Visualizza/apri - ArchivIA - Università degli Studi di Catania
Transcript
Visualizza/apri - ArchivIA - Università degli Studi di Catania
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CATANIA Facoltà di Scienze Politiche – Facoltà di Giurisprudenza Tesi di Dottorato in «Profili della cittadinanza nella costruzione dell’Europa» Ciclo XXIV CESARE LOMBROSO E LE NEUROSCIENZE: UN PARRICIDIO MANCATO? Candidata: dott.ssa Emilia Musumeci Tutor: Chiar.mo Prof. Fabio Ciaramelli Coordinatore del dottorato: Chiar.mo Prof. Giuseppe Vecchio ANNO ACCADEMICO 2010/2011 INDICE Introduzione p. 6 1. Il criminale sotto la lente dello scienziato tra vecchie categorie e nuove scoperte p. 6 2. Natural born killers p. 10 3. Il ritorno di Lombroso? p. 13 PARTE I Capitolo I Cesare Lombroso tra ceto dei giuristi e ceto degli scienziati: un‘eredità dilapidata p. 20 1. L‟eredità di Cesare Lombroso nella dottrina penalistica italiana tra oblio e damnatio memoriae p. 21 2. Non solo criminali: la galassia deviante p. 27 3. La viola e l‟aconito: genio e degenerazione p. 29 3.1 L‟orrore e l‟estasi della vita: il caso Charles Baudelaire p. 36 3.2 Degenerazione vs. genio degenerato p. 39 4. La passione per il martirio: i mattoidi p. 45 4.1 Il Profeta di Arcidosso, David Lazzaretti p. 48 4.2 L‟anarchico regicida, Giovanni Passannante p. 51 5. Il volto di Giano della devianza lombrosiana 2 p. 55 Capitolo II Il delinquente-nato come mostro p. 64 1. Il fascino ambiguo del Mostro p. 65 2. La nascita della criminalità mostruosa p. 69 3. Il criminale atavico: il caso Villella p. 74 4. L‟amore mostruoso di Vincenzo Verzeni, “Strangolatore di donne” p. 79 5. La follia morale ovvero “il morbo della mostruosità” p. 84 6. Il caso Misdea e l‟aggiunta del fattore epilettico p. 87 7. Giuseppe Musolino, „l‟ultimo brigante‟ p. 96 PARTE II Capitolo III Neurogiustizia p. 104 1. Epilessia e responsabilità p. 105 2. Cervelli in tribunale: nuove tecniche per vecchi problemi p. 108 3. Alla ricerca del gene del male: il caso Bayout p. 112 4. Nata per uccidere: il caso Albertani p. 121 5. Neuroscienze e diritto: progresso o catastrofe? p. 134 6. Neuro-scettici versus Neuro-ottimisti p. 141 3 Capitolo IV Libero arbitrio tra scienza e diritto ieri e oggi p. 150 1. Libero arbitrio e determinismo: nuove luci su una vexata quaestio 2. Il dibattito attuale p. 151 p. 155 2.1 L‟orologio di Benjamin Libet p. 156 2.2 L‟errore di Cartesio e il ritorno di Phineas Cage: le scoperte di Damasio p. 157 2.3 Oltre Libet e Damasio, posizioni consolidate e prospettive future: Kiehl, Haggard, Haynes p. 161 3. Se siamo privi di libero arbitrio possiamo essere condannati? p. 165 4. Libero arbitrio e diritto penale: il dibattito ottocentesco p. 171 4.1 Bando alla Metafisica!: il „manifesto‟ della Scuola Positiva p. 172 4.2 Contro una bufera di empirismo: la reazione della c.d. Scuola Classica p. 181 4.3 Un anelito comune nel rumorìo della folla: la Terza Scuola p. 189 4.4 La libertà non è una secrezione del cervello: gli altri antimaterialisti p. 196 Conclusioni – Spettri lombrosiani p. 201 Bibliografia p. 205 4 Con le mani guantate apre il manoscritto e lo spinge verso di me, ordinandomi: «Guarda!». Dice: «Qui dentro c‟è ogni momento del tuo passato! Ogni istante del tuo futuro!». Madison Spencer non esiste, sostiene Satana. Non sono altro che un personaggio fittizio da lui inventato eoni fa. La sua Rebecca de Winter. La sua Jane Eyre. Ogni pensiero che ho mi avuto, è stato lui a inculcarmelo. Ogni parola che ho mai detto, sostiene, è stato lui a scriverla per me. Incitandomi a guardare la sceneggiatura, facendo guizzare gli occhi gialli, Satana dice: «Tu non possiedi il libero arbitrio! Non hai alcun tipo di libertà. Dall‟alba dei tempi, non fai altro che ciò che io decido per te!»1. C. Palahniuk, Dannazione, Mondadori, Milano 2011, pp. 236-237 (ed. or., Damned, Doubleday, New York 2011). 1 5 Introduzione 1. Il criminale sotto la lente dello scienziato tra vecchie categorie e nuove scoperte «Sarò ricordato come il più grande mostro»2. Così dichiarava con fierezza subito il suo arresto Anders Behring Breivik, il trentaduenne norvegese reo confesso dell‟attacco terroristico nel centro di Oslo e della strage di giovani inermi del partito laburista sull‟isola di Utoya, in cui persero la vita complessivamente novantotto persone il 22 luglio 2011. Massone e vicino agli ambienti di estrema destra, nonché fondamentalista cristiano antimarxista e anti-islamico, Breivik pianificava da anni i due attentati che dichiara di essere stato “costretto” a compiere, definendo le azioni commesse «atroci ma necessarie»3 per dare un segnale forte contro il dilagante multiculturalismo, nei cui confronti aveva intrapreso una personale, epica crociata. A distanza di circa tre mesi dagli attentati una notizia rimbalza sui network di tutto il mondo: «“pazzo” il killer di Oslo potrà evitare il carcere»4. Secondo la perizia di ben 243 pagine redatta dagli psichiatri Synne Serheim e Torgeir Husby sulla base di 13 incontri per un totale di 36 ore di interviste con Breivik quest‟ultimo non sarebbe penalmente responsabile per le atrocità commesse poiché L. Offeddu, Nove anni e 1.500 pagine «Sarò il mostro più grande», in «Corriere della Sera», 25.07.2011. 3 Adnkronos, Strage in Norvegia, sul web il manifesto di Breivik: "Azioni atroci ma necessarie", 24.07.2011, http://www.adnkronos.com/IGN/News/Esteri/Strage-in-Norvegia-sul-web-ilmanifesto-di-Beirik-Azioni-atroci-ma-necessarie_312277535809.html. 4 N. M. Serena, «Pazzo» il killer di Oslo potrà evitare il carcere, in «Corriere della Sera», 30.11.2011, p. 19. 2 6 incapace di intendere e di volere. A detta dei due psichiatri, infatti, Breivik sarebbe affetto da una forma di schizofrenia paranoica accompagnata da allucinazioni, deliri di persecuzione e deliri di grandezza. In un colpo solo, così, il giovane norvegese, dipinto come uno spietato e freddo assassino, passa dall‟essere una specie di ultimo Templare solitario ad un malato di mente da curare. Il processo inizierà nell‟aprile del 2012 e se verrà accolta la tesi dei due periti, Breivik sarà probabilmente assolto dai reati, ma dovrà trascorrere il resto dei suoi giorni in un ospedale psichiatrico. Il caso Breivik, come molti altri crimini efferati che quotidianamente alimentano la cronaca nera, rendendo sempre più labile il confine tra crime fiction e realtà, pone numerosi interrogativi: dove finisce il crimine e inizia la follia? Chi decide la linea di separazione tra malvagità e malattia? Fino a che punto l‟uomo è libero di scegliere di compiere il male? Ogni giorno nei tribunali i giudici sono costretti a porsi tali questioni per decidere sulla responsabilità penale degli imputati allo scopo di distinguere chi va punito da chi va curato. A tale scopo, nonostante il giudice nel nostro processo sia peritus peritorum, si avvale di esperti che lo possano „guidare‟ nella difficile valutazione della capacità di intendere e di volere, fin dall‟Ottocento quando fecero ingresso nelle aule di giustizia gli alienisti. In Italia il potere psichiatrico in ambito forense emerge in maniera parallela con l‟affermarsi del sistema inquisitorio: il perito, grazie ai progressi scientifici e ai sempre maggiori poteri della scienza medica diventa sempre più autonomo ma soprattutto diventa una figura quasi imprescindibile dopo l‟emanazione del codice penale napoleonico e l‟inizio della c.d. età della codificazione, in cui accanto alla valutazione della materialità dell‟atto criminoso 7 e delle sue conseguenze si affianca quella sulla responsabilità di chi quell‟atto l‟ha posto in essere. Emerge, in altri termini, l‟istituto giuridico dell‟imputabilità secondo cui il reato è attribuibile (e quindi perseguibile penalmente) solo a chi lo ha commesso nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali. Questa è una vera e propria svolta nella storia del diritto penale costituendo la condizione dell‟ingresso a pieno titolo della psichiatria nel foro5. Si tratta di una fase di passaggio decisiva che coincide con l‟emanazione del codice Zanardelli nel 1889, il quale all‟art. 46 prevede che «non è punibile colui che, nel momento in cui ha commesso il fatto, era in tale stato di infermità di mente da togliergli la coscienza o la libertà dei propri atti (omissis)»6, introducendo due concetti fondamentali: da un lato, quello di “libertà dei propri atti” che va a sostituire quello di “libertà d‟elezione” stabilito nel codice penale toscano pre-unitario e, dall‟altro, quello di “infermità di mente” per definire la follia, che sembra essere la prima vera vittoria della Scuola Positiva rispetto a chi propugnava una concezione di follia basata sul libero arbitrio7. Solo con il Codice Rocco, elaborato nel 1930, verrà delineata la nozione di imputabilità, prevedendo all‟art. 85 c.p. che «è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere» e inserendo gli articoli 88 c.p. e 89 c.p. per definire i concetti di vizio totale e parziale di mente. Al di là delle eventuali linee di Cfr. M. Galzigna, La malattia morale. Alle origini della psichiatria moderna, Marsilio, Venezia 1989, pp. 251-252. 6 Cfr. U. Fornari, R. Rosso, Libertà morale, infermità di mente e forza irresistibile nella psichiatria italiana dell‘Ottocento, in A. Ceretti, I. Merzagora, (a cura di), Criminologia e responsabilità morale, Cedam, Padova 1990, p. 47. 7 Su tali aspetti si rinvia a V.P. Babini, La responsabilità nelle malattie mentali, in V.P. Babini, M.Cotti, F. Minuz, A.Tagliavini, Tra sapere e potere: la psichiatria in Italia nella seconda metà dell‘Ottocento, Il Mulino, Bologna 1982, pp. 135-198. 5 8 continuità e discontinuità tra il “nuovo” codice penale e il “vecchio” codice Zanardelli, ancora una volta il ruolo determinante è quello assegnato al perito. Al posto degli alienisti ottocenteschi subentrano nuove figure di esperti quali lo psichiatra, il criminologo, lo psicoterapeuta, lo psicoanalista, ma la loro funzione rimane comunque inalterata, trattandosi dello strumento dell‟autorità della scienza di cui ha bisogno il potere giudiziario e a cui quest‟ultimo «delega il compito di emettere l‟oracolo, il “responso” della verità»8. Nonostante la centralità della perizia psichiatrica nel processo penale, negli ultimi decenni l‟intera disciplina versa in una profonda crisi. I primi scricchiolii si avvertono già a partire dagli anni Sessanta del Novecento quando la psichiatria sembra sempre più afflitta da divisioni interne e sottoaree che ne minano le fondamenta. Il resto lo faranno l‟avvento sempre più pervasivo degli psicofarmaci da un lato e l‟incapacità di ritrovare un indirizzo unitario dopo la legge Basaglia del 1978 dall‟altro. Il risultato è oggi una disciplina che sembra essersi smarrita in mille rivoli. Ciò si evince in maniera evidente dal dibattito infuocato innescatosi dalla nuova pubblicazione della versione aggiornata del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-5) elaborato dall‟American Psychiatric Association (Apa) prevista per maggio 2013. Dopo l‟ultima versione (DSM-IV), risalente al 1994, si respira un clima di grande attesa e non sono mancate polemiche e colpi di scena9, essendo il Dsm il sistema diagnostico in psichiatria A. Francia, Duca Lamberti, medico detective, ovvero la responsabilità morale del criminologo, in A. Ceretti, I. Merzagora, (a cura di), Criminologia e responsabilità morale, cit., p. 311. 9 Il dibattito su quali malattie da inserire e quali escludere è stato molto serrato ed è ancora in fieri, cfr., V. Lingiardi, Dsm, la rivolta dei medici, in «Il 8 9 più usato al mondo. Da ciò ne deriva che l‟inserimento di una nuova patologia o la cancellazione di una presente nella vecchia edizione, assuma un‟importanza determinante ai fini della delimitazione dei confini della sanità mentale, con ovvie ricadute in campo penale sull‟imputabilità. 2. Natural born killers Accanto a tale profonda crisi e al clima generale di incertezza si profila l‟affermarsi, sempre più forte, del paradigma neuroscientista, secondo cui i pensieri sono il risultato di connessioni sinaptiche, mere immagini10 cerebrali da immortalare con le tecniche di brain imaging, che sta ormai permeando tutti i campi del sapere. Non deve perciò stupire che tali tecniche, lungi dal rimanere chiuse in asettici laboratori, siano ormai entrate persino nelle più austere aule dei tribunali: anche l‟amore11 o la violenza, infatti, secondo i neuroscienziati, possono essere considerate delle reazioni bio-elettrochimiche come altre12. Così, di fronte alla disgregazione del potere degli psichiatri e alle loro perizie, ritenute ormai sempre meno oggettive e meno certe, nei Sole 24 Ore - Domenica», 04.12.2011 e G. Corbellini, Disturbi mentali, il catalogo è questo, in «Il Sole 24 Ore - Domenica», 22.03.2010. 10 In tal senso, ad esempio, C. Frith, Inventare la mente. Come il cervello crea la nostra vita mentale, Raffaello Cortina, Milano 2009 (ed. or., Making up the Mind. How the Brain Creates Our Mental World, Blackwell Publishing Ltd, Malden, 2007) che studiando il rapporto tra mente e cervello sulla base delle tecniche di brain imaging, sostiene la tesi secondo cui il cervello “fotografando” il mondo esterno grazie alle sensazioni ricevute dagli organi di senso crea la mente. 11 A. Bartels, S. Zeki, The neural basis of romantic love, in «NeuroReport», 27.11.2000, vol. 11, n. 17, pp. 3829-3834. 12 Cfr. P. Barcellona, Elogio del discorso inutile. La parola gratuita, Dedalo, Bari 2010, p. 126. 10 tribunali i giudici scelgono sempre più di affidarsi a tecniche che appaiono invece “certe” e “infallibili”. Malgrado le varie ed eterogenee discipline scientifiche (dagli studi di biologia molecolare a quelli di neurobiologia molecolare e neurologia sino alla psicobiologia) che si indicano con il termine “neuroscienze”13, vi è un‟idea di fondo che le accomuna: la possibilità di spiegare tutti i comportamenti umani, anche i più complessi, semplicemente comprendendo il funzionamento del cervello. In altre parole, per le neuroscienze “noi siamo i nostri neuroni” poiché la «la mente è ciò che il cervello fa»14. Nel campo del diritto e della procedura penale ciò si traduce nella possibilità di stabilire “in maniera oggettiva” ad esempio se un soggetto posto sotto interrogatorio stia mentendo, mediante sofisticate “macchine della verità” meglio note come strumenti di lie detection. Ma, soprattutto, influisce sui concetti di imputabilità e responsabilità penale in maniera pesante. In tale direzione si pone quel particolare filone denominato “neuroscienza del libero arbitrio”15 che mira ad indagare le componenti neuropsicologiche dell‘agire deliberato, mediante l‟analisi dei rapporti intercorrenti tra intenzione, coscienza dell‟azione e processi di controllo, sia in «soggetti normali (la fisiologia del libero arbitrio) sia nei soggetti portatori di disturbi mentali (la patologia del libero arbitrio)»16. In questo ambito si pongono le numerose ricerche – come avremo modo di vedere – sviluppate a partire Sulla definizione e l‟origine delle neuroscienze moderne cfr. A. Oliverio, Prima lezione di neuroscienze, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 3-37. 14 A. Bianchi, Neuroscienze e diritto: spiegare di più per comprendere meglio, in A. Bianchi, G. Gulotta, G. Sartori (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, Giuffré, Milano 2009, p. XIII. 15 Cfr. G. Sartori, L. Sammicheli, Cervello, diritto e giustizia, in A. Lavazza, G. Sartori (a cura di), Neuroetica, Il Mulino, Bologna 2011, p. 157. 16 Ibidem. 13 11 dagli esperimenti compiuti negli anni Ottanta dal fisiologo Benjamin Libet e basate sull‟assunto che ci sia uno scarto temporale, sia pur minimo, tra il momento in cui si ha la consapevolezza di compiere un‟azione e quello in cui essa viene posta in essere. In poche parole, secondo tali ricerche, prima che ce ne possiamo rendere conto il cervello ha già deciso per noi. Nella stessa direzione si pongono anche le ricerche di genetica comportamentale che individuerebbero nella bassa attività di alcuni alleli o nel polimorfismo di determinati geni una maggiore propensione all‟aggressività. Da ciò deriverebbe la messa in crisi del concetto di libero arbitrio con evidenti ricadute in campo giuridico, visto che il nostro concetto di responsabilità penale si basa proprio sulla sua esistenza. A negare il libero arbitrio sovvengono anche altri due filoni di ricerca. Il primo è quello relativo alla correlazione tra determinate aree cerebrali, come i lobi della corteccia prefrontale, e specifiche funzioni (ad es. quella di svolgere un‟azione inibitoria degli istinti). Tali studi, tendenti a dimostrare il rapporto diretto tra lesioni di queste aree e comportamento anti-sociale, sono iniziati a partire dalla riscoperta da parte del neuroscienziato Antonio Damasio del caso di Phineas Gage, ritenuto “patologicamente irresponsabile” a causa di gravi lesioni alla corteccia prefrontale, divenuto ormai un “classico” delle neuroscienze. Un altro filone di ricerca, sviluppatosi parallelo a quest‟ultimo, è quello orientato a dimostrare la possibilità di manovrare come una marionetta un soggetto dall‟esterno, mediante Stimolazione Magnetica Transcranica (TSM), tecnica non invasiva di stimolazione della corteccia cerebrale mediante una sonda mobile esterna costituita da speciali magneti, utilizzata da 12 alcuni studiosi come il neuroscienziato britannico Patrick Haggard. Egli sembra essere così convinto dell‟inesistenza del libero arbitrio da affermare: istantaneamente «I‟m alla just a nostra machine»17, mente il richiamando fantasma così dell‟uomo macchina settecentesco18 o gli ipnotizzati in preda alla fascinazione del mago incantatore Donato sui palcoscenici di fumosi teatri ottocenteschi19. 3. Il ritorno di Lombroso? Ma questo approccio è realmente figlio della nostra epoca, pomposamente definita da più parti del post-umano20? Ad uno sguardo più attento si nota come esso affondi le sue radici nella neuropsicologia classica sviluppatasi a partire dal XIX secolo, con gli studi di frenologia condotti da Franz Joseph Gall e Johann Cfr. T. Chivers, Neuroscience, free will and determinism: 'I'm just a machine', in «The Telegraph», 12 October 2010, http://www.telegraph.co.uk/science/8058541/Neuroscience-free-will-anddeterminism-Im-just-a-machine.html. 18 Cfr., per l‟analisi di alcune questioni di neuroetica, C. Nunn, Il fantasma dell‘uomo macchina. Siamo davvero liberi di scegliere, Apogeo, Milano 2006 (ed. or., De La Mettrie‘s Ghost. The Story of Decision, Palgrave Macmillan, London 2005). Per una ricostruzione filosofico-giuridica si rimanda ad A. Punzi, L‘ordine giuridico delle macchine. La Mettrie, Helvétius, D‘Holbach. L‘uomo-macchina verso l‘intelligenza collettiva, Giappichelli, Torino 2003, nonché, da ultimo, B. Romano, Male ed ingiusto. Riflessioni con Luhmann e Boncinelli, Giappichelli, Torino 2009 (in particolare, pp. 63-90). 19 Cfr. A. Cavalletti, Suggestione. Potenza e limiti del fascino politico, Bollati Boringhieri, Torino 2011. 20 Sulla prospettiva post-umanista si veda, almeno, R. Marchesini, Posthuman: verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2002 e Id., Il tramonto dell‘uomo. La prospettiva post-umanista, Dedalo, Bari 2009. Per una serrata critica dell‟affermarsi della “narrazione post-umana” v. invece, P. Barcellona, F. Ciaramelli, R. Fai (a cura di), Apocalisse e post-umano. Il crepuscolo della modernità, Dedalo, Bari 2007; P. Barcellona, T. Garufi, Il furto dell‘anima. La narrazione post-umana, Dedalo, Bari 2008; B. Romano, Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, Giappichelli, Torino 2009 e Id., Diritto, postumanesimo, nichilismo. Una introduzione, Giappichelli, Torino 2004 17 13 Gaspar Spurzheim e quelli di neurologia di Paul Pierre Broca, Carl Wernicke e Ludwig Lichtheim, ma ovviamente anche gli studi di Moritz Benedict in Germania, di Henry Mausdley in Gran Bretagna e di Lorenzo Tenchini21 in Italia. Tutte queste ricerche, al di là delle epoche storiche in cui si collocano e dei diversi approcci, mettendo al centro delle proprie indagini lo studio del cervello e del cranio, possono essere considerate come i prolegomeni alle moderne neuroscienze. Già allora l‟attenzione di molti studiosi era tesa alla ricerca del nesso tra il comportamento umano e le lesioni cerebrali riscontrate post-mortem durante le autopsie. Ma soprattutto il voler attribuire una forte valenza agli aspetti biologici del crimine ed, in particolare, al capacità cerebrali innate e/o al corredo genetico rispetto all‟agire criminale, richiama inevitabilmente le tesi elaborate da Cesare Lombroso a partire dalla seconda metà dell‟Ottocento in Italia sul delinquente nato. Sviluppando le tesi già formulate nell‟ambito della frenologia e della craniologia, Lombroso, totalmente impregnato dal positivismo allora imperante, decide di studiare il crimine analizzando tale fenomeno mediante l‟applicazione del metodo sperimentale, secondo cui va accettato come fatto scientifico solo ciò che può essere rigorosamente accertato, misurato e catalogato con i mezzi scientifici. Da quel momento in poi Lombroso sovvertendo totalmente l‟approccio agli studi penalistici dominanti, si pone come obiettivo la sostituzione dello studio astratto del reato con lo studio diretto ed empirico del criminale, in tutte le sue sfumature. Non solo dunque il suo volto e la sua conformazione cranica, come V. amplius, E. Musumeci, Le maschere della collezione «Lorenzo Tenchini», in S. Montaldo – P. Tappero (a cura di), Il Museo di Antropologia criminale «Cesare Lombroso», Utet, Torino 2009, pp. 69-76. 21 14 abitualmente si pensa, ma anche il suo modo di esprimersi attraverso il linguaggio verbale (il gergo) o corporeo (i tatuaggi) e persino i suoi manufatti. Lo stesso avviene per lo studio della follia e dei suoi rapporti con il crimine e il genio; in altri termini, tutto ciò che fuoriesce dalla tranquilla “normalità”. Uno studio a tutto tondo della devianza condotto mediante l‟osservazione diretta che lo porterà ad adottare una vera e propria “religione del fatto”. Ciò comporta una vera e propria rivoluzione in vari campi del sapere, primo fra tutti, quello del diritto penale che vede Lombroso e la sua Scuola protagonisti di un quanto mai vivace dibattito sul libero arbitrio e l‟imputabilità penale, in contrapposizione alla Scuola Classica del diritto penale capeggiati da Francesco Carrara. Visto allora l‟approccio determinista, materialista e riduzionista delle teorie biologiche del crimine elaborate oggi dai neuroscienziati e basate principalmente sul funzionamento del cervello, sull‟importanza dei fattori ereditari e genetici nel comportamento violento ed antisociale, è possibile affermare che si stia assistendo ad un ritorno, mutatis mutandis del delinquente nato lombrosiano? Per rispondere a tale interrogativo è necessario analizzare la struttura dell‟Uomo delinquente elaborata da Lombroso e che costituisce la stratificazione, nel corso degli anni, di varie ipotesi sulla spiegazione del crimine, che sono state via via corrette in base ai casi clinici analizzati, spaziando dalla tesi iniziale del delinquente nato in quanto atavico fino alla teorizzazione del delinquente politico e del mattoide (forme di devianza ambivalenti) e del delinquente occasionale. La spiegazione del crimine effettuata da Lombroso, non è infatti definitivamente cristallizzata in una 15 teoria ma è costituita da un quadro composito in cui le cause scatenanti dell‟agire criminoso, pur avendo sempre un substrato soprattutto biologico, si sovrappongono e si intrecciano vicendevolmente: all‟atavismo si aggiungono così ben presto la follia morale e l‟epilessia, per dare vita ad una forma di spiegazione del crimine multifattoriale22, che si avvicina molto a quella adottata dall‟FBI23 a partire dagli anni Settanta del Novecento quando due agenti iniziarono a concentrarsi sulla figura del criminale, catalogando tutti gli assassini mediante le loro caratteristiche e gettando le basi del moderno criminal profiling24. Del resto, non ci sono dubbi sull‟influenza di Lombroso non solo nella nascita della criminologia, nella creazione della moderna polizia scientifica (cioè gli „antenati‟ degli attuali RIS) grazie all‟opera Ottolenghi, uno dei suoi allievi, o su un rinnovamento dell‟amministrazione penitenziaria, dovuta all‟impegno di Beltrani Scalia e Doria, eredi “critici” della sua Scuola25. Ciò che invece rimane ancora da verificare è se le attuali teorie biologiche del crimine propugnate da alcuni neuroscienziati e genetisti siano una riproposizione aggiornata delle tesi lombrosiane. Per capire se tra l‟approccio del medico veronese e quello neuroscientista vi sia Mary Gibson afferma come le teorie di Lombroso, in realtà, sono «assai più complesse e ricche di sfumature di quanto i suoi detrattori abbiano mai voluto riconoscere, in quanto tenevano conto della natura “multicausale” del crimine» (M. Gibson, Nati per il crimine. Cesare Lombroso e le origini della criminologia biologica, Bruno Mondadori, Milano 2004 p. XVII; ed. or., Born to Crime. Cesare Lombroso and Origins of Biological Criminology, Praeger, Westport-London 2002). 23 Cfr. G. Gulotta, Breviario di psicologia investigativa, Giuffrè, Milano 2008, pp. 9-14. 24 V. amplius, B.E. Turvey, Criminal Profiling: An Introduction to Behavioral Evidence Analysis, Academic Press, San Diego 20114. 25 Cfr. M. Gibson, La criminologia prima e dopo Lombroso, in S. Montaldo (a cura di), Cesare Lombroso. Gli scienziati e la nuova Italia, il Mulino, Bologna 2010, pp. 15-32. 22 16 pertanto un rapporto di continuità o di discontinuità si ritiene opportuno previamente sgombrare il campo da alcuni “luoghi comuni” dell‟opera lombrosiana. Mai come nei confronti di Lombroso, difatti, si sono affastellati giudizi aprioristici spesso fuorvianti che si sono tramandati da una generazione all‟altra di studiosi. Nonostante dell‟opera di Lombroso, socialista anomalo26, se ne enfatizzi sempre l‟aspetto più repressivo27 fino ad attribuirgli colpe non sue (dalla diffusione di pregiudizi nei confronti del popolo meridionale e della donna fino alle politiche di eugenetica sfociate nei campi di sterminio poste in essere dal regime nazionalsocialista) lo sguardo di Lombroso non è mai univoco ma sempre connotato da una strutturale ambivalenza28. Su tale aspetto si rinvia a M. Scavino, L‘interesse per la politica e l‘adesione al socialismo, in S. Montaldo, P. Tappero (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit., pp. 117-126 e D. Frigessi, Cesare Lombroso, Einaudi, Torino 2003, pp. 230-271. 27 C‟è tuttavia chi non manca di osservare come sia fuorviante una lettura esclusivamente in chiave reazionaria dell‟opera lombrosiana. Si vedano, in tal senso, le interessanti considerazioni di Damiano Palano, specie laddove mette in evidenza di come l‟antropologia criminale elaborata da Lombroso, prima esclusivamente connotata, secondo i critici, da elementi repressivi e classisti, sia stata pian piano ritenuta molto meno semplicistica e, soprattutto, rilevante per la formazione della prima generazione di intellettuali socialisti. Cfr. D. Palano, Il potere della moltitudine: l'invenzione dell'inconscio collettivo nella teoria politica e nelle scienze sociali italiane tra Otto e Novecento, Vita e Pensiero, Milano 2002, pp. 68-69. 28 Basti pensare all‟atteggiamento adottato nei confronti della donna: se, da un lato, Lombroso, la considera donna biologicamente e psicologicamente inferiore (Cfr. C. Lombroso, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale (in collaborazione con G. Ferrero), Roux & C., Torino 1893, p. 156), dall‟altro, la ritiene vittima della società laddove auspica l‟opportunità di «rendere non solo più facile il divorzio, ma meno bottegaie le nozze, meno difficili gli amori e sempre rispettata la maternità e […] la ricerca della paternità» (C. Lombroso, L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline carcerarie, 5a edizione, Bocca, Torino 1897, volume III, p. 338). Sulla donna delinquente nell‟opera di Cesare Lombroso v. per tutti, M. Gibson, Nati per il crimine, cit., pp. 67-132 e M. Gibson, N. Rafter, Introduzione, in C. Lombroso-G. Ferrero, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, Et al., Milano 2009 26 17 Perciò è importante mettere in evidenza proprio tale ambivalenza, senza nessun intento agiografico né tantomeno con lo scopo di rivalutare le tesi di Lombroso, i cui errori scientifici sono già stati da tempo evidenziati. Solo dopo aver evidenziato luci ed ombre dell‟opera lombrosiana, è possibile capire qual è il suo lascito nell‟attuale rapporto tra neuroscienze e diritto, e, di conseguenza, analizzare più compiutamente il dibattito tra libertà e determinismo, che costituisce senza dubbio la sfida più ambiziosa per la scienza giuridica penale contemporanea29. Ciò che è certo è che i giuristi non possono più esimersi dal confronto con le neuroscienze, che diviene sempre più pressante ed inevitabile. È tempo ormai essi escano dal loro “splendido isolamento” per rapportarsi in maniera critica con le nuove tecniche, senza cadere in atteggiamenti connotati da facile trionfalismo o aprioristica chiusura. Come già avvenuto, da tempo, con le tematiche di bioetica, si assiste, ancora una volta, alla «contrapposizione tra il sapere della tecnica (del calcolo utilitaristico) e la cultura dello specifico umano», ma ciò, allo stesso tempo, non esclude, «la possibilità di istituire tra l‟una e l‟altra una “tensione” dialettica che quantomeno preservi i “problemi della vita” dall‟estremo riduzionismo tecnicistico»30. L‟attualità del dibattito sul libero arbitrio è manifestato non solo alla recente pubblicazione di numerosi volumi sull‟argomento, tra cui spicca, da ultimo, quello del celebre neuroscienziato M.S. Gazzaniga, Who‘s in Charge? Free Will And The Science Of The Brain, HarperCollins, New York 2011, ma anche dalle ricerche avviate nell‟ambito del programma Big Question in Free Will finanziato con 4.4 milioni di dollari dalla John Templeton Foundation che sostiene ricecrhe al confine tra teologia, filosofia e scienze naturali. Cfr. K. Smith, Obiettivo: libero arbitrio, in «Mente & Cervello», dicembre 2011, n. 84, pp. 94-101. 30 P. Barcellona, Dallo Stato sociale allo Stato immaginario. Critica della «ragione funzionalista», Bollati Boringhieri, Torino 1994, p. 37. 29 18 19 CAPITOLO I CESARE LOMBROSO TRA CETO DEI GIURISTI E CETO DEGLI SCIENZIATI: UN’EREDITÀ DILAPIDATA 20 La storia degli uomini ci dà l‘idèa di immenso d‘errori, fra i quali poche e confuse e a grand‘intervalli distanti verità soprannuotano. Cesare Beccaria, Dei Delitti e delle Pene, 1764 1. L‟eredità di Cesare Lombroso nella dottrina penalistica italiana tra oblio e damnatio memoriae «Mi chiamavano allora l‟alienista della stadera. Ebbene da qui a qualche secolo del mio povero nome non resterà forse altra traccia che questa»31. Questo è quanto paventava nel 1886 Cesare Lombroso, acclamato da allievi e seguaci, deriso da colleghi e detrattori. Così come rapida fu la sua ascesa altrettanto repentinamente calò l‟oblio sulle sue teorie, subito dopo la sua morte. Eppure ancora oggi, a distanza di un secolo dalla sua scomparsa, il dibattito sull‟opera lombrosiana può dirsi tutt‟altro che chiuso32. Ma non c‟è dubbio che le parole di Lombroso suonano stranamente profetiche se ci si interroga, in maniera più oculata, su quale sia l‟eredità delle teorie lombrosiane nella dottrina penalistica e criminologica italiana, a cento anni dalla sua scomparsa. Se si analizzano i libri di testo attualmente adottati nelle più importanti Università italiane si evince subito come il nome di Lombroso, all‟estero definito come il “padre della moderna C. Lombroso, Appendice alla Polemica, in C. Lombroso, E. Ferri, R. Garofalo, G. Fioretti, Polemica in difesa della scuola criminale positiva, Zanichelli, Bologna 1886, p. 277. 32 A riprova di ciò la pubblicazione dei due recenti volumi collettanei S. Montaldo (a cura di), Cesare Lombroso. Gli scienziati e la nuova Italia, il Mulino, Bologna 2010 che raccoglie gli atti del convegno internazionale tenutosi nel novembre del 2009 nell‟Accademia delle Scienze di Torino in occasione del centenario della scomparsa di Cesare Lombroso e S. Montaldo, P. Tappero (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, Utet, Torino 2009, ambiziosa opera che mette insieme contributi dei massimi esperti mondiali dell‟opera lombrosiana, afferenti a diversi settori disciplinari. 31 21 criminologia”33, in Italia venga quasi sempre ignorato o liquidato in pochissime righe nella parte introduttiva dei manuali, laddove sia presente una breve digressione sulla storia del diritto penale. In particolare, per quanto riguarda il diritto penale, riferimenti a Lombroso e alla sua Scuola si trovano, in maniera più approfondita solo nei testi di Fiandaca-Musco34 e di Fiore-Fiore35. Gli altri testi, invece, si limitano a riportare in maniera molto sintetica e per lo più acritica, il dibattito tra Scuola Classica e Scuola Positiva 36 oppure, in molti casi37, non menzionano neppure né Lombroso né l‟Antropologia Criminale. Più o meno lo stesso quadro si presenta ai nostri occhi laddove si prendono in considerazione i libri di testo adottati nelle cattedre di Criminologia o Sociologia della Devianza. Se si eccettuano i libri di Melossi38, Correra-Martucci39, Forti40 e 33 Si vedano, P. Wilcox, F.T. Cullen (eds.), Encyclopedia of Criminological Theory, Sage, Thousand Oaks 2010, vol. I, p. 565 e M. Gibson, N. Rafter, Editors‘ Introduction in C. Lombroso, G. Ferrero, Criminal woman, the Prostitute, and the Normal Woman, Duke University Press, Durham 2004, p. 15; M. Gibson, N. Rafter, Editors‘ Introduction in C. Lombroso, Criminal Man, Duke University Press, Durham 2006, p. 4. 34 G. Fiandaca, E. Musco, Diritto Penale. Parte generale, Zanichelli, Bologna 19953, pp. XXIV-XXIX. Questi ultimi evidenziano, tra l‟altro, come le teorie elaborate prima da Lombroso e poi da Ferri ebbero un impatto considerevole sia sul dibattito giuridico che culturale favorendo l‟introduzione delle misure di sicurezza, tuttora presenti nell‟ordinamento penale italiano. 35 C. Fiore, S. Fiore, Diritto Penale. Parte generale, Utet, Torino 2008, pp. 3943, secondo cui l‟emanazione del Codice Rocco avrebbe relegato in posizione subalterna e ausiliaria le discipline socio-antropologiche, esorcizzando i contenuti innovatori dell‟ideologia positivistica e legando la scienza del diritto penale al diritto positivo esistente. 36 F. Antolisei, Manuale di Diritto Penale. Parte generale, Giuffrè, Milano 2003, pp. 43-44; D. Pulitanò, Diritto Penale, Giappichelli, Torino 2009, pp. 7880; F. Ramacci, Corso di Diritto Penale, Giappichelli, Torino 2007, pp. 57-58; A. Pagliaro, Principi di Diritto Penale. Parte generale, Giuffrè, Milano 2003, pp. 97-98. 37 G. Marinucci, E. Dolcini, Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, Milano 20093 ; F. Palazzo, Corso di Diritto Penale. Parte generale, Giappichelli, Torino 2006; T. Padovani, Diritto Penale, Giuffrè, Milano 20089 . 38 D. Melossi, Stato, controllo sociale, devianza. Teorie criminologiche e società tra Europa e Stati Uniti, Bruno Mondadori, Milano 2002, pp. 47-72. 22 Aleo41 che dedicano uno spazio più significativo alle teorie lombrosiane o altri testi che dedicano poche pagine all‟argomento42, la maggior parte sembrano quasi sminuire o ignorare del tutto l‟esistenza della Scuola Positiva in Italia43. È significativo, infatti, che i due testi più in uso negli atenei italiani, Bandini-Gatti et. al. e Ponti-Merzagora Betsos dedichino all‟opera lombrosiana non più di dieci righe o non lo nominino neppure44. Sembrano risuonare allora quasi profetiche le parole di Jacques Mesnil quando già nel 1900 sul “fenomeno lombroso” osservava che «se l‟influenza di Lombroso fosse tanto profonda quanto estesa, bisognerebbe parlare del „pericolo Lombroso‟. Fortunatamente non è così. I suoi errori sono troppo grossolani (…) Fra cinquant‟anni le teorie di Lombroso saranno scomparse senza lasciar vestigia; allora senza dubbio lo storico gli renderà giustizia e gli riconoscerà un merito: quello di aver procurato numerose discussioni, d‟aver messo in movimento molte idee, fatto sorgere dei contraddittori e richiamato l‟attenzione su questioni d‟una grande importanza sociale» 45. Al di 39 M. M. Correra, P. Martucci, Elementi di Criminologia, Cedam, Padova 1999, pp. 6-29. 40 G. Forti, L‘immane concretezza. Metamorfosi del crimine e controllo penale, Raffaello Cortina, Milano 2000, pp. 210-220. 41 S. Aleo, Criminologia e sistema penale, Cedam, Padova 2006, pp. 60-73. 42 S. Vinciguerra, Principi di Criminologia, Giuffrè, Milano 20052, pp. 54-55; G. Marotta, Teorie criminologiche. Da Beccaria al postmoderno, Lel, Milano 2004, pp. 66-73. 43 G. V. Pisapia, Manuale operativo di Criminologia, Cedam, Padova 2005; E. Santoro (a cura di), Diritto come questione sociale, Giappichelli, Torino 2009; V. Mastronardi, Manuale per Operatori Criminologici e Psicopatologi Forense, Giuffrè, Milano 20014; R. Marra (a cura di), Filosofia e sociologia del diritto penale, Giappichelli, Torino 2006. 44 T. Bandini, U. Gatti, B. Gualco, D. Malfatti, M.I. Marugo, A. Verde, Criminologia, vol. 1, Giuffrè, Milano 20032 p. 7; G. Ponti, I. Merzagora Betsos, Compendio di Criminologia, Raffaello Cortina, Milano 2008. 45 J. Mensil, Le phénomène Lombroso, in «Mercure de France», Juin 1900, p. 649. Tale citazione è stata successivamente ripresa e commentata da F. Giacanelli, Introduzione, in G. Colombo, La scienza infelice. Il Museo di 23 là della fondatezza o meno dal punto di vista scientifico delle tesi lombrosiane, è indubbio che sul velo di oblio che è rapidamente calato su di esse molto ha influito anche l‟opera di decostruzione della sua Scuola, messa in atto da un lato dalla Chiesa Cattolica, capeggiata da Padre Agostino Gemelli (celebre il suo Funerali di un uomo e di una dottrina, pubblicato subito dopo la scomparsa di Lombroso) e dall‟altro dalla dottrina neo-idealista eminentemente rappresentata da Benedetto Croce e Giovanni Gentile46. Secondo lo storico britannico Daniel Pick l‟origine ebraica di Lombroso – anche se non fu l‟unico fattore determinante – ebbe un peso non indifferente nel boicottaggio delle sue tesi da parte di certi ambienti47. Non voglio qui soffermarmi sulle ragioni dell‟oblio ma capire cosa è rimasto della sua immagine e della sua dottrina, malgrado sia – come abbiamo visto - quasi ignorato dai giuristi e criminologi italiani. La damnatio memoriae che ha inesorabilmente colpito Lombroso in Italia diviene ancora più evidente se si esaminano le notizie giornalistiche riportate sulle più importanti testate nazionali. Quando si menziona il medico veronese o si utilizza il termine “lombrosiano” sui quotidiani spesso si fa riferimento alla antropologia criminale di Cesare Lombroso, Bollati Boringhieri, Torino 20002, p. 8, cui si rinvia per ulteriori considerazioni. 46 Sulle ragioni del progressivo abbandono e rifiuto sia della figura, sia dell‟opera di Lombroso in Italia si rinvia a P. Martucci, Un‘eredità senza eredi. L‘Antropologia criminale in Italia dopo la morte di Cesare Lombroso, in S. Montaldo, P. Tappero (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit. pp. 291300. 47 «L‟origine razziale di Lombroso fu forse un motivo dell‟ostilità con la Chiesa, l‟aristocrazia e certi settori della borghesia torinese accolsero la sua opera; esistevano tuttavia anche altre concrete ragioni politiche e ideologiche che spiegano tale reciproco sospetto» (D. Pick, Volti della degenerazione. Una sindrome europea 1848-1918, La Nuova Italia, Scandicci 1999, p. 155; ed. or., Faces of Degeneration. A European Disorder c. 1848- c. 1918, Cambridge University Press 1989). 24 possibilità di identificare un delinquente dal suo volto48. In altri casi, Lombroso viene ridicolizzato49 mediante l‟estrapolazione dalla sua vasta opera di passaggi decontestualizzati50 o aneddoti stravaganti e curiosi51. Eppure, come è stato osservato, le teorie di Lombroso, «non furono semplicemente eccentriche o aberranti. Nello specifico contesto storico in cui vennero per la prima volta elaborate esse, per così dire, “avevano senso”, si riferivano in modo assai efficace a una particolare crisi e offrirono un nuovo linguaggio di rappresentazione sociale. La criminologia positiva ebbe importanti ramificazioni nella politica dell‟Italia postunitarie in generale e finanche nell‟ambito del socialismo tardo- ottocentesco»52. Malgrado le precisazioni degli storici, oggi non sembrano esserci dubbi sul fatto che Lombroso sia un personaggio scomodo e quasi “maledetto”. Basti pensare alle recenti polemiche innescatesi in seguito alla riapertura del Museo di Antropologia Criminale “C. Lombroso” di Torino53. Nonostante tale riapertura, frutto di numerosi anni di lavoro, sia ispirata anche ad evidenziare V. per tutti, A. Piperno, Chiara e Kafka: i depistaggi di un omicidio. Il delitto di Garlasco, in «Corriere della Sera», 27.01.2008; E. Berselli, Politici lombrosiani, in «La Repubblica», 19.10.2009 e F. Merlo, Garantisti ad personam lasciate stare Sciascia, in «La Repubblica», 12.10.2010. 49 Atteggiamento, del resto, di cui Lombroso era già stato vittima anche quando era all‟apice del successo, come si desume dalle sue stesse parole, laddove lamentava che molti avessero letto il suo libro solo come «un vivaio di aneddoti o di fole curiose, senza voler pensare alle conclusioni a cui esso veniva» (C. Lombroso, Prefazione alla sesta edizione, in Id., L‘uomo di genio in rapporto alla psichiatria, alla storia e all‘estetica, sesta edizione completamente mutata, Bocca, Torino 1894, p. VII). 50 U. Galimberti, Un uomo normale e la sua ossessione, in «La Repubblica», 27.09.2009, p. 51. 51 G. A. Stella, Lombroso, il catalogo delle assurdità, in «Corriere della Sera», 28.04.2009. 52 D. Pick, Volti della degenerazione, cit. p. 154. 53 S. Montaldo, P. Tappero (a cura di), Il Museo di Antropologia criminale «Cesare Lombroso», Utet, Torino 2009. 48 25 gli errori54 scientifici e storici di Lombroso, è stato letto come un tentativo di riabilitare la sua figura, che avrebbe contribuito a criminalizzare i meridionali55. Tali proteste, capitanate da sedicenti meridionalisti e neoborbonici sono sfociate persino nella costituzione sul social forum Facebook di gruppi tesi ad ottenere l‟immediata chiusura del Museo e la restituzione dei “crani dei briganti meridionali vittime della ferocia dei Sabaudi”56. È ovvio che tale protesta57, notevolmente enfatizzata e strumentalizzata politicamente, rientra nelle più ampie polemiche suscitate nel nostro Paese dalle celebrazioni del 150° anniversario dell‟Unità d‟Italia. Ad ogni modo, essa è il segnale di come la figura di Lombroso, a distanza di più di un secolo dalla sua morte susciti ancora sentimenti forti e contrastanti e di come la sua sia, almeno in Italia, una scomoda eredità. Se è chiaro che nessun giurista o criminologo in Italia oggi intende recuperare e rivitalizzare le tesi lombrosiane sul delinquente nato, dall‟altra parte, dobbiamo chiederci se la possibile eredità di Lombroso potrebbe piuttosto essere raccolta dai neuroscienziati e psicologi forensi. Prima di addentrarci nell‟analisi delle nuove scoperte dei neuroscienziati e delle sue ricadute in campo giuspenalistico e criminologico, per M. Crosetti, La scintilla positivista e l‘errore in vetrina al museo Lombroso, in «La Repubblica - Torino», 08.05.2010; L. Ricci, Lombroso, viaggio nel museo degli errori, in «Il Sole 24 ore», 30.10.2009. 55 S. Dell‟Edera, Rivolta del Sud contro il museo lombrosiano di Torino: un orrore, in «La Stampa», 06.01.2010; D. Abbiati, Il Sud organizza il ―No Lombroso Day‖, in «Il Giornale», 04.01.2010. 56 Il gruppo “I Meridionali contro il Museo lombrosiano a Torino” conta attualmente quasi 9000 iscritti, anche se, alla manifestazione di protesta organizzata dal gruppo l‟08.05.2010 hanno partecipato non più di un centinaio di persone. 57 Si rinvia alla replica a tali proteste del Direttore del museo lombrosiano, Silvano Montaldo, il quale in maniera efficace spiega come esse siano nient‟altro che il frutto di un equivoco. Cfr. M. Federico, Abbasso Cesare, il Lombroso, in «Il Riformista», 05.01.2010. 54 26 comprendere qual è il peso del lascito lombrosiano è opportuno tracciare, seppur per grandi linee, le principali tappe della sua ricerca, cercando di sgombrare il campo da vecchi luoghi comuni e consolidati preconcetti. 2. Non solo criminali: la galassia deviante Lombroso, com‟è noto, diviene celebre in tutto il mondo dopo la pubblicazione de L‘uomo delinquente (1876) e le sue successive edizioni che, tradotte poi in moltissime lingue, aprono un dibattito che travalica ben presto i confini nazionali, facendone «l‟autore italiano più letto alla fine dell‟Ottocento»58. Lo studioso veronese, in realtà, nella sua lunga e ricca carriera, non si dedica solo allo studio del fenomeno criminoso ma ad ogni manifestazione umana di devianza59, intesa come deragliamento patologico dalla 58 S. Montaldo, Cento anni dopo: il punto della situazione, in S. Montaldo, P. Tappero (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit., p. IX. 59 Sul concetto di devianza, cruciale in ambito sociologico-giuridico e criminologico, la letteratura è sterminata. Si vedano almeno i seguenti volumi: D. Downes, P. Rock, Understanding Deviance: a guide to the sociology of crime and rule-breaking, Oxford University Press, New York 20116; J. Curra, The Relativity of Deviance, Pine Forge Press, Thousand Oaks 20112; J. Best, Deviance: Career of a Concept, Thomson/Wadsworth, Belmont 2004; B. Barbero Avanzini, Devianza e controllo sociale, Franco Angeli, Milano 2002; D. Melossi, Stato, controllo sociale, devianza: teorie criminologiche e società tra Europa e Stati Uniti, cit.; A. Dal Lago, La produzione della devianza: teoria sociale e meccanismi di controllo, Ombre Corte, Verona 2000; E. Goode, N. Ben-Yehuda, Moral Panics: The Social Construction of Deviance, Blackwell, Oxford 1994; P. Aggleton, Deviance, Tavistock Publications, London 1987; M. Ciacci, V. Gualandi, (a cura di), La costruzione sociale della devianza, il Mulino, Bologna 1977; T. Pitch, La devianza, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1975; S. Cohen (a cura di), Images of Deviance, Penguin, Harmondsworth 1971; F. Basaglia, F. Basaglia Ongaro, La maggioranza deviante, Einaudi, Torino 1971; S. Dinitz, R. Rowe Dynes, A. Carpenter Clarke, Deviance: studies in the process of stigmatization and societal reaction, Oxford University Press, New York 1969. 27 normalità, elaborando una vera e propria scienza della devianza60 avente per oggetto l‟uomo in ogni sua sfaccettatura. Come è stato efficacemente affermato parafrasando il titolo di un noto saggio di Paola Lombroso e Mario Carrara, quello di Lombroso è stato infatti un vero e proprio «viaggio nella “penombra della civiltà”, negli “abissi” delle classi subalterne e […] un viaggio negli “abissi” della psiche […] di ciascun individuo»61. Nei numerosi volumi editi da Lombroso non troviamo mai una definizione di delinquente nato e men che mai di deviante o di normale, poiché lo studioso veronese preferisce piuttosto raccogliere, mettere insieme ed enumerare minuziosamente tutta una serie di dati o meglio segni e sintomi di devianza che, pur con le inevitabili contraddizioni, fanno percepire in controluce il concetto di norma62. Così nel comportamento deviante analizzato da Lombroso non rientra solo quello dell‟homo delinquens ma anche quello di una serie variegata di soggetti 63 che, per le loro caratteristiche fisiche e morali per eccesso o per difetto, si collocano al di fuori della “normalità”, andando a costituire la curiosa galleria lombrosiana: dalla donna64 al bambino, entrambi Questa la felice espressione utilizzata da D. Frigessi, La scienza della devianza, in C. Lombroso, Delitto, genio, follia. Scritti scelti, a cura di D. Frigessi, F. Giacanelli, L. Mangoni, Bollati Boringhieri, Torino 20002, pp. 333373. 61 D. Palano, Il potere della moltitudine, cit., p. 70. 62 Il metodo lombrosiano si distingue da quello degli altri positivisti proprio per questo suo operare in “negativo”: «poiché l‟antropologia criminale è una sorta di antropologia rovesciata, negativa, in cui il protagonista non è un soggetto generale e tautologicamente definito: è l‟antropologia del negativo, dei bordi e dei confini entro cui il “normale”, come in una specie assediata, si rinserra e difende» (R. Villa, Il deviante i suoi segni. Lombroso e la nascita dell‘antropologia criminale, Franco Angeli, Milano 1985, p. 8). 63 In Lombroso tali figure si trasformano in delle categorie assolute: ne deriva un concetto di tipo comprovato da dati statistici, a suo modo di vedere, incontestabili. In tal senso, D. Le Breton, Des visages. Essai d‘anthropologie, Métailié, Paris 2003, p. 94. 64 C. Lombroso, La donna delinquente (1893), cit., p. 157. 60 28 più vicini dell‟uomo al primitivo, passando per l‟epilettico, il mattoide, il folle morale, l‟anarchico e, soprattutto, l‟uomo di genio65. 3. La viola e l‟aconito: genio e degenerazione L‟eclettismo della “galassia deviante” di Lombroso emerge specialmente dalle sue ricerche sulla figura dell‟uomo di genio e, in modo particolare, sul rapporto tra genialità e follia che, affiancano i suoi celebri studi sul „delinquente nato‟, attraversando tutta la sua opera. Lombroso con tali studi apre un dibattito vivacissimo e viene più volte attaccato dai suoi detrattori per aver patologizzato l‟estro creativo e infangato la memoria di uomini illustri della letteratura, della filosofia e della politica, ponendo «la mano profanatrice sul genio»66. In realtà, anche in questo caso, la tesi di Lombroso sulla genialità è molto più complessa e articolata di come venga comunemente dipinta. Ciò si evince chiaramente da una delle figure di “genialità” più affascinanti tra quelle analizzate da Lombroso nel tentativo di svelare il “sublime mistero del genio”: il poeta melanconico. Non appare affatto quest‟ultimo sia diventato uno dei suoi sorprendente che oggetti di studio privilegiati, visto che proprio la storia del genio67 creatore incrocia Cfr. C. Lombroso, Prefazione alla sesta edizione, in Id., L' uomo di genio (18946), cit., pp. XI-XV. 66 A. Gemelli, I funerali di un uomo e di una dottrina. 3 a edizione notevolmente aumentata e completamente rifusa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1911, p. 7. 67 Per una ricostruzione storico-filosofica del concetto di genio si veda almeno, G. Moretti, Il genio. Origine, storia, destino, Morcelliana, Brescia 2011. Sui rapporti tra creatività e malattia mentale cfr. l‟ormai classico lavoro di K. Jaspers, Genio e follia. Strindberg e Van Gogh, Cortina, Milano 2001 (ed. or., Strindberg und Van Gogh, Piper Verlag GmbH, München 1951). 65 29 da sempre quella della melanconia68, cioè quel sentimento irreversibile di accorata tristezza che contraddistingue il carattere di una persona tendente alla solitudine e alla nostalgia 69 o un‟affezione patologica che in ambito neuro-psichiatrico70 e psicoanalitico71 si traduce oggi con depressione72. I legami tra 68 In questa sede si preferisce usare volutamente il termine melanconia (ingl. melancholia) rispetto al malinconia (ingl. melancholy); nonostante i due termini siano correntemente ritenuti sinonimi riteniamo ancora valida la distinzione operata da Erwin Panofsky e Fritz Saxl nell‟imprescindibile R. Klibansky, E. Panosky, F. Saxl, Saturno e la melanconia. Studi di storia della filosofia naturale, religione e arte, Einaudi, Torino 1983 (ed. or., Saturn and Melancholy. Studies in the History of Natural Philosophy, Religion and Art, Thomas Nelson & Sons Ltd, London 1964). Secondo tale ricostruzione per malinconia si intende un temporaneo stato d‟animo rispetto alla condizione patologica permanente indicata dal termine melanconia. In tal senso si veda anche, tra gli altri, F. Bugliani, Introduzione, in T. Bright, Della Melanconia (1586), Giuffrè, Milano 1990, pp. 12-19. 69 Melancholia deriva, com‟è noto, dal greco µέλαινα χόλη, cioè bile nera o atra bilis che insieme a sangue, flegma e bile gialla (o rossa), secondo il Corpus Hippocraticum, costituivano i quattro umori o complessioni corrispondenti ai quattro elementi del cosmo (oltre che alle suddivisioni del tempo) che combinandosi tra loro determinavano il carattere degli individui. La bile nera si identificava con l‟elemento della terra e la stagione dell‟autunno; chi ne aveva in eccesso (abundantia melancholie) soffriva di una serie di malesseri fisici e difetti caratteriali. Cfr. amplius R. Klibansky, E. Panosky, F. Saxl, Saturno e la melanconia, cit. pp. 7-115 e G. Agamben, Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Einaudi, Torino 20063, pp. 15-16. 70 V. amplius, H. Tellenbach, Melancolia. Storia del problema – Endogenicità – Tipologia – Patogenesi – Clinica, “Il Pensiero Scientifico”, Roma 1975 (ed. or., Melancholie. Problemgeschichte – Endogenität – Typologie – Pathogenese – Klinik, Springer-Verlag, Berlin, Heidelberg, New York 19742) e E. Borgna, Malinconia, Feltrinelli, Milano 20053. Per un approccio “psichiatrico fenomenologico” si rinvia invece a L. Binswanger, Melanconia e mania. Studi fenomenologici (a cura di E. Borgna), Bollati Boringhieri, Torino 2006; ed. or., Melancholie und Manie. Phänomenologische Studien, Günther Neske Verlag, Pfullingen 1960. 71 Si rinvia al seminale lavoro di S. Freud, Lutto e malinconia, in Id. Opere, vol. 8, Bollati Boringhieri, Torino 1989 (ed. or., Trauer und Melancholie in Gesammelte Werke, Bd X, S. Fischer, Frankfurt 1917). Vedi inoltre, da ultimo, per uno sguardo psicoanalitico sulla personalità geniale e melanconica di Van Gogh, M. Recalcati, Melanconia e creazione in Vincent Van Gogh, Bollati Boringhieri, Torino 2009. 72 La bibliografia sulla depressione è ovviamente sconfinata. Spunti originali ed innovativi sono rintracciabili nel fecondo dialogo sviluppatosi tra il sociologo 30 genialità creativa e melanconia risalgono ad Aristotele (o PseudoAristotele, secondo alcuni)73 che, in uno dei suoi Problemata, (XXX, 1), si chiede «perché tutti gli uomini eccezionali, nell‟attività filosofica o politica, artistica o letteraria, hanno un temperamento “melanconico” – ovvero atrabiliare – alcuni a tal punto da essere persino affetti dagli stati patologici che ne derivano»74. Da questo momento in poi poesia e melanconia saranno indissolubilmente legati, tanto che il poeta e il melanconico finiranno sostanzialmente per coincidere75. La figura del poeta geniale e melanconico esaminata da Aristotele, dopo aver affascinato per secoli filosofi, medici e teologi, con l‟affermarsi del parnassianesimo e del dandysmo nell‟Ottocento sembrava ormai destinata a rimanere confinata nell'ambito umanistico o tutt'al più nella sfera estetica e letteraria. Grazie a Lombroso «il genio è sottratto alla contemplazione sterile, all'idolatria silenziosa»76, per diventare oggetto dell'indagine positiva e centro gravitazionale del dibattito tra alienisti e psichiatri. Con lo stesso metodo sperimentale77 utilizzato per studiare i carcerati e i folli, cioè mediante lo studio e Bonomi e lo psichiatria Andreoli nel recente pamphlet A. Bonomi, E. Borgna, Elogio della depressione, Einaudi, Torino 2011. 73 L‟autenticità di tale opera, riconosciuta sia da Cicerone che da Plutarco, è stata messa in discussione da R. Klibansky, E. Panosky, F. Saxl, Saturno e la melanconia, cit. pp. 31-37, i quali mettono in evidenza delle incongruenze tra alcune affermazioni del filosofo greco e i termini e i concetti successivamente utilizzati in altre opere di sicura paternità. 74 Aristotele, Problemata XXX, 1, secondo la traduzione e curatela di Carlo Angelino ed Enrica Salvaneschi, in Aristotele, La ―melanconia‖ dell‘uomo di genio, Il Melangolo, Genova 1981, p. 11. 75 Cfr. J. Pigeaud, in Id. (a cura di), Aristote, L‘Homme de génie et la Mélancolie, Payot & Rivages Paris 1988. 76 G. C. Ferrari, A. Renda, La teoria del genio di Cesare Lombroso, in AA.VV., L‘opera di Cesare Lombroso nella scienza e nelle sue applicazioni, Bocca, Torino 1908, p. 110. 77 V. amplius, F. Giacanelli, Il medico, l‘alienista, in C. Lombroso, Delitto, genio, follia. Scritti scelti, cit., pp. 29-33. 31 la verifica di ogni problema esclusivamente mediante dati di fatto empirici78, Lombroso analizza tutte le forme di genio (poetico, letterario, musicale e politico) ritenendo che esista un legame tra esso e la pazzia: «triste sarà, pure, non nego; ma non più di quel che sia la natura, quando fa nascere, da un analogo germe e sopra una medesima zolla, l‟ortica e la rosa, la viola e l‟aconito» 79. Non a caso Lombroso, quasi a voler trovare degli autorevoli precedenti, citi proprio il Problemata XXX di Aristotele, seppure reinterpretandolo secondo le conoscenze mediche della sua epoca80 e utilizzandolo come argomento per difendersi dalle possibili accuse di infangare la memoria dei più grandi geni (Dante, Petrarca, Mozart, Kant, etc.) gettando su di essi l‟ombra sinistra della malattia. Nella prima delle sei edizioni di Genio e Follia (1864), Lombroso esordisce, quasi giustificandosi, di quanto sia «una triste missione […] di dovere, colla forbice dell‟analisi, ad uno ad uno, sminuzzare, distruggere, quei delicati e variopinti velami, di cui si abbella e s‟illude, l‟uomo, nella sua boriosa pochezza! e non potere dar in cambio degli idoli più venerati, dei più soavi sogni, che l‟agghiacciato sorriso del cinico»81. Ma quella che Lombroso definisce una “profanazione” nei confronti del genio («quella sola potenza umana, innanzi a cui si possa, senza vergogna, piegare il «Fatti e teorie sono per lui semplici gradini verso la verità, simili a quegli incavi che l'alpinista nelle sue ardite ascese fra i ghiacci eterni incide con la piccozza per potersi elevare sempre più verso la cima ideale» (G.C. Ferrari, A. Renda, La teoria del genio di Cesare Lombroso, cit., p. 107). 79 C. Lombroso, Premessa alla terza edizione (1876), in Id., L‘uomo di genio in rapporto alla psichiatria, alla storia ed all‘estetica. Quinta edizione del Genio e Follia completamente mutata, Bocca, Torino 1888, pp. VII-VIII. 80 C. Lombroso, Nuovi studii sul genio, vol. II, Origine e natura dei genii, Remo Sandron, Milano – Palermo – Napoli 1902, pp. 193-197. 81 C. Lombroso, Genio e follia. Prelezione ai corsi di Antropologia e Clinica psichiatrica presso l‘Università di Pavia, Giuseppe Chiusi, Milano 1864, p. 5. 78 32 ginocchio»82), non è – cerca di schermirsi – solo opera di medici e scienziati risalendo tale idea appunto ad Aristotele 83, Platone84 e Democrito85. Fino alla quarta edizione di Genio e Follia (1882), Lombroso aveva cercato di trovare i punti di contatto tra due sfere (genialità e follia) che potevano talvolta toccarsi senza tuttavia mai coincidere o sovrapporsi l'una sull'altra, fermamente convinto del fatto che il genio non fosse di per sé un'alienazione ma uno squilibrio eccessivo dell'attività cerebrale e della sensibilità che avrebbe potuto condurlo alla follia. Se il genio fosse sempre un‟alienazione non si spiegherebbe infatti la genialità di uomini come Galileo Galilei, Michelangelo o Voltaire che non hanno mai dato segni di follia. Di fronte a tale enigma Lombroso sembra non avere dubbi: genio e follia non sono realtà coincidenti ma solo di tanto in tanto possono incrociarsi, in quanto «tra la fisiologia dell'uomo di genio e la patologia dell'alienato [vi sono] non pochi punti di coincidenza»86. Il genio è semmai una categoria a sé stante di uomo che è generata da una nevrosi scaturente da un'irritazione della corteccia cerebrale. Ciò si evince dalla prefazione alla quinta edizione, Ibidem. «Il collega dei filosofi, notava, come sotto gli eccessi congestivi al capo, “poeti diventano, profeti e sibille, molti individui, e come Marco Siracusano poetasse assai bene finché era maniaco, e risanito dappoi, non sapesse più dettar versi” (De pronost., 1, p. 7). “Spesso” altrove egli ripete, “si osservò che gli uomini illustri nella poesia, nella politica, nelle arti, o erano [fine pag. 1] melanconici e matti come Ajace, o misantropi, come Bellerofonte. Anche nelle recenti età vidimo Socrate, Empedocle, Platone e più altri, dotati di questa natura; specialmente poi i poeti” (Problemata, Sect. XXX)» (Ivi, p. 6). 84 Che aveva affermato come il delirio non sia affatto un male come «quello ispirato dalle Muse, quando eccita un‟anima semplice e pura a rabbellire dei vezzi della poesia le gesta degli eroi, giova all‟istruzione delle età future. Cfr. ibidem. 85 Cfr. C. Lombroso, L‘uomo di genio (1888)5, cit. pp. 1-2. 86 Ivi, p. 244. 82 83 33 denominata ormai non più Genio e Follia ma, significativamente, L‘Uomo di Genio, in cui Lombroso, afferma apertis verbis, come sia stato costretto a mutare del tutto la propria teoria sul genio e apportando una serie sempre maggiore di “dati” e “casi” cerca di individuare i caratteri degenerativi, distinguendoli in due categorie (fisiche e psichiche). Nella prima rientrano tutte le anomalie fisiche che contraddistinguerebbero, a detta di Lombroso, il corpo del genio (statura troppo minuta o esageratamente alta, magrezza, pallore, lesioni del cranio e anomalie del cervello, spesso eccedente in volume rispetto alla media, dissomiglianza rispetto ai genitori e gli avi, precocità, rachitismo, balbuzie, mancinismo, sterilità, parestesia oltre che dal punto di vista fisiognomico, orecchie ad ansa, scarsa barba, denti male impiantati, asimmetrie eccessive della faccia e del capo) o la sua psiche (melanconia, epilessia, apatia, perdita del senso morale, impulsività o incertezza, mutismo o verbosità, vanità pazzesca, amnesia, follia morale)87. A tali caratteri si aggiungono quelli innescati dall'esterno ad opera di meteore, clima, razza o malattie cerebrali88. Tra le “fruste”, ossia forme di nevrosi o alienazione anche nel genio non alienato, oltre alle “coree ed epilessie”, la “megalomania”, la “follia del dubbio”, la “follia morale” etc. Lombroso inserisce anche la “melanconia” notando come «è nota la tendenza melanconica del maggior numero dei pensatori e corrisponde alla maggiore loro iperestesia» 89, vale a dire la capacità di sentire il dolore in maniera più forte rispetto agli altri, definita come «la corona di spine propria del genio»90, che Lombroso riassume nella parole del “freddo Goëthe” quando Ivi, pp. 5-95. Ivi, pp. 97-149. 89 Ivi, pp. 35-36. 90 Ivi, p. 36. 87 88 34 confessa che la sua natura sia costantemente in bilico fra l‘estrema gioia e l‘estrema melancolia, cui sembrano far eco le parole del poeta italiano Giuseppe Giusti, che diceva di sentirsi malato d'intestini e versi91. A quello che Lombroso non esita a definire “delirio malinconico” si associa e si avvicenda, continua l'alienista, il “grandioso”, ovvero la megalomania che sembra affliggere una gran schiera di letterati: da Dante Alighieri a Victor Hugo. Ma soprattutto Lombroso considera una «varietà della melanconia»92, quei geni affetti da «quel morbo che gli alienisti chiamano follia del dubbio»93, che ha la particolarità di manifestarsi in maniera larvata poiché «chi ne è colpito ha tutte le apparenze della mente sana; ragiona, scrive, parla, come qualunque altro; ma guai se deve eseguire un atto, in cui il suo delirio gli faccia travedere immaginari pericoli»94. Ne sembrano affetti, Manzoni, melanconico fin da giovane e del tutto incapace di prendere una decisione, Ugo Foscolo, lo “scettico” Tolstoï95 e, quale massimo esempio di “folle del dubbio”, Giacomo Leopardi, preda di «mille dubbietà nel deliberare e mille ritegni nell'eseguire»96 Oltre a tali “sintomi” si aggiunge spesso la follia morale – che Lombroso riscontrerà poi anche nei delinquenti – o meglio «la mancanza quasi completa di affettività e senso morale»97, poiché «anche del genio si disse, come del pazzo, che nasce e muore solitario, freddo, insensibile agli affetti di famiglia e ai convegni sociali»98. Ivi, pp. 35-36. Ivi, p. 42. 93 Ibidem. 94 Ibidem. 95 Ivi, p. 43. 96 Ivi, p. 49. 97 Ivi, p. 51. 98 Ivi, p. 52. 91 92 35 3.1 L'orrore e l'estasi della vita: il caso Charles Baudelaire Se dunque tra i poeti ritenuti da Lombroso geniali in quanto melanconici rientrano Torquato Tasso, Francesco Petrarca, Samuel Taylor Coleridge oltre ovviamente al “lipemaniaco” Giacomo Leopardi, in questa curiosa galleria lombrosiana di geni degenerati un posto di riguardo spetta senza dubbio, al poeta maudit per eccellenza: Charles Baudelaire. Per Lombroso il poeta francese rientra in quei geni alienati, cioè quei soggetti in cui alienazione e genio sono così fusi insieme da essere indistinguibile il confine tra l'una e l'altro. Che ci sia un legame forte tra Baudelaire e la malinconia99, oggi non ci suona affatto nuovo, tant‟è che la sua è stata definita una poetica della malinconia che vive e si nutre in un perpetuo autunno dominato dalle «ombre lunghe del crepuscolo»100. Si tratta di quell‟apoteosi del crepuscolo che si traduce nel dandismo101 che, secondo quanto afferma lo stesso Baudelaire, «è un sole che tramonta; come l‟astro che declina, è 99 Cfr. G. Macchia, Baudelaire e la poetica della malinconia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 19612, il quale opportunamente precisa che «la malinconia baudelairiana è legata alla reminiscenza, nel suo valore lirico, non psicologico. L‟assenza, in poesia di una tonalità maggiore sufficiente, la tonalità del reale, del presente, del tempo storico, velava le cose cadute sotto lo sguardo del poeta. Nella malinconia era racchiusa l‟essenza della poesia: contemplare il mondo come l‟ombra di un mondo celeste. Non stato di rilassamento, di ripiegamento, quel è la “tristezza”, dolore morale per una cosa perduta di cui non si può più gioire, ma stato spirituale, associato a questa condizione di nonpossesso, di inappagamento» (pp. 47-48). 100 Ivi, pp. 99-100. 101 V. amplius, P.G. Hadlock, The Other Other: Baudelaire, Melancholia, and the Dandy, in «Nineteenth-Century French Studies», Vol. 30, 2001, pp. 58-67. 36 superbo, senza calore e pieno di malinconia»102. Ma se ciò ai nostri occhi può sembrare quasi scontato, non può dirsi lo stesso per Lombroso che osserva Baudelaire con lo sguardo dello scienziato analizzando non i versi ma il suo volto. Non a caso proprio nel frontespizio della quinta edizione dell'Uomo di Genio campeggi un dagherrotipo raffigurante Baudelaire, con i capelli incolti e quasi del tutto canuti, la bocca ridotta a smorfia di scontento e le vistose occhiaie che incorniciano il suo sguardo perduto ed infinitamente triste. Tale immagine, inserita anche nella pagine interne del volume, viene così commentata: «mostra […] tutto il tipo del megalomano, nel portamento provocante, nello sguardo di sfida, nella contentezza assurda di se stesso, discende da una famiglia di pazzi e bizzarri: sicchè l'avrebbe indovinato pazzo anche un non alienista; era soggetto ad allucinazioni fin da bimbo, e provava, come confessò fin d'allora, due sentimenti opposti: l'orrore e l'estasi della vita; era iperestatico, e apatico sentiva il bisogno per iscotersi di Une oasis d'horreur dans un désert d'ennui»103. Pur non essendo un critico letterario, Lombroso con questa citazione individua perfettamente l‟elemento cardine della poetica di Baudelaire: la noia, quel sentimento di profondo sconforto e angoscia cui Baudelaire dà il nome di Spleen104. Ovviamente questo sentimento agli occhi di un positivista quale Lombroso è, meno romanticamente, pigrizia e indolenza, manifestata dalla incapacità di Baudelaire a mantenere un lavoro fisso, che lo riduce a vivere miseramente dandogli, d'altro canto, un senso di autocompiacimento della propria condizione. A tale atteggiamento C. Baudelaire, Il pittore della vita moderna, in Id., Poesie e prose (a cura di G. Raboni), Mondadori, Milano 1973, pp. 963-964. 103 Ivi, p. 60. 104 C. Baudelaire, Fiori del male, Paris 1861, LXXVIII. 102 37 si accompagna il suo essere orgoglioso e misantropo che lo porta a prediligere la provocazione e la rottura di ogni norma sociale: «cercava di mostrarsi originale bevendo davanti alle persone altolocate e tingendosi di verde i capelli. D'inverno vestiva panni estivi e viceversa […] Impazzendo era affetto da inversione delle parole: chiudete per aprite ecc.»105. Proprio il disprezzo degli altri, la superbia e la solitudine contraddistinguono l'io-specchio di Baudelaire106: il soggetto si perde e si spossessa di sé in uno sterile rispecchiamento, finendo in un isolamento narcisistico che simboleggia il doppio carattere della malinconia nostalgica e della malinconia mortifera107. La genialità degenerata di Baudelaire si manifesta sopratutto nella sua sessualità sfrenata, perversa e oscena, nel suo vivere l‟amore in maniera patologica: «ebbe passioni morbose in amore: per donne laide, bruttissime, negre, nane, gigantesse: ad una bellissima espresse il desiderio di vederla appesa al tetto per le mani, e baciarle i piedi – e il bacio del piede appare in una sua febbricitante poesia convertito in atto genitale»108. Questo suo oscillare tra superbia ed auto-umiliazione è un chiaro segno di degenerazione che si evince – a detta di Lombroso - dagli stessi versi di Baudelaire: «“Orribile vita! scontento di tutto e di me, vorrei riscattarmi, inorgoglirmi, un poco, nel silenzio della notte. Dio! accordatemi di produrre qualche verso che provi, a me stesso, che non sono l'ultimo degli uomini, che non Ivi, p. 61. J. Starobinski, La malinconia allo specchio. Tre letture di Baudelaire, Garzanti, Milano 1990, p. 26 (ed. or., La Mélancolie au miroir. Trois lectures de Baudelaire, Juillard, Paris 1989). 107 Cfr. V.E. Morpurgo, Solitudini vitali e solitudini mortali nei percorsi poetici di Giacomo Leopardi e Charles Baudelaire, in E. Morpurgo, V.E. Morpurgo (a cura di), La solitudine forme di un sentimento. Saggi psicologici e psicoanalitici, Franco Angeli, Milano 1995, p. 131. 108 C. Lombroso, L‘uomo di genio (1888)5, cit. p. 61. 105 106 38 sono inferiore a quelli che disprezzo” (Poèmes en proses, X)»109 o, ancora, quando il Poeta dichiara nella Prefazione de I Fiori del Male: «“Io, confessa, ebbi un di quei caratteri che traggono gioia dall'odio e si glorificano nello sprezzo (Preface aux Fleurs)»110. Il destino di Baudelaire, dunque, appare all‟alienista già segnato inequivocabilmente: «finì colla paralisi generale progressiva degli alienati di cui l'ambizione eccessiva era un prodromo»111. Malgrado l‟immagine negativa e malata di Baudelaire delineata da Lombroso egli sembra essere affascinato proprio dai costumi sessuali lascivi e dall‟oscenità dei suoi versi che aveva più volte criticato ma che, in un‟altra occasione, non esita ad elogiare, enumerando i suoi tentativi (insieme a quelli di Zola) di «far sentire con nuove forme l‟amore»112, come uno dei casi in cui esso (anche quello non platonico) sia ispiratore del bello nell‟arte e senza cui quest‟ultima si ridurrebbe a qualcosa di sterile e vacuo. 3.2 Degenerazione vs. genio degenerato Se Baudelaire ha tutti i caratteri del genio degenerato, occorre tuttavia capire cosa debba intendersi con tale aggettivo. Va subito precisato che il concetto di degenerazione adottato da Lombroso si distingue da quella «déviation maladive d‟un type primitif»113 Ivi, p. 62. Ibidem. 111 Ibidem. 112 C. Lombroso, La degenerazione del genio e l‘opera di Max Nordau, in M. Nordau, Degenerazione, seconda edizione riveduta sulla seconda originale con nuova prefazione in risposta a C. Lombroso, Bocca, Torino 1896, p. XXXVIII (ed. or., Entartung, 2. Auflage, C. Duncker, Berlin 1893). 113 B.A. Morel, Traité des dégénérescences physiques, intellectuelles et morales de l‘espèce humane et des causes qui produisent ces variétés maladives, Baillière, Paris 1857. 109 110 39 risalente a Morel114 e che la maggior parte degli alienisti di quell‟epoca riprendeva, considerando la degenerazione una perniciosa malattia che si annidava soprattutto in ambienti letterari, come una vera e propria “peste nera” (non a caso vi è chi l‟ha definita una vera e propria sindrome europea”115) che accomunava pazzi, suicidi, artisti e criminali. Emblematica in tal senso la presa di posizione di Max Nordau nella sua celebre opera Degenerazione, dedicata a Cesare Lombroso, suo «pregiatissimo e caro» Maestro116, a cui si rivolge affermando che «i degenerati non sono sempre delinquenti, prostitute, anarchici o pazzi dichiarati. Talvolta sono scrittori o artisti. Questi però esaminati rivelano gli stessi caratteri morali e fisici caratteristici di quella famiglia antropologica che soddisfa i suoi insani istinti col coltello dell‟assassino o colla cartuccia del dinamitardo, invece che colla penna e col pennello»117. Ciò che agli occhi del borghese potrebbe apparire come una semplice moda, sia pur eccentrica o bizzarra, è – avverte Nordau – una pericolosa malattia, che si manifesta nell'uomo mediante le stimmate, vale a dire «deformità, Nonostante il termine “degenerazione” sia stato reso celebre da Morel, la sua accezione negativa era ben nota già sin dall‟antichità; basti pensare ai termini latini da cui deriva (degenerare e degeneratio) che già mettevano ben in risalto il senso di una commistione che da luogo ad un decadimento materiale e morale di una specie. Anche il verbo francese dégénérer diffusosi nel Trecento sembrerebbe confermare tale accezione di “perdere le qualità naturali della propria razza” tipico delle razze impure e frutto di innaturali misture in contrapposizione alla purezza della razza originaria (Cfr. A. La Vergata, Introduzione in D. Pick, Volti della degenerazione, cit., pp. XI-XII). 115 D. Pick, Volti della degenerazione, cit. 116 Nella Prefazione al volume Nordau afferma, tra l‟altro, che il concetto di degenerazione, originariamente elaborato da Morèl, è stato poi genialmente studiato proprio da Lombroso e grazie alle sue ricerche ha avuto un‟influenza determinante in molti campi del sapere (psichiatria, diritto penale, scienza politica e sociologia). 117 M. Nordau, In luogo di Prefazione, in Id., Degenerazione, cit., p. XI. 114 40 escrescenze e difficoltà di sviluppo»118, cui si accompagnano caratteristiche morali, quali l'emotività (essere eccessivamente sensibili), la pazzia morale e la spossatezza morale (mancanza di coraggio), pessimismo, paura ingiustificata nei confronti degli altri o ripugnanza nei confronti di se stessi. Queste sono le stimmate morali del «melanconico, avvilito, tetro, che dubita di sé e del mondo, martoriato dal timore dell'ignoto, circondato da pericoli indefiniti ma spaventosi»119, in cui Nordau riconosce l'uomo del crepuscolo dei popoli e lo stato psicologico fin de siécle che, nel momento di maggiore intensità, assume le sembianze più inquietanti: l'abulia, cioè il disprezzo dell'attività fino all'inazione a cui si aggiunge la tendenza a fantasticare. In realtà, Lombroso non condivide affatto questa visione cupa ma ritiene che la degenerazione consista in un arresto dello sviluppo di alcune funzioni, che può tuttavia favorirne altre, avendo così un effetto non meramente negativo. Nella sua difesa del genio artistico e letterario Lombroso la critica più aspra che muove al suo «ingombrante discepolo»120 è proprio quella di voler espungere dall‟arte ogni forma di amore «non prettamente platonico»121, finendo in tal modo con l‟associarsi «ai seguaci di Cromwell, di Savonarola, che facevano i falò delle statue e opere classiche»122. Se si pensa alle manifestazioni contro l'arte degenerata del Terzo M. Nordau, Degenerazione, cit. p. 21. Ivi, p. 25. 120 Cfr. J.-L. Cabanès, Nordau lecteur de Lombroso : une filiation encombrante, in «Publif@rum», 2005, 1, numero monografico Cesare Lombroso e la fine del secolo: la verità dei corpi - Atti del Convegno di Genova 24-25 Settembre 2004, consultabile on line su http://www.farum.it/publifarumv/n/01/cabanes.php. 121 C. Lombroso, La degenerazione del genio e l‘opera di Max Nordau, in M. Nordau, Degenerazione, cit., p. XXVII. 122 Ibidem. 118 119 41 Reich, le parole di Lombroso suonano sinistramente profetiche123. Quest‟ultimo ritiene al contrario che la degenerazione sia compatibile con l‟evoluzione come dimostra l'esistenza dei giganti del genio, prodotti di uno scompenso nervoso, che (allo stesso modo dei giganti della statura che pagano il fio della loro grandezza colla sterilità e colla relativa debolezza intellettuale e muscolare) «pagano il fio della loro potenza intellettuale colla degenerazione e colla follia»124. Il genio è dunque per Lombroso una figura ambivalente, prova evidente del volto positivo125 della degenerazione che sembra essere il rovescio della medaglia rispetto a quel tipo di devianza “negativa” dei criminali. I geni rendono la degenerazione uno dei vettori del progresso, poiché la forza della loro opera è rivoluzionaria126; proprio perché il genio è «un uomo che fa meglio e altrimenti dei suoi contemporanei»127, riesce a mutare il corso della storia e a lottare il “misoneismo”128, ovvero la V. amplius, D. Pick, Volti della degenerazione, cit., pp. 37-45. Contra, invece, G. Mosse, Max Nordau, le libéralisme et le «nouveau juif», in Max Nordau (1849-1923), che invece interpreta la tesi di Nordau sulla degenerazione come perfettamente rientrante all‟interno della tradizione sionista che cerca di propugnare il rinnovamento degli ebrei mediante la riscoperta di valori come il dovere e la sobrietà. 124 C. Lombroso, Prefazione, in Id., L‘uomo di genio (1894)6, , cit., p. XIV-XV. 125 Non a caso, la figlia di Lombroso, Gina, svilupperà ulteriormente questa riflessione elaborando una tesi sui “vantaggi della degenerazione”. 126 Cfr. D. Frigessi, Cesare Lombroso, cit., pp. 395-309 e R. Villa, La tipologia lombrosiana e la classificazione dei delinquenti, in U. Levra (a cura di), La scienza e la colpa. Crimini criminali criminologi: un volto dell‘Ottocento, Electa, Milano 1985, p. 285. 127 C. Lombroso, La degenerazione del genio e l‘opera di Max Nordau, in M. Nordau, Degenerazione, cit., p. XXV. 128 Per Lombroso il misoneismo (“l‟odio del nuovo” presente soprattutto nelle popolazioni selvagge) è la prova più diretta dell‟esistenza della legge d‟inerzia anche nel mondo morale, nascendo dalla «difficoltà e dal ribrezzo che sentiamo quando dobbiamo sostituire una sensazione nuova ad una vecchia, ed è tanto comune negli animali, da doversene dire un carattere fisiologico» (C. Lombroso, R. Laschi, Il delitto politico e le rivoluzioni in rapporto ad diritto, all‘antropologia criminale ed alla scienza di governo, Bocca, Torino 1890, p. 8). 123 42 paura del nuovo che contrassegna la norma sociale. In poche parole, l‟uomo di genio per Lombroso, pur essendo un anormale e un malato si eleva al di sopra dei mediocri, grazie alla sua «originalità feconda»129. Nordau, al contrario, come la maggior parte degli studiosi dell'epoca, rigetta apertamente tale tesi affermando come l'unica meta cui i degenerati possano condurre l'umanità sia «l‟abisso o il deserto»130. Sicuramente Lombroso non è riuscito a risolvere l‟eterno enigma del rapporto tra melanconia e creazione anche perché – allo stesso modo delle sue ricerche sull‟uomo delinquente, che cercavano una spiegazione scientifica al Male – il tentativo di risolverlo una volta per tutte sulla base di dati empirici incontestabili non poteva non rilevarsi aporetico131 e fallace. Tuttavia, è riuscito a dare un volto bifronte al 'suo' poeta melanconico evidenziandone non solo le miserie (la malattia) ma anche le grandezze (la portata rivoluzionaria e incomprensibile della sua opera), così come magistralmente immortalato nei versi di Baudelaire: «come il principe dei nembi è il Poeta che, avvezzo alla tempesta, sulla terra, fra scherni, camminare non può per le sue ali di gigante»132. C. Lombroso, La degenerazione del genio e l‘opera di Max Nordau, in M. Nordau, Degenerazione, cit., p. XXV. 130 M. Nordau, Degenerazione, cit., pp. 29-30. 131 «Per quanto il positivista s‟ingegni e s‟industri ad accumulare il maggior numero di fatti e casi possibili, così da trasformare la norma provvisoria in definitiva e farla divenire “la” norma […] emerge inflessibile l‟aporia, il paradosso: proprio la scelta di partire dal “fatto” della pura materia, il dato oggettivo e senza rinvii a significati ulteriori, proprio questa premessa impedisce che il positivista raggiunga definitivamente a posteriori la “sua” norma. Il “fatto” come pure numero-caso, senza significato ulteriore, coincide infatti con la vita stessa: è infinito, e richiederebbe di conseguenza, per accreditarsi come “assoluto”, un impossibile “esperimento infinito”: il “fatto” è allora condannato a rimanere sempre una risposta parziale alla domanda dell‟ esperimento» (G. Moretti, Il genio, cit., p. 156). 132 C. Baudelaire, I fiori del male: Spleen e Ideale - II, L'albatro, vv. 13-16. 129 43 Allo stesso modo del poeta melanconico, pertanto, tutte le incarnazioni dell‟uomo di genio lombrosiano sono accomunate da una duplicità degenerativi, congenita: sia fisici malgrado che i psichici, numerosi che lo caratteri avvicinano pericolosamente al folle e al criminale, ha una valenza fortemente positiva. Il genio infatti riesce ad anticipare i tempi divenendo motore del progresso che riesce con la propria vis eversiva a mutare il corso della storia. Mentre gli uomini dotati di intelletto “normale” sono schiavi del misoneismo, il genio con la sua creatività esce fuori dagli schemi, spazzando via le ragnatele di inerzia e immobilismo in cui sembra avviluppata la società e dando luogo a vere e proprie rivoluzioni. Queste ultime, segno di evoluzione necessaria ai popoli - precisa Lombroso in occasioni delle sue ricerche sul delitto politico - si differenziano dalle rivolte in quanto non sono mai un fenomeno criminoso ma una spinta verso il progresso dell‟umanità133 e perché in esse svolgono un ruolo fondamentale proprio i geni, tra cui Lombroso annovera, tra gli altri, Cristo, Lutero e Garibaldi, affermando come «le rivoluzioni si formano quando il terreno è predisposto, o grazie al sorgere di genii, o di anomali, che per l‟originalità e l‟acutezza maggiore della mente, pel minore misoneismo, che son caratteri speciali del genio, presentano le necessità che verranno più tardi da tutti sentite»134. Il genio, in ultima analisi, come in un gioco di specchi, diviene in Lombroso lo strano riflesso del criminale, il suo opposto „buono‟, «Le rivoluzioni sono fenomeni fisiologici – le rivolte fenomeni patologici. – Perciò le prime non sono mai un delitto, perché l‟opinione pubblica le suggella e dà loro ragione, mentre le seconde sono invece sempre, se non un delitto, un suo equivalente, rappresentando l‟esagerazioni delle comuni ribellioni» (C. Lombroso, R. Laschi, Il delitto politico, cit., p. 35). 134 Ivi, p. 34. 133 44 costituendo una vera e propria forma di devianza „positiva‟: se il delinquente nato, in quanto atavico costituisce un regresso dell‟uomo allo stato ferino e selvaggio, al contrario il genio è indispensabile per accelerare il progresso della società. 4. La passione per il martirio: i mattoidi La „devianza positiva‟ oltre a caratterizzare l‟uomo di genio, riguarda anche i folli (di cui Lombroso sottolinea la contiguità con il genio per la loro forza creatrice e trasformatrice) e i riformatori religiosi e i santi nonché i mattoidi135. Questi ultimi sono quell‟«anello di passaggio tra i pazzi di genio, i sani ed i pazzi propriamente detti»136 e risultano appena distinguibili da un‟altra categoria di mattoidi più vicini all‟uomo di genio che al folle, che Lombroso etichetta appunto come mattoidi di genio cioè quei casi in cui «la pazzia faccia da lievito alle forze intellettuali, ecciti le funzioni psichiche quasi al livello del genio, tuttochè vi lasci la triste vernice del morbo»137. Ad ogni modo, il genio e il mattoide, in tutte le loro numerose sfumature, sono due sfere che risultano così strettamente correlate da essere trattate ne L‘Uomo di genio in sequenza: «abbiamo veduto ora, nei pazzi la sostanza del genio colla livrea della demenza. – Ebbene, havvene una varietà che offre la livrea del genio e la sostanza dell‟uomo volgare […] quella che io Cfr. C. Lombroso, Una biblioteca mattoide, Appendice seconda in Id., Genio e follia, 3a edizione ampliata con quattro appendici, Milano, Hoepli 1877, consultabile on line su http://www.braidense.it/scaffale/genioappend2.html. 136 C. Lombroso, I mattoidi grafomani e Mangione, in «Archivio di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali per servire allo studio dell‟uomo alienato e delinquente», 1880, vol. 1, p. 409. 137 C. Lombroso, Una biblioteca mattoide, Appendice seconda in Id., Genio e follia (1877)3, cit., consultabile on line su http://www.braidense.it/scaffale/genioappend2.html. 135 45 chiamo dei mattoidi»138. Questa categoria sarebbe quella già individuata da altri psichiatri dell‟epoca, tra cui Maudsley (come “uomini a temperamento pazzesco”) e Morel, Legrande du Saulle e Schüle (quali “nevrosici ereditari”). Come nota anche Giuseppe Amadei psichiatra e „allievo‟ di Lombroso, questa tipologia di soggetti collocabili nella „zona grigia‟ tra „savi‟ e „pazzi conclamati‟, nonostante le varie denominazioni elaborate dagli altri psichiatri, assume scalpore grazie a Lombroso che utilizzando il neologismo di “mattoide” riscuote subito successo, nell‟ambiente scientifico e non. A questa popolarità si accompagna, tuttavia, anche qualche equivoco a causa del divario tra il concetto volgare e il significato nosologico attribuito da Lombroso a tale neologismo: «i mattoidi sono degli alienati veri e propri per quanto con caratteri loro speciali, e se entrano nella zona media e nell‟anello, o meglio nella catena di passaggio fra l‟alienato disordinato nella mente e nel contegno dell‟uomo savio, gli è perché vivono liberi in società, perché l‟anomalia loro troppe volte non è riconosciuta come morbosa, perché nel loro delirio e nei loro atti sono in stretto rapporto coll‟ambiente, dal quale la particolare malattia non li aliena»139. I mattoidi, suddivisi da Lombroso in mattoidi letterari, politici e religiosi, sono spesso “grafomani” per la gran quantità di scritti prodotti e figure carismatiche che, in spregio di convenzioni sociali, riescono a trascinare le masse con le loro convinzioni140. C. Lombroso, L‘uomo di genio (1894)6, cit., p. 335. 139 G. Amadei, I mattoidi, in AA.VV. L'opera di Cesare Lombroso nella scienza e nelle sue applicazioni, cit., pp. 82-83. 140 Osserva ancora Amadei nel tentativo di riassumere le ricerche di Lombroso: «i suoi mattoidi hanno, più dell‟uomo medio volgare e quietista, la tendenza alla novità, alla rivoluzione delle idee, a mettersi in contrasto coll‟opinione corrente; non sono dei misoneisti» (G. Amadei, I mattoidi, cit., p. 93). 138 46 Questa loro capacità è il risultato della commissione tra alcune caratteristiche del folle ovvero la sua «convinzione irremovibile, fanatica»141 con quelle tipiche del genio come la sua «astuzia calcolatrice»142, che unite insieme hanno addirittura la forza sovrumana in grado di «sollevare in qualunque epoca le torpide masse, stupefatte innanzi a tale fenomeno»143. I geni e i mattoidi, difatti, grazie al loro amore per tutto ciò che è nuovo e inedito, riescono ad uscire dalle sabbie mobili dell‟immobilismo e dall‟inerzia cui sembra avviluppata la società per avviare un reale mutamento144. Lombroso difatti paragona l‟uomo comune, per il suo misoneismo e la sua incapacità di recepire le novità se non guidato e stimolato esternamente, «all‟ipnotizzato, che quando abbia avuto una suggestione inibitrice, non vede una data immagine che pure ha sott‟occhio e si comprende pertanto come gli debba sembrare ridicolo od empio chi queste innovazioni approvi ed adotti»145. I mattoidi invece sono solo apparentemente „normali‟ avendo un coraggio senza pari e grande altruismo ma anche una sfrenata ambizione, che insieme alla capacità di accendere forti sentimenti nelle masse inerti, li rende socialmente pericolosi146, ma nello stesso tempo, motori del progresso. Non a caso Bulferetti così sintetizza le loro caratteristiche: «audacia, fanatica convinzione, abilità […] sovente si presentano come patriotti, o spiriti umanitari, sicché i mattoidi influenzano la folla»147. Grazie al loro comportamento trasgressivo, si diffonde una sorta di follia C. Lombroso, L‘Uomo di genio (1894)6,cit., p. 394. Ibidem. 143 Ibidem. 144 V. su tale punto anche, D. Frigessi, Cesare Lombroso, cit., p. 276. 145 C. Lombroso, R. Laschi, Il delitto politico, cit., p. 10. 146 Cfr. G. Colombo, La scienza infelice, cit., p. 129. 147 L. Bulferetti, Cesare Lombroso, Utet, Torino 1975, p. 299. 141 142 47 epidemica che invade la plebe, per fargli scoprire, afferma Lombroso citando Maudsley, «le vie recondite del pensiero state neglette da ingegni più gagliardi e così proiettare sulle cose una luce nuova»148. Nella curiosa categoria dei mattoidi Lombroso riesce a far rientrare i personaggi storici più disparati (da S. Francesco a Savonarola, passando per Giovanna d‟Arco e Francesco Coccapieller) ma tutti per lo più caratterizzati dalla loro mancanza di egoismo di cui sono dotati gli uomini “normali”: mentre la “paranoia comune” è di tipo egoistico, quella del mattoide è una paranoia altruistica149, vale a dire quel mix di originalità ed esaltazione «capace di generare una tal dose di altruismo che valga a sacrificare i proprî interessi e la vita per far conoscere e spesso accettare i nuovi veri al pubblico, a cui ogni novazione è sempre inaccetta, e che se ne vendica non di rado col sangue»150. 4.1 Il Profeta di Arcidosso, David Lazzaretti. Se queste sono le caratteristiche che accomunano tale curiosa varietà umana, per Lombroso il caso più lampante 151 di mattoide è indubbiamente quello del profeta visionario di Arcidosso, David Lazzaretti, detto anche il Cristo dell‘Amiata152, la cui storia 148 C. Lombroso, Tre tribuni studiati da un alienista, Bocca, Torino 1887, p. 126. Cfr. G. Amadei, I mattoidi, cit., p. 83. C. Lombroso, Genio e follia in rapporto alla medicina legale, alla critica ed alla storia, 4a ed., Bocca, Torino 1882, p. 175 151 Lombroso definisce il caso di Lazzaretti sintomatico della categoria dei mattoidi essendo il suo «l‟esempio che ci riesce più curioso e sicuro per essersi svolto sotto gli occhi di tutti» (ivi, p. 193). 152 I vestiti indossati da Lazzaretti durante la sua uccisione (una tunica rossa con la croce giurisdavidica, una croce tra due C che si riflettono come in uno 149 150 48 riscosse all‟epoca dei fatti molto clamore. Lazzaretti autoproclamatosi “Cristo, Duce, Giudice” fu considerato eretico e scomunicato dalla Chiesa Cattolica per aver fondato la Chiesa Giurisdavidica basata su una forma di socialismo mistico e utopico (il suo motto: “La Repubblica è il regno di Dio”) ma fu molto amato dalla sua gente, facendo molti proseliti. La sua figura è stata sempre circondata da un alone di mistero e soprattutto ha dato luogo ad animate polemiche tra chi lo ritiene un martire e chi un folle visionario o ancora un ciarlatano a caccia di denaro dai suoi adepti. Le gesta di Lazzaretti vengono enfatizzate anche per la sua fine tragica: la mattina del 18 agosto 1878, mentre guidava una processione pacifica da Monte Labbro verso Arcidosso viene ucciso da alcuni carabinieri e militari che avevano aperto il fuoco contro specchio costituenti il suo stemma: , un mantello nero ed un copricapo), nonché due bastoni, gli stendardi raffiguranti il suo motto, altri cimeli ed altro materiale riguardante il processo, sono stati custoditi nel Museo di Antropologia Criminale “Cesare Lombroso” di Torino dalla sua morte fino al 1991, quando furono donate (con processo verbale del 14.01.1991 a firma del prof. Mario Portigliatti Barbos, direttore del Museo di Antropologia Criminale “C. Lombroso, l‟Assessore alla Cultura del Comune di Arcidosso, prof. Pier Luigi Marini e la sig.ra Sivana Pedicini Sannazzaro, funzionario delegato dal direttore amministrativo ad assistere alla consegna dei beni) al Centro Studi “David Lazzaretti” di Arcidosso (GR), istituito nel 1981 in seguito alle celebrazioni del 1978 in occasione del centenario della morte di Lazzaretti e presso cui si trovano attualmente. Sulla vicenda di tale singolare personaggio si vedano almeno, A. Petacco, Il Cristo dell‘Amiata. La Storia di David Lazzaretti, Mondadori, Milano 1982 e E. J. Hobsbawm, I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale, Einaudi, Torino 1974, pp. 75-94 (ed. or., Primitive Rebels. Studies in Archaic Forms of Social Movement in the 19th and 20th Centuries, Manchester University Press, Manchester 1959); per le immagini del materiale che è stato custodito fino all‟81 presso il Museo Lombroso cfr. G. Colombo, La scienza infelice, cit., pp. 131-140 e U. Levra (a cura di), La scienza e la colpa. Crimini criminali criminologi: un volto dell‘Ottocento, Electa, Milano 1985, p. 284-285 nonché, da ultimo, S. Montaldo, P. Tappero (a cura di), Il Museo di Antropologia criminale «Cesare Lombroso», cit., p. 217, ill. 5, che ritrae un grande armadio contenente gli abiti e gli emblemi di Lazzaretti così come disposti in una foto scattata in occasione dell‟Esposizione d‟Antropologia criminale e di polizia scientifica tenutasi a Torino dal 28 Aprile al 3 Maggio 1906. Per informazioni sul materiale raccolto presso il Centro studi “David Lazzaretti” di Arcidosso si veda invece http://www.sistemamusealeamiata.it. 49 la popolazione che, del tutto inerme, stava partecipando alla funzione religiosa. Ciò non fece altro che aumentare l‟aurea mitica che circonda ancora oggi la sua figura, tanto che persino Gramsci avrebbe denunciato il disinteresse della politica nei confronti dell‟uccisione di Lazzaretti che considera «di una crudeltà feroce e freddamente premeditata»153 poiché fucilato e non ucciso in conflitto, in quanto ritenuto un pericolo sia per lo Stato che per la Chiesa Cattolica. Al di là delle rivisitazioni ideologiche della storia del Profeta di Arcidosso, anche Lombroso non esita a condannare la sua barbara uccisione tant‟è che, a distanza di parecchi anni, accuserà Zanardelli, all‟epoca dei fatti Ministro dell‟Interno, il quale «molto più dotto in diritto che in psichiatria […] nonostante le mie più vive proteste, gli mandò incontro carabinieri e soldati, i quali coll‟andazzo solito fucilandolo cedettero aver giovato al paese e tolto di mezzo un terribile cospiratore cattolico-repubblicano»154. Malgrado Lazzaretti fosse ritenuto dai giudici sano di mente e impostore155, secondo Lombroso, portava inequivocabilmente sul proprio corpo e sui propri abiti il segno della devianza mattoide (primo fra tutti il tatuaggio a forma di croce sulla fronte, impressogli a suo dire direttamente da S. Pietro) 156 esplicata poi 153 Cfr. A. Mattone, Messianesimo e sovversivismo. Le note gramsciane su Davide Lazzaretti, in «Studi Storici», 1981, 2, pp. 371-385 (in particolare, pp. 374-375). 154 C. Lombroso, Il mio museo criminale, in «L‟illustrazione Italiana», XXXIII, 1° aprile 1906, n. 13, p. 306. 155 Come nel caso della condanna a 15 mesi di carcere e un anno di sorveglianza per frode e vagabondaggio, inflittagli dal Tribunale di Rieti nel 1874, in cui a detta di Lombroso, l‟autorità volle sentire il giudizio di periti estranei non solo «alla psichiatria, ma direi quasi anche alle scienze mediche» (P. Nocito, C. Lombroso, Davide Lazzaretti, in «Archivio di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali per servire allo studio dell‟uomo alienato e delinquente», 1880, vol. 2, p. 158). 156 Ivi, p. 145. 50 chiaramente anche nelle proprie azioni e nei propri scritti. La potenza dell‟estasi e del delirio durante i suoi sermoni che come un fuoco interiore lo accendeva gli permetteva di propagare quella che Lombroso definisce una «divina follia»157, che agiva non solo mediante il «fanatizzare le plebi»158, ma anche facendo «nascere dei veri alienati»159. Ciò è tipico dei mattoidi i quali proprio per il loro essere a metà strada tra il genio e il folle hanno maggiore presa sul popolo poiché «la grandezza del primo e la stranezza di concetti del secondo, e in ambedue il contegno sdegnoso, fuor del comune, e la mancanza di tatto, destano diffidenza, ripulsione e ribrezzo: mentre codesti mattoidi essendo bizzarri ma non elevati nei concetti, anzi sovente più bassi del comune, son perciò più accessibili e accetti dalle masse»160. Tuttavia, la peculiarità della figura di Lazzaretti, non paragonabile a nessuno degli altri casi studiati, lo costringe, in alcuni passi dei suoi scritti, ad affermare che il suo caso fosse difficile da catalogare trovandosi piuttosto in una zona «intermedia tra il mattoide e il monomaniaco, allucinato, ambizioso»161, in cui la follia non aveva cancellato una certa dose «di furberia o almeno di finezza; la quale è tutt‟altro del resto che deficiente nei matti d‟ingegno (specie poi nei mattoidi), e qualche volta è anzi acuita dal loro morbo»162. 4.2 L‟anarchico regicida, Giovanni Passannante 157 C. Lombroso, Due tribuni studiati da un alienista, Sommaruga, Roma 1883, p. 101. 158 Ibidem. 159 Ibidem. 160 Ivi, p. 67 161 P. Nocito, C. Lombroso, Davide Lazzaretti, cit., p. 146. 162 C. Lombroso, L'uomo di genio (1894)6, p. 530. 51 Altrettanto indubbia, secondo Lombroso, è l‟appartenenza alla schiera dei mattoidi dell‟anarchico Giovanni Passannante 163 (Passanante negli scritti di Lombroso e in molte cronache dell‟epoca), nato in Salvia di Lucania (oggi Savoia di Lucania) come ultimo di dieci fratelli in una famiglia di umilissime origini. Dopo aver svolto i lavori più disparati come bracciate o pastore, inizia a fare l‟aiutante ad un capitano dell‟esercito, che gli permette di ricevere un discreto livello di istruzione. Da lì a poco entra in contatto con i circoli mazziniani e successivamente con gli ideali anarchici fomentati dal celebre attentato avvenuto a Parigi nel 1858 per mano di Felice Orsini nei confronti di Napoleone III. Sulla scorta di questi ideali anche Passannante progetta di mettere in atto un regicidio, trasformandosi così da umile garzone e cuoco in un pericoloso anarchico. Dopo aver barattato il proprio cappotto per un piccolo pugnale, lo avvolge in un fazzoletto rosso 164 e il 17 La travagliata storia di Giovanni Passannante suscita polemiche ancora oggi, a distanza di oltre cento anni dalla sua morte, avvenuta nel 1910 nel manicomio criminale di Montelupo fiorentino dopo numerosi anni trascorsi nel carcere di Portoferraio sull‟isola d‟Elba in condizioni disumane. Il suo cranio e il suo cervello, custoditi nel Museo Criminologico dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia di Roma dal 1936, vennero trasferiti per la sepoltura, in seguito ad un‟interrogazione parlamentare e ad una petizione popolare, nel cimitero della sua città natale, Savoia in Basilicata, soltanto nel 2007. Sulla sua vita venne realizzata l‟opera teatrale L‘innaffiatore del cervello di Passannante nel 2007 e da ultimo, nel 2011, il film Passannante, suscitando le polemiche dell‟Unione Monarchica Italiana per aver dipinto in maniera troppo apologetica un potenziale regicida. Sul “caso Passannante” v. A. Petacco, L‘anarchico che venne dall‘America, Mondadori, Milano 1974 e, recentemente, M. Cavallieri, Lite sull'anarchico che accoltellò il re Rutelli: seppellitelo nel suo paese, in «La Repubblica», 24.03.2007, A. De Feo, Passione Passannante, in «L‟Espresso», 18.05.2007 nonché P. Rossi, Reato politico e scuola positiva. Il caso di Giovanni Passannante, in «Archivio Trentino», 2010, n. 2, pp. 31-70. 164 Al momento dell‟arresto Passannante venne trovato in possesso, oltre che dell‟arma, di una «banderuola rossa sulla quale era unito un cartello con le parole di: “Morte al Re, Viva la Repubblica Universale”». (Cfr. G. Passannante. Processo per attentato regicidio. Dibattimento svoltosi innanzi alla Corte Ordinaria d‘Assisie di Napoli, Jannone, Napoli 1879, p. 6). 163 52 novembre 1878, si avvicina, con la scusa di una supplica, al predellino della carrozza di Re Umberto I di Savoia che stavo transitando per le vie di Napoli tra la folla e si avventa contro il Re gridando “Viva Orsini, viva la Repubblica Universale!‖165. L‟attentato, anche per l‟inadeguatezza dell‟arma (un coltello con una lama di soli 8 cm) e la concitazione del gesto, fallisce, avendo come risultato solo il ferimento del Primo Ministro Benedetto Cairoli e dello stesso Re. Passannante viene subito tratto in arresto e processato con grande eco su tutti i quotidiani dell‟epoca. L‟anarchico lucano, riconosciuto sano di mente dai più illustri psichiatri dell‟epoca166 e per questo condannato a morte (condanna poi tramutata per volere del Re in ergastolo con Regio Decreto del 28 marzo 1879), viene, al contrario giudicato come semi-folle da Lombroso dopo averne valutato le „anomalie‟ fisiche167 e le caratteristiche psichiche da cui solo in apparenza traspare un‟ingannevole „normalità‟168 presto sconfessata da inequivocabili sintomi tipici dei mattoidi come «l‟apatia morbosa»169 dimostrata 165 G. Galzerano, Giovanni Passannante. La vita, l'attentato, il processo, la condanna a morte, la grazia ‗regale‘ e gli anni di galera del cuoco lucano che nel 1878 ruppe l'incantesimo monarchico, Galzerano, Casalvelino Scalo 2004, p. 396. 166 Cfr. Perizia sullo stato di mente di G. Passanante dei professori Tommasi, Verga, Biffi, Buonomo, Tamburini (Relatore Tamburini). Con riflessioni sul processo e sulle pubblicazioni relative, Reggio Emilia 1879 (estr. da «Rivista sperimentale di freniatria e medicina legale», 1878, V, n. 1-2), con in appendice Sulle «Considerazioni al Processo Passanante», del Prof. Lombroso; C. Lombroso, Considerazioni sul processo Passanante e Id, Su Passanante. Risposta alle note critiche del Professor Tamburini, in «Giornale internazionale delle scienze mediche», n. s., I, 1879, pp. 377 ss. e pp. 990 ss. 167 Tra le altre Lombroso annota «tratti del Mongolo e del cretino, occhi piccoli, infossati, più distanti del normale, zigomi sviluppatissimi, scarsa la barba. La pupilla è poco mobile, i genitali atrofici» (C. Lombroso, L' uomo di genio (18946) cit., p. 442). 168 «Un esame superficiale poteva far credere che in lui fossero normali gli affetti e i sentimenti morali» (Ivi, p. 443). 169 Ibidem. 53 subito dopo il delitto. Solo ad un esame superficiale della sfera psicologica di Passannante era possibile credere, insiste Lombroso, che i suoi sentimenti morali e i suoi affetti fossero normali. Ma quest‟apparente normalità non nascondeva altro che tutti i caratteri tipici dei mattoidi. Non si sarebbe spiegato altrimenti un palese contrasto tra le sue umili origini e gli ideali seguiti, così diversi e lontani dall‟educazione ricevuta, ma soprattutto quella parsimonia ed altruismo tipica di tale categoria di soggetti che per questo spesso appaiono «più affezionati alla patria, all‟umanità che non alla famiglia ed a se stessi»170. Nella stessa direzione si collocavano anche il suo mostrare continuamente ripugnanza nei confronti del crimine in generale, il suo condurre una vita morigerata e improntata a sani principi religiosi e morali, che sono tutti segni della particolare parsimonia ed altruismo dei mattoidi: «ora religioso troppo, ora esageratamente patriota, sempre mostrava preferire il vantaggio altrui al proprio, figurando quasi innanzi agli indotti di psichiatria una specie di martire di un‟idea maturata da anni, il portavoce e la mano segreta di una setta potente, il che tutto potrà suscitare, politicamente, avversione, ma individualmente rispetto»171. Si trattava dunque, sosteneva Lombroso a dispetto degli altri autorevoli pareri, di un chiaro caso di incapacità di intendere e di volere, visto che, anche il reale movente di Passannante non era quello di sovvertire l‟ordine statale bensì quello di un suicida indiretto – categoria già studiata all‟epoca da Krafft-Ebing, Esquirol e Mausdley – poiché la sua vanità superava di gran lunga il suo attaccamento alla vita, essendo ben consapevole di andare incontro alla morte attentando 170 171 Ivi, p. 443. Ibidem. 54 alla vita del Re davanti ad un‟immensa folla. La discordanza del parere di Lombroso su tale caso con quello degli altri psichiatri è significativa in quanto è uno dei tanti segnali di come la complicata costruzione lombrosiana della devianza, posta in essere con pazienza mettendo insieme un „fatto‟ dietro l‟altro come tessere di un composito mosaico, desse vita ad una strana „creatura‟ che, malgrado la contiguità con la psichiatria ufficiale, non coincidevano mai del tutto con essa. 5. Il volto di Giano della devianza lombrosiana Se questa forma di devianza positiva è stata del tutto ignorata dalla totalità degli studiosi dell‟opera lombrosiana, al contrario in quei pochi casi in cui se ne è accennato è stato ritenuto che fosse una vera e propria svolta epistemologica nel suo percorso intellettuale dettata dal mutamento della società che aveva portato alla ribalta un nuovo tipo di criminalità meno violenta e più astuta172, o che, al contrario, derivasse dalla necessità di dare una spiegazione evoluzionista del delitto secondo cui l‟antropologia lombrosiana diviene «una sorta di visione in negativo, ma necessaria, della lotta per il progresso»173. Ma questi sono, come abbiamo accennato, delle „voci isolate‟; più frequentemente gli esegeti dell‟opera lombrosiana hanno invece messo in evidenza le In tal senso, D. Frigessi, Cesare Lombroso tra medicina e società, in S. Montaldo - P. Tappero (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit., pp. 1216. 173 R. Villa, Il «metodo sperimentale clinico»: Cesare Lombroso scienziato, e romanziere, in S. Montaldo - P. Tappero (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit., p. 135. 172 55 sue contraddizioni174 frutto di errori veri e propri, oppure segni di un reale cambiamento nella sua riflessione, dettato da scelte più o meno opportunistiche di tipo “politico” personale, metodologiche175 o rientranti in un progetto ben più ampio e ambizioso176. Andando oltre a tali riduttive e, a volte, strumentali critiche si potrebbe leggere il doppio sguardo di Lombroso, cioè la presenza di una devianza dal volto di Giano, in maniera del tutto diversa, cercando di trovare una linea di continuità nella sua vastissima e spesso frammentaria opera. Ad una analisi più approfondita ed avulsa da pregiudizi, nella affannosa ricerca dei segni della diversità operata da Lombroso durante la sua intera esistenza nei manicomi, nelle carceri, nei tribunali e persino nelle biografie di grandi letterati, In modo particolare l‟esistenza di un doppio atteggiamento nei confronti dei delinquenti-nati, oscillante tra il garantismo (pietà e impossibilità di essere condannati perché non hanno scelto di compiere il delitto) e il giustizialismo più estremo (invocazione della pena di morte). 175 Il discorso su genio e follia (devianza positiva) di Lombroso risponde alla stessa logica degli studi sul delinquente (devianza positiva) (cfr. R. Villa, Il deviante e i suoi segni, cit., p. 196). 176 Si tratta del processo di criminalizzazione e stigmatizzazione del deviante e la patologizzazione della diversità messa in atto dal potere medico-psichiatrico di fine Ottocento in tutta Europa e denunciato da M. Foucault, Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), Feltrinelli, Milano 2004 (ed. or., Le Pouvoir psychiatrique. Cour au Collège de France 1973-1974, Seuil/Gallimard, Paris 2003) - in cui il filosofo francese riprende e sviluppa le tematiche già trattate nel corposo Storia della follia nell‘età classica - negli anni Settanta del Novecento e rientrante nel movimento definito – non senza semplificazioni – dell‟antipsichiatria o „psichiatria sociale‟ che, com‟è noto, ha portato in Italia alla chiusura dei manicomi e alla regolamentazione del trattamento sanitario obbligatorio mediante l‟emanazione della legge n. 180 del 13 maggio 1978 (c.d. “legge Basaglia”). La critica di stampo foucaultiano, di certo rivoluzionaria e acuta all‟epoca in cui venne formulata, viene tuttora riproposta da larga parte degli studiosi italiani di sociologia giuridica e della devianza, spesso in maniera troppo pedissequa, acritica ed anacronistica. Sulla storia della psichiatria in Italia si rinvia a V.P. Babini, M.Cotti, F. Minuz, A.Tagliavini, Tra sapere e potere, cit.; P. Guarnieri, La storia della psichiatria. Un secolo di studi in Italia, Olschki, Firenze 1991, nonché, da ultimo, V.P. Babini, Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, Il Mulino, Bologna 2009 e, per un quadro generale della produzione dottrinale dell‟ultimo ventennio in materia, M. Fiorani, Bibliografia di storia della psichiatria italiana 1991-2010, Firenze University Press, Firenze 2010. 174 56 filosofi, artisti, musicisti, politici e poeti, è possibile scorgere la ricerca dei caratteri, terribili e eccezionali allo stesso tempo, di ogni deviante, cioè chiunque si ponesse per demeriti (criminali) o per meriti (uomini geniali) al di fuori di una normalità che a poco a poco rischia di sembrare sempre più insulsa: l‟uomo “normale”, infatti, è „biologicamente sano‟ e più „rassicurante‟ perché fornito di „buon senso‟ ma sicuramente più apatico e insignificante: non solo è misoneista, egoista e privo di creatività177 ma, precisa Lombroso laddove distingue il genio dal semplice talento, «non è nemmeno colto, non è nemmeno erudito, esso non fa che lavorare e mangiare – fruges consumere natus»178. Secondo Lombroso infatti l‟uomo “normale” è soggetto alla «legge del misoneismo» essendo ed «eternamente conservatore, non sarebbe progredito mai se circostanze straordinarie non l‟aiutavano a superare il dolore della novazione»179. In realtà, Lombroso si spinge ben oltre la constatazione del ruolo propulsivo dei folli, dei geni e dei mattoidi, arrivando addirittura a sostenere la “funzione sociale del delitto” in un omonimo saggio del 1896. In tale occasione Lombroso, con la vena provocatoria che lo contraddistingue, si domanda la ragione per cui, se secondo le teorie darwiniane riescono a sopravvivere solo le istituzioni e gli organi che «abbiano una qualche utilità per l‟umanità, perché altrimenti la selezione li atrofizza e li spegne»180, allora anche il delitto, fenomeno che sembra in continuo aumento, 177 Cfr. C. Lombroso, La funzione sociale del delitto, Sandron, Palermo 1896, ora in Id., Delitto, genio, follia. Scritti scelti, cit., p. 911. 178 C. Lombroso, Prefazione alla sesta edizione, in Id., L‘Uomo di genio (1894)6, cit., p. XIII. 179 C. Lombroso, I nuovi orizzonti della psichiatria, in «Rivista d‟Italia», 1904, vol. I, p. 15. 180 C. Lombroso, La funzione sociale del delitto, cit., p. 906. 57 deve necessariamente avere una funzione positiva per la società. Spiccano in tale saggio alcune affermazioni volutamente esagerate, come quando “elogia” sarcasticamente l‟operato di alcuni tipi di delinquenti: «gli imbroglioni, i truffatori, è vero che lavorano solo per sé, ma grazie alla stessa loro smania d‟attività, applicano l‟ingegno a vantaggio degli altri»181. Al contempo però ne indica la capacità di innescare «una tal quantità di fermenti, che dànno una spinta fortissima al progresso e alla civiltà»182, cosa che gli uomini onesti non potrebbero mai fare, essendo privi di quella energia, impulsività e mancanza di scrupoli di cui sono dotati i delinquenti. È chiaro come Lombroso qui voglia lanciare un preciso messaggio politico183 e di denuncia nei confronti della classe dirigente dell‟epoca e, in particolare, del governo Depretis184 e, più in generale, per i diversi scandali politico-finanziari che avevano in quegli anni scosso l‟opinione pubblica (da quello del Canale di Panama al caso della Banca Romana)185 tant‟è che esplicitamente nelle conclusioni precisa come il suo intervento non debba essere letto come una «bizzarra apologia del male»186, quanto piuttosto una forma di «protesta contro il torrente di fango che ci sale alla gola e tutti ci infama»187. Malgrado il taglio volutamente polemico, Ivi, p. 912. Ibidem. 183 Cfr. L. Mangoni, Eziologia di una nazione, in C. Lombroso, Delitto, genio, follia. Scritti scelti, cit., pp. 707-709. 184 Inappellabile in questo caso il giudizio del medico veronese: «se pur non corrotto, introdusse fra noi più sfacciata la corruzione elettorale e parlamentare, il cinismo più spudorato in politica» (C. Lombroso, La funzione sociale del delitto, cit., p. 907). 185 V. amplius, P. Martucci, Le piaghe d'Italia: i lombrosiani e i grandi crimini economici nell'Europa di fine Ottocento, Franco Angeli, Milano 2002, pp. 33-65. 186 C. Lombroso, La funzione sociale del delitto, cit., p. 914. 187 Ibidem. 181 182 58 però, possono rintracciarsi degli elementi di continuità tra alcune affermazioni contenute in questo breve saggio e l‟opera di Lombroso. Vengono qui ripresi ed enfatizzati gli aspetti della “devianza positiva” applicandoli anche ai delinquenti. Ancora una volta Lombroso mette in evidenza il ruolo propulsivo operato dai devianti che, a differenza dei cittadini „normali‟ ed onesti, sono per loro natura filoneisti e grazie a tale intrinseca qualità «la civiltà li saluta costoro, nonostante le loro magagne, perché sono i soli che riescono a innestarle il nuovo»188, difatti come «la flotta inglese deve la sua origine ai pirati»189 allo stesso modo i criminali risultano indispensabili per la società in quanto «anormali essi stessi, non sentono la ripugnanza del pubblico, per l‟anomalia, per la novità, e molti avendo, o per l‟insensibilità o per l‟agilità una straordinaria energia, l‟adoperano, oltreché pei proprj vantaggi e per eseguire i loro tristi colpi, nel sostenere e propagare le nuove idee, mentre gli onesti apatici ne rifuggerebbero»190. Il crimine non solo è parte integrante della società ma ha un ruolo propulsivo. È innegabile come tale posizione, per un verso, richiami quella formulata negli stessi anni da Émile Durkheim, secondo cui le società riescono ad evolversi paradossalmente anche grazie alla fisiologica esistenza del crimine191, e per l‟altro, diverga, in ogni caso dalla concezione del crimine adottata da Durkheim, che rispetto a Lombroso rifiuta l‟idea della sua scaturigine patologica, Ivi, p. 912. Ibidem. 190 Ivi, p. 911. 191 V. amplius, É. Durkheim, Le regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Edizioni di Comunità, Milano 1963 (ed. or., Les règles de la méthode sociologique, Alcan, Paris 1895). 188 189 59 considerandolo, piuttosto, come un fenomeno della sociologia normale192. Secondo Giacanelli193, dietro l‟interesse di Lombroso e dei suoi seguaci per ogni fenomeno di devianza (dalla delinquenza alla follia) nel nome di una pretesa scientificità si nasconderebbe in realtà il bisogno di sicurezza di una borghesia italiana che vede ancora poco saldo il proprio posto nella storia. Secondo tale interpretazione194, Gramsci aveva rilevato come l‟ossessione dei positivisti lombrosiani per il problema della criminalità, nascondesse in realtà una sorta di concezione del mondo che ricadeva in una «strana forma di „moralismo‟ astratto, poiché il bene e il male era qualcosa di trascendente e dogmatico»195. A ben vedere, tuttavia, tale interpretazione seppure autorevole, può risultare fuorviante: il passo di Gramsci citato infatti, nonostante indicasse il riferimento alla “scuola lombrosiana”, in realtà mirava soprattutto a criticare gli scritti dell‟allievo di Lombroso, Scipio Sighele196. Al di là di questo aspetto, ciò che non risulta in ogni caso condivisibile è il voler ricondurre le teorie lombrosiane ad un presunto bisogno di identità da parte della borghesia italiana e dell‟uomo medio che avrebbe dovuto trovare nei pazzi, nei criminali Cfr. D. Frigessi, La scienza della devianza, in C. Lombroso, Delitto, genio, follia. Scritti scelti, cit., p. 370. 193 F. Giacanelli, Introduzione, in G. Colombo, La scienza infelice, cit., pp. 2428. 194 Ripresa in termini, più o meno analoghi, di recente da Galimberti che, in occasione del centenario della morte di Lombroso, scrive: «in questo scenario di luoghi comuni paludati di scienza non si salva neppure il genio equiparato, in Genio e follia (1864), al pazzo e al delinquente […] ne consegue che a salvarsi è solo l' uomo "normale" che per Lombroso è il ritratto dell' uomo borghese» (U. Galimberti, Un uomo normale e la sua ossessione, cit., p. 51). 195 La citazione è tratta da A. Gramsci, Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 215. Cfr. F. Giacanelli, Introduzione, in G. Colombo, La scienza infelice, cit., p. 25. 196 Cfr. A. Gramsci, Note sul Machiavelli, cit., p. 215. 192 60 e nei sovversivi descritti da Lombroso il proprio confine e delimitazione: «l‟uomo di genio, il pazzo, il delinquente, tutti e tre trovano nella degenerazione e/o nella malattia (l‟epilessia) la causa comune del loro comportamento abnorme; tutti e tre sono superflui, fenomeni “eterogenei” al corpo sociale e “ristabilendo “scientificamente” la legalità della selezione naturale, vanno neutralizzati o, al più utilizzati per il bene della specie» 197. Il limite in cui incorre una siffatta rilettura dell‟opera di Lombroso sta nel mettere in luce per finalità meramente politiche solo i presunti elementi stigmatizzanti, evitando di soffermarsi anche sugli aspetti positivi della devianza presenti – come abbiamo visto nell‟intera impalcatura lombrosiana. Ciò comporta un‟impropria enfatizzatizzazione e decontestualizzazione di alcuni aspetti del tutto marginali della sua riflessione. Un esempio per tutti è l‟estrapolazione di poche righe (a fronte di quasi ottocento pagine) della sesta edizione de L‘Uomo di genio del 1894 dedicate alla “superfluità del genio” che vengono ricondotte, secondo tale rilettura, ad una vera e propria paura del genio, in quanto anormale più vicino al pazzo e al delinquente e, sicuramente distante dall‟uomo borghese198. È alquanto evidente come questa sia una interpretazione ad usum delphini: in realtà in tale passaggio, Lombroso afferma en passant la scarsa utilità del genio, dopo averne più volte ripetutamente ribadito il valore e la forza rivoluzionaria, ma per sottolineare come possa ritenersi talvolta superfluo solo perché ci sarebbero stati dei casi (eccezioni che dunque confermerebbero la regola) di civiltà che si sono evolute 197 198 F. Giacanelli, Introduzione, in G. Colombo, La scienza infelice, cit., p. 28. Ibidem. 61 anche senza i geni199. Anche in questo caso, Lombroso non manifesta alcuna paura o disprezzo nei confronti dei geni ma ne sottolinea il carattere eccessivamente innovatore rispetto alle menti comuni che per tale ragione può causare incomprensione: solo poche pagine prima aveva sostenuto l‟importanza degli uomini geniali – solitamente «rivoluzionari-nati»200 - nella storia dell‟umanità affermando come «mentre il mondo tutto odia il nuovo, essi non solo non sono misoneici, ma sono veri odiatori del vecchio e fautori del nuovo e dell‟ignoto»201. Tra essi infatti figurano Garibaldi, il quale aveva raggiunto «regioni quasi ignote in America» utilizzando come proprio motto “amo l‟ignoto” e Cristo che aveva spinto «l‟idea del nuovo al punto che parrebbe anche ora arditissimo – al comunismo completo»202. Se le idee dei geni non sono accettate è solo perché troppo innovative, specie quando l‟ambiente è eccessivamente ostile. Così l‟atteggiamento di Lombroso nei confronti degli uomini di genio è nuovamente di ammirazione per le loro incommensurabili capacità e, nello stesso tempo, di compassione, per essere una rarità nel mondo della natura, un‟anomalia le cui idee sono spesso capite solo dopo la morte: per tale ragione – e non per un presunto elogio dell‟uomo medio e borghese – Lombroso afferma che il genio sia «più utile che La Cina (con pochissimi geni) e l‟Egitto (con neanche un genio) sono gli esempi più significativi a cui fa riferimento C. Lombroso, L' Uomo di genio (18946) cit., p. 644. 200 Ivi, p. 638. 201 Ivi, p. 636. 202 Ibidem. 199 62 necessario»203, nato al di fuori delle leggi della natura, è «una produzione di lusso», il cui destino è spesso di essere incompreso204. Ivi, p. 645. Così Lombroso si rivolge infatti agli uomini di genio: «Oh genii oppressi dalla sventura, genii, che vedeste sempre derisa ed incompleta l‟opera vostra, datevi pace. Se questo non può giustificare, può, per lo meno, spiegare l‟iniqua sorte che vi toccò e che eternamente vi toccherà» (ibidem). 203 204 63 CAPITOLO II IL DELINQUENTE-NATO COME MOSTRO 64 L‘uomo ha sempre affiancato il mostro, come il pensiero la follia. Jean-Luc Nancy 1. Il fascino ambiguo del mostro Il genio, come abbiamo visto, insieme al criminale, al folle, alla donna, al mattoide e così ogni altro deviante, tali poiché si discostano dai tranquilli binari di una cristallizzata e asfittica normalità, destano in Lombroso sentimenti contrastanti di repulsione e fascinazione, condanna e ammirazione, come può suscitare solo una figura soprannaturale, terribile e mitica allo stesso tempo. Per questo, ad uno sguardo scevro da facili condizionamenti ed aprioristici giudizi la ricerca di Lombroso tesa a trovare un ordine laddove regna il caos, provando e riprovando a catalogare tutti i segni, palesi o latenti di diversità, può essere spiegata come una ricerca dei sintomi della mostruosità, intendendo con tale termine non tanto la “scienza dei mostri” in senso medico come teratologia che mira a studiare dal punto di vista biologico e anatomico, le malformazioni congenite, ma come qualcosa di ben più profondo e sfaccettato che si collega direttamente al suo significato storico-etimologico originario, che rimanda ad una duplicità congenita di sacralità e dannazione. Per comprendere tale concetto non è superfluo ricordare il lapidario e provocatorio monito lanciato da Nietzsche nel 1886: «chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l‟abisso scruterà dentro 65 di te»205. Questo aforisma riesce per molti versi, a riassumere l‟ancestrale rapporto che l‟uomo ha sempre vissuto con il proprio lato oscuro, con qualcosa che genera insieme attrazione e ribrezzo: il mostro. L‟aforisma nietzschiano ci ricorda quanto labile e confuso sia il confine tra vittima e carnefice, tra normale e patologico. È come se vittima e carnefice si sovrappongano e si rincorrano vicendevolmente, in un immaginario gioco di specchi. Ad un simile ribaltamento di ruoli si assiste, ad esempio, nell‟epilogo del racconto di Edgar Allan Poe, Il gatto nero (1843), in cui il carnefice alla fine si trasforma in vittima a conferma del rapporto di identità-alterità che li lega indissolubilmente206. Lo stesso scambio di parti avviene nel celebre film di Fritz Lang, M. il mostro di Düsseldorf (1931), in cui l‟odioso violentatore e uccisore di bambine, Hans Beckert, acciuffato dai “comuni criminali” e sottoposto da essi ad un sommario giudizio sembra mostrare tutta la sua fragilità e umanità207. Del resto, l‟abissale ambiguità del mostro, si evince già dal suo significato letterale originario. Con tale termine si designa tutto ciò che, mettendo insieme aspetti contrari e di impossibile coesistenza per uno sguardo normale, esce dall'ordinario e viola in modo orribile e terrificante l'andamento consueto della realtà: «il mostro appare a sconfessare ogni F. Nietzsche, Al di là dal bene e dal male, Adelphi, Milano 1977, p. 79 (ed. or., Jenseits von Gut und Böse, CG Naumann, Lipsia 1886). 206 Cfr. S. Anelli, Edgar Allan Poe e la «perversità»: tra orrore e razionalità, in M. Bellini (a cura di), L‘orrore nelle arti. Prospettive estetiche sull‘immaginazione del limite, ScriptaWeb, Napoli 2007, p. 145. Sulla “matrice demoniaca del perverso” e la dimensione tragica e insondabile dell‟uomo secondo Poe cfr. le interessanti considerazioni di M. Galzigna, La malattia morale, cit., pp. 273-277. 207 P. Cattorini, L‘occhio che uccide. Criminologi al cinema, Franco Angeli, Milano 2006, p. 19. 205 66 normalità»208. La sua esistenza ci fa capire come la natura possa inventarsi fuori predeterminato. da ogni “Mostro” ordine trascendente o comunque deriva, secondo quanto sostiene Benveniste, sia dalla parola latina monstrum, ricollegabile all'infinito monstrare e quindi l‟azione di indicare, additare, sia dalla parola latina monestrum, che, a sua volta, si ricollega all'infinito monere, ovvero insegnare una via da seguire o prescrivere una condotta209. La specializzazione, anche nelle lingue neolatine, di monstrum come essere che presenta una conformazione contro natura - come dirà nel Cinquecento anche Ambroise Paré210 sviluppando un‟idea antica - è lontana dal suo significato originario, e comunque inspiegabile dal punto di vista etimologico211, nonostante Moussy212 creda di poter rilevare, un incrocio ed un‟influenza su monstrum del polisemantico téras greco213, che stava ad indicare, in maniera ambivalente214, sia l'infinito, il bestiale, il subnormale soggetto alla massima esecrazione e all'ammonimento, sia il miracoloso, il divino, il più 208 T. Negri, La linea del mostro, in U. Fadini, A. Negri, C.T. Wolfe (a cura di), Desiderio del mostro. Dal circo al laboratorio della politica, Manifestolibri, Roma 2001, p. 7. 209 Cfr. E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Einaudi, Torino 1976, vol. II, pp. 477 ss. (ed. or., Le Vocabulaire des institutions indoeuropéennes, Minuit, Paris 1969). 210 A. Paré, Mostri e prodigi, a cura di M. Ciavolella, Salerno, Roma 1996 (ed. or., Vingt cinquième livre traitant des monstres et prodiges, in Id. Les Œuvres, Gabriel Buon, Paris 1585). 211 In tal senso, C. Bologna, Mostro, in Enciclopedia Einaudi, Einaudi, Torino 1980, vol. IX, pp. 562-563. 212 C. Moussy, Esquisse de l‘histoire de monstrum, in «Revue des Etudes Latines», 1977, pp. 345-369. 213 «Non vi era niente nella forma di monstrum che richiamasse questa nozione di “mostruoso” se non il fatto che, nella dottrina dei presagi, un „mostro‟ rappresentava un “insegnamento”, un “avvertimento” divino» (E. Benveniste, Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, cit., p. 479.) 214 Sul carattere ambivalente del mostro, oscillante tra sacralità e marginalità cfr. L. Marchetti, Il fanciullo e l‘angelo. Sulle metafore della redenzione, Sellerio, Palermo 1996. 67 che normale215. Per tale ragione, il mostro, signum di alterità e differenza216, innesca sentimenti contrastanti: «impaurisce ed esaspera, attrae, regolarizza l‟evasione, dà una norma al dissenso […] è considerato con deferenza e sospetto, con una tesa curiosità venerante che rasenta la passione»217. Il mostro, per il suo essere ibrido rimanda ad una prossimità dell‟uomo con l‟animale e con il divino che si traduce non solo in una occulta minaccia di fronte a cui l‟apollinea umanità deve necessariamente arretrare, ma anche in fertili risorse custodite in un essere “impuro”218. Esso diviene così ben presto «l‟Altro che risiede ai bordi della differenza e che controlla i confini del possibile»219. Pertanto l‟umanità non si è mai potuta sottrarre al confronto con tale alterità, interrogandosi sin dall‟antichità sulla mostruosità: basti pensare che già nel diritto romano si distinguevano due categorie di mostro, una relativa all‟infermità (c.d. portentum o ostentum), e l‟altra riguardante il monstrum propriamente detto. Nel Medioevo è invece principalmente mostro l‟uomo bestiale: il misto dei due regni, animale e umano. Nel Rinascimento l‟interesse si concentra sul «Teras/teratos si riferisce sia a un prodigio che a un demone, qualcosa che evoca orrore e fascinazione, aberrazione e adorazione. Ha due facce: l‟angelico e l‟infernale, il sacro e il profano. Ancora una volta la simultaneità degli opposti è ciò che distingue il corpo mostruoso» (R. Braidotti, Madri, mostri e macchine, Manifestolibri, Roma 2005, p. 111). 216 Per un‟originale rilettura del concetto di mostruosità alla luce del concetto deleuziano di différence v. U. Fadini, Differenza e mostruosità, in U. Fadini, A. Negri, C.T. Wolfe (a cura di), Desiderio del mostro, cit., pp. 111-132. 217 F. Porsia, Introduzione. Il significato del diverso, in Id. (a cura di), Liber monstrorum, Dedalo, Bari 1976, p. 36. 218 E. Canadelli, L‘ibrido uomo/animale. Suggestioni nella cultura di fine Ottocento, in M. Bellini (a cura di), L‘orrore nelle arti, cit., p. 264. 219 M. T. Chialant, I mostri della mente: ambigue presenze nella 'ghost story' del secondo Ottocento, in Id. (a cura di), Incontrare i mostri: variazioni sul tema nella letteratura e cultura inglese e angloamericana, ESI, Napoli 2002, p. 99. 215 68 fenomeno dei di siamesi220, l‘uno che è due, due che sono uno. Nel Seicento sugli ermafroditi221, considerati figure mostruose poiché riunivano in un unico corpo il maschile e il femminile; venivano giustiziati, bruciati e le loro ceneri sparse al vento. Tali episodi si registrano, più o meno negli stessi termini, anche nel Settecento ma con una differenza rilevante: l‟ermafroditismo non viene visto più come una mostruosità di natura, ma di comportamento. Non più mescolanza indebita ma semplicemente irregolarità, perversione, comportamento sanzionabile come contrario alla morale e alla pubblica decenza, spia di un possibile comportamento criminoso. Del resto, già ben prima che il termine perverso assumesse una connotazione fortemente legata alla sfera privata e sessuale, si faceva ricondurre la perversione (dal latino, pervertere: ribaltare, capovolgere, invertire ma anche erodere, sregolare)222 ad un comportamento che rompe con il passato e turba l‟ordine naturale delle cose, destando così spaventosa fascinazione. 2. La nascita della criminalità mostruosa Tra la seconda metà del Settecento e i primi decenni dell‟Ottocento emerge pertanto un campo specifico, quello della criminalità mostruosa o della mostruosità che non si realizza nella Un «celebre medico ostetrico, nel 1754 afferma: quando due bambini sono separati sono chiamati gemelli e quando sono uniti insieme sono chiamati mostri» (C.J.S. Thompson, I veri mostri. Storia e tradizione, Mondadori, Milano 2001, p. 123; ed. or., The Mystery and Lore of Monsters, Williams & Norgate, London 1930). 221 Cfr. amplius M. Foucault, Gli anormali. Corso al Collège de France (19741975), Feltrinelli, Milano 2000 pp. 67 ss. (ed or., Les anormaux. Cours au Collège de France. 1974-1975, Seuil/Gallimard, Paris 1999). 222 Cfr. É. Roudinesco, La parte oscura di noi stessi. Una storia dei perversi, Colla, Costabissara (Vi) 2008, p. 8, n. 4 (ed. or., La part obscure de nous-mêmes. Une historie des pervers, Albin Michel, Paris 2007). 220 69 natura e nel disordine della specie, ma nel comportamento stesso223. La vecchia categoria di mostro, abbandona dunque le antiche vestigia quasi sacre, grazie alla trasposizione dall‟ambito del disordine somatico e naturale all‟ambito della criminalità pura e semplice. Nell‟età per eccellenza “positiva”, la mostruosità si riduce a mera deviazione da un tipo normale224, così i mostri diventano individui asociali da correggere225 o, nei casi più estremi, da richiudere o annientare. Si assiste, secondo Michel Foucault, alla trasformazione del mostro in anormale226. Il mostro così sembra solo il fantasma del monstrum, un pallido mostro che «sopravvive alla sua morte negli spazi umbratili dell‟inconscio, nelle sale anatomiche dei biologi, o negli spazi interplanetari»227. Questo porterà alla ribalta una figura centrale dell‟intero Ottocento e degli inizi del Novecento, quella del mostro morale, che sovverte l‟idea del mostro giuridico-naturale e giuridico-biologico, realizzata alla fine del XVIII secolo. Mentre la mostruosità in precedenza portava in se stessa un sintomo di criminalità, adesso c‟è un sospetto sistematico di mostruosità dietro ogni forma di Cfr. D. Forest, La monstruosité morale est-elle intelligible? Le crime entre histoire des idées et philosophie de l‘action, in J.-C. Beaune (a cura di), La vie et la mort des monstres, Champ Vallon, Seyssel 2004, pp. 113-122. 224 Lo studio delle differenze tra il mostro e il tipo normale, cioè lo studio delle irregolarità, sarà la base di partenza della teratologia moderna, inaugurata da Etienne Geoffroy Saint-Hilaire e proseguita dal figlio, Isidore. Cfr. O. Calabrese, L‘età neobarocca, Laterza, Roma-Bari 1992³, pp.97-98 e P. Ancet, Teratologia, ovvero la scienza dei mostri. Il lavoro di Geoffroy SaintHilaire, in U. Fadini, A. Negri, C.T. Wolfe (a cura di), Desiderio del mostro, cit., pp. 83-108. 225 In questo modo avviene la “medicalizzazione” della diversità: i concetti di mostruosità e mostruoso rappresentano rispettivamente questo momento di passaggio dal prodigio (il mostro) al patologico (il mostruoso), v. G. Canguilhem, La monstruosité et le monstrueux, in «Diogène», 1963, n. 40, pp. 29-43 (ora anche in Id., La connaissance de la vie, Vrin, Paris 1992, pp. 219-236). 226 M. Foucault, Gli anormali, cit., pp. 103-104. 227 C. Bologna, Mostro, in Enciclopedia Einaudi, cit., p. 576. 223 70 criminalità. Il criminale come mostro morale rompe il patto con il sovrano per anteporre i propri interessi a quelli della società, tornando così ad uno stato primitivo e ferino: «l‟uomo della foresta riappare dunque insieme al criminale»228, essendo la manifestazione di quel «mostro dal basso» che si oppone al potere del sovrano, ovvero quel «mostro che ritorna alla natura selvaggia, il brigante, l‟uomo delle foreste, il bruto con il suo istinti illimitato»229. Chi è quindi il mostro? La forma primitiva o spontanea del contro-natura? O, al contrario, l‟enfatizzazione delle minime irregolarità, delle piccole deviazioni? A partire da tali interrogativi sarà proprio l‟Antropologia criminale che dalla fine dell‟Ottocento e per gran parte del Novecento cercherà di individuare il substrato di mostruosità che si trova dietro ogni anomalia, devianza o irregolarità. Dopo il processo di patologizzazione della follia, messo in atto dalla generazione di “alienisti” come Philippe Pinel230 e del suo allievo, Jean-Étienne Dominique Esquirol231, propugnatori del trattamento morale232 che M. Foucault, Gli anormali, cit., p. 89. Ivi, p. 95. 230 Vi è un preciso atto posto in essere da Pinel nel 1792 che segna una sorta di cesura nella storia della psichiatria: la liberazione dei pazzi di Bicêtre dalle proprie catene, ricostruito in G. Swain, Soggetto e follia. Pinel e la nascita della psichiatria moderna, a cura di A. Rossati, Centro Scientifico Editoriale, Torino 1983 (ed. or. Le sujet de la folie. Naissance de la psychiatrie, Privat Editeur, Toulouse 1977). È il caso di precisare che questo gesto solitamente interpretato come un atto umanitario a detta di Foucault assume una valenza tutt‟altro che filantropica mirante, in realtà, alla trasformazione di un rapporto di potere in un rapporto di assoggettamento (cfr. M. Foucault, Storia della follia nell‘età classica (nuova edizione a cura di M. Galzigna), Rizzoli, Milano 2011, pp. 662669 (ed. or., Historie de la folie à l‘âge classique, Gallimard, Paris 1972) e M. Foucault, Il potere psichiatrico, cit., pp. 38-39. 231 Sul “trattamento morale” messo in atto da Esquirol si rinvia a M. Galzigna, Soggetto di passione, soggetto di follia, in J-É. Esquirol, Delle passioni considerate come cause, sintomi e mezzi curativi dell‘alienazione mentale, Mimesis, Milano-Udine 2008, pp.43-49 (ed. or., Des passions, considérées comme 228 229 71 prevedeva accanto alle “pratiche dello spirito” prevede cure “fisiche”233 e farmacologiche, la nuova psichiatria che opera a partire dal 1870, comincia ad eliminare la malattia come oggetto di indagine, per concentrarsi su una miriade di dettagli e comportamenti. Un analogo processo di «depatologizzazione»234 è riscontrabile anche nei confronti del crimine: la maestosa figura mostruosa di criminale che in maniera palese incarna il peccato si sgretola per lasciare il posto alle piccole anormalità, inafferrabili se non mediante l‟occhio esperto del medico. Anche il criminale, dunque, come il folle, diviene l‟oggetto privilegiato dell‟osservazione medica, soprattutto per due ordini di ragioni: da un lato, con l‟istituzione dei manicomi e l‟intento da parte della psichiatria di rendersi sempre più indipendente ed autonoma dalle altre discipline e, dall‟altro con l‟inizio dell‟età della codificazione penale e il nuovo spazio dedicato anche alla figura del soggetto che pone in essere l‟azione penalmente sanzionata e alle sua capacità, cause, symptômes et moyens curatifs de l‗aliénation mentale, Didot Jeune, Paris 1805). 232 Nella ricostruzione operata da Foucault il trattamento morale, inizialmente elaborato dai britannici (tra cui John Haslam), è successivamente ripreso soprattutto dagli alienisti francesi, tra cui spicca senza dubbio Pinel, il quale si basa sulla convinzione che alla base della terapeutica della follia ci fosse l‟arte di soggiogare e domare l‟alienato. Ne deriva che il “trattamento morale” applicato da Pinel non fosse «affatto, come si potrebbe immaginare, un processo faticoso e di lunga durata avente per obiettivo e meta essenziali il rendere manifesta la verità della follia, il poterla osservare, descrivere, diagnosticare, per poi stabilire, su queste basi, la terapeutica» (M. Foucault, Il potere psichiatrico, cit., p. 21). 233 Dietro l‟enfasi apologetica della liberazione dei pazzi operata da Pinel si cela in verità la dura realtà di una «nuova violenza prodotta dal dispositivo manicomiale», fatta di nuovi mezzi di controllo e costrizione (sedie di contenzione, manette, cinture di cuoio, collari e camicie di forza) (M. Galzigna, La malattia morale, cit.,p. 134). 234 M. Foucault, Gli anormali, cit., p. 276. 72 favorendo sempre più l‟utilizzo della perizia medico-legale235 per valutare la responsabilità del reo236. Non a caso, la grande questione giuridica che occuperà tutto il campo del dibattito giuspenalistico a partire dalla seconda metà dell‟Ottocento e che sottintende a sua volta l‟annoso dilemma sull‟esistenza del libero arbitrio è quella relativa all‟imputabilità ovvero se l‟autore di un reato sia o no sempre responsabile del fatto commesso237. È in tale contesto che va dunque inserita l‟indagine lombrosiana tesa a scoprire quale grande monstrum si celi dietro il ladruncolo o il brigante, all‟interno di quello che è stato recentemente definitivo un «continente oscuro […], popolato da mostri, pazzi, delinquenti, prostitute e spiriti […] un continente primitivo, notturno e, nell‟immaginazione di Lombroso, nero come l‟Africa o la Sicilia; nero come la notte dei sogni o come laboratori scientifici mal illuminati»238. In realtà, la perizia medico-legale, assente nel processo penale arcaico, si afferma in seguito allo sviluppo della medicina legale agli inizi del Seicento, grazie a Prospero Farinacci e soprattutto a Paolo Zacchia. V. amplius, A. Pastore, Il medico in tribunale. La perizia medica nella procedura penale d‘antico regime (secoli XVI-XVIII), Edizioni Casagrande, Bellinzona 20042 e F. Cordero, Criminalia. Nascita dei sistemi penali, Laterza, Roma-Bari 1985. 236 Anche in questo caso, Foucault non nasconde il suo intento fortemente critico nei confronti del potere di normalizzazione dotato di una forza propria e ulteriore rispetto a quello giudiziario da un lato e medico, dall‟altro, sottolineando che «la perizia medico-legale non si rivolge a delinquenti o a innocenti, a malati in opposizione a non malati. Si rivolge a qualcosa che chiamerei la categoria degli “anormali”. In altre parole: la perizia medico-legale si dispiega realmente in un campo non di opposizione del normale al patologico, ma di gradazione dal normale all‟anormale» (M. Foucault, Gli anormali, cit., p. 46). 237 Se e perché debba essere considerato responsabile del reato commesso, domande che, come afferma uno dei tanti giuristi ottocenteschi, parafrasando Dante, fanno “tremar le vene ei polsi” (Cfr. F. Scarlata, La imputabilità e le cause che escludono o la diminuiscono, Tipografia Fratelli Messina, Messina 1891, p. 8). 238 S. Stewart-Steinberg, L‘effetto Pinocchio. Italia 1861-1922. La costruzione di una complessa modernità, Elliot, Roma 2011, p. 295 (ed. or., The Pinocchio 235 73 3. Il criminale atavico: il caso Villella «Quanti errori e quante illusioni risparmierebbe il criminalista ed il psichiatro cui fossero note le risultanze della moderna antropologia, e che sapesse, con istrumenti e cifre, convincersi come alle aberrazioni del senso morale e della psiche corrispondano anomalie del corpo, e del cranio in ispecie!»239. In questa incisiva affermazione di Lombroso è racchiuso il suo iniziale approccio allo studio del criminale, a partire dal 1870, quando comincia a catalogare i segni scientificamente le della diversità differenze, non colpevole, certificandone solo delinquenti tra e “normali”240 ma anche tra i diversi tipi di delinquenti241, nella convinzione che la mostruosità fisica rispecchi quella morale242. Lombroso intraprende così una ricerca affannosa sui corpi e sui volti di detenuti delle stigmate inequivocabili della devianza, prove inconfutabili che l‟uomo delinquente sia già predeterminato a commettere il male poiché biologicamente diverso243 dagli altri esseri umani. È all‟interno di tale incessante ricerca che va collocato il primo approdo dei suoi studi sul criminale, Effect. On Making Italians, 1860-1920, The University of Chigago Press, Chicago 2007). 239 C. Lombroso, Studi clinici ed antropometrici sulla microcefalia ed il cretinismo, in «Rivista clinica di Bologna», 1873, s. II,a. III, n.7, p. 193. 240 Cfr. C. Lombroso, L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, giurisprudenza e alle discipline carcerarie. Aggiuntavi la teoria della tutela penale del Prof. Avv. F. Poletti, 2a edizione, Bocca, Torino 1878, p. 50. 241 Cfr. C. Lombroso, L'uomo delinquente (1896)5, cit., pp. 274-278. 242 Cfr. D. Le Breton, Des visages, cit., pp. 97 e 282. 243 «È innegabile che nella nostra tradizione di pensiero (quella occidentale) la differenza sia stata descritta in termini negativi, configurandosi come una sorta di “inferiorità peggiorativa” in grado di svolgere un ruolo strutturale di conferma della superiorità del soggetto dominante su ciò che è appunto diverso, “altro”, deviante, mostruoso» (U. Fadini, La vita eccentrica. Soggetti e saperi nel mondo della rete, Dedalo, Bari 2009, p. 52). 74 concretizzatosi nella teorizzazione della somiglianza tra delinquente e selvaggio. Nonostante il vivo interesse dimostrato da Lombroso già a soli venticinque anni, quando da neolaureato in medicina a Pavia, aveva manifestato la sua intenzione di approfondire l‟ambizioso tema “il genio e il delitto studiato in manicomio”244, c‟è un momento esatto in cui, si fa storicamente ricondurre la nascita dell‟antropologia criminale: quella “grigia mattina del novembre del 1870” (come ci racconterà in seguito la figlia, Gina Lombroso)245 in cui analizzando il cranio di Giuseppe Villella, contadino calabrese settantenne sospettato di brigantaggio e deceduto in carcere, nota una strana anomalia: al posto della consueta sporgenza, conosciuta con il termine anatomico di cresta occipitale interna, rilevò una concavità a fondo liscio, che prese il nome di fossetta occipitale interna o fossetta cerebellare mediana. Questa “scoperta”, del tutto smentita da tempo dalla scienza, per Lombroso, costituisce la prova dell‟esistenza nei criminali di «frequenti regressioni mostruose, che avvicinano l‟uomo ad animali inferiori»246 nonché la premessa della teoria del delinquente-nato. Il nucleo centrale attorno a cui ruota la concezione del delinquente atavico247 (dal latino, atavus, antenato) è l‟idea che, per delle malformazioni congenite craniche (come l‟esistenza della fossetta) Questo era il titolo della conferenza proposto da Lombroso nel 1860 al preside della Società di Scienze e Lettere a Milano (D. Frigessi, Cesare Lombroso, cit., p. 97). 245 Cfr. G. Lombroso Ferrero, Cesare Lombroso. Storia della vita e delle opere, Zanichelli, Bologna 19212, pp. 130-131. 246 C. Lombroso, Della fossetta cerebellare mediana in un delinquente, in «Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere», 1872, vol. V, fasc. 18, p. 1062. 247 Sull‟atavismo nell‟opera lombrosiana si rinvia a R. Villa, Il deviante e i suoi segni, cit., pp. 144-149 e Id., L‘atavismo: il ritorno al primitivo, in U. Levra (a cura di), La scienza e la colpa. Crimini criminali criminologi: un volto dell‘Ottocento, cit., p. 246. 244 75 il delinquente è un uomo tornato indietro248 ad un stato primitivo e selvaggio, che tuttavia si discosta totalmente dal mito del “buon selvaggio” di rousseauiana memoria avvicinandosi piuttosto all‟orda primordiale di cui parla Freud. I delinquenti, per Lombroso, non sono difatti soggetti progrediti, anzi sono rimasti indietro nel tempo, né hanno la capacità di adattarsi alla società moderna, con cui entrano quasi inevitabilmente in conflitto, apparendo come «selvaggi viventi in mezzo alla fiorente civiltà europea»249, alla stessa stregua dei selvaggi “autentici” che proprio in quegli anni fanno bella mostra nei freak show di tutto il mondo250. Ciò spiegherebbe l‟indole e la diffusione di alcuni delitti, caratterizzati da una ferocia disumana e inspiegabile, l‟uso frequente del tatuaggio e di un gergo “furfantesco”, la tendenza al cannibalismo anche immotivata e tutto ciò che deriva da «quegli istinti animaleschi, che rintuzzati, per un certo tempo, nell‟uomo dall‟educazione, dall‟ambiente, dal terrore della pena, ripullulano, a un tratto, sotto l‟influenza di date circostanze»251. Ma davvero il calabrese Villella può racchiudere in sé tanta ferocia, divenendo una sorta di raffigurazione della malvagità primitiva? È alquanto paradossale che proprio il caso più celebre e discusso tra quelli Da qui si spiegherebbe anche il termine reversion, utilizzato dai francesi per spiegare l‟atavismo. 249 C. Lombroso, L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla medicina legale ed alle discipline carcerarie, Hoepli, Milano 1876, p. 108. 250 A New York, Parigi, Milano o in qualche altra brulicante città a partire dalla seconda metà dell‟Ottocento si cominciano a moltiplicare gli spettacoli che, facendo leva su un esotismo da cartolina, hanno come principale attrazione accanto agli “anormali” fisici e mentali i c.d. selvaggi come nel caso del pigmeo Ota Benga o della sudafricana Saartjie Baartman, meglio nota come la “Venere Ottentotta”. Su tale inquietante “moda” si rinvia a S. Lemaire, P. Blanchard, N. Bancel, G. Boëtsch, É. Deroo (a cura di), Zoo umani. Dalla Venere ottentotta ai reality show, Ombre Corte, Verona 2003 (ed. or., Zoos humains. De la Vénus hottentote aux reality shows, Éditions la Découverte, Paris 2002). 251 C. Lombroso, L‘uomo delinquente (1876), cit., p. 378. 248 76 studiati da Lombroso sia anche quello su cui si sa meno: la figura del brigante calabrese è avvolta dal mistero per le diverse e contraddittorie descrizione fatte da Lombroso nell‟arco della sua vita, in cui viene dipinto ora come un semplice brigante o un ladruncolo252, ora come un feroce e sanguinario criminale, se non, come riporterà la figlia Gina nell‟edizione inglese, una sorta di Jack Lo Squartatore italiano253. Ma, al di là delle innumerevoli incongruenze che riguardano il profilo criminale di Villella e persino la sua conformazione fisica254, ciò che ci preme chiarire è l‟impatto dell‟atavismo, sviluppato a partire da tale caso, nella teorizzazione del “delinquente-nato”. Dando uno sguardo complessivo all‟articolata costruzione lombrosiana, si può ben comprendere come il tentativo di risolvere la questione della criminalità con l‟atavismo costituisca una tappa fondamentale della ricerca di Lombroso e, seppure non rappresenti la soluzione definitiva all‟ambiziosa questione intorno alla natura stessa del criminale, essa lasci una traccia indelebile in tutta la sua riflessione, condizionando anche di non poco l‟immaginario e persino la letteratura. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che a creare una sorta di aurea mitica intorno al cranio di Villella sia 252 «Un certo Villella, di Motta S. Lucia, circondario di Catanzaro, d‟anni 69, contadino, sospetto di brigantaggio e condannato tre volte per furto, e per ultimo per incendio di un mulino a scopo di furto» (C. Lombroso, Esistenza di una fossa occipitale mediana nel cranio di un criminale, in «Archivio per l‟antropologia e l‟etnologia», 1871, vol. 1, p. 63). 253 «An italian Jack The Ripper, who by atrocious crimes had spread terror in the Province of Lombardy» (G. Lombroso Ferrero, Criminal man according to the classification of Cesare Lombroso, Putman‟s and Sons, New York and London, 1911, p. 6). 254 In realtà, la figura di Villella nei vari luoghi della riflessione lombrosiana assume una connotazione tutt‟altro che univoca, essendo descritto ora come un essere “tutto stortillato”, ora come un ladro “famoso per l‟agilità e gagliardia muscolare” (R. Villa, Il deviante e i suoi segni, cit., pp. 147-149). 77 stato lo stesso Lombroso. La „scoperta‟ della fossetta, avvenuta, come abbiamo visto, alla fine del 1870 è descritta da Lombroso solo trentacinque anni più tardi, nel suo discorso di apertura, pronunciato in francese, del sesto Congresso Internazionale di Antropologia Criminale, con tono teatrale di chi, ormai scienziato acclamato in tutto il mondo, può permettersi di parlare di una vera e propria „illuminazione‟ che gli aveva addirittura permesso di risolvere l‟intero problema della natura del delinquente255. Che Lombroso abbia enfatizzato tale ritrovamento per dare maggiore credito alla sua tesi256 o solo per difendersi ancora una volta dalle accuse di lavorare a partire da dei pregiudizi e non da dei „fatti‟ 257, non è poi così rilevante. Ciò che appare ben più importante è che il ritrovamento di questa anomalia - per Lombroso l‟atto di nascita dell‟antropologia criminale - spiega l‟esistenza del crimine con il fenomeno, per certi rassicurante per la nascente borghesia italiana, dell‟atavismo258 e fa di Villella l‟emblema di una nuova In quello che forse è uno dei suoi passaggi più citati, Lombroso afferma: «A la vue de ces étranges anomalies, comme apparaît une large plaine sous l‟horizon enflammé, le problème de la nature et de l‟origine du criminel m‟apparut résolu: les caractères des hommes primitifs et des animaux inférieurs devaient se reproduire de nos temps» (C. Lombroso, Discours d‘ouverture au VI Congrés d'anthropologie criminelle, in Comptes-rendus du VIE Congrés international d'anthropologie criminelle: Turin, 28 avril-3 mai 1906, Bocca, Torino 1908, p. XXXII). 256 Anche in questo caso Lombroso aveva volutamente aggiunto molti elementi di fantasia in linea con il suo metodo, caratterizzato dall‟accumulare caotico e disordinato di segni e indizi la cui mancanza di oggettività comportava la necessità di doversi spesso ricorrere all‟invenzione (R. Villa, Il deviante e i suoi segni, cit. p. 149). 257 Questa è la conclusione di Marc Renneville, il quale osserva come la narrazione di tale scoperta permettesse a Lombroso di «precisare per l‟ennesima volta le sue scelte a quei contraddittori che pretendevano che egli avesse abusato troppo dei fatti isolati» (M. Renneville, Un cranio che fa luce? Il racconto della scoperta dell‘atavismo criminale, in S. Montaldo, P. Tappero (a cura di), Il Museo di Antropologia criminale «Cesare Lombroso», cit., p. 110). 258 Il tema dell‟atavismo non è stato tuttavia introdotto ex novo da Lombroso, essendo già presente nel dibattito ottocentesco: cfr. amplius, S. Nicasi, 255 78 disciplina tesa a formulare una vera e propria scienza dell‟anormale. Non a caso, il cranio di Villella diviene per stessa ammissione di Lombroso una sorta di feticcio o di totem dell‟antropologia criminale259 che apre le porte alla sua spasmodica ricerca dei fondamenti biologici del crimine. 4. L‟ «amore mostruoso» di Vincenzo Verzeni, “Strangolatore di donne” Una seconda rivelazione, dopo quella del cranio di Villella, costituirà per Lombroso la «prova più diretta dell‟atavismo»: il caso di un ventiduenne bergamasco, Vincenzo Verzeni, «quello che nel linguaggio giornalistico moderno viene definito un “mostro”» 260. Noto alle cronache anche come “lo strangolatore di donne” o “il vampiro della Padania”261, quello di Verzeni, può essere considerato il primo caso italiano di serial killer a sfondo sessuale, tanto clamoroso da destare l‟attenzione dei mass media dell‟epoca, alla stregua dei contemporanei “processi spettacolo”, e da essere tuttora annoverato tra i più sanguinari assassini seriali della storia262. Verzeni, prima di balzare agli onori delle cronache, era Atavismo: patologia di un ritorno, in F.M. Ferro (a cura di), Passioni della mente e della storia. Protagonisti, teorie e vicende della psichiatria italiana tra '800 e '900, Vita e Pensiero, Milano 1989, pp. 363-371. 259 Cfr. C. Lombroso, Come nacque e crebbe l‘antropologia criminale, in AA.VV., Ricerche e studi di Psichiatria, Neurologia, Antropologia e Filosofia dedicati al Prof. Enrico Morselli nel XXV anniversario del suo insegnamento, Vallardi, Milano 1906 (Estratto), p. 4. 260 P. Baima Bollone, Cesare Lombroso ovvero il principio dell‘irresponsabilità, SEI, Torino 1992, p. 116. 261 M. Centini, Il vampiro della Padania. Le indagini e il processo a Vincenzo Verzeni, lo «strangolatore di donne», Bergamo 1870, Ananke, Torino 2009. 262 La sua storia risulta infatti riportata su numerosissimi testi sia specialistici che divulgativi, tra cui si ricordano almeno: R. De Luca, Donne assassinate, Newton Compton, Roma 2009, pp. 202-203; V. M. Mastronardi, R. 79 solo un contadino di umili origini cresciuto nell‟ambiente chiuso e bigotto delle valli bergamasche. Dopo aver aggredito sessualmente diverse giovani donne, tra cui la cugina dodicenne, costretta a letto perché convalescente, Verzeni tra il 1870 e il 1871 si macchia di almeno due uccisioni di ragazze e dello squartamento dei loro corpi. Nonostante le vittime accertate siano state soltanto due (Giovanna Motta di quattordici anni ed Elisabetta Pagnoncelli di ventotto anni), il giovane bergamasco ne aveva tentato di strangolare molte altre che, a quanto pare, si erano salvate grazie al sopraggiungere in lui dell‟orgasmo, nel momento in cui iniziava a stringere le mani al collo delle malcapitate. Le ferine abitudini sessuali di Verzeni non passano inosservate al celebre psichiatra austro-tedesco Richard von Krafft-Ebing che lo inserisce nella sua monumentale opera Psychopathia sexualis (1886), primo tentativo di catalogare in maniera sistematica ed esauriente tutti i comportamenti sessuali ritenuti “devianti”. Nella parte dedicata al sadismo KrafftEbing lo annovera al caso n. 48 tra quelli di uccisione per libidine in cui manca lo stupro vero e proprio e il «trucidamento sadistico De Luca, I serial killer, Newton Compton, Roma 2009, pp. 604-606; F. Foni, Alla fiera dei mostri. Racconti pulp, orrori e arcane fantasticherie nelle riviste italiane 1899-1932, Tunué, Latina 2007, p. 90; G. Lupi, Serial killer italiani: cento anni di casi agghiaccianti da Vincenzo Verzeni a Donato Bilancia, Editoriale Olimpia, Sesto Fiorentino (FI) 2005, pp. 45-50; P. Vronsky, Serial Killers: the method and madness of monsters, Berkley/Penguin, New York 2004, pp. 58-61; C. Lucarelli, M. Picozzi, Serial killer. Storie di ossessione omicida, Mondadori, Milano 2003 pp. 9-23; A. Accorsi, M. Centini, La sanguinosa storia dei serial killer. I casi più inquietanti che hanno terrorizzato l'Italia del XIX e XX secolo, Newton Compton, Roma 2003, pp. 30-33; U. Fornari, J. Birkhoff, Serial Killer. Tre ―mostri‖ infelici del passato a confronto, Centro Scientifico Editore, Torino 1996, pp. 5-26. Si rinvia altresì ai seguenti articoli on line: A. Nespoli, Dossier Verzeni, su http://www.latelanera.com/serialkiller/serialkillerdossier.asp?id=VincenzoVerze ni&pg=1; Redazione, Ombre nella storia. Vincenzo Verzeni su http://www.vampiri.net/ombre_20.html; S. Di Marzio, Vincenzo Verzeni, su http://www.occhirossi.it/biografie/VincenzoVerzeni.htm, Bgfeddy, Il vampiro di Bergamo, su http://ivoltidelcrimine.wordpress.com/tag/vincenzo-verzeni. 80 rappresenta da solo un sostitutivo del coito […] la vita delle sue vittime dipendeva esclusivamente dal più rapido o meno sopraggiungere dell‟eiaculazione»263. Il modus operandi di Verzeni si ripete macabramente: avvicina le vittime che incontra nel suo solitario vagabondare nei campi, le aggredisce e le immobilizza rapidamente stringendo le mani al loro collo. Dopo aver raggiunto il piacere sessuale se la vittima era già morta ne mutilava e ne squarciava il corpo, lasciandosi andare a veri e propri atti di cannibalismo e vampirismo: «strangolava le donne per il piacere venereo che provocava nel toccarle il collo, e nello sviscerarne il cadavere e succhiarne il sangue ancor caldo»264. È lo stesso Verzeni, che dopo un‟iniziale riluttanza, racconta - quasi vantandosi – le proprie “gesta” a Lombroso, nominato perito dalla Corte di Assise di Bergamo per accertarne la capacità di intendere e di volere 265. Quest‟ultimo, come meticolosamente era tutte le solito fare, misure del analizzò corpo e catalogò dell‟imputato sottoponendolo anche a varie prove (come quella della sua forza fisica e di sensibilità al dolore) e in seguito ne ricostruì l‟albero genealogico, alla ricerca di un qualche segno di anomalia e diversità, in poche parole di un qualcosa che riuscisse a rispecchiare anche esternamente la sua innegabile mostruosità interiore. Ma tale concitata ricerca sembrò più disorientare che confortare Lombroso: chi si trovava davanti era un ragazzo R. von Krafft-Ebing, Psychopathia Sexualis, Manfredi, Milano 1966, p. 154 (ed. or., Psychopathia Sexualis, Ferdinand Enke, Stuttgart 1886). 264 C. Lombroso, L‘uomo delinquente,(1896)5, cit., vol. II, p. 205. 265 Al caso di Vincenzo Verzeni – richiamato in tutta l‟opera lombrosiana – sarà dedicato il saggio, C. Lombroso, Verzeni e Agnoletti, «Rivista di discipline carcerarie», 1873, 3, pp. 193-213, poi ripubblicato in Id., Raccolta dei casi attinenti alla medicina legale. Verzeni e Agnoletti in «Annali universali di medicina», Aprile-Maggio 1874, vol. 228, pp. 3-29 ed ora parzialmente riedito anche in Id., Delitto, genio, follia. Scritti scelti, cit., pp. 250-260. 263 81 apparentemente “normale” ad eccezione di tre sole anomalie nel cranio e il fatto che fosse «affetto da emiatrofia cerebrale […] figlio e nipote a pellagrosi e cretini»266. Per il resto le caratteristiche fisiche e mentali di Verzeni appaiono rientranti nella media dei bergamaschi della sua età. Le poche irregolarità riscontrate non riescono a spiegare a Lombroso crimini talmente atroci commessi con una spietata lucidità e di cui l‟accusato non appare mostrare il benché minino sentimento di pentimento o di rimorso, come si evince dalle stesse parole di Verzeni, riportate nella perizia: «io ho […] veramente uccise quelle donne e tentato di strangolare quell‟altre perché provava in quell‟atto un immenso piacere in quantochè appena metteva loro le mani addosso al collo avea l‟erezione e ne sentiva un gran gusto […] le vesti, le viscere le esportai perché godeva nel fiutarle e nel palparle»267. Di fronte ad una tale ferocia, inspiegabile sia con la follia, sia con altro disturbo psichico, Lombroso - pur riconoscendo l‟influsso negativo su Verzeni dell‟ambiente arretrato di Bottanuco (Bg) in cui la morale coincide con «le pratiche religiose e l‟astinenza giovanile»268 sostiene che la tendenza ad «associarsi la libidine del sangue a quella di Venere»269, come si è manifestata nel caso di Verzeni sia paragonabile solo a quella degli animali in amore e degli uomini primitivi. Così, richiamando Mantegazza, Lucrezio e Tito Livio, afferma che «gli istinti primitivi, scancellati dalla civiltà, possono ripullulare anche in un solo individuo, quando in lui è deficiente il 266 267 C. Lombroso, L‘uomo delinquente, (1896)5, cit., vol. II, p. 205. C. Lombroso, Raccolta dei casi attinenti alla medicina legale, cit., pp. 15- 16. 268 269 Ivi, p.11. Ibidem. 82 senso morale per l‟ambiente in cui vive»270. Il medico veronese alla fine conclude per una «diminuzione di responsabilità» di Verzeni perché «rientrerebbe in quei cinque o sei casi che si possedono nella scienza di necrofilomania o pazzia per amori mostruosi o sanguinari»271. La perizia di Lombroso attestante la mancanza di responsabilità dell‟imputato, per lo meno nella fase finale dell‟atto, non convince del tutto i giudici e Verzeni si salva per un solo voto dalla pena di morte. Condannato ai lavori forzati a vita, è successivamente trasferito in manicomio giudiziario, per essere sottoposto a vari trattamenti “riabilitativi” sulla base delle tecniche della psichiatria all‟epoca fiorente dove, nel luglio del 1874, avrebbe tentato il suicido, impiccandosi all‟inferriata della sua cella. Malgrado quasi tutta la letteratura in materia sostenga che Verzeni morì suicida272 in quell‟occasione, di recente è stato scoperto che, in realtà, fu salvato in extremis dagli infermieri, per spegnersi poi, di morte naturale, nella sua dimora di Bottanuco il 31 dicembre 1918273. Questo episodio non fa altro che aggiungere Ivi, p.12. Ivi, p.18. 272 E vi è chi, incredibilmente, riporta nei minimi dettagli anche il momento del ritrovamento del cadavere e i risultati di una presunta autopsia sul suo corpo effettuata da Lombroso in persona. Si veda, in tal senso, la romanzata ricostruzione di L. Guarnieri, L‘atlante criminale. Vita scriteriata di Cesare Lombroso, BUR, Milano 2007 pp. 120-122, in parte ripresa anche in C. Lucarelli, M. Picozzi, Serial killer. Storie di ossessione omicida, cit. pp. 22-23. Seppur non faccia espresso riferimento alla data della morte, è invece di contrario avviso rispetto a questi ultimi, lo storico Renzo Villa che, in un recente saggio, ricostruisce brevemente la vicenda giudiziaria di Verzeni da cui si evince la sua sopravvivenza all‟episodio del tentato suicidio del 1874: «la Corte d‟Appello di Brescia il 20 gennaio del 1890, muterà poi la condanna in trenta anni di reclusione, ulteriormente ridotta per amnistia nel 1896. Questi pochi elementi di un caso criminale seguito dalle cronache locali diverranno una sorta di mito» (R. Villa, Il «metodo sperimentale clinico»: Cesare Lombroso scienziato, cit., p. 136). 273 Tale scoperta è stata fatta da due produttori televisivi, Mirko Cocco e Michele Pinna durante le riprese relative ad un servizio sul caso Verzeni per 270 271 83 nuove ombre all‟alone di mistero che già circonda la sua vampiresca esistenza di “non-morto”. 5. La follia morale ovvero “il morbo della mostruosità” Casi come quello del “vampiro della bergamasca”, in cui sembra quasi non esistere più quel sottile «confine fra il delitto e la pazzia»274, e in cui la mostruosità dei gesti criminali sembra ben celata dall‟assenza di evidenti anomalie fisiche o psichiche, farà interrogare Lombroso su come sia possibile “identificare” tale categoria di soggetti e, soprattutto, se essi vadano ritenuti responsabili o meno per le proprie terribili azioni. Ma l‟indagine lombrosiana, a ben vedere, non rimane isolata, inserendosi in un ampio e vivace dibattito sviluppatosi in Italia e il Francia (e in seguito in tutta Europa), nella seconda metà dell‟Ottocento sulla follia morale, una controversa e sfuggente categoria nosografica, definita come “paralisi del senso morale” o “lucida follia” o ancora nei modi più disparati dai più illustri psichiatri dell‟epoca (per Esquirol si trattava di una “monomania ragionante” per Pinel di una televisione locale. La “nuova” data risulterebbe proprio dal certificato di morte e sarebbe ulteriormente confermata da un articolo de L‘Eco di Bergamo del 3-4 dicembre 1902 (periodo molto successivo a quello del suo supposto suicidio), in cui è possibile leggere testualmente: «Per l'uscita di Verzeni dall'ergastolo. - Da Bergamo si scrivono le seguenti notizie ad un giornale di Milano, notizie che da assunte informazioni ci risultano vere: La popolazione di Bottanuco è terrorizzata al pensiero che Vincenzo Verzeni, lo squartatore di donne, ha quasi ormai finita l'espiazione della pena, che dall'ergastolo, fu convertita in 30 anni di reclusione. Il lugubre ricordo delle gesta sanguinose del Verzeni è ancora vivo in Bottanuco e nei paesi circostanti» (Cfr. E. Roncalli, Da «Twilight» alla Bergamasca. La storia del vampiro di Bottanuco, «L‟Eco di Bergamo», 25 giugno 2010 e M. Cocco, M. Pinna – Gabrielle, Vincenzo Verzeni. L‘uomo che visse due volte, su http://www.vampiri.net/ombre_20a.html). 274 C. Lombroso, Raccolta dei casi attinenti alla medicina legale, cit., pp. 1516. 84 una “mania senza delirio”). Tale dibattito infiammò nel 1877 le pagine dell‟allora nascente Rivista di Freniatria e medicina legale coinvolgendo non solo il suo fondatore, Carlo Livi, ma risultando il luogo privilegiato del confronto polemico tra studiosi del calibro di Clodomiro Bonfigli, Arrigo Tamassia, Ugo Palmerini, fino a Enrico Ferri e lo stesso Cesare Lombroso275. Al di là delle divergenze tra i vari approcci, si ritenevano folli morali coloro che, pur non essendo privi di intelligenza e delle altre facoltà intellettuali, difettavano di sentimenti morali, essendo dei soggetti egoisti, antisociali ed insensibili al dolore altrui. La follia morale così interveniva a spiegare l‟inspiegabile, tanto da convincere Lombroso, ad un certo punto della sua riflessione, a far coincidere i delinquenti nati con i folli morali: «così si completa e si corregge la teoria dell‟atavismo del crimine, coll‟aggiunta della mala nutrizione cerebrale, della cattiva conduzione nervosa; s‟aggiunge, insomma, il morbo della mostruosità»276. Ciò che in tale epoca gli psichiatri e i giuristi cercheranno strenuamente di scongiurare è, in altri termini, il realizzarsi di quanto affermato da molti romanzieri e filosofi da tempo: l‟idea che il male e la doppiezza della mostruosità non siano altro che manifestazioni eccezionali di un ordine naturale a cui neanche l‟uomo normale sembra poter sfuggire. Se il mostro non si distingue dall‟individuo normale, essendo nient‟altro che una delle possibili combinazioni degli stessi elementi esistenti in natura, di conseguenza, afferma Diderot, «l‟uomo non è che un effetto comune; il mostro un effetto raro; tutt‟e due ugualmente naturali, 275 Su tale dibattito v. amplius D. Frigessi, Cesare Lombroso, cit., pp. 178- 188. C. Lombroso, L‘uomo delinquente in rapporto all‘antropologia, giurisprudenza ed alle discipline carcerarie. Delinquente nato e pazzo morale, 3a ed. completamente rifatta, Bocca, Torino 1884, p. 587. 276 85 ugualmente necessari»277. Nella letteratura ciò risulterà ancora più evidente. Basti pensare al Doppio osceno, il sé nascosto che abita in ciascuno, esemplarmente rappresentato da Edgar Allan Poe in William Wilson (1840), da Fëdor Dostoevskij ne Il sosia (1851) e da Oscar Wilde ne Il ritratto di Dorian Gray (1890). Ma ancora più significative risultano le opprimenti pagine del celebre romanzo di Robert L. Stevenson, Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Sig. Hyde (1886), esempio di doppiezza mostruosa in cui bene e male sono inscindibilmente mescolati, vittima e carnefice indissolubilmente legati in un unico corpo278, poiché se Hyde è la personificazione del Male, d‟altro canto Jekyll non è del tutto “buono”, poiché è la cattiveria repressa del secondo che trova finalmente sfogo nel primo: «gli esseri umani sono una mescolanza di bene e di male; mentre Edward Hyde, unico nei ranghi dell‟umanità, era male assoluto»279. Al di là della sua peculiarità il romanzo di Stevenson va ad inserirsi in un più vasto e variegato panorama letterario, che va dal romanzo gotico inglese settecentesco al romanticismo del primo Ottocento che, nei più svariati modi, mette in luce come la scaturigine della mostruosità sia la norma stessa. È una “letteratura satanica” che mette in crisi l‟idea che esista un soggetto sano e probo incapace di macchiarsi delle più atroci nefandezze, padrone delle proprie azioni e del proprio destino, e lo pone dinanzi agli «abissi sconosciuti del suo io, al rovescio opaco 277 D. Diderot, Il sogno d‘Alembert (1769), in Id., Dialoghi filosofici, a cura di M. Brini Savorelli, Le Lettere, Firenze 1990, p. 38. 278 Cfr. B. Lanati, Desiderio e lontananza. Un punto di vista contemporaneo sulla letteratura anglo-americana, Donzelli, Roma 2010, p. 148. 279 R. L. Stevenson, Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, Giunti, FirenzeMilano 2004, p. 115 (ed. or., The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde, Longmans, London 1886). 86 della sua ratio»280 e riportarlo alla consapevolezza del suo connaturato essere Doppio (Döppelganger)281: da quel momento «il mostro di Frankestein ha smesso di aggirarsi nelle brughiere per abitare nel tepore paludoso dell‟inconscio»282. Proprio contro lo “scandalo” della doppiezza, della mescolanza tra bene e male, della continuità tra normale e patologico, cercheranno strenuamente di lottare gli alienisti, prima Pinel, Esquirol, Georget e poi Lombroso e i suoi allievi. Nonostante gli sforzi di quest‟ultimi, i personaggi che popoleranno i tribunali ottocenteschi sembreranno ancora troppo pericolosamente prossimi ai “sani di mente”, evocando gli spettri di una normalità nebulosa ed inafferrabile. Del resto, «i mostri, come in fondo ogni atto di devianza, incarnano la caduta dei confini, sono l‟epifania di un‟ibridazione intollerabile»283, tanto da insinuare sempre più il dubbio che nel profondo del nostro animo si annidi, in maniera larvata ed equivoca, lo sfuggente fantasma di un mostro284. 6. Il caso Misdea e l‟aggiunta del fattore epilettico M. Galzigna, Gli infortuni della libertà, in É.-J. Georget, Il crimine e la colpa. Discussione medico legale sulla follia, Mimesis, Milano-Udine 20082, p. XXXVI (ed. or., Discussion médico-légale sur la folie ou aliénation mentale, suivie de l‘examen du procès criminel d‘Henriette Cornier, et de plusieurs autres procès dans lesquels cette malòadie a été alléguée comme moyen de défense, Chez Migheret, Paris 1826). 281 Su tale tema nella letteratura v. amplius, M. Bartolucci, Döppelganger. Le scissioni narrative dell‘io tra Otto e Novecento, Edizioni Nuova Cultura, Roma 1997; A. Altamira, Miti romantici. Simboli e inconscio dell‘era industriale, Vita e Pensiero, Milano 2005 e G.D. Bonino, Introduzione in AA.VV., Essere Due. Sei romanzi sul Doppio, Einaudi, Torino 2006. 282 F. Galluzzi, Costruire la bella o la bestia? La bellezza combinatoria tra Elena di Troia e Frankenstein, in U. Fadini, A. Negri, C.T. Wolfe (a cura di), Desiderio del mostro, cit., p. 226. 283 R. Beneduce, La necessità dell‘ombra. Note per un‘antropologia della devianza, in S. Montaldo - P. Tappero (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit., p. 66. 284 M. Galzigna, Gli infortuni della libertà, cit., p. XXXVII. 280 87 Ma la ricerca di Lombroso tesa a scoprire tutti gli elementi che contraddistinguono il criminale e lo differenziano dall‟uomo onesto, non si ferma neanche con l‟aggiunta della follia morale, arricchendosi sempre di nuovi dettagli e sfumature, poiché, come è stato affermato285, leggendo la monumentale opera lombrosiana si ha l‟impressione di sfogliare un unico grande libro che man mano si arricchisce di nuovi capitoli. Come solitamente accade, infatti, Lombroso nel suo percorso infaticabile trae spunto dalle cronache giudiziarie dell‟epoca e dai casi affidatigli. Un‟altra svolta nella sua riflessione verrà dal caso di Salvatore Misdea, soldato calabrese ventiduenne che il 13 marzo del 1884, giorno di Pasqua, nella caserma di Forte dell‟Ovo (Napoli), esplode ben 52 colpi di fucile, uccidendo sette commilitoni e ferendone altri tredici. Il caso del “soldato Misdea” desta ovviamente scalpore non solo per la violenza insita in esso ma perché originato da una disputa regionalistica: la scintilla è innescata da alcuni commenti di un soldato lombardo che osserva come in Calabria non ci siano altro che delle terre bruciate ed arse dal sole, affermazione che viene presa come una grave offesa da un altro militare calabrese, il quale replica come sia meglio vivere nelle terre desertiche che essere “mangia-polenta”. Da lì ne nasce un diverbio in cui Misdea si lascia coinvolgere, sentendosi anch‟egli risentito in quanto calabrese286. Ciò che può apparire una banale L. Mangoni, Eziologia di una nazione, in C. Lombroso, Delitto, genio, follia. Scritti scelti, cit., p. 685. 286 Sulla questione del regionalismo nonché sulle origini umili e l‟ambiente di Girifialco, paese di Misdea si rinvia al pamphlet romanzato di Edoardo Scarfoglio, fondatore de “Il Mattino” e marito di Matilde Serao, pubblicato prima a puntate sul quotidiano romano «La Riforma» nel 1884 e recentemente 285 88 disputa campanilistica viene avvertito come un grave segnale in un‟Italia da poco unificata e in cui il divario nord-sud è ancora un nodo irrisolto che rischia di incrinare lo spirito di coesione nazionale287. Anche per tale ragione quello di Misdea diviene ben presto un processo-spettacolo, cui accorrono folle di curiosi e giornalisti288 e che si concluderà, nel giro di poco più di due mesi dalla strage, con la condanna a morte per fucilazione dell‟imputato, dopo che si vedrà rigettate ben due richieste di grazia289. Lombroso, nominato dalla difesa componente del collegio peritale, insieme ad riedito a cura di Manola Fausti: E. Scarfoglio, Il romanzo di Misdea, Polistampa, Firenze 2003. 287 Ciò si evince chiaramente dalle cronache locali in cui si cerca tuttavia di sminuire il movente regionalistico: «il ministero della guerra ha chiesto ai comandanti di compagnia dei singoli reggimenti, informazioni intorno ai sentimenti della truppa. Esso si è preoccupato vivacemente che serpeggi uno sciagurato spirito regionale tra i soldati. L‟esercito è un fattore importante – il più importante tra tutti, forse – della nostra unità. Che dolorosa scoperta sarebbe la nostra se ci accorgessimo che nell‟esercito sono elementi di disgregamento e che il Calabrese nutre antipatia per il Toscano, il Napoletano; il Piemontese! Fortunatamente ciò non esiste punto. Se non fosse indiscreto, noi diremmo che le risposte dei comandanti di compagnia, sono concordi nell‟assicurare che la più completa armonia esiste tra i soldati. Il fatto stesso di Misdea, che ammazza anche i meridionali, prova chiaramente che non v‟è da preoccuparsi da questo lato». (Corriere del Mattino di Napoli, 19 Maggio 1884, rassegna contenuta in G. Patarini, Il processo Misdea, in Modelli, giudizi e pregiudizi: materiali per una storia di fine secolo, a cura del Dipartimento di Storia moderna e contemporanea Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Roma “La Sapienza” a.a. 1999/00). 288 Così viene descritto l‟ingresso in aula di Misdea: «si aspetta con impazienza, si appuntano gli occhi verso il basso della via, bianca di polvere e di sole. Ad un tratto, si ode un mormorio, poi una voce: “Eccolo, eccolo!” e si avanza un carro pesante del treno, tirato da quattro cavalli. Dal finestrino di avanti, fra le inferiate, si sporge il viso di Salvatore Misdea, viso giovane e ridente. Guarda alla folla, si compiace di essere fatto segno a quella morbosa curiosità, gode dello spettacolo di cui egli, l‟assassino, è il tristo eroe» (Corriere del Mattino di Napoli, 20 Maggio 1884, ivi, p. 6). 289 Per un‟attenta ricostruzione storico-giuridica di tale controverso istituto, si rinvia a M. Stronati, Il governo della ‗grazia‘. Giustizia sovrana e ordine giuridico nell‘esperienza italiana (1848-1913), Giuffré, Milano 2009, nonché, più recentemente, a K. Hurter, C. Nubola (a cura di), Grazia e giustizia. Figure della clemenza fra tardo medioevo ed età contemporanea, Il Mulino, Bologna 2011. 89 altri nomi illustri della psichiatria, pur considerando Misdea solo parzialmente responsabilità si esprime alla fine, come gli altri periti, a favore della sua condanna, ritenendolo troppo pericoloso per la società e del tutto irrecuperabile. Anche in questo caso, come accaduto durante il processo a Verzeni, Lombroso procede all‟analisi dettagliata del corpo di Misdea, riscontra notevoli anomalie290, specie nel cranio e nel volto, evidenzia la microcefalia, le asimmetrie, lo strabismo, le imperfezioni dei denti, rileva molte caratteristiche morali e psicologiche, fra cui spiccano l‟imbecillità morale, l‟apatia e l‟indifferenza dimostrata dopo il delitto, la mancanza di pentimento e la vanità, la tendenza (sia pur «filologica»291) al cannibalismo, tutte caratteriste del selvaggio, del folle morale e del delinquente nato. Ma ciò che Lombroso mette in evidenza in questo caso è un nuovo fattore che, come già avvenuto con Villella e Verzeni, lo porterà a riformulare e/o ad arricchire la tesi sul delinquente nato: l‟epilessia. Nel comportamento del giovane soldato calabrese Lombroso ritiene vi sia qualcosa che vada addirittura oltre il selvaggio: «qui i sintomi della pazzia morale sono esagerati dall‟epilessia»292. Come è solito fare, senza rinnegare le sue precedenti scoperte, Lombroso supera il rilievo 290 Foucault commentando il caso Misdea sostiene che esso sia esemplificativo di un metodo – quello lombrosiano e, più in generale, del potere psichiatrico da esso incarnato – in cui «l‟ereditarietà funziona come il corpo fantastico delle anomalie (corporali, psichiche, funzionali) relative al comportamento, che saranno all‟origine – a livello del meta-corpo, della metasomatizzazione – dell‟apparizione dello “stato”» (M. Foucault, Gli anormali, cit., p. 280). 291 Tale tendenza deriva, a detta di Lombroso, non tanto da atti di cannibalismo ma da frequenti espressioni di sfida utilizzate da Misdea quando accenna a voler “mangiare il fegato” del proprio avversario o “quando uno mi fa male me lo mangio!” (Cfr. C. Lombroso, L. Bianchi, Misdea e la nuova scuola penale, Bocca, Torino 1884, p. 47). 292 C. Lombroso, L. Bianchi, Misdea e la nuova scuola penale, cit., p. 47. 90 fattogli sull‟impossibilità di fondere insieme i delinquenti-nati con i folli morali visto lo scarso numero di questi ultimi e così „aggiunge‟ il fattore epilettico che svolge la funzione di scatenare e far „uscire allo scoperto‟ l‟atavismo e la follia morale rimaste per molto tempo latenti: «perché l‟atavismo si mostri in un organismo attuale, bisogna che esso sia determinato da una causa patologica» 293. Lombroso ci tiene difatti a precisare che l‟epilessia non elimina l‟atavismo nel delitto ma anzi lo rafforza e lo scatena, come una sorta di levatrice. «L‟epilessia – riassume efficacemente Bulferetti – appariva la spiegazione sia dell‟arresto di sviluppo riscontrabile nei delinquenti sia nella pazzia morale e del suo scatenarsi in forme accessuali»294. Del resto, lo stesso Lombroso pur ricordando in seguito che «dopo il processo Misdea mi balenò in mente il sospetto che la grande criminalità fosse una forma di equivalenza dell‟epilessia»295 appare ben consapevole che collegare la delinquenza con l‟epilessia potrebbe essere una tesi azzardata e soggetta ad una serie di critiche feroci, tanto da affermare, nella quarta edizione de L‘Uomo delinquente, in cui inserisce il fattore epilettico, che esso sia «il passo più ardito della nuova scuola»296. A partire da questo momento, Lombroso va alla ricerca continua di qualsiasi dato che possa confermare la sua „illuminante‟ intuizione precipitandosi «subito a frugare fra gli scheletri ed i cranî degli epilettici e trovai le stesse proporzioni nella fossetta occipitale mediana […] e così un‟ipotesi che pareva balzana riceveva il primo C. Lombroso, L‘uomo delinquente, (1896)5, vol. 1, cit., p. XXI. L. Bulferetti, Cesare Lombroso, cit., p. 295. 295 C. Lombroso, Il mio museo criminale, in «L‟illustrazione Italiana», XXXIII, 1° aprile 1906, n. 13, p. 302. 296 C. Lombroso, Prefazione alla quarta edizione, in Id., L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline carcerarie, 4a edizione, Bocca, Torino 1889, p. XXX. 293 294 91 battesimo anatomico»297. Una ulteriore conferma sarebbe poi derivata, a parere dello stesso Lombroso, dalle ricerche di un suo allievo, lo psichiatra Luigi Roncoroni, il quale analizzando al microscopio la corteccia cerebrale degli epilettici e dei criminali avrebbe trovato la loro struttura simile a quella di alcuni vertebrati inferiori come negli uccelli rapaci298. Nonostante queste ed altre „prove inconfutabili‟ il presentimento di Lombroso di poter suscitare, con tale tesi, forti reazioni si rivela più concreto che mai, poiché risulta ormai evidente che l‟originaria tesi del delinquente nato in quanto atavico vacilla sempre più. Lombroso come sempre reagisce energicamente contraddizioni e le a aporie tali attacchi, contestategli sostenendo non che derivino le che dall‟erronea convinzione di voler cercare «mistero e distinzione dove non ve n‟era alcuna»299. Anzi in questo modo, Lombroso ritiene in questo modo di riuscire a superare alcune tra le critiche più feroci quali quelle di Gabriel Tarde300 il quale già da tempo gli aveva tra l‟altro obiettato la contraddittorietà di una tesi che metteva vedeva nel delinquente contemporaneamente un folle morale e un selvaggio, visto che la pazzia non è certo una caratteristica dei primitivi essendo anzi in essi piuttosto rara301. C. Lombroso, Il mio museo criminale, cit., p. 302. Ivi, p. 303. 299 C. Lombroso, Prefazione alla terza edizione, in Id. L‘uomo delinquente (1884)3, cit., p. VIII. 300 È nota l'avversione di Tarde per le tesi lombrosiane, stante la diversità di approccio rispetto al medico veronese; per Tarde infatti il delinquente, lungi dall‟essere un selvaggio, è al contrario l‟uomo moderno prodotto dalla società. Sull‟opera del noto sociologo francese si rinvia a R. Bisi, Gabriel Tarde e la questione criminale, Franco Angeli, Milano 2001 e in particolare sui rilievi fatti da Tarde a Lombroso dopo la pubblicazione dell‟edizione francese de L‘uomo delinquente, si vedano ivi, pp. 59-70. 301 «La follia è frutto della civiltà, della quale segue i progressi fino ad un certo punto: la follia è quasi sconosciuta tra le classi analfabete e ancor più tra le popolazioni delle razze inferiori» (G. Tarde, Il tipo criminale. Una critica al 297 298 92 Tale critica si aggiungeva alle innumerevoli altre mossegli da giuristi e scienziati, soprattutto incentrate sulla mancata previsione di fenomeni delinquenziali scatenati in maniera del tutto incidentale o per fattori esterni ad esso, finendo con il ridurre il diritto penale a nient‟altro che un «capitolo della psichiatria» 302 o, peggio che lo scopo della scuola positiva fosse «quello di tutelare i birbanti, mascherandoli da pazzi, ed esponendo la società, indifesa, ai loro colpi»303. Tali critiche raggiungono l‟acme durante il II Congresso Internazionale di Antropologia Criminale, svoltosi a Parigi nel 1889, in cui i successi e i plausi incassati da Lombroso durante il glorioso Primo Congresso, svoltosi a Roma nel 1885, sembrano un lontano ricordo304. A Parigi, infatti le tesi di Lombroso vengono duramente criticate dalla maggior parte degli antropologi francesi305 che contestano non solo l‟impianto generale della costruzione del delinquente nato come atavico ma soprattutto la volontà di far coincidere la follia morale con l‟epilessia. L‟atavismo del delinquente nato, dopo essere stato corretto con «il morbo […] della cattiva conduzione morbosa»306 derivante dalla follia morale si aggiungeva anche l‟epilessia con il risultato di patologizzare ancora di più il delitto. Su tale punto Lombroso verrà ―delinquente-nato‖ di Cesare Lombroso, Ombre Corte, Verona 2010, pp. 57-58; ed. or., Le type criminel, in Id., La criminalité comparée, Alcan, Paris 1886, pp. 9-62). 302 C. Lombroso, Prefazione alla terza edizione, in Id. L‘uomo delinquente (1884)3, cit., p. XVI. 303 C. Lombroso, L. Bianchi, Al lettore, in Id., Misdea e la nuova scuola penale, cit., p. 6. 304 Cfr. Actes du Deuxième Congrès International d‘Anthropologie Criminelle. Biologie et sociologie (Paris, Août 1889), A. Storck-G.Masson, Lione-Parigi 1890, pp. XI-XIV. 305 Cfr. D. Frigessi, Cesare Lombroso, cit., pp. 214-222. 306 C. Lombroso, L‟uomo delinquente in rapporto all‟antropologia, giurisprudenza ed alle discipline carcerarie. Delinquente nato e pazzo morale, 3a ed. completamente rifatta, Bocca, Torino 1884, p. 587. 93 infatti contestato persino dal suo “maestro” Moleschott, il quale non manca di rilevare come sia eccessivo ed eccessivamente generalizzante collocare in cima ad una ipotetica “classifica” della devianza l‟epilettico. Ciò spinge pertanto Lombroso a correggere in parte la propria teoria enucleando una nuova categoria di soggetti, che si differenziano, seppur di poco dagli epilettici: gli epilettoidi. Lombroso ritiene infatti che possa esistere una forma di epilessia «con convulsioni assai rare, anche senza, anche con semplici vertigini, mali di capo alternati da brevi e fugaci perdite della memoria, della coscienza, come vedemmo accadere in Misdea quando mirava in faccia e non salutava gli amici; o di accessi di suicidio automatico, di ferimenti che hanno per carattere qualche volta l‟oscenità, più spesso la violenza, l‟istantaneità e finalmente il pervertimento psichico, che si può notare non solo in questi brevi accessi di cui accresce e colora la ferocia, ma anche in tutta la vita dell‟individuo»307. Si tratterebbe, precisa Lombroso, di «epilessie così dette simpatiche, che nascono per una esagerazione dei riflessi, come per esempio per la verminazione, e che allora sono passeggiere e quasi mai complicansi ad anomalie psichiche, ve ne hanno che invece nascono da gravi alterazioni cerebrali»308. L‟epilettoidismo ricorda allora l‟epilessia larvata (masked epilepsy) di cui parla Maudsley309 se non, addirittura, come è stato osservato, una forma di epilessia psichica che potrebbe essere letta C. Lombroso, L. Bianchi, Misdea e la nuova scuola penale, cit., p. 57. Ibidem. 309 «A second form of epileptic insanity in which homicide is sometimes done is really a masked epilepsy; a transitory mania occurring in lieu of the usual convulsions. Instead of the morbid action affecting the motor centres and issuing in a paroxysm of convulsions, it fixes upon the mind-centres and issues in a paroxysm of mania, which is, so-called transitory mania (mania transitoria) are really cases of this kind – cases of mental epilepsy» (H. Maudsley, Responsibility in mental disease, Appleton and Co., New York 1874, p. 230). 307 308 94 «in una direzione prefreudiana»310, nonostante le note divergenze tra l‟idea lombrosiana e quella freudiana di epilessia311. Nonostante le similitudini tra la posizione di Lombroso e quella di Mausdley (tant‟è che quest‟ultimo viene a pieno titolo considerato il suo più autorevole „precursore inglese‟)312, non si può dire tuttavia vi sia tra le due concezioni una totale coincidenza poiché l‟epilessia in Lombroso è qualcosa di piuttosto complesso che diventa un utile escamotage per mettere insieme categorie che sembravano lontanissime tra loro, poiché essa «fonde insieme gli uni [i pazzi morali] e gli altri [i criminali-nati] in una grande famiglia naturale»313, che è ben sintetizzata nel seguente schema che inserisce nella quarta edizione de L‘Uomo delinquente: M. David, La psicoanalisi nella cultura italiana, Bollati Boringhieri, Torino 1970, p. 19. 311 L‟errore in cui incorre Lombroso, a detta di Freud, sta nel fatto che egli, da un lato, confonde l‟epilessia con l‟isteria e, dall‟altro, considera l‟epilessia (Lombroso si riferisce ad alcuni personaggi illustri, come Napoleone e Giulio Cesare) una componente della creazione artistica e perfino del genio politicomilitare e non come una malattia collegata ad “una semplificazione delle prestazioni fisiche” (D. Frigessi, Cesare Lombroso, cit., pp. 187-188). 312 V. amplius, l‟attenta ricostruzione della recezione delle tesi lombrosiane nel Regno Unito effettuata da N. Davie, L‘Inghilterra, in S. Montaldo, P. Tappero, Cesare Lombroso cento anni dopo, cit., pp. 235-248, ed ivi, in particolare su Mausdley, pp. 236-238, nonché N. Davie, Les visages de la criminalité: à la recherche d'une théorie scientifique du criminel type en Angleterre (1860-1914), Editions Kimé, Paris 2004; N. Davie, Tracing the Criminal: The Rise of Scientific Criminology in Britain, 1860-1918, Bardwell Press, Oxford 2005. 313 C. Lombroso, L‘Uomo delinquente (1889)4, cit., II vol., p. 2, 310 95 EPILETTOIDI 1° GRADO - EPILESSIA LARVATA. 2° GRADO - EPILESSIA CRONICA. 3° GRADO - PAZZO MORALE. 4° GRADO - CRIMINALE NATO. 1° REI PER PASSIONE. 2° REI D’OCCASIONE. Schema che riproduce quello elaborato da Lombroso e rinvenibile in C. Lombroso, L‘Uomo delinquente, 4° ed. 1889, cit., p. 99 (in nota). 7. Giuseppe Musolino, „l‟ultimo brigante‟ A porre la questione dell‟imputabilità del delinquente epilettico di nuovo al centro del dibattito sovviene un altro episodio ancora più eclatante di quello di Misdea: il caso del celebre brigante calabrese, Giuseppe Musolino, detto anche U rre dill‘Asprumunti (Il Re dell‟Aspromonte). Si tratta di un umile spaccalegna che, coinvolto in una rissa nel suo paese nel 1897, poco più che ventenne, viene accusato forse ingiustamente314 di tentato omicidio. Arrestato e condannato a ventuno anni di reclusione Musolino si proclama sempre innocente. Dopo due anni però riesce 314 Solo nel 1933 Giuseppe Travia, compaesano di Musolino scappato in America subito dopo la rissa del 1897, confessa di essere stato il responsabile del tentato omicidio, per aver esploso un colpo di fucile diretto a Vincenzo Zoccoli, di cui Musolino era stato accusato. Tale circostanza ha non di poco contribuito ad accrescere il mito di Musolino ribelle innocente ingiustamente perseguitato dalla legge. Cfr. E. Magrì, Musolino. Il brigante dell‘Aspromonte, Camunia, Milano 1989, p. 262. 96 ad evadere di prigione (grazie, come affermerà in seguito, alle indicazioni “fornitegli” da S. Giuseppe, apparsogli in sogno) e inizia una rocambolesca latitanza, durata più di tre anni e durante la quale comincia ad uccidere i suoi „nemici‟ ovvero chi lo aveva accusato o tradito, compiendo in totale ben ventiquattro fra omicidi e tentati omicidi. Indetta una taglia di cinquemila lire, Musolino è inseguito da un numero spropositato di soldati e carabinieri, ma viene arrestato solo per un caso fortuito315 da due carabinieri nei pressi di Urbino. Dopo la condanna all‟ergastolo scontata nel carcere di Portolongone, sull‟Isola d‟Elba, gli è concessa la grazia per infermità mentale e viene trasferito nel manicomio di Reggio Calabria dove muore dieci anni dopo all‟età di ottanta anni316. La storia di Musolino317, come era prevedibile, affascina subito il popolo (meridionale e non) a tal punto che le sue gesta vengono mitizzate e immortalate, con l‟aggiunta di dettagli a dir poco 315 Sembra che Musolino avesse visto due carabinieri in lontananza e credendo fossero lì per catturarlo, inizia a correre richiamando la loro attenzione, ma la sua corsa viene interrotta da un fil di ferro spinato in una vigna tanto che divenne celebre la frase con cui venne commentata la sua cattura: "Chiddu chi non potti n'esercitu, potti nu filu" (Quello in cui ha fallito un esercito, c'è riuscito un filo). Su tale aneddoto cfr. per tutti, M. Casaburi, Borghesia mafiosa: la 'ndrangheta dalle origini ai giorni nostri, Dedalo, Bari 2010, p. 79. Secondo un‟altra ricostruzione Musolino viene arrestato nel momento in cui, inizia, con l‟avanzare dell‟età a perdere potere e credibilità e conseguentemente anche l‟appoggio delle cosche calabresi. In tal senso, M. Guarino, Poteri segreti e criminalità. L'intreccio inconfessabile tra 'ndrangheta, massoneria e apparati dello Stato, Dedalo, Bari 2004, p. 10. 316 Cfr. http://www.spiritoribelle.it/?p=1771. 317 Molti hanno cercato di ricostruire, in maniera più o meno veritiera, la storia del noto brigante calabrese, tra le ultime pubblicazioni si vedano, D. Altobelli, Indagini su un bandito. Il caso Musolino, Squilibri, Roma 2006 e R. Pietro, Giuseppe Musolino. Il giustiziere d‘Aspromonte, Laruffa, Reggio Calabria 2003. È disponibile anche una versione per ragazzi della storia di Musolino del 1932, la quale è stata recentemente riedita da G. De Nava, Musolino. Il bandito d‘Aspromonte, FPE-Franco Pancallo Editore, 2009. 97 leggendari, in numerosi canti folkloristici318, filastrocche e poesie319, film320 e quant‟altro potesse tramandare le sue imprese, reali o immaginarie. Celebrato quasi come un eroe del popolo, giustiziere e vendicatore dei soprusi dei forti sui deboli, la sua memoria è ancora così viva che, ancora oggi, vanta numerosi estimatori e seguaci in tutto il mondo321. Anche la stampa nazionale e straniera dell‟epoca – divisa tra chi lo difende, denunciando il degrado del sud e chi lo denigra, ritenendolo un volgare assassino - segue con vivo interesse le sue vicissitudini: la latitanza avventurosa, i tentativi di cattura, i processi, in una parola, l‟epopea definita Musolineide322. Non si vede allora come Lombroso, da sempre affascinato dal comportamento e dalla fisionomia dei briganti, potesse rimanere indifferente di fronte al caso di Musolino, “l‟ultimo dei briganti”323. Lombroso ne tratteggia il ritratto nel 1902 quando ormai era in una fase matura della sua ricerca, quindi è possibile rinvenire in tale saggio tutte le componenti utilizzate per “comporre” il 318 Uno dei più noti è “U rre d'asprumunti Peppi Musolinu‖ disponibile anche su You Tube al seguente indirizzo: http://www.youtube.com/watch?v=V_T0qqlFaUY. 319 Tra tutte spicca la lirica di Giovanni Pascoli, intitolata per l‟appunto, Musolino che, rimasta solo abbozzata, venne pubblicata postuma in S. Bottari, Un poemetto incompiuto di Giovanni Pascoli seguito dal frammento, in «Il Ponte», 1950, vol. VI, pp. 374-377. 320 L‟esempio più celebre è senza dubbio il film, vagamente ispirato alla sua storia, “Il brigante Musolino” del 1950 diretto da Mario Camerini ed interpretato da attori molto amati dal pubblico, quali Amedeo Nazzari, nei panni di Musolino e Silvana Mangano, in quelli della sua donna, riscuotendo un enorme successo di pubblico (Cfr. R. Chiti, R. Poppi (con la collaborazione di E. Lancia), Dizionario del cinema italiano. I Film vol. 2. Dal 1945 al 1959, Gremese, Roma 1991, p. 66). 321 È alquanto significativo, infatti, che oltre il gran numero di canti folkloristici presenti su You Tube, siano stati creati numerosi siti web inneggianti a Musolino come un eroe calabrese e persino diversi profili creati dai suoi „fans‟ sul social forum Facebook. 322 N. Misasi, Musolineide, in «Cronaca di Calabria», 15 maggio 1902. 323 C. Lombroso, L‘ultimo brigante: Giuseppe Musolino, in «Nuova Antologia», 1 febbraio 1902, n. 181, pp. 508-516. 98 delinquente nato. Musolino è considerato una sorta di ibrido tra «il criminaloide ed il criminale-nato»324, avendo le caratteristiche del primo perché non aveva fatto «il male per il male»325, com‟è tipico dei delinquenti nati. Allo stesso tempo, però, manifestava una ferocia non comune avendo cercato di colpire i suoi nemici, mediante una specie di “barbara giustizia” consistente nell‟uccisione di chi l‟aveva tradito e nel ferimento di chi considerava meno “traditore”. Ulteriori fattori porterebbero a considerarlo più un criminaloide che un delinquente nato: l‟affetto provato nei confronti della madre e della zia, la mancata coincidenza con il “tipo criminale” (malgrado la presenza di alcuni caratteri “degenerativi” e soprattutto l‟aver vissuto in «un paese dove l‟omicidio non è considerato così grave come gli altri paesi e la vendetta è creduta un dovere»326. Ciò che seduce Lombroso è inoltre la “straordinaria intelligenza” del brigante, in linea del resto con quella del suo popolo. Musolino presenta però anche numerosi tratti tipici del delinquente-nato, primo fra tutti l‟eredità «avendo criminali lo zio e tre cugini materni, nonno e zio paterni apoplettici»327, la “vanità morbosa” e la “megalomania” che caratterizzano la sua personalità psichica, ma soprattutto l‟epilessia di cui sembra affetto. Qui Lombroso ribadisce quanto già affermato in merito al caso Misdea ovvero che tale malattia sia «la base della criminalità-nata»328. Ciò si evince, a suo dire, non solo dagli attacchi epilettici occorsi ma dalla straordinaria agilità, in grado di fargli superare agevolmente i dirupi più scoscesi durante Ivi, p. 508. Ivi, p. 509. 326 Ivi, p. 508. 327 Ivi, p. 509. 328 Ibidem. 324 325 99 le fughe, ma anche dalla „doppiezza‟, cioè quell‟oscillare contraddittoriamente tra l‟essere «ora eccessivamente agitato e verboso, ora muto e istupidito come un idiota […] ora sospettoso, diffidente, ora fanciullescamente ingenuo»329. In ogni gesto di Musolino ciò che appare inequivocabile è appunto segno di «quella intermittenza e contraddizione degli istinti, che è speciale appunto agli epilettici»330. Di diverso avviso i periti nominati dall‟accusa, Enrico Morselli331 e Sante De Sanctis332, durante il processo Musolino svoltosi a partire dal 14 Aprile 1902, dopo la sua cattura, presso la Corte d‟Assise di Lucca. Il giudizio di Lombroso, espresso qualche mese prima sulle pagine della «Nuova Antologia», visto il prestigio di cui godeva all‟epoca, avrebbe potuto pesare sulla perizia. Ciò è forse quanto teme anche il pubblico ministero Pasquale Sansone, il quale, durante la requisitoria definisce «fiaba scientifica» la tesi che vorrebbe considerare folle Musolino e richiama l‟articolo scritto da Lombroso affermando come, malgrado quest‟ultimo dall‟alto della sua magistrale esperienza, consideri Musolino «epilettico, impulsivo, delinquente nato»333, né egli né nessun altro autorevole psichiatra abbiano ritenuto folle o degenerato abbia mai esaminato direttamente nel suo «campo somatico, psichico, affettivo Ivi, pp. 509-510. Ivi, p. 510. 331 Malgrado le divergenze esistenti su molti aspetti dell‟opera lombrosiana, Morselli amava definirsi, pur sempre, allievo del “grande Lombroso”. Sulla figura e sull‟opera di Morselli si rinvia a P. Guarnieri, Individualità difformi. La psichiatria antropologica di Enrico Morselli, Franco Angeli, Milano 1985. 332 Su De Sanctis cfr. G. Cimino, G.P. Lombardo, Sante De Sanctis tra psicologia generale e psicologia applicata, Franco Angeli, Milano 2004. 333 P. Sansone, Requisitoria nella causa contro il bandito Giuseppe Musolino e complici, Giuseppe Mele Tipografo-Editore, L‟Aquila 1904, p. 49. 329 330 100 morale»334. La stessa accusa viene fatta anche nei confronti dei due periti della difesa, i professori Bianchi Patrizi e Cristiani, per aver ritenuto erroneamente irresponsabile o semi-responsabile Musolino, in quanto «delinquente nato, pazzo morale, paranoico impulsivo»335. Malgrado quanto paventato dal P.M. Sansone, i due periti dell‟accusa, seppure entrambi vicini alla scuola lombrosiana, tanto da dedicargli il libro scritto in seguito su Musolino336, tralasciano le valutazioni sulla reità-nata dell‟imputato effettuate dall‟illustre maestro per concentrarsi esclusivamente sull‟incidenza del fattore epilettico, per concludere infine sulla capacità di intendere e di volere di Musolino. Morselli e De Sanctis sono chiamati a decidere sull‟imputabilità del brigante calabrese ovvero, come chiariscono loro stessi, se nel caso di specie possa «dimostrarsi un rapporto di necessità fra l‟anomalia o la malattia mentale diagnosticata, e l‟atto delittuoso»337. Nello specifico, occorre verificare se l‟epilessia diagnosticata dai periti avesse reso Musolino non imputabile. Nel fare ciò i periti partono dal presupposto che l‟essere epilettico non comporta automaticamente l‟impossibilità di rispondere dei propri Ibidem. Ivi, p. 50. 336 Questa la dedica: «Al Prof. Cesare Lombroso dell‟Università di Torino. Porre il Vostro nome in fronte a questo volume su di un famigerato delinquente, è, per parte nostra, rendere omaggio al fondatore dell‘antropologia criminale, all‘alienista di genio, che ha saputo dare all‘Italia il vanto di una nuova disciplina scientifica. […] Nel nostro studio su Giuseppe Musolino noi ci siamo trovati più volte davanti alle idee di cui Voi siete il creatore e l‘agitatore instancabile. […] Dedicarvi il libro è dunque soltanto un restituirvi quello che dello spirito Vostro noi vi abbiamo saputo mettere nella pochezza delle nostre forze, ma nella sincerità delle nostre convinzioni» (E. Morselli, S. De Sanctis, Dedica, in Id, Biografia di un bandito. Giuseppe Musolino di fronte alla psichiatria ed alla sociologia, Treves, Milano 1903). 337 E. Morselli, S. De Sanctis, Biografia di un bandito. Giuseppe Musolino di fronte alla psichiatria ed alla sociologia, cit., p. 330. 334 335 101 reati di fronte alla legge poiché non ogni atto abnorme contrario alle leggi sociali è necessariamente un «prodotto della nevrosi»338. Ciò che al di là di qualunque altra cosa Morselli e De Sanctis intendo precisare è che non si può dire da un punto di vista psichiatrico che gli epilettici siano “sani di mente” ma che anch‟essi possono «commettere azioni imputabili nel senso giuridico e sociale di questa parola»339. Rigettata pertanto la tesi secondo cui gli epilettici o gli epilettoidi, di per sé, non possano essere imputabili, i due periti concludono che Musolino, nonostante sia affetto da una forma di epilessia generata da un trauma cranico340 sia comunque imputabile, mancando del tutto, nel suo caso, tutti i comportamenti tipici dei rei-epilettici, tra cui l‟agire con estrema violenza durante il delitto, compiuto durante la scarica nervosa, per poi tornare del tutto calmi e indifferenti subito dopo, quasi inconsapevoli di quanto accaduto, dimostrandosi piuttosto stanchi, depressi o intontiti, tanto che non tentano di fuggire o discolparsi. La condotta del “brigante” calabrese non soddisfa nessuno di questi „indici‟: «Musolino, in vece, non agì mai senza una spinta dall‟esterno, fu sempre logico nelle sue vendette e nelle sue sanguinose difese: egli non colpì che i suoi veri nemici e quelli che erano, o gli si faceva credere, suoi delatori pericolosi»341. Per tali ragioni Musolino viene ritenuto «caratteristico, ma non pazzo, né degenerato-epilettico» e pertanto «commise i reati intelligentemente, e non emotivamente né impulsivamente: li commise, cioè, con quella piena coscienza e Ivi, p. 334. Ivi, p. 337-338. 340 Ivi, pp. 251-276. 341 Ivi, p. 353. 338 339 102 libertà che la Legge penale definisce ed esige in modo esplicito e chiaro»342. 342 Ivi, p. 361. 103 CAPITOLO III NEUROGIUSTIZIA 104 Un punto da chiarire è se la malattia determini il delitto o se il delitto stesso, per virtù propria, non sia sempre accompagnato da qualche fenomeno morboso. Fëdor Dostoevskij, Delitto e castigo (1866) 1. Epilessia e responsabilità Il profondo interesse di Lombroso per l‟epilessia specie, come abbiamo visto, nella fase più matura della sua ricerca, non dovrebbe stupire visto che l‟uomo fin dall‟antichità si è sempre interrogato sulle origini di questa misteriosa malattia che “sorprende” e “sovrasta” chi ne soffre con le sue improvvise convulsioni, come suggerisce l‟origine etimologica del termine epilessia che deriva appunto dal verbo greco επιλαμβάνω che, al passivo (ἐπιλαμβάνομαι), significa “essere colto di sorpresa” o anche “essere invaso”343. A nulla è valso il tentativo del padre della medicina, Ippocrate che già intorno a 400 a.C., ha cercato di sfatare il mito della sua origine ultraterrena di quella che veniva definito il morbo sacro344 tentando di “laicizzarlo” e spiegarlo, secondo la teoria degli umori, come il risultato di un eccesso di flegma345. Tale malattia interpretata come segno divino, del demonio o di spiriti V. amplius, S. Warren, Passages from the Diary of a Late Physician, Baudry‟s European Library, Paris 1835, p. 219. 344 Cfr. M.J. Eadie, P.F. Bladin, A Disease Once Sacred. A History of the Medical understanding of Epilepsy, John Libbey & Co., Eastleigh 2001, pp. 2122. 345 Cfr. D.F. Scott, La storia della terapia dell‘epilessia, Momento Medico, Salerno 1994, p. 27 (ed. or., The History of Epileptic Therapy. An account of how medication was developed, Parthenon Publishing Group, Lancaster 1993) e S.D. Haynes, T.B. Bennett, Historical Perspective and Overview, in T.B. Bennett (a cura di), The Neuropsychology of Epilepsy, Plenum Press, New York 1992, pp.46. 343 105 malvagi346 a seconda delle diverse culture ed epoche storiche347 ha dato luogo nel corso dei secoli a tanti pregiudizi e leggende che si sono tramandati fino all‟Ottocento (in particolare dal 1820 al 1870) quando non essendo ancora ben chiari i confini tra isteria e epilessia, esse venivano definite «malattie dello spirito»348. Ma se la storia dell‟epilessia è lunga e travagliata perché tanto clamore dopo l‟aggiunta del „fattore epilettico‟ alla già composita tesi lombrosiana del delinquente nato? A ben vedere, l‟elemento di novità introdotto da Lombroso e dagli altri psichiatri suoi contemporanei come Mausdley, è quella di far uscire gli epilettici dall‟ambito strettamente clinico-medico per porli all‟attenzione dei giuristi. Per la prima volta infatti, l‟epilessia, dopo essere stata considerata per secoli, sacra e dannata, viene collegata indissolubilmente al delitto. Nonostante le numerose critiche innescate dalla messa in campo del fattore epilettico da parte di Lombroso nella classificazione del delinquente nato, da quel momento in poi il rapporto tra epilessia e delitto, diviene centrale nel dibattito tra psichiatri e giuristi e, al di là della peculiare categoria di “epilettoide”, il dilemma che si pone è se sia possibile ritenere penalmente responsabile il „reo-epilettico‟. Lungi dal rimanere confinato nelle “stranezze” giudiziarie ottocentesche, questo dilemma è tuttora ancora valido come si evince dal fatto che malgrado le cause dell‟epilessia siano oggi ben più chiare349 e Cfr. O. Temkin, The Falling Sickness: A History of Epilepsy from the Greeks to the Beginnings of Modern Neurology, The Johns Hopkins University Press, Baltimore and London 19942, p. 3. 347 L. Sterpellone, Epilessia, una storia. Dal morbo sacro alle molecole, Nis, Roma 1996. 348 M. Foucault, Il potere psichiatrico, cit., p. 262. 349 Alla fine dell‟Ottocento si riteneva che l‟epilessia fosse provocata «da irritazione del midollo spinale, o, dopo gli studi di Albertoni, Luigi Luciani, 346 106 scevre da ridicoli pregiudizi che caratterizzavano le conoscenze mediche della fin de siécle, ancora oggi, la giurisprudenza350 e dottrina appaiono divise sulla questione dell‟imputabilità. Al di là dei diversi orientamenti, risulta tuttavia ormai assodata la tesi dell‟impossibilità di ritenere imputabile chi abbia commesso un delitto durante il raptus epilettico mentre si deve ritenere che la sua capacità di intendere e di volere sia grandemente scemata nel periodo che immediatamente precede e segue il vero e proprio attacco epilettico (c.d. aura epilettica). Invece per quanto riguarda gli atti commessi nei periodi extra-accessuali o intervallari, si è di solito ritenuta sussistere l‟imputabilità, poiché l‟epilessia, secondo le attuali conoscenze della psichiatria, non consiste in un male patologico che comporta in chi ne soffre, uno stato di incoscienza o deficienza permanente351. Non sono mancate sentenze che hanno messo in evidenza come il principio dell‟irrilevanza dell‟epilessia, ai fini del giudizio sull‟imputabilità, al di fuori della fase accessuale cioè la fase degli attacchi convulsivi e a quelle ad essa contigua, non può essere dato per scontato, dovendosi, al contrario, vagliare se la sindrome epilettica con il passare del tempo non abbia già danneggiato la personalità psichica di chi ne è affetto, con la conseguente menomazione anche delle sue capacità elettive ed intellettive, valutabili mediante approfonditi accertamenti Rosembach, dalle zone motorie della corteccia cerebrale» (L. Bulferetti, Cesare Lombroso, cit., p. 295). 350 V. amplius, G. Lattanzi, E. Lupo, Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, libro I, vol. IV, Giuffré, Milano 2010, pp. 38-39. 351 Cfr. per tutte, in tal senso, Cass. Sez. I, 26 giugno 1992, Manganaro, in «Rivista Penale», 1993, p. 1160 e Cass. Sez. VI, 19 gennaio 1993, Pollini, ivi, p. 1254. 107 psichiatrici352. Secondo un altro orientamento minoritario, invece, la capacità dell‟epilettico deve ritenersi non solo sempre esclusa durante gli attacchi ma deve essere tout court intesa come diminuita nei periodi intervallari353. 2. Cervelli in tribunale: nuove tecniche per vecchi problemi Ben più problematica è la decisione sull‟imputabilità laddove si è di fronte a non a chi soffre di una condizione neurologica cronica come l‟epilessia, che nei casi più gravi più essere gravemente invalidante, ma laddove sia necessario vagliare la responsabilità di soggetti apparentemente “sani” ma che, in base a nuove, sofisticate tecniche possono essere condannati o assolti grazie ai propri neuroni o ai propri geni. Ciò che può sembrare, a prima vista, una visione fantascientifica o fantagiuridica che dir si voglia oggi è sempre più reale. Se nei paesi anglosassoni, Stati Uniti in testa, da decenni ormai le tecniche di neuroimmagine (risonanza magnetica funzionale, tomografia a emissioni di positroni, etc.) e i test genetici, fungono sempre più di frequente da ausilio nel giudizio sulla responsabilità penale, adesso anche nelle aule di giustizia del nostro Paese sembrano far breccia, sia pur in maniera ancora sotterranea. I neuroscienziati stanno cercando di risolvere, con metodi apparentemente certi ed infallibili, dilemmi che da sempre 352 Cfr. Cass. Sez. I, 2 marzo 1992, De Santis, in «Cassazione Penale», 1993, p. 1431; Cass. Sez. VI, 21 marzo 1984, Di Rocco, in «Giustizia Penale», 1985, vol. II, p. 30; Cass. Sez. II, 24 febbraio 1984, Salinas, in «Rivista Penale», 1985, p. 595; Cass. Sez. I, 25 gennaio 1978, Buttice, in «Cassazione Penale», 1979, p. 557. 353 Cass. Sez. I, 24 ottobre 1984, Scarpiello, in «Giustizia Penale», 1985, vol. II, p. 345. 108 hanno attanagliato giuristi e filosofi, quali quelli che ruotano attorni a concetti quali libero arbitrio, responsabilità morale e giuridica, imputabilità. Così nelle aule dei tribunali sembra che ci siano ormai «meno toghe, più camici bianchi»354: se prima le nuove tecnologie venivano usate per lo più nella fase antecedente a quella processuale, ovvero quella investigativa, ormai la possibilità di “leggere nel cervello” degli imputati, sembra una nuova, inquietante realtà. È possibile, infatti, grazie all‟ausilio di tali tecniche, visualizzare quali regioni del cervello si attivano in risposta a determinati stimoli: la tomografia a emissione di positroni (PET) misura l'attivazione delle zone del cervello attraverso l'intensità del loro metabolismo mediante l‟analisi del consumo di glucosio, mentre la risonanza magnetica funzionale (fMRI) capace di esaminare i flussi sanguigni, serve per capire che tipo di attività cerebrale è in corso355 o, ancora, strumenti di lie detection356, versioni più sofisticate delle celeberrime macchine della verità357. A queste si aggiunge il Brain Fingerprinting, una 354 E. Dusi, Batteri e risonanza magnetica la scienza aiuterà i processi, in «La Repubblica», 18.03.2010. 355 I neuroni per potersi scambiare delle informazioni trasmettono scariche elettriche attraverso connessioni sinaitiche. Per fare ciò necessitano di energia che a livello cerebrale è prodotta bruciando glucosio con ossigeno. A tal riguardo, v. amplius, N. Levy, Neuroetica. Le basi neurologiche del senso morale, Apogeo, Milano 2009, pp. 139-150 (ed. or. Neuroethics. Challenges for the 21st Century, Cambridge University Press, New York 2007) e L. de Cataldo Neuburger, Neuroscienze e diritto penale. La scienza come, quando e perché, in A. Santosuosso (a cura di), Le neuroscienze e il diritto, Ibis, Como-Pavia 2009, p. 146. 356 Sulle tecniche utilizzate dai neuroscienziati per “identificare le menzogne” degli imputati, si rinvia a G. Sartori, S. Agosta, Menzogna, cervello e lie detection, in A. Bianchi, G. Gulotta, G. Sartori (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, cit., pp. 163-192 e L. Sammicheli, A. Forza, L. De Cataldo, Libertà morale e ricerca processuale della verità: metodiche neuroscientifiche, in Ivi, pp. 231-257. 357 Emblematico in tal senso è un recente caso giudiziario in India: grazie ad un elettroencefalogramma, Aditi Sharma, una ragazza di 24 anni accusata di 109 tecnica molto controversa che dovrebbe servire a recuperare le tracce della memoria delle proprie esperienze. Elaborata negli anni Ottanta del Novecento da Lawrence Farwell neuroscienziato dell‟Università di Harvard, essa consiste in un dispositivo capace di sondare la memoria umana, alla ricerca delle “impronte cerebrali” rivelatrici di ricordi di eventi vissuti in passato: attraverso elettrodi posti sul cranio della persona da analizzare, vengono rilevate delle onde cerebrali dette p300 mentre un macchinario misura l‟attività elettrica del cervello sottoposto a stimoli esterni. Le neurotecnologie in ambito forense sono state utilizzate negli Stati Uniti già dall‟inizio degli anni Novanta dello scorso secolo, quando l‟attenzione sulle dinamiche cerebrali comincia ad avere un ruolo di primo piano con le pionieristiche sentenze, a partire dai celeberrimi casi Weinstein358 e Hinckley fino al recentissimo caso di aver ucciso il proprio fidanzato avvelenandolo con dell‟arsenico è stata condannata, poiché secondo le risultanze dell‟esame cui è stata sottoposta elaborate da uno specifico software denominato Brain Electrical Oscillations Signature (BEOS), la scena dell‟omicidio era “contenuta nella memoria” del proprio cervello, non come mero racconto ma come esperienza realmente vissuta. A tal riguardo v. A. Saini, The brain police: judging murder with an MRI, in «Wired Magazine - U.K.», 27.05.2009. 358 Nonostante il giudice abbia consentito alla difesa l‟uso della tecnica del brain imaging, non si è mai spinto fino al punto di affermare la connessione di tale menomazione con una propensione alla violenza, poiché uno dei testi dell‟accusa, lo psicologo forense Daniel Martell, dichiara che le tecnologie di scansione del cervello sono troppo nuove e le loro risultanze ancora non del tutto accettate dalla comunità scientifica. Così l‟8 ottobre 1992, il giudice Richard Carruthers emette una sentenza salomonica: ammette la presenza di una cisti aracnoidea nel cervello di Weinstein ma non afferma che a quest‟ultima si associa necessariamente un comportamento violento. L‟accusa, nel timore che l‟esibizione in aula delle immagini del cervello di Weinstein, potesse far vacillare la giuria popolare e decidere per un‟assoluzione, patteggia con l‟imputato una pena ridotta per omicidio colposo. Cfr. J. Rosen, The Brain on the Stand, in «The New York Times», 11.03.2007. La decisione è invece la Roper, Superintendent, Potosi Correctional Center v. Simmons, 543 U.S. --- - 03-633 (2005), consultabile on line su http://supreme.justia.com/us/543/03633/case.html. 110 Brian Dugan, accusato di aver violentato e barbaramente ucciso fra il 1983 e il 1985 una ragazza ventisettenne e due bambine di dieci e sette anni. Nel tentativo di evitare la pena di morte359, la difesa cerca di utilizzare i dati derivanti dalla fMRI effettuata su Dugan come “circostanza attenuante”, dimostrando come il cervello dell'imputato, in quanto psicopatico, differisce da quello delle persone 'normali‟. A supporto della difesa viene sentito Kent Kiehl360, controverso neuroscienziato dell'Università del New Messico e definito da alcuni “il nuovo Lombroso”361 che sulla base di anomalie riscontrate con la fMRI nei cervelli dei detenuti teorizza proprio tale diversità362. Il rischio che si cela dietro tale scottante caso è che l‟utilizzo delle tecniche dei neuro scienziati nel mondo forense crei, nei non addetti ai lavori, l‟effetto CSI363, nota serie televisiva statunitense che ruota attorno alle indagini svolte da una squadra speciale anticrimine della Polizia di Las Vegas, in cui vengono utilizzate in ambito investigativo e giudiziario prove altamente tecnologiche e, come tali, inconfutabili. Dugan è stato nel „braccio della morte‟ fino al marzo del 2011, quando il governatore dell‟Illinois, Patrick ha abolito la pena di morte e la sua condanna è stata convertita, non senza polemiche, all‟ergastolo. 360 Cfr. J. Seabrook, Suffering souls. The search for the roots of psychopathy, in «The New Yorker», 10.11.2008, pp. 64-73. 361 F. Porciani, Entra in aula la mente del serial killer. La risonanza magnetica come prova, in «Corriere della Sera», 28.03.2010, p. 56. 362 Secondo Kiehl nel cervello degli psicopatici, allo stesso modo dei serial killer, manca la connessione fra il sistema limbico (sede delle emozioni) e la corteccia prefrontale (che controlla le pulsioni incluse quelle aggressive). La sua ricerca che va avanti da più di sedici anni è così frenetica e maniacale da suggerirgli di utilizzare uno scanner mobile posto all‟interno di un camper parcheggiato nel cortile di un carcere di massima sicurezza del New Messico. Cfr. G. Miller, Investigating the Psychopathic Mind, in «Science», vol. 321, n. 325, 05.09.2008, pp. 1284-1286. 363 Cfr. il lungo dossier dedicato al rapporto tra neuroscienze e mondo forense, Specials Nature News - Science in Court, in «Nature», vol. 464, n. 325, 18.03.2010, consultabile on line su http://www.nature.com/scienceincourt. 359 111 3. Alla ricerca del gene del male: il caso Bayout Lungi dal rimanere un fenomeno tipico delle corti nordamericane, l‟influsso delle neurotecnologie comincia a far capolino anche nel nostro Paese. Storica, scandalosa, basata su un paradosso scientifico, rivoluzionaria e persino “lombrosiana”364 così è stata definita la prima decisione emessa in Italia (e forse anche in Europa) in cui hanno svolto un ruolo preponderante neuroscienziati e genetisti. Si tratta della sentenza emessa a fine 2009 dalla Corte di Assise di Appello di Trieste365, che ha concesso uno sconto di pena ad un soggetto, già condannato in primo grado per omicidio, avendo commesso il reato in una situazione di seminfermità di mente poiché predisposto geneticamente all‟aggressività. La vicenda che ha suscitato notevole scalpore in tutto il mondo, prestandosi spesso a fraintendimenti e superficiali giudizi, per la sua presunta scoperta del gene del male o della violenza, merita di essere approfondita per comprendere quale sia la sua reale portata. Il caso riguarda un quarantenne algerino, Abdelmalek Bayout, da anni residente in Italia e coinvolto in una rissa con alcuni sudamericani nel 2007 ad Udine. Pare che la lite sia scoppiata perché uno dei giovani ha iniziato a schernire il Bayout, che era solito truccarsi gli occhi con il kajal per motivi religiosi, tacciandolo di omosessualità ed insultandolo Cfr. C. Barbieri, È tornato Lombroso? Alcune osservazioni sulla sentenza della Corte d‘Assise d‘Appello di Trieste del 1° ottobre 2009, in M.G. Ruberto, C. Barbieri (a cura di), Il futuro tra noi. Aspetti etici, giuridici e medico-legali della neuroetica, Franco Angeli, Milano 2011, pp. 127-137. 365 Corte di Assise di Appello penale di Trieste, 01 ottobre 2009, pres. ed est. Reinotti, in «Rivista penale», 2010, 1, pp. 70-75. La sentenza è tra l‟altro rinvenibile anche in M.G. Ruberto, C. Barbieri (a cura di), Il futuro tra noi. Aspetti etici, giuridici e medico-legali della neuroetica, cit., pp. 115-126. 364 112 pubblicamente. Per vendicarsi delle percosse e degli insulti subiti durante tale rissa l‟algerino, dopo poche ore, decide di acquistare un coltello e pugnalare a morte uno dei soggetti coinvolti nella rissa, il colombiano trentaduenne Walter Felipe Novoa Perez. Nel giudizio di primo grado, Bayout, sottoposto a perizia psichiatrica, è ritenuto «affetto da un‟importante patologia psichiatrica di stampo psicotico ed, in particolare, un disturbo psicotico di tipo delirante in soggetto con disturbo della personalità con tratti impulsivi-asociali e con capacità cognitiva-intellettive ai limiti inferiori della norma»366. Viene condannato a ventidue anni e sei mesi di reclusione che, ritenute le attenuanti generiche, la continuazione e il rito prescelto, si traducono nella pena di nove anni e due mesi di reclusione. La difesa di Bayout lamentando una serie di vizi procedurali e sostanziali ricorre in appello chiedendo l‟assoluzione per difetto di imputabilità o, quanto meno, una riduzione della pena. Nel giudizio di secondo grado, pertanto, la Corte dispone nuove perizie, il cui esito è la ridotta capacità di intendere e di volere per il “serio quadro psichiatrico” dell‟imputato367; è il caso di precisare infatti che Bayout già qualche anno prima l‟omicidio era stato sottoposto a delle cure da parte del Centro di Salute Mentale di Udine a base di farmaci neurolettici. La decisione della Corte triestina va dunque inserita in tale complesso quadro. Di fronte alla difficoltà di decidere in merito alla capacità di intendere e di volere di Bayout, il collegio giudicante Corte di Assise di Appello penale di Trieste, 01 ottobre 2009, cit. p. 72. Bayout era stato ritenuto un soggetto con personalità di tipo dipendentenegativistico con importante disturbo ansioso-depressivo accompagnato da pensieri deliranti ed alterazione del pensiero associata da disturbi cognitivi di interpretare correttamente la situazione nella quale si trovava, malgrado non risultasse un deficit talmente grave da abolire del tutto la capacità di intendere e di volere. 366 367 113 dispone delle perizie al fine di sottoporre l‟imputato ad una serie di complessi test sulla base delle ultime conquiste delle neuroscienze e della genetica, nel tentativo di trovare «polimorfismi genetici significativi per modulare le reazioni a variabili ambientali fra i quali in particolare per quello che interessa nel caso di specie l‟esposizione ad eventi stressanti ed a reagire agli stessi comportamenti di tipo impulsivo»368. Nominati periti, il biologo molecolare Pietro Pietrini e il neuroscienziato cognitivo Giuseppe Sartori, sottopongono neuropsicologici369, l‟imputato tra cui ad il una test batteria di di test Distinzione Morale/Convenzionale370, il test delle Situazioni Sociali371, il test di Attribuzione delle Emozioni372, da cui sarebbe emerso, tra l‟altro, la difficoltà dell‟imputato nel riconoscere correttamente violazioni e comportamenti adeguati e l‟incapacità di comprendere il contenuto astratto di situazioni simulate. Allo scopo di verificare la capacità dell‟imputato di riuscire a bloccare il suo “impulso irresistibile” nel compiere una determinata azione gli viene somministrato anche un test molto diffuso nei paesi anglosassoni nella valutazione della Corte di Assise di Appello penale di Trieste, 01 ottobre 2009, cit., p. 74. Cfr. S. Codognotto, G. Sartori, Neuroscienze in tribunale: la sentenza di Trieste, in F. Caruana (a cura di), Scienze cognitive e diritto, cit., pp. 273-275. 370 Adattamento di un test elaborato nel 1995 avente lo scopo di valutare la conoscenza delle regole morali e di quelle sociali. Cfr. R.J.R. Blair, A cognitive developmental approach to mortality: investigating the psychopath, in «Cognition», 1995, Ottobre vol. 57, pp. 1-29. 371 Questa prova è un adattamento italiano di un test elaborato da Dewey e serve a misurare la percezione delle emozioni altrui chiedendo al soggetto di immaginarsi come testimone di diverse scene. V. amplius, M. Prior, G. Sartori, S. Marchi, Cognizione sociale e comportamento: uno strumento per la misurazione, Domeneghini, Padova 2003 e M. Dewey, Living with Asperger‘s syndrome, in U. Frith (a cura di), Autism and Asperger‘s syndrome, Cambridge University Press, Cambridge 1991, pp. 184-206. 372 Adattamento di un test ideato da Blair mirante a misurare la capacità di attribuire stati emotivi ad altre persone ed immedesimarsi in esse. Cfr. R.J.R. Blair, A cognitive developmental approach to mortality, cit., pp. 1-29. 368 369 114 capacità volere dei soggetti che hanno commesso un crimine. Si tratta del test del poliziotto con la pistola a fianco373 che dovrebbe servire a verificare se l‟azione sarebbe stata portata a termine anche in presenza di un poliziotto armato; ciò significa che in caso di risposta affermativa – secondo gli ideatori del test - neanche il forte disincentivo della presenza delle forze dell‟ordine sarebbe riuscito a bloccare l‟azione del reo, derivante da un vero e proprio “impulso irrefrenabile”. Fermo restando gli ovvi dubbi su tale tecnica, che prevede una sorta di ricostruzione ex post e fittizia dei pensieri e delle azioni meramente eventuali dell‟imputato in un contesto del tutto diverso e a mente fredda, nel caso di specie Bayout afferma che non avrebbe ucciso se ci fosse stato un poliziotto vicino374. Oltre alla somministrazione dei test i periti analizzano l‟attività cerebrale dell‟imputato mediante la risonanza magnetica funzionale dell‟encefalo (fMRI), specie durante lo svolgimento dello Stop Signal375 e del test di Stroop376, mediante la quale sarebbe 373 Si tratta del Policeman at the elbow test ed è una variante delle M'Naghten rules utilizzate negli Stati Uniti nel caso di insanity defense. Cfr. I.K. Parker, Evaluation of Criminal Responsibility, Oxford University Press, New York 2009, pp.112-113 nonché, nella letteratura italiana, G. Sartori, D. Rigoni. L. Sammicheli, L‘orologio di Libet e la responsabilità penale, in G. Gulotta, A. Curci (a cura di), Mente, società e diritto, Giuffrè, Milano 2010, pp. 277-278. 374 Alcuni stralci della perizia di Sartori e Pietrini relativa al caso Bayout, sono riportati in S. Codognotto, G. Sartori, Neuroscienze in tribunale: la sentenza di Trieste, in F. Caruana (a cura di), Scienze cognitive e diritto, cit., pp. 272-273. 375 Serve a valutare la capacità di inibizione avvalendosi di compiti tipo “stop-signal‖ e compiti “go-no go‖. Cfr. G.D. Logan, W.B. Cowan, K.A. Davis, On the ability to inhibit simple and choice reaction time responses: a model and a method, in «Journal of Experimental Psychology: Human Perception and Performance», 1984, vol. 10, no. 2, pp. 276-291. 376 Si rinvia all‟ormai classico testo di storia della psicologia di J.D. Stroop, Studies of interference in serial verbal reactions, in «Journal of Experimental Psychology», vol. 18, pp. 643-662. 115 stato possibile «considerati i sintomi psicotici […] confermare quanto noto in letteratura per i pazienti di questo tipo di patologia psichiatrica»377 emergendo, nello specifico, «una alterazione funzionale frontale rispetto ad un gruppo di soggetti sani di controllo e sarebbe stato interessante fare anche una VBM e potenziali evocati»378. Ma l‟esame che sembra dare risultati più rilevanti secondo i periti è quello genetico nel corso sono state riscontrate alcune anomalie in cinque dei geni legati al comportamento violento, compreso un polimorfismo del gene dell‟enzima monoamino ossidasi A (MAO-A)379 – detto anche gene 377 Cfr. S. Codognotto, G. Sartori, Neuroscienze in tribunale: la sentenza di Trieste, in F. Caruana (a cura di), Scienze cognitive e diritto, cit., p. 275. 378 Cfr. quanto affermato da G. Sartori nell‟intervista rilasciata a M. Mozzoni, Neuroscienze forensi: la sentenza di Trieste, in «BrainFactor», 02.11.2009, http://brainfactor.it/index.php?option=com_content&view=article&id=275:neuro scienze-forensi-la-sentenza-di-trieste-brainfactor-intervista-giuseppesartori&catid=22:le-interviste-di-brainfactor&Itemid=13. 379 La letteratura scientifica, in materia è molto vasta. Nei paesi anglosassoni, infatti da circa venti anni si stanno studiando i rapporti tra tale gene e il comportamento aggressivo e deviante, nonché le sue implicazioni etiche e giuridiche. Su tali aspetti si rinvia almeno al Report Genetics and Human Behaviour: the Ethical Context elaborato e pubblicato nell‟ottobre del 2002 dal Nuffield Council on Bioethics, pp. 161-171. Si vedano, altresì, i seguenti contributi: D.P. Lyle, Dangerous DNA: The Warrior Gene, in http://writersforensicsblog.wordpress.com/2010/06/15/dangerous-dna-thewarrior-gene del 15.06.2010; E. Young, The MAOA guide to misusing genetics, in http://blogs.discovermagazine.com/notrocketscience/2010/04/08/the-maoaguide-to-misusing-genetics, 08.04.2010; E. Young, Dangerous DNA: The truth about the 'warrior gene', in «The New Scientist», n. 2744 del 07.04.2010; R. McDermott, D. Tingley, J. Cowden, G. Frazzetto, D. D. P. Johnson, Monoamine oxidase A gene (MAOA) predicts behavioral aggression following provocation, in «Proceedings of the National Academy of Sciences», 23.01.2009; T.Z. Ramsøy, MAOA and the risk for impulsivity and violence, in http://brainethics.wordpress.com/2006/07/11/maoa-and-the-risk-for-impulsivityand-violence, 11.07.2006; E. Viding, U. Frith, Genes for susceptibility to violence lurk in the brain, in «Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America», vol. 103, n. 16, 18.04.2006, pp. 6085-6086; H. Phillips, A brain primed for violence?, in «The New Scientist» n. 2544, 25.03.2006; G. Guo, X. M. Ou, M. Roettger, J. C. Shih, The VNTR 2 repeat in MAOA and delinquent behavior in adolescence and young adulthood: associations and MAOA promoter activity, in «European Journal of Human 116 guerriero - coinvolto (neurotrasmettitori nel metabolismo deputati alla delle catecolamine modulazione del tono dell‟umore)380. L‟essere portatore dell‟allele a bassa attività per il gene MAOA (MAOA-L) renderebbe Bayout «maggiormente incline a manifestare aggressività se provocato o escluso socialmente» ovvero affetto da una sorta di «vulnerabilità genetica» 381. L‟organo giudicante, facendo proprie le risultanze delle perizie, sostiene che la presenza nel patrimonio cromosomico dell‟imputato di determinati geni lo rende «particolarmente reattivo in termini di aggressività – e conseguentemente vulnerabile – in presenza di situazioni di stress»382. Oltre alla «vulnerabilità genetica» la Corte ritiene che «lo straniamento dovuto all‟essersi trovato alla necessità di coniugare il rispetto della propria fede islamica integralista con il modello comportamentale occidentale»383 avrebbe costituito in Bayout un ulteriore elemento di limitazione della capacità di intendere e di volere. Genetics», 23.01.2008; E. Young, Criminality linked to early abuse and genes, in «Science» vol. 297, pp. 851 e ss., 01.08.2002; A. Caspi et al., Role of Genotype in the Cycle of Violence in Maltreated Children, in «Science», 2002, August, vol. 297, n. 5582, pp. 851-854; J. Sabo, Violence and The Brain, in http://serendip.brynmawr.edu/bb/neuro/neuro98/202s98-paper2/Sabo2.html; O. Cases et al., Aggressive behavior and altered amounts of brain serotonin and norepinephrine in mice lacking MAOA, in «Science», vol. 268 del 23.06.1995; H. G. Brunner et al., Abnormal behavior associated with a point mutation in the structural gene for monoamine oxidase A, in «Science», vol. 262, n. 5133, 22.10.1993. 380 Cfr. S. Pellegrini, Il ruolo dei fattori genetici nella modulazione del comportamento: le nuove acquisizioni della biologia molecolare genetica, in A. Bianchi, G. Gulotta, G. Sartori (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, cit., pp. 79-87 e P. Pietrini, Responsabilmente: dai processi cerebrali al processo penale. Prospettive e limiti dell‘approccio neuroscientifico, in L. de Cataldo Neuburger (a cura di), La prova scientifica nel processo penale, Cedam, Milano 2007, p. 330. 381 Corte di Assise di Appello penale di Trieste, 01 ottobre 2009, cit., p. 74. 382 Ibidem. 383 Ivi, p.73. 117 Inevitabilmente tale decisione scatena un dibattito384, a dir poco, acceso. Nei quotidiani di tutto il mondo la decisione sul caso Bayout viene indicata come l‟avveniristica possibilità di essere condannati o assolti grazie alla “lettura” del proprio corredo genetico o alla scansione del proprio cervello. In particolare, tutte le testate sia nazionali385 che estere hanno enfatizzato la suddetta decisione per la presunta “scoperta” del gene dell‟assassinio o del male. Ad esempio, il quotidiano francese Libération, in un articolo dal provocatorio titolo Un juge italien découvre le gène du meurtre386, accusa la corte triestina di aver emesso una sentenza basata su un nonsense scientifico, quale l‟esistenza di una predisposizione sociale e genetica al delitto, nonché frutto di un forte pregiudizio razziale che ancora pervade l‟Italia. Il quotidiano inglese The Times, in maniera ancora più eloquente, titola The Get Out of Jail Free gene387 e si chiede fino a che punto sia possibile, scientificamente ed eticamente, utilizzare il DNA come mezzo di difesa in un processo penale. Lo scalpore provocato dal caso Bayout non si ferma tuttavia al sensazionalismo giornalistico, suscitando Sul dibattito italiano si rinvia a F. Caruana (a cura di), Scienze cognitive e diritto, numero monografico di «Sistemi Intelligenti», agosto 2010, n. 2. 385 Cfr. gli articoli seguenti apparsi su quasi tutti i quotidiani italiani: D. Fiore, «Pena ridotta per questioni di geni: non dovrebbe essere il contrario?», «Il Piccolo», 19.11. 2009, p. 22 - sez. Trieste; M. Smiderle, Sconto di pena per l‘assassino: «È vulnerabile geneticamente» in «Il Giornale», 09.11.2009; A. Lavazza, I geni costringono a delinquere? No, il riduzionismo è già superato. Geni «difettosi», uno sconto di pena, «Avvenire», 07.11.2009; G. O. Longo, Dopo la sentenza della Corte d'Assise d'appello di Trieste, Avvenire», 07.11.2009; Redazione, La genetica entra in tribunale, in «Il Sole 24 Ore», 25.10.2009; G. Surza, Via Cernaia, sconto di pena per l‘assassino: è geneticamente predisposto alla violenza, in «Messaggero Veneto», 25.10.2009, p. 5 - sez. Udine. 386M. Inizal, Un juge italien découvre le gène du meurtre, in «Libération», 28.10.2009. 387A. Ahuja, The Get Out of Jail Free gene, in «The Times», 17.11.2009. 384 118 l‟interesse di autorevoli riviste scientifiche quali Nature388 e The New Scientist389 e divenendo persino oggetto di un‟interrogazione parlamentare da parte della deputata del PdL, Souad Sbai, che accusa la Corte d‟Assise d‟Appello di Trieste di aver emesso una sentenza razzista, in netto contrasto con l‟art. 3 della Costituzione e che rischia di riconoscere l‟esistenza di una sorta di «attenuante culturale» finora mai concessa nel nostro ordinamento390. Ma l‟intento del giudice estensore della sentenza non era probabilmente quello di impostare il discorso sul piano etnico– razziale in quanto, se si escludono alcuni passaggi discutibili, la sua attenzione si concentra soprattutto sulla ricostruzione dei trascorsi clinici di Bayout ai fini del giudizio sulla sua imputabilità. La sua storia clinica, dimostra, ancora prima delle risultanze peritali, che non fosse del tutto “sano di mente”, poiché già in passato aveva avuto episodi di delirio e paranoia fino al punto da essere sottoposto a psicofarmaci. Sorge spontaneo il dubbio, dunque, che l‟affannosa ricerca da parte dei periti di segni attestanti l‟anormalità e l‟aggressività innata, nel cervello e nel DNA dell‟imputato, non abbia poi tanto il declamato carattere dell‟oggettività scientifica, trattandosi piuttosto di una costruzione ad hoc per dimostrare aprioristicamente una tesi già ben radicata nella mente di chi cerca: il libero arbitrio non esiste, dunque, se 388E. Feresin, Lighter sentence for murderer with 'bad genes‘, in «Nature», 30.10.2009. 389E. Callaway, Murderer with 'aggression genes' gets sentence cut, in «The New Scientist», 03.11.2009. 390 Cfr. S. Sbai, Interrogazione a risposta scritta, in Camera dei Deputati – Resoconti dell‟Assemblea, Atti di controllo, Allegato B, Seduta n. 241 del 29.10.2009 e E. Fazzino, Il gene dell‘assassinio, ritorno a Lombroso?, in «Il Sole 24 Ore», 29.10.2009; Redazione, Vulnerabilità genetica. Per la parlamentare del PdL Souad Sbai la sentenza della Corte d‘Appello di Trieste è razzista, in «Il Giornale del Friuli», 28.10.2009; 119 non è possibile scegliere tra bene e male criminali si nasce e non si diventa. Quale miglior soggetto, allora, per sostenere una simile tesi, se non un uomo già labile mentalmente e disadattato e, dall‟altra parte, come vittima un ragazzo colombiano come tanti altri? È chiaro che il caso Bayout sarebbe rimasto confinato in qualche breve trafiletto di cronaca nera dei quotidiani locali, se non ci fosse stato l‟ingresso dei neuroscienziati nel processo. La pena già notevolmente ridotta sia per la semi-infermità sia per la scelta del rito, è stata solo leggermente diminuita in secondo grado e i periti, visto il passato di Bayout, avrebbero avuto gioco facile a propendere per una diminuzione di responsabilità “semplicemente” con una nuova perizia psichiatria, senza dover effettuare la scansione cerebrale o sottoporre a complessi test genetici l‟imputato. Al di là degli aspetti appena evidenziati, tale decisione assume un forte connotato simbolico, in quanto rappresenta la volontà di imporre, anche in campo giuridico, il paradigma neuroscientista che pretende di risolvere con fredda oggettività l‟antica questione della responsabilità morale e giuridica, cercando di riannodare, con nuovi mezzi, il filo spezzato che legava biologia e crimine. È evidente, infatti, che la più pesante implicazione giuridico-filosofica derivante dal larvato determinismo genetico che sottende la decisione di Trieste è il venir meno della rimproverabilità dell‟azione ad un assassino e, di conseguenza, la sua responsabilità penale. Nel momento in cui ad uccidere non è l‟uomo ma “i suoi geni” o “il suo cervello” secondo il nostro ordinamento giuridico il soggetto va ritenuto incapace, in tutto o in parte, di intendere e di volere e dunque deve ricevere un trattamento sanzionatorio più 120 lieve. Condannarlo equivarrebbe a punire un animale in preda agli istinti o una macchina, impossibilitata ad agire diversamente. D‟altro canto, alle azioni incontrollabili del “violento per natura”, anche la società «può e deve cautelarsi, come si cautela di fronte a una bestia sanguinaria o a una macchina impazzita, mettendolo in condizione di non nuocere»391. 4. Nata per uccidere: il caso Albertani Si erano appena sopite le polemiche sul caso Bayout quando una nuova decisione giurisprudenziale, per certi versi simile a quella triestina, riaccende nuovamente il dibattito sull‟ingresso di neuroscienziati e genetisti nelle aule dei tribunali italiani. Con la sentenza del Giudice per le Indagini Preliminari, dott.ssa Maria Luisa Lo Gatto, presso il Tribunale Penale di Como del 20 maggio 2011 (la cui motivazione è stata resa nota il 20 Agosto 2011)392, facendo leva soprattutto sui metodi utilizzati dalle neuroscienze cognitive e dalla genetica comportamentale per decidere sulla capacità di intendere e di volere, una giovane donna, accusata di omicidio pluriaggravato della sorella nonché di tentato omicidio dei genitori, viene condannata a venti anni di reclusione perché riconosciuta seminferma di mente. Vale la pena ripercorrere brevemente i fatti, prima di analizzare la sentenza, poiché hanno davvero dell‟incredibile. Se il caso Bayout rientrava nei casi di cronaca nera di quotidiana violenza, questo, per i suoi connotati G. O. Longo, Dopo la sentenza della Corte d'Assise d'appello di Trieste, cit. Cfr. Sentenza Tribunale Como, GIP, 20.05.2011-20.08.2011 consultabile on line al seguente indirizzo: http://static.ilsole24ore.com/DocStore/Professionisti/AltraDocumentazione/body/ 12600001-12700000/12693249.pdf. 391 392 121 orrorifici, sembra più somigliare ad un sanguinolento libro thriller o ad uno dei più inquietanti episodi della serie televisiva Criminal Minds393. La storia ha inizio a Cirimido in provincia di Como, quando nel luglio del 2009 viene ritrovato il corpo carbonizzato di Maria Rosa Albertani, trentanovenne scomparsa da due mesi. L‟inquietante ritrovamento sembra rimanere avvolto nel mistero fino all‟arresto - alcuni mesi dopo - della sorella della vittima all‟epoca dei fatti ventiseienne, Stefania Albertani, mentre tentava di uccidere e dare fuoco ai propri genitori. Gli inquirenti avevano iniziato a sospettare di lei già prima del ritrovamento del cadavere, la stessa Stefania Albertani aveva denunciato la sorella per truffa e appropriazione indebita ai danni dell‟azienda di famiglia, allegando alla denuncia una lettera apparentemente proveniente da Maria Rosa, in cui si autoaccusava del dissesto in cui versava la ditta. I carabinieri insospettiti dal tenore di tale lettera autoaccusatoria e dalla mancata denuncia della scomparsa della sorella, iniziano ad indagare sull‟operato di Stefania, effettuando anche delle intercettazioni ambientali presso la sua abitazione e quella dei genitori. In seguito alle indagini si scopre che nel mese di giugno sono state effettuati dei pagamenti con il Postamat della scomparsa, anche per ricaricare il cellulare di Stefania. La situazione precipita dopo il ritrovamento del corpo in decomposizione di Maria Rosa: i genitori, cominciano a sospettare di Stefania e la incalzano affinché confessi e si costituisca. Nota serie televisiva statunitense che narra il lavoro di una squadra speciale di psicologi, criminologi, psichiatri e medici legali dell‟FBI, la Behavioral Analysis Unit, incaricati di elaborare un profilo psicologico (profiling) e comportamentale di pericolosi serial killer e sanguinosi assassini. V. amplius, J. Mariotte, Criminal Minds. Sociopaths, Serial Killers, and Other Deviants, Wiley & Sons, Hoboken 2010. 393 122 Sentendosi sempre più sotto pressione, Stefania decide di ucciderli, prima cercando di far esplodere la loro autovettura appoggiando uno straccio incendiato sull‟imboccatura del serbatoio di benzina e, successivamente, con una vera e propria aggressione, Stefania cerca di strangolare e bruciare viva la madre, che riesce a salvarsi solo grazie all‟intervento tempestivo delle forze dell‟ordine che, nel frattempo, avevano intercettato la concitata lite. Una volta tratta in arresta viene del tutto svelata l‟agghiacciante verità: nel tentativo di addossare le colpe del fallimento dell‟azienda di famiglia alla sorella, Stefania l‟aveva uccisa dopo averla imbottita di notevoli quantità di psicofarmaci (benzodiazepine e promazina come si desume dal referto del medico legale)394, che l‟avevano resa incapace di reagire, per poi bruciarne il corpo. Durante il processo, vista l‟impossibilità di negare i fatti contestati per le prove schiaccianti (arresto in flagranza di reato, intercettazioni, perizie calligrafiche provanti la falsità delle lettere autoaccusatorie della vittima e quant‟altro), tutta l‟attenzione si concentra sulla capacità di intendere e di volere dell‟imputata ormai chiusa in un ostinato mutismo395. In particolare, il giudice sembra dubitare dell‟imputabilità della Albertani in quanto il suo comportamento criminale «non è certo apparso sempre concentrato nell‟esecuzione di azioni logiche ed adeguatamente finalizzate all‟obiettivo avuto di mira»396. Per tale ragione il giudice dispone una serie di perizie d‟ufficio, a cui si aggiungono quelle dei consulenti tecnici di parte, Cfr. la relazione dell‟entomologo riportata nella sentenza del Tribunale Como, GIP, 20.05.2011-20.08.2011, cit., pp. 9-10. 395 P. Pioppi, Ha cercato di uccidere la madre e il padre. Stefania Albertani si è chiusa nel silenzio, «Il Giorno - Como», 05.11.2009 edizione on line. 396 Cfr. sentenza Tribunale Como, GIP, 20.05.2011-20.08.2011, cit., p. 27. 394 123 nominando ben cinque esperti397. La prima perizia in ordine temporale è disposta piuttosto frettolosamente (con soli due colloqui clinici) e lo psichiatra Mario Vanini, consulente della difesa, sostiene la totale incapacità di intendere e di volere della Albertani, perché avrebbe agito sotto l‟effetto di una non meglio precisata «condizione patologica di tipo psicotico»398. In netta contrapposizione a tali risultanze si pone la perizia d‟ufficio disposta dal Gup Nicoletta Cremona in sede di incidente probatorio ed effettuata dal noto criminologo Adolfo Francia dell‟Università dell‟Insubria, il quale ritiene l‟imputata pienamente capace di intendere e di volere, nonostante le vengano riscontrati dei «disturbi istrionici della personalità e disturbi associativi» 399. Di fronte ad uno scenario che mette in campo due ipotesi del tutto opposte (cosa peraltro non così anomala nel nostro processo penale in cui spesso la perizia d‟ufficio afferma una tesi diametralmente opposta a quella della difesa), il Gip Lo Gatto, decide a sorpresa di sposare, a fini della decisione, la tesi sostenuta dai due nuovi consulenti tecnici della difesa, intervenuti nel corso del processo, ad integrare la prima consulenza difensiva. Si tratta, come nel caso di Trieste, di Giuseppe Sartori e Pietro Pietrini che, ancora una volta400, fanno entrare in gioco neuroscienze cognitive e genetica. Il P. Pioppi, Psichiatri a confronto sul caso di Stefani Albertani, in «Il Giorno - Como», 14.05.2011, p. 2. 398 Cfr. sentenza Tribunale Como, GIP, 20.05.2011-20.08.2011, cit., p. 27-28. 399 Ivi, p. 28. 400 Sartori e Pietrini si occupano non solo dei casi di Trieste e di Como ma effettuano anche le perizie - sempre utilizzando le stesse tecniche derivanti dalle neuroscienze cognitive e dalla genetica - nel caso di Jennifer Favaro ventiquattrenne originaria della Svizzera italiana accusata di aver ucciso il proprio figlio soffocandolo subito dopo il parto e poi assolta in appello nel 2008 “per non aver commesso il fatto”. Cfr. D. Rigoni, S. Pellegrini, V. Mariotti, A. Cozza, A. Mechelli, S. D. Ferrara, P. Pietrini, G. Sartori, How neuroscience and 397 124 lavoro peritale effettuato dai due “super-consulenti” è stato determinante ai fini della decisione e si è caratterizzato per l‟utilizzo di una serie eterogenea di metodi. Oltre ai colloqui clinici l‟imputata è stata sottoposta a tutta una batteria di test neuropsicologici ad accertare sia lo stato mentale generale, sia le singole funzioni mentali, tra cui attenzione, memoria, percezione e linguaggio. Vengono in particolare utilizzati, tra gli altri, una serie di scale validate401: a) lo Iowa Gambling Test402, usato anche da molti studiosi di neuroeconomia in cui il soggetto viene invitato a partecipare a un gioco dal quale si traggono vantaggi nel lungo termine se si accetta di rinunciare a qualcosa nell‟immediato; b) il test di Hayling403 misurante l‟impulsività; c) le prove di teorie della mente, che comportano la necessità di interpretare emozioni e pensieri degli altri; d) il test IAT (Implicit Association Test) 404, teso a vagliare i tempi reattivi e le divergenze tra pensieri consci e inconsci. Da tali test risulta non solo l‟incapacità della Albertani di procrastinare i benefici preferendo usufruirne nell‟immediato ma anche l‟impossibilità di controllare le proprie emozioni e di provare empatia. Particolare rilievo assumono i risultati dello IAT, test behavioral genetics improve psychiatric assessment: report on a violent murder case, in «Frontiers in Behavioral Neuroscience», 13.10.2010, vol. 4, pp. 1-10. 401 Su tali aspetti si vedano le considerazioni di D. Ovadia, Il caso di Como e le neuroscienze in tribunale, sul suo interessante Blog «Mente e Psiche» - Le Scienze, disponibile su http://ovadialescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/09/06/il-caso-di-como-e-leneuroscienze-in-tribunale/. 402 Questo metodo è stato elaborato negli anni Novanta del Novecento da un gruppo di ricercatori dall‟Università di Iowa tra cui figura anche Antonio Damasio. Cfr. A. Bechara, A. R. Damasio, H. Damasio, S. W. Anderson, Insensitivity to future consequences following damage to human prefrontal cortex, in «Cognition», vol. 50, nn. 1-3, April-June 1994, pp. 7-15. 403 V. amplius, P. Burgess & T. Shallice, The Hayling and Brixton Tests. Test manual, Thames Valley Test Company, Bury St Edmunds 1997. 404 Una dimostrazione del funzionamento di tale test è rinvenibile su https://implicit.harvard.edu/implicit/demo/. 125 resosi necessario a causa delle continue affermazioni dell‟imputata di non ricordare nulla in merito al crimine commesso, per verificare se l‟imputata stesse simulando. Occorre precisare che lascia alquanto perplessi l‟utilizzo da parte dei consulenti del metodo IAT per uno scopo ancora del tutto «sperimentale»405 cioè per verificare se un certo dato (in questo caso i ricordi relativi al crimine) viene codificato dal cervello dell‟imputata come traccia mnestica o no. Tutti le risposte fornite ai test risultano convergenti e ciò spinge i consulenti a formulare la seguente diagnosi: «pseudologia fantastica in persona affetta da disturbo dissociativo di identità»406. In altre parole, emerge un complesso quadro psichiatrico della Albertani, la cui caratteristica predominante è, da un lato, la «menzogna patologica»407 e, dall‟altro, la «sindrome dissociativa»408. Ciò spiegherebbe – precisa il giudice in sede di motivazione - non solo la continua propensione a mentire della Albertani ma anche il modo in cui la stessa reagisce agli eventi stressanti seguendo delle modalità aggressive tipiche di chi vive una sorta di sdoppiamento della propria personalità e può, di conseguenze, anche non conservare il ricordo delle proprie azioni in tale fase. Malgrado i numerosi test cui viene sottoposta l‟imputata, i consulenti, Sartori e Pietrini, decidono di spingersi ancora oltre, decidendo di effettuare un esame della struttura cerebrale ad alta Cfr. D. Ovadia, Il caso di Como e le neuroscienze in tribunale, cit. la quale sottolinea che «lo IAT è nato per studiare le reazioni di piacere e disgusto, oppure i pregiudizi impliciti, quelli che non ammettiamo neanche a noi stessi». 406 Cfr. sentenza Tribunale Como, GIP, 20.05.2011-20.08.2011, cit., p. 50. 407 Ibidem. 408 Ibidem. 405 126 risoluzione con la tecnica Voxel-Based-Morphometry409 cioè una tecnica di analisi in neuroimaging basata sull‟investigazione delle differenze focali nell‟anatomia cerebrale e, in particolare, della concentrazione di materia grigia di diversi gruppi di soggetti mediante un approccio statistico noto come mappatura statistica parametrica. Nel caso di specie, viene analizzata, in maniera particolare, «la morfologia dei lobi frontali deputati, tra le altre cose, al controllo e all‟inibizione degli impulsi, al giudizio critico, al senso morale, alla discriminazione tra bene e male»410. Confrontando i dati derivanti da tale esame condotto sull‟imputata da quelli ottenuti da un campione di donne “sane” equiparabili alla stessa per sesso ed età sarebbero emerso che l‟Albertani presenterebbe delle differenze nella morfologia e nel volume delle strutture cerebrali prese in esame e specificamente delle «alterazioni della densità della sostanza grigia, in alcune zone chiave del cervello, in particolare del cingolo anteriore»411, cioè quell‟area cerebrale deputata ad inibire i comportamenti automatici ed istintuali nonché a regolare le azioni aggressive. A queste analisi si aggiungono, infine, gli accertamenti genetici per verificare la presenza di alleli, che «secondo la letteratura scientifica internazionale, sono significativamente associati ad un maggior rischio del comportamento impulsivo, aggressivo e violento»412. Come nel caso di Bayout, anche la Albertani è risultata in possesso di tre alleli sfavorevoli che la espongono ad un Per la descrizione dettagliata di tale tecnica si rinvia a J. Ashburner, K. J. Friston, Voxel-Based Morphometry—The Methods, in «NeuroImage», vol. 11, n. 6, June 2000, pp. 805-821. 410 Cfr. sentenza Tribunale Como, GIP, 20.05.2011-20.08.2011, cit., p. 52. 411 Ivi, p. 53. 412 Ibidem. 409 127 maggiore rischio di assumere un comportamento aggressivo o violento. Si tratta, oltre che dell‟allele a bassa attività per MAOA (il “gene guerriero” riscontrato nel caso di Trieste), dei geni denominati SCL6A4 (polimorfismo STin2) e COMT (polimorfismo rs4680)413. Tutta questa considerevole mole di dati e risultati, che si presumono oggettivi, in termini giuridici si sono tradotti nella dichiarazione di seminfermità e la conseguente diminuzione di pena. Stefania Albertani «avendo agito con vizio parziale della capacità di intendere e di volere»414 (considerato equivalente alle contestate aggravanti) viene condannata (con un complesso calcolo che tiene conto anche della c.d. continuazione tra i reati contestati) a venti anni di reclusione, considerando però che la pena base in questo caso non è l‟ergastolo bensì trenta anni, grazie alla scelta del rito abbreviato operato dalla difesa dell‟imputata. Ma l‟effetto delle consulenze non ha inciso solo sul giudizio sull‟imputabilità ma anche su quello relativo alla sua pericolosità sociale, cioè quel giudizio prognostico sul rischio di reiterazione di altre condotte criminose dopo la condanna. La Albertani viene riconosciuta persona “socialmente pericolosa” e per tale ragione gli viene comminata la misura di sicurezza della casa di cura e di custodia per una durata non inferiore a tre anni. È chiaro che si tratta di una decisione più che sofferta per il giudice che si dilunga molto sull‟esigenza di valutare la capacità di intendere e di volere La denominazione dei tre alleli, mai indicata specificamente nella sentenza, è stata tratta da E. Feresin, Italian court reduces murder sentence based on neuroimaging data - September 01, 2011, intervento „postato‟ su NewsBlog di «Nature» e disponibile su http://blogs.nature.com/news/2011/09/italian_court_reduces_murder_s.html. 414 Ivi, p. 60. 413 128 dell‟imputata in base a dati “certi”. È particolarmente significativa, in questo caso, la giustificazione, più volte ribadita nelle oltre sessanta pagine che compongono la sentenza, addotta dal Gip di Como per aver preferito la tesi dei due consulenti della difesa Sartori e Pietrini piuttosto che quella degli altri periti e consulenti tecnici. Essa consiste nella scarsa fiducia nei confronti della psichiatria, disciplina attraversata da una profonda crisi che la rende del tutto incapace di pervenire ad una diagnosi precisa delle patologie psichiatriche e pertanto priva ormai di quella scientificità che permette di utilizzarla come un‟utile base sulla decisione relativa all‟imputabilità415. Da qui la “necessità” di abbandonare metodi i cui risultati appaiono troppo discrezionali e incerti per approdare a metodologie «maggiormente fondate sull‟obiettività e sull‟evidenza dei dati»416, tali da offrire risposte «meno discrezionali»417 come quelle «corroborate dalle risultanze di “imaging cerebrale” e di “genetica molecolare” e per ciò stesse in grado di ridurre la variabilità diagnostica» 418. Il giudice sembra infatti convinto – e lo conferma molte volte nel corso della motivazione – che le neuroscienze oggi, pur non comportando una «rivoluzione copernicana»419 in tema di diagnosi e accertamento delle malattie mentali, né introducendo «criteri deterministici da cui inferire automaticamente che da una certa alterazione morfologica del cervello conseguono certi comportamenti e non Il giudice afferma in particolare che l‟evidente problematicità del caso sia «sintomatico della crescente difficoltà per la psichiatria odierna – trasformatasi in una sorta di rassegnata presa d‟atto – di distinguere con sicurezza e precisione tra sanità ed infermità mentale» (Cfr. sentenza Tribunale Como, GIP, 20.05.2011-20.08.2011, cit.,p. 29). 416 Ivi, p. 39. 417 Ibidem. 418 Ibidem. 419 Ivi, p. 40. 415 129 altri»420, tuttavia possano consentire di mettere a frutto le «condivise acquisizioni in tema di morfologia cerebrale e di assetto genetico, alla ricerca di possibili correlazioni tra le anomalie di certe aree sensibili del cervello ed il rischio, ad esempio, di sviluppare comportamenti aggressivi […] oppure tra la presenza di determinati alleli di geni ed il rischio di maggiore vulnerabilità allo sviluppo di comportamenti socialmente inaccettabili perché più esposti all‟effetto di fattori ambientali stressogeni»421. Nonostante l‟intentio più volte esplicitata di ancorare la decisione sull‟imputabilità su elementi più che oggettivi, la motivazione non può che apparire contraddittoria per molteplici aspetti. Innanzitutto è a dir poco paradossale che il giudice, da un lato, affermi che la sua funzione non sia quella di aderire in modo acritico e passivo a quanto sostenuto dagli “esperti” poiché il suo ruolo non è quello di un «mero certificatore delle risultanze psichiatriche»422 e, dall‟altro, manifesti l‟esigenza di utilizzare delle tecniche che non permettono margini di discrezionalità trattandosi di «metodi che, per effetto del progresso scientifico, hanno ottenuto un unanime riconoscimento internazionale»423. Non si vede infatti per quale motivo il giudice abbia bisogno di elementi oggettivi, che coincidono, non a caso, con le prove neuroscientifiche, quando si sostiene (a ragione) che il suo ruolo non sia affatto quello di un passivo ratificatore delle decisioni dei consulenti. A ciò si aggiunge il dato, non indifferente, che le tecniche utilizzate dai neuroscienziati in questo caso sono tutt‟altro che oggettive e condivise, trattandosi di tecniche Ibidem. Ivi, pp. 40-41. 422 Ivi, p. 38. 423 Ivi, p. 44. 420 421 130 che, seppur sofisticate, necessitano ancora di ulteriori conferme e sono tuttora al centro di un acceso dibattito tra gli studiosi, esigendo «forse un supplemento di sperimentazione, specie per quel che riguarda il loro valore prognostico»424. Anche la complessa ricostruzione effettuata dal giudice per delineare l‟esatto profilo della “diabolica Stefania”425 non convince poiché alquanto contraddittoria: l‟imputata dapprima è descritta come una fredda calcolatrice426 e manipolatrice che agisce seguendo un «complesso disegno criminoso»427, in cui le «mire economiche»428 hanno un ruolo non secondario e poi, nonostante tutto, viene dichiarata seminferma. Forse l‟incoerenza più stridente contenuta nella sentenza è la divergenza tra le intenzioni espresse e le finalità perseguite, come si evince dalla insistenza del giudice su un aspetto ben preciso cioè che la decisione non è stata mossa da alcun intento deterministico. Tale insistenza, forse atta a prevenire le critiche già rivolte alla Corte d‟Assise d‟Appello di Trieste di voler introdurre una sorta di automatismo tra possesso di un preciso gene e malvagità, viene più volte ribadita quando il giudice osserva che la morfologia cerebrale e il corredo genetico non sono delle cause del crimine ma dei “fattori di rischio” dello stesso, come 424 L‟opinione è di Daniela Ovadia ed è riportata nell‟intervista concessa a Silvia Bencivelli, Restano i dubbi, lo spettro di Lombroso, in «Alias», ottobre 2011, n. 38, p. 9. 425 Tale aggettivo ricorre in molti articoli, si vedano per tutti, P. Pioppi, La diabolica Stefania Albertani voleva uccidere anche il padre, in «Il Giorno Como», 27.10.2009 edizione on line. 426 Sintomatico di tale atteggiamento, ad esempio, sono le precauzioni prese da Stefania Albertani prima di bruciare il cadavere della sorella quando decide di recarsi dalla vicina di casa e di pregarla di non avvertire i vigili laddove avesse visto del fumo poiché stava per bruciare delle vecchie carte. Cfr. Ivi, p. 22. 427 Ivi, p. 11. 428 Ivi, p. 14. 131 lo sono – per usare l‟esempio fatto da uno dei consulenti tecnici in udienza – il colesterolo elevato e la pressione alta rispetto all‟infarto o all‟ictus, vista la natura probabilistica delle medicina429. Per evitare di incorrere nell‟accusa di determinismo il giudice cita (cosa alquanto inusuale) un passo tratto da un‟opera del neuroscienziato Michael Gazzaniga laddove quest‟ultimo afferma che a fronte dell‟automatismo e del determinismo dei cervelli, si contrappone la libertà delle persone430. Tali prese di posizione e puntualizzazioni sono tuttavia smentite dal risultato raggiunto soprattutto se si nota che, in realtà, la decisione sulla seminfermità è stata fortemente influenzata proprio dalle risultanze delle prove neuroscientifiche, da cui, nonostante le reiterate affermazioni, non può non scorgersi un larvato determinismo. Com‟è stato osservato, infatti, questa decisione nasconde anche una finalità che va ben oltre l‟esigenza processuale: «c‟è probabilmente una ragione pratica (rafforzare la tesi della difesa contro quella dell‟accusa) ma anche, conoscendo i due periti […] per accreditare e validare questi nuovi strumenti che sono oggetto di un acceso dibattito, specie negli Stati Uniti»431. Ma vi è forse una ragione ancora più profonda e rilevante: la lotta per l‟egemonia in ambito scientifico-forense sulla metodologia da utilizzare in sede di perizie e consulenze tecniche. Il “nuovo” potere neuroscientista, facendo leva su una presunta oggettività sta cercando di scardinare il “vecchio” potere psichiatrico. Come nel caso Bayout, sarebbe stato facile giungere ad un risultato analogo sulla capacità di intendere e di volere anche con i “tradizionali” Cfr. sentenza Tribunale Como, GIP, 20.05.2011-20.08.2011, cit.,p. 41. Ivi, p. 42. 431 D. Ovadia, Il caso di Como e le neuroscienze in tribunale, cit. 429 430 132 mezzi utilizzati dalla psichiatria ma è chiaro che una perizia del genere non avrebbe suscitato nessuno scalpore. La notizia della decisione sul “caso Albertani”, infatti, viene ripresa sia dai quotidiani locali e nazionali, sia dalle riviste specializzate estere che subito evidenziano il collegamento di questo caso con quello di Trieste432. Se il New Scientist titola Brain scans reduce murder sentence in Italian court433 su un blog di Nature è possibile leggere il seguente post: Italian court reduces murder sentence based on neuroimaging data434. Toni ancora più sensazionalistici sono quelli usati dai media nazionali in cui si parla di “sentenza storica” e la Albertani viene subito dipinta come una “delinquente nata” e la decisione come portatrice del «rischio di aprire a un nuovo lombrosianesimo»435. Malgrado i numerosi test e perizie cui viene sottoposta l‟imputata e la lunga motivazione in cui – è il caso di precisarlo – viene dedicato pochissimo spazio alla correlazione tra possesso di alleli e aggressività, la maggior parte dei media nazionali hanno accentuano soprattutto tale aspetto436, cercando, 432 Tra le tante riviste e blog che riportano la notizia si vedano almeno: H. Greely, Another ―Brain Mitigation‖ Criminal Sentence from Italy, 03.09.2011 su «Law and Biosciences Blog» disponibile su http://blogs.law.stanford.edu/lawandbiosciences/2011/09/03/another-brainmitigation-criminal-sentence-from-italy/; D. Bardhan, Criminal Behavior Might Be Linked To Abnormal Brain Shape; Law Courts Allow Such Evidence, 02.09.2011 su «Techie-buzz» disponibile su http://techie-buzz.com/science/brainscan-crime.html; V. Szentpetery, Gehirnscans im Gerichtssaal, su «Tecnology Review» disponibile su http://www.heise.de/tr/blog/artikel/Gehirnscans-imGerichtssaal-1337322.html. 433 J. Hamzelou, Brain scans reduce murder sentence in Italian court, in «The New Scientist», 02.09.2011 disponibile su http://www.newscientist.com/blogs/shortsharpscience/2011/09/brain-scansreduce-sentence-in.html. 434 E. Feresin, Italian court reduces murder sentence based on neuroimaging data - September 01, 2011, cit. 435 S. Bencivelli, Restano i dubbi, lo spettro di Lombroso, cit., p. 9. 436 Per tutti si vedano, Redazione, Como, la genetica può discolpare un'omicida "Ha ucciso a causa di una variazione nel dna", in «Il Giornale», 133 in alcuni casi, di stimolare una riflessione più profonda su come le neuroscienze che stanno già modificando il diritto, potrebbero in futuro riuscire a «cambiare anche la nostra concezione del male»437. 5. Neuroscienze e diritto: progresso o catastrofe? Al di là dell‟enfasi e del rilievo dati dai mass media438 ad entrambi i casi sopra illustrati, ci preme qui soprattutto comprendere qual è stato invece l‟atteggiamento dei giuristi che si sono posti su due diversi fronti contrapposti: uno più entusiasta e l‟altro più critico o cauto nei confronti dell‟ausilio di prove neuroscientifiche nel processo penale. Nel primo “fronte” rientra sicuramente Antonio Forza, uno dei primi commentatori delle sentenza di Trieste, che giudica il clamore suscitato come frutto di una lettura erronea o troppo superficiale. Secondo Forza l‟ausilio delle tecniche delle neuroscienze ai fini della valutazione della 13.05.2011; Redazione on line, Uccise e bruciò la sorella, il giudice: «Tra le cause alterazioni al cervello», in «Corriere della Sera», 29.08.2011; Redazione, Cirimido, uccise la sorella "Alterati i suoi geni", in «La Provincia. Il quotidiano di Como on line», 30.08.2011; Redazione, Nata per uccidere, è colpa dei geni. Sentenza storica della corte, in «AffariItaliani.it», 31.08.2011; Redazione, Ha inventato la macchina che smaschera i mentitori, in «Il Giornale», 11.09.2011. 437 S. Bencivelli, Il buio mentale in un‘immagine, in «Alias», ottobre 2011, n. 38, p. 9. 438 All‟interno dei problemi di neuroetica presenti nell‟attuale dibattito rientra anche quello relativo al rapporto tra mass media e società e, in particolare, al comportamento da tenere da parte del giornalista scientifico nel dare le notizie relative ai progressi delle neuroscienze, che spesso potrebbero alimentare false speranze, enfatizzando cure o metodi ancora in fase di sperimentazione. Su tale questione, per quanto riguarda le notizie legate alla nuova tecnica della stimolazione cerebrale profonda (DBS), si rinvia a D. Ovadia, Media e società. Bisogni e limiti legati alla comunicazione, in V. A. Sironi, M. Porta (a cura di), Il controllo della mente. Scienza ed etica nella neuro modulazione cerebrale, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 282-292, nonché, più in generale, D. Ovadia, Neuroetica e mass media (con un commento di F. Turone), in V. A. Sironi, M. Di Francesco, Neuroetica. La nuova sfida delle neuroscienze, cit., pp.168-181. 134 responsabilità penale è quasi una naturale conseguenza della crisi della psichiatria e del concetto stesso di imputabilità. Dunque, sarebbe immotivato e infondato il timore della perdita del primato del giudice che risulterebbe ridotto a ratificare il lavoro svolto “oggettivamente” dalla scienza, ritenendo al contrario che «l‟ingresso delle Neuroscienze nel processo è destinato a segnare sicuramente un momento di svolta, un cambiamento di paradigma, per usare l‟espressione di Kuhn»439. In termini molto simili (citando proprio il celebre saggio di Thomas Kuhn), si esprime anche Cataldo Intrieri secondo cui le neuroscienze avranno sul diritto un impatto devastante alla stregua delle grandi scoperte di Galileo e Einstein e, in particolare, ritiene che il caso di Trieste è l‟inizio di un processo di necessaria revisione della «obsoleta ed insostenibile suddivisione psicosi/disturbi caratteriali che sino ad oggi ha asfitticamente marcato il dibattito nella psichiatria forense»440. Della stessa opinione appaiono anche Lusa e Pascasi i quali osservano come con l‟avvento delle neuroscienze, essendo possibile indagare anche sull‟effettivo stato psichico del reo e su quanto abbia influito nella commissione del reato il suo corredo genetico, si apra finalmente «un nuovo capitolo per il processo penale e per la futura definizione del criminale»441. Dopo aver commentato con tali parole il caso Bayout gli stessi autori giudicano anche il caso Albertani definendo tale sentenza “rivoluzionaria” per aver 439 A. Forza, Le Neuroscienze entrano nel processo penale, in «Rivista penale», 2010, 1, p.78. Analoghe considerazioni si trovano anche in Id., Neuroscienze e diritto, in «Rivista penale», 2009, 3, pp. 247-255. 440 C. Intrieri, Neuroscienze e diritto: una nuova teoria giuridica sulla mente, in F. Caruana (a cura di), Scienze cognitive e diritto, cit., p. 265. 441 V. Lusa, S. Pascasi, I confini dell‘imputabilità: l‘influenza della genetica sulla pericolosità sociale, in «Ventiquattrore Avvocato», 2011 n. 7-8, p. 15. 135 “accolto” il fattore genetico nel processo penale442, sottolineando come – sulla falsa riga di quanto già dichiarato in merito alla sentenza triestina – ormai «la neuroscienza si appresta a divenire un rilevante strumento di indagine della mens rea, da condursi anche alla stregua della biologia dell‟encefalo, radicata sullo studio dei geni indicati come potenziali fattori scatenanti dell‟aggressività umana»443. Più che una svolta la sentenza di Trieste rappresenta invece quasi una “naturale evoluzione” dei metodi già in uso per valutare l‟imputabilità, secondo Andrea Lavazza e Luca Sammicheli i quali ritengono come sia esagerato voler leggere tale sentenza come un rivoluzionario e scandaloso verdetto, in cui si crea un legame diretto tra profilo genetico-cerebrale e commissione del reato, poiché i giudici individuerebbero tale deficit genetico solo come una concausa dell‟infermità mentale già prevista nel nostro codice e, in precedenza accertata con metodi psicologici. L‟ingresso delle neuroscienze avrebbe avuto, secondo tale interpretazione, solo un effetto probatorio, limitandosi ad un «approfondimento e a un ammodernamento dei metodi con i quali si può dare contenuto ad una categoria giuridica (l‟imputabilità)»444. Questo dell‟ingresso neuroscienze delle pacificamente atteggiamento nelle aule nei di accertata confronti giustizia, indubbiamente positivo ma caratterizzato al contempo da un «Se, come è stato sostenuto dagli studiosi, è sufficiente la presenza di un solo allele sfavore volere per “favorire” la condotta antisociale del criminale, il Gip comasco non poteva rassegnare conclusioni difformi da quelle formulate, essendo ben tre gli alleli “incriminati” riscontrati nell‟imputata» (V. Lusa, S. Pascasi, Il Tribunale ―accoglie‖ il fattore genetico nel processo penale, nota a Tribunale di Como, Gip, decisione 20.08.2011, in «Altalex», 21.09.2011 disponibile su http://www.altalex.com/index.php?idnot=15547. 443 Ibidem. 444 A. Lavazza, L. Sammicheli, Se non siamo liberi, possiamo essere puniti?, in M. De Caro, A. Lavazza, G. Sartori (a cura di), Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio, Codice Edizioni, Torino 2010, p. 157. 442 136 intento di “ridimensionamento” della portata di tale decisione, accomuna paradossalmente445 anche coloro che sono stati i reali “artefici” della sentenza di Trieste, vale a dire i periti Sartori e Pietrini (nominati poi C.T. della difesa, come abbiamo visto, nel caso Albertani). Nel commentare il caso Bayout entrambi cercano di mettere a tacere le critiche mossegli da più parti di aver emesso una “sentenza genetica” che sottintende un approccio deterministico alla soluzione della questione della capacità di intendere e di volere. A tali „accuse‟ i due scienziati replicano di non voler in alcun modo sostenere «l‟esistenza di alcun determinismo tra profilo genetico e comportamento»446, dichiarando piuttosto di agire per ridurre il «grado di soggettività che spesso caratterizza le perizie in ambito psichiatrico»447. Sia Sartori che Pietrini sembrano convinti del fatto che la nozione di responsabilità penale non muti con l‟avvento delle tecniche derivanti, bensì diventi più alto il livello di «oggettività»448, precisando come sia finalmente possibile «discutere su temi quali il libero arbitrio e la capacità di autodeterminazione avvalendosi del contributo delle neuroscienze superando quindi un punto di vista sostanzialmente teorico»449. Ciò consentirebbe, anzi, di poter È paradossale il tentativo di smorzare i toni visto che sono stati proprio i periti e gli avvocati coinvolti nei due processi a parlare di sentenza “rivoluzionaria”, “storica” o del “primo caso al mondo” in cui si valuta l‟imputabilità con le tecniche offerte dalle neuroscienze. Un esempio di tale atteggiamento è rintracciabile in Redazione, Ha inventato la macchina che smaschera i mentitori, in «Il Giornale», cit. 446 S. Pellegrini, P. Pietrini, Siamo davvero liberi? Il comportamento tra geni e cervello, in F. Caruana (a cura di), Scienze cognitive e diritto, cit., p. 288. 447 Ivi, p. 289. Più o meno negli stessi termini anche in G. Sartori, A. Lavazza, L. Sammicheli, Cervello, diritto e giustizia, in A. Lavazza, G. Sartori (a cura di), Neuroetica, cit., p. 155. 448 S. Codognotto, G. Sartori, Neuroscienze in tribunale: la sentenza di Trieste, in F. Caruana (a cura di), Scienze cognitive e diritto, cit., p. 269. 449 Ibidem. 445 137 parlare di «libero arbitrio applicato»450 ovvero tutte le singole fasi precedenti che compongono un‟azione volontaria valutabili – a detta di Sartori – in modo sistematico grazie alle neuroscienze. Non a caso Sartori e Codognotto nel commentare la sentenza di Trieste elencano i vari metodi offerti dalle neuroscienze e messi in atto nel caso Bayout, per “valutare le componenti del libero arbitrio” che si traducono nei mezzi offerti in campo psicopatologico, neuropsicologico, della neuroimaging e della genetica comportamentale, ovvero gli stessi metodi “certi‖ e “oggettivi‖ adottati per il caso Albertani, tanto da dover costituire oramai – si auspicano gli autori delle perizie – «lo standard nella determinazione della sussistenza della infermità di mente»451. Su un fronte diametralmente opposto è possibile rintracciare tutti gli studiosi che hanno accolto in maniera tiepida, se non del tutto critica i due casi giurisprudenziali. In tal senso si pone la riflessione di Pietro Barcellona che da anni cerca di porre un freno all‟egemonia della “narrazione post-umana” che intende ridurre il cervello a computer e il corpo umano a macchina composta da elementi sostituibili con microchip o sofisticate protesi bioingegneristiche, come se, in un delirio di onnipotenza, dopo il tentativo di “uccidere Dio” si stia cercando di “uccidere l‟uomo”. A proposito del caso Bayout, Barcellona non sembra avere dubbi: di fronte ad una simile decisione l‟essere umano in quanto tale non ha «nulla da opporre, in nome di se stesso, all‟intervento violento e devastante delle macchine prodotte da altri uomini»452. È alquanto scettico anche Francesco D‟Agostino, che pur considerando il Ibidem. G. Sartori, A. Lavazza, L. Sammicheli, Cervello, diritto e giustizia, in A. Lavazza, G. Sartori (a cura di), Neuroetica, cit., p. 156. 452 P. Barcellona, Il sapere affettivo, Diabasis, Reggio Emilia 2011, p. 83. 450 451 138 campo delle neuroscienze sia affascinante, avverte della necessità irrinunciabile di avere maggiori conferme prima che tali tecniche possano invadere il piano giuridico-sociale, concludendo che senza dubbio sia «evidente la grossolanità»453 della sentenza di Como, poiché in caso contrario condurrebbe a conseguenze paradossali e disumani traducendosi in un obbligo di dover rinchiudere tutti coloro che si ritengono scientificamente violente perché incapaci di controllare le loro pulsioni, in maniera perpetua o fino a quando «un‟altra perizia non dimostrasse la scomparsa di queste pulsioni; o finché non venissero, infine, efficacemente rimosse con tecniche biomediche»454. Su questa scia si pone anche Giampaolo Azzoni il quale osserva come il caso di Trieste operando una reductio del diritto alla biologia neghi di fatto ogni residuo di autonomia del soggetto, mettendo in atto «una vera e propria antinomia che segna la tarda modernità nella sua critica al diritto rivelandone la matrice ultimamente nichilista»455. Su un piano più squisitamente giuspenalistico si pone invece la critica al caso Bayout di Salvatore Aleo che non condivide i toni «marcatamente giustificazionistici, indulgezialistici»456 della sentenza, incentrata sull‟insostenibilità del principio della mitigazione della pena per chi è naturalmente Cfr. P. Nessi, D‘Agostino: non basta una pulsione per condizionare la nostra volontà, in «Il Sussidiario.net», 30.08.2011; 454 Ibidem. 455 G. Azzoni, La convivenza in una società plurale: eclissi o ritorno del diritto? (Prolusione al Corso di Teoria Generale del Diritto AA. 2010/11) p. 6, disponibile su http://blog.centrodietica.it/wp-content/uploads/2011/04/laconvivenza-in-una-societa-lezione-inaugurale.pdf. 456 S. Aleo, S. Di Nuovo, Responsabilità e complessità. Il diritto penale di fronte alle altre scienze sociali. Colpevolezza, imputabilità, pericolosità sociale, Giuffrè, Milano 2011, p. 107. 453 139 più aggressivo, da cui deriva un palese «abbassamento della funzione di difesa sociale»457. Ma, come anticipato, il dibattito innescato dai due casi italiani ha varcato i ristretti confini nazionali, coinvolgendo anche illustri studiosi come Stephan Schleim458 storico della psicologia presso l‟Università di Groningen, il quale in un lungo articolo459 che commenta entrambe le sentenze, contesta l‟assunto principale che sta alla base di entrambe: l‟esistenza di un “cervello criminale” o di un “gene del crimine”. Secondo Schleim, infatti, è errato il presupposto di partenza utilizzato dai due neuroscienziati italiani, cioè che sia possibile identificare una determinata area cerebrale assegnando a quest‟ultima una funzione in particolare. Quest‟idea sarebbe il risultato di una visione che risente ancora degli studi del XIX secolo mentre molteplici studi e dati dimostrerebbero che a determinati stimoli si attiverebbero molteplici aree cerebrali (fino a venti, in certi casi, sparpagliate in tutto il cervello), per cui non è possibile isolare “l‟area dell‟aggressività” o quella “dell‟emotività” come vorrebbero lasciar intendere i consulenti intervenuti nei due casi. Ancora più serrata è la critica al tentativo di tradurre le ricerche genetiche in campo giuridico penale espressa dal notissimo docente di diritto penale (oltre che di rapporti tra diritto e psichiatria) della Penn University, Stephen J. Morse che si occupa da anni del concetto di responsabilità penale, libero arbitrio Ibidem. Autore di interessanti volumi sul rapporto tra neuroscienze, diritto e società, di cui si vedano, almeno, S. Schleim, Die Neurogesellschaft: Wie die Hirnforschung Recht und Moral herausfordert, Heise Verlag, Hannover 2010 e Id., Von der Neuroethik zum Neurorecht, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2009. 459 S. Schleim, Hirnforschung führt erneut zu Strafminderung in Mordfall, in «Heise Online», 02.09.2011, disponibile su http://www.heise.de/tp/artikel/35/35421/1.html. 457 458 140 e imputabilità, assumendo un ruolo di rilievo nel dibattito su neuroscienze e diritto. Morse afferma infatti causticamente che i geni non hanno uno “stato mentale” e non possono commettere crimini, mentre le persone sì460. Malgrado Morse non neghi che il possesso del gene MAO-A con bassa attività - specie se accompagnati ad episodi di abusi subiti durante l‟infanzia possano aumentare considerevolmente il rischio di condotte violente e antisociali, è da escludere che una predisposizione genetica ad una condotta criminale come quella riscontrata nel caso di Trieste possa essere ritenuta di per sé una circostanza attenuante o una scriminante. Credere che il possesso di un determinato corredo genetico possa avere un rapporto di causalità diretta con la diminuzione della capacità di intendere e di volere è secondo lo studioso statunitense il rischio più pericoloso che corre chi tenta di mettere in relazione i risultati scientifici con la valutazione della responsabilità penale. Questo rischio, definito da Morse già da tempo «the „fundamental psycholegal error‟»461 ovvero proprio l‟errore in cui sarebbero caduti anche i periti e i giudici italiani nei casi esaminati. 6. Neuro-scettici versus Neuro-ottimisti S.J. Morse, Genetics and Criminal Responsibility, in «Trends in Cognitive Sciences», 2011, September, vol. 15, n. 9 – numero speciale “The Genetics of Cognition”, pp. 378-380. Analoghe considerazioni sono rintracciabili anche in Id., Gene-Environment Interactions, Criminal Responsibility, and Sentencing, K.A. Dodge, M. Rutter (a cura di), Gene-Environment Interactions in Developmental Psychopathology, Guilford Press, New York-London 2011, pp. 207-234. 461 S.J. Morse, Genetics and Criminal Responsibility, cit., p. 379. Definizione già presente in Id, Culpability and Control, in «University of Pennsylvania Law Review, 1994, n. 142, pp. 1587-1660. 460 141 Cosa cambia, dunque, nei tribunali con l‟ingresso dei neuroscienziati? I giudici tenuti a vagliare la responsabilità penale sono destinati ad essere soppiantati da quest‟ultimi che al loro posto “scriverebbero” le sentenze di condanna o assoluzione? Il diritto, e in particolare quello penale, è destinato ad essere stravolto dalle nuove tecnologie e della crescente attenzione riservata alla neurologia e alla genetica o le vecchie categorie giuridiche devono solamente mutare pelle per adattarsi, in maniera silente e camaleontica, ad esse? Al di là delle diverse sfumature, il dibattito sviluppatosi a partire dai casi giurisprudenziali di Trieste e di Como non fa altro che ricalcare quello più ampio e articolato sul rapporto tra neuroscienze e diritto penale, in cui si contendono il campo due approcci, che potremmo definire, non senza un azzardo, “neuroottimista” e “neuro-scettico”. Secondo il primo approccio, le neuroscienze finalmente scardinano del tutto le antiche e immutabili certezze del diritto, come l‟esistenza del libero arbitrio a fondamento del diritto di punire. Viceversa, secondo i “neuroscettici”, le categorie giuridiche e quelle scientifiche rimarranno quelle di sempre anche dopo i vorticosi progressi delle neuroscienze. Rappresentativa della prima corrente è senza dubbio la posizione di Joshua Greene e Jonathan Cohen462, i quali sostengono che l‟utilizzo delle neuroscienze in campo giuridico cambia “tutto e nulla”, nel senso che esse riusciranno a decostruire ab imis il nostro approccio al diritto penale, squarciando il velo di ignoranza che ci impedisce di capire quanto sia illusorio il concetto J.D. Greene, J.D. Cohen, For the law, neuroscience change nothing and everything, in «Philosophical Transactions of the Royal Society of London B» (Special Issue on Law and the Brain), 2004, vol. 359, pp. 1775-1785. 462 142 di libero arbitrio e, di conseguenza, quanto sia fallace la nozione retributiva di responsabilità penale basata su tale evanescente concetto. Altre posizioni “neuro-ottimiste” sono rintracciabili anche nella riflessione di Abigail Baird e Johnathan Fugelsang che valorizzano - sulla scorta della nota decisione statunitense sulla pena di morte nei confronti di imputati minorenni - la funzione garantista, delle nuove tecniche di neuroimmagine nei processi che coinvolgono minori, qualora esse siano utilizzate per dimostrare scientificamente lo scarso livello di sviluppo del cervello degli adolescenti463. Gli argomenti adottati da questa corrente di pensiero molto spesso risultano permeati da un anelito, vero o presunto, di “giustizia”, in quanto le neuroscienze dovrebbero, da un lato, far diminuire i casi di errori giudiziari (specie in paesi in cui è ancora presente la pena di morte) e, dall‟altro, far aumentare le garanzie degli imputati, soprattutto in una delle fasi più delicate del processo penale: l‟accertamento dell‟elemento soggettivo del reato (mens rea). Nella stessa direzione si muovono alcuni neuroscienziati che non si limitano ad auspicarne un loro intervento solo nella fase processuale ma ritenendo che il loro apporto sia fondamentale a partire dalla fase legislativa464 e, dal punto di vista penale, da quella general-preventiva465. In netta A.A. Baird, J.A. Fugelsand, The emergence of consequential thought: evidence from neuro science, in «Philosophical Transactions of the Royal Society of London B» (Special Issue on Law and the Brain), 2004, vol. 359, pp. 17971804. 464 Cfr. O.D. Jones, Law, evolution and brain: applications and open questions, in «Philosophical Transactions of the Royal Society of London B» (Special Issue on Law and the Brain), 2004, vol. 359, p. 1700. 465 Secondo tale approccio, le neuroscienze, sovvertendo le vecchie credenze sulla natura umana e mostrando in maniera indiscutibile quali siano i meccanismi della decisione e dell‟autodeterminazione, potrebbero avere anche la funzione pedagogica positiva di «aiutare a pianificare gli sforzi educativi per spingere verso una protezione delle giovani generazioni dalla diffusione 463 143 contrapposizione a tale approccio si pongono i “neuro-scettici”, tra i quali un ruolo di spicco è rivestito, senza ombra di dubbio, da Stephen Morse, il quale, come si può già intuire dalle sue prese di posizione in merito ai casi Bayout e Albertani, afferma che le tecniche propugnate dai neuroscienziati, per quanto evolute e raffinate, non potranno mai sostituire il giudice nella sua valutazione della responsabilità penale, poiché «brains do not commit crimes; people commit crimes»466. Secondo Morse, nonostante gli attuali sviluppi scientifici, sono ancora pochissime le anomalie cerebrali accertate in maniera inoppugnabile tali da eliminare del tutto il livello minimo di razionalità giuridicamente rilevante ai fini del giudizio di imputabilità. Viceversa, solo un vero e proprio capovolgimento del concetto di “persona” (personhood) potrebbe causare una reale rivoluzione dell‟intero sistema giuridico e giudiziario467. Morse dunque ritiene non solo eccessive le speranze ed i timori suscitati dalla “rivoluzione neuroscientista”, ma stigmatizza a tal punto l‟atteggiamento di coloro che enfatizzano oltremodo il ruolo del cervello nella commissione del reato tanto da considerarlo una vera e propria psicosi definibile Brain Overclaim Syndrome (BOS)468. Decisamente critica anche la criminologa Isabella Merzagora Betsos, la quale – fermamente convinta dell‟impossibilità di poter verificare il tema della libertà dell‟irrazionalità» (G. Corbellini, Quale neurofilosofia per la neuroetica? in A. Santosuosso (a cura di), Le neuroscienze e il diritto, cit., p. 79). 466 S.J. Morse, Brain Overclaim Syndrome and Criminal Responsibility: A Diagnostic Note, in in «Ohio State Journal of Criminal Law», 2006, vol.3, p. 397. 467 S.J. Morse, Moral and Legal Responsibility and the New Neuroscience, in J. Illes (a cura di), Neuroethics. Defining the Issues in Theory, Practice, and Policy, Oxford University Press, Oxford 2006, pp. 33-50. 468 S.J. Morse, New neuroscience, old problems: legal implications of brain science, in «Cerebrum», 2004 Fall, vol. 6, pp. 81-90 e Id., Brain Overclaim Syndrome and Criminal Responsibility: A Diagnostic Note, in «Ohio State Journal of Criminal Law», 2006, vol.3, pp. 397-412. 144 su basi unicamente empiriche – è recentemente intervenuta nel dibattito affermando con chiarezza che «noi non siamo (solo) il nostro cervello e non siamo (sempre) determinati perché in quanto umani abbiamo scopi e fini, motivi e ragioni, talora anche piuttosto complicati, magari plurimotivati, non di rado razionalizzati»469. Il bersaglio polemico della Merzagora è proprio la tesi di Greene e Cohen che, posta l‟illusorietà del libero arbitrio, propongono di abbandonare la prospettiva retributivistica a vantaggio di quella consequenzialista che prevede di continuare a ritenere le persone responsabili e quindi punirle per esigenze di deterrenza e difesa sociale. La criminologa giudica senza mezzi termini questo punto di vista «inquietante» poiché sovverte del tutto un‟idea di diritto «basato (anche) sulla rimproverabilità del fatto, e magari sull‟imperativo kantiano di trattare l‟uomo sempre come fine e giammai come mezzo»470, proponendo, invece, ai fini della valutazione dell‟imputabilità, un modello di “perizia globale” che tenga presente il «logos criminologico»471, cioè il racconto, la narrazione e ogni elemento prettamente umano che sfugge alle sofisticate tecniche propugnate dai neuroscienziati che riescono a carpire il cervello e non la persona. Lo stesso scetticismo pervade anche la riflessione di Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà, i quali in un provocatorio pamphlet denunciano il tentativo da parte dei neuroscienziati di «scavalcare 469 I. Merzagora Betsos, De servo arbitrio, ovvero: le neuroscienze ci libereranno dal pesante fardello della libertà?, in «Rassegna Italiana di Criminologia», 2011, n. 1 p. 11. 470 I. Merzagora Betsos, Il colpevole è il cervello: imputabilità, neuroscienze, libero arbitrio: dalla teorizzazione alla realtà, in «Rivista Italiana di Medicina Legale», 2011, n. 1, p. 179. 471 Ivi, p. 205. 145 la mente, l‟oggetto di studio della psicologia»472, grazie alla mania sempre crescente di anteporre il suffisso “neuro”473 a discipline antiche e nobili. In questo approccio è possibile far rientrare, seppure con alcune differenze d‟impostazione, l‟opinione di alcuni neuroscienziati che cercano di smorzare i toni a dir poco entusiastici ed enfatici della maggior parte dei propri colleghi, che credono ormai sia vicino il giorno in cui possano ritenersi definitivamente disvelati tutti i misteri della coscienza umana semplicemente osservando il funzionamento del cervello. Un esempio emblematico, in tal senso è rintracciabile nella tesi sostenuta dal geriatra britannico Raymond Tallis, che contesta alla radice l‟equazione “mente = macchina”474, evidenziando come molti aspetti della coscienza ordinaria sfuggono alla spiegazione neurologica, non tanto per limiti tecnici facilmente superabili, ma per l‟impossibilità di misurare oggettivamente la coscienza soggettiva in termini quantitativi astratti. Non sarebbe possibile, avverte Tallis, ricostruire eventi passati di un soggetto mediante neuroimmagine visto che le sinapsi, in quanto strutture fisiche, lavorano solo “a stati presenti”475. Le stesse perplessità sono manifestate in Italia anche dal filosofo morale Massimo Reichlin il quale ha osservato come registrare l‟attività elettroencefalografica non significa aver „carpito‟ i pensieri in quanto se è vero che essi si P. Legrenzi, C. Umiltà, Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo, Il Mulino, Bologna 2009, pp.9-10. 473 Per un inquadramento generale delle discipline rientranti nella categoria generale di neuroscienze cfr. da ultimo, E. Picozza, Neuroscienze, scienze della natura e scienze sociali, in E. Picozza, L. Capraro, V. Cuzzocrea, D. Terracina, Neurodiritto. Una introduzione, Giappichelli, Torino 2011, pp. 1-20. 474 R. Tallis, Why the mind is not a computer: a pocket lexicon of neuromythology, Imprint Academic, Exeter, 20042 . 475 R. Tallis, You won't find consciousness in the brain, in «New Scientist», 09.01.2010, vol. 2742, pp. 28-29. 472 146 formano nell‟encefalo, non è affatto detto che siano leggibili, ossia che all‟attività cerebrale si possa far corrispondere un significato definito e univoco476. L‟applicazione di tali tesi nell‟ambito giuridico comporta l‟inutilità e la fallacia dell‟utilizzo delle tecnologie dei neuroscienziati ai fini dell‟accertamento della capacità di intendere e di volere; se quanto teorizzato da Tallis fosse vero, infatti, non si vede che senso avrebbe sottoporre gli imputati ad uno scanning cerebrale, dopo molti anni dalla commissione del delitto. Non è un caso, che le maggiori perplessità e preoccupazioni destate dall‟utilizzo delle neurotecnologie in ambito forense, sono per l‟appunto, rivolte al giudizio di imputabilità penale477, cioè la capacità di intendere e di volere ex art. 85 c.p.478, basato nel nostro Paese, come nella maggior parte dei Paesi europei, sul modello c.d. misto479 che combina l‟accertamento a livello patologico (empirico) con quello psicologico-normativo480. Al di là delle travagliate Cfr. M. Reichlin, Le neuroscienze al vaglio dell'etica, in «Aggiornamenti Sociali», febbraio 2007, Vol. 58, n. 2, pp. 106-118. Tali considerazioni vengono inoltre sviluppate e ampliate da ultimo in Id., Etica delle neuroscienze e neuroscienze dell‘etica, in V. A. Sironi, M. Di Francesco, Neuroetica. La nuova sfida delle neuroscienze, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 43-68. 477 Sulla definizione del concetto di imputabilità si veda almeno, A. Crespi, voce Imputabilità (diritto penale), in «Enciclopedia del diritto», Giuffré, Milano, 1970, vol. XX, pp. 764 ss; G. Marini, voce Imputabilità, in «Digesto delle discipline penalistiche», Utet, Torino 1992, vol. VI, pp. 250 ss; M. Romano, G. Grasso, Commentario sistematico del codice penale, Giuffrè, Milano 1996, vol. II, p. 1 e G. Fiandaca, E. Musco, Diritto penale. Parte generale, Zanichelli, Bologna 20023 pp. 284-289. In maniera più specifica, invece, sul rapporto tra tale concetto e la sua trasformazione con l‟impatto delle neurotecnologie, v. L. Sammicheli, G. Sartori, Neuroscienze e imputabilità, in L. de Cataldo Neuburger, La prova scientifica nel diritto penale, cit., pp. 335-357. 478 V. amplius, M. Romano, Pre-art. 85 c.p., in M. Romano, G. Grasso, Commentario sistematico al codice penale, vol. II, Giuffré, Milano 2005, p. 1 ss. 479 Cfr. T. Bandini, M. Lagazzi, Le basi normative e le prospettive della perizia psichiatrica nella realtà europea contemporanea: l‘imputabilità del sofferente psichico autore di reato, in A. Ceretti, I. Merzagora, Questioni sull‘imputabilità, Cedam, Padova 1994, p. 54. 480 Su tale aspetti, si rinvia a D. Pulitanò, L‘imputabilità come problema giuridico, in O. De Leonardis, G. Gallio, D. Mauri, T. Pitch (a cura di), Curare e 476 147 vicende interpretative del concetto di malattia mentale481 susseguitesi nel tempo, il superamento del modello di stampo prettamente organicistico è ormai avvenuto con la storica sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 2005482 che, per la prima volta, ha ammesso nel nostro sistema la possibilità di considerare anche i disturbi della personalità come infermità mentale, ampliando così il concetto di vizio di mente rilevante penalmente ben oltre precise classificazioni di carattere clinico483. Al contrario, le neuroscienze potrebbero riportarci ad adottare nuovamente un paradigma organicistico che renderebbe difficile, se non impossibile, la fuga da un “distorto naturalismo”. Ciò rischierebbe di farci ricadere nella «‟saturazione di empiria‟ di un punire, Problemi e innovazioni nei rapporti tra psichiatria e giustizia penale Unicopli, Milano, 1988, p. 130. 481 Volendo sintetizzare i modelli che si sono susseguiti sono i seguenti: a) modello “integrato” basato sul rifiuto di ogni forma di determinismo sia biologico sia sociale, che prende in considerazione l‟interazione dei vari fattori biologici, sociali e psicologici; b) modello della psichiatria biologica che intende “rifondare” e riattualizzare l‟approccio rigorosamente biologico propugnato nell‟Ottocento grazie alle nuove scoperte dell‟ingegneria genetica e della neurologia,; c) paradigma di tipo dinamico-strutturale, propendente ad una psicologizzazione del concetto di malattia mentale; d) modello propugnato della “nuova psichiatria nosografica” basato su una piattaforma concettuale condivisa tra le varie scuole. Per un‟attenta ricostruzione storico-giuridica del concetto di malattia mentale cfr., per tutti, U. Fornari, Nozione di malattia, valore di malattia, vizio di mente e problemi nel trattamento dell'autore di reato, in «Rivista sperimentale di freniatria e medicina legale delle alienazioni mentali», 1987, vol. CXI, fasc. V, pp. 1043 e ss., Id., Improvviso furore, coscienza e volontà dell'atto: storia di un concetto, in «Rivista sperimentale di freniatria e medicina legale delle alienazioni mentali», 1987, vol. CXI, fasc. VI, pp. 1325 e ss. nonché M. Bertolino, Il caso Chiatti - Il nuovo modello di imputabilità penale. Dal modello positivistico del controllo sociale a quello funzional-garantista, in «Indice Penale», 1998, fasc. 2, vol. 1, pp. 367-422. 482 Corte di Cassazione, S.U., 25.01.2005-08.03.2005, n. 9163, in «Diritto penale e processo», 2005, fasc. 7, p. 837 ss. 483 Vedi, tra gli altri, M.T. Collica, Vizio di mente: nozione, accertamento e prospettive, Giappichelli, Torino 2007. 148 modello esplicativo»484 di imputabilità che, pur lasciando molto spazio alle scienze empiriche, non può, in ogni caso, esaurirsi in esse. Secondo tale tesi, non sempre i disturbi psichici lasciano una “traccia cerebrale”, come accade, ad esempio, in quei disturbi di natura del tutto transitoria come le “reazioni a corto circuito”485. È chiaro allora che la questione dell‟imputabilità e della responsabilità penale, posta oggi al vaglio di neuroscienziati e giuristi, sottintende la soluzione di un nodo problematico ben più arduo da sciogliere: l‟eterna domanda sull‟esistenza del libero arbitrio nell‟uomo e, in più generale, della tensione tra determinismo e libertà, vera e propria posta in gioco del dibattito tra scienza e umanesimo oggi. Ma trattare in maniera sistematica ed esaustiva i problemi relativi al libero arbitrio vuol dire486, ricostruire l‟intera storia della filosofia e delle religioni, per cui qui ci limiteremo a dei brevissimi cenni sul rapporto tra neuroscienze e libero arbitrio e al suo impatto sul diritto penale, cercando di scoprire le “radici” ottocentesche di tale dibattito487. M. Bertolino, Il ―breve‖ cammino del vizio di mente. Un ritorno al paradigma organicistico?, in «Criminalia», 2008, p. 330 485 Ivi, p. 127. 486 Cfr. G. Ponti, I. Merzagora, La responsabilità morale in criminologia fra libero arbitrio e determinismo. Argomenti per una discussione, in A. Ceretti, I. Merzagora (a cura di), Criminologia e responsabilità morale, cit., p. 7. 487 Per un‟analisi dei rapporti tra neuroscienze, neuroetica e diritto penale cfr. O. Di Giovine, Un diritto penale empatico? Diritto penale, bioetica e neuroetica, Giappichelli, Torino 2009, pp. 183-208 e, da ultimo, Id., Chi ha paura delle neuroscienze?, in «Archivio Penale», 2011, n. 3, pp. 1-19. 484 149 CAPITOLO IV LIBERO ARBITRIO TRA SCIENZA E DIRITTO IERI E OGGI 150 «Volontà» […] si stenta a credere che una parola possa contenere tanta filosofia. Franco Cordero – Gli Osservanti (1967) 1. Libero arbitrio e determinismo: nuove luci su una vexata quaestio Nonostante vi sia chi ritenga già da tempo che il libero arbitrio sia un falso problema per il diritto488 o una falsa battaglia489 che serve come un‟azione di disturbo per nascondere le questioni sostanziali, il dibattito su determinismo490 e libertà, specie con gli ultimi sviluppi delle neuroscienze, può dirsi oggi tutt‟altro che sopito, almeno per quanto riguarda le sue implicazioni giuridiche e le sue ricadute sul sistema di diritto penale. Oggi come allora, ad un approccio che nega il libero arbitrio e afferma il determinismo si accompagna inevitabilmente un effetto deresponsabilizzante, con l‟ambivalente conseguenza del venir meno della rimproverabilità nei confronti del reo, che, da un lato, non può essere biasimato per un‟azione che non ha realmente scelto di compiere, ma dall‟altro, è considerato un‟inquietante ed oscura minaccia per la società, da neutralizzare in qualche modo. L‟esempio più emblematico di Già nel 1924 Ugo Spirito osservava come, pur avendo la critica mossa alla concezione del libero arbitrio un fondamento indiscutibile, tuttavia Ferri non si era «accorto ch‟egli combatteva ormai contro un nemico già sconfitto e che tutto l‟idealismo moderno aveva affermato un nuovo concetto di libertà come legge e cioè come sintesi di necessità e libertà […] Il libero arbitrio era stato debellato da un pezzo, ma i classicisti come i positivisti non ne erano al corrente e non ne sono ancor oggi informati» (U. Spirito, Storia del diritto penale italiano da Cesare Beccaria ai giorni nostri, Sansoni, Firenze 19743, p. 158). 489 Cfr. P. Becker, Lombroso come «luogo della memoria» della criminologia, in S. Montaldo, Cesare Lombroso. Gli scienziati e la nuova Italia, cit., p. 39. 490 Per un primo inquadramento della storia del concetto di determinismo cfr. da ultimo, M. Priarolo, Il determinismo. Storia di un‘idea, Carocci, Roma 2011. 488 151 questo atteggiamento così altalenante è la riflessione di Cesare Lombroso che, a partire dalla celebre “scoperta” della fossetta occipitale mediana nel cranio del brigante calabrese Villella, teorizza la difformità dei delinquenti rispetto agli individui cosiddetti “normali” ritenendo che l‟uomo delinquente sia fin dalla nascita «una varietà infelice di uomo […] più patologica dell‟alienato». L‟affannosa ricerca di Lombroso sui corpi e sui volti di detenuti e folli delle stigmate inequivocabili della devianza, prove inconfutabili che l‟uomo delinquente sia già predeterminato a commettere il male poiché biologicamente diverso491 dagli altri esseri umani, lo impegnerà tutta la vita e lo porterà a spiegare tale diversità mediante l‟atavismo riducendo i delinquenti al primitivo e al ferino e definendoli naturalmente incorreggibili e pericolosi per la società. Così, se per un verso Lombroso invoca un miglioramento delle condizioni carcerarie e un mitigamento delle pene – in quanto inefficaci e dunque inutile incrudelimento – per l‟altro risulta favorevole, in certi casi, alla pena di morte ritenendo che «la rivelazione che vi sono esseri, come i delinquenti-nati, nati pel male, organizzati pel male, riproduzioni atavistiche non solo degli uomini più selvaggi, ma perfino degli animali più feroci, dei carnivori e dei rosicchianti, lungi, come si pretende, dal doverci rendere più compassionevoli verso loro, ci corazza contro ogni pietà: poiché essi non appaion più nostri simili, sono bestie feroci […] dippiù sopprimendoli salviamo non solo noi stessi, ma «È innegabile che nella nostra tradizione di pensiero (quella occidentale) la differenza sia stata descritta in termini negativi, configurandosi come una sorta di “inferiorità peggiorativa” in grado di svolgere un ruolo strutturale di conferma della superiorità del soggetto dominante su ciò che è appunto diverso, “altro”, deviante, mostruoso» (U. Fadini, La vita eccentrica. Soggetti e saperi nel mondo della rete, Dedalo, Bari 2009, p. 52). 491 152 precludiamo la nascita di esseri di loro più tristi e feroci»492. E ancora, in un altro luogo della sua riflessione Lombroso, ritorna sulla questione che sembra tormentarlo, ovvero se sia lecito punire l‟uomo se questi non è libero e che senso possono avere biasimo, ricompensa, speranza e timore, onore e disonore per chi ha agito solo perché così vuole la sua natura e così si interroga: «perché deve essere punito il ladro? Come accade che l‟asino è punito per la sua stupidità, e come accade che si uccide il cane idrofobo? Noi uccidiamo dunque chi ci danneggia? Agisce giustamente chi uccide il cane arrabbiato? Che ne può pertanto il cane della sua rabbia?»493. Le parole di Lombroso riecheggiano inevitabilmente quelle che scriveva, all‟incirca negli stessi anni, Nietzsche laddove definiva l‟irresponsabilità dell‟uomo per il suo agire e il suo essere «la goccia più amara che chi persegue la conoscenza deve inghiottire» se si pensa che «le cattive azioni che ora massimamente ci sdegnano, sono basate sull‟ipotesi erronea per cui l‟altro che ce le infligge avrebbe una volontà libera, cioè avrebbe potuto a suo arbitrio non infliggerci questo male»494, al contrario «tutte le valutazioni, scelte e avversioni, sono […] private di valore C. Lombroso, Troppo presto, in AA.VV., Appunti al nuovo codice penale, Bocca, Torino 1889, pp. 23-24. 493 C. Lombroso, Le più recenti scoperte ed applicazioni della psichiatria ed antropologia criminale, Bocca, Torino 1893, p. 385. Qui Lombroso riporta, facendole sue, le parole di Joch citate da Alfredo Frassati nel suo La nuova Scuola penale in Italia ed all‘Estero (Torino, Bocca 1891) in cui ripercorre le conquiste della Scuola lombrosiana e le sorprendenti assonanze tra le tesi sostenute da tale Scuola e quanto già affermato da autorevoli autori del passato troppo presto dimenticati, come Franz Joseph Gall o quasi del tutto sconosciuti, come Rondeau e Joch, veri e propri “precursori” degli ideali della “nuova Scuola”. 494 F. Nietzsche, Umano, troppo umano, ed. critica it. di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 200812, vol. I, p. 76 (ed. or., Menschliches, Allzumenschliches. Ein Buch für freie Geister (1878-1879), mit einem Nachwort von A. Baeumler, Kröner, Stuttgart 1964). 492 153 e divenute false: il suo più profondo sentimento, che egli tributava al martire e all‟eroe, era tributato a un errore; egli non può più lodare, non biasimare, perché è assurdo lodare e biasimare la natura e la necessità»495. Ma ancora più evidente è la somiglianza delle affermazioni lombrosiane con una celebre frase di Baruch Spinoza: «gli uomini cattivi non diventano meno temibili e pericolosi per il fatto di essere necessariamente cattivi» e come il cane idrofobo «è giustamente soppresso, così anche chi non è in grado di regolare le sue passioni e contenerle col timore delle leggi, quand‟anche sia scusabile per la sua debolezza, non può tuttavia godere della condiscendenza, della conoscenza e dell‟amore di Dio, ma necessariamente perisce»496. Ma se con Spinoza “esplode” in ambito filosofico il dibattito sul libero arbitrio, è anche vero che il dibattito ha origini ben più remote. Fin dall‟antichità, insieme alle domande sulla propria natura e sulla propria origine, l‟uomo si è sempre posto il problema dell‟esistenza o meno del libero arbitrio, ovvero se siamo in grado di porre in essere le nostre azioni senza alcuna costrizione e di accettarne le conseguenze oppure se tutto ciò che facciamo e pensiamo è già ineluttabilmente determinato esternamente. Se per molto tempo, il dibattito su libero arbitrio e determinismo è stata prerogativa di teologi e filosofi, negli ultimi decenni i progressi neuroscientifici, hanno aperto la strada all‟ingresso di nuovi interlocutori, quali scienziati, giuristi e criminologi che hanno apportato linfa nuova ad un dibattito che sembrava ormai definitivamente 495 496 chiuso, rivitalizzando e ponendo nuovi Ivi, p. 83. B. Spinoza, Epistolario, a cura di A. Droetto, Einaudi, Torino, 1951, p. 251. 154 interrogativi e inediti percorsi di ricerca. Non vogliamo qui soffermarci sulle varie teorie e dottrine filosofiche che si sono susseguite nei secoli sul libero arbitrio, anche perché sarebbe illusorio volerne fare una analisi sistematica in poche pagine ma cercheremo, invece, di mettere in luce le implicazioni giuridicofilosofiche che le scoperte dei neuroscienziati sul funzionamento cerebrale hanno sul concetto di responsabilità penale. Tali scoperte se, a prima vista, possono sembrare rilevanti solo in ambito scientifico, a ben vedere, pongono rilevanti problemi anche in ambiti umanistici e giuridici. 2. Il dibattito attuale Inevitabilmente, anche il libero arbitrio, viene ricondotto al funzionamento cerebrale: affermando che esso è solo un illusione e che ogni azione dipende esclusivamente dalla nostre connessioni sinaptiche tra neuroni, forse si sta realizzando quanto profetizzato dal matematico e astronomo francese Pierre-Simon Laplace497, secondo cui il libero arbitrio è un‟illusione destinata a scomparire quando gli esseri umani riconosceranno di essere disciplinati da leggi ferree come quelle che regolano il moto dei pianeti. Ma in che modo i neuroscienziati cercano di dimostrare che Laplace aveva ragione, convincendoci che non siamo realmente liberi di scegliere e di agire? Ovviamente la negazione del libero arbitrio non avviene Operando la distinzione tra macchine banali e macchine non banali Heinz von Foerster sperava che il mondo fosse una macchina banale ma proprio «l‟impossibilità pratica di identificare il meccanismo interno di una macchina non banale ha ispirato, nel caso dell‟uomo, la problematica nozione di libero arbitrio» (G.O. Longo, Homo technologicus, Meltemi, Roma 2005, p. 136, nota n. 12). 497 155 adducendo metafisiche argomentazioni filosofiche ma esibendo freddi e “incontestabili” dati empirici. L‟argomento più ricorrente, si basa appunto, su una serie di esperimenti (divenuti ormai dei “classici” in questa disciplina) tesi a individuare il momento esatto in cui prendiamo una decisione dal punto di vista neurofisiologico. In particolare, vengono richiamati i pionieristici studi di Benjamin Libet a cavallo tra la fine degli anni Settanta e l‟inizio degli anni Ottanta del Novecento, sul fattore temporale delle nostre decisioni. Vediamoli più nel dettaglio. 2.1 L‟orologio di Benjamin Libet Libet, sottoponendo alcuni soggetti monitorati mediante elettroencefalogramma e posti di fronte ad uno speciale orologio di sua invenzione, scopre che l‟istante in cui un soggetto diviene consapevole di compiere una determinata azione (ad es. muovere il polso) è successivo, sia pure di circa 200 millesimi di secondi, a quello in cui l‟area del cervello interessata si attiva in tal senso (c.d. potenziale di prontezza motoria). In poche parole, il nostro cervello “decide” prima che noi possiamo rendercene conto. Secondo Libet, la grande maggioranza degli impulsi sensoriali rimane inconscia perché non sviluppa nel cervello una durata sufficientemente lunga di attività neurali appropriate. Dunque il cervello sembra iniziare i propri processi circa 550 millesimi di secondi prima dell‟atto „liberamente volontario‟. Com‟è facile arguire, questi esperimenti hanno una risonanza fondamentale sul dibatto intorno al libero arbitrio poiché mostrano che «l‟avvio della preparazione che culmina in un movimento liberamente volontario 156 nasce nel cervello in modo inconscio, e che precede la consapevolezza cosciente della volontà e dell‟intenzione di “agire adesso” di circa 400 msec o più»498. Per Libet le iniziative non coscienti preposte alle azioni volontarie devono essere interpretate come un «borbottio inconscio del cervello»499. La volontà cosciente cioè seleziona quali iniziative possono continuare fino a produrre un‟azione e quali devono invece essere vietate o bloccate in modo da non manifestarsi. Ciò dimostra l‟inesistenza del libero arbitrio (free will) e l‟esistenza tutt‟al più di un libero veto (free won‘t), cioè la possibilità (volontaria) di porre un veto al compimento di una determinata azione. Tuttavia Libet critica il determinismo e conclude affermando che, in fin dei conti, sostenere l‟esistenza del libero arbitrio sia un‟opinione migliore rispetto alla sua negazione in base alla teoria deterministica delle leggi naturali. Malgrado ciò i suoi esperimenti vengono correntemente utilizzati e sviluppati dai deterministi per sostenere che è il cervello a decidere al nostro posto e, quindi, noi non siamo responsabili delle nostre azioni500. 2.2. L‟errore di Cartesio e il ritorno di Phineas Gage: le scoperte di Damasio Altri esperimenti divenuti ormai dei „classici‟ del sapere neuroscientifico sono quelli effettuati da Damasio che lo inducono a B. Libet, Mind Time. Il fattore temporale nella coscienza, Raffaello Cortina, Milano 2007, p. 145 (ed. or., Mind Time: The Temporal Factor in Consciousness, Harvard University Press, Cambridge, 2004). 499 Ivi, p. 153. 500 Sull‟impatto degli esperimenti di Libet sul concetto di responsabilità personale e giuridica, v. da ultimo, W. Sinnott-Armstrong, Lynn Nadel (eds.), Conscious Will and Responsibility: A Tribute to Benjamin Libet, Oxford University Press, New York 2011. 498 157 disvelare l‟errore di Cartesio: la separazione dualistica tra corpo e mente e tra razionalità ed emozioni. Per arrivare a tale risultato Damasio richiama il clamoroso caso di Phineas P. Gage501, ormai entrato a far parte della storia delle neuroscienze e che riguarda, com‟è noto, un uomo miracolosamente sopravvissuto ad un terribile incidente nel 1848 che gli lesionò irreversibilmente delle zone cerebrali. Gage il 13 settembre del 1848, all‟età di venticinque anni, mentre lavora alla costruzione di una linea ferroviaria nel Vermont, rimane vittima di un terribile incidente: una sbarra di ferro lunga circa un metro e mezzo, del diametro di tre centimetri e pesante sei kilogrammi, posta nella roccia con della dinamite a causa di una scintilla parte come un razzo, gli oltrepassa la guancia sinistra e fuoriesce dal parte superiore del suo cranio. La sbarra viene ritrovata sbalzata lontano all‟incirca a trenta metri dall‟incidente ma Gage riesce miracolosamente a sopravvivere. Ma nonostante pochi minuti dopo sia apparentemente cosciente e in grado di camminare, da quel momento qualcosa in lui era definitivamente mutato. All‟improvviso Gage non è più la persona educata ed amabile di prima, ma diviene scontroso, violento e totalmente privo di freni inibitori, esprimendosi addirittura in maniera sboccata e rispondendo in modo insolente ai suoi interlocutori. In altri termini ha tutti i sintomi di quella che oggi, da un punto di vista medico-clinico, viene definita “sociopatia L‟incredibile storia di Phineas P. Gage è ricostruita dettagliatamente da M. Macmillan, An Odd Kind of Fame: Stories of Phineas Gage, MIT Press, Cambridge 2000. Si veda, inoltre, per interessanti rilievi critici su tale caso, P. Becker, New Monsters on the Block? On the Return of Biological Explanations of Crime and Violence, in M.S. Hering Torres (a cura di), Cuerpos anómalos, Editorial Universidad Nacional, Bogotá 2008, pp. 270-282. 501 158 acquisita”. Tale caso, studiato già all‟epoca502, viene ripreso nel 1994 in una celebre ricerca condotta da Antonio Damasio 503 (e dalla sua équipe dell‟Università dell‟Iowa). Sottoponendo il cranio di Gage alle moderne tecniche di neuro immagine Damasio riesce a simulare al computer il percorso effettuato dalla sbarra di ferro e a localizzare il danno cerebrale nella corteccia prefrontale ventromediale (VMPFC) evidenziando così un collegamento tra danni cerebrali e comportamento aggressivo. È chiaro che il caso Gage non è rimasto isolato: le ricerche sui lobi frontali e sul nesso tra aggressività e lesioni in questa aria cerebrale a partire dagli anni Novanta del Novecento si sono intensificate moltissimo e ormai i neuroscienziati sono per lo più concordi nel ritenere che la corteccia prefrontale504 abbia un ruolo determinante nella attività cognitiva e soprattutto nella regolazione delle emozioni e delle scelte morali: «i lobi frontali sono implicati nella regolazione dell‟aggressività, e i comportamenti aggressivi scaturirebbero da Cfr. J. M. Harlow, Passage of an iron rod through the head, «Boston Medical and Surgical Journal» 1848, vol. 39, n. 20, December 13, 1848, pp. 389393, ora anche in «The Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences» 11, 2, Spring 1999, pp. 281-283. 503 H. Damasio, T. Grabowski, R. Frank, A.M. Galaburda, A.R. Damasio, The return of Phineas Gage: clues about the brain from the skull of a famous patient, in «Science», 1994, vol. 264, n. 5162, pp. 1102-1105. Tale studio venne poi ripreso e sviluppato nella famosa trilogia, A. R. Damasio, L'errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano 1995, pp. 31-70 (ed. or., Descartes‘ Error. Emotion, Reason, and the Human Brain, Putnam, New York 1994) Id., Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000 (ed. or., The Feeling of What Happens. Body and Emotion in the Making of Consciousness, Harcourt, New York 1999); Id. Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello, Adelphi, Milano 2003 (ed. or., Looking for Spinoza: Joy, Sorrow, and the Feeling Brain, Harcourt, New York 2003). 504 V. per tutti, R.M. Sapolsky, The frontal cortex and the criminal justice system, in S. Zeki, O. Goodenough (a cura di), Law and the Brain, Oxford University Press, New York 2006, pp. 227-243. 502 159 un diminuito o inefficace reclutamento di tali circuiti»505. Ma la tesi che determinati comportamenti antisociali o violenti derivino direttamente dalla conformazione e/o dall‟integrità del nostro cervello, come ogni “scoperta”, non rimane confinata nell‟apparentemente neutro ambito scientifico e finisce, prima o poi, per invadere anche gli altri campi del sapere. Così dai laboratori scientifici alle aule dei tribunali il passo è breve. Che succede, se un Phineas Gage del Nuovo Millennio commette un omicidio? Deve essere ritenuto responsabile penalmente o no? Damasio pare non avere dubbi a tal riguardo e facendo riferimento ad un suo paziente, Elliot, affetto da gravi lesioni ai lobi frontali (tanto da essere ribattezzato “un moderno Phineas Gage”) ritiene che sia patologicamente irresponsabile proprio perché privo di libero arbitrio: «con questo soggetto, sano ed intelligente, la tragedia era che, pur non essendo né stupido né ignorante, egli agiva come se lo fosse. L‟elaborazione suoi processi decisionali era talmente compromessa che egli non poteva più porsi come un essere sociale efficiente. Anche di fronte ai risultati catastrofici delle sue decisioni, Elliot non imparava dai suoi errori: sembrava che fosse oltre ogni possibile redenzione, come il malfattore incallito che dichiara il proprio rincrescimento, ma subito dopo torna a commettere l‟ennesimo reato. È corretto affermare che era stato compromesso il suo libero arbitrio»506. 505P. Pietrini, V. Bambini, Homo Ferox: il contributo delle neuroscienze alla comprensione dei comportamenti aggressivi e criminali, in A. Bianchi, G. Gulotta, G. Sartori (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, cit., p. 53. 506 A. R. Damasio, L'errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, cit. p. 76. 160 2.3 Oltre Libet e Damasio, posizioni consolidate e prospettive future: Kiehl, Haggard, Haynes Le ricerche di Libet e Damasio sono senz‟altro le più citate e dibattute ma non sono rimaste isolate. In linea di continuità con gli esperimenti sul fattore temporale della decisione cosciente si collocano gli studi condotti tra Germania e Belgio da un gruppo di neuroscienziati sotto la guida di Chun Siong Soon e John-Dylan Haynes507. Tale équipe mediante le tecniche di brain imaging non solo ha confermato l‟intuizione di Libet, secondo cui il momento in cui il soggetto è consapevole di voler effettuare un movimento è successivo a quello in cui avviene la scelta inconsciamente, ma è riuscita addirittura ad andare ben oltre: già alcuni secondi prima di prendere una decisione consapevolmente essa può essere prevista osservando l‟attività inconscia del cervello. In particolare, è stato chiesto ai partecipanti di scegliere di premere un pulsante con la mano destra o con la mano sinistra. Circa 7 secondi prima che i partecipanti avessero la consapevolezza di voler premere l‟uno o l‟altro pulsante, era possibile prevedere tale scelta mediante il brain scanner che monitorava la loro attività cerebrale, tant‟è che Haynes così sintetizza, non senza enfasi, i risultati di tale ricerca: “posso prevedere quel che farai”508. Secondo tale studio, dunque, il cervello avrebbe già deciso prima di averne consapevolezza, quale mano muovere. Il libero arbitrio non sarebbe altro, dunque, che C.S. Soon, M. Brass, H.-J. Heinze, J.-D. Haynes, Unconscious determinants of free decisions in the human brain, in «Nature Neuroscience», May 2008, Vol. 11, n. 5, pp. 543-545. 508 J.-D. Haynes, Posso prevedere quello che farai, in in M. De Caro, A. Lavazza, G. Sartori (a cura di), Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio, cit., pp. 5-19. 507 161 una credenza profondamente radicata nei nostri pensieri e nel nostro comportamento509. Ma anche laddove non si riesca a sostenere apertamente l‟inesistenza del libero arbitrio, a detta dei ricercatori che hanno effettuato tale studio, ciò sarebbe la conferma dell‟esistenza di processi che si verificano automaticamente e senza il coinvolgimento della coscienza, il che risulta a dir poco rilevante, in ambito giuridico nella valutazione della responsabilità penale dei reati c.d. d‟impeto o a corto circuito in cui il comportamento antisociale e violento è repentino e imprevisto. Nella stessa direzione sembra orientata anche la ricerca svolta dal neuroscienziato britannico Patrick Haggard, il quale non usa mezzi termini quando afferma che non ci sono dubbi che gli uomini siano privi di libero arbitrio, almeno nel senso comunemente inteso510. Secondo Haggard le nostre azioni sono chiaramente il risultato di una catena causale dell‟attività neurale delle aree premotorie e motorie del cervello ed in linea con quanto affermato da Haynes e colleghi, sostiene che l‟attività motoria nel cervello precede la nostra consapevolezza di voler effettuare il movimento. In particolare, Haggard ha cercato di comprendere le basi neurali della percezione umana del controllo sulle nostre azioni e ciò l‟ha portato ad affermare che non tutte ciò che facciamo può essere controllato interamente dalla nostra volontà. Mediante l‟utilizzo della Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), un metodo non invasivo per causare una depolarizzazione dei neuroni nel cervello mediante l‟induzione elettromagnetica per indurre deboli correnti elettriche mediante un campo magnetico, Haggard è riuscito non Ivi, p. 6. Cfr. T. Chivers, Neuroscience, free will and determinism: 'I'm just a machine', in «The Telegraph», 12 October 2010, cit. 509 510 162 solo a misurare i tempi di reazione tra l‟impulso ad agire e la consapevolezza di tale impulso ma a “controllare” il corpo del soggetto agente, come se fosse una marionetta, costringendolo ad esempio a piegare o oscillare un dito “a comando”511. Se i risultati di tale ricerca sembrano riecheggiare inevitabilmente il settecentesco uomo macchina di Le Mettrie, altri studi invece, sembrano dipingere gli uomini più come i fantascientifici cyborg o replicanti creati dalla mente di Philip Dick. Come i replicanti del film Blade Runner, perfettamente identici agli umani si distinguono da questi ultimi per la loro freddezza e incapacità di provare empatia512, allo stesso modo i criminali psicopatici studiati dal neuroscienziato statunitense Kent Kiehl sembrano differenziarsi dagli altri esseri umani, poiché nel loro cervello, come in quello dei serial killer, mancherebbe la connessione fra il sistema limbico (sede delle emozioni) e la corteccia prefrontale (che controlla le pulsioni incluse quelle aggressive) 513 o in altri casi, il sistema paralimbinco (il gruppo di strutture cerebrali coinvolte nell‟elaborazione delle emozioni) risulterebbe alla risonanza magnetica funzionale, eccessivamente sottosviluppato514. Da ciò deriverebbe la loro caratteristica principale: la «carenza di T. Kimura, P. Haggard, H. Gomi, Transcranial Magnetic Stimulation over Sensorimotor Cortex Disrupts Anticipatory Reflex Gain Modulation for Skilled Action, in «The Journal of Neuroscience», 6 September 2006 Vol. 26, n. 36, pp. 9272–9281 512 A tal riguardo si rinvia a S. Baron-Cohen, The Science Of Evil. On Empathy And The Origins Of Cruelty, Basic Books, New York 2011 nonché, per un approccio filosofico, L. Boella, Neuroetica. La morale prima della morale, Raffaello Cortina, Milano 2008, pp. 87-104. 513 Cfr. G. Miller, Investigating the Psychopathic Mind, in «Science», vol. 321, n. 325, 05.09.2008, pp. 1284-1286. 514 K. A. Kiehl, J. W. Buckholtz, Nella mente di uno psicopatico, in «Mente & Cervello», marzo 2011, n. 75, p.73. (Id., A Cognitive Neuroscience Perspective on Psycopathy: Evidence for Paralimbic System Dysfunction, in «Psychiatry Research», 2006, vol. 142). 511 163 empatia»515. Gli psicopatici – alla stregua degli androidi – hanno solo le sembianze esterne di normalità, in quanto posseggono una sorta di “maschera di sanità mentale” dietro cui si nasconde l‟impossibilità di provare emozioni né di immedesimarsi in quelle degli altri. Il controverso neuroscienziato dell'Università del New Messico, conduce la sua ricerca, che va avanti da quasi venti anni, in maniera così frenetica e maniacale da indurlo ad utilizzare uno scanner mobile posto all‟interno di un camper parcheggiato nel cortile di un carcere di massima sicurezza del New Messico. Di recente la sua notorietà si è accresciuta per il fatto di essere stato perito di parte nel celebre caso giudiziario di Brian Dugan, accusato di aver violentato e barbaramente ucciso fra il 1983 e il 1985 una ragazza ventisettenne e due bambine di dieci e sette anni. La difesa di Dugan - attualmente detenuto nel braccio della morte - nel tentativo di evitare la pena capitale, ha chiesto di poter utilizzare i dati derivanti dalla fMRI effettuata sul suo cervello come “circostanza attenuante”, dimostrando come essendo psicopatico il suo cervello differisce da quello delle persone 'normali‟516. Le ricerche di Kiehl non sono comunque isolate. Da decenni anche il neuroscienziato statunitense Adrian Raine teorizza la diversità tra i cervelli dei soggetti incensurati e quelli dei criminali violenti e psicopatici, sostenendo che questi ultimi a causa di malformazioni cerebrali sono incapaci di provare emozioni ed empatia517, Ivi, p.69. Cfr. J. Seabrook, Suffering souls. The search for the roots of psychopathy, in «The New Yorker», 10.11.2008, pp. 64-73. 517 A. Raine, Antisocial behavior and psycophysiology: a bisocial perspective and a prefrontal dysfuction hypotesis, in D. Stroff, J. Brieling, J. Masser (eds.), Handbook of Antisocial Behavior, Wiley, New York 1998, pp. 289-304. 515 516 164 concludendo che tali soggetti, pur non essendo deliranti o poco intelligenti nascano già come uomini “senza morale”518. A queste ricerche sulla struttura cerebrale dei delinquenti si affiancano quelle sempre più fiorenti sul nesso tra comportamento aggressivo e corredo genetico, che hanno tra l‟altro ispirato, come abbiamo visto, il caso di Trieste. 3. Se siamo privi di libero arbitrio possiamo essere condannati? L‟interrogativo che nasce spontaneo è dunque il seguente: se questi soggetti non hanno scelto liberamente il male ma hanno commesso delitti atroci per “colpa del proprio cervello” o dei loro geni è giusto punirli? Secondo una cospicua parte di filosofi della mente e neuroscienziati la risposta è negativa. Non sembra avere dubbi ad esempio la neuroscienziata cognitiva Martha Farah, secondo cui, se le nostre azioni sono determinate in toto dal funzionamento del nostro cervello (a sua volta determinato da un‟interazione tra geni ed esperienza) allora il nostro comportamento è istintuale ed automatico come può essere il risultato di un riflesso rotuleo, per cui diviene impossibile biasimare (e punire) una persona per aver tenuto un determinato comportamento519. Della stessa opinione anche Greene e Cohen520, i quali affermano icasticamente come disapprovare o encomiare il M. S. Gazzaniga, Human, Cortina, Milano 2009, pp. 185-186. M.J. Farah, Neuroethics: the practical and the philosophical, in «Trends in Cognitive Sciences», January 2005, Vol.9, n. 1, pp. 34-40. 520 J.D. Greene, J.D. Cohen, For the law, neuroscience change nothing and everything, in «Philosophical Transactions of the Royal Society of London B» (Special Issue on Law and the Brain), 2004, vol. 359, pp. 1775-1785. 518 519 165 comportamento degli individui, in quanto “sistemi fisici” equivalga a condannare o lodare quello di un “mattone”521. Quest‟ultimi fanno parte della corrente, più oltranzista, che vede nelle neuroscienze una rivoluzione copernicana destinata a spazzare con la scienza antiche superstizioni, decostruendo ab imis il nostro approccio al diritto penale, squarciando il velo di ignoranza che ci impedisce di capire quanto sia illusorio il concetto di libero arbitrio e, di conseguenza, quanto sia fallace la nozione retributiva di responsabilità penale basata su tale evanescente concetto. Secondo i “deterministi radicali” (hard determinism), il problema della responsabilità penale risiede nella concezione del tutto fallace del rapporto mente-cervello posta alla base delle teorie retributivistiche, che adottano un approccio di tipo “libertario” della mente umana e un modello “dualista” della relazione mentecervello522. Questo modello, presupponendo l‟esistenza di una mente libera (nel senso di “non causata”), è in contrasto con le fondamentali leggi della fisica. Ne deriva che il libero arbitrio non è nient‟altro che una pura illusione psicologica, come ha provocatoriamente sostenuto Daniel M. Wegner, docente di psicologia all‟Università di Harvard ed autore di un libro dall‟emblematico titolo The Illusion of Conscious Will523. Basandosi, tra l‟altro, sulle ricerche effettuate da Gordon Banks524 sui pazienti affetti dalla Sindrome della mano aliena e da Steven Ivi, p. 1782. Ivi, p. 1777. 523 D.M. Wegner, The Illusion of Conscious Will, MIT Press, Cambridge, 2002. 524 G. Banks, P. Short, A.J. Martinez, R. Latchaw, G. Ratcliff, F. Boller, The Alien Hand Syndrome: Clinical and Postmortem Finding, in «Archives of Neurology», 1989, vol. 46, pp. 456-459. 521 522 166 J. Lynn525 sulla mancanza di volontà nei soggetti sottoposti ad ipnosi, Wegner sostiene che l‟uomo ha solo la sensazione interiore di voler compiere una determinata azione, di fatto causata da altri fattori: «la volontà è un sentimento (feeling), in modo non diverso dalla felicità, dalla tristezza, dall‟ansia o dal disgusto»526. Questa “esperienza della volontà” ci fa illudere di aver causato gli eventi regalandoci un‘emozione di paternità. Nello stesso senso, seppure con alcune differenze, sembra essere orientato anche John Searle, il quale evocando il mito di Paride e la sua difficile scelta di dare la mela alla più bella fra le dee, Afrodite, Era ed Atena, afferma come egli abbia solo l‟impressione di decidere: «Paride fa esperienza del libero arbitrio, ma non c‟è vero e proprio libero arbitrio a livello neurobiologico»527. Che implicazioni può avere un approccio simile sul diritto penale è facilmente intuibile: se le nostre azioni coincidono con le funzioni cerebrali allora tutti i modelli penali retributivistici, basati su un‟idea illusoria di merito/demerito, devono essere soppiantati da modelli “consequenzialisti” (teoria morale prima che giuridica)528, secondo cui la punizione deve essere un mezzo per promuovere il benessere sociale e prevenire la commissione di nuovi crimini. Nella stessa direzione si muove anche il filosofo della mente Alva Noë il quale, in aperta polemica con il riduzionismo scientifico S.J. Lynn, J.W. Rhue, J.R. Weekes, Hypnotic Involuntariness: A Socialcongitive Analysis, in «Psychological Review», 1990, vol. 97, pp. 169-184. 526 D.M. Wegner, L‘illusione della volontà cosciente, in M. De Caro, A. Lavazza, G. Sartori (a cura di), Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio, cit. p. 46. 527 J.R. Searle, Libertà e neurobiologia. Riflessioni sul libero arbitrio, il linguaggio, il potere, Bruno Mondadori, Milano 2005 p. 37 (ed. or., Liberté et neurobiologie, Editions Grasset & Fasquelle, Paris 2004). 528 J.D. Greene, J.D. Cohen, For the law, neuroscience change nothing and everything, cit., p. 1784. 525 167 dei neuroscienziati, afferma che “noi non siamo il nostro cervello”. A detta di Noë, è sbagliato già il presupposto di partenza delle ricerche dei neuroscienziati laddove pretendono di trovare la coscienza dentro il cervello mentre essa è al di fuori di noi529. Una soluzione di “compromesso” è invece quella sostenuta da studiosi appartenenti a correnti più “moderate”530 che adottano un tipo di determinismo “debole”531, secondo cui le nostre azioni sarebbero necessitate soltanto in parte e residuerebbe, in ogni caso, uno spazio per la libertà. In questa corrente spicca fra tutti il neuroscienziato cognitivo Michael Gazzaniga, il quale interrogandosi proprio sul problema della responsabilità personale afferma che, nonostante il cervello sia un congegno automatico, governato da regole e determinato da punto di vista morale e giuridico, le persone sono ugualmente responsabili, nel senso che sono libere di prendere le proprie decisioni e accettarne le conseguenze. Ciò deriverebbe dal concetto di responsabilità di tipo „etico‟ adottato da Gazzaniga che esiste nel gruppo e non nell‟individuo in quanto soggetto interrelato con gli altri nella A. Noë, Perché non siamo il nostro cervello, Cortina, Milano 2010, p. 25 (ed. or., Out of Our Heads. Why You Are Not Your Brain, and Other Lessons from the Biology of Consciousness, Hill and Wang, New York 2009). 530 N. Eastman, C. Campbell, Neuroscience and legal determination of criminal responsibility, in «Nature Reviews Neuroscience», April 2006, vol. 7, n. 4, p. 311-318. 531 La questione dell‟esistenza del libero arbitrio, com‟è noto, da sempre si accompagna ad un‟altra annosa questione: la compatibilità o meno del determinismo con quest‟ultimo. Volendo semplificare al massimo, il problema che si pone è se in un universo ciecamente deterministico poiché dominato dalle leggi di causa-effetto della natura è concepibile la libertà, intesa come possibilità di agire senza costrizioni esterne. Per una dettagliata ricostruzione delle tesi a favore dell‟incompatibilismo e del compatibilismo si rinvia a M. De Caro, Il libero arbitrio. Un‘ introduzione, Laterza, Bari 2004. 529 168 società532. In poche parole, per il neuroscienziato californiano «il cervello è determinato; le persone no». Il tentativo di trovare una via d‟uscita “compromissoria” a quello che sembra un dilemma insolvibile non è tuttavia nuova; è il caso di evidenziare, infatti, come tale soluzione sia stata escogitata anche dal processualpenalista Franco Cordero, che, seppur formulata alla fine degli anni Sessanta del Novecento, spicca ancora oggi per la sua attualità. Cordero, nel libro che gli costò l‟espulsione dall‟Università Cattolica, sulla scorta della filosofia spinoziana che nega l‟esistenza del libero arbitrio afferma che «la decisione di dedicare la propria vita al servizio dei sofferenti, di derubare gli orfani o di chiudersi in vita contemplativa non è più libera di quanto lo sia il latrato di un cane o la fioritura del germoglio»533. Tuttavia, precisa Cordero, ciò è valido solo su un piano teorico o speculativo ma non sul piano pratico cui dipendono comando, ubbidienza e repressione penale, poiché quella che i giuristi continuano a chiamare “libertà del volere” non è la libertà assolutamente libera (che non può esistere in natura) ma «l‟inesistenza di ostacoli all‟efficacia di una pressione normativa»534, ovvero l‟efficacia general-preventiva della norma penale. Si può rinunciare a punire non una volta dimostrata l‟inesistenza del libero arbitrio ma se un giorno fosse raggiunta la certezza che la pena minacciata non riuscirebbe a distogliere nessuno dal commettere il reato che sanziona. In maniera simile a 532 Gazzaniga, pur non negando che il cervello in quanto organo automatico sia determinato, ritiene che non venga meno il concetto di responsabilità personale e di libertà in quanto fondato sull‟interazione con il mondo sociale. (M.S. Gazzaniga, La mente etica, Codice Edizioni, Torino 2006, p. 87). 533 F. Cordero, Gli osservanti. Fenomenologia delle norme, Nino Aragno, Torino 20082 (ed. or. 1967), p. 467. 534 Ivi, p. 468. 169 chi oggi afferma che il paradigma retributivo sia inadeguato al diritto penale (per tutti, Greene e Cohen) anche Cordero cerca di demolire proprio il concetto di “retribuzione” concludendo che invero «l‟ingenua idea che la retribuzione sia metafisicamente necessaria dissimula un accurato calcolo di effetti psicologici: in un primo tempo la pena serve a evitare il contagio dell‟esempio, sviluppando negli altri un meccanismo inibitorio; poi, da provocatrice di terrore, diventa terapia ed è inflitta nell‟interesse del paziente, o almeno così dicono legislatore, giudici ed esecutori»535. In realtà, seppure possono apparire suggestive e convincenti, le posizioni che cercano di trovare una soluzione di compromesso, negando il libero arbitrio ma salvando il concetto di responsabilità penale, non riescono a cogliere nel segno. Sia l‟approccio più neuroscientista, riassumibile nella posizione di Gazzaniga, che quello più giuridico-filosofico, rappresentato da Cordero, nel tentativo di conciliare l‟inconciliabile non fanno altro che finire in un inevitabile cul de sac. Sia Gazzaniga, ritenendo che il cervello sia determinato ma che la responsabilità permanga in quanto l‟uomo è un “animale sociale”, che Cordero, affermando che, al di là dell‟esistenza della libertà umana persiste in ogni caso la funzione general-preventiva della sanzione penale, non fanno altro che dimostrare ciò che volevano confutare: l‟esistenza del libero arbitrio nell‟uomo. Sarebbe il caso di chiedere a Gazzaniga se il cervello, che egli ritiene determinato forse finisca di essere tale una volta che l‟uomo, uscito dal suo isolamento solipsistico si inserisca e si muova nella società? O, parimenti, cosa risponderebbe Cordero se 535 Ivi, p. 469. 170 gli obiettassimo che, nel momento in cui la minaccia della pena può esercitare ancora una pressione psicologica sull‟individuo, tale da indurlo a non commettere il reato, vuol dire che esiste la libertà di scegliere se conformarsi alla legge o trasgredirla? 4. Libero arbitrio e diritto penale: il dibattito ottocentesco Ma siamo davvero certi che tale dibattito sia del tutto innovativo e rivoluzionario? A ben vedere, nella storia della criminologia e del diritto penale, si è sempre discusso intorno ai fondamenti filosofici della responsabilità e al rapporto tra libertà e necessità. Basti pensare all‟aspro dibattito sul libero arbitrio che ha visto contrapporsi la Scuola Classica del diritto penale di Francesco Carrara536, che sosteneva con fermezza la libertà dell‟uomo e la Scuola Positiva di Cesare Lombroso che, al contrario, la negava. È chiaro che il dibattito in realtà fu ben più complesso e articolato e identificando delle posizioni così nette si rischia di ridurre l‟analisi storica di quella vicenda «alla scarna „descrizione di una battaglia‟»537, tuttavia utilizzeremo anche in questa sede l‟immagine degli „opposti campi‟, non solo per esigenze discorsive ma utile perché oggetto dello scontro – che al di là dei facili riduzionismi vi fu realmente ed anche parecchio acceso – fu proprio il concetto di libero arbitrio. F. Carrara, Libertà e spontaneità. Prolusione al corso di diritto e procedura penale (28 novembre 1882), in Id., Reminiscenze di cattedra e foro dell‘avvocato Francesco Carrara, Tipografia Canovetti, Lucca 1883, pp. 508-509. 537 M. Sbriccoli, La penalistica civile. Teorie e ideologie del diritto penale nell‘Italia, in Id., Storia del diritto penale e della giustizia. Scritti editi e inediti (1972-2007), Giuffrè, Milano 2009, Tomo I, p. 551, nota 87 (saggio già edito in A. Schiavone (a cura di), Stato e cultura giuridica in Italia dall‘Unità alla Repubblica, Laterza, Roma-Bari 1990, pp. 147-232). 536 171 4.1 Bando alla Metafisica!: il ‘manifesto’ della Scuola Positiva. Con il precipuo scopo di fare del diritto penale una vera e propria scienza sociale per sganciarlo dal «sillogistico apriorismo giuridico»538, la Scuola Positiva si sviluppa, com‟è noto, in Italia nel XIX secolo proprio in opposizione ad un diritto penale di matrice razionalistico-illuminista, nella convinzione che il delitto debba essere una manifestazione scaturente da determinate cause e non la scelta libera e volontaria da parte dell‟uomo. Ne deriva una concezione del delitto come mera conseguenza della violazione di una norma giuridica. A tale razionalismo astratto e antistorico, da cui scaturisce un diritto “immutabile” e avulso dal contesto, la Scuola Positiva si oppone strenuamente con il precipuo intento di voler espungere ogni elemento metafisico dal campo giuridico penale e riportare così «il diritto nella vita»539. Non a caso Enrico Pessina, nel 1905, guardando retrospettivamente al dibattito ormai concluso, identifica proprio nel “bando alla Metafisica” il metodo che accomuna i vari orientamenti dottrinari influenzati dalle scienze naturali e recepiti poi dalla Scuola Positiva (la Statistica morale, la Craniologia, la Criminologia) che avevano sconvolto, a partire dal 1870, ab imis fundamentis, la scienza giuridica penale aprendo una crisi senza precedenti540. L‟obiettivo che si pone la 538 C. Lombroso, E. Ferri, R. Garofalo, G. Fioretti, Prefazione, in Id., Polemica in difesa della Scuola Criminale Positiva, Zanichelli, Bologna 1886, p. I. 539 U. Spirito, Storia del diritto penale italiano da Cesare Beccaria ai giorni nostri, cit., p. 25. 540 Cfr. E. Pessina, La crisi del diritto penale nell‘ultimo trentennio del secolo XIX. Prolusione al corso di diritto penale nella R. Università di Napoli (19051906), Tipografia Cav. Gennaro M.a Priore, Napoli 1906, pp. 3-15. 172 Scuola Positiva è infatti quello di rovesciare «il tipo ideale d‟uomo che l‟egoismo sociale e la filosofia aprioristica avevan foggiato»541 e studiare «l‟uomo non quale dovrebbe essere astrattamente, ma quale esiste e muovesi in natura»542. Ovviamente Lombroso, considerato, nonostante non fosse un giurista, il capostipite della Scuola ebbe un ruolo determinate nel dibattito instauratosi intorno al concetto di libero arbitrio543, concetto-chiave della punibilità secondo la Scuola Classica. Non deve affatto stupire che Lombroso, totalmente impregnato del naturalismo positivistico e convinto che il pensiero derivi da «un continuo movimento molecolare della corteccia cerebrale»544 o da un «arido movimento di molecole»545, negasse anche l‟esistenza del libero arbitrio. Lombroso sembra condividere appieno la concezione materialista propugnata da Vogt e Moleschott, secondo cui i pensieri sono prodotti del cervello allo stesso modo della in cui la bile è prodotta dal fegato, nonostante il pensiero non sia né liquido né fluido quanto piuttosto un Queste le parole di Arrigo Tamassia, uno degli allievi di Lombroso e suo successore nella cattedra di Medicina Legale presso l‟Università di Pavia. Cfr. A. Tamassia, Prefazione, in E. Maudsley, La responsabilità nelle malattie mentali, Dumolard, Milano 1875, p. XXXVIII. 542 Ibidem. 543 È il caso di precisare, tuttavia, che vi sia chi ha osservato che, nonostante la negazione del libero arbitrio propugnata dalla Scuola Positiva in campo penale sia la “premessa antropologica” su cui fece perno il positivismo penale lombrosiano, a ben vedere il dibattito tra determinismo e indetermismo fosse per Lombroso «qualcosa di affatto improficuo ed anzi controproducente per lo sviluppo di una autentica scienza antropologico-criminale» (D. Velo Dalbrenta, La scienza inquieta. Saggio sull‘Antropologia criminale di Cesare Lombroso, Cedam, Padova 2004, p. 25). 544 C. Lombroso, Le nuove conquiste della psichiatria, discorso pronunciato il 3 novembre 1887 in occasione della solenne apertura degli studi nella Regia Università di Torino e poi riportato in Id. Frammenti medico-psicologici, in «Gazzetta Medica Italiana – Lombardia, Appendice Psichiatrica», s. IV, t. V. 545 C. Lombroso, Genio e follia (1864), p. 5. 541 173 movimento, una «trasposizione della sostanza del cervello»546 e la “mania” solo un sintomo di una malattia del cervello. Secondo tale concezione non può esistere nessun tipo di “volontà libera”, cioè un «atto volitivo indipendente da quelle influenze che agiscono ad ogni istante sull‟uomo»547, essendo la volontà umana – secondo la definizione di Moleschott condivisa da Lombroso – nient‟altro che «l‟espressione necessaria di una particolare condizione del cervello»548. Così già prima di aver “scoperto” la fossetta nel cranio di Villella, divenuta poi la chiave di volta della teoria del delinquente nato, Lombroso nel presentare ai lettori italiani il contestato volume di Jacob Moleschott, La circolazione della vita volume fermamente voluto da Lombroso per scuotere il paese e scrostarlo da quella «triste vernice pretesca che s‟alligna»549 - nel 1868 afferma come il materialismo stesse ormai permeando anche la «cittadella, per tanto tempo invulnerata, delle scienze morali»550, come la “statistica morale” o “fisica sociale” che dimostrando come l‟avvicendarsi a determinati giorni, mesi ed ore, di matrimoni, nascite e delitti dipendesse non tanto «dal libero arbitrio dell‟uomo o dalla volontà provvidenziale»551 quanto piuttosto da una «necessità naturale»552. Per quanto può apparire avvilente per J. Moleschott, La circolazione della vita. Lettere fisiologiche di Jac. Moleschott in risposta alle lettere chimiche di Liebig, traduzione sulla quarta edizione tedesca pubblicata con consenso dell‘autore dal Prof. Cesare Lombroso, Brigola, Milano 1869, p. 329 (ed. or., Der Kreislauf des Lebens. Physiologische Antworten auf Liebig's chemische Briefe, Victor v. Zabern, Mainz 1852). 547 J. Moleschott, La circolazione della vita, cit. p. 339. 548 Ibidem. 549 Lettera di Lombroso a Moleschott del 05 novembre 1861 in M.L. Patrizi, Addizioni al ―dopo Lombroso‖. Ancòra sulla monogenesi psicologica del delitto, Società editrice libraria, Milano 1930, p. 207. 550 C. Lombroso, Prefazione del traduttore, in J. Moleschott, La circolazione della vita, cit. p. VII. 551 Ivi, p. IX. 552 Ibidem. 546 174 l‟uomo, infatti, ogni evento naturale, anche quello apparentemente più lontano ed estraneo, quale la “meteora” o il “clima” può essere un fattore scatenante del delitto, della follia e del genio. Questa è, secondo Lombroso, una severa ed umiliante lezione per l‟uomo che annulla una volta per tutte ogni confine artificiale tra “bene” e “male” che diventano categorie „naturali‟ e non „morali‟553 e mostra quanto siano “semibarbare” le teorie dominanti nel diritto penale (Scuola Classica) e aventi come perno l‟esistenza del libero arbitrio. Il libero arbitrio, accusa Lombroso, è solo una sorta di mito, o meglio, «di dio termine o di sancta sanctorum»554 al pari dell‟indissolubilità del matrimonio, che per quella tendenza al conservatorismo rende sordi anche di fronte alle più evidenti dimostrazioni. Così con la consueta vena provocatoria Lombroso si rivolge ai suoi “avversari”: «hanno torno di farci supporre senza libero arbitrio solo il delinquente: ma anche il legislatore ed il giudice sono senza libero arbitrio»555, poiché come il delinquente è “costretto” a commettere il reato, allo stesso modo il giudice è “costretto” a punirlo, secondo la ferrea legge di causalità. Una volta crollata questa certezza infatti il delitto appare, agli occhi di Lombroso «una sventurata produzione naturale, una forma di malattia»556 che, come tale, merita “cura e sequestro” piuttosto che “pena e vendetta”. Il miglioramento del sistema penale e la lotta Secondo la concezione elaborata da Moleschott e condivisa da Lombroso, le categorie di „bene‟ e „male‟ rispondono entrambe a leggi naturali, essendo il bene strettamente collegato alla necessità di conservazione della specie umana e il male al contrasto rispetto alle esigenze della specie stessa. V. amplius, J. Moleschott, La circolazione della vita, cit. pp. 348-354. 554 C. Lombroso, Polemica, in C. Lombroso, E. Ferri, R. Garofalo, G. Fioretti, Polemica in difesa della Scuola Criminale Positiva, cit., p. 19. 555 C. Lombroso, Recensione a La teorica dell‘imputabilità e la negazione del libero arbitrio di Enrico Ferri (1), Firenze, Barbera 1873 edit. Macario di Pisa, in «Archivio Giuridico», 1878, vol. XXI, p. 328. 556 C. Lombroso, Prefazione del traduttore, cit. p. IX. 553 175 della società contro il crimine, finora ridotto ad un gioco illusorio in cui quest‟ultimo ne usciva sempre più forte, possono essere dunque raggiunti – a detta di Lombroso – solo se la morale scende da «quel fragile altare del libero arbitrio, in cui l‟elevarono i metafisici»557. Ma il maggiore sforzo teorico degli esponenti della Scuola di Lombroso nel negare il libero arbitrio e cercare di conciliare la sua inesistenza con il sistema penalistico è senza dubbio rappresentato dalla primissima riflessione di Enrico Ferri, ineguagliato e discusso tentativo di dimostrare che a fondamento del diritto penale non vi è la nozione di libero arbitrio. Ponendosi in aperta polemica con Carrara, Romagnosi e gli altri studiosi dell‟epoca che ritenevano indispensabile ai fini dell‟esistenza stessa dell‟intero sistema di diritto penale l‟esistenza del libero arbitrio, Ferri con un non sempre lineare excursus storico-giuridico, sostiene la tesi opposta e si dilunga sulla conciliabilità tra il diritto della società a punire e la negazione del libero arbitrio, affermando che, nonostante le azioni umane siano “necessitate” nel senso scientifico del termine, rimane ugualmente giusta la punizione per i delitti commessi. Anzi, afferma non senza azzardo il giovane Ferri558, il fondamento della pena e il diritto punitivo risiedono paradossalmente proprio nella negazione del libero arbitrio: poiché l‟uomo non è libero ma è «determinato necessariamente dai più forti motivi, che agiascono sopra di lui»559 va punito. Alla legge della necessità cui risponde l‟azione del criminale si contrappone nella teoria un‟altra necessità, quella della società che deve sanzionare i comportamenti ritenuti Ivi, p. XI. Su Enrico Ferri e sull‟evoluzione del suo percorso teorico, si rinvia a R. Bisi, Enrico Ferri e gli studi sulla criminalità, Franco Angeli, Milano 2004. 559 E. Ferri, La teorica dell‘imputabilità e la negazione del libero arbitrio, Barbera, Firenze 1878, p. 418. 557 558 176 criminosi. Come le misure vengono prese nei confronti di un pazzo per tutelare quest‟ultimo e la pubblica quiete, allo stesso modo anche le pene risultano alla stregua di «disposizioni che la necessità costringe di adottare»560. Negare il libero arbitrio dunque (come anche sostenere la sua esistenza) non incide affatto sul fondamento del diritto punitivo che si esplica grazie a quella «forza ignota» che regge l‟universo. Detto altrimenti, la necessità che si esplica sia nelle azioni individuali, sia in quelle “sociali”, fa uscire di scena il libero arbitrio: «come Nemesi, la mitologica dea della vendetta, era figlia di Giove e della Necessità, così la Nemesi sociale, cioè la potestà punitiva, spoglia ora delle viete idee di vendetta, nasce unicamente dalla necessità dell‟ordine»561. Ferri con il passare degli anni ha apertamente rinnegato alcune delle tesi portanti della sua opera giovanile sul libero arbitrio, mettendone in evidenza i tratti più ingenui o errati, specie nella parte relativa alla formulazione di una “teorica positiva dell‟imputabilità”, che non esita a definire «un‟anticaglia» più volte «sconfessata» e «diseredata»562 e tirata in ballo, in buona o mala fede, dai suoi avversari soltanto per far risaltare le contraddizioni del suo pensiero. Del resto, i suoi avversari hanno gioco facile quando sostengono che Ferri nell‟elaborare più tardi le basi della sua sociologia criminale563 in cui il delitto viene posto in rapporto E. Ferri, La teorica dell‘imputabilità e la negazione del libero arbitrio, cit., p. 418. 561 Ivi, p. 422. 562 E. Ferri, Polemica, in C. Lombroso, E. Ferri, R. Garofalo, G. Fioretti, Polemica in difesa della Scuola Criminale Positiva, cit., p. 86. 563 Ferri definisce questa sua nuova „creazione‟ come «la conversione della scienza dei delitti e delle pene da una dottrinaria esposizione di sillogismi, per sola forza di logica fantasia, in una scienza di osservazione positiva così dell‟antropologia, della psicologia, della statistica criminale, come del delitto penale e delle discipline carcerarie, diviene quella scienza sintetica, che io 560 177 non solo ai fattori fisici e psichici ma ai fattori sociali564 e all‟intera realtà in cui si esplica l‟azione umana, sembra in parte allontanarsi sia dall‟astrattismo psicologico di Garofalo, sia dall‟atavismo di Lombroso. Paradossalmente le tesi di Ferri, da un lato, spingeranno lo stesso Lombroso a modificare (solo in parte) la sua classificazione dei delinquenti, a partire dall‟edizione de L‘uomo delinquente del 1889 mediante l‟inserimento anche dei fattori sociali come possibili fattori criminogeni da cui derivano accanto al delinquente nato (che assume per molti versi ancora i caratteri dell‟atavismo) anche altre figure di criminali tra cui il “delinquente d‟impeto”, quello “d‟abitudine” e “d‟occasione”565. Dall‟altro lato, Ferri continuerà a negare l‟esistenza del libero arbitrio sostenendo come l‟uomo debba ritenersi «responsabile dei suoi delitti, di fronte alla legge criminale, come dei suoi errori economici di fronte alle leggi dell‟ambiente economico, delle sue colpe morali di fronte alle leggi della pubblica opinione ecc., non già perché sia moralmente o intellettualmente libero, ma soltanto perché e finché vive in società»566 poiché – continua il giurista - «chi vive in un dato ambiente deve adattarvisi o uscirne o perire»567. Anche nel 1881 affermerà infatti che «1‟uomo non può essere appunto chiamai “sociologia criminale”» (E. Ferri, Sociologia criminale, Bocca, Torino 19004, p. 61). 564 V. amplius, AA.VV., ―Il socialismo giuridico‖. Ipotesi e letture, numero monografico in due tomi di «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 1974-75, nn. 3-4, tomi I e II ed in particolare ivi le considerazioni di M. Sbriccoli, Il diritto penale sociale, 1883-1912, tomo I pp. 557-642. 565 «Il delitto si spoglia della sua atavica ferocia, grazie al miglioramento delle condizioni sociali e assume le forme “meno ripugnanti e meno selvagge” della truffa, del falso e della bancarotta» (D. Frigessi, La scienza della devianza, in C. Lombroso, Delitto, genio, follia. Scritti scelti, cit., p. 359). 566 E. Ferri, Polemica di Enrico Ferri, in C. Lombroso, E. Ferri, R. Garofalo, G. Fioretti, Polemica in difesa della Scuola Criminale Positiva, cit., p. 94. 567 Ibidem. 178 dotato di questo libero arbitrio, perché ogni sua volizione è determinata, caso per caso, necessariamente dallo stato del suo pensiero, che alla sua volta dipende necessariamente dalle condizioni dell‟organismo, che alla loro volta dipendono necessariamente dall‟ambiente esterno»568. La negazione del libero arbitrio, implicando l‟esclusione di ogni valutazione morale sul comportamento e sulla personalità del colpevole e, dunque, della stessa determinazione della pena, fa sì che la pena diviene il mezzo utilizzato dalla società per difendersi dai criminali. Ferri infatti non rinnega la sua appartenenza alla Scuola Positiva ma la difende strenuamente, rivendicandone il metodo sperimentale e galileiano di chi raggiunge il risultato “provando e riprovando” piuttosto che in base a formule aprioristiche. Proprio tale metodo è la principale differenza che separa Scuola Classica e Scuola Positiva: se la prima con il metodo deduttivo e la logica astratta ha come oggetto il delitto, come entità giuridica, la seconda, invece, con metodo induttivo e l‟osservazione dei fatti ha come obiettivo il «‟delinquente‟ come persona rivelatasi più o meno socialmente pericolosa col delitto commesso»569. In estrema sintesi, Ferri riassume i principi cardine delle due Scuole, affermando come se prima dell‟avvento dei positivisti il diritto penale si era retto sulle illusorie convinzioni che l‟uomo sia dotato di libero arbitrio, che «il delinquente sia fornito di idee e di sentimenti, come ogni altro uomo»570 e che l‟effetto principale della pena sia quella preventiva, basterebbe uscire dalla ristretta cerchia giuridica per comprendere come tali assunti, portati come un vessillo per decenni dalla E. Ferri, I nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale, Zanichelli, Bologna 1881, p. 8. 569 E. Ferri, Principi di diritto criminale, Utet, Torino 1928, p. 45. 570 E. Ferri, I nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale, cit., p. 5. 568 179 dottrina penalistica siano palesemente contraddetti dai risultati delle scienze sperimentali. Quest‟ultime costituiscono, a detta di Ferri, le nuove basi su cui fondare il diritto penale: 1) illusorietà metafisica del libero arbitrio; 2) anormalità organica e psichica del delinquente; 3) aumento e diminuzione dei reati per cause del tutto avulse dalle pene sancite nei codici e applicate dai magistrati. Ciò può essere messo in pratica secondo i positivisti mediante l‟elaborazione del tanto contestato concetto di pericolosità sociale571 e l‟attuazione di misure di sorveglianza, che riecheggeranno poi, nei “sostituti penali” teorizzati da Ferri più tardi, che mirino a contenere il crimine per difendere la società più che per educare, sostituendo la responsabilità morale basata sull‟esistenza del libero arbitrio con una forma di “responsabilità sociale”. Ciò ha spinto Ugo Spirito572 a definire la Scuola Positiva come una “scuola di immoralità”573, la quale grazie alla dicotomia normale/anormale annulla ogni valore e rende impossibile una concezione etica della pena poiché la società deve „sbarazzarsi‟ del delinquente, divenuto Su tale concetto si vedano le interessanti considerazioni critiche, più volte riprese negli ultimi decenni da una certa dottrina filosofico-giuridica e sociologica italiana, di M. Foucault, About the Concept of the ―Dangerous Individual‖ in 19th- Century Legal Psychiatry, in «International Journal of Law and Psychiatry», 1978, vol. 1, pp.1-18. 572 Nonostante Spirito riconosca in parte i meriti scientifici di Lombroso ritiene che le sue valide intuizioni vengano troppo spesso soffocate da un eccessivo “semplicismo della metafisica materialistica”. Su tale punto cfr. A.A. Calvi, Ugo Spirito criminalista. Riflessioni sulla terza edizione della «Storia del diritto penale italiano», in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 1974-75, nn. 3-4, Il “Socialismo giuridico”. Ipotesi e letture, tomo II, p. 816). Su Ugo Spirito come filosofo del diritto penale cfr., L. Zavatta, La pena tra espiare e redimere nella filosofia giuridica di Ugo Spirito, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2005; per un‟iquadratura generale della figura del filosofo aretino da un punto di vista storico-politico v. invece, D. Breschi, Spirito del Novecento. Il secolo di Ugo Spirito dal fascismo alla contestazione, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2010. 573 Cfr. D. Frigessi, Cesare Lombroso, cit. p. 207. 571 180 ormai un nemico574, da rinchiudere per sempre o, nei casi più estremi, eliminare fisicamente. 4.2 Contro una bufera di empirismo: la reazione della c.d. Scuola Classica Ovviamente le osservazioni di Lombroso e degli studiosi appartenenti alla sua Scuola tese a negare l‟esistenza del libero arbitrio e a scardinare così le vecchie categorie giuridiche poste a fondamento del diritto penale, non potevano lasciare indifferenti la nutrita schiera di giuristi convinti di dover difendere strenuamente i principi derivanti direttamente dalla tradizione illuministica che fin a quel momento avevano dominato nella scienza giuridica penale e che presupponeva che ogni uomo fosse libero di effettuare coscientemente le proprie scelte e, come tale, responsabile delle proprie azioni anche davanti alla legge. Tali studiosi, a partire dagli anni Ottanta dell‟Ottocento, vennero così etichettati dagli stessi positivisti, per dileggio, come osserverà con stizza il penalista Luigi Lucchini575 (colui che ha cercato più di tutti di fondare un diritto penale liberale e garantista nell‟Italia postunitaria)576, come “Scuola Classica del Diritto Penale” e di cui viene tradizionalmente considerato il massimo esponente Francesco Sul criminale inteso come „nemico della società‟ nel contesto storicogiuridico italiano del XIX secolo, cfr. P. Marchetti, Le ‗sentinelle del male‘. L‘invenzione ottocentesca del criminale nemico della società tra naturalismo giuridico e normativismo psichiatrico, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 2009, tomo II, pp. 1009-1080. 575 L. Lucchini, I semplicisti del diritto penale, Unione Tipografico-Editrice, Torino 1886, p. XXIV. 576 Su Luigi Lucchini e tale tentativo, v. amplius, M. Sbriccoli, Il diritto penale liberale. La «Rivista Penale» di Luigi Lucchini 1874-1900, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 1987, n. 16, pp. 105-183. 574 181 Carrara577, docente di diritto e procedura penale presso la Regia Università di Pisa, nonché Senatore del Regno. A differenza della Scuola Positiva, quella c.d. “classica”, definita anche “la Scuola Penale Italiana” da Carrara o sarcasticamente “la vecchia Scuola” da Aristide Gabelli578, non avrà la stessa omogeneità e spirito di appartenenza di una vera e propria “Scuola”, essendo piuttosto una schiera di giuristi con diverse formazioni, in certi casi anche lontane579, ma comunque accomunati dalla ferrea volontà di voler resistere strenuamente agli attacchi inferti dalle „nuove‟ concezioni propugnate egemonia580. dai positivisti, Malgrado la dopo una più semplicistica che trentennale dicotomia Scuola Classica/Scuola Positiva sia ormai tanto diffusa da figurare nelle pagine introduttive di qualunque manuale di diritto penale in uso negli atenei italiani, non si può infatti non condividere quanto osservato da un attento e lucido studioso come Mario Sbriccoli, il quale non solo segnala il rischio di ricostruire la storia del diritto Sul pensiero di Carrara si rinvia a AA.VV., Francesco Carrara nel primo centenario della morte. Atti del Convegno internazionale (Lucca-Pisa, 2-5 giugno 1988), Giuffré, Milano 1991; M.A. Cattaneo, Francesco Carrara e la filosofia del diritto penale, Giappichelli, Torino 1988; A. Santoro, Francesco Carrara e l'odierna scienza del diritto criminale, Vallardi, Milano 1936; C. Luporini, Francesco Carrara e il progresso della scienza criminale, Tipografia Baroni, Lucca 1891; V. Genovesi, La mente di Francesco Carrara circa il delitto e la pena, Cellini, Firenze 1887. 578 «La vecchia Scuola parole che nulla significano, perché la vecchia Scuola à i miti e à i severi, à i mistici e i politici, gli idealisti e i pratici, à tutti fino a ieri e fino à oggi, che confondendosi insieme, si cominciarono a chiamare così» (A. Gabelli, Sulla «Scuola positiva» del diritto penale in Italia, in «Rivista Penale», 1886, vol. XXIII, III della II serie, p. 524). 579 È il caso di precisare che, proprio per tale eterogeneità si fanno rientrare solitamente sotto l‟etichetta di “Scuola Classica” studiosi come Luigi Lucchini e Enrico Pessina che sarebbero in realtà degli “eclettici”, poiché pur criticando aspramente 580 «Dominata dalla grande figura di Francesco Carrara, che è però il punto di arrivo, sebbene altissimo, di una tradizione ormai esaurita, essa è alla ricerca di un rinnovamento, anche di uomini» (M. Sbriccoli, Il diritto penale liberale. La «Rivista Penale» di Luigi Lucchini 1874-1900, cit., p. 109). 577 182 penale attraverso fuorviante il criterio dell‟elencazione metodologico delle „scuole‟ assolutizzante dottrinarie 581 e ma soprattutto nega categoricamente che quella Classica fosse una Scuola, essendo «una scienza civilmente matura, ma tecnicamente in formazione […] capace di esprimere in quella fase: una realtà […] fin troppo articolata in tendenza metafisiche, eclettiche, fidanti nell‟origine divina del diritto penale, tardo utilitaristiche, di liberalismo toscano o di praticismo napoletano, di giusnaturalismo laico o cattolico, di spiritualismo integralista o di garantismo contrattualista»582. Nonostante ciò, è lo stesso Carrara a voler difendere la Scuola Classica “arruolando” tra le sue fila i penalisti più autorevoli del Settecento e dell‟Ottocento583 per affermare con maggiore autorevolezza che l‟uomo può essere imputabile giuridicamente solo in quanto libero: i seguaci delle Scuola Positiva, osserva Carrara, confondono l‟arbitrio, che presuppone una azione immotivata ed avulsa dalla natura umana, con la libertà che implica, al contrario, la facoltà di scegliere fra due opposti motivi ciò che sembra più confacente ai propri bisogni. In In particolare Sbriccoli evidenzia come venga eccessivamente enfatizzato l‟acceso scontro dottrinale avvenuto a partire dagli anni Ottanta del XIX secolo che, anziché essere un mero oggetto di riflessione storica ha finito in realtà con il dominare l‟intera storia del diritto penale post-unitario dando a quest‟ultima l‟«andamento convenzionale, ripetitivo, tralatizio» e soprattutto fuorviante che tuttora viene spesso adottato acriticamente nelle parti iniziali dei manuali di diritto penale in uso negli atenei italiani sotto la dicitura di “Premesse storiche”. Cfr. M. Sbriccoli, Caratteri originari e tratti permanenti del sistema penale italiano (1860-1990), in Id. Storia del diritto penale e della giustizia, cit., tomo I, pp. 604-605 (saggio già edito in L. Violante (a cura di), Storia d‘Italia. Annali, 14: Legge Diritto Giustizia, Einaudi, Torino 1998, pp. 485-551). 582 M. Sbriccoli, La penalistica civile, cit., pp. 537-538. 583 «Beccaria, Filangieri, Romagnosi, Carmignani, Rossi, Haus, Nypels e tanti altri dotti, che costruirono quella scuola, non vaneggiarono edificando sopra un fantasma» (F. Carrara, Libertà e spontaneità. Prolusione al corso di diritto e procedura penale (28 novembre 1882), in Id., Reminiscenze di cattedra e foro dell‘avvocato Francesco Carrara, Tipografia Canovetti, Lucca 1883, p. 517). 581 183 poche parole, avverte Carrara, il rischio tangibile è quello di scambiare la «spontaneità»584 per la libertà e pertanto così conclude il giurista toscano in aperta polemica con la Scuola lombrosiana: «a noi, cultori delle scienze morali, nulla giovano i termometri e i cannocchiali perfezionati, perché gli strumenti del nostro scibile non hanno sussidio dai sensi, ma soltanto dallo studio dello interno dell‟uomo rivelato dagli atti esterni del medesimo, che è sempre stato e sempre sarà lo identico, finché l‟uomo sarà, in tema di facoltà psicologiche, tale e quale uscì dalle mani del Creatore. Per giudicare se l‟uomo è o no libero, a nulla giovano i cannocchiali e i termometri. Bisogna scendere nelle interne latèbre dell‟animo nostro»585. A tali parole fanno eco quelle di Lucchini, il quale sembra dedicarsi totalmente alla lotta contro la “nuova scuola” tanto da richiedere la fondazione di una rivista ad hoc (Rivista di Penale)586 che, seppure forse troppo concentrata sulla sua figura587, doveva servire proprio per difendere la scienza giuridica penale da quella «bufera di empirismo»588 che l‟aveva investita589. Per Lucchini infatti le discipline penalistiche sono «troppo imbevute Ivi, p. 515. Ivi, pp. 508-509. 586 V. amplius, M. Sbriccoli, La penalistica civile, cit., pp. 557-559. 587 «Rivista Penale» è stata felicemente definita da Sbriccoli (prendendo in prestito un‟espressione di Renato Serra) una “rivista persona”. Cfr. M. Sbriccoli, Il diritto penale liberale. La «Rivista Penale» di Luigi Lucchini 1874-1900, cit., p. 116. 588 L. Lucchini, Ai lettori, in «Rivista Penale», 1885, vol. XXI, I della seconda serie, p. 18. 589 Proprio sulla Rivista Penale diretta da Lucchini viene pubblicato un saggio di Aristide Gabelli (Sulla «Scuola positiva» del diritto penale in Italia, cit.) che suscita l‟entusiasmo dei classicisti e l‟indignazione dei positivisti, tanto da richiedere una controreplica pubblicata su un intero volume da parte di Lombroso, Ferri, Garofalo e Fioretti, (C. Lombroso, E. Ferri, R. Garofalo, G. Fioretti, Polemica in difesa della Scuola Criminale Positiva, cit.). 584 585 184 ancora di metafisica e di scolastica»590, risultando facili prede di «empiriche e retoriche fatuità»591 dei “semplicisti del diritto penale”, cioè antropologi, psicologi e sociologi. Proprio per confutare le tesi dei “semplicisti”, Lucchini mette in piedi un corposo volume, in cui cerca di decostruire punto per punto tutte le tesi poste a fondamento della Scuola Positiva, dedicando un intero capitolo alla questione del libero arbitrio in cui afferma come sia illusorio il tentativo della “nuova scuola” e dei suoi predecessori, di «sfatare con grande sfoggio di argomentazioni il libero arbitrio»592, in quanto non avesse alcun senso «spezzare lance di raffinata dialettica»593 contro tale sentimento visto che non fosse possibile annichilire i sentimenti con sottili argomentazioni. E poi a prescindere dall‟esistenza o meno del libero arbitrio, si chiede sarcasticamente Lucchini, come potrebbero coloro che lo negano rassegnarsi a considerare anche i loro stessi pensieri e le loro dottrine come il risultato di un mero processo fisio-psicologico. Lucchini non manca di osservare inoltre come i positivisti che vogliano negare la libertà delle azioni umani richiamando la “funzione fisiologica dell‟atto volontario”, in realtà, non riescano a spiegare nulla né a convincere l‟interlocutore con dati “certi e inconfutabili”, rischiando, al contrario, di criticare la “vecchia metafisica” con una «nuova specie di metafisica […] sotto l‟orpello di positivismo scientifico»594. Anche l‟esimio giurista e filosofo napoletano Enrico Pessina sembra andare nella stessa direzione laddove esorta enfaticamente il ceto dei giuristi a non cedere alle L. Lucchini, Ai lettori, cit., p. 18. Ibidem. 592 L. Lucchini, I semplicisti del diritto penale, cit., p. 44. 593 Ibidem. 594 Ivi, p. 50. 590 591 185 lusinghe dei materialisti che con l‟intento di voler bandire definitivamente la metafisica dalla scienza giuridica per avvicinarla ad una „scienza esatta‟, vogliono ridurre l‟uomo a pura materia595, dimenticando come la legge che governa l‟agire umano non sia la «ferrea e cieca legge della necessità del destino» 596 ma la cultura morale, ovvero quella «libertà razionale che domina il mondo della natura e coopera a quella divina armonia di mezzi e di fini, che costituisce la legge dell‟Universo!»597. Pessina sembra inorridire di fronte alle affermazioni dei materialisti francesi e britannici (ad esempio «i delinquenti sono mostri che bisogna soffocare compiangendoli» o ancora «il delinquente va equiparato alla belva»)598, basate sul dogma della fatalità del delitto e su cui poi si sarebbe basata la nuova scienza penale propugnata dalla Scuola Positiva. Se i materialisti avessero ragione, osserva Pessina, dimostrando come l‟uomo non sia libero poiché le sue azioni deriverebbero fatalmente dai “movimenti della materia”, anche il delitto ne risulterebbe snaturato in quanto non più atto odioso da punire ma risultato di una certa determinazione di forze fisiche, che come tali non potrebbero essere considerate riprovevoli dalla società e perciò sanzionate penalmente. Al contrario, secondo Pessina, sarebbe più opportuno dare ascolto al grido levatosi in Europa alla fine dell‟Ottocento: Zurück zu Kant!, ovvero l‟esortazione al ritorno alla dottrina del filosofo di Königsberg, «La materia, da cui siam sorti, e a cui siamo incatenati, non soffochi lo spirito!» (E. Pessina, Il naturalismo e le scienze giuridiche. Discorso inaugurale letto nella Regia Università di Napoli il 17 novembre 1878, in Id., Pel cinquantesimo anno d‘insegnamento di Enrico Pessina, Tipografia Angelo Trani, Napoli 1899, p. 258). 596 Ibidem. 597 Ibidem. 598 Cfr. E. Pessina, La crisi del diritto penale nell‘ultimo trentennio del secolo XIX, cit., p. 8. 595 186 nella ferma convinzione che, come «il cielo stellato, cioè l‟Universo infinito sta di sopra al nostro capo» allo stesso modo la legge morale è «inviolabile e santa» poiché «scolpita nell‘animo nostro»599. Nello stesso senso si esprime anche Mario De Mauro, professore nella Regia Università di Catania ed allievo di Pessina, il quale riprendendo le tesi già sviluppate dal suo Maestro, insiste nel sottolineare come non possa concepirsi la sanzione penale se non si ritiene l‟esistenza di una volontà libera alla base di tutte le azioni umane. Per De Mauro infatti «la pena vera e propria non può cadere che su esseri, i quali abbiano agito con volontà intelligente e libera»600. Se ciò dovesse accadere, cioè se l‟uomo fosse spinto fatalmente al delitto anche la pena inflitta sarebbe un altro delitto – conclude De Mauro – allo stesso modo di come «la società che l‟inflingerebbe un altro delinquente»601. Alle critiche dei penalisti si aggiungevano quelle di filosofi del diritto come Giuseppe Cimbali, il quale a sostegno degli oppositori della Scuola Positiva pubblica nel pieno della polemica tra le due Scuole (1889) un volume interamente dedicato alla questione del libero arbitrio intitolato appunto La volontà umana in rapporto all‘organismo naturale, sociale e giuridico. Qui lo studioso siciliano, seguace della dottrina filosofica di Nicola Spedalieri, attacca a viso aperto quel «pestifero movimento di idee»602 rappresentato da Lombroso, cioè «colui che, senza avere idea del diritto, era stato Ivi, p. 15. M. De Mauro, La libertà del volere ed il Codice penale italiano, in AA.VV., Pel cinquantesimo anno d‘insegnamento di Enrico Pessina, vol. II, Studii di diritto penale, Tipografia Angelo Trani, Napoli 1899, p. 125. 601 Ivi, p. 120. 602 G. Cimbali, Prefazione alla seconda edizione, in Id., La volontà umana in rapporto all‘organismo naturale, sociale e giuridico, seconda edizione riveduta e corretta, Fratelli Bocca, Roma 1898, p. VII. 599 600 187 improvvisato fondatore della nuova Scuola di diritto penale»603. Cimbali propugna infatti un ritorno ad una concezione giusnaturalistica per fronteggiare l‟indirizzo determinista e biosociologico del diritto insistendo principalmente su due fronti strettamente collegati: da un lato, sostenendo che il delitto sia una creatura astratta e artificiale del legislatore e, dall‟altro, sulla “naturalità del reato” cioè la possibilità che qualunque uomo possa delinquere, in contrapposizione ad una visione „patologizzante‟ del reo propugnata dai Positivisti che considera i delinquenti «individui più o meno disgraziati per uno stato anormale del loro organismo che li spinge al delitto fino alla prima età o non li rende abbastanza forti per resistere alle occasioni impellenti»604. A tale scopo, Cimbali richiama la dottrina dei Padri della Chiesa, secondo cui l‟uomo è libero di scegliere il bene o il male e dunque responsabile delle proprie azioni in quanto, come già affermato da Gregorio Magno, «il lupo sarà sempre lupo, ma l‟uomo può essere lupo ed agnello»605. A partire da tali argomentazioni Cimbali attacca duramente i deterministi, i cui intenti definisce senza messe misure “donchisciotteschi” poiché riducono l‟uomo a macchina o ad una bestia, non comprendendo, invece, che «la vera prova che l‟uomo non è una macchina è il poter dire che, così dicendo, dànno prova della vera iniziativa e della vera libertà dell‟uomo»606. Ivi, p. IX. E. Ferri, I nuovi orizzonti, citato da Cimbali, ivi, p. 173, nota 1. 605 G. Cimbali, La volontà umana in rapporto all‘organismo naturale, sociale e giuridico, p. 54. 606 Ivi, p. 14. 603 604 188 4.3 Un anelito comune nel rumorìo della folla: la Terza Scuola Già da queste brevi notazioni si può ben capire come la reazione polemica degli studiosi appartenenti alla Scuola Classica nei confronti dell‟offensiva positivista più che instaurare un fecondo dialogo abbia avuto piuttosto l‟effetto di inasprire sempre più i toni ed esasperare le posizioni, sempre più antiteche sulla questione del libero arbitrio. Forse per la durezza del confronto polemico e la sterilità di risultati raggiunti, molti studiosi hanno compreso che era ormai inutile rimanere arroccati nelle proprie inconciliabili posizioni ma che fosse opportuno piuttosto trovare una soluzione di compromesso tra le due Scuole. Per tale ragione dalle critiche alla Scuola Positiva non è nato solo un atteggiamento di rifiuto ma anche il tentativo di rinascita su nuove basi che potessero tener in debito conto anche delle istanze positivistiche. Così, alla fine della fase più acuta della polemica ovvero verso la fine dell‟Ottocento e i primi anni del Novecento, alcuni giuristi cominciano ad elaborare una via d‟uscita dall‟impasse in cui sembra essersi arenata la scienza giuridica penale. Questo tentativo, visto anche come un segnale di insicurezza o incapacità da parte dei fautori del classicismo di fronteggiare le nuove istanze provenienti dalle teorie positivistiche607, avrebbe portato all‟abbandono delle tesi più ortodosse della Scuola Classica a favore di una maggiore apertura del diritto penale ai progressi delle scienze naturali. Su questa scia si porrebbe la corrente degli “eclettici” in cui Ugo Spirito fa Questa è l‟opinione di Ugo Spirito, Storia del diritto penale italiano da Cesare Beccaria ai giorni nostri, cit., pp. 171-182, il quale giudica negativamente questi tentativi di “compromesso”. 607 189 rientrare anche Enrico Pessina e Luigi Lucchini, tradizionalmente608 indicati come sostenitori della Scuola Classica ma che per il filosofo aretino si trovano in una sorta di zona grigia tra i due orientamenti, finendo con il proprio atteggiamento conciliativo col risultare infecondi e imprecisi. Questo “vuoto e astratto eclettismo” in cui si sarebbero rifugiati, secondo Spirito, «gli ultimi epigoni della scuola classica o i pavidi assertori di un positivismo a metà»609, è dunque sinonimo di inconcludenza poiché, nonostante gli sforzi, le argomentazioni degli eclettici non solo non riescono a confutare le tesi dei positivisti ma sembrano addirittura confermarle. Il terreno franoso su cui si trovano a misurarsi i giuristi è, ancora una volta, quello del dibattito sul libero arbitrio. Esemplificativa di questo atteggiamento è la critica mossa alla Scuola Positiva sia da Lucchini che da Pessina entrambi «paladini del libero arbitrio, lontani dall‟approccio sociologico»610, i quali nel tentativo di confermare la validità delle tesi della Scuola Classica rimangono avviluppati nella “trappola positivistica” non riuscendo a trovare argomenti validi per confutare la negazione del libero arbitrio. Entrambi cercano infatti di risolvere solo superficialmente la questione sostenendo che trattandosi di un sentimento non solo sia impossibile schierarsi pro o contro di esso ma che sia comunque un problema ininfluente per la scienza giuridica penale611. Tutte le critiche mosse alla Scuola positiva risultano infatti accomunate da Si veda per tutti, Mary Gibson la quale senza alcuna esitazione definisce Pessina «rispettato leader della scuola classica» (M. Gibson, Nati per il crimine, cit., p. 105) e, più in generale reputa sia Pessina che Lucchini, diretti eredi della dottrina di Beccaria (ivi, p. 60). 609 U. Spirito, Storia del diritto penale italiano da Cesare Beccaria ai giorni nostri, cit., p. 172. 610 M. Gibson, Nati per il crimine, cit., p. 60. 611 U. Spirito, Storia del diritto penale italiano da Cesare Beccaria ai giorni nostri, cit., pp. 175-177. 608 190 «un‟intima ribellione alla negazione della libertà, una rivendicazione in termini energici e spesse volte non priva di pathos della dignità e del valore spirituale dell‟uomo»612, ma che, come tale finisce con l‟essere una protesta dal significato del tutto «superficiale e sentimentale»613, poiché condotta ancora una volta in nome di un concetto tradizionale di libero arbitrio e quindi da un punto di vista che non riesce a fuoriuscire dall‟impostazione data al problema dalla Scuola Positiva. Da quest‟atteggiamento, visto come “debolezza” e “indeterminatezza”614 o, al contrario, come lucida presa di coscienza615 della necessità di trovare una terza via tra i due fronti contrapposti irriducibili, nasce nei primi anni del Novecento la Terza Scuola. Appare significativo infatti che in quel periodo alcuni tra i più illustri penalisti, tra cui Eugenio Florian, Vincenzo Manzini e Filippo Grispigni, decidono di inaugurare i propri corsi di diritto penale con discorsi improntati ad uno sguardo rivolto a future riforme e soluzioni tendenti ad armonizzare o far dialogare l‟indirizzo positivista e quello liberale realistico. Lo sforzo più significativo è forse quello di Bernardino Alimena616, giurista calabrese che insegna a Napoli e successivamente a Cagliari e Modena, promotore della c.d. “Scuola Ivi, p. 171. Ibidem. 614 Ivi, p. 178. 615 M. Sbriccoli, Il problema penale, in Id. del diritto penale e della giustizia, cit., tomo I, p. 676 (già edito in G. Badeschi (a cura di), Enciclopedia Italiana di Scienze, Lettere ed Arti – Appendice 2000 – Eredità del Novecento, Enciclopedia Italiana, Roma, pp. 822-837). 616 La bibliografia italiana relativa alla figura e all‟opera di Alimena è particolarmente esigua. Per alcune considerazioni generali, si rinvia a A. Pasquale, Bernardino Alimena nella scienza e nella vita, Vallardi, Milano 1918 e, più recentemente, L. Sirianni, Un incontro tra due progressisti: Pasquale Rossi e Bernardino Alimena, in T. Cornacchioli-G. Spadafora (a cura di), Pasquale Rossi e il problema della folla. Socialismo, mezzogiorno, educazione, Armando, Roma 2000, pp. 317-329. 612 613 191 Critica”, poi denominata, per l‟inevitabile confronto con le altre due, “Terza Scuola”. Non è un caso se l‟opera maggiore di Alimena riguarda proprio il concetto di imputabilità e i suoi limiti a cui dedica ben tre tomi di più di cinquecento pagine ciascuno617. Il giurista cosentino, infatti, ben comprende come per cercare di andare oltre lo scontro dottrinale tra classicisti e positivisti debba intervenire su quello che costituisce il punctum dolens del dibattito: la questione del libero arbitrio e della responsabilità penale. È nell‟introdurre la sua corposa opera che Alimena, convinto di esprimere un bisogno che tutti sentono ma che pochi manifestano «come quando, nel rumorìo d‟una folla, s‟intuisca un anelito comune»618, traccia il manifesto programmatico della terza scuola. Alimena afferma, in particolare, come di fronte alla inadeguatezza del monismo idealistico rispetto ai progressi della biologia da un lato e l'esasperazione del monismo materialistico propugnato dai positivisti, che vorrebbero sostituire i medici ai giudici dall‟altro, si apre una nuova fase del diritto penale, quella del «naturalismo critico»619 caratterizzata dal suo essere «positivista nel metodo» e, contemporaneamente, «essenzialmente critica nel suo contenuto, pur restando naturalista»620. Queste considerazioni, successivamente ribadite anche nella prolusione pronunciata il 29 novembre 1894 e intitolata non a caso “La scuola critica di diritto penale”, costituiscono la base di un inedito orientamento dottrinario che si vuole porre al di là della Scuola Classica e della Scuola Positiva, rifondando il diritto penale a B. Alimena, I limiti e i modificatori dell‘imputabilità, 3 volumi, Bocca, Torino 1894-1899. 618 B. Alimena, I limiti e i modificatori dell‘imputabilità, vol. 1, cit., p. 8. 619 Ivi, p. 5. 620 Ibidem. 617 192 partire dalla negazione del libero arbitrio e l‟affermazione della responsabilità penale, cercando così di portare a compimento, su altre basi, l‟ambizioso tentativo posto in essere da Ferri in giovane età: conciliare l‟imputabilità con la mancanza di libero arbitrio. Alimena è infatti fermamente convinto che «anche dopo aver negato il libero arbitrio, distingueremo sempre l‟uomo, che si determina in conformità della propria indole, dall‟uomo che è trascinato da una forza maggiore; nello stesso modo come noi distinguiamo, sempre, una nave o una carrozza o un‟altalena, dalla terra ferma, quantunque sappiamo che la terra corra velocissima verso l‟infinito»621. Perciò si può fare ben a meno del libero arbitrio che Alimena non esita a definire un fantasma o una mera illusione poiché si confonde «la libertà di volere con la libertà di fare» 622, a vantaggio della valorizzazione del fattore intimidatorio della pena. Se, da un lato, si ritiene necessaria la difesa sociale propugnata dai positivisti, dall‟altro, essa per la sua genericità che la pone al di là della mera reazione al delitto comprendendo una varietà di provvedimenti («dall‟uccisione del cane idrofobo al lazzaretto per l‟appestato»623) risulta insufficiente. La penalità richiede un quid pluris rispetto ad essa che Alimena individua nella minaccia di un male e la coazione psicologica che tale minaccia esercita sulla coscienza degli uomini, che costituirebbe il vero «determinante speciale della penalità»624. Qui chiaramente Alimena sembra sviluppare la tesi dell‟intimidabilità elaborata in quegli anni da B. Alimena, La scuola critica di diritto penale. Prolusione ad un corso di diritto e procedura penale nell‘Università di Napoli, 29 novembre 1894, Luigi Pierro, Napoli 1894, p. 28. 622 B. Alimena, I limiti e i modificatori dell‘imputabilità, vol. 1, cit., p. 49. 623 B. Alimena, La scuola critica di diritto penale, cit., p. 29. 624 Ivi, p. 30. 621 193 G.B. Impallomeni, il quale ha cercato di rifondare proprio il concetto di imputabilità sganciandolo dal libero arbitrio. Sulla stessa scia di Alimena si pone anche, Emanuele Carnevale625, penalista presso la Regia Università di Palermo nonché altro strenuo fautore della “Terza Scuola” tanto da utilizzare espressamente tale denominazione626. Il suo intento è lottare una concezione eccessivamente dogmatica del diritto penale a vantaggio di un approccio critico alla disciplina627. Anche il giurista siciliano, nell‟elaborare le linee programmatiche di tale Scuola, si sofferma sulla spinosa questione del libero arbitrio, a partire dalla presa d‟atto che se la dottrina che nega il libero arbitrio è vecchia di parecchi secoli è anche vero che solo con gli studi dell‟Antropologia criminale essa abbia avuto la prima vera «dimostrazione positiva»628. Carnevale, data per assodata l‟inesistenza del libero arbitrio, precisa che occorra distinguere tra i motivi che limitano la libertà dell‟uomo poiché “interni” ad esso (le «cause organiche nel delitto»629) da quelli “esterni” (le «cause sociali nel delitto»630), adottando così una visione ampia ed inedita di libero arbitrio, che sottintende una chiara volontà di apertura ad Su Carnevale e la sua opera, si rinvia a M. Finzi, Emanuele Carnevale e il problema metodologico del diritto penale, in «Il Filangieri», gennaio-febbraio 1918, pp. 1-22 e G. Contursi Lisi, L'opera scientifica di Emanuele Carnevale nel diritto criminale, Società editrice del Foro Italiano, Roma 1934. 626 E. Carnevale, Una terza scuola di diritto penale, Tipografia delle Mantellate, Roma 1891. 627 «La critica penale deve avere il significato di un esame libero: quanto alla materia, non accettando termini prestabiliti, e mettendone a nudo ogni lato, il più appariscente come il più nascosto; quanto al metodo, servendosi dell‟osservazione propria e diretta, schiva da qualunque pregiudizio, sia vecchio sia nuovo, venga da amici o da avversari» (E. Carnevale, Critica penale. Studio di filosofia giuridica, Caserta & Favaloro, Lipari 1889, p. 5). 628 Ivi, p. 115. 629 Ivi, p. 116. 630 Ibidem. 625 194 un approccio di tipo interdisciplinare. Per Carnevale occorre guardare ai frutti dati singolarmente dalle due discipline coinvolte nello studio del diritto penale da punti di vista diversi: la biologia criminale e la sociologia criminale. Tra chi vuole dare maggior rilievo alle cause organiche nella commissione di un delitto e chi, invece, vuole trovare la scaturigine dell‟agire criminoso nella cause sociali è necessario trovare un punto di contatto e mediazione; solo mettendo insieme i risultati dei due approcci si può, secondo il giurista siciliano, comprendere la vera origine del delinquere che, non potendo tradursi né in una «fatalità d‟organismo»631, in quanto le cause sociali contraddirebbero le cause organiche, né in una «fatalità d‟ambiente»632, poiché potrebbe avvenire l‟inverso. Più condivisibile invece sarebbe una «fatalità psicologica»633, che è la risultante dell‟adozione dei due approcci contemporaneamente e non in contrapposizione l‟uno con l‟altro, riuscendo così a conciliare «gli studî moderni sulla libertà del volere colla fede nel magistero educativo»634. Un simile criterio riuscirebbe, d‟altro canto, a superare la critica avanzata dagli studiosi afferenti alla Scuola Classica, secondo cui alla negazione del libero arbitrio si accompagna inevitabilmente un effetto deresponsabilizzante nei confronti di chi delinque. Secondo Carnevale infatti «il fatalismo criminale non annulla i limiti fra il vizio e la virtù»635 e non mina l‟istituto della responsabilità penale ma elimina solo il sentimento d‟odio e vendetta nei confronti del reo, che sarebbe piuttosto sostituito da un ben più auspicabile sentimento di compassione: si Ivi, p. 118. Ibidem. 633 Ibidem. 634 Ibidem. 635 Ivi, p. 119. 631 632 195 prova non più disprezzo nei confronti del criminale ma pietas ma si continua a punire perché ciò è necessario per difendersi dai delitti che, seppur meno odiosi e spregevoli agli occhi della popolazione, rimangono – nell‟ottica utilitaristica abbracciata da Carnevale – di per sé dannosi per la società. 4.4 La libertà non è una secrezione del cervello: gli altri antimaterialisti Lo scontro dottrinale instaurato dalla creazione della Scuola Positiva di Diritto Penale non interessa tuttavia solo il campo giuridico, travalicando ben presto gli angusti confini disciplinari. Come è stato osservato, infatti, «le critiche rivolte alle nuove teorie scuola positiva furono e sono tuttora innumerevoli: critiche di filosofi o di giuristi; volte ai presupposti filosofici o alle conseguenze di carattere pratico; violente, assolute, condite d‟ironia e di disprezzo o equilibrate e conciliative; critiche, insomma di ogni genere e ogni parte»636. Negli ambienti più prettamente filosofici è noto l‟ostracismo dei maggiori esponenti del neo-idealismo, Benedetto Croce e Giovanni Gentile, che esprimono entrambi giudizi durissimi nei confronti di Lombroso e dei suoi seguaci. Se il giudizio di Croce è tranchant laddove afferma che «col Lombroso e la sua scuola […] siamo giunti all‟estremo limite, che separa l‟errore decoroso da quello grossolano, che si chiama sproposito»637, ancora più virulenti sono gli attacchi inferti da Gentile il quale punta a decostruire punto U. Spirito, Storia del diritto penale italiano da Cesare Beccaria ai giorni nostri, cit., p. 171. 637 B. Croce, Estetica come scienza dell‘espressione e linguistica generale. Teoria e storia, terza edizione riveduta, Laterza, Bari 1908, p. 462. 636 196 dopo punto i due capisaldi della Scuola Lombrosiana: la teoria antropologica del delitto e la teoria psicopatica del genio. Il filosofo siciliano cerca appunto di metterne in evidenza errori ed contraddizioni, affermando come per i positivisti la libertà diviene un‟illusione destinata a svanire o un mito e «il canto del poeta è il guaito di un cane pesto, anzi di un animale-macchina, alla cartesiana; l‟estro del genio, l‟irritazione dei lobi frontali» 638. In entrambi i casi gli strali della sua critica si appuntano proprio contro la negazione del libero arbitrio e, più in generale, del concetto stesso di libertà dell‟uomo derivanti da una costruzione semplicisticamente materialistica elaborata da Moleschott che, essendo così affascinante e convincente per un medico, aveva ben presto conquistato «il buon Lombroso»639. Proprio quanto sostenuto da Moleschott sulla volontà umana come «l‟espressione necessaria di una particolare condizione del cervello, occasionata da influenze esterne»640, secondo Gentile, avrebbe portato Lombroso a teorizzare (erroneamente) che anche il delitto, alla stregua di qualunque altra azione umana non è nient‟altro che un fenomeno della natura, e come tale soggetto alla dura legge di causalità: «dalla delinquenza e dalla pazzia, ossia dalle forme infime della spiritualità, al genio, forma suprema, l‟attività dello spirito viene ridotta ad un giuoco di molecole, tutta avvinta a una stessa catena»641. Gentile rimprovera a Lombroso infatti di aver ignorato che è lo spirito dell‟uomo a delinquere e non il suo corpo, così come se lo spirito agli occhi del naturalista sparisce anche la libertà diventa un assurdo. Su tale G. Gentile, Le origini della filosofia contemporanea in Italia, vol. II, I positivisti, in Id., Opere, Tomo XXXII, Sansoni, Firenze 1957, p. 167. 639 Ivi, p. 161. 640 Ivi, p. 162. 641 Ivi, p. 164. 638 197 punto Gentile si rivolge causticamente a Ferri, „reo‟ più di chiunque altro seguace della Scuola Positiva, di aver cercato invano di disconoscere l‟esistenza della libertà dell‟uomo: «ed ecco l‟ansimare del povero Ferri sulle peste del vecchio libero arbitrio, per giungerlo e dargli il colpo mortale, senza sapere che quel vecchio libero arbitrio è morto da un pezzo, e dalle sue ceneri è nata la libertà»642. Ma l‟affondo più duro alla Scuola Positiva al di fuori della cerchia dei giuristi viene sicuramente posto in essere dalla Chiesa Cattolica, efficacemente rappresentata dal medico e frate francescano Padre Agostino Gemelli, che forse più di chiunque altro cerca di contrastare le tesi di Lombroso, ridicolizzandole643 e sminuendone la portata644. Ciò del resto non desta alcun stupore visto che «nella loro critica del libero arbitrio, i criminologi positivi italiani sfidavano non solo la giurisprudenza classica ma anche il cattolicesimo, mettendo in discussione il significato di termini quali male o peccato. […] Un esplicito determinismo e il rifiuto del libero arbitrio erano in contrasto sia con la chiesa che con l‟etica di governo»645. Così, subito dopo la sua morte, Lombroso veniva dipinto da Gemelli più che come scienziato serio e scrupoloso come Ivi, p. 167. Ecco come Gemelli descrive sarcasticamente l‟autopsia del corpo di Lombroso: «Il cadavere giaceva sul tavolo anatomico con le cavità aperte […] non c‟era proprio nulla in quelle cavità […] intanto il cervello del professore occhieggiava in un vaso di vetro tra gli altri cervelli consimili e pareva che dicesse: “Peso solo grammi 1300! A mala pena un cervello medio….; anzi 14 grammi di meno del peso medio del cervello di un uomo dalla statura uguale a quella del mio proprietario. Dunque questi aveva torto quando pensava d‟essere un genio!”» (A. Gemelli, I funerali di un uomo e di una dottrina, cit. p. 11). 644 «Le idee madri e capitali dei suoi scritti, dalla degenerazione all‟atavismo, dalla pellagra al genio e alla delinquenza non sono sue; egli solamente le agitò e più d‟una volta le intorpidò» (Ivi, p.2 nota 1). 645 D. Pick, Volti della degenerazione, cit., p. 182. 642 643 198 un filosofo mancato di una «semplicità ingenua e infantile»646, reo di aver tentato di liberare l‟uomo dal giogo della metafisica: «Lombroso voltò dispettosamente le spalle a Dio, rincorse lo spirito e credette di averlo finito con un colpo mortale, allorché dopo di aver squadrato cranî e dopo avere esaminato urine, non trovò che cranî ed urine; appunto minacciosi i suoi colpi contro il vecchio libero arbitrio e credette di averlo alfine ricacciato tra le fantasticherie medioevali, allorché, dopo di aver messo in luce gli antecedenti materiali della volontà»647. Gemelli, facendosi scudo dietro la dottrina della Scolastica (unica a permettere, a suo dire, un felice connubio tra filosofia e scienza) accusa Lombroso, totalmente influenzato dal positivismo francese, dal materialismo tedesco e dall‟evoluzionismo britannico, di voler combattere un‟inutile battaglia contro il dogmatismo e la metafisica basata sull‟idea del tutto erronea che la libera volontà non possa esistere in quanto essa no è nient‟altro che un atto riflesso allo stesso modo del pensiero che è solo una secrezione del cervello, finendo tuttavia così nel ricadere nella stessa metafisica di una concezione che avrebbe ben poco di scientifico e molto di filosofico: il suo «non era un partire dal dato di fatto, come egli si illudeva di fare. Questo era un porre alla base della sua concezione un sistema filosofico»648, quella cioè della filosofia determinista che nega il libero arbitrio per sostenere una visione materialistica e meccanicistica del mondo. Così facendo Gemelli elude le facili accuse di antiscientismo, stando ben attento a non attaccare in maniera generica la “scienza”, ma affermando come quella lombrosiana non A. Gemelli, I funerali di un uomo e di una dottrina, cit. p. 4. Ivi, p. 6. 648 Ivi, p. 164. 646 647 199 sia tale649: Lombroso – a detta di Gemelli – erra nel sostenere che ammettere l‟esistenza del libero arbitrio violerebbe le leggi della natura, andando contro il principio di ragion sufficiente laddove si ritiene possibile l‟esistenza di un effetto senza causa, poiché, al contrario, «vi ha in noi un principio capace di non lasciarsi determinare da antecedenti materiali»650. «Invece di condannare tutta la scienza, i cattolici dovevano distinguere tra scienza “buona” e scienza “cattiva” e usare la prima per confutare il positivismo» (M. Gibson, Nati per il crimine, cit., p. 61). 650 A. Gemelli, I funerali di un uomo e di una dottrina, cit., p. 170. 649 200 Conclusioni – Spettri lombrosiani Anche se la cosa potrebbe scandalizzare chi oggi si ostina ad inneggiare alle “magnifiche sorti e progressive” delle neuroscienze e a prendere le distanze dal “rozzo determinismo” lombrosiano, a ben vedere, i due approcci non si differenziano affatto nella loro filosofia di fondo. Al di là dell‟ovvia maggiore accuratezza da un punto di vista clinico e diagnostico tra le ricerche antropometriche di Lombroso e della sua Scuola e gli attuali studi di neuroimaging entrambi sono attestati su un fondamentale presupposto di partenza riassumibile in un celebre passo lombrosiano: «siamo governati da leggi mute, ma che non cadono in dissuetudine mai, e che governano la società più sicuramente delle leggi scritte nei codici. Il delitto, insomma, appare, così dalla statistica come dall‟esame antropologico, un fenomeno naturale, un fenomeno, per dirla con il linguaggio dei filosofi, necessario, come la nascita, la morte, i concepimenti, come le malattie mentali, di cui è, sovente, una triste variante»651. Allora, in un futuro forse non troppo lontano (e non troppo rassicurante), i neuroscienziati saranno in grado di svelare tutti i misteri della natura umana, giungendo a realizzare quanto profetizzato nel 1954 Philip Dick, nel suo racconto inquietante Rapporto di minoranza652, in cui il “Precrimine” arresta gli assassini prima che commettano l‟omicidio C. Lombroso, L‘uomo delinquente (1896)5, vol. II, p. 68. 652 P.K. Dick, Rapporto di minoranza, in Id., Rapporto di minoranza e altri racconti, Fanucci, Roma 2002, (ed. or., The Minority Report, in «Fantastic Universe», January 1956, vol. 4 n. 6, pp. 4-36). Tale racconto, da cui stato tratto l‟omonimo film nel 2002 diretto da Steven Spielberg, con notevoli modifiche rispetto alla trama originale, è stato scritto da Dick nel 1954 ma pubblicato solo nel 1956. Cfr. A. Caronia, D. Gallo, Philip K. Dick. La macchina della paranoia, Agenzia X, Milano 2006, p. 328. 651 201 o quantomeno si potrebbe configurare una sorta di rivincita postuma di Lombroso, sulla possibilità di “leggere” sui corpi degli uomini le stigmate della devianza e della malvagità, che si portano dietro, sin dalla loro nascita. Tale rivincita potrebbe realizzarsi portando alla luce il fil rouge che lega l‟antropologia criminale e le neuroscienze, passando per tutti i tentativi di teorizzare modelli di criminalità biologica653. Ma è il caso di precisare che più che di continuità o discontinuità tra la riflessione di Lombroso e le tesi dei neuroscienziati, vi è un legame quasi segreto e inconfessato: lungi dall‟essere un rapporto riconosciuto e vissuto alla luce del sole, tra Maestro e allievi (o tra padre ed eredi), il più delle volte tale ingombrante eredità viene vissuta quasi come uno scomodo fardello di cui disfarsi frettolosamente e superficialmente. Tuttavia, l‟operazione messa in atto da neuroscienziati e genetisti, spesso si traduce in un vero e proprio parricidio mancato. I neuroscienziati cognitivisti e gli scienziati forensi, soprattutto in Italia, hanno cercato di allontanarsi quanto più possibile dalle tesi lombrosiane, mettendolo nel dimenticatoio delle teorie sbagliate o superate ma, paradossalmente, non fanno altro che avvicinarsi a Lombroso, ripercorrendo la strada già battuta da quest‟ultimo: laddove i neuroscienziati, sia pure con sofisticate ricerche ed esperimenti, si ostinato a negare il libero arbitrio sono inconsapevolmente lombrosiani. Non si tratta di voler trovare a tutti costi i precursori laddove non ve ne siano ma di scoprire qual Cfr. N. Rafter, Le teorie biologiche sul crimine negli Stati Uniti da Lombroso a oggi, in S. Montaldo, P. Tappero (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit. pp. 353-360 e D. G. Horn, The Criminal Body. Lombroso and the Anatomy of Deviance, Routledge, New York 2003; P. Becker, R.F. Wetzell (a cura di), Criminals and Their Scientists. The History of Criminology in Iternational Perspective, Cambridge University Press, New York 2006. 653 202 è la reale portata dell‟opera di Lombroso, tralasciando gli aspetti più ridicoli e senz‟altro discutibili scientificamente, ma che alla fine lo hanno reso tristemente famoso in tutto il mondo: l‟attribuzione di una caratteristica morale in base ai tratti somatici o anatomici (es. lunghezza delle orecchie, forma della testa, etc.), lo spiritismo, la misoginia, il larvato razzismo. Al di là di tali aspetti, l‟operazione messa in atto dalle neuroscienze oggi non si distingue dalla Scuola Positiva solo per i mezzi utilizzati, più precisi e più avanzati tecnologicamente (almeno ai nostri occhi). Forse i neuroscienziati di oggi possono essere idealmente rappresentati come l‟Angelus Novus di Paul Klee, magistralmente rievocato da Walter Benjamin, con il corpo proiettato verso il futuro e le braccia protese in avanti, ma la testa e lo sguardo rivolte al passato. Laddove si parlava di “tara ereditaria” adesso si parla di “predisposizione genetica”, laddove si parlava di “conformazione cranica” adesso di parla di “aree cerebrali”, e così via. Del resto non bisogna cercare i possibili “eredi” di Lombroso tra le fila dei giuristi ma, come avvenne già nella sua epoca, tra quelle degli scienziati, poiché lo stesso Lombroso tale si riteneva 654. Forse nessuno ha descritto meglio di Enrico Ferri la metodologia utilizzata da Lombroso: «Cesare Lombroso cercava il fatto come il cane di razza cerca febbrilmente la selvaggina. E di fronte al fatto, il suo cervello si accendeva e ne scattavano scintille di intuizioni «Lombroso, da buon positivista, applicò il metodo sperimentale attraverso osservazioni dettagliate e quantitative. La logica un po‟ semplicistica che sta alla base del suo modus operandi era che solo ciò che può essere misurato va accettato come fatto scientifico, e che solo su ciò che è provato dalla scienza si possono costruire strategie valide per risolvere in modo razionale i problemi della società, compreso quello del crimine» (M. Costa, Lombroso e le neuroscienze, in S. Montaldo, P. Tappero (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit. p. 362). 654 203 meravigliose onde i più lontani e diversi fenomeni venivano dal suo pensiero spiegati nell‟inatteso contatto e confronto»655. Il metodo empirico e la pretesa di oggettività, ora come allora, costituiscono il legame segreto che lega la Scuola Positiva di Lombroso e le ricerche di molti neuroscienziati oggi. Si tratta forse allora di “vino nuovo in otri vecchi”? È chiaro che molto è rimasto: la «fremebonda ricerca del fatto»656 ma più di tutto il tentativo di creare un nesso indissolubile tra natura e comportamento, in una sorta di ritorno all‟antico, alla nascita della criminologia, quando - come ci ricorda in maniera concisa e illuminante Nicole Rafter - tutte le teorie del crimine erano biologiche657. È come se, più si cerchi di scacciare via lo spettro di Lombroso, più quest‟ultimo riappaia in controluce, come in una di quelle sedute spiritiche che tanto lo affascinarono negli ultimi anni della sua vita. E. Ferri, L‘opera di Cesare Lombroso, in «Archivio di Antropologia criminale, Psichiatria, Medicina legale e scienze affini», 1909, XXX, p. 560 656 E. Morselli, Cesare Lombroso e la filosofia scientifica, in AA.VV., L‘opera di Cesare Lombroso nella scienza e nelle sue applicazioni, cit., pp. 356. 657 «All early theories of crime were biological. Indeed, until the early 20th century, biological theories and criminology were virtually synonymous» (N. Rafter, The Criminal Brain. Understanding Biological Theories of Crime, New York University Press, New York and London, 2008, p. XI). 655 204 BIBLIOGRAFIA AA.VV., Specials Nature News - Science in Court, in «Nature», vol. 464, n. 325, 18.03.2010, consultabile on line su http://www.nature.com/scienceincourt. AA.VV. L'opera di Cesare Lombroso nella scienza e nelle sue applicazioni, Bocca, Torino 1908. AA.VV., Francesco Carrara nel primo centenario della morte. Atti del Convegno internazionale (Lucca-Pisa, 2-5 giugno 1988), Giuffré, Milano 1991. Abbiati D., Il Sud organizza il ―No Lombroso Day‖, in «Il Giornale», 04.01.2010. Accorsi A., Centini M., La sanguinosa storia dei serial killer. I casi più inquietanti che hanno terrorizzato l'Italia del XIX e XX secolo, Newton Compton, Roma 2003. Agamben G., Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Einaudi, Torino 20063. Ahuja A., The Get Out of Jail Free gene, in «The Times», 17.11.2009. Aleo S., Criminologia e sistema penale, Cedam, Padova 2006. 205 Aleo S., Di Nuovo S., Responsabilità e complessità. Il diritto penale di fronte alle altre scienze sociali. Colpevolezza, imputabilità, pericolosità sociale, Giuffrè, Milano 2011. Alimena B., I limiti e i modificatori dell‘imputabilità, 3 volumi, Bocca, Torino 1894-1899. Id., La scuola critica di diritto penale. Prolusione ad un corso di diritto e procedura penale nell‘Università di Napoli, 29 novembre 1894, Luigi Pierro, Napoli 1894. Altamira A., Miti romantici. Simboli e inconscio dell‘era industriale, Vita e Pensiero, Milano 2005. Altobelli D., Indagini su un bandito. Il caso Musolino, Squilibri, Roma 2006. Amadei G., I mattoidi, in AA.VV. L'opera di Cesare Lombroso nella scienza e nelle sue applicazioni, cit., pp. 82-101. Ancet P., Teratologia, ovvero la scienza dei mostri. Il lavoro di Geoffroy Saint-Hilaire, in U. Fadini, A. Negri, C.T. Wolfe (a cura di), Desiderio del mostro, cit., pp. 83-108. Anelli S., Edgar Allan Poe e la «perversità»: tra orrore e razionalità, in Bellini M. (a cura di), L‘orrore nelle arti. Prospettive estetiche sull‘immaginazione del limite, ScriptaWeb, Napoli 2007, pp. 125-148. Antolisei F., Manuale di Diritto Penale. Parte generale, Giuffrè, Milano 2003. 206 Aristotele, La ―melanconia‖ dell‘uomo di genio, a cura di Angelino C. e Salvaneschi E., Il Melangolo, Genova 1981. Aristote, L‘Homme de génie et la Mélancolie, a cura di J. Pigeaud, Payot & Rivages, Paris 1988. Ashburner J., Friston K. J., Voxel-Based Morphometry—The Methods, in «NeuroImage», vol. 11, n. 6, June 2000, pp. 805-821. Azzoni G., La convivenza in una società plurale: eclissi o ritorno del diritto? (Prolusione al Corso di Teoria Generale del Diritto AA. 2010/11) disponibile su http://blog.centrodietica.it/wp- content/uploads/2011/04/la-convivenza-in-una-societa-lezioneinaugurale.pdf. Babini V.P., Liberi tutti. Manicomi e psichiatri in Italia: una storia del Novecento, Il Mulino, Bologna 2009. Babini V.P., Cotti M., Minuz F., Tagliavini A., Tra sapere e potere: la psichiatria in Italia nella seconda metà dell‘Ottocento, Il Mulino, Bologna 1982. Baima Bollone P., Cesare Lombroso e la scoperta dell‘uomo delinquente, Priuli & Verlucca, Scarmagno (To) 2009. Id., Cesare Lombroso ovvero il principio dell‘irresponsabilità, SEI, Torino 1992. Baird A.A., Fugelsand J.A., The emergence of consequential thought: evidence from neuro science, in «Philosophical Transactions of the 207 Royal Society of London B» (Special Issue on Law and the Brain), 2004, vol. 359, pp. 1797-1804. Bandini T., Lagazzi M., Le basi normative e le prospettive della perizia psichiatrica nella realtà europea contemporanea: l‘imputabilità del sofferente psichico autore di reato, in Ceretti A., Merzagora I., Questioni sull‘imputabilità, Cedam, Padova 1994, pp. 41 ss. Bandini T., Gatti U., Gualco B., Malfatti D., Marugo M.I., Verde A., Criminologia, vol. I, Giuffrè, Milano 20032. Banks G., Short P., Martinez A.J., Latchaw R., Ratcliff G., Boller F., The Alien Hand Syndrome: Clinical and Postmortem Finding, in «Archives of Neurology», 1989, vol. 46, pp. 456-459. Barbieri C., È tornato Lombroso? Alcune osservazioni sulla sentenza della Corte d‘Assise d‘Appello di Trieste del 1° ottobre 2009, in M.G. Ruberto, C. Barbieri (a cura di), Il futuro tra noi. Aspetti etici, giuridici e medico-legali della neuroetica, Franco Angeli, Milano 2011, pp. 127-137. Barcellona P., Il sapere affettivo, Diabasis, Reggio Emilia 2011. Id., Elogio del discorso inutile. La parola gratuita, Dedalo, Bari 2010. Id., L‘oracolo di Delfi e l‘isola della capre, Marietti, Milano 2009. Id., La parola perduta. Dalla polis greca al cyberspazio, Dedalo, Bari 2007. Id., L‘epoca del postumano, Città Aperta, Troina (EN) 2007. Id., Il suicidio dell‘Europa. Dalla coscienza infelice all‘edonismo cognitivo, Dedalo, Bari 2005. 208 Id., Diritto senza società. Dal disincanto all‘indifferenza, Dedalo Bari 2003. Id., Il declino dello Stato. Riflessioni di fine secolo sulla crisi del progetto moderno, Dedalo Bari 1998. Id., Dallo Stato sociale allo Stato immaginario. Critica della «ragione funzionalista», Bollati Boringhieri, Torino 1994. Barcellona P., Garufi T., Il furto dell‘anima. La narrazione postumana, Dedalo, Bari 2008. Barcellona P., Ciaramelli F., Fai R. (a cura di), Apocalisse e postumano. Il crepuscolo della modernità, Dedalo, Bari 2007. Barbero Avanzini B., Devianza e controllo sociale, Franco Angeli, Milano 2002. Bardhan D., Criminal Behavior Might Be Linked To Abnormal Brain Shape; Law Courts Allow Such Evidence, 02.09.2011, in «Techie-buzz» disponibile su http://techie-buzz.com/science/brain-scan-crime.html; Baron-Cohen S., The Science Of Evil. On Empathy And The Origins Of Cruelty, Basic Books, New York 2011. Bartels A., Zeki S., The neural basis of romantic love, in «NeuroReport», 27.11.2000, vol. 11, n. 17, pp. 3829-3834. Bartolucci M., Döppelganger. Le scissioni narrative dell‘io tra Otto e Novecento, Edizioni Nuova Cultura, Roma 1997. 209 Basaglia F., Basaglia Ongaro F., La maggioranza deviante, Einaudi, Torino 1971. Baudelaire C., Il pittore della vita moderna, in Id., Poesie e prose (a cura di G. Raboni), Mondadori, Milano 1973. Id., I fiori del male, Rizzoli, Milano 1998 (ed. or. Les fleurs du mal, Calmann-Levy, Paris 1868). Bechara A., Damasio A.R., Damasio H., Anderson S.W., Insensitivity to future consequences following damage to human prefrontal cortex, in «Cognition», vol. 50, nn. 1-3, April-June 1994, pp. 7-15. Becker P., The Coming of a Neurocentric Age? Neurosciences and the new biology of violence: a historian‘s comment, in «Medicina & Storia», 2010, n.19-20, pp. 101-128. Id., Lombroso come «luogo della memoria» della criminologia, in S. Montaldo, Cesare Lombroso. Gli scienziati e la nuova Italia, Il Mulino, Bologna 2010, pp. 33-51. Id., New Monsters on the Block? On the Return of Biological Explanations of Crime and Violence, in Hering Torres M.S. (a cura di), Cuerpos anómalos, Editorial Universidad Nacional, Bogotá 2008, pp. 270-282. Becker P., Wetzell R.F. (a cura di), Criminals and Their Scientists. The History of Criminology in Iternational Perspective, Cambridge University Press, New York 2006. Bencivelli S., Restano i dubbi, lo spettro di Lombroso, in «Alias», ottobre 2011, n. 38, p. 9. Id., Il buio mentale in un‘immagine, ibidem. 210 Beneduce R., La necessità dell‘ombra. Note per un‘antropologia della devianza, in Montaldo S., Tappero P. (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit., pp. 61-81. Benveniste E., Il vocabolario delle istituzioni indoeuropee, Einaudi, Torino 1976, voll. I e II (ed. or., Le Vocabulaire des institutions indoeuropéennes, Minuit, Paris 1969). Berselli E., Politici lombrosiani, in «La Repubblica», 19.10.2009. Best J., Deviance: Career of a Concept, Thomson/Wadsworth, Belmont 2004. Bertolino M., Il ―breve‖ cammino del vizio di mente. Un ritorno al paradigma organicistico?, in Santosuosso A. (a cura di), Le neuroscienze e il diritto, cit., pp. 121-140. Id., Il caso Chiatti - Il nuovo modello di imputabilità penale. Dal modello positivistico del controllo sociale a quello funzionalgarantista, in «Indice Penale», 1998, fasc. 2, vol. 1, pp. 367-422. Bianchi A., Neuroscienze e diritto: spiegare di più per comprendere meglio, in Bianchi A., Gulotta G., Sartori G. (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, Giuffré, Milano 2009, pp. XI-XXX. Binswanger L., Melanconia e mania. Studi fenomenologici, a cura di E. Borgna, Bollati Boringhieri, Torino 2006; ed. or., Melancholie und Manie. Phänomenologische Studien, Pfullingen 1960. 211 Günther Neske Verlag, Bisi R., Enrico Ferri e gli studi sulla criminalità, Franco Angeli, Milano 2004. Id., Gabriel Tarde e la questione criminale, Franco Angeli, Milano 2001. Blair R.J.R., A cognitive developmental approach to mortality: investigating the psychopath, in «Cognition», 1995, Ottobre vol. 57, pp. 1-29. Boella L., Neuroetica. La morale prima della morale, Raffaello Cortina, Milano 2008. Bologna C., Mostro, in Enciclopedia Einaudi, Einaudi, Torino 1980, vol. IX, pp. 556-580. Bonino G.D., Introduzione in AA.VV., Essere Due. Sei romanzi sul Doppio, Einaudi, Torino 2006. Bonomi A., Borgna E., Elogio della depressione, Einaudi, Torino 2011. Borgna E., Malinconia, Feltrinelli, Milano 20053. Bottari S., Un poemetto incompiuto di Giovanni Pascoli seguito dal frammento, in «Il Ponte», 1950, vol. VI, pp. 374-377. Braidotti R., Madri, mostri e macchine, Manifestolibri, Roma 2005. Breschi D., Spirito del Novecento. Il secolo di Ugo Spirito dal fascismo alla contestazione, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ) 2010. 212 Brunner H. G.et al., Abnormal behavior associated with a point mutation in the structural gene for monoamine oxidase A, in «Science», vol. 262, n. 5133, 22.10.1993. Bugliani F., Introduzione, in Bright T., Della Melanconia (1586), Giuffrè, Milano 1990. Bulferetti L., Cesare Lombroso, Utet, Torino 1975. Burgess P. & Shallice T., The Hayling and Brixton Tests. Test manual, Thames Valley Test Company, Bury St Edmunds 1997. Cabanès J.-L., Nordau lecteur de Lombroso : une filiation encombrante, in «Publif@rum», 2005, 1, numero monografico Cesare Lombroso e la fine del secolo: la verità dei corpi - Atti del Convegno di Genova 24-25 Settembre 2004, consultabile on line su http://www.farum.it/publifarumv/n/01/cabanes.php. Calabrese O., L‘età neobarocca, Laterza, Roma-Bari 1992³. Callaway E., Murderer with 'aggression genes' gets sentence cut, in «The New Scientist», 03.11.2009. Calvi A.A., Ugo Spirito criminalista. Riflessioni sulla terza edizione della «Storia del diritto penale italiano», in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 1974-75, nn. 3-4, pp. 801-843. Canadelli E., L‘ibrido uomo/animale. Suggestioni nella cultura di fine Ottocento, in Bellini M. (a cura di), L‘orrore nelle arti, cit., pp. 263277. 213 Canguilhem G., La monstruosité et le monstrueux, in «Diogène», 1963, n. 40, pp. 29-43 (ora anche in Id., La connaissance de la vie, Vrin, Paris 1992, pp. 219-236). Carnevale E., Una terza scuola di diritto penale, Tipografia delle Mantellate, Roma 1891. Id., Critica penale. Studio di filosofia giuridica, Caserta & Favaloro, Lipari 1889. Carrara F., Libertà e spontaneità. Prolusione al corso di diritto e procedura penale (28 novembre 1882), in Id., Reminiscenze di cattedra e foro dell‘avvocato Francesco Carrara, Tipografia Canovetti, Lucca 1883, pp. 503-517. Caronia A., Gallo D., Philip K. Dick. La macchina della paranoia. Enciclopedia dickiana, Agenzia X, Milano 2006. Caruana F. (a cura di), Scienze cognitive e diritto, numero monografico di «Sistemi Intelligenti», agosto 2010, n. 2. Casaburi M., Borghesia mafiosa: la 'ndrangheta dalle origini ai giorni nostri, Dedalo, Bari 2010. Cases O. et al., Aggressive behavior and altered amounts of brain serotonin and norepinephrine in mice lacking MAOA, in «Science», vol. 268 del 23.06.1995. Caspi A. et al., Role of Genotype in the Cycle of Violence in Maltreated Children, in «Science», 2002, August, vol. 297, n. 5582, pp. 851-854. 214 Cattaneo M.A., Francesco Carrara e la filosofia del diritto penale, Giappichelli, Torino 1988. Cattorini P., L‘occhio che uccide. Criminologi al cinema, Franco Angeli, Milano 2006. Cavalletti A., Suggestione. Potenza e limiti del fascino politico, Bollati Boringhieri, Torino 2011. Cavallieri M., Lite sull'anarchico che accoltellò il re Rutelli: seppellitelo nel suo paese, in «La Repubblica», 24.03.2007. Centini M., Il vampiro della Padania. Le indagini e il processo a Vincenzo Verzeni, lo «strangolatore di donne», Bergamo 1870, Ananke, Torino 2009. Changeux J.P., Ricoeur P., La natura e la regola. Alle radici del pensiero, Raffaello Cortina, Milano 1999 (ed. or., Ce qui nous fait penser. La nature et la règle, Editions Odile Jacob, Paris 1998). Chialant M.T., I mostri della mente: ambigue presenze nella 'ghost story' del secondo Ottocento, in Id. (a cura di), Incontrare i mostri: variazioni sul tema nella letteratura e cultura inglese e angloamericana, ESI, Napoli 2002, pp. 97-121. Chiti R., Poppi R. (con la collaborazione di Lancia E.), Dizionario del cinema italiano. I Film vol. 2. Dal 1945 al 1959, Gremese, Roma 1991. 215 Chivers T., Neuroscience, free will and determinism: 'I'm just a machine', in «The Telegraph», 12 October 2010, http://www.telegraph.co.uk/science/8058541/Neuroscience-free-willand-determinism-Im-just-a-machine.html. Ciacci M., Gualandi V., (a cura di), La costruzione sociale della devianza, il Mulino, Bologna 1977. Cimbali G., La volontà umana in rapporto all‘organismo naturale, sociale e giuridico, seconda edizione riveduta e corretta, Fratelli Bocca, Roma 1898. Cimino G., Lombardo G.P., Sante De Sanctis tra psicologia generale e psicologia applicata, Franco Angeli, Milano 2004. Cocco M., Pinna M., Gabrielle, Vincenzo Verzeni. L‘uomo che visse due volte, su http://www.vampiri.net/ombre_20a.html). Codognotto S., Sartori G., Neuroscienze in tribunale: la sentenza di Trieste, in Caruana F. (a cura di), Scienze cognitive e diritto, cit., pp. 269-280. Cohen S. (a cura di), Images of Deviance, Penguin, Harmondsworth 1971. Collica M.T., Vizio di mente: nozione, accertamento e prospettive, Giappichelli, Torino 2007. Colombo G., La scienza infelice. Il Museo di antropologia criminale di Cesare Lombroso, Bollati Boringhieri, Torino 20002. 216 Contursi Lisi G., L'opera scientifica di Emanuele Carnevale nel diritto criminale, Società editrice del Foro Italiano, Roma 1934. Corbellini G., Quale neurofilosofia per la neuroetica? in Santosuosso A. (a cura di), Le neuroscienze e il diritto, cit., pp. 63-79. Cordero F., Gli osservanti. Fenomenologia delle norme (1967), Nino Aragno, Torino 20082. Id., Criminalia. Nascita dei sistemi penali, Laterza, Roma-Bari 1985. Correra M.M., Martucci P., Elementi di Criminologia, Cedam, Padova 1999. Costa M., Lombroso e le neuroscienze, in Montaldo S., Tappero P. (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit. pp. 361-384. Crespi A., voce Imputabilità (diritto penale), in «Enciclopedia del diritto», Giuffré, Milano, 1970, vol. XX, pp. 764 ss Croce B., Estetica come scienza dell‘espressione e linguistica generale. Teoria e storia, terza edizione riveduta, Laterza, Bari 1908. Crosetti M., La scintilla positivista e l‘errore in vetrina al museo Lombroso, in «La Repubblica - Torino», 08.05.2010. Curra J., The Relativity of Deviance, Pine Forge Press, Thousand Oaks 20112. 217 Dalbrenta Velo D., La scienza inquieta. Saggio sull‘Antropologia criminale di Cesare Lombroso, Cedam, Padova 2004. Dal Lago A., La produzione della devianza: teoria sociale e meccanismi di controllo, Ombre Corte, Verona 2000. Damasio A. R., Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello, Adelphi, Milano 2003 (ed. or., Looking for Spinoza: Joy, Sorrow, and the Feeling Brain, Harcourt, New York 2003). Id., Emozione e coscienza, Adelphi, Milano 2000 (ed. or., The Feeling of What Happens. Body and Emotion in the Making of Consciousness, Harcourt, New York 1999). Id., L'errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano 1995, (ed. or., Descartes‘ Error. Emotion, Reason, and the Human Brain, Putnam, New York 1994). Damasio H., Grabowski T., Frank R., Galaburda A.M., Damasio A.R., The return of Phineas Gage: clues about the brain from the skull of a famous patient, in «Science», 1994, vol. 264, n. 5162, pp. 1102-1105. Davie N., L‘Inghilterra, in Montaldo S., Tappero P., Cesare Lombroso cento anni dopo, cit., pp. 235-248. Id., Tracing the Criminal: The Rise of Scientific Criminology in Britain, 1860-1918, Bardwell Press, Oxford 2005. Id., Les visages de la criminalité: à la recherche d'une théorie scientifique du criminel type en Angleterre (1860-1914), Editions Kimé, Paris 2004. De Caro M., Il libero arbitrio. Un‘ introduzione, Laterza, Bari 2004. 218 De Cataldo Neuburger L., Neuroscienze e diritto penale. La scienza come, quando e perché, in A. Santosuosso (a cura di), Le neuroscienze e il diritto, Ibis, Como-Pavia 2009, pp. 141-155. De Feo A., Passione Passannante, in «L‟Espresso», 18.05.2007. Dell‟Edera S., Rivolta del Sud contro il museo lombrosiano di Torino: un orrore, in «La Stampa», 06.01.2010. De Luca R., Donne assassinate, Newton Compton, Roma 2009. De Mauro M., La libertà del volere ed il Codice penale italiano, in AA.VV., Pel cinquantesimo anno d‘insegnamento di Enrico Pessina, vol. II, Studii di diritto penale, Tipografia Angelo Trani, Napoli 1899, pp. 119-131. De Nava G., Musolino. Il bandito d‘Aspromonte, FPE-Franco Pancallo Editore, 2009. Dewey M., Living with Asperger‘s syndrome, in Frith U. (a cura di), Autism and Asperger‘s syndrome, Cambridge University Press, Cambridge 1991, pp. 184-206. Dick P.K., Rapporto di minoranza, in Id., Rapporto di minoranza e altri racconti, Fanucci, Roma 2002, (ed. or., The Minority Report, in «Fantastic Universe», January 1956, vol. 4, n. 6, pp. 4-36). Di Giovine O., Un diritto penale empatico? Diritto penale, bioetica e neuroetica, Giappichelli, Torino 2009. 219 Diderot D., Il sogno d‘Alembert (1769), in Id., Dialoghi filosofici, a cura di M. Brini Savorelli, Le Lettere, Firenze 1990. Dinitz S., Rowe Dynes R., Carpenter Clarke A-, Deviance: studies in the process of stigmatization and societal reaction, Oxford University Press, New York 1969. Downes D., P. Rock, Understanding Deviance: a guide to the sociology of crime and rule-breaking, Oxford University Press, New York 20116. Durkheim E., Le regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Edizioni di Comunità, Milano 1963 (ed. or., Les règles de la méthode sociologique, Alcan, Paris 1895). Dusi E., Batteri e risonanza magnetica la scienza aiuterà i processi, in «La Repubblica», 18.03.2010. Eadie M.J., Bladin P.F., A Disease Once Sacred. A History of the Medical understanding of Epilepsy, John Libbey & Co., Eastleigh 2001. Eastman N., Campbell C., Neuroscience and legal determination of criminal responsibility, in «Nature Reviews Neuroscience», April 2006, vol. 7, n. 4, p. 311-318. Fadini U., La vita eccentrica. Soggetti e saperi nel mondo della rete, Dedalo, Bari 2009. Id., Differenza e mostruosità, in Fadini U., Negri A., Wolfe C.T. (a cura di), Desiderio del mostro, cit., pp. 111-132. 220 Fazzino E., Il gene dell‘assassinio, ritorno a Lombroso?, in «Il Sole 24 Ore», 29.10.2009. Federico M., Abbasso Cesare, il Lombroso, in «Il Riformista», 05.01.2010. Feresin E., Italian court reduces murder sentence based on neuroimaging data - September 01, 2011, intervento „postato‟ su NewsBlog di «Nature» e disponibile su http://blogs.nature.com/news/2011/09/italian_court_reduces_murder_s .html. Id., Lighter sentence for murderer with 'bad genes‘, in «Nature», 30.10.2009. Ferrari G.C., Renda A., La teoria del genio di Cesare Lombroso, in AA.VV., L‘opera di Cesare Lombroso nella scienza e nelle sue applicazioni, Bocca, Torino 1908. Ferri E., Principi di diritto criminale, Utet, Torino 1928. Id., L‘opera di Cesare Lombroso, in «Archivio di Antropologia criminale, Psichiatria, Medicina legale e scienze affini», 1909, XXX, pp. 547-560. Id., Sociologia criminale, Bocca, Torino 19004. Id., I nuovi orizzonti del diritto e della procedura penale, Zanichelli, Bologna 1881. Id., La teorica dell‘imputabilità e la negazione del libero arbitrio, Barbera, Firenze 1878. 221 Fiandaca G., Musco E., Diritto Penale. Parte generale, Zanichelli, Bologna 19953. Id., Diritto penale. Parte generale, Zanichelli, Bologna 20023. Finzi M., Emanuele Carnevale e il problema metodologico del diritto penale, in «Il Filangieri», gennaio-febbraio 1918, pp. 1-22. Fiorani M., Bibliografia di storia della psichiatria italiana 1991-2010, Firenze University Press, Firenze 2010. Fiore D., «Pena ridotta per questioni di geni: non dovrebbe essere il contrario?», «Il Piccolo», 19.11. 2009, p. 22 . Fiore C., Fiore S., Diritto Penale. Parte generale, Utet, Torino 2008. Foni F., Alla fiera dei mostri. Racconti pulp, orrori e arcane fantasticherie nelle riviste italiane 1899-1932, Tunué, Latina 2007. Forest D., La monstruosité morale est-elle intelligible? Le crime entre histoire des idées et philosophie de l‘action, in Beaune J.-C. (a cura di), La vie et la mort des monstres, Champ Vallon, Seyssel 2004, pp. 113122. Fornari U., Nozione di malattia, valore di malattia, vizio di mente e problemi nel trattamento dell'autore di reato, in «Rivista sperimentale di freniatria e medicina legale delle alienazioni mentali», 1987, vol. CXI, fasc. V, pp. 1043 ss. Id., Improvviso furore, coscienza e volontà dell'atto: storia di un concetto, in «Rivista sperimentale di freniatria e medicina legale delle alienazioni mentali», 1987, vol. CXI, fasc. VI, pp. 1325 ss. 222 Fornari U., Birkhoff J., Serial Killer. Tre ―mostri‖ infelici del passato a confronto, Centro Scientifico Editore, Torino 1996. Fornari U., Rosso R., Libertà morale, infermità di mente e forza irresistibile nella psichiatria italiana dell‘Ottocento, in A. Ceretti, I. Merzagora, (a cura di), Criminologia e responsabilità morale, cit. Forti G., L‘immane concretezza. Metamorfosi del crimine e controllo penale, Raffaello Cortina, Milano 2000. Forza A., Le Neuroscienze entrano nel processo penale, in «Rivista penale», 2010, 1, pp. 75-79. Id., Neuroscienze e diritto, in «Rivista penale», 2009, 3, pp. 247-255. Foucault M., Storia della follia nell‘età classica, nuova edizione a cura di Galzigna M., Rizzoli, Milano 2011 (ed. or., Historie de la folie à l‘âge classique, Gallimard, Paris 1972). Id., Il potere psichiatrico. Corso al Collège de France (1973-1974), Feltrinelli, Milano 2004 (ed. or., Le Pouvoir psychiatrique. Cour au Collège de France 1973-1974, Seuil/Gallimard, Paris 2003). Id., Gli anormali. Corso al Collège de France (1974-1975), Feltrinelli, Milano 2000 (ed or., Les anormaux. Cours au Collège de France. 19741975, Seuil/Gallimard, Paris 1999). Id., About the Concept of the ―Dangerous Individual‖ in 19th- Century Legal Psychiatry, in «International Journal of Law and Psychiatry», 1978, vol. 1, pp.1-18. 223 Francia A., Duca Lamberti, medico detective, ovvero la responsabilità morale del criminologo, in A. Ceretti, I. Merzagora, (a cura di), Criminologia e responsabilità morale, cit., Freud S., Lutto e malinconia, in Id. Opere, vol. 8, Bollati Boringhieri, Torino 1989 (ed. or., Trauer und Melancholie in Gesammelte Werke, Bd X, S. Fischer, Frankfurt 1917). Frigessi D., Cesare Lombroso tra medicina e società, in Montaldo S., Tappero P., (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit., pp. 516. Id., Cesare Lombroso, Einaudi, Torino 2003. Id., La scienza della devianza, in Lombroso C., Delitto, genio, follia. Scritti scelti, cit., pp. 333-373. Frith C., Inventare la mente. Come il cervello crea la nostra vita mentale, Raffaello Cortina, Milano 2009 (ed. or., Making up the Mind. How the Brain Creates Our Mental World, Blackwell Publishing Ltd, Malden, 2007). Gabelli A., Sulla «Scuola positiva» del diritto penale in Italia, in «Rivista Penale», 1886, vol. XXIII, III della II serie, pp. 505-527. Galimberti U., Un uomo normale e la sua ossessione, in «La Repubblica», 27.09.2009. Galluzzi F., Costruire la bella o la bestia? La bellezza combinatoria tra Elena di Troia e Frankenstein, in Fadini U., Negri A., Wolfe C.T. (a cura di), Desiderio del mostro, cit., pp. 215-232. 224 Galzerano G., Giovanni Passannante. La vita, l'attentato, il processo, la condanna a morte, la grazia ‗regale‘ e gli anni di galera del cuoco lucano che nel 1878 ruppe l'incantesimo monarchico, Galzerano, Casalvelino Scalo 2004. Galzigna M., Introduzione, in Foucault M., Storia della follia nell‘età classica, cit., pp. 5-35. Id., Soggetto di passione, soggetto di follia, in J-É. Esquirol, Delle passioni considerate come cause, sintomi e mezzi curativi dell‘alienazione mentale, Mimesis, Milano-Udine 2008, pp. 43-49. Id., Gli infortuni della libertà, in É.-J. Georget, Il crimine e la colpa. Discussione medico legale sulla follia, Mimesis, Milano-Udine 20082, pp. IX-XXXIX. Id., La malattia morale. Alle origini della psichiatria moderna, Marsilio, Venezia 1989. Gazzaniga M.S., Who‘s in Charge? Free Will And The Science Of The Brain, HarperCollins, New York 2011. Id., Human. Quel che ci rende unici, Raffaello Cortina, Milano 2009 (ed. or., Human. The Science Behind What Makes Us Unique, HarperCollins, New York 2008). Id., La mente etica, Codice Edizioni, Torino 2006 (ed. or., Ethical Brain, Dana Press, New York 2005). Gemelli A., I funerali di un uomo e di una dottrina. 3a edizione notevolmente aumentata e completamente rifusa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1911. Genovesi V., La mente di Francesco Carrara circa il delitto e la pena, Cellini, Firenze 1887. 225 Gentile G., Le origini della filosofia contemporanea in Italia, vol. II, I positivisti, in Id., Opere, Tomo XXXII, Sansoni, Firenze 1957. Giacanelli F., Introduzione, in G. Colombo, La scienza infelice. Il Museo di antropologia criminale di Cesare Lombroso, Bollati Boringhieri, Torino 20002, pp. 7-32. Id., Il medico, l‘alienista, in Lombroso C., Delitto, genio, follia. Scritti scelti, cit., pp. 5-43. Gibson M., Il genere: la donna (delinquente e non), in S. Montaldo, P. Tappero (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit., pp. 155164. Id., Nati per il crimine. Cesare Lombroso e le origini della criminologia biologica, Bruno Mondadori, Milano 2004 (ed. or., Born to Crime. Cesare Lombroso and Origins of Biological Criminology, Praeger, Westport-London 2002). Gibson M., Rafter N., Introduzione, in C. Lombroso-G. Ferrero, La donna delinquente, la prostituta e la donna normale, Et al., Milano 2009. Id., Editors‘ Introduction in C. Lombroso, Criminal Man, Duke University Press, Durham 2006. Id., Editors‘ Introduction in C. Lombroso, G. Ferrero, Criminal woman, the Prostitute, and the Normal Woman, Duke University Press, Durham 2004. Goode E., Ben-Yehuda N., Moral Panics: The Social Construction of Deviance, Blackwell, Oxford 1994; P. Aggleton, Deviance, Tavistock Publications, London 1987. 226 Gramsci A., Note sul Machiavelli, sulla politica e sullo Stato moderno, Editori Riuniti, Roma 1971. Greely H., Another ―Brain Mitigation‖ Criminal Sentence from Italy, 03.09.2011 in «Law and Biosciences Blog» disponibile su http://blogs.law.stanford.edu/lawandbiosciences/2011/09/03/anotherbrain-mitigation-criminal-sentence-from-italy/. Greene J.D., Cohen J.D., For the law, neuroscience change nothing and everything, in «Philosophical Transactions of the Royal Society of London B» (Special Issue on Law and the Brain), 2004, vol. 359, pp. 1775-1785. Guarino M., Poteri segreti e criminalità. L'intreccio inconfessabile tra 'ndrangheta, massoneria e apparati dello Stato, Dedalo, Bari 2004. Guarnieri L., L‘atlante criminale. Vita scriteriata di Cesare Lombroso, BUR, Milano 2007. Guarnieri P., La storia della psichiatria. Un secolo di studi in Italia, Olschki, Firenze 1991. Id., L‘ammazzabambini. Legge e scienza in processo toscano di fine Ottocento, Torino, Einaudi 1988. Id., Individualità difformi. La psichiatria antropologica di Enrico Morselli, Franco Angeli, Milano 1985. Guo G., Ou X. M., Roettger M., Shih J.C., The VNTR 2 repeat in MAOA and delinquent behavior in adolescence and young adulthood: 227 associations and MAOA promoter activity, in «European Journal of Human Genetics», 23.01.2008. Hadlock P.G., The Other Other: Baudelaire, Melancholia, and the Dandy, in «Nineteenth-Century French Studies», Vol. 30, 2001, pp. 58-67. Hamzelou J., Brain scans reduce murder sentence in Italian court, in «The New Scientist», 02.09.2011 disponibile su http://www.newscientist.com/blogs/shortsharpscience/2011/09/brainscans-reduce-sentence-in.html. Harlow M., Passage of an iron rod through the head, «Boston Medical and Surgical Journal» 1848, vol. 39, n. 20, December 13, 1848, pp. 389-393 (ora anche in «The Journal of Neuropsychiatry and Clinical Neurosciences» 11, 2, Spring 1999, pp. 281-283). Haynes S.D., Bennett T.B., Historical Perspective and Overview, in T.B. Bennett (a cura di), The Neuropsychology of Epilepsy, Plenum Press, New York 1992. Id., Posso prevedere quello che farai, in M. De Caro, A. Lavazza, G. Sartori (a cura di), Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio, cit., pp. 5-19. Hobsbawm E. J., I ribelli. Forme primitive di rivolta sociale, Einaudi, Torino 1974 (ed. or., Primitive Rebels. Studies in Archaic Forms of Social Movement in the 19th and 20th Centuries, Manchester University Press, Manchester 1959). 228 Horn D.G., The Criminal Body. Lombroso and the Anatomy of Deviance, Routledge, New York 2003. Hurter K., Nubola C. (a cura di), Grazia e giustizia. Figure della clemenza fra tardo medioevo ed età contemporanea, Il Mulino, Bologna 2011. Inizal M., Un juge italien découvre le gène du meurtre, in «Libération», 28.10.2009. Intrieri C., Neuroscienze e diritto: una nuova teoria giuridica sulla mente, in Caruana F. (a cura di), Scienze cognitive e diritto, cit., pp. 255-268. Jaspers K., Genio e follia. Strindberg e Van Gogh, Cortina, Milano 2001 (ed. or., Strindberg und Van Gogh, Piper Verlag GmbH, München 1951). Jones O.D., Law, evolution and brain: applications and open questions, in «Philosophical Transactions of the Royal Society of London B» (Special Issue on Law and the Brain), 2004, vol. 359, pp. 1697-1707. Kenny A., Freewill and responsibility, Routledge & Kegan Paul, London 1978. Klibansky R., Panosky E., Saxl F., Saturno e la melanconia. Studi di storia della filosofia naturale, religione e arte, Einaudi, Torino 1983 (ed. or., Saturn and Melancholy. Studies in the History of Natural 229 Philosophy, Religion and Art, Thomas Nelson & Sons Ltd, London 1964). Kiehl K. A., Buckholtz J. W., Nella mente di uno psicopatico, in «Mente & Cervello», marzo 2011, n. 75, pp. 68-75. Id., A Cognitive Neuroscience Perspective on Psycopathy: Evidence for Paralimbic System Dysfunction, in «Psychiatry Research», 2006, vol. 142, pp. 107-128. Kimura T., Haggard P., Gomi H., Transcranial Magnetic Stimulation over Sensorimotor Cortex Disrupts Anticipatory Reflex Gain Modulation for Skilled Action, in «The Journal of Neuroscience», 6 September 2006 Vol. 26, n. 36, pp. 9272–9281. Krafft-Ebing R. von, Psychopathia Sexualis, Manfredi, Milano 1966 (ed. or., Psychopathia Sexualis, Ferdinand Enke, Stuttgart 1886). La Vergata A., Introduzione, in Pick D., Volti della degenerazione, cit., pp. VII-XXVIII. Lanati B., Desiderio e lontananza. Un punto di vista contemporaneo sulla letteratura anglo-americana, Donzelli, Roma 2010. Lattanzi G., Lupo E., Codice penale. Rassegna di giurisprudenza e di dottrina, libro I, vol. IV, Giuffré, Milano 2010. Lavazza A., I geni costringono a delinquere? No, il riduzionismo è già superato. Geni «difettosi», uno sconto di pena, «Avvenire», 07.11.2009. 230 Lavazza A., Sammicheli L., Se non siamo liberi, possiamo essere puniti?, in De Caro M., Lavazza A., Sartori G. (a cura di), Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio, Codice Edizioni, Torino 2010, pp. 147-166. Le Breton D., Des visages Essai d‘anthropologie, Métailié, Paris 2003. Legrenzi P., Umiltà C., Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo, Il Mulino, Bologna 2009. Lemaire S., Blanchard P., Bancel N., Boëtsch G., Deroo É. (a cura di), Zoo umani. Dalla Venere ottentotta ai reality show, Ombre Corte, Verona 2003 (ed. or., Zoos humains. De la Vénus hottentote aux reality shows, Éditions la Découverte, Paris 2002). Levra U. (a cura di), La scienza e la colpa. Crimini criminali criminologi: un volto dell‘Ottocento, Electa, Milano 1985. Levy N., Neuroetica. Le basi neurologiche del senso morale, Apogeo, Milano 2009 (ed. or. Neuroethics. Challenges for the 21st Century, Cambridge University Press, New York 2007). Libet B., Mind Time. Il fattore temporale nella coscienza, Raffaello Cortina, Milano 2007 (ed. or., Mind Time: The Temporal Factor in Consciousness, Harvard University Press, Cambridge, 2004). Lyle D.P., Dangerous DNA: The Warrior Gene, in http://writersforensicsblog.wordpress.com/2010/06/15/dangerous-dnathe-warrior-gene del 15.06.2010. 231 Lynn S.J., Rhue J.W., Weekes J.R., Hypnotic Involuntariness: A Socialcongitive Analysis, in «Psychological Review», 1990, vol. 97, pp. 169-184. Logan G.D., Cowan W.B., Davis K.A., On the ability to inhibit simple and choice reaction time responses: a model and a method, in «Journal of Experimental Psychology: Human Perception and Performance», 1984, vol. 10, no. 2, pp. 276-291. Lombroso C., Delitto, genio, follia. Scritti scelti, a cura di D. Frigessi F. Giacanelli - L. Mangoni, Bollati Boringhieri, Torino 20002. Id., L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline carcerarie, riduzione di Gina Lombroso, sull'ultima ed. 1897-1900, Fratelli Bocca, Torino, 1924. Id., Discours d‘ouverture au VI Congrés d'anthropologie criminelle, in Comptes-rendus du VIE Congrés international d'anthropologie criminelle: Turin, 28 avril-3 mai 1906, Bocca, Torino 1908, pp. XXXIXXXVI. Id., Il mio museo criminale, in «L‟illustrazione Italiana», XXXIII, 1° aprile 1906, n. 13, pp. 302-306. Id., I nuovi orizzonti della psichiatria, in «Rivista d‟Italia», 1904, vol. I, pp. 5-19. Id., Come nacque e crebbe l‘antropologia criminale, in AA.VV., Ricerche e studi di Psichiatria, Neurologia, Antropologia e Filosofia dedicati al Prof. Enrico Morselli nel XXV anniversario del suo insegnamento, Vallardi, Milano 1906 (Estratto). Id., Nuovi studii sul genio, vol. II, Origine e natura dei genii, Remo Sandron, Milano – Palermo – Napoli 1902. Id., L‘ultimo brigante: Giuseppe Musolino, in «Nuova Antologia», 1 febbraio 1902, n. 181, pp. 508-516. 232 Id., L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline carcerarie, 5a edizione, Bocca, Torino 1897, volume III. Id., L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline carcerarie, 5a edizione, Bocca, Torino 1896, voll. I e II. Id., La degenerazione del genio e l‘opera di Max Nordau, in Nordau M., Degenerazione, seconda edizione riveduta sulla seconda originale con nuova prefazione in risposta a C. Lombroso, Bocca, Torino 1896 (ed. or., Entartung, 2. Auflage, C. Duncker, Berlin 1893). Id., La funzione sociale del delitto, Sandron, Palermo 1896, ora in Id., Delitto, genio, follia. Scritti scelti, cit. Id., L‘uomo di genio in rapporto alla psichiatria, alla storia e all‘estetica, sesta edizione completamente mutata, Bocca, Torino 1894. Id., Le più recenti scoperte ed applicazioni della psichiatria ed antropologia criminale, Bocca, Torino 1893. Id., La donna delinquente, la prostituta e la donna normale (in collaborazione con G. Ferrero), Roux & C., Torino 1893. Lombroso C., Laschi R., Il delitto politico e le rivoluzioni in rapporto ad diritto, all‘antropologia criminale ed alla scienza di governo, Bocca, Torino 1890. Id., L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla giurisprudenza ed alle discipline carcerarie, 4a edizione, Bocca, Torino 1889, voll. I e II. Id., Troppo presto, in AA.VV., Appunti al nuovo codice penale, Bocca, Torino 1889. Id., L‘uomo di genio in rapporto alla psichiatria, alla storia ed all‘estetica. Quinta edizione del Genio e Follia completamente mutata, Bocca, Torino 1888. Id., Tre tribuni studiati da un alienista, Bocca, Torino 1887. 233 Lombroso C., Ferri E., Garofalo R., Fioretti G., Polemica in difesa della scuola criminale positiva, Zanichelli, Bologna 1886. Id., L‘uomo delinquente in rapporto all‘antropologia, giurisprudenza ed alle discipline carcerarie. Delinquente nato e pazzo morale, 3a ed. completamente rifatta, Bocca, Torino 1884. Id., Genio e follia in rapporto alla medicina legale, alla critica ed alla storia, 4a ed., Bocca, Torino 1882. Id., Due tribuni studiati da un alienista, Sommaruga, Roma 1883. Id., I mattoidi grafomani e Mangione, in «Archivio di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali per servire allo studio dell‟uomo alienato e delinquente», 1880, vol. 1, pp. 409-423. Id., Considerazioni sul processo Passanante e Id, Su Passanante. Risposta alle note critiche del Professor Tamburini, in «Giornale internazionale delle scienze mediche», n. s., I, 1879. Id., Recensione a La teorica dell‘imputabilità e la negazione del libero arbitrio di Enrico Ferri (1), Firenze, Barbera 1873 edit. Macario di Pisa, in «Archivio Giuridico», 1878, vol. XXI, pp. 324-333. Id., L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, giurisprudenza e alle discipline carcerarie. Aggiuntavi la teoria della tutela penale del Prof. Avv. F. Poletti, 2a edizione, Bocca, Torino 1878. Id., L'uomo delinquente in rapporto all'antropologia, alla medicina legale ed alle discipline carcerarie, Hoepli, Milano 1876. Id., Genio e follia, 3a edizione ampliata con quattro appendici, Milano, Hoepli 1877. Id., Una biblioteca mattoide, Appendice seconda in Id., Genio e follia, 3a edizione ampliata con quattro appendici, Milano, Hoepli 1877, consultabile on line su http://www.braidense.it/scaffale/genioappend2.html. Id., Verzeni e Agnoletti, «Rivista di discipline carcerarie», 1873, 3, pp. 193-213, poi ripubblicato in Id., Raccolta dei casi attinenti alla 234 medicina legale. Verzeni e Agnoletti in «Annali universali di medicina», Aprile-Maggio 1874, vol. 228, pp. 3-29 ed ora parzialmente riedito anche in Id., Delitto, genio, follia. Scritti scelti, cit.,, pp. 250260. Id., Genio e follia, 2a ed., Brigola, Milano 1864. Id., Della fossetta cerebellare mediana in un delinquente, in «Rendiconti del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere», 1872, vol. V, fasc. 18. Id., Esistenza di una fossa occipitale mediana nel cranio di un criminale, in «Archivio per l‟antropologia e l‟etnologia», 1871, vol. 1, Id., Studi clinici ed antropometrici sulla microcefalia ed il cretinismo, in «Rivista clinica di Bologna», 1873, s. II, a. III, n.7. Id., Genio e follia. Prelezione ai corsi di Antropologia e Clinica psichiatrica presso l‘Università di Pavia, Giuseppe Chiusi, Milano 1864. Lombroso C., Bianchi L., Misdea e la nuova scuola penale, Bocca, Torino 1884. Lombroso Ferrero G., Cesare Lombroso. Storia della vita e delle opere, Zanichelli, Bologna 19212. Longo G. O., Dopo la sentenza della Corte d'Assise d'appello di Trieste, Avvenire», 07.11.2009. Id., Homo technologicus, Meltemi, Roma 2005. Lucarelli C., Picozzi M., Serial killer. Storie di ossessione omicida, Mondadori, Milano 2003. 235 Lucchini L., I semplicisti del diritto penale, Unione TipograficoEditrice, Torino 1886. Lupi G., Serial killer italiani: cento anni di casi agghiaccianti da Vincenzo Verzeni a Donato Bilancia, Editoriale Olimpia, Sesto Fiorentino (FI) 2005. Luporini C., Francesco Carrara e il progresso della scienza criminale, Tipografia Baroni, Lucca 1891. Lusa V., Pascasi S., Il Tribunale ―accoglie‖ il fattore genetico nel processo penale, nota a Tribunale di Como, Gip, decisione 20.08.2011, in «Altalex», 21.09.2011 disponibile su http://www.altalex.com/index.php?idnot=15547. Id., I confini dell‘imputabilità: l‘influenza della genetica sulla pericolosità sociale, in «Ventiquattrore Avvocato», 2011 n. 7-8, pp. 92100. Macchia G., Baudelaire e la poetica della malinconia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 19612. McDermott R., Tingley D., Cowden J., Frazzetto G., Johnson D.D.P., Monoamine oxidase A gene (MAOA) predicts behavioral aggression following provocation, in «Proceedings of the National Academy of Sciences», 23.01.2009. Macmillan M., An Odd Kind of Fame: Stories of Phineas Gage, MIT Press, Cambridge 2000. 236 Magrì E., Musolino. Il brigante dell‘Aspromonte, Camunia, Milano 1989. Maffei L., La libertà di essere diversi. Natura e cultura alla prova delle neuroscienze, Il Mulino, Bologna 2011. Mangoni L., Eziologia di una nazione, in C. Lombroso, Delitto, genio, follia. Scritti scelti, cit., pp. 685-709. Marchesini R., Il tramonto dell‘uomo. La prospettiva post-umanista, Dedalo, Bari 2009. Id., Post-human: verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2002. Marchetti L., Il fanciullo e l‘angelo. Sulle metafore della redenzione, Sellerio, Palermo 1996. Marchetti P., Le ‗sentinelle del male‘. L‘invenzione ottocentesca del criminale nemico della società tra naturalismo giuridico e normativismo psichiatrico, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 2009, tomo II, pp. 1009-1080. Marini G., voce Imputabilità, in «Digesto delle discipline penalistiche», Utet, Torino 1992, vol. VI, pp. 250 ss. Marinucci G., Dolcini E., Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè, Milano 20093. Mariotte J., Criminal Minds. Sociopaths, Serial Killers, and Other Deviants, Wiley & Sons, Hoboken 2010. 237 Marotta G., Teorie criminologiche. Da Beccaria al postmoderno, Lel, Milano 2004. Marra R. (a cura di), Filosofia e sociologia del diritto penale, Giappichelli, Torino 2006. Martucci P., Le piaghe d'Italia: i lombrosiani e i grandi crimini economici nell'Europa di fine Ottocento, Franco Angeli, Milano 2002. Id., Un‘eredità senza eredi. L‘Antropologia criminale in Italia dopo la morte di Cesare Lombroso, in Montaldo S., Tappero P. (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit., pp. 291-300. Mastronardi V., Manuale per Operatori Criminologici e Psicopatologi Forense, Giuffrè, Milano 20014. Mastronardi V., De Luca R., I serial killer, Newton Compton, Roma 2009. Mattone A., Messianesimo e sovversivismo. Le note gramsciane su Davide Lazzaretti, in «Studi Storici», 1981, 2, pp. 371-385. Mazzarello P., Il genio e l‘alienista. La strana visita di Lombroso a Tolstoj, Bollati Boringhieri, Torino 2005. Melossi D., Stato, controllo sociale, devianza. Teorie criminologiche e società tra Europa e Stati Uniti, Bruno Mondadori, Milano 2002. Mensil J., Le phénomène Lombroso, in «Mercure de France», Juin 1900, p. 649. 238 Merlo F., Garantisti ad personam lasciate stare Sciascia, in «La Repubblica», 12.10.2010. Merzagora Betsos I., De servo arbitrio, ovvero: le neuroscienze ci libereranno dal pesante fardello della libertà?, in «Rassegna Italiana di Criminologia», 2011, n. 1, pp. 7-17. Id., Il colpevole è il cervello: imputabilità, neuroscienze, libero arbitrio: dalla teorizzazione alla realtà, in «Rivista Italiana di Medicina Legale», 2011, n. 1, pp. 175-208. Miller G., Investigating the Psychopathic Mind, in «Science», vol. 321, n. 325, 05.09.2008, pp. 1284-1286. Moleschott J., La circolazione della vita. Lettere fisiologiche di Jac. Moleschott in risposta alle lettere chimiche di Liebig, traduzione sulla quarta edizione tedesca pubblicata con consenso dell‘autore dal Prof. Cesare Lombroso, Brigola, Milano 1869 (ed. or., Der Kreislauf des Lebens. Physiologische Antworten auf Liebig's chemische Briefe, Victor v. Zabern, Mainz 1852). Montaldo S. (a cura di), Cesare Lombroso. Gli scienziati e la nuova Italia, il Mulino, Bologna 2010. Montaldo S., Cento anni dopo: il punto della situazione, in Montaldo S., Tappero P. (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit., pp. IX-XVI. Montaldo S, Tappero P. (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, Utet, Torino 2009. 239 Montaldo S., Tappero P. (a cura di), Il Museo di Antropologia criminale «Cesare Lombroso», Utet, Torino 2009. Morel B.A., Traité des dégénérescences physiques, intellectuelles et morales de l‘espèce humane et des causes qui produisent ces variétés maladives, Baillière, Paris 1857. Moretti G., Il genio. Origine, storia, destino, Morcelliana, Brescia 2011. Morpurgo V.E., Solitudini vitali e solitudini mortali nei percorsi poetici di Giacomo Leopardi e Charles Baudelaire, in Morpurgo E., Morpurgo V.E. (a cura di), La solitudine forme di un sentimento. Saggi psicologici e psicoanalitici, Franco Angeli, Milano 1995. Morse S.J., Genetics and Criminal Responsibility, in «Trends in Cognitive Sciences», 2011, September, vol. 15, n. 9 – numero speciale “The Genetics of Cognition” - pp. 378-380. Id., Gene-Environment Interactions, Criminal Responsibility, and Sentencing, Dodge K.A., Rutter M. (a cura di), Gene-Environment Interactions in Developmental Psychopathology, Guilford Press, New York-London 2011, pp. 207-234. Id., Brain Overclaim Syndrome and Criminal Responsibility: A Diagnostic Note, in «Ohio State Journal of Criminal Law», 2006, vol. 3, pp. 397-412. Id., Moral and Legal Responsibility and the New Neuroscience, in Illes J. (a cura di), Neuroethics. Defining the Issues in Theory, Practice, and Policy, Oxford University Press, Oxford 2006, pp. 33-50. Id., New neuroscience, old problems: legal implications of brain science, in «Cerebrum», 2004 Fall, vol. 6, pp. 81-90. 240 Id., Culpability and Control, in «University of Pennsylvania Law Review», 1994, n. 142, pp. 1587-1660. Morselli E., Cesare Lombroso e la filosofia scientifica, in AA.VV., L‘opera di Cesare Lombroso nella scienza e nelle sue applicazioni, cit., Morselli E., De Sanctis S., Biografia di un bandito. Giuseppe Musolino di fronte alla psichiatria ed alla sociologia, Treves, Milano 1903. Moussy C., Esquisse de l‘histoire de monstrum, in «Revue des Etudes Latines», 1977, pp. 345-369. Mozzoni M., Intervista a G. Sartori. Neuroscienze forensi: la sentenza di Trieste, in «BrainFactor»,02.11.2009,http://brainfactor.it/index.php?option=com_ content&view=article&id=275:neuroscienze-forensi-la-sentenza-ditrieste-brainfactor-intervista-giuseppe-sartori&catid=22:le-intervistedi-brainfactor&Itemid=13 Musumeci E., Le maschere della collezione «Lorenzo Tenchini», in Montaldo S., Tappero P. (a cura di), Il Museo di Antropologia criminale «Cesare Lombroso», cit., pp. 69-76. Negri T., La linea del mostro, in Fadini U., Negri A., Wolfe C.T. (a cura di), Desiderio del mostro. Dal circo al laboratorio della politica, Manifestolibri, Roma 2001, pp. 7-11. Nicasi S., Atavismo: patologia di un ritorno, in F.M. Ferro (a cura di), Passioni della mente e della storia. Protagonisti, teorie e vicende della 241 psichiatria italiana tra '800 e '900, Vita e Pensiero, Milano 1989, pp. 363-371. Nietzsche F., Al di là dal bene e dal male, Adelphi, Milano 1977 (ed. or., Jenseits von Gut und Böse, CG Naumann, Lipsia 1886). Id., Umano, troppo umano, ed. critica it. di G. Colli e M. Montinari, Adelphi, Milano 200812, vol. I, (ed. or., Menschliches, Allzumenschliches. Ein Buch für freie Geister (1878-1879), mit einem Nachwort von A. Baeumler, Kröner, Stuttgart 1964). Nocito P., Lombroso C., Davide Lazzaretti, in «Archivio di psichiatria, antropologia criminale e scienze penali per servire allo studio dell‟uomo alienato e delinquente», 1880, vol. 2. Noë A., Perché non siamo il nostro cervello, Raffaello Cortina, Milano 2010 (ed. or., Out of Our Heads. Why You Are Not Your Brain, and Other Lessons from the Biology of Consciousness, Hill and Wang, New York 2009). Oliviero A., Prima lezione di neuroscienze, Laterza, Roma-Bari 2011. Ovadia D., Media e società. Bisogni e limiti legati alla comunicazione, in Sironi V.A., Porta M. (a cura di), Il controllo della mente. Scienza ed etica nella neuro modulazione cerebrale, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 282-292. Id, Neuroetica e mass media (con un commento di F. Turone), in Sironi V.A., Di Francesco M., Neuroetica. La nuova sfida delle neuroscienze, cit., pp. 168-181. Id., Il caso di Como e le neuroscienze in tribunale, sul suo interessante Blog «Mente e Psiche» - Le Scienze, disponibile su http://ovadia- 242 lescienze.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/09/06/il-caso-di-comoe-le-neuroscienze-in-tribunale/. Padovani T., Diritto Penale, Giuffrè, Milano 20089. Pagliaro A., Principi di Diritto Penale. Parte generale, Giuffrè, Milano 2003. Palahniuk C., Dannazione, Mondadori, Milano 2011, pp. 236-237 (ed. or., Damned, Doubleday, New York 2011). Palano D., Il potere della moltitudine: l'invenzione dell'inconscio collettivo nella teoria politica e nelle scienze sociali italiane tra Otto e Novecento, Vita e Pensiero, Milano 2002. Palazzo F., Corso di Diritto Penale. Parte generale, Giappichelli, Torino 2006. Paré A., Mostri e prodigi, a cura di M. Ciavolella, Salerno, Roma 1996 (ed. or., Vingt cinquième livre traitant des monstres et prodiges, in Id. Les Œuvres, Gabriel Buon, Paris 1585). Parker I.K., Evaluation of Criminal Responsibility, Oxford University Press, New York 2009. Pasquale A., Bernardino Alimena nella scienza e nella vita, Vallardi, Milano 1918. 243 Passannante G., Processo per attentato regicidio. Dibattimento svoltosi innanzi alla Corte Ordinaria d‘Assisie di Napoli, Jannone, Napoli 1879. Pastore A., Il medico in tribunale. La perizia medica nella procedura penale d‘antico regime (secoli XVI-XVIII), Edizioni Casagrande, Bellinzona 20042. Patarini G., Il processo Misdea, in Modelli, giudizi e pregiudizi: materiali per una storia di fine secolo, a cura del Dipartimento di Storia moderna e contemporanea Facoltà di Lettere e Filosofia Università degli Studi di Roma “La Sapienza” a.a. 1999/00. Patrizi M.L, Addizioni al ―dopo Lombroso‖. Ancòra sulla monogenesi psicologica del delitto, Società Editrice Libraria, Milano 1930. Pellegrini S., Il ruolo dei fattori genetici nella modulazione del comportamento: le nuove acquisizioni della biologia molecolare genetica, in Bianchi A., Gulotta G., Sartori G. (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, cit., pp. 79-87. Pessina E., La crisi del diritto penale nell‘ultimo trentennio del secolo XIX. Prolusione al corso di diritto penale nella R. Università di Napoli (1905-1906), Tipografia Cav. Gennaro M.a Priore, Napoli 1906, pp. 315. Id., Il naturalismo e le scienze giuridiche. Discorso inaugurale letto nella Regia Università di Napoli il 17 novembre 1878, in Id., Pel cinquantesimo anno d‘insegnamento di Enrico Pessina, Tipografia Angelo Trani, Napoli 1899, pp. 213-258. 244 Petacco A., Il Cristo dell‘Amiata. La Storia di David Lazzaretti, Mondadori, Milano 1982. Id., L‘anarchico che venne dall‘America, Mondadori, Milano 1974. Phillips H., A brain primed for violence?, in «The New Scientist» n. 2544, 25.03.2006. Pick D., Volti della degenerazione. Una sindrome europea 1848-1918, La Nuova Italia, Scandicci 1999 (ed. or., Faces of Degeneration. A European Disorder c. 1848- c. 1918, Cambridge University Press 1989). Picozza E., Capraro L., Cuzzocrea V., Terracina D., Neurodiritto. Una introduzione, Giappichelli, Torino 2011. Pietrini P., Responsabilmente: dai processi cerebrali al processo penale. Prospettive e limiti dell‘approccio neuroscientifico, in De Cataldo Neuburger L. (a cura di), La prova scientifica nel processo penale, Cedam, Padova 2007, pp. 317-334. Pietrini P., Bambini V., Homo Ferox: il contributo delle neuroscienze alla comprensione dei comportamenti aggressivi e criminali, in Bianchi A., Gulotta G., Sartori G. (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, cit., pp. 41-67. Pietro R., Giuseppe Musolino. Il giustiziere d‘Aspromonte, Laruffa, Reggio Calabria 2003. Pioppi P., Psichiatri a confronto sul caso di Stefani Albertani, in «Il Giorno - Como», 14.05.2011, p. 2. 245 Id,, La diabolica Stefania Albertani voleva uccidere anche il padre, in «Il Giorno - Como», 27.10.2009 edizione on line. Id., Ha cercato di uccidere la madre e il padre. Stefania Albertani si è chiusa nel silenzio, «Il Giorno - Como», 05.11.2009 edizione on line. Piperno A., Chiara e Kafka: i depistaggi di un omicidio. Il delitto di Garlasco, in «Corriere della Sera», 27.01.2008. Pisapia G. V., Manuale operativo di Criminologia, Cedam, Padova 2005. Pitch T., La devianza, La Nuova Italia Editrice, Firenze 1975. Ponti G., Merzagora Betsos I., Compendio di Criminologia, Raffaello Cortina, Milano 2008. Ponti G., Merzagora I., La responsabilità morale in criminologia fra libero arbitrio e determinismo. Argomenti per una discussione, in Ceretti A., Merzagora I. (a cura di), Criminologia e responsabilità morale, Cedam, Padova 1990, pp. 3-45. Porciani F., Entra in aula la mente del serial killer. La risonanza magnetica come prova, in «Corriere della Sera», 28.03.2010. Porsia F., Introduzione. Il significato del diverso, in Id. (a cura di), Liber monstrorum, Dedalo, Bari 1976, pp. 9-42. Priarolo M., Il determinismo. Storia di un‘idea, Carocci, Roma 2011. 246 Prior M., Sartori G., Marchi S., Cognizione sociale e comportamento: uno strumento per la misurazione, Domeneghini, Padova 2003. Pulitanò D., Diritto Penale, Giappichelli, Torino 2009. Id., L‘imputabilità come problema giuridico, in De Leonardis O., Gallio G., Mauri D., Pitch T. (a cura di), Curare e punire, Problemi e innovazioni nei rapporti tra psichiatria e giustizia penale Unicopli, Milano, 1988, pp. 129 ss. Punzi A., L‘ordine giuridico delle macchine. La Mettrie, Helvétius, D‘Holbach. L‘uomo-macchina verso l‘intelligenza collettiva, Giappichelli, Torino 2003. Rafter N., Le teorie biologiche sul crimine negli Stati Uniti da Lombroso a oggi, in Montaldo S., Tappero P. (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit. pp. 353-360. Id., The Criminal Brain. Understanding Biological Theories of Crime, New York University Press, New York and London 2008. Ramacci F., Corso di Diritto Penale, Giappichelli, Torino 2007. Ramsøy T.Z., MAOA and the risk for impulsivity and violence, in http://brainethics.wordpress.com/2006/07/11/maoa-and-the-risk-forimpulsivity-and-violence, 11.07.2006. Recalcati M., Melanconia e creazione in Vincent Van Gogh, Bollati Boringhieri, Torino 2009. Reichlin M., Etica delle neuroscienze e neuroscienze dell‘etica, in V. A. Sironi, M. Di Francesco, Neuroetica. La nuova neuroscienze, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 43-68. 247 sfida delle Id., Le neuroscienze al vaglio dell'etica, in «Aggiornamenti Sociali», febbraio 2007, Vol. 58, n. 2, pp. 106-118. Renneville M., Un cranio che fa luce? Il racconto della scoperta dell‘atavismo criminale, in Montaldo S., Tappero P. (a cura di), Il Museo di Antropologia criminale «Cesare Lombroso», cit., pp. 107-112. Ricci L., Lombroso, viaggio nel museo degli errori, in «Il Sole 24 ore», 30.10.2009. Rigoni D., Pellegrini S., Mariotti V., Cozza A., Mechelli A., Ferrara S.D., Pietrini P., Sartori G., How neuroscience and behavioral genetics improve psychiatric assessment: report on a violent murder case, in «Frontiers in Behavioral Neuroscience», 13.10.2010, vol. 4, pp. 1-10. Romano B., Male ed ingiusto. Riflessioni con Luhmann e Boncinelli, Giappichelli, Torino 2009. Id, Sistemi biologici e giustizia. Vita animus anima, Giappichelli, Torino 2009. Id., Diritto, postumanesimo, nichilismo. Una introduzione, Giappichelli, Torino 2004. Romano M., Pre-art. 85 c.p., in Romano M., Grasso G:, Commentario sistematico al codice penale, vol. II, Giuffré, Milano 2005, pp. 1 ss. Romano M., Grasso G., Commentario sistematico del codice penale, Giuffrè, Milano 1996, vol. II, pp. 1 ss. Roncalli E., Da «Twilight» alla Bergamasca. La storia del vampiro di Bottanuco, «L‟Eco di Bergamo», 25 giugno 2010. 248 Rosen J., The Brain on the Stand, in «The New York Times», 11.03.2007. Rossi P., Reato politico e scuola positiva. Il caso di Giovanni Passannante, in «Archivio Trentino», 2010, n. 2, pp. 31-70. Roudinesco E., La parte oscura di noi stessi. Una storia dei perversi, Colla, Costabissara (Vi) 2008 (ed. or., La part obscure de nous-mêmes. Une historie des pervers, Albin Michel, Paris 2007). Ruberto M.G., Barbieri C. (a cura di), Il futuro tra noi. Aspetti etici, giuridici e medico-legali della neuroetica, cit., pp. 115-126. Sabo J., Violence and The Brain, in http://serendip.brynmawr.edu/bb/neuro/neuro98/202s98paper2/Sabo2.html. Saini A., The brain police: judging murder with an MRI, in «Wired Magazine - U.K.», 27.05.2009. Sammicheli L., Sartori G., Neuroscienze e imputabilità, in De Cataldo Neuburger L., La prova scientifica nel diritto penale, cit., pp. 335-357. Sammicheli L., Forza A., De Cataldo L., Libertà morale e ricerca processuale della verità: metodiche neuroscientifiche, in Bianchi A., Gulotta G., Sartori G. (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, cit., pp. 231-257. Sansone P., Requisitoria nella causa contro il bandito Giuseppe Musolino e complici, Giuseppe Mele Tipografo-Editore, L‟Aquila 1904. 249 Santoro A., Francesco Carrara e l'odierna scienza del diritto criminale, Vallardi, Milano 1936. Santoro E. (a cura di), Diritto come questione sociale, Giappichelli, Torino 2009. Sapolsky R.M., The frontal cortex and the criminal justice system, in Zeki S., Goodenough O. (a cura di), Law and the Brain, Oxford University Press, New York 2006, pp. 227-243. Sartori G., Lavazza A., Sammicheli L., Cervello, diritto e giustizia, in Lavazza A., Sartori G. (a cura di), Neuroetica, Il Mulino, Bologna 2011, pp. 135-163. Sartori G., Rigoni D., Sammicheli L., L‘orologio di Libet e la responsabilità penale, in Gulotta G., Curci A. (a cura di), Mente, società e diritto, Giuffrè, Milano 2010, pp. 265-295. Sartori G., Agosta S., Menzogna, cervello e lie detection, in Bianchi A., Gulotta G., Sartori G. (a cura di), Manuale di neuroscienze forensi, cit., pp. 163-192. Sbai S., Interrogazione a risposta scritta, in Camera dei Deputati – Resoconti dell‟Assemblea, Atti di controllo, Allegato B, Seduta n. 241 del 29.10.2009. Sbriccoli M., La penalistica civile. Teorie e ideologie del diritto penale nell‘Italia, in Id., Storia del diritto penale e della giustizia. Scritti editi e inediti (1972-2007), Giuffrè, Milano 2009, Tomo I, pp. 493-590 250 (saggio già edito in Schiavone A. (a cura di), Stato e cultura giuridica in Italia dall‘Unità alla Repubblica, Laterza, Roma-Bari 1990, pp. 147-232). Id., Il diritto penale liberale. La «Rivista Penale» di Luigi Lucchini 1874-1900, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 1987, n. 16, pp. 105-183. Id., Il diritto penale sociale, 1883-1912, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 1974-75, tomo I, pp. 557-642. Scarlata F., La imputabilità e le cause che escludono o la diminuiscono, Tipografia Fratelli Messina, Messina 1891. Scarfoglio E., Il romanzo di Misdea, Polistampa, Firenze 2003 (a cura di M. Fausti). Scavino M., L‘interesse per la politica e l‘adesione al socialismo, in Montaldo S., Tappero P. (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit., pp. 117-126. Seabrook J., Suffering souls. The search for the roots of psychopathy, in «The New Yorker», 10.11.2008, pp. 64-73. Schleim S., Hirnforschung führt erneut zu Strafminderung in Mordfall, in «Heise Online», 02.09.2011, disponibile su http://www.heise.de/tp/artikel/35/35421/1.html. Id., Die Neurogesellschaft: Wie die Hirnforschung Recht und Moral herausfordert, Heise Verlag, Hannover 2010. Id., Von der Neuroethik zum Neurorecht, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 2009. 251 Scott D.F., La storia della terapia dell‘epilessia, Momento Medico, Salerno 1994 (ed. or., The History of Epileptic Therapy. An account of how medication was developed, Parthenon Publishing Group, Lancaster 1993). Seabrook J., Suffering souls. The search for the roots of psychopathy, in «The New Yorker», 10.11.2008, pp. 64-73. Searle J.R., Libertà e neurobiologia. Riflessioni sul libero arbitrio, il linguaggio, il potere, Bruno Mondadori, Milano 2005 (ed. or., Liberté et neurobiologie, Editions Grasset & Fasquelle, Paris 2004). Sinnott-Armstrong W., Nadel L. (eds.), Conscious Will and Responsibility: A Tribute to Benjamin Libet, Oxford University Press, New York 2011. Sirianni L., Un incontro tra due progressisti: Pasquale Rossi e Bernardino Alimena, in Cornacchioli T., Spadafora G. (a cura di), Pasquale Rossi e il problema della folla. Socialismo, mezzogiorno, educazione, Armando, Roma 2000, pp. 317-329. Smiderle M., Sconto di pena per l‘assassino: «È vulnerabile geneticamente» in «Il Giornale», 09.11.2009. Smith K., Obiettivo: libero arbitrio, in «Mente & Cervello», dicembre 2011, n. 84, pp. 94-101. Soon C.S., Brass M., Heinze H.-J., Haynes J.-D., Unconscious determinants of free decisions in the human brain, in «Nature Neuroscience», May 2008, Vol. 11, n. 5, pp. 543-545. 252 Spinoza B., Epistolario, a cura di A. Droetto, Einaudi, Torino, 1951. Spirito U., Storia del diritto penale italiano da Cesare Beccaria ai giorni nostri, Starobinski J., La malinconia allo specchio. Tre letture di Baudelaire, Garzanti, Milano 1990 (ed. or., La Mélancolie au miroir. Trois lectures de Baudelaire, Juillard, Paris 1989). Sterpellone L., Epilessia, una storia. Dal morbo sacro alle molecole, Nis, Roma 1996. Stella G. A., Lombroso, il catalogo delle assurdità, in «Corriere della Sera», 28.04.2009. Stevenson R. L., Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde, Giunti, Firenze-Milano 2004 (ed. or., The Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde, Longmans, London 1886). Stewart-Steinberg S., L‘effetto Pinocchio. Italia 1861-1922. La costruzione di una complessa modernità, Elliot, Roma 2011 (ed. or., The Pinocchio Effect. On Making Italians, 1860-1920, The University of Chigago Press, Chicago 2007). Stronati M., Il governo della ‗grazia‘. Giustizia sovrana e ordine giuridico nell‘esperienza italiana (1848-1913), Giuffré, Milano 2009. Stroop J.D., Studies of interference in serial verbal reactions, in «Journal of Experimental Psychology», vol. 18, pp. 643-662. 253 Swain G., Soggetto e follia. Pinel e la nascita della psichiatria moderna, a cura di Rossati A., Centro Scientifico Editoriale, Torino 1983 (ed. or. Le sujet de la folie. Naissance de la psychiatrie, Privat Editeur, Toulouse 1977). Szentpetery V., Gehirnscans im Gerichtssaal, in «Tecnology Review» disponibile su http://www.heise.de/tr/blog/artikel/Gehirnscans-im- Gerichtssaal-1337322.html. Tallis R., You won't find consciousness in the brain, in «New Scientist», 09.01.2010, vol. 2742, pp. 28-29. Id., Why the mind is not a computer: a pocket lexicon of neuromythology, Imprint Academic, Exeter, 20042. Tamassia A., Prefazione, in Maudsley E., La responsabilità nelle malattie mentali, Dumolard, Milano 1875, pp. XI-XXXIX. Tarde G., Il tipo criminale. Una critica al ―delinquente-nato‖ di Cesare Lombroso, Ombre Corte, Verona 2010 (ed. or., Le type criminel, in Id., La criminalité comparée, Alcan, Paris 1886). Tellenbach H., Melancolia. Storia del problema – Endogenicità – Tipologia – Patogenesi – Clinica, “Il Pensiero Scientifico”, Roma 1975 (ed. or., Melancholie. Problemgeschichte – Endogenität – Typologie – Pathogenese – Klinik, Springer-Verlag, Berlin, Heidelberg, New York 19742). Temkin O., The Falling Sickness: A History of Epilepsy from the Greeks to the Beginnings of Modern Neurology, The Johns Hopkins University Press, Baltimore and London 19942. 254 Thompson C.J.S., I veri mostri. Storia e tradizione, Mondadori, Milano 2001, p. 123 (ed. or., The Mystery and Lore of Monsters, Williams & Norgate, London 1930). Viding E., Frith U., Genes for susceptibility to violence lurk in the brain, in «Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America», vol. 103, n. 16, 18.04.2006, pp. 6085-6086. Vinciguerra S., Principi di Criminologia, Giuffrè, Milano 20052; Villa R., Il «metodo sperimentale clinico»: Cesare Lombroso scienziato, e romanziere, in Montaldo S., Tappero P. (a cura di), Cesare Lombroso cento anni dopo, cit., pp. 127-139. Id., Il deviante i suoi segni. Lombroso e la nascita dell‘antropologia criminale, Franco Angeli, Milano 1985. Id., La tipologia lombrosiana e la classificazione dei delinquenti, in Levra U. (a cura di), La scienza e la colpa. Crimini criminali criminologi: un volto dell‘Ottocento, Electa, Milano 1985, pp. 283-287. Id., L‘atavismo: il ritorno al primitivo, in Levra U. (a cura di), La scienza e la colpa, cit., pp. 246-247. Vronsky P., Serial Killers: the method and madness of monsters, Berkley/Penguin, New York 2004. Young E., The MAOA guide to misusing genetics, in http://blogs.discovermagazine.com/notrocketscience/2010/04/08/themaoa-guide-to-misusing-genetics, 08.04.2010. Id., Dangerous DNA: The truth about the 'warrior gene', in «The New Scientist», n. 2744 del 07.04.2010. 255 Id., Criminality linked to early abuse and genes, in «Science» vol. 297, pp. 851 e ss., 01.08.2002. Warren S., Passages from the Diary of a Late Physician, Baudry‟s European Library, Paris 1835, Wilcox P., Cullen F.T. (eds.), Encyclopedia of Criminological Theory, Sage, Thousand Oaks 2010, vol. I. Wegner D.M., L‘illusione della volontà cosciente, in De Caro M., Lavazza A., Sartori G. (a cura di), Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il mistero del libero arbitrio, cit. pp. 21-49. Id., The Illusion of Conscious Will, MIT Press, Cambridge, 2002. Zavatta L:, La pena tra espiare e redimere nella filosofia giuridica di Ugo Spirito, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2005. 256
Documenti analoghi
Libero arbitrio e imputabilità
Dopo alcuni anni, il paziente inizia a cercare nuovamente materiale pedopornografico su internet. Viene ricoverato e si scopre che si era formata una
massa nello stesso identico punto del tumore pr...