Lavoro e lavoratori della conoscenza quattro aree
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Lavoro e lavoratori della conoscenza quattro aree
Working Paper Lavoro e lavoratori della conoscenza: quattro aree di progettazione economica e sociale per il rilancio della produttività e competitività e per lo sviluppo dell’occupazione Federico Butera WP7 / 2012 È consentita la copia e la distribuzione a scopo divulgativo e didattico, citando la fonte. Sono consentite, inoltre, le citazioni purché accompagnate dall'idoneo riferimento bibliografico. Per ogni ulteriore uso, se ne vieta l'utilizzo senza il permesso scritto degli Autori. Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 1 Lavoro e lavoratori della conoscenza: quattro aree di progettazione economica e sociale per il rilancio della produttività e competitività e per lo sviluppo dell’occupazione 1 di Federico Butera2 Sommario Lo spaventoso livello di disoccupazione e inoccupazione soprattutto giovanile, in Italia e nei Paesi occidentali, deriva certamente dalla crisi macroeconomica in atto, ma anche da una grave carenza di politica industriale e sociale: non aver affrontato per tempo la più grande rivoluzione dei sistemi produttivi e del sistema sociale del secolo, costituita dalla forte crescita del lavoro e dei lavoratori della conoscenza. Una classe maggioritaria senza rappresentazione, identità, regolazione. È difficile che manovre di politiche pubbliche (come lavori pubblici, incentivi alle imprese, riforma del mercato del lavoro, modifiche della fiscalità e altro) – anche quando siano tempestive e appropriate –, da sole possano produrre gli effetti sperati di riduzione della disoccupazione. È necessario sopratutto creare nuovo lavoro, sviluppando organizzazioni competitive e ad alto livello di produttività e potenziando le capacità delle persone a fornire contributi eccellenti. Abbiamo da anni analizzato il mutamento quantitativo e qualitativo del lavoro nelle società occidentali: il Novecento dell’industrialismo era stato il secolo degli operai e degli impiegati esecutivi che avevano sviluppato l’economia, cambiato le città, modificato la struttura sociale, alterato il modello dei consumi. Oggi, i lavoratori della conoscenza (scienziati, artisti, imprenditori, manager, professional, tecnici, ma anche operai specializzati, artigiani, venditori qualificati), in molti Paesi occidentali, sono più numerosi degli operai comuni e degli impiegati esecutivi messi insieme. Ma il loro lavoro e le loro identità sono poco conosciuti, frammentati in un caleidoscopio di attività, mestieri, settori, livelli apparentemente diversissimi fra loro: non lo sono e che (come era avvenuto per gli operai), presentano più elementi comuni che differenze. Ma le istituzioni di regolazione del lavoro non si sono accorte fino in fondo della loro esplosiva crescita: le scuole, il mercato del lavoro, l’organizzazione del lavoro sono ancora largamente basati sui modelli del primo industrialismo. Di fronte alla crisi occupazionale in corso vi è perfino chi invita i giovani a lasciare la scuola e andare a bottega dall’idraulico di quartiere. Occorre, invece, di considerare questa trasformazione dei lavori e dell’istruzione come la principale risorsa per la crescita del sistema economico e per costituire una società prospera ed equa, se essa sarà guidata, regolata e potenziata come lo fu la società degli operai e degli impiegati durante la prima rivoluzione industriale. Ma c’è molto lavoro da fare. Nel nostro programma di lavoro su “il lavoratori della conoscenza” proponiamo l’apertura, valorizzazione, supporto, diffusione di piccoli e grandi cantieri di riorganizzazione del lavoro, di riconfigurazione dei mestieri e delle professioni, di gestione della mobilità e di sviluppo delle persone, cantieri da aprire nelle imprese, nelle Pubbliche Amministrazioni. Essi possono creare occupazione qualificata e dar luogo a casi esemplari e best practice che si trasformino poi, in breve tempo, in nuove conoscenze, nuove regole, nuovi sistemi, nuovi servizi e soprattutto nuova cultura. 1 © 2012 Fondazione Irso e Federico Butera. Questo lavoro fa parte della più ampia ricerca Lavoro e lavoratori della conoscenza condotta dalla Fondazione Irso e diretta da Federico Butera. Più ampie e diverse versioni, insieme ad altri contributi di approfondimento a cui il testo si riferisce, possono essere trovate in F. Butera, S. Bagnara, R. Cesaria, S. Di Guardo, Knowledge working. Lavoro e lavoratori della conoscenza, Mondadori Università, Milano 2008 e in G. Gosetti (a cura di), Il lavoro: condizioni, problemi, sfide, Franco Angeli, Milano, 2011. 2 Federico Butera è ordinario di Scienze dell’organizzazione all’Università di Milano-Bicocca, dopo aver insegnato all’Università di Roma La Sapienza. È stato Visiting Scholar alla Sloan School of Management del MIT. Ha fondato e presieduto fin dal 1974 l’Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi, oggi Fondazione Irso. È Direttore della rivista “Studi Organizzativi”. Ha pubblicato 36 libri e un gran numero di saggi scientifici e professionali in Italia e all’estero. Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 2 Esiste ormai un vastissimo repertorio di casi e modelli di organizzazione del lavoro di nuova concezione in Toyota, Google, Apple, Ikea, Nasa, Harvard University, Bethesda Hospital, Ferrero, Luxottica e in un gran numero di altre imprese e pubbliche amministrazioni anche italiane che assicurano alta produttività, miglioramento continuo e innovazione . Ritornano e si diffondono in tutto il mondo casi di organizzazioni del lavoro operativo (microstrutture) basate su una forte autoregolazione, centrate su cooperazione, comunicazione, conoscenza, comunità e supportate dalle tecnologie multimediali: i casi raccontati in questi giorni da Gary Hamel su “Harvard Business Review” e da Federico Rampini su “Repubblica” li stanno rendendo popolari. Esiste una grande varietà di riconfigurazione di nuove professioni “a banda larga” come le professione dell’ICT o le professioni sociali che implicano una forte identità professionale e culturale e al tempo stesso un livello alto di flessibilità e protezione della persona, veri antidoti alla precarietà. Il repertorio di forme di gestione del lavoro inoltre si è ampliato enormemente, attivando forme dell’impiego, della retribuzione, degli orari, della configurazione dei luoghi di lavoro, delle provvidenze accessorie, al work life balance che hanno caratteristiche senza precedenti. Soprattutto si sono sviluppate , seppur disordinatamente, nuove modalità di formazione, apprendimento, sviluppo, empowerment rappresentano il nutrimento della principale fonte di produttività e innovazione, ossia le persone. Questi progetti , e la cultura che li sottende, possono cambiare non solo le singole aziende e Pubbliche Amministrazioni, ma possono dare corpo e anima a patti di produttività e ai sistemi di relazioni industriali che li possono precedere, accompagnare o seguire, un compito molto complesso che richiede sia a livello locale che a livello generale, la collaborazione di soggetti economici e istituzionali diversi, quali le associazioni imprenditoriali, i sindacati dei lavoratori, le istituzioni nazionali e regionali di gestione del mercato del lavoro, la scuola e altri. Per far ciò occorre però passare da relazioni basate sul conflitto e sulla pura regolazione degli interessi a quelle centrate su una progettualità condivisa. Non proponiamo una cosa nuova: gli Stati Uniti d’America si sono consolidati come nazione sviluppando nuove forme di organizzazione e di professioni e su questo generando un esteso consenso sociale e così sono anche usciti dalla crisi del 1929 (da taylor-fordismo in avanti); così il Giappone è uscito dal baratro dopoguerra (adottando e diffondendo la lean production). L’organizzazione del lavoro e il sistema professionale sono anche alla base del modello di successo della codeterminazione tedesca, la Mitbestimmung: è ormai condiviso che il sistema tedesco della Mitbestimmung ha avuto successo non solo perché ha regolato interessi e dato voce agli stakeholder dell’impresa, ma soprattutto perché ha protetto, incoraggiato e spesso generato forme di organizzazione e di professioni altamente produttive e competitive. L’oggetto e risultato veri della codeterminazione tedesca sono progetti realizzati: Volkswagen e Bayer, i tecnici di alto livello e i facharbeiter, le scuole tecniche e scientifiche di eccellenza e moltissimo altro. La Mitbestimmung non è importabile in Italia, neanche sotto la pressione di una crisi così severa. . Agli inizi degli anni ’70, alcune aziende private (Olivetti, Zanussi e altre) e aziende a partecipazione statale (Terni, Italsider, Dalmine, Ansaldo, Italimpianti, Montedison e altre) avviarono programmi di innovazione nell’organizzazione del lavoro soprattutto operaio, con il supporto di parte delle rappresentanze imprenditoriali (ad esempio, Intersind) e sindacali (la CGIL di Trentin e la Cisl di Carniti) e con il sostegno delle istituzioni L’ipotesi di un nuovo patto per la produttività e la competitività, quale quello che viene proposto in questi giorni di settembre 2012, è indispensabile ma può avere successo se avrà la capacità di attivare in tempo breve e in tutti i settori e territori un gran numero di progetti di forte miglioramento della produttività e della competitività delle singole imprese, reti di imprese, cluster, territori , che siano anche progetto di forte miglioramento della qualità e quantità dell’occupazione, in cui imprese, sindacati e amministrazioni facciano del loro meglio. La nostra proposta non è nuova per l’Italia. L’evocazione del modello americano di creazione di forme innovative di organizzazione venne considerata troppo lontana. L’esperienza giapponese venne bollata negli anni 80 come troppo culturalmente connotata. Il modello scandinavo di progettazione condivisa dell’organizzazione del lavoro e il modello tedesco della codeterminazione vennero contrastate in tutti i modi sia dalla maggioranza degli imprenditori che dei sindacati e non ricevette supporto da parte delle forze politiche del tempo, fino ad essere archiviato definitivamente di fronte alla crisi petrolifera, alla strategia della tensione e alla violenza delle Brigate Rosse. Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 3 Si tratta, oggi, di riaprire una stagione di riorganizzazione del lavoro qualificato, suscitando innovazione nelle soluzioni e nei metodi che partano dal basso e guardino all’impresa o alle singole amministrazioni in progetti di system design (come proposto negli anni 70 con un gergo oscuro da chi scrive) o di progetti di“prati verdi” (come con felice espressione fu proposto e praticato da Mario Consiglio) e da altri manager, consulenti e studiosi . Occorre portare alla luce, supportare, diffondere esperienze in atto in tutto il paese come illustrato nel nostro programma Italian Way of doing Industry e da mesi documentato puntualmente da Dario Di Vico (l’Italia che ce la fa). Su progetti a livello aziendale , entro un framework condiviso, è possibile trovare più facilmente forme di dialogo sociale strutturato, orientato alla crescita della torta più che non alla sua distribuzione. Questa è una sfida profonda per le forze politiche e culturali che si propongono di avere un ruolo di innovazione: tanto più profonda perché esse nel passato non sono state capaci di fare ciò che la Germania, gli Stati Uniti, il Giappone, la Finlandia, il Brasile e altri hanno fatto innovando con l’organizzazione del lavoro imprese e amministrazioni, con il risultato amaro di veder precipitare il nostro Paese al fondo di tutte le classifiche. Vi sono quattro aree prioritarie, che rappresentino le molecole per dare vita a progetti per sviluppare nuovi sistemi di lavoro della conoscenza capaci di rilanciare produttività, competitività e occupazione: a) l’organizzazione del lavoro della conoscenza; b) la progettazione e la gestione di professioni nelle organizzazioni; c) la gestione della mobilità e l’employability; d) lo sviluppo dell’integrità e dell’identità della persona. 1. Il cambiamento della struttura sociale dei Paesi occidentali: i lavoratori della conoscenza sono ormai più numerosi di operai, impiegati e contadini messi insieme È in atto nei Paesi industrializzati dell’Occidente una straordinaria crescita quantitativa e una profonda modifica qualitativa delle persone che svolgono lavori ad alta qualificazione nelle imprese, nella Pubblica Amministrazione e nelle professioni. È una vasta area del mondo del lavoro in cui sono presenti figure che imprese, governi e studiosi chiamano in vario modo, a seconda delle diverse prospettive di analisi: personale qualificato, scienziati, manager, imprenditori, tecnici, specialisti, professional, esperti, professionisti, creativi, artisti, lavoratori autonomi di terza generazione, lavoratori autonomi di seconda generazione ecc. Noi li chiameremo knowledge worker, lavoratori della conoscenza oppure professionisti nelle organizzazioni. La nostra ricerca, attingendo ai dati delle statistiche internazionali di cinque Paesi occidentali (Francia, Italia, Regno Unito, Spagna e Stati Uniti) aveva rilevato che le figure definite ad alta qualificazione nel 19971 e quelle censite nel 2007 nelle statistiche internazionali come scienziati, manager, professional e technician, avevano fatto registrare una sorprendente crescita tra il 1995 e il 2005, dopo essere molto cresciute in tutto l’ultimo cinquantennio. 1995 Italia Regno Unito Francia Stati Uniti d’America Spagna Germania 29% 34% 38% 34% 23% - 2005 41,49% 52,17% 43,71% 38,65% 33,28% 48,19% Tabella 1 – Scienziati, artisti, manager, professional e technician sulla popolazione lavorativa complessiva Fonte: per il 1995, Butera, Cesaria, Donati (1997); per il 2005, Butera, Bagnara, Cesaria, Di Guardo (2008). In Francia e in Italia continuano ad aumentare. Di Guardo (2011) ha rilevato i seguenti valori per il 2008 e i valori di incremento rispetto al 2000. Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 4 Francia Italia dati 2008 rispetto al 2000 46,09% +3,94% 43,13% +5,27% Secondo la definizione del Bureau of Census, fanno parte della categoria dei manager: i legislatori, i dirigenti e gli imprenditori. Fanno parte della categoria dei professional le professioni intellettuali, scientifiche, di elevata specializzazione e tutte le altre voci professionali nelle attività dei servizi, ovvero tutte quelle professioni per le quali è richiesto un livello elevato di conoscenza e di esperienza in ambito scientifico, umanistico o artistico. Fanno invece parte dei technician le professioni tecniche, ovvero quelle che richiedono conoscenze operative ed esperienza, e che applicano, seguendo protocolli definiti e predeterminati, conoscenze esistenti e consolidate3.Si badi bene che questi numeri riguardano la qualificazione delle posizioni di lavoro ricoperte e non delle persone. I numeri di queste grandi categorie, inoltre, non ci dicono molto sul grado di valorizzazione economica, sul prestigio sociale, sulla qualificazione sostanziale. Per esempio in Italia e in Francia vi è lo stesso numero di posizioni di questo genere, ma abbiamo fonti secondo cui in Francia sono maggiori la produttività e l’innovatività, il prestigio, il tasso di e la qualificazione sostanziale di queste categorie occupazionali. Esse non sono le sole il cui valore è dato dall’impiego e dalla produzione di conoscenze complesse. Questi dati ci dicono solo quante sono, al minimo, le professioni e occupazioni della conoscenza. Se volessimo sapere con esattezza quanti sono tutti quelli che operano sulle conoscenze anche quando il loro output è un prodotto fisico o una transazione commerciale (uno chef, un artigiano qualificato, un venditore qualificato di apparecchiature tecnologiche, un addetto all’assistenza qualificata), occorrerebbe sviluppare una ricerca con una concettualizzazione, con dimensioni analitiche, con dati statistici oggi non disponibili. Qui è sufficiente notare solo che la struttura dell’attuale apparato statistico internazionale ci dice comunque molto: – dai numeri presentati abbiamo sottratto le persone con un titolo di studio inferiore alla scuola media superiore, per evitare di sovrastimare la categoria dei technician, in cui al momento sono compresi sia riparatori delle centrali elettriche, sia riparatori di lavatrici. Le cifre indicate sono inferiori alla realtà anzitutto per l’esclusione di persone con basso titolo di studio perciò, ad esempio, il commendator Cappellaro, che ha inventato la macchina da calcolo Olivetti e che aveva la quinta elementare, non sarebbe incluso in questi numeri. Si noti che laureati che non ricoprono questo tipo di posizioni – ossia un laureato che fa il commesso o l’operatore ecologico – non sono inclusi in questi dati; – le cifre indicate sono certamente inferiori alla realtà anche per un altro motivo: esse non includono, infatti, le posizioni di lavoro classificate nelle statistiche internazionali come sales, craft, service, automated systems operator, call center; – infine, un numero crescente di lavoratori manuali impiega e genera conoscenze pratiche non solo in industrie di produzione di piccoli lotti (artigiani), ma anche di produzione di massa. La prima conclusione è che, malgrado questi nostri dati non ci dicano da soli esattamente quanti e quali professioni della conoscenza esistano nei Paesi occidentali, l’aggregato statistico dei manager, professional, technician ad alto livello di formazione scolastica nel 2005 è altissimo in tutto l’Occidente (dal 33,28% della Spagna al 52,17% del Regno Unito) ed è il più numeroso di tutti 3 Le categorie incluse in queste classificazioni sono, per esempio, per i manager: legislator and senior officials, corporate managers e managers of small enterprises; per i professional: physical, mathematical and engineering science professionals, life science and health professionals, teaching professionals e tutte le altre voci professional; per i tecnician: physical and engineering science associate professionals e life science and health associate professionals, office clerks e customer services clerks. Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 5 gli altri aggregati occupazionali, superando ormai gli operai, gli impiegati e i contadini messi insieme. Ciò mostra che un cambiamento dei modi di produzione e della struttura sociale nel mondo occidentale è già avvenuto. Agricoltori, operai, impiegati esecutivi, commessi rimangono categorie occupazionali estese e della massima importanza: essi non rappresentano però più la classe sociale centrale non solo perché sono diminuiti di numero, ma perché il modo di produzione dominante non è più quello centrato sul lavoro di fabbrica, di ufficio, di negozio, di bottega, ma il lavoro della conoscenza. I modi di produzione e la struttura sociale dei Paesi BRIC sono ancora prevalentemente centrati sul lavoro operativo a basso costo, su cui essi hanno vinto la competizione con l’Occidente. Si apre ora la competizione sul lavoro della conoscenza su cui l’Occidente ha ancora un vantaggio: ma per quanto ancora? Perché questo vantaggio perduri e generi produttività, prosperità e qualità della vita occorre curare: – lo sviluppo di organizzazioni basate sulla conoscenza, capaci di produttività e innovazione, in cui le persone siano attori e non «posizioni»; – lo sviluppo di professioni di nuova concezione. La crescita di lavori della conoscenza non è destinata a fermarsi, perché è sospinta da fattori strutturali, da radicali cambiamenti dell’economia e della società. La fenomenale crescita dei lavori della conoscenza è generata da fattori strutturali fra cui: – il progresso delle conoscenze scientifiche; – il mutamento dei modi di produzione e di valorizzazione nella società: l’economia della conoscenza; – l’espansione dei settori terziari. La tendenza all’aumento quantitativo e alla modifica qualitativa del lavoro della conoscenza si intensificherà ancora. Il Cedefop stima che in Europa, entro il 2020, si diffonderanno all’incirca 7 milioni di lavori in più rispetto alla situazione odierna, nonostante l’attuale periodo di recessione (saldo fra nuovi posti di lavoro creati e posti di lavoro persi). In aggiunta, il Cedefop stima che altri 73 milioni di opportunità di lavoro verranno creati per far fronte alla necessità di sostituire i lavoratori in uscita dal mercato del lavoro o in una fase di transizione verso un nuovo lavoro. Di conseguenza, il numero totale di opportunità di lavoro è destinato a crescere nel prossimo decennio. Si prevede che molti dei nuovi lavori saranno occupazioni caratterizzate da alti livelli di conoscenza e competenza, come manager di alto livello e tecnici (figura seguente). Fonte: Cedefop, Febbraio 2010 Figura 1 - Future opportunità di lavoro (EU-27+) Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 6 Fonte: Cedefop, Febbraio 2010 Figura 2 - Cambiamento della struttura occupazionale (EU-27+) La proiezione rappresentata nella figura precedente suggerisce inoltre che la domanda di competenze ed abilità richieste (come misurazione della qualificazione formale) è destinata a crescere nel corso dei prossimi decenni. È inoltre previsto un declino sostanziale delle occupazioni nel settore primario dell’industria, con una perdita di circa 2,5 milioni di occupazioni, specialmente nel settore agricolo. Una perdita di altri 2 milioni di occupazioni è prevista per il settore manifatturiero e della produzione, mentre l’area che registra e registrerà una crescita di circa 7 milioni di occupazioni è quella dei servizi, in particolare dei servizi commerciali. Incrementi significativi si attendono anche nel settore della distribuzione e dei trasporti. 2. Chi sono i lavoratori della conoscenza: professionisti operanti nelle e con le organizzazioni 2.1 Una definizione per analizzare e progettare organizzazione del lavoro e identità professionali Abbiamo usato il termine lavoro della conoscenza e lavoratori della conoscenza. Il termine knowledge worker era stato coniato da Peter Drucker nel 1993: noi lanciammo nel 1997 un «concorso internazionale per trovarne uno migliore», ma il termine si consolidò. I termini «professionisti aziendali» o «professionisti nelle organizzazioni», coniati da Butera nel 1992, non hanno avuto lo stesso successo, forse perché ricordavano troppo gli avvocati e i medici Per noi, lavoratori della conoscenza sono quelli che operano su processi immateriali per i quali la conoscenza è il principale input e output di processi di lavori, che impiegano diversi tipi di conoscenza per svolgere il lavoro. Il loro processo di lavoro, cioè, ha per oggetto non materiali e informazioni, ma conoscenze. Questi lavoratori, grazie alla conoscenza professionale (esplicita/tacita, esperta/operativa, razionale/emotiva ecc.), alla conoscenza condivisa fra le persone stesse, l’organizzazione e i sistemi informativi, trasformano input conoscitivi (dati, informazioni, immagini, concetti, segnali, simboli) in output di conoscenza di maggior valore (soluzione di problemi, orientamento degli eventi, dati e informazioni arricchite, innovazione ecc.). Anche chi cura una vigna, chi sorveglia un impianto siderurgico automatizzato, chi guida un autotreno, chi fabbrica un vaso, usa conoscenze anche molto sofisticate, spesso conoscenze tacite, ma talvolta anche conoscenze esperte. Ma il valore principale del processo a cui partecipa è la trasformazione nella composizione chimica, fisica, formale, allocativa di un oggetto in corso di diventare una merce. I lavoratori della conoscenza sono quelli che producono conoscenza a mezzo di conoscenza, accrescendone il valore sociale (offrendo un servizio), il valore economico (creando reddito e Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 7 patrimonio) e il valore intrinseco e diffusivo (che non è appropriabile perché non è una merce, come dice Rullani). La criticità di questo 33%-53% di posizioni di lavoratori della conoscenza è che la loro utilità, produttività, innovatività, non hanno altra prova se non nei processi sociali di valutazione dell’output di conoscenza: cento anni di sviluppo industriale ci hanno insegnato a valutare la qualità e il valore di un pomodoro, di un’auto, di un edificio ecc. Ma come valutare la qualità e il valore di un processo di contabilità, di preparazione di una sceneggiatura, di progettazione di un dispositivo, di una consulenza ecc.? Nella categoria dei lavoratori della conoscenza includiamo: – anzitutto gli scienziati, i ricercatori, gli insegnanti di tutte le discipline, ossia le professioni intellettuali studiate, per primi, da Weber e Merton. Sono soggetti formati attraverso percorsi formalizzati e certificati che hanno come fine quello di sviluppare, generare e disseminare scienza. Queste sono le figure che gli antichi greci definivano , «sofòi», ossia sapienti; – i membri delle professioni riconosciute (medici, avvocati, notai, ingegneri e architetti progettisti, giornalisti). Essi erano chiamati dagli antichi greci ò, «demiurgòi», ossia esperti che lavorano per i clienti. Sono stati studiati a fondo dalla sociologia delle professioni; – coloro che svolgono funzioni di governance, cioè appartenenti alle élite studiate, per primo, da Michels: sono membri di governi centrali e locali, parlamentari, alti dirigenti pubblici, executive di imprese private, leader professionali, star del mondo dell’arte, dello spettacolo, dello sport ecc.; – gli imprenditori. Essi operano su processi non formalizzati e spesso innovativi e sono portatori di «distruzione creativa», secondo le parole di Schumpeter. Gli imprenditori delle piccole e medie imprese, il più delle volte, non hanno studiato in una business school, ma sono leader che gestiscono processi innovativi. In Italia i destini dell’80% delle persone che lavorano in piccole e medie imprese sono affidati a queste figure; – le figure manageriali intermedie (dirigenti e quadri) che svolgono sempre meno ruoli di comando ma sempre più di immissione di conoscenze ed esperienze nelle strutture operative, di coordinamento e di garanzia del raggiungimento di risultati. «Manager professionali» o «manager integratori» sono figure di responsabili di progetti di innovazione e cambiamento, generalmente dotati di un elevato livello di qualificazione – laurea o master –, di elevata posizione formale anche con responsabilità di strutture professionali. È il caso dei project leader, dei coach, dei team leader o dei process owner ecc. – i professional, o esperti dotti che o in una situazione di lavoro dipendente o come lavoratori autonomi. Sono figure dotate di conoscenze teoriche strutturate e spesso certificate, oltre che di significative esperienze e competenze applicative: contribuiscono allo sviluppo o all’integrazione di conoscenze, si assumono responsabilità di fornire servizi all’organizzazione e alla clientela. Fanno parte di professioni emergenti, ma spesso non riconosciute: delle libere professioni condividono l’elevata formalizzazione dei processi di lavoro complessi, l’impiego di conoscenze esperte, la deontologia, l’appartenenza a comunità professionali spesso cosmopolite. Ma manca loro un sistema di licenze, riconoscimenti formali, giurisdizioni esclusive ecc. Il loro lavoro e la loro gestione costituiscono l’oggetto prevalentemente degli studi sul lavoro qualificato e delle discipline di human resource management. Tra essi vi sono, per esempio, computer scientist; – gli esperti di marketing, figure tecnico-commerciali ad alta qualificazione, ricercatori, engineer, esperti di finanza e controllo, esperti legali e tributari, consulenti interni ecc.; – i tecnici o «esperti pratici», ossia figure con formazione media, ma elevata esperienza pratica. Essi hanno sia conoscenze tecniche e metodologiche, che conoscenze del contesto applicativo nelle organizzazioni su cui lavorano. Svolgono attività di risoluzione di problemi o di realizzazione di processi incerti anche attraverso l’uso di specifica strumentazione. Sono stati studiati magistralmente da Barley (1996) e da Orr (1996). Fra questi ricordiamo tecnici di progettazione, tecnici di prodotto, venditori qualificati, tecnici di assistenza clienti, programmatori ecc. Essi si dividono in due grandi categorie: quelli che risolvono problemi, sulla base di protocolli ben definiti, impiegando il loro «saper come» (un riparatore di lavatrici, un installatore di centralini telefonici ecc.), e quelli che lo fanno sulla base di protocolli scarsamente definiti, con molte eccezioni, e usano una conoscenza formale. Per questo, nelle nostre statistiche abbiamo Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 8 incluso solo laureati e diplomati, non potendo differenziare il grado di definizione e varianze dei protocolli di lavoro; – gli artigiani, i venditori qualificati, gli artigiani, gli operativi qualificati potrebbero essere inclusi fra i lavoratori della conoscenza, anche se non sono inclusi nelle statistiche che presenteremo. Per esempio, figure di operativi (classificati come operai o impiegati) possono rientrare in questa categoria quando hanno conoscenze, esperienze idonee e sufficienti a controllare e regolare processi di produzione di beni e servizi, risolvendo problemi poco definiti e con molte varianze. 2.1 È utile identificare una categoria del lavoro così estesa? I lavoratori della conoscenza hanno una loro interna differenziazione enormemente maggiore di quella che avevano gli agricoltori, gli operai, gli impiegati. Le ragioni per scegliere una categoria così numerosa sono molte. Essi hanno in comune le seguenti caratteristiche: – le conoscenze/competenze e la responsabilità di gestire processi di lavoro immateriali e incerti che hanno come output la valorizzazione della conoscenza. Questi possono essere processi di creazione artistica, invenzione, ricerca, identificazione dei bisogni, progettazione e ingegnerizzazione di prodotti e servizi, progettazione e ingegnerizzazione dei processi di produzione e di erogazione dei servizi, gestione e miglioramento continuo dei processi di produzione e di erogazione dei servizi, messa sul mercato, controllo economico, controllo normativo e sociale, trasmissione delle conoscenze, comunicazione, gestione di processi sociali e moltissimo altro; sono tutti processi immateriali e di valorizzazione della conoscenza; – la formazione di base e il continuo sviluppo delle conoscenze possedute (contenuti, knowhow, cultura, ossia sapere, saper fare, saper essere) sono l’ingrediente principale per svolgere il lavoro; – il ruolo, il mestiere, la professione sono in larga misura di proprietà di chi li svolge, a differenza della tradizione taylor-fordista in cui le persone erano pezzi di ricambio entro macchine organizzative, mansioni, posizioni in cui l’organizzazione classica definiva i contenuti di lavoro e collocava «le persone giuste al posto giusto»; – il lavoro di questi lavoratori è per lo più quello dei knowledge integrator più che dei knowledge provider, poiché richiede integrazione di conoscenze disciplinari (tecnologie, economia, gestione ecc.) e di competenze diverse (leadership, lavorare in gruppo, innovare, realizzare, rischiare ecc.); – il lavoro si svolge per lo più insieme con altri. Nuove forme di cooperazione autoregolata, condivisione di conoscenze, comunicazione estesa avvengono entro nuove comunità, insieme professionali e sociali, comunità di pratica, social network supportati da tecnologie ICT e da applicazioni Web 2.0 come blog e wiki; – il lavoro di questi lavoratori è un iceberg: la parte visibile è il ruolo assegnato e agito, la professione più o meno formalizzata, il sistema delle conoscenze/competenze messe in campo, l’intelligenza distribuita fra persone e sistemi tecnologici; la parte invisibile – assai più grande – è il workplace within, ossia l’insieme di potenzialità, conoscenze, abilità, energie, motivazioni professionali e non professionali delle persone. I soggetti della popolazione dei lavoratori della conoscenza sono persone vere (che con le loro storie, i loro percorsi, «sporgono» sull’organizzazione e sui sistemi di gestione) e comunità umane. 2.2 È in corso un radicale ripensamento delle organizzazioni, delle professioni, delle competenze L’organizzazione del lavoro e la gestione di queste popolazioni comporta una nuova alleanza tra le organizzazioni ad alta intensità di conoscenza, i sistemi di professioni aziendali «agite» dalle persone e il patrimonio di conoscenze ed esperienze delle persone, il workplace within. Il lavoro di queste figure è una parte delle nuove forme di organizzazione. Presenteremo più avanti il nostro modello di analisi e progettazione del lavoro della conoscenza. Qui conviene notare che molte Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 9 sono le esperienze che mostrano questa combinazione inestricabile fra organizzazioni di nuova concezione, nuove professioni, patrimonio individuale di competenze: – gruppi di lavoro autoregolati; – organizzazioni basate su «intelligenza distribuita» fra persone e sistemi tecnologici sostenuti dal sistemi di ICT; – start-up high-tech basate sulla conoscenza condivisa e dinamica di tutte le persone coinvolte; – democratizzazione dei processi di gestione della conoscenza nelle imprese grandi, medie e piccole e Web 2.0; – professioni aziendali creative e innovative di nuova concezione; – international college, comunità di pratica estese, social network ecc.; – nuovi curricula delle scuole di management e di alta formazione tecnica; – sviluppo di riconoscibili boundaryless career; – esperienze di professional e management training centrate sull’innovazione e sull’internazionalizzazione; – nuove frontiere della formazione analogica e on the job. 2.3 Una categoria scarsamente regolata e protetta I lavoratori della conoscenza non godono dello stesso livello di attenzione, di riconoscimento e di cura da parte delle istituzioni, delle imprese, delle amministrazioni e delle forze politiche e sociali che li trattano come un caleidoscopio di categorie, corporazioni, specialismi ecc. Essi, nel loro complesso, per lo più sono esclusi dai grandi processi di regolazione sociale (la formazione, l’identità, i sistemi di compensi, i riconoscimenti istituzionali, la cultura) che consentono pianificazione economica e integrazione. La società «li vede» meno di come vedeva gli operai e gli impiegati esecutivi. A differenza degli agricoltori, degli operai, degli impiegati, infatti, essi – soprattutto quando appartengono all’esercito dei lavoratori autonomi – non hanno sistemi di regolazione comuni che riguardino: – una collocazione nelle organizzazioni (come avveniva per l’operaio nella fabbrica fordista); – una modalità di gestione del mercato del lavoro (come avveniva per le dinamiche occupazionali e salariali degli operai e degli impiegati); – la regolazione delle condizioni dell’impiego (norme di diritto pubblico e norme contrattuali relativamente agli orari, alla sicurezza ecc.); – la collocazione nella stratificazione e le dinamiche di mobilità sociale (come avveniva con la working class e la lower middle class). 2.4 Una categoria a rischio I lavoratori della conoscenza, per i motivi indicati ai punti precedenti, sono oggi una categoria sociale a rischio. I rischi, diversamente presenti per i vari segmenti, sono: – disoccupazione; – sottoccupazione; – ampie aree di precarietà; – percorsi di carriera obsoleti o assenti; – mismatch di ruoli e professioni confusi e strutture organizzative burocratiche; – compressione della creatività e innovatività; – forte incidenza di persone poco impegnate, poco qualificate, poco motivate; – troppo individualistica troppo comportamentale); – scarsa identità, nei nomi e nei contenuti delle professioni e dei ruoli, con l’effetto di minare il senso di identità personale, la erosion of character, di cui parla Sennet. La tesi del progetto di ricerca e di progettazione è che occorre prendersi cura del lavoro e dei lavoratori della conoscenza, costruendo cantieri di alta progettualità dell’organizzazione del lavoro, Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 10 della gestione delle persone, della formazione – a cui collaborino forze economiche, istituzionali, scientifiche – e valorizzando le migliori esperienze italiane e internazionali. 3. Le priorità di azione Vi sono quattro aree fondamentali su cui ricondurre a una ragionevole unità le azioni possibili sull’insieme dei fenomeni e delle problematiche e alcune politiche relative ai lavoratori della conoscenza visti nel loro insieme: a) l’organizzazione del lavoro della conoscenza; b) la progettazione e gestione di professioni nelle organizzazioni; c) la gestione della mobilità e l’employability; d) lo sviluppo dell’integrità e dell’identità della persona. 3.1 L’organizzazione del lavoro della conoscenza: sviluppare organizzative basate su conoscenza, cooperazione, comunicazione comunità La teoria classica aveva formalizzato approfonditamente processi e strutture dell’organizzazione in modo che essi potessero essere descritti, misurati e si potessero dimensionare le risorse impiegate e i risultati attesi. Una buona organizzazione era allora quella che funzionava come un orologio: processi altamente prescritti, attività parcellizzate, coordinamento per programmi e gerarchia, reparti e uffici come partizioni delle macrostrutture, la gestione delle persone limitata alla retribuzione e alle relazioni industriali. L’esistenza delle strutture sociali (comunità di lavoro, social network ecc.) e dei processi sociali (cooperazione, conflitto, potere ecc.) rimaneva celata dietro lo squinternato concetto di organizzazione informale. In trent’anni, le moderne organizzazioni si sono evolute da orologi a organismi, da castelli a reti, per adottare alcune metafore (Butera, 1984; 1990). Si sono sviluppate – in produzione e nei servizi – unità di processo di concezione nuova chiamate process centred organisation, ossia unità centrate sui processi come group technology, isole di produzione, CHIM (Computer Human Integrate Manufacturing Units), UTE (Unità Tecnologiche Elementari) e molte altre. Una grande varietà di team è andata costituendo la spina dorsale di organizzazioni di servizio (team face-toface e team remoti). Nell’industria e nei servizi sono diventate sempre più importanti le strutture per il governo e l’innovazione dei processi: process owner, team di progetto, team per il miglioramento continuo, team di qualità e altri. Nella ricerca, nel lavoro artistico, nell’ingegneria, si sono diffuse task force, excellence team, extreme team, x-team, che si costituiscono e si dissolvono in funzione dell’avanzamento del lavoro e del processo di creazione. Queste organizzazioni temporanee generano e gestiscono processi intermittenti di innovazione, miglioramento, soluzione di problemi, processi di cambiamento. Lean organization, Flat organization, Temporary organization, Virtual global village, Self-managing team, unità di processo autoregolate, imprese di rete: sono solo alcune delle espressioni per descrivere le nuove forme di organizzazione in cui si sviluppano i processi di conoscenza e in cui operano i knowledge worker. I nuovi ruoli trasversali fuori struttura, come i process owner, i knowledge owner, i product manager, i brand leader, i project leader, i team leader ecc., tendono a sostituire i ruoli manageriali intermedi e ad assorbire le funzioni di coordinamento e controllo in precedenza svolte dalle piramidi gerarchiche. Le organizzazioni delle imprese, della pubblica amministrazione, in generale non hanno ancora, però, modalità di uso del lavoro della conoscenza mature quanto l’avevano le fabbriche (in cui vi era forte chiarezza nei processi organizzativi che rendeva chiari i processi di lavoro e le identità professionali). I processi della conoscenza non possono essere descritti e gestiti come procedure formali rigide. Nel lavoro della conoscenza vi sono pochi processi formalizzati. Ma quattro meccanismi rendono possibile la regolazione di forme anche complesse di organizzazione del lavoro basato sulla Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 11 conoscenza: a) lo sviluppo di comunità umane interne all’organizzazione che creano senso di identità, condivisione di valori e di scopi; in una parola, organizzazioni che non escludono, ma includono le piccole società in cui si sviluppa il lavoro della conoscenza; b) l’esistenza e la rappresentazione di processi di cooperazione in qualche misura autoregolata e condivisa dal management e dalle persone, processi di cooperazione che sono basati in gran parte sulle volontà, le competenze, l’interazione delle persone, e che hanno avuto successo in specifici contesti; c) le modalità concrete di condivisione delle conoscenze fra le persone e i sistemi tecnologici, modellate in modo da assicurare contemporaneamente la liberazione delle capacità delle persone di creare, scambiare, immagazzinare le conoscenze dell’organizzazione e usare queste conoscenze condivise; d) le modalità di comunicazione di dati, fatti, significati all’interno e all’esterno dell’organizzazione. Questi quattro elementi possono essere descritti, progettati, sviluppati e misurati secondo il Modello analitico e progettuale 4C (Butera, 1999): le comunità di lavoro basate su cooperazione intrinseca, conoscenza condivisa, comunicazione estesa. La comunità organizzativa ha come primo fondamento un comune sentimento di partecipazione, interessi condivisi o positivamente mediati, obiettivi in parte comuni, valori condivisi. L’orientamento ai risultati implica il passaggio dal concetto di comunità intesa come «organizzazione informale clandestina per proteggere l’individuo» a quello di comunità intesa come «piccola società per sostenere la crescita e le performance delle persone». Queste dimensioni dell’agire organizzativo sono presenti in varia misura dove si svolge il lavoro della conoscenza: esse consentono alle persone di animare i processi e le unità organizzative, di dialogare e collaborare, di costruire strutture. Il carattere tendenzialmente «olografico» e «aperto» di unità o nodi, basati sulle comunità che condividono queste proprietà, contiene in sé risorse per sviluppare autonomamente – ma in relazione ad altre strutture – i processi di conoscenza rilevanti, per comunicare con la dovuta estensione, per cooperare con autonomia e creatività e attivare energie professionali. La cooperazione è la forma di lavoro di molte persone che operano l’una accanto all’altra secondo un piano, in uno stesso processo lavorativo o in processi differenti, ma connessi, e determina un grande «aumento della potenza del lavoro». Con un nostro termine, abbiamo chiamato questo tipo di cooperazione, che nasce con l’industria, cooperazione estrinseca, per distinguerla dalla cooperazione intrinseca, o autoregolata, che accompagna il lavoro della conoscenza. Barnard (1938) aveva per primo compreso che la cooperazione fonda l’organizzazione e non viceversa, e aveva parlato di «organizzazioni come sistemi di cooperazione». Quest’ultima, già apparsa in alcune forme organizzative preindustriali e riemergente ora nelle organizzazioni di nuova concezione, implica il lavorare insieme sviluppando piani e azioni condivisi fra i membri che consentono di decidere insieme – in tutto o in parte – che cosa fare, quando, dove e come lavorare. È, perciò, una cooperazione socializzata nel contenuto e nella forma. Anche quando gli obiettivi e i piani generali sono fissati dall’alto, in questo modello di cooperazione vi è una partecipazione dei membri. Blackler propone una classificazione dei tipi di conoscenza impiegati nelle organizzazioni e dei tipi di organizzazione che si sono finora sviluppati. L’autore inglese classifica le conoscenze delle persone in embrained knowledge (le conoscenze professionali, le capacità cognitive e concettuali, il «sapere che»); embodied knowledge (l’azione orientata, il «saper come», le conoscenze che si acquisiscono, anche implicitamente, nelle operazioni quotidiane); encultured knowledge (il processo di condivisione della cultura, il sistema di ideologie, credenze e valori condivisi che si crea all’interno di un’organizzazione). Egli distingue le conoscenze proprietarie dell’organizzazione in embedded knowledge (la conoscenza che risiede nelle procedure, nelle routine, nei sistemi operativi) e in encoded knowledge (la conoscenza che risiede nei segni e dei simboli, nei libri e nei manuali). La tradizionale contrapposizione fra conoscenze oggettivate e reificate (che divengono proprietà dell’organizzazione) e conoscenze delle persone (che le organizzazioni tradizionali hanno storicamente tentato di codificare e ridurre), nelle organizzazioni di nuova generazione sembra Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 12 declinare decisamente verso una visione che stimola, invece, la sinergia e la convergenza di ogni tipo di conoscenza. Nell’organizzazione del lavoro della conoscenza si dà valore e si sviluppa la conoscenza condivisa, che include l’impiego simultaneo e condiviso di: – tutte le forme di conoscenze: quelle embedded ed encoded e quelle embrained, embodied ed encultured; – tutti i tipi di conoscenze delle persone: sia quella esplicita che quella tacita (Nonaka, Takeuchi, 1995), che quella contestuale (Brown, Collins e Duguid, 1989); – tutti i processi del conoscere (knowing). La comunicazione che ha luogo nelle organizzazioni centrate sulla conoscenza è basata in misura crescente sulla trasmissione di informazioni, dati e immagini con il supporto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. La comunicazione è sempre un «agire umano», un «agire comunicativo», secondo la terminologia proposta da Habermas (1981). La comunicazione è l’agire umano orientato a trasferire informazioni, segni, simboli e significati lungo canali e con mezzi di varia natura da un emittente – che è usualmente un soggetto individuale o collettivo il quale ha bisogno che il suo messaggio venga inteso e condiviso – a un ricevente – che è usualmente un soggetto individuale o collettivo che arricchisce la propria capacità se acquisisce a fondo il messaggio per elaborarlo secondo i propri interessi – (Butera, 1993). La comunicazione, nelle sue molteplici proprietà, è fattore fondante di nuove strutture e comunità organizzative: – nelle organizzazioni orientate al cliente è l’essenza stessa del servizio interno ed esterno; – nelle organizzazioni centrate sui processi è il principale dispositivo di sensemaking: essa consente la comprensione e il controllo dei processi di realizzazione, il passaggio della persona da controllato a controllore dei processi; – nelle organizzazioni basate su team è l’elemento costitutivo: i team richiedono ai propri membri di comunicare per cooperare, per controllare le varianze, per intraprendere azioni correttive, per raggiungere risultati; – nello sviluppo di professioni aziendali è uno strumento chiave nel rapporto fra le prescrizioni di ruolo e il ruolo effettivamente agito fra i membri dell’organizzazione e il cliente. Lo sviluppo delle conoscenze è poi consentito da un’efficace ed estesa struttura di comunicazione; – nei processi di miglioramento e di innovazione è il prerequisito di qualunque forma di partecipazione; – nelle applicazioni Web 2.0, tecnologia e social network diventano inestricabili: le comunità si costruiscono sulla base delle comunicazioni. 3.2 Il disegno e la gestione dei ruoli e delle professioni nelle organizzazioni: verso le professioni flessibili4 Di fronte alla valorizzazione della conoscenza nei processi di lavoro, si appannano le tradizionali forme di descrizione, regolamentazione, formazione del lavoro, le carriere verticali, i percorsi codificati di formazione. Per i lavoratori a più alto livello di qualificazione vi è la possibilità di una crisi di identità. Scompaiono le mansioni. Emergono nuovi ruoli professionali (copioni, più che forme codificate di attività), nuove professioni nelle organizzazioni (ruoli, contesti, riconoscimenti istituzionali o non di competenze) per dare all’individuo maggiore identità professionale e identificare i diversi ruoli organizzativi che può ricoprire nella sua attività lavorativa. Ma essi sono ancora scarsamente definiti e riconoscibili. Il lavoro sembra dissolversi nell’aria. L’idea di professioni nelle organizzazioni basate su processi di conoscenza (Butera, 1992; 1995) scaturì in parte dalle professioni liberali impegnate nelle organizzazioni (medici ospedalieri, insegnanti, giornalisti, architetti di studi di architettura, avvocati di studi legali, consulenti di società di consulenza ecc.) e fu adottato e testato sia in altri casi in cui mancava una tradizione di professione liberale (come ricercatori, manager professionali, professional nelle organizzazioni, tecnici qualificati, esperti di dominio, attori, ballerini, piloti di aereo, sportivi professionisti), sia nei casi di emergenti indefinite professioni (designer, event manager, channel manager, change management expert, manager of innovation, local development facilitator). L’idea fu quella non di Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 13 generare nuove professioni formalizzate, ma di riconoscere «cosa le persone fanno effettivamente» (Abbott, 1998), descriverle e gestirle dinamicamente. Le professioni organizzative sono caratterizzate da quattro dimensioni: – processi di lavoro basati sulla conoscenza; – ruoli (caratterizzati da eccellenza nella execution dei processi, risultati e relazioni); – dominio professionale (basato su conoscenze estese, abilità esercitate, competenze); – aspetti istituzionali comunicati e condivisi (norme deontologiche; riconoscibilità della professione; standard professionali; sistemi di certificazione per accedere e sviluppare; modelli per la carriera e lo sviluppo professionale). Esiste una professione (organizzativa o liberale) se essa fa riferimento a qualche grado di: – teorie e tecniche di riferimento; – deontologia verso il cliente, l’organizzazione, il pubblico; – autonomia e discrezionalità, basate sull’assunzione del rischio delle proprie decisioni; – talento; – reputazione e notorietà nell’organizzazione e presso i clienti; – curriculum scolastico; – standard professionali; – comunità professionale locale e internazionale; – formazione sul lavoro. Le nuove professioni nelle organizzazioni hanno molti elementi in comune con le professioni tradizionali: teorie e tecniche, codici deontologici, cursus formativo, carriera basata sulla reputazione ecc. Ma hanno anche moltissime differenze, perché manca loro il riconoscimento giuridico e la struttura corporativa. Esse sono una struttura produttiva oltre che un’istituzione e un sistema di gestione e identità sociale. Una professione organizzativa è un insieme costituito da una struttura produttiva, da un’istituzione sociale centrata su un lavoro, un’attività, un ruolo, e da un sistema di identità sociale. Nella stampa ridisegnare in modo che le frecce arrivino all’insieme PROFESSIONE ORGANIZZATIVA, invece che partire da esso Figura 3 – La professione organizzativa Perché la professione è un sistema di produzione di servizi? Ogni specifico sistema professionale è costituito da un’idea di servizio, ossia una concezione di servizi professionali offerti agli utenti attraverso forme di lavoro e di organizzazione, mercato, culture specifiche idonee a realizzare un servizio. Il termine stesso «professionista» proviene dal latino «profiteor», dichiararsi in pubblico, ossia promettere un servizio a chi ne necessita. Perché le professioni sono un’istituzione sociale? Le professioni tradizionali del medico, dell’avvocato, del notaio diventano quello che sono (sistema, struttura o istituzioni) solo Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 14 nell’Ottocento, ma le attività relative e molti altri attributi delle professioni esistevano già ad Atene, Roma, Firenze. Le professioni hanno avuto uno sviluppo straordinario nel Novecento, con le professioni liberali centrate sui servizi alle persone e con quelle centrate sull’applicazione della scienza e della tecnologia, in particolare alla progettazione. I professionisti nel secolo XX hanno in parte operato entro lo schema dell’esercizio individuale e in parte entro le organizzazioni: è tipico il caso del medico libero professionista e ospedaliero. In generale, le professioni sono sempre state in competizione fra loro (il medico internista o lo psicologo?), con le organizzazioni (Le Corbusier o la grande società di costruzioni?) e con i prodotti (l’agente di viaggio o la propria automobile?). Perché le professioni sono anche sistemi di identità? Perché definiscono la «giurisdizione», i percorsi formativi, le condizioni di ammissione e di sviluppo, i compensi, i riconoscimenti economici e sociali e molto altro. La varietà e l’incertezza dell’attività professionale trovano una piattaforma di identità sociale nella struttura della professione. È ciò che consente di rispondere alla domanda «che lavoro fai?». In sintesi occorre sviluppare visibili e dinamici sistemi professionali che superino il modello molecolare delle competenze (uno strumento che assomiglia al caleidoscopio più che a uno strumento di governo), sistemi professionali cioè che assicurino produttività, regolazione sociale e identità delle persone. 3.3 Occupazione Mobilità e employability: verso una vera flexsecurity Occorre sviluppare sistemi gestionali e di forme di mercato del lavoro che proteggano le persone, formino competenze ampie e articolate in grado di assicurare la capacità di evoluzione e di adattamento, sviluppino capacità di percorrere sentieri flessibili interfunzionali e orizzontali, aumentino la costituzione del career capital, ossia l’insieme delle competenze professionali, di quelle apprese durante il periodo scolastico, di quelle on the job e in situazioni di apprendimento non lavorativo. La mobilità di chi ha un lavoro è quella cha ha luogo nelle: – carriere verticali (lotta per la scalata) e orizzontali (lotta per la continuità – Weick, 1969); – carriere entro una rete (per esempio mobilità in un distretto industriale); – carriere entro un dominio professionale (carriera professionale codificata); – carriere entro e fuori una industry; – carriere entro lo stesso o un diverso modello di impiego; – carriere locali e globali; – carriere omogenee e disomogenee; – carriere continue e discontinue. La carriera verticale nella stessa organizzazione è stata tradizionalmente la successione di posizioni ordinate secondo una precisa gerarchia di prestigio, attraverso cui una persona si muove in una sequenza ordinata (Wilensky, 1964). È un processo continuo di ascesa verso posizioni di crescente autorità e responsabilità. Declina in tutto il mondo e viene sostituita da altre forme di carriera. La carriera orizzontale entro una stessa organizzazione è, per esempio, accumulazione di conoscenze, competenze, reputazione e reimpiego in processi di crescente complessità (crescita professionale). Emergono boudaryless career, carriere sviluppate fra funzioni, settori, livelli, assetti professionali, sistemi di compensi molto diversi. Un esempio più estremo sono le protean career, ossia le carriere sviluppate reimpiegando la stessa base professionale su più organizzazioni entro un processo gestito dalla persona (Hall, 1976). Esiste la sequenza dinamica delle esperienze di un individuo nel tempo senza modelli (Tolbert, 1996). Ma questi percorsi spesso non sono compresi dalle persone, dalle organizzazioni, dalle istituzioni. Il futuro del lavoro diviene allora nebuloso. L’involontarietà della perdita del posto di lavoro crea una mobilità drammatica che è emergenza ma potrebbe diventare carriera. Perché si sviluppino carriere senza confini (di chi ha lavoro e di chi lo ha perso) è necessario, secondo Bagnara e Kieselbach (1998): Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 15 – un continuo adattamento alle trasformazioni dei contenuti di lavoro, del mercato del lavoro, delle caratteristiche delle persone sia in fase di occupazione che di fronte alla perdita di posti di lavoro; – arricchire le competenze personali attraverso sentieri flessibili interfunzionali e orizzontali; – aumentare la costituzione del career capital, ossia l’insieme di competenze, apprese durante il periodo scolastico, on the job e in situazioni di apprendimento esterne a quelle professionali; – formare competenze ampie e articolate in grado di assicurare la capacità di evoluzione e di adattamento; – costruire l’immagine, i contenuti, la formazione, il supporto gestionale e personale per gestire percorsi interni ed esterni all’impresa, assicurando empowerment e stabilità alle persone e produttività alla loro professione (professioni aziendali – Butera, 1995). Viene spesso usato il termine employability, che non va utilizzato per descrivere in modo indifferenziato sia la nuova mobilità del lavoro professionale (fenomeno positivo) che la gestione della perdita del posto di lavoro (fenomeno drammatico). Employability può essere però un’unica strategia attiva che valorizza le professioni, previene la disoccupazione e riconfigura i percorsi sul mercato del lavoro. I percorsi professionali e personali interaziendali, interoccupazionali, intergenerazionali dei knowledge worker possono seguire i sentieri di una carriera senza confini, soprattutto per le professioni chiave e indefinite, come le seguenti: – Professioni forti emergenti • Analisti finanziari; • Computer scientist; • Project manager. – Professioni deboli emergenti • Manager of innovation; • Professionisti dello sviluppo del territorio; • Change management expert; • Architetti di processi di internazionalizzazione. – Lavori in bilico fra il degrado/l’obsolescenza e la professionalizzazione: • Professionisti dei call center; • Manutentori; • Addetti alle attività turistiche di front-office; • Operatori di attività stagionali (eventi sportivi, moda, fiere ecc.). 3.4 L’integrità e l’identità della persona: la qualità della vita come risorsa delle persone, delle organizzazioni, della società Si prospetta un quadro di estrema complessità per le persone sottoposte a un flusso di informazioni, comunicazioni, processi economici, processi sociali a cui le strutture e le comunità tradizionali non fanno più barriera e che precipitano sulla persona. Il lavoro non è più una protezione, ma un flusso di eventi caratterizzati da cambiamenti e da incertezze. La persona assume per certi aspetti una figura (potente e inquietante) di Atlante che sostiene tutte le variabilità (esterne, organizzative, professionali, occupazionali e personali), che però può franare sotto il peso di questa complessità e diventare preda dell’«angoscia della libertà» di cui parlava Sartre. Per rafforzare lo sviluppo delle conoscenze e contrastare il senso di dissoluzione di questa fase di profondo e rapido cambiamento, diventa centrale il rafforzamento dell’identità profonda delle persone. Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 16 Una prospettiva di difesa e azione è quella dell’«energia vitale e dell’integrità della persona» di cui siamo debitori agli scrittori del personalismo europeo e agli studiosi del movimento della quality of working life (Davis, Emery, Trist, Thorsrud). L’integrità della persona e delle persone o qualità della vita deve essere il centro di questo processo di ridefinizione del lavoro e dei lavoratori della conoscenza. L’integrità fisica delle persone è un primo parametro fondamentale. Mettere al centro della progettazione e gestione d’impresa la salvaguardia dell’integrità fisica delle persone è un problema che si deve e si può risolvere, non solo con le norme e le azioni penali, ma anche e soprattutto con la prevenzione ottenuta attraverso appropriati interventi sui processi e sull’organizzazione. Figura 4 – Qualità della vita e del lavoro L’integrità cognitiva è un’altra dimensione fondamentale della qualità della vita di lavoro: oggi vi sono persone di 40 o 50 anni esposte a una innovazione tecnologica forte e drammatica, che sono disorientate. La progettazione tecnologica deve assumere criteri di ergonomia cognitiva che servano a mantenere al lavoro le persone al più lungo possibile (Bagnara, 2006). È importante anche proteggere un’altra dimensione della qualità della vita di lavoro: l’integrità emotiva. Fatica mentale, tensione, nevrosi, psicosi, stress sono in molti casi co-generati da un’organizzazione del lavoro inadeguata. Andiamo verso condizioni in cui alle persone sarà richiesto molto di più: proprio per questo diviene cruciale il problema di come si può evitare che la gente si deprima, che sia sottoposta a stress a causa del sovraccarico emotivo. Il quarto criterio è l’integrità professionale: le persone hanno bisogno di riconoscere la propria identità professionale, di proteggere il valore della propria esperienza, di predisporsi ad apprendere delle cose nuove. Quindi bisogna aumentare e rendere chiari competenze, ruoli, formazione, sviluppo, sicurezza del lavoro. L’integrità sociale è assai importante. Chi lavora in un piccolo paese dell’Emilia, esce dal lavoro e si trova con gli amici, vive bene, mentre chi lavora nelle grandi metropoli come Milano o come Roma può sentirsi sradicato nelle relazioni sociali, per la distanza, per la fretta, per i turni ecc. Questa contrapposizione non è inevitabile. Riforma dell’impresa e riforma delle città devono essere interconnesse, avendo la persona al loro centro: impresa-rete e città-rete possono convergere in un’azione virtuosa (Perulli, 2000). L’ultimo punto, e il più importante di tutti, è l’integrità del sé. Essa non è la somma di tutto quanto abbiamo detto prima. Se c’è un attacco all’integrità emotiva o all’integrità cognitiva, se ci sono dei turni impossibili, una persona potrebbe non sapere più neanche chi è. Ma anche quando nessun altro parametro di integrità sia stato violato potrebbero esserci casi in cui la persona non riconosca il proprio (o i propri) sé. Era quello che Durkheim chiamava anomia, che Marx chiamava alienazione e che Mounier e Maritain attribuivano a un mancato autoriconoscimento di sé come persona. È la erosion of character, il deterioramento della personalità di cui parla Sennet. Il riconoscimento di sé non è contemplazione ma, per un verso, mobilitazione di energie per l’autodifesa dell’integrità di tutte le dimensioni della persona e, per altro, per la valorizzazione e Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 17 l’affermazione di sé vincendo la «lotta per il reale» e la «padronanza dell’azione», come dice Mounier (1949, pp. 71-72): Tutte le psicologie sono destinate a sfociare in una singolarità drammatica, perché la vita psicologica è una vita fatta non di astrazioni verbali o fisiologiche ma di avvenimenti legati fra loro, il cui attore è una persona concreta ... Ogni fatto psicologico è un avvenimento in prima persona ... È inseparabile da una storia, da un significato, da una valorizzazione personale. Il concetto di persona (invece che quello di individuo, soggetto, ruolo) è legato a tre dimensioni centrali dei processi che abbiamo evocato: la centralità e assolutezza dell’uomo, la relazione con la comunità e la relazione con sé. Sul primo punto, come chiarisce Abbagnano, «gli esseri ragionevoli sono chiamate persone perché la loro natura li indica già come fini in se stessi, vale a dire come qualcosa che non può essere adoperato come mezzo». La relazione con l’«altro» è la seconda dimensione del concetto di persona: «polo di tutta la vita intenzionale attiva e passiva e di tutti gli abiti che crea» (Husserl), «rapporto con il mondo», «dominio delle possibilità di azione» (Scheler), l’«esserci» (Heidegger). «La persona è data solo laddove è dato un poter fare che non si fonda solo sul ricordo delle sensazioni occasionate dai movimenti esterni e dalle esperienze attive ma precede l’agire effettivo» (Scheler). La relazione con sé è un’altra caratteristica della persona: «La persona è un essere intelligente e pensante che possiede ragione e riflessione e può considerare se stesso in diversi tempi e luoghi; ciò che fa attraverso quella coscienza che è inseparabile dal pensare ed essenziale a esso» (Locke). «Il fatto che l’uomo possa rappresentarsi il proprio io, lo eleva infinitamente al di sopra di tutti gli esseri della terra» (Kant). L’idea di abilitazione personale, o empowerment, della persona che riproponiamo si allontana dall’uso fatto della letteratura manageriale che allude prevalentemente a un trasferimento dell’incertezza dalle strutture agli individui. In primo luogo, abbiamo assunto che il problema dello spostamento del locus of control da fuori a dentro (Sutherland e Cooper, 1990) e quello dell’aumento della capacità di coping a crescenti situazioni stressanti o ansiogene (Catino, Bagnara, Bergamaschi et alii, 2002) rappresentano un doppia richiesta (1) di praticabilità di nuove e più flessibili strutture organizzative basate sui processi e (2) di soddisfacimento di bisogni di valorizzazione delle persone. L’abilitazione personale o empowerment della persona è: […] il processo attraverso il quale un individuo o un gruppo di individui migliorano la propria abilità e abilitazione ad agire individualmente e in cooperazione con gli altri per controllare i processi di lavoro, influenzare positivamente le strutture e migliorare le performance di un sistema socio-tecnico e la propria stessa integrità della vita, grazie alle proprie condizioni congiunte di forza e sanità fisica, livello di comprensione e competenza, stabilità emotiva, abilità professionali, integrazione sociale, fiducia in se stessi (Butera 1995). 3.5 Un modello di analisi e progettazione del lavoro della conoscenza La Fondazione Irso ha sviluppato un modello (Butera e Di Guardo, 2009) che descrive e progetta il lavoro della conoscenza sulla base di tre dimensioni chiave, ciascuna in continuo mutamento, in forte relazione fra loro e fortemente associate a variabili esterne: il Ruolo, la Professione, la Persona al lavoro. Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 18 contesto organizzativo di riferimento caratteristiche occupazionali Identità Professionale RUOLO PROFESSIONE Sviluppo della Persona nel Ruolo ruolo agito Sviluppo del Ruolo oltre la Persona Sviluppo di Carriera entro e fuori l’organizzazione PERSONA storia, traiettoria personale e sistema sociale Figura 5 – Il modello di analisi e progettazione del lavoro (© Fondazione Irso) Queste dimensioni possono essere analizzate, sviluppate, progettate come abbiamo fatto in numerosi lavori 4. L’analisi e il presidio delle tre dimensioni del modello non sono tuttavia sufficienti a comprendere e a progettare il lavoro; occorre infatti analizzarne ed ottimizzarne le mutue relazioni, siano esse positive e/o critiche. La relazione tra Ruolo e Professione definisce l’Identità Professionale, ovvero la capacità che le persone hanno di riconoscere una relazione tra quello che esse fanno oggi, hic et nunc, nell’organizzazione e la collocazione di ciò in una esistente o possibile professione. La seconda interazione si attiva quando una Persona fa evolvere il Ruolo formale nel quale ha prestato la propria opera e lo afferma. Infine, nella relazione tra Professione e Persona si evidenzia l’esistenza delle possibilità di Sviluppo di Carriera entro e fuori l’organizzazione, entro e fuori dal percorso di una specifica professione (mobilità in una singola organizzazione e in una broad profession oppure mobilità interorganizzativa e mobilità interprofessionale). Le tre dimensioni del modello si originano fuori da uno specifico contesto e da un esteso ambiente organizzativo e societario. Il Ruolo, infatti, è una parte del Contesto Organizzativo di riferimento, che evolve rapidamente distruggendo e creando ruoli; la Professione è una porzione del mercato del lavoro caratterizzato da peculiari Caratteristiche Occupazionali, che attribuisce valori e compensi in base a dinamiche socio-economiche che trascendono la professione; la Persona al lavoro è la punta dell’iceberg della persona nella sua totalità, nella sua Storia, traiettoria personale e sistema sociale. 3.6 Due classi di proposte di azione In sintesi, le proposte che emergono dall’analisi condotta sono: 1. Per le organizzazioni (imprese e Pubbliche Amministrazioni) – progettare e sviluppare processi di lavoro, organizzazione del lavoro, professioni della conoscenza, con nuovi modelli e nuovi metodi; – sviluppare comunità professionali e di pratica senza confini; – sviluppare programmi di formazione che potenzino capacità di cooperazione intrinseca, conoscenza condivisa, comunicazione estesa per ciascun contesto e in ogni organizzazione del lavoro (meno specialismo e più stare sul campo); – introdurre nuovi sistemi di identificazione, classificazione e professional placing, basati sull’individuazione di un limitato numero di professioni di base (broad profession), più che su un grande numero di job e task molto dettagliati; 4 Si fa riferimento, in particolare, a: Cinti P. (a cura di), Prendersi cura: indagine sulle professioni sociali, FrancoAngeli, Milano, 2011; Professioni dell’ICT, Working paper Fondazione Irso, 2009; Knowledge owner nell’industria petrolifera, Working paper Fondazione Irso, 2009. Fondazione Irso - Piazza Giovine Italia 3 - 20123 Milano Tel. +39 02 48016162 - Fax +39 02 48016195 - www.irso.it - [email protected] 19 – attivare processi collaborativi tra istituzioni, organizzazioni e sistemi educativi per dare nuova forma alle carriere; – attivare processi di partecipazione al miglioramento e all’innovazione. 2. Per le istituzioni, i governi, i sistemi educativi – rimuovere i vincoli che impediscono la mobilità positiva; – sviluppare un sistema unitario di rilevazione di professioni e mestieri; – sviluppare un sistema unitario di informazione e valutazione dei risultati dell’università e della scuola; – sviluppare nuove forme di formazione, di alternanza scuola/lavoro, di life-long education; – supportare carriere senza confini; – attivare e sostenere moderni Bibliografia A.D. ABBOTT, The System of Profession. An Essay on the Division of Expert Labor, The University of Chicago Press, Chicago, 1988. A. ACCORNERO, G. ALTIERI, C. OTERI, Lavoro flessibile, Ediesse, Roma, 2001. S.R. BARLEY, Technicians in the Workplace: Ethnographic Evidence for Bringing Work into Organization Studies, in «Administrative Science Quarterly», n. 41, 1996, pp. 404-441. C. BARNARD, The Functions of the Executive, Harvard University Press, Cambridge, 1938. S. 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