DOMANDE E RISPOSTE dal libro di Pellai `Questa casa non è un

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DOMANDE E RISPOSTE dal libro di Pellai `Questa casa non è un
Domane e risposte tratte dal libro di A.Pellai “Questa casa non è un albergo.
Adolescenti: istruzioni per l’uso” . Kowalski Editore, 2009
Quando in famiglia entra l’adolescenza
Dov’è finito mio figlio? Me lo chiedo sempre più spesso, quando me lo vedo lì sdraiato sul
letto di camera sua, con la cuffia in testa, in mezzo ad un disordine ingovernabile, con i
capelli trasandati e, detto fra noi, anche un po’ puzzolente. Mentalmente riaccendo la sua
immagine di soli due anni fa: allegro, solare e così attaccato a me, che ero il suo eroe
personale. Ed ora invece sembra l’immagine della trasandatezza. Camicie larghe, barba
spesso sfatta. E poi quel modo di fare e di rispondere. Le sue due parole preferite “Boh” e
“Cioè”. All’ora di cena lui si presenta a tavola come vuole e quando vuole, spesso tiene le
cuffie del suo IPOD sulle orecchie. Con sua madre comunica a monosillabi, rispondere ai
saluti…non se ne parla neanche. Insomma …… una gran delusione. Mi sembra proprio che
il suo obiettivo sia trattarci come degli estranei, anzi, penso che ci consideri i portieri e i
camerieri di una casa che lui considera come un albergo…il suo albergo personale. Ma
questa casa…non è un albergo. Io non ne posso più. Lo prenderei a calci nel sedere per due
ore di seguito e vediamo un po’ se riesco a fargli passare quell’indifferenza con cui
spennella ogni relazione con me e sua madre. Sono davvero confuso. Cosa mi consigliate di
fare?
Un padre confuso
“Questa casa non è un albergo!”: quante volte vi siete sentiti dire questa frase quando
eravate figli? Quante volte l’avete invece pronunciata nella vostra veste di genitori?
In una frase c’è il significato di un percorso di crescita: arriva un momento nel ciclo di vita
di un figlio in cui i genitori e la casa di origine assumono – almeno all’apparenza – il ruolo
di un “accessorio”, indispensabile sì, ma comunque di importanza relativa. Succede quando
un figlio scopre che la fuori “c’è tutto un mondo intorno”, che il gruppo degli amici diventa
un polo di attrazione e di ideazione, dalla valenza molto superiore a quella rappresentata dal
mondo di mamma e papà. Insomma, un giorno un figlio si sveglia e all’improvviso si
accorge che tutto ciò che sta fuori dalle quattro mura domestiche è una necessità
improrogabile, una priorità che lo attrae come una calamita potentissima lontano dal nido
che lo ha fatto crescere e diventare grande fino a quel momento.
Sia chiaro: quel nido resta di importanza irrinunciabile. Magari verrà dileggiato, denigrato,
sminuito nelle conversazioni con gli amici, forse anche in quelle con gli stessi adulti, ma
laggiù, nel profondo fondo, in quel nucleo di verità che ciascuno coltiva dentro se stesso,
non passa giorno in cui un adolescente non continui a considerare il luogo in cui è cresciuto
come il posto in cui ha le proprie radici e non c’è parola di mamma e papà che in quel
nucleo profondo venga cancellata o considerata di importanza marginale.
Un genitore…… troppo amico?
Prendere coscienza che un figlio improvvisamente ha più voglia di stare con gli amici che
con chi l’ha messo al mondo, non è una scoperta che lascia indifferenti. Per questo motivo,
una madre ed un padre si mettono spesso in competizione con quel mondo esterno che ogni
giorno e in modo sempre più intenso diventa un polo di attrazione che richiama chi sta
crescendo, fuori dalle sicurezze e dalla certezze della propria casa e famiglia di origine.
Alcuni genitori provano a colludere con questo richiamo: si trasformano nei migliori amici
dei figli, frequentano gli stessi luoghi, si vestono allo stesso modo. Insomma, operano su di
sé un’intensa operazione di “restyling” semplicemente per tenere attaccati a se i fuggiaschi.
Il pensiero che sorregge questi genitori è: “Se io divento il suo migliore amico, non dovrà
andarsene a cercare un altro nel mondo tentacolare che me lo vuole rapire”. Ma questi
tentativi, sono quasi sempre destinati a fallire, perché poggiano su un imbroglio irrisolvibile,
in quanto anche il genitore più amichevole, per essere credibile, ad un certo punto deve
rimettersi addosso i panni di madre o di padre. Solo che - per chi ha spinto troppo in avanti
il gioco - questo a volte diventa impossibile. E tutti vanno in crisi.
Un genitore che non cambia
Altri genitori, invece, si impegnano strenuamente a non modificare nulla del proprio modo
di essere. Di fronte ad un figlio che cambia, loro cercano di rimanere sempre uguali a se
stessi. E quindi, prolungano all’infinito quel padre o quella madre che sono stati durante la
prima e la seconda infanzia del proprio bambino, ma che in nessun modo può sostenere i
bisogni di un adolescente che si muove nei nuovi territori della vita.
Rabbia o tristezza?
E’ questa fatica di reinventarsi un nuovo modo di essere padre e madre, questo tentativo
spesso fallimentare di cambiare troppo o di non cambiare per niente, che a volte spinge
genitori e figli al conflitto, lo stesso conflitto che viene richiamato dal titolo di questo libro e
della nostra trasmissione. Se ci pensate bene dire ad un figlio “Questa casa non è un
albergo” richiama immediatamente alla mente un’emozione molto forte: la rabbia. I genitori
spesso la urlano ai loro figli che rientrano tardi nella notte del week end dopo aver esplorato
il loro territorio del divertimento e dell’autonomia. O ancora la gridano ad un figlio che non
sa tenere in ordine la propria camera, i propri vestiti, che si siede a tavola quando vuole,
magari con le cuffiette dell’IPOD nelle orecchie. Ma è chiaro che dietro alla rabbia che
anima il tono della voce, che fa lanciare le parole come se fossero dei potentissimi
boomerang emotivi, che alimenta la lite e il conflitto, spesso si nasconde un’emozione ben
diversa: la tristezza.
Madri e padri sono spesso “abitati” dalla tristezza che accompagna la crescita di un figlio
che sta dicendo loro “Tra un po’ mi allontanerò da voi, vi lascerò soli”. E per alcuni adulti
questa è una situazione intollerabile. Un figlio che cresce è un evento inesorabile nella vita
di una mamma e di un papà, ma è anche la dimostrazione più eclatante che il tempo passa,
che noi siamo viaggiatori passeggeri nel territorio della vita.
Questa sensazione è raccontata molto bene nella lettera di Giorgio, padre di una
quindicenne, che così descrive la sua fatica di genitore:
Sono padre di Lucia, 15 anni, un’adolescenza arrivata come la tempesta. Improvvisamente
mia figlia è diventata tutto ciò che io non avrei mai saputo o potuto immaginare. Bella,
seduttiva, sicura di sé, sempre in giro, sempre a negoziare nuove regole, a spostare un po’
in avanti i limiti, i paletti, a mettermi in gioco, e a volte anche in crisi, nel mio ruolo di
genitore. Questi due anni sono stati i più faticosi e anche dolorosi della mia “carriera di
genitore”. Mi sono domandato cosa fare, come fare, e soprattutto cosa non fare e come non
farlo con lei. Ora mi sento davvero esausto. Ho come la percezione di essere sul punto di
mollare e fuggire via. Mi sento triste, mi domando se non sto per affacciarmi sul baratro
della depressione. E soprattutto comprendo che è scomparsa tutta la gioia e la felicità che
avevano colorato la mia vita di papà nei primi dieci-dodici anni dell’esistenza di Lucia.
Ecco, proprio mentre scrivevo ho afferrato qual è il mio problema : sono stato un genitore
felice, ma ora non lo sono più. E adesso che faccio?
Un nuovo paio di occhiali
Per uscire da una sensazione di dolore, di vera e propria infelicità, così come scrive Giorgio,
bisognerebbe cercare di indossare un nuovo paio di occhiali, provando a considerare tutta la
positività che i cambiamenti di un figlio significano per la sua e per la nostra vita. In effetti
ci sono genitori che guardano il proprio figlio che cresce con uno sguardo per nulla
preoccupato, anzi in molti casi soddisfatto e compiaciuto: vederlo diventare autonomo,
capace di fare scelte e di muoversi in nuovi territori li riempie di orgoglio. Sanno di avere
fatto bene il proprio mestiere di genitori e quindi riescono a mettersi alla finestra della vita,
senza più avere la necessità di essere onnipresenti e soprattutto in controllo totale di ogni
passaggio e decisione dell’esistenza di coloro che hanno messo al mondo.
Ma non sempre le cose filano via lisce. A volte gli stessi figli, travolti dalla confusione
dell’età molto caotica che stanno vivendo, lanciano provocazioni, si rendono detestabili,
almeno “in superficie” cercano di dire a mamma e papà che non ne possono più di loro,
delle regole, delle convenzioni, dell’ordine e della disciplina. Insomma, fanno quello che
Freud aveva affermato parlando di genitori e figli: “Per diventare grande un figlio deve
uccidere i propri genitori”: E’ chiaro che si tratta di un assassinio simbolico, che deve
portare genitori e figli da parti contrapposte della barricata e che comporta una impegnativa
sassaiola emotiva. Molti genitori, di fronte a questo cambio di registro, non ce la fanno o
semplicemente non ci stanno. Così, invece di stare in trincea con un figlio che “guerreggia”
per diventare grande – e intanto internamente dire a se stessi che è proprio questo che
significa assolvere ai compiti del “mestiere di genitore” quando un figlio cresce – mamme e
papà riescono soltanto ad avere uno sguardo triste oppure preoccupato.
In viaggio verso l’adultità
E’ come se il viaggio verso l’adultità del figlio si proponesse soltanto come evocatore di
emozioni difficili, che rendono il cuore pesante. In questa situazione, molte madri provano a
incastrare – quasi sempre in modo poco efficace – la relazione col figlio all’interno di un
ricatto emotivo continuo: “se fai così ….. mi farai morire, oppure mi verrà un infarto”.
Altri genitori, soprattutto i padri, scoprono nell’adolescenza dei figli un’occasione per
affermare in modo totalmente arbitrario il proprio potere, che viene inteso “a prescindere”:
si tratta di situazioni in cui i padri sanno solo essere autoritari – e non autorevoli – dove la
norma e la regola non è mai contaminata dagli spazi dell’affetto. In queste situazioni spesso
il viaggio dell’adolescenza di un figlio si trasforma in una guerra serratissima o, se il figlio
si vede troppo debole rispetto allo strapotere del padre, in un doloroso viaggio alla scoperta
della propria impotenza, con lo sviluppo di un disastroso modello di autostima personale.
In generale – e ce ne siamo accorti più volte – la crescita di un figlio obbliga i suoi genitori
a diventare gli artisti che ogni giorno ridisegnano un nuovo “profilo” famigliare, un
rinnovato equilibrio costruito momento per momento sul “qui ed ora” degli accadimenti
relazionali che coinvolgono il sistema famiglia, non solo tra adulti e minori, ma anche
all’interno della coppia “marito e moglie”. Un esempio di quanto sia fondamentale lavorare
su un equilibrio famigliare che è sempre in divenire, ce l’ha fornito Francesco con la sua
storia:
Sono entrato in casa e ho trovato mia moglie in lacrime. Singhiozzava disperata e non
riusciva nemmeno a parlare. Ho subito capito che doveva essere successo qualcosa con
Roberta. O forse era successo qualcosa a Roberta? Con il fiato in gola, pensando a chissa
quale incidente, mi sono precipitato nella sua stanza per vedere se era in casa. Mi sono
subito tranquillizzato perché ho visto che era lì; aveva le cuffie sulle orecchie,il muso lungo
fino al pavimento. “Papà vattene esci dalla mia stanza e lasciami in pace”. “Roberta cos è
successo con tua madre?” “Lasciami in pace” mi ha urlato lei e mi ha sbattuta la porta
letteralmente in faccia. “Bel caratterino” ho pensato tra me e me e sono tornato da mia
moglie. Lì lei mi ha buttato addosso tutta la sua delusione “Roberta non mi ama più. Prima
ho provato a discutere con lei, perché la sua stanza è davvero troppo in disordine e volevo
che la sistemasse un po’, almeno oggi che è sabato. Lei si è indispettita e mi ha urlato
“Mamma di te non ne posso più. Sei davvero una gran rompiballe. Ma non sei capace di
farti i cavoli tuoi? Veramente non ha usato la parola cavoli, e non sto a dirti cosa mi ha
detto al suo posto. Io mi sento arrabbiata e delusa al tempo stesso. Per favore, intervieni
tu”
Una figlia ribelle e una moglie delusa: proprio un bel quadretto famigliare. Me ne sono
andato in camera e ho cominciato a leggere il giornale. Ma la mia testa era piena di mille
domande. “E ora che faccio?” mi sono detto?
E’ chiaro che Francesco potrà esercitare il suo “mestiere di genitore” solo se saprà aiutare la
propria moglie a ridisegnare con modalità molto più “serene e ottimistiche” la propria
immagine e identità di madre. Solo una mamma più serena potrà far fronte alle tempeste
emotive e ai molti cambiamenti di Roberta, ma, al contempo, è anche la coppia “uomodonna” che deve individuare al proprio interno un “modello”, un equilibrio efficace.
Insomma, mamma e papà sono l’unica cosa certa che un figlio ha a disposizione per
attraversare le tempeste dell’adolescenza.