.
3 - Una riconsiderazione dell’evidenza empirica
/ 22
4
Diversificazione
e cicli di vita
Figura 8 Ciclo di vita del grado diversificazione del portafoglio rischioso
.9
.85
.8
.75
20
40
60
80
Indipendentemente
dall’età,
il
portafoglio
rischioso dovrebbe essere ben diversificato. In
linea di principio se tutti sfruttano le opportunità
di diversificazione non dovrebbe esserci nessun
ciclo di vita nel grado di diversificazione. Sappiamo
però che molti investitori retail non diversificano
o diversificano poco. Ma c’è un ciclo di vita? Ad
esempio, se le persone apprendono con l’esperienza
i vantaggi della diversificazione, si potrebbe
osservare un profilo, crescente con l’età, del grado
di diversificazione del portafoglio rischioso. Per
affrontare questa questione costruisco un semplice
indice di diversificazione come in Guiso e Jappelli
(2008), definito come:
Age
D=1-
Fonte: Elaborazioni sui dati norvegesi
Quota nel portafoglio rischioso
di azioni detenute direttamente
Numero di azioni detenute direttamente
Questo indice è pari a 1 se il risparmiatore investe
tutto in un fondo comune, per ipotesi ben
diversificato, e pari a zero se il portafoglio rischioso
è tutto investito in una singola azione e quindi per
niente diversificato.
La Figura 8 mostra il profilo per età dell’indice,
rappresentando al solito l’evoluzione per un insieme
selezionato di coorti di età. A tutte le età e per tutte
le coorti il grado di diversificazione del risparmiatore
medio è ragionevolmente elevato ma non completo.
Ma, fatto abbastanza sorprendente, il grado di
diversificazione declina con l’età: è massimo per i
giovani fino ai 40 anni e poi diminuisce. Prima facie
questa evidenza è contraria all’idea che i risparmiatori
apprendono i benefici della diversificazione con
l’età. Che cosa avviene?
La Figura 9 aiuta a chiarire cosa verosimilmente sta
accadendo. Il grafico superiore mostra come evolve
lungo il ciclo di vita il possesso medio di singole
azioni detenute in portafoglio. Come si vede,
questo aumenta con l’età e spiega perché l’indice
di diversificazione invece diminuisce. Il secondo
grafico mostra l’evoluzione con l’età del rendimento
della ricchezza finanziaria. Il fatto interessante è che
il rendimento ha un profilo crescente, almeno a
partire da una certa età.
Questo pattern non può essere spiegato con
l’evoluzione della composizione del portafoglio:
ridurre la quota in attività rischiose comporta
infatti un rendimento medio più basso e quindi
dovremmo osservare un profilo per età decrescente.
Un’interpretazione possibile è che con l’esperienza
maturata negli anni le persone imparano a selezionare
azioni che hanno potenziale di rendimento
maggiore. Questo le spinge a prendere più rischio
idiosincratico inserendo all’interno del portafoglio
rischioso, accanto a un portafoglio azionario
diversificato (uno o più fondi comuni), alcune
singole azioni selezionate con cura che consentono
4 - Diversificazione e cicli di vita
/ 24
di innalzare il rendimento del portafoglio. Questa
spiegazione è coerente con la riduzione dell’indice
di diversificazione, l’aumento con l’età del numero
di singole azioni in portafoglio e il profilo crescente
del rendimento della ricchezza finanziaria. Essa è
anche coerente con alcune evidenze preliminari in
Fagereng, Guiso, Malacrino e Pistaferri (2016) che
mostrano come le famiglie con rendimenti della
ricchezza più elevati tendano a investire in azioni
con un alfa medio più elevato.
Numero di azioni in portafoglio ed età
1.2
1
.8
.6
.4
Age 20
40
60
80
Profilo per età del rendimento della ricchezza (deviazioni dalla media)
0.7
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
0
-0.2
-0.2
Figura 9 -0.3
Numero di azioni singole in portafoglio e rendimento della ricchezza nel ciclo di vita
Fonte: Fagereng, Gottlieb e Guiso (2016)
Age
31 35 39 43 47 51 55 59 63 67 71 75
4 - Diversificazione e cicli di vita
/ 25
5
Implicazioni per gli advisors
e gli asset managers
I risultati precedenti hanno una serie di implicazioni
per gli advisor e per gli intermediari che offrono
raccomandazioni sul profilo di allocazione della
ricchezza nel ciclo di vita delle famiglie. Innanzitutto,
non tutte le famiglie diversificano abbastanza.
Nonostante la Figura 8 mostri che il risparmiatore
medio ha un portafoglio rischioso abbastanza
ben diversificato, c’è molta eterogeneità nei
dati. Parecchi hanno portafogli con ampi margini
di accrescimento del grado di diversificazione.
L’accesso a portafogli azionari a costi contenuti
può facilitare la diversificazione dei portafogli.
In secondo luogo, non tutti partecipano al mercato
azionario. Per molti è la scelta razionale da fare,
perché il costo fisso di partecipazione eccede
il premio di rendimento dall’investire in azioni.
Per altri può essere una scelta sub-ottimale se si
ritraggono dall’investimento azionario non perché
poco conveniente ma perché non si sentono
sufficientemente fiduciosi su come gestire questo
tipo di investimento, e il desiderio di evitare
l’ansia del fare qualcosa per cui non ci si sente
competenti porta alla rinuncia. L’intermediario è
l’esperto che consente di superare e governare
l’ansia, possibilmente rendendo il costo di accesso
sopportabile.
Terzo, il profilo di investimento da raccomandare è
molto più articolato di quelli tipicamente suggeriti
dall’industria. Ad esempio, contrariamente alla
regola di Bogle, in cui la quota declina sempre con
l’età, la quota da investire in azioni può essere non
monotona nell’età. Per le persone nelle fasi inziali
del ciclo di vita la quota investita in azioni può essere
contenuta e crescere con l’età; per poi diminuire
quando si comincia a bilanciare il portafoglio verso
una composizione meno rischiosa. Questa politica
dipende dalla rischiosità del capitale umano che
tende a essere molto più elevata in giovane età.
Quarto, il portafoglio dovrebbe riflettere le
caratteristiche del capitale umano e la sua
evoluzione nel ciclo di vita. Ad esempio, la quota
dovrebbe essere più elevata per risparmiatori con
elevata istruzione e questi dovrebbero ribilanciare
più rapidamente. La quota dovrebbe anche
riflettere la rischiosità del capitale umano ed essere
più bassa per risparmiatori con redditi da lavoro
più volatili.
Quinto, l’allocazione del portafoglio dovrebbe
tenere conto del rischio di disastri. Alcuni di questi
sono specifici ai gruppi di età: il rischio di perdita
protratta del lavoro è elevato per i giovani; il
rischio di shock sulla salute e di lunghe (e onerose)
degenze è rilevante per gli anziani; i rischi di crollo
del mercato rilevano per tutti, anche se la sensitività
è diversa per giovani e “vecchi”.
Sesto, la raccomandazione non dovrebbe esaurirsi
con l’età della pensione ma dovrebbe coprire
anche gli anni post-pensione.
5 - Implicazioni per gli advisors e gli asset managers
/ 27
Infine, il profilo di allocazione della ricchezza nel
ciclo di vita non si esaurisce nella decisione della
quota da investire in azioni a ogni età, ma anche
nella possibilità di entrare e uscire dal mercato; in
particolare deve contemplare l’uscita dal mercato
dopo una certa età.
di allocazione della ricchezza e partecipazione al
mercato personalizzati e, probabilmente, renderli
disponibili a costi ragionevoli.
Una regola approssimativa, che espande quella di
Bogle per tenere conto di queste complessità, è la
seguente:
-- entra nel mercato azionario se a 25-30 anni
hai più di 50 mila euro di risparmi e investi il
30% in un fondo azionario diversificato;
-- aumenta la quota investita nel fondo del 2%
all’anno nei successivi dieci anni fino al 50%;
-- inizia a ribilanciare al ritmo dell’1% per cento
all’anno portando la quota al 25% all’età
della pensione;
-- tieni costante la quota fintanto che la tua
ricchezza finanziaria scende intorno ai 70 mila
euro; a quel punto esci dal mercato.
Questa regola approssimativa è ovviamente
migliorabile. In particolare, con le informazioni
oggi disponibili sui profili retributivi di ciascun
risparmiatore (si pensi ad esempio ai dati sulle
storie retributive di ognuno raccolte dall’istituto
per la sicurezza sociale) e con le potenzialità di
calcolo disponibili, si possono disegnare profili
5 - Implicazioni per gli advisors e gli asset managers
/ 28
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