CEM - Terra Nuova
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cem_maggio_2015_copertina 14/05/2015 14:44 Pagina 1 I L M E N S I L E D E L L’ E D U C A Z I O N E I N T E R C U L T U R A L E Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 - Comma 1 - DCB Brescia - Anno LIV - n. 5 - Maggio 2015 - Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - contiene I.R. cem.saverianibrescia.it ® L’EXPO DI FRATE GIACOMA EDUCARE O DIS-EDUCARE? QUALCHE FINE DEL MONDO PER CREDENTI E NON 5|2015 maggio Spigolando nei campi del Signore? Il dialogo interreligioso oggi Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma con sede a Brescia cem_maggio_2015_copertina 14/05/2015 14:44 Pagina 2 Sommario n. 5 / maggio 2015 agenda interculturale editoriale L’Expo di frate Giacoma 1 Brunetto Salvarani Traguardi e sfide educative. Il bilancio dell’Unesco Spigolando nei campi 17 del signore? Il dialogo interreligioso oggi 33 Alessio Surian questo numero 2 a cura di Federico Tagliaferri Marco Valli - Osel Dorje seconde generazioni Sono italiana. Certo. Ma non solo 34 Margherita Parrao l’altroeditoriale Il Forum sociale mondiale in cerca di un’agenda comune 3 domani è accaduto Qualche fine del mondo per credenti e non Mauro Castagnaro faq Fondi comuni, fondi di caffè, fondi etici 35 a cura di Dibbì 4 Gianni Caligaris (seconda parte) spazio CEM 54° Convegno CEM 36 ascu ola eoltre app-grade bambine e bambini Ritorno al futuro 6 Sebi Trovato Che succede? I ragazzi tra social network e chat 38 Maria Maura ragazze e ragazzi Il valore del fango. Meeting di Pace nelle trincee della Grande Guerra 8 crea-azione La Festa dei popoli a Bari 39 Nadia Savoldelli Sara Ferrari generazione y 40 mediamondo L’insegnamento femminile è diventato un problema? 10 nuovi suoni organizzati Fabulous Trobadors Stefano Curci 43 Luciano Bosi in cerca di futuro Seconde generazioni e nuove tecnologie 12 saltafrontiera Prendersi cura dell’altro 44 Lorenzo Luatti Aluisi Tosolini mumble mumble cinema In viaggio con Marco Aurelio 13 Chiara Colombo, Fiorenzo Ferrari (seconda parte) torneranno i prati 45 Lino Ferracin educazione degli adulti i paradossi Lezione di civiltà, anzi di etnocentrismo 47 saggezza folle Arnaldo De Vidi Educare o dis-educare? Marco Valli - Osel Dorje Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia Direzione e Redazione Via Piamarta 9 - 25121 Brescia tel. 0303772780 - fax 030.3772781 Direttore Brunetto Salvarani [email protected] Condirettori Antonio Nanni ([email protected]) Lucrezia Pedrali ([email protected]) Segreteria e sito Michela Paghera [email protected] 16 la pagina dei girovaghi Gianni Caligaris, Patrizia Canova, Chiara Colombo, Stefano Curci, Marco Dal Corso, Gianni D’Elia, p. Arnaldo De Vidi, Fiorenzo Ferrari, Sara Ferrari, Lino Ferracin, Antonella Fucecchi, Lorenzo Luatti, Maria Maura, Rita Roberto, Nadia Savoldelli, Elisabetta Sibilio, Alessio Surian, Aluisi Tosolini, Sebi Trovato, Laura Tussi, Marco Valli-Osel Dorje Collaboratori CEM dell’annata 2014-2015 Lara Albanese, Paola Bonsi, Francesco Caligaris, Giacomo Caligaris, Anna Cattaneo, Agnese Desideri, Alessandra Ferrario, Francesca Galloni, Adel Jabbar, Francesco Marrella, Clelia Minelli, Roberto Morselli, Maria Claudia Olivieri, Roberto Papetti, Luciana Pederzoli, Candelaria Romero, Oriella Stamerra, Alessandro Valera, Marisa Villagra, Martina Vultaggio Redazione Federico Tagliaferri (caporedattore) [email protected] Hanno collaborato a questo numero Margherita Parrao, Mauro Castagnaro Lubna Ammoune, Daniele Barbieri, Massimo Bonfatti, Silvio Boselli, Luciano Bosi, Direttore responsabile Marcello Storgato a cura di Antonella Fucecchi, Antonio Nanni Il Decalogo e l’etica mondiale 23 nona puntata 48 I L M E N S I L E D E L L’ E D U C A Z I O N E I N T E R C U L T U R A L E Amministrazione - abbonamenti Centro Saveriano Animazione Missionaria Via Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax 030.3772781 [email protected] Quote di abbonamento Copia singola cartacea Cartaceo 10 numeri - annuale On line 10 numeri - annuale Abbonamento triennale Abbonamento d’amicizia Abbonamento CEM / estero Europa Extra Europa € € € € € 5,00 30,00 20,00 80,00 50,00 € 60,00 € 70,00 Per le modalità di abbonamento consultare il sito cem.saverianibrescia.it ® www.cem.saverianibrescia.it 14 Rita Roberto Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 - Comma 1 - DCB Brescia - Anno LIV - n. 5 - Maggio 2015 - Via Piamarta 9 - 25121 Brescia Esserci nel tempo dell’attesa L’EXPO DI FRATE GIACOMA EDUCARE O DIS-EDUCARE? QUALCHE FINE DEL MONDO PER CREDENTI E NON 5|2015 maggio Le relazioni e il digitale Il mondo come intimità e rappresentazione Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma con sede a Brescia Registrazione Tribunale di Parma, n° 401 del 7/3/1967 Editore: Centro Saveriano Animazione Missionaria - CSAM, Soc. Coop. a r.l., via Piamarta 9 - 25121 Brescia, reg. Tribunale di Brescia n° 50127 in data 19/02/1993. Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazione Disegno di copertina: Silvio Boselli Stampa: Tipografia Camuna - Brescia [email protected] cem.saverianibrescia.it La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 250 del 7 agosto 1990. cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 1 editoriale brunetto salvarani | direttore cem [email protected] T @BSalvarani L’Expo di frate Giacoma i Francesco d’Assisi (1182-1226) abbiamo un’immagine molto mediata dalle biografie, dalle agiografie, dai Fioretti, con tutti i rischi del caso. Un’immagine, per di più, legata in genere a una forte disputa tra visioni diverse interne al movimento francescano. Per questo, personalmente, mi piace andare il più possibile alle fonti dirette, cioè ai testi scritti da lui, una trentina quelli di cui disponiamo, tutti in latino (ad eccezione del Cantico di frate Sole e di Audite, poverelle) e ben poco conosciuti. Siamo alla fine del settembre 1226; Francesco morirà la sera del 3 ottobre, pochi giorni dopo. Le sue Vite riportano un episodio assai curioso, che conferma uno dei tratti non sempre rilevati di Francesco: l’umanità. Si potrebbe parlare - se questo termine non fosse purtroppo così controverso da usare in italiano - della sua laicità. Io credo che lui, che non ha mai voluto diventare prete, a dispetto di vari tentativi papali di convincerlo al riguardo, fosse profondamente laico. Dunque: egli è quasi morente e giace alla Porziuncola, dov’è stata ricavata un’infermeria. Chiama uno dei compagni e gli dice: «Carissimo frate, Iddio m’ha rivelato, che di questa infermità, insino a cotal dì, io passerò di questa vita; e tu sai, che madonna Jacopa de’ Settensoli, divota carissima dello Ordine nostro, s’ella sapesse la morte mia e non ci fusse presente, ella si contristerebbe troppo; e però significale che, se ella mi vuol vedere vivo, immantinente venga qui». Questa Madonna Jacopa (o Giacoma; 1190ca - 1239) era una nobile romana, sua grande amica, tanto che oggi è sepolta di fronte a lui nella cripta della basilica di San Francesco ad Assisi, a fianco dei suoi primi compagni. Lui si trova allo stremo delle forze e la fa chiamare. La sua libertà e il suo amore per le cose penultime, che così bene ha saputo tradurre letterariamente nel Cantico di frate Sole, qui si esprimono in una modalità che a noi può far sorridere. Infatti le manda una lettera del seguente tenore:«A donna Jacopa, serva dell’Altissimo, frate Francesco, poverello di Cristo, augura salute nel Signore e comunione nello Spirito Santo. Sappi, carissima, che Dio, per sua grazia, mi ha rivelato che la fine della mia D vita è ormai prossima. Perciò, se vuoi trovarmi vivo, appena ricevi questa lettera, affrettati a venire a santa Maria degli Angeli. Ma se vieni dopo il sabato, non potrai trovarmi in vita. E porta con te un panno di cilicio, in cui tu possa avvolgere il mio corpo, e la cera per la sepoltura». Si noti: sono tutti gli strumenti usati per la sepoltura... alla fine, però, ecco il colpo di scena: «Ti prego, però, anche di portarmi di quei dolcetti, i mostaccioli, che tu eri solita darmi quando giacevo malato a Roma». I mostaccioli sono dolcini in cui c’è un po’ di tutto (frutta, miele, mandorle, zucchero e spezie). Certo, è difficile dire se questa preghiera di un candore disarmante sia frutto di delicata attenzione alla psicologia femminile, o un modo affettuoso per lenire l’amaro bruciante delle altre notizie e richieste. Un dato, però, è sicuro, e riguarda l’enorme distanza da qualsiasi preoccupazione di lasciare di sé un volto aderente ai consueti canoni agiografici, ma piuttosto un volto del tutto coerente con la semplicità del bambino che si è fatto tale per il regno dei cieli, che la frase riuscirebbe quasi incredibile se non avesse un preciso riscontro anche nella biografia francescana di Tommaso da Celano. Francesco non sente come sconveniente alla serietà del momento pensare al dolcetto di quella che scherzosamente chiamava frate Giacoma, perché quel Dio cui è ormai vicino non nega gli affetti né i beni della vita che Egli ci ha donati, ma tutto raccoglie, eleva e ci ridona per l’eterno, in pienezza, nella gioia che non ci sarà mai tolta. Questo racconto valga da augurio all’Expo 2015 sul cibo, avviatasi a Milano fra timori e speranze il primo maggio: perché non vi manchino i mostaccioli, ma soprattutto lo spirito di frate Francesco, la sua laicità e la sua libertà dal denaro e dall’economia di mercato. cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 2 Questo numero a cura di Federico Tagliaferri [email protected] Q Questo numero di CEM Mondialità conclude la riflessione sul tema «Amare questo tempo. Alfabeti per la cura delle relazioni» con un dossier di Marco Valli-Osel Dorje dedicato al dialogo interreligioso intitolato «Spigolando nei campi del signore?». «Da troppi anni bazzico il cosiddetto dialogo interreligioso, fin da tempi (gli anni ‘70) in cui non era di “moda”, anzi era guardato con sospetto, per non essere un po’ disilluso, nonostante i molti passi in avanti fatti dalle gerarchie e assai di più dai fedeli e dai religiosi - scrive Valli -. Disilluso perché il dialogo, in qualunque forma, ha come punto fondante la disponibilità di entrambi gli interlocutori a modificare le proprie idee di partenza, senza questa disponibilità abbiamo un interesse culturale o antropologico per l’altro, niente di più». «Tutto cambia, com’è ovvio - aggiunge l’autore -, eppure nel dialogo interreligioso molte cose sono rimaste uguali. Ieri come oggi ci si incontra, davanti a pubblici via via più numerosi, ognuno racconta la propria esperienza, o cerca di spiegare la propria fede, si risponde a qualche domanda degli intervenuti, foto ricordo e tutti a casa senza che nulla, nell’uno o nell’altro sia cambiato. Possiamo chiamarlo dialogo?». La risposta è ovviamente negativa, per questo il dossier cerca di trovare nuove vie e di ridare fiato al concetto stesso di dialogo. L’inserto centrale del «dossier» conclude a sua volta l’annata dedicata alla serie «Deka-Logous» (10 parole). Quale etica per l’umanità?», curata da Antonio Nanni e Antonella Fucecchi, con una riflessione su «Il Decalogo e l’etica mondiale». Marco Campori (aka El Gato Chimney) Le illustrazioni di questo numero sono state realizzate da Marco Campori, che ringraziamo di cuore. Ecco una sua breve presentazione: «Sono nato nel 1981 a Milano, dove lavoro e vivo. Ho frequentato la Scuola d’arte applicata del Castello Sforzesco. Ho partecipato a numerose mostre nazionali e internazionali riguardanti il pop surrealismo e la street art, tra le quali la milanese “Urban Edge Show” (2005), la prima e più importante mostra italiana di street art a livello internazionale, a fianco di Shepard Fairey (Obey), Doze Green e Blu, “Urban Superstar” (2009) al Museo Madre di Napoli, “Italian Pop Surrealism” (2011) ai Musei Capitolini di Roma, e la recente “Pop Surrealism - Stay Foolish!” (2012) al Museo Casa Del Conte Verde di Rivoli. Da ricordare anche le mostre collettive e personali a New York, Berlino, Londra, Los Angeles, Milano, Parigi e Roma, e le molteplici pubblicazioni internazionali su libri d’arte e riviste di settore». Per contatti: [email protected] Segnaliamo altresì, nella prima parte della rivista, la rubrica «Generazione Y», che ci presenta l’articolo «L’insegnamento femminile è diventato un problema?» di Stefano Curci, che discute l’ipotesi che la predominanza numerica di donne tra gli insegnanti sia dannosa per i maschi. Nella terza parte, proponiamo, nella rubrica «Cinema», la recensione di Lino Ferracin del film «torneranno i prati» di Ermanno Olmi, una poetica e struggente rievocazione dei sacrifici dei soldati nella Prima Guerra Mondiale. nnn Cari lettori, vi ricordiamo che potete seguire le attività di CEM sul nostro nuovo sito internet cem.saverianibrescia.it Siamo inoltre presenti su Facebook f all’indirizzo cemsav 2 | cem mondialità | maggio 2015 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 3 mauro castagnaro [email protected] l’altroeditoriale Il Forum sociale mondiale in cerca di un’agenda comune La XIII edizione del Forum sociale mondiale (Fsm) svoltasi a fine marzo a Tunisi ha avuto un significato particolare perché immediatamente preceduta dalla strage terroristica al museo del Bardo. a una parte, infatti, la società civile della Tunisia non si è chiusa su se stessa, ma ha reagito all’attentato mantenendo un appuntamento internazionale simbolo della possibile convivenza delle diversità. Dall’altra, le organizzazioni popolari di tutto il pianeta hanno espresso visivamente la solidarietà «da popolo a popolo» verso un paese che vive una transizione democratica conquistata con la rivoluzione di quattro anni fa e subisce enormi pressioni dagli Stati vicini, in cui le «primavere arabe» sono abortite nella guerra civile, nell’oscurantismo jihadista o nel ritorno all’autoritarismo militare. D’altro canto, è indubbio che la formula del Forum sociale mondiale, nata a Porto Alegre nel 2001, esige un aggiornamento, perché in questi quindici anni il contesto globale è mutato: l’intreccio tra capitalismo e guerra si è fatto ancora più esplicito, si è ridotta l’autonomia delle leadership politiche mondiali rispetto a un sistema finanziario controllato da poche centinaia di multinazionali, le disuguaglianze sociali sono aumentate e ormai meno del 9% della popolazione controlla l’85% D della ricchezza globale e al 70% più povero ne resta solo il 3%, gli effetti dei cambiamenti climatici si manifestano ormai quotidianamente in modo catastrofico. Non appare quindi più sufficiente un incontro biennale in cui in centinaia di seminari spesso si presentano singoli progetti, si raccontano esperienze particolari e si approfondiscono temi specifici. Certo, l’esistenza di uno spazio libero, plurale e trasversale di confronto non va costretta entro rigidità organizzative e verticismi escludenti. Tuttavia si avverte l’esigenza di una maggiore efficacia e incisività. Vittorio Agnoletto, membro del Consiglio internazionale del Fsm, propone di «organizzare vertenze globali in grado di unire i movimenti di ogni continente attorno a obiettivi condivisi, seppure declinati secondo la propria specificità territoriale, con un’agenda comune, azioni sinergiche e la capacità di indicare chi sono i nostri avversari. Ogni organizzazione continuerà ovviamente anche ad agire sulla propria specifica mission, ma il Forum dovrebbe individuare tre, quattro, massimo cinque campagne sui temi cruciali per il futuro dell’umanità (ad esempio il diritto al cibo e all’acqua, la lotta contro le politiche che producono i cambiamenti climatici, l’opposizione al dominio della finanza speculativa), attorno alle quali organizzare realmente una mobilitazione globale. Restituendo in tal modo visibilità a un progetto politico alternativo al liberismo». È un’idea interessante. Con un’ultima aggiunta: varie organizzazioni cristiane hanno sempre partecipato, e da protagoniste, al Fsm. Ma come può questa presenza compiere un salto di qualità nel tempo di papa Francesco e del Vaticano che convoca un Incontro mondiale dei movimenti popolari (Roma, 27-29 ottobre 2014)? cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 4 I «FONDI DI CAFFÈ» SONO PER LO PIÙ OBBLIGAZIONARI, COSTRUITI CON LA STESSA LOGICA, MA CONTENGONO UNA FAUNA DIVERSA, COSTITUITA IN MASSIMA PARTE DA STRUMENTI «DERIVATI». RICORDIAMOCI SEMPRE UNO DEI MONITI DEL GURU INCONTRASTATO DELLA FINANZA, WARREN BUFFET: «SE NON CAPISCI UN PRODOTTO, NON COMPRARLO!» Fondi comuni, fondi di caffè, fondi etici (SECONDA PARTE) d eccoci ai «fondi di caffè», come li ho chiamati nel numero precedente. Sono fondi per lo più obbligazionari, costruiti con la stessa logica, ma contengono una fauna diversa, costituita in massima parte da strumenti derivati. In finanza, è denominato strumento derivato ogni contratto o titolo il cui prezzo sia basato sul valore di mercato di un altro strumento finanziario, definito sottostante (come, ad esempio, azioni, indici finanziari, valute, tassi d’interesse). Gli utilizzi principali degli strumenti derivati sono la copertura di un rischio finanziario, l’arbitraggio (ossia l’acquisto di un prodotto in un mercato e la sua vendita in un altro mercato) e la speculazione. Valore e rendimento delle obbligazioni così strutturate dipendono dall’andamento dello strumento finanziario. Le obbligazioni che hanno dato vita al crack del 20072009 «poggiavano» sui mutui per la casa sub prime (ad alto rischio), il cui crollo fece iniziare il domino fatale. Col tempo si sono creati derivati su tutto; i più antichi e E 4 | cem mondialità | maggio 2015 noti sono i futures, ovvero contratti in cui si acquistano o vendono a tempo, fissandone subito il prezzo, prodotti agricoli o minerari. Chi vende a tempo spera che al momento della consegna la merce valga meno, chi acquista, ovviamente, il contrario. Ma esistono derivati basati sulle più diverse variabili, perfino sulla quantità di neve caduta in una determinata zona, o sulle precipitazioni in genere. Specializzati in questi mercati sono gli hedge fund (fondi speculativi). In questi fondi possono poi figurare anche titoli atipici come i reverse convertible, che qui sarebbe lungo spiegare, dalla volatilità enorme, che spesso vengono offerti ai risparmiatori anche al di fuori dei fondi. È evidente che ci stiamo allontanando di anni luce dal concetto primevo di finanza come strumento per convogliare capitali alle imprese. Qui siamo in pieno gambling, gioco d’azzardo. Pensate di entrare in un grande magazzino (come mi piacciono questi vecchi termini), ma al posto degli scaffali trovate una interminabile ed ineludibile teoria di slot machine, qualche roulette, qualche tavolo di dadi. Investite, rien ne va plus! Ricordiamoci sempre uno dei moniti del guru incontrastato della finanza, Warren Buffet: «Se non capisci un prodotto, non comprarlo!». cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 5 gianni caligaris [email protected] FONDI ETICI Sono gli ultimi nati, almeno in Italia, dove sono offerti al pubblico dal 2003. Sono il frutto di un duplice atto di fede; il primo sostiene che non tutta la finanza è di per sé demoniaca, il secondo è che sia possibile ottenere profitti equi anche orientando i propri investimenti secondo un paradigma etico. I primi hanno visto la luce in Inghilterra, poi sono spuntati a macchia di leopardo in Europa e negli Usa. Il principio è semplice: creare fondi comuni che mettessero in portafoglio solo i titoli di Stati dai comportamenti virtuosi e, soprattutto, di imprese la cui attività od i cui prodotti non fossero contrari ad un set di valori condiviso dai risparmiatori/investitori. È una matrice a due ingressi: valutazioni di prodotto e di processo, ovvero il «cosa» ed il «come» si produce. La logica è semplice: io posso gestire un’azienda irreprensibile, ma se produco mine non vengo accettato ma nemmeno se produco farmaci salva vita, ma inquinando, sfruttando, corrompendo. Gli strumenti di un gestore etico sono il certificatore ed il comitato etico. Il primo è un ente terzo che analizza i comportamenti delle aziende (si parla ovviamente di aziende quotate in borsa) sulla base di una griglia articolata e che le dispone in una graduatoria: in fondo le «inaccettabili», a salire quelle con punteggio crescente di accettabilità fino al top delle pratiche migliori, le best in practice. Il comitato etico1 è un organismo indipendente che, sulla base delle indicazioni statutarie delle società di riferimento, analizza le classifiche (ed i relativi aggiornamenti periodici) fornite dal Certificatore e decide quali aziende siano ammissibili nell’universo investibile dei fondi. Starà poi al gestore decidere se, quando e cosa acquistare; ma questa è una questione puramente tecnica. I FONDI ETICI SONO IL FRUTTO DI UN DUPLICE ATTO DI FEDE: CHE NON TUTTA LA FINANZA SIA DI PER SÉ DEMONIACA, CHE SIA POSSIBILE OTTENERE PROFITTI EQUI ANCHE ORIENTANDO GLI INVESTIMENTI SECONDO UN PARADIGMA ETICO. viamente le possibilità del gestore racchiudendone l’attività entro un recinto ben delimitato, si può dire che le performance di questi fondi non ha scontato nulla rispetto al mercato tradizionale, anzi i loro risultati sono sempre stati un po’ superiori al benchmark (standard) di riferimento per fondi analoghi. La finanza eticamente orientata paga anche meglio di quella tradizionale. CHIUDIAMO IL CERCHIO Qualora il certificatore o il comitato etico escludano, per fatti sopravvenuti, un’azienda già in portafoglio, il gestore ha tre mesi di tempo per liquidare la posizione. Il primo filtro è intuitivo: armi, gioco d’azzardo, nucleare, pornografia, tabacco2. E fin qui siamo al «prodotto»; venendo al «processo», l’analisi è molto più sofisticata: rapporti con i dipendenti e con le loro minoranze, con le comunità, impatto ambientale, pratiche controverse (es. utilizzo di cavie), pratiche corruttive, gestione dei beni comuni, utilizzo di materie prime sensibili (es. legni pregiati), presenza di certificazioni internazionali ed altro, in sostanza ciò che correntemente si definisce «Impresa socialmente responsabile (Csr)», termine che preferisco a quello di «impresa etica», un po’ apodittico. Negli ultimi anni si è inoltre molto alzata l’attenzione alla filiera di fornitura ed ai diritti dei lavoratori dei subfornitori o appaltatari, giovandosi di ong ed organizzazioni sindacali operanti nei paesi di origine. Dopo aver creato portafogli sottoposti a questi severi esami, che limitano ov- Torniamo al «Pecunia non olet». Perché, se da anni sono presenti anche in Italia queste proposte di finanza sostenibile al servizio delle imprese socialmente responsabili, ong ed ordini religiosi del calibro di quelli che ho in quella sede citato vanno ancora in cerca di capitani di ventura, di «gentiluomini di fortuna», come chiamavano una volta i pirati? Perché il miraggio di maggiori profitti fa perdere di vista non solo ogni prudenza, ma anche ogni considerazione morale sull’uso dei propri soldi? Un altro detto latino recita: «Pecunia. Si uti scis, ancilla. Si nescis, domina». Il denaro, se sai usarlo è il tuo servo, se no è il tuo padrone. Poi succede che qualche volta, come nei casi citati, ci si lasciano i ditini o magari anche tutta la mano, poiché è vecchia regola che la promessa di abbondanti guadagni può essere la premessa di sonore perdite. Come bibliografia basta Pinocchio. Ma anche se va bene, mentre l’economo o il tesoriere di turno assapora con gli occhi lucidi i numeri che sembrano surgelati nel frigido estratto conto, non vede quelle cifre ballare senza allegria? Non si chiede da dove vengono quei profitti, se da sofferenze, devastazioni, sfruttamenti, rapine di futuro? Non ne ha il tempo, è ora di andare a recitar Compieta. nnn 1 Si tratta di un’esperienza che conosco, avendo fatto parte per dodici anni, anche in veste di presidente, del C.E. di Etica Sgr (Gruppo Banca Popolare Etica), primo ed unico gestore italiano a progettare e offrire solo fondi etici. 2 In Etica Sgr avevamo escluso, se non per casi attentamente valutati, la finanza, i petroliferi, i minerari. maggio 2015 | cem mondialità | 5 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 6 ascu ola eoltre bambine e bambini sebi trovato [email protected] Ogni lettera viene indirizzata a «Caro me tra dieci anni» con l’intento di ricordare al giovane la sua infanzia, che avrà voluto/dovuto negare per poter crescere. «Time capsule» Ritorno al futuro munione in quarta ed il Natale della quinta. Tutti sanno usare, comunque, lo smartphone dei genitori meglio di quanto non sappiano fare gli adulti. Regali tecnologici uando, con i miei alunni, arriviamo alla quinta, lancio l’idea di costruire una time capsule tipo quelle di Andy Warhol. Ogni bambino, al posto del classico tema, scrive lettere a se stesso adulto, poi, a fine anno, tutti i fogli, raccolti in un libro, vengono impacchettati come un vero pacco postale, legati con spago e sigillo in ceralacca e consegnati ai genitori con la preghiera di conservarlo in luogo sicuro: verrà aperto quando i ragazzi avranno vent’anni, infatti ogni lettera viene indirizzata a Caro me tra dieci anni con l’intento di ricordare al giovane la sua infanzia, che avrà voluto/dovuto negare per poter crescere. Partiamo da una descrizione di se stessi, dei gusti, dei sogni, dei desideri; aggiungiamo il racconto di un viaggio, descriviamo le avventure in mensa, i giochi con gli amici e tutto quanto può fotografare i loro dieci anni. Poi arriva il momento di raccontare al Caro me le avventure con la tecnologia: smartphone, Q 6 | cem mondialità | maggio 2015 ipad, ipod, computer e questo, posso assicurarvelo, è il tema più ispirato che io abbia mai letto in tutto l’anno. Tutti posseggono un oggetto tecnologico, perché la deadline tra non possesso/possesso è ormai situata tra la Prima Co- Non so se si può più chiamarlo cambiamento generazionale, ma direi di cicli scolastici: i miei alunni di quinta di cinque anni fa avevano ri- Lancio l’idea di costruire una «time capsule»: ogni bambino, al posto del classico tema, scrive lettere a se stesso adulto cevuto, in pochi, uno smart phone per la Cresima, a 1213 anni, e non tutti possedevano un pc a casa; l’uso del tablet era pressoché sconosciuto e non compariva tra i doni, al massimo l’ipod per foto e canzoni o il lettore mp3. Se torno indietro di dieci anni, i miei alunni di quinta avevano ricevuto fotocamere digitali, qualcuno un pc, finalmente, un desktop e quel voluminoso schermo. Trovo significativo che una tappa del cammino religioso sia collegata con un regalo tecnologico, ma l’abbassamento della deadline è materia interessante da studiare. Un personaggio che scrive su questa rivista e che frequento molto assiduamente per ovvi motivi, usa dire che il libro che i ragazzi di 18 anni studiano con il maggior impegno è il manuale di teoria per prendere la patente; io, nel mio piccolo, potrei proporvi un’affermazione simile: la miglior descrizione che abbia letto dai miei scolari è stata quella del loro secondo me, inteso come altro me, come lo ha definito una mia bimba. ascu ola eoltre cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 7 bambine e bambini Nonostante tutto l’impegno di cinque anni a fargli descrivere quadri strampalati, personaggi comici, i loro Vip preferiti, tutto pur di insegnargli a seguire un algoritmo logico in una descrizione, ottenevo risultati a malapena accettabili obtorto collo... ma stavolta hanno descritto la loro protesi tecnologica ed io ho gridato vittoria: sapevano tutti descrivere, persino in modo entusiasmante per il lettore. Ritorno al futuro Maschi e femmine, entrambi con la stessa competenza, partono dalla forma, poi, dall’alto verso il basso, illustrano i tasti e le loro funzioni, l’home, le app; Siri per chi ha l’iphone o usa quello dei familiari. Scrivono queste cose al Caro me, dicendosi consapevoli che fra dieci anni la tecnologia sarà molto più avanzata, per cui spiegano con dovizia i particolari, sicuri che fra dieci anni il loro sé non crederà possibile che esistessero oggetti siffatti, o li avrà dimenticati. Le femmine, a differenza dei maschi, citano le loro cover (ne possiedono moltissime, come vestiti per le Barbie: leopardate, con i brillantini, i lustrini, a forma di animale, o di borsetta e ne vanno fiere come le loro mamme lo erano per il vestito nuovo della bambola Mattel). Ai maschi la cover interessa solo perché protegge un oggetto delicato che cade spesso. Poi si passa all’uso. Problemi matematici Accomunano maschi e femmine l’intenzione di fare impazzire Siri con domande esasperanti e la navigazione su Instagram, per seguire conoscenti, e su youtube per i video ufficiali delle canzoni: sorprendentemente, prediligono gruppi anglosassoni, cercano i video con le parole e le imparano; ne sanno molto sulla comodità del wifi vs la navigazione in 3G, che pone il problema dei costi, perciò qualcuno fa proprio bene i conti e controlla quanto ancora può collegarsi lungo il mese (w la matematica). I maschi hanno poi una passione smodata per I Pontellas, i Guccy boy o FavJ, ragazzini che hanno un canale su youtube e postano i loro video al limite tra lo scherzoso e l’irriverente. Altro fatto che mi ha sorpresa: sono consapevoli di quanti gigabyte abbia il loro telefono alla consegna, poi sottraggono quanti gb occupano le app preinstallate, quindi scelgono con cautela quelle che vogliono scaricare, in modo da non rischiare di rimanere senza GB, cosa che ti impalla il telefono e sei finito. Voi a questa cosa avete mai pensato? Sarebbe da suggerire a chi scrive i libri di testo di matematica: aggiornate i problemi! Effetti speciali Maschi e femmine, con la stessa frequenza, amano girare filmati che poi modificano con applicazioni che citano con sicurezza Maschi e femmine amano girare filmati che poi modificano con applicazioni che citano con sicurezza, ma i loro prodotti denotano la seconda differenza di genere: le bambine si riuniscono e creano storie con personaggi che recitano come in un film, poi aggiungono la musica; i maschi, invece, hanno un approccio legato agli oggetti: c’è chi riprende una goccia d’acqua che cade nel lavandino e poi applica la moviola e la rallenta in modo da seguirne il percorso fino all’esplosione in mille piccole goccioline. Un altro prende un ramo e toglie le foglie, poi riguarda l’operazione al rallentatore: pare sia molto gratificante. Entrambi i generi usano il time lapse e velocizzano i loro video ottenendo un effetto comico, ma sono critici, perché si perde l’audio e a loro non piace. Sono appassionati di Dubsmash: fanno un video in cui pronunciano la frase famosa di un Vip e poi l’applicazione aggiunge la voce del personaggio scelto. Differenze di genere Maschi e femmine sono soliti farsi i selfie, ma usano apps per deformare le foto: da Retrica per dare effetti speciali a Booth Fat che ti ingrassa, a Aging Booth per invecchiarsi di trent’anni. Di solito le uniscono e ci aggiungono una musica di sottofondo: dei filmaker professionisti! La grande differenza di genere sta nella messaggistica: le femmine chattano soprattutto con Viber, ritenendola erroneamente una chat privata, mentre i maschi non ne vogliono sapere e giocano a Clash of Clans, Minecraft, Fifa 15. Tutti hanno regole per l’uso che vanno da trenta minuti ad un’ora e trenta al giorno e ammettono di sforare quasi sempre, ma la maggior parte dei genitori è stata chiara sul fatto che si deve fare anche altro; che non si deve prendere in giro nessuno via web; che non si inviano foto di se stessi, né video, che non si può avere un profilo Facebook o su Instagram; che se c’è qualcuno senza telefono, lo si mette via per non escluderlo. Cambiano i tempi anche delle normative: chi di voi ha mai ricevuto simili regole? nnn maggio 2015 | cem mondialità | 7 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 8 ascu ola eoltre ragazze e ragazzi sara ferrari [email protected] In quei luoghi di morte abbiamo spezzato il pane della Pace, lo abbiamo mangiato come fratelli, condividendolo con tutti. Il valore del fango Meeting di Pace nelle trincee della Grande Guerra Un laboratorio a cielo aperto per tentare quantomeno riflettendoci a ripudiarla la guerra, come suggerisce peraltro un bistrattato articolo della nostra Costituzione. Emanuele Giordana, Articolo 221 ino a poco prima di scendere dal pullman della gita, pensavo che mi sarei trovata genitori sulla porta di scuola a darmi della disgraziata per aver portato i loro pargoli nella trincea del Brestovec con pioggia, bora e temperature da fine inverno, così, quando poco prima dell’arrivo ho intervistato i ragazzi per raccogliere a caldo le loro impressioni sulle giornate appena trascorse, non mi sarei aspettata certe loro riflessioni. Perciò ho deciso con entusiasmo di condividerle coi lettori e gli amici del CEM, perché per una volta nella mia vita il fango ha assunto un valore estremamen- F 8 | cem mondialità | maggio 2015 te positivo, tanto da farmi dire: «Ce ne vorrebbe di fango per tenere uomini e donne coi piedi per terra, ce ne vorrebbe di vento così forte per far volare in alto i loro pensieri e spazzare via le parole violente!». Alberto, Lucia, Simona e Stefania hanno lavorato con me in questa ultima avventura pacifica, accompagnavamo la mia 3a e la pluriclasse di Varsi. La quasi-conclusione del 2° anno del progetto «La mia scuola per la Pace»2 si svolgeva a Udine, prima in città e poi nelle trincee del Friuli (e della Slovenia). Questi che seguono sono i loro pensieri, mescolati, uniti e pieni di sorpresa: la mia. Grazie ragazze e ragazzi! Camminare e calpestare quei passi fangosi, sapere che lì ci si moriva, mi ha fatto percepire un po’ di quella sofferenza Tanti modi per intendere la Guerra e la Pace 17 aprile - Udine Laboratori di Guerra e di Pace per circa 240 ragazzi: solo a Udine mi sono accorta che avevamo lavorato a lungo sulla pace, c’erano molte scuole, eravamo tantissimi ed è stata una cosa bellissima per me, significa che siamo in tanti a voler la Pace. Ho conosciuto molte persone che hanno lavorato a questo progetto, non immaginavo fossero così tante, avevano storie da raccontare, non solo della Grande Guerra, ma anche delle guerre di oggi, di cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 9 ragazze e ragazzi cui si parla troppo poco. Tutti insieme, marciando per le vie bellissime e tra la gentile gente friulana, fin nella piazza del Castello e poi nel Duomo, ci siamo sentiti meno piccoli, pronti a dare un segnale buono, ricco e fraterno. Questa è stata una vera e autentica esperienza di Pace che ci ha riuniti, eravamo lì per un messaggio rivolto a tutti: fatichiamo per la pace e non per la guerra, noi per primi, impegniamoci. In trincea la pioggia è stata un bene Se ci fosse stato il sole non avremmo capito, la pioggia è stata un bene, siamo stati fortunati, col sole sarebbe stata una passeggiata; abbiamo percorso le trincee per un’ora sola, ma il tempo ci ha messi in difficoltà: il vento tentava di strapparci le bandiere (della Pace, dell’UE…) e il freddo ci rattrappiva le dita, nonostante gli ombrelli, gli impermeabili e gli scarponi; pensavo che 100 anni fa c’era molto più fango di quello che stavamo calpestando noi, c’era la neve, c’erano le bombe, il tempo non passava. Siccome ci credevamo in quello che stavamo facendo, non ci siamo fatti fermare, marciavamo anche per i ragazzi che hanno perso la vita per quella guerra, a «Voliamo» la Pace Abbiamo condiviso i lavori preparati durante l’anno, ogni scuola ha affrontato in modo diverso le idee sulla Pace e sulla Guerra: musica, canzoni, poesie, letture, mimi, disegni, tutti hanno esposto con passione, e spuntava sempre la Pace alla fine, nascosta nelle pieghe della Guerra. Purtroppo non tutti si sono mostrati interessati a partecipare alle attività proposte in mattinata e questo mi ha delusa, ci eravamo davvero impegnati per lavorare con quei ragazzi di tutta Italia, alla fine ho detto: «Pace! Si sono persi una buona occasione…», ho capito che la pace è faticosa e non basta pronunciare la parola per tenerci uniti. A scuola si studiano le dichiarazioni di Guerra e i trattati di Pace, qui in trincea invece ci siamo impegnati con la dichiarazione di Pace, sempre qui abbiamo letto questa frase e abbiamo davvero volato in alto: «1917 voliamo la pace». «Noi, giunti sui luoghi dove cento anni fa centinaia di migliaia di persone persero la vita in scontri fratricidi, determinati a sradicare la Guerra dal nostro secolo, dichiariamo la pace all’Europa e al mondo.Consapevoli delle violenze in corso e delle minacce che incombono, ci impegniamo a far venire meno ogni causa di Guerra durante la nostra vita e ad essere attivamente costruttori di Pace promuovendo il rispetto di ogni essere umano nei suoi diritti e la sua identità, e eliminando quelli che muoiono anche oggi. Abbiamo rifatto la storia. È diverso studiare sui libri, non ci restituiscono la storia dei piccoli uomini, qui invece tutti noi ci si è immedesimati in quei soldati, sulla mia pelle ho fatto l’esperienza di come si viveva in trincea, stretta, angusta. Camminare e calpestare quei passi fangosi, sapere che lì ci si moriva, mi ha fatto percepire un po’ di quella sofferenza. Nonostante il freddo c’era calore e non ho altre parole per spiegarlo; nel percorso semibuio nella cannoniera ci si è presi per mano, immersi in una forte emozione, tra parole, note, prendersi per mano vale più di mille parole, è un muto gesto di fratellanza. Questa marcia in trincea è stata la più significativa, perché in quei luoghi di morte abbiamo spezzato il pane della Pace, lo abbiamo mangiato come fratelli, condividendolo con tutti. ogni tipo di ingiustizia. Rifiutiamo la concorrenza tra esseri umani e tra paesi, e scegliamo la via della cooperazione tra tutti, della solidarietà e dell’aiuto mutuo in ogni campo. Avendo preso coscienza che, vivendo in un mondo di risorse naturali limitate, con una popolazione quadruplicata sin dall’inizio della grande guerra e triplicata sin dalla fine della seconda guerra mondiale, siamo ormai tutti interdipendenti, decidiamo di gestire con saggezza e equità queste risorse così come il prodotto del lavoro umano a beneficio di tutti a ciascuno, traducendo nei fatti la dichiarazione universale dei diritti umani. Rinunciamo alla violenza come mezzo per risolvere i conflitti tra individui e tra popolazioni. Ci consideriamo responsabili gli uni degli altri e cercheremo di proteggere chi è vittima o minacciato di abu- Diritto alla Pace Tra breve il Consiglio dell’Onu per i diritti umani dovrebbe discutere del progetto di inserire tra i diritti fondamentali dell’uomo quello alla Pace, dovrà vagliare anche questo appello da Udine, cito solo un breve passo della proposta che giungerà a Ginevra: «Chiediamo il riconoscimento internazionale del diritto alla Pace perché: siamo convinti che la pace è pre-condizione per il godimento di tutti i diritti della persona e dei popoli». so o di violenza dovunque esso accada. Per scrivere una nuova pagina nella storia, invitiamo tutti a firmare la dichiarazione di Pace e a impegnarsi con noi a ri-unire la famiglia umana». nnn 1 Cfr. www.lettera22.it/showart.php?id =13046&rubrica=53. Per video e foto: #quisifalastoria #quisifalapace 2 Cfr. www.lamiascuolaperlapace.it maggio 2015 | cem mondialità | 9 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 10 ascu ola eoltre generazione y stefano curci [email protected] Il predominio del personale insegnante femminile impedisce ai maschi l’identificazione con una figura maschile, «e soprattutto impedisce lo sviluppo del tipo di pensiero maschile, rivolto alla profondità e all’analisi in modo molto diverso da quello femminile». (Ida Magli) L’insegnamento femminile è diventato un problema? ul quotidiano Il Giornale del 27 febbraio scorso, l’antropologa Ida Magli ha scritto un articolo provocatorio (Troppe donne in cattedra. Così la scuola va a picco, p. 12) in cui indica la prevalenza delle insegnanti donne nella scuola italiana come un problema. Secondo l’autrice, l’allontanamento dei maschi dall’educazione e dal sapere dei figli rientra in un quadro più generale di incapacità creativa della società italiana, e si lega alla ribellione dei maschi al predominio delle donne che essi scontano dalla nascita fino alla fine della scuola secondaria superiore. L’idea è che nei nidi e negli asili prima, poi per tutto il ciclo scolastico, il predominio del personale insegnante femminile impedirebbe ai maschi l’identificazione con una figura maschile, «e soprattutto impedisce lo sviluppo del tipo di pensiero maschile, rivolto alla profondità e all’analisi in modo molto diverso da quello femminile». Fin qui la Magli parla di un dato statistico che si presenta S 10 | cem mondialità | maggio 2015 Una cosa pensata da un uomo può essere intesa e riportata in modo fedele da una donna? da sé, e accenna ad una distinzione tra pensiero maschile e pensiero femminile che forse andrebbe approfondita meglio, soprattutto per la sua declinazione nell’ambito dell’insegnamento scolastico. Se una cosa è pensata da un uomo Dove diventa più difficile seguire l’autrice è il passo in cui indica come «aspetto più grave di una scuola affidata quasi del tutto alle donne» il fatto che gli allievi non dovrebbero apprezzare il sapere perché «tutto quello che le donne insegnano non è stato né creato né scoperto da loro». Come se il fatto che Socrate, Omero, Virgilio, Galileo (per citare alcuni dei nomi riportati nell’articolo) erano maschi impedisse alle professoresse di riportarne fedelmente il pensiero! Ricordo di aver sentito l’idea che si possa fare scienza solo di ciò che si crea già nel pensiero di Giovambattista Vico, ma in quel caso l’apparente astruseria dell’idea era giustificata dal desiderio di proporre la storia come «scienza nuova» da opporre al successo del razionalismo cartesiano e del materialismo meccanicistico… non entro nel merito di valutare questo presupposto teorico in sé, ma mi chiedo semplicemente: considerato che - salvo le eccezioni - la gran parte di noi docenti è impegnata a rendere comprensibili i pensieri complessi a classi sempre più distratte e disabituate a rapportarsi con teorie difficili, non è troppo astratto rispetto alle reali condizioni della scuola chiedersi se una cosa pensata da un uomo possa essere intesa e riportata in modo fedele da una donna? cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 11 generazione y Se le studentesse sono più brave degli studenti Proseguendo nella lettura dell’articolo, emerge un altro punto interessante: le statistiche dicono che le studentesse sono più brave degli studenti. Questo dato sarebbe una prova che insegnanti donne forniscono un insegnamento più adatto alle menti femminili che a quelle maschili. La mia esperienza di docente mi porta a dissentire rispetto a questo legame, anche se, giocando a fare la top ten storica dei miei allievi migliori, riconosco che metterei 7 studentesse nelle prime 10 posizioni. Non sono un pedagogista o un esperto dei processi di apprendimento, ma noto che le studentesse più brave lo sono sia nelle materie con professori sia in quelle con professoresse. Penso che la maggior bravura delle ragazze vada legata ad una maturità differente rispetto ai ragazzi, che spesso in età adolescenziale mostrano un ritardo di responsabilizzazione rispetto alle coetanee. Infatti una conferma, per la mia esperienza, è rappresentata dal fatto che i maggiori problemi disciplinari a scuola vengono dai maschi (forse la Magli spiegherebbe questo dato ricorrendo al fatto che gli studenti si ribellano alle insegnanti perché queste non sanno comunicare con loro?). Cicli di lezioni televisive con i maggiori specialisti del mondo L’articolo si conclude con un attacco alla riforma della scuola proposta dal governo Renzi come un’idea vecchia di scuola, e lancia una proposta: «proiettare cicli di lezioni televisive preparate da una società ad hoc con i maggiori specialisti del mondo nelle singole discipline. Non ci sarebbero più le logore ripetizioni di insegnanti che per trenta o quarant’anni parlano sempre delle stesse cose, ma i più grandi storici, i più grandi matematici, i più grandi architetti, i più grandi musicisti d’Italia e del mondo esporrebbero con la semplicità e la chiarezza che contraddistinguono coloro che sono assolutamente padroni di ciò che dicono, i diversi cicli di lezioni, di cui la società di edizione curerebbe la traduzione nella lingua italiana per quanto riguarda gli specialisti stranieri». La proposta stimola riflessioni: anzitutto sembra una via di mezzo tra la classica lezione frontale e la scuola tecnologica tanto di moda. Ma perché un docente che parla sempre delle stesse cose dovrebbe essere più noioso di un grande esper- ascu ola eoltre La bravura di un insegnante sta nella capacità di mediare la profondità dei contenuti con una semplicità didattica che li renda accessibili alla classe to? Chi scrive questo, ha mai visto i video di Gadamer che spiega la storia della filosofia (fantastici per lo specialista, ma inutilizzabili per uno studente)? O le lezioni del Consorzio Nettuno a notte fonda in televisione? La bravura di un insegnante sta nella capacità di mediare la profondità dei contenuti con una semplicità didattica che li renda accessibili alla classe. Nel mio campo, ho conosciuto filosofi profondissimi incapaci di semplificare il loro sapere in modo comunicabile didatticamente. E non mi sembra carino nei confronti dei docenti italiani sottolineare che questi grandi esperti sono «assolutamente padroni di ciò che dicono»… Gli studenti apprezzano ancora una lezione frontale ben fatta Mi sembra riduttivo il ruolo degli insegnanti secondo la proposta dell’autrice, che sarebbe quello di assistere insieme agli studenti alle lezioni televisive e poi discuterle e spiegarle. Per esperienza so che, quando si spengono le luci per assistere ad una proiezione, molti studenti approfittano per rilassarsi o per disturbare. Ed anche studenti molto bravi mi hanno dimostrato di non saper concepire un filmato come equivalente alla lezione del professore di cattedra, ma di vederlo come un diversivo meno importante. Perché la verità che sconvolgerebbe molti teorici e innovatori è che gli studenti apprezzano ancora una lezione frontale ben fatta! Certo, nella prospettiva dell’autrice la scuola sarebbe ricca finalmente di figure maschili: ma non mi sembra che questo presunto vantaggio varrebbe il prezzo. nnn cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 12 ascu ola eoltre in cerca di futuro aluisi tosolini [email protected] Il volume cerca di approfondire il valore pedagogico interculturale di alcune pratiche condivise dai preadolescenti di oggi in contesti caratterizzati da alta presenza migratoria. Seconde generazioni e nuove tecnologie e edizioni ETS di Pisa hanno dato alle stampe la ricerca che Luisa Zinant ha svolto per il dottorato in comunicazione multimediale all’Università di Udine. Il volume, partendo da un’analisi di alcuni fra gli elementi insiti alla complessità contemporanea, cerca di approfondire il valore pedagogico interculturale di alcune pratiche condivise dai preadolescenti di oggi in contesti caratterizzati da alta presenza migratoria, per poterle poi inserire in maniera pedagogicamente orientata all’interno della prassi educativa quotidiana, parimenti in ambito formale e non formale. La prima parte del volume delinea il quadro di riferimento teorico e pedagogico, mentre la seconda presenta l’analisi e la valutazione dei dati emersi dalla ricerca sul campo. L Questi, in estrema sintesi, gli esiti: Le nuove tecnologie facilitano i processi d’interazione dei giovani di origine non italiana in quanto permettono di va12 | cem mondialità | maggio 2015 Dal volume esce un’immagine nuova degli adolescenti, siano essi italiani o figli di immigrati, ma resi sempre più simili dal vivere medesime pratiche con i new media lorizzare contemporaneamente sia gli aspetti relativi ai precedenti vissuti sia le aspirazioni, le rappresentazioni e le esperienze relative al nuovo contesto. Per i ragazzi di oggi, figli di immigrati e non, i new media rappresentano risorse simboliche con cui conferire senso ai propri mondi sociali in cui gli stessi media sono spesso chiave di accesso per entrare nel mondo dei pari. Le nuove tecnologie offrono risorse utili all’adattamento Per saperne di più L. Zinant, Seconde generazioni e nuove tecnologie. Una ricerca pedagogica, Edizioni ETS, Pisa 2014 perché assumono la funzione di agenti di socializzazione, di rifugio emotivo, di alternativa alla comunicazione con i pari autoctoni, di strumento di trasmissione culturale intergenerazionale e un luogo in cui poter esplorare diversi aspetti per la formazione di nuove identità. Grazie ai social network i giovani de-costruiscono, mescolano, riformulano le loro stesse identità fondendole così alle pratiche dei loro coetanei. I new media si configurano così come uno dei linguaggi accomunanti dei nuovi linguaggi degli italiani di oggi (di qualsiasi provenienza essi siano) e quindi in grado di divenire possibili promotori della loro positiva interazione. I new media posso così essere considerati come uno tra i vari ausili in grado di valorizzare le dinamiche interculturali presenti nella pluralità dei contesti educativi contemporanei. Essi rivestono un ruolo cruciale nel facilitare la comunicazione tra migranti e cultura locale e sostenere connessioni transazionali, creando opportunità, specialmente per i giovani, di espressione di sé e di dialogo globale mai concepite in precedenza. Una ricerca di grande interesse di cui il volume (seppure a volte appesantito dall’eccesso di notazioni intratestuali) dà ragione, discutendo anche la pluralità di strumenti utilizzati nella «multiricerca» effettuata nel nordest. Ne esce un’immagine nuova (e pedagogicamente molto ricca ed attraente) degli adolescenti, siano essi italiani o figli di immigrati, ma resi sempre più simili dal vivere medesime pratiche con i new media. nnn cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 13 ascu ola eoltre mumble mumble chiara colombo | fiorenzo ferrari [email protected] A Verbania abbiamo proposto ai bambini della scuola primaria «Bachelet» un laboratorio che si è sviluppato in quattro momenti. In viaggio con Marco Aurelio SECONDA PARTE urante il dialogo, abbiamo chiesto ai bambini che cosa fossero quei debiti di riconoscenza elencati da Marco Aurelio1. Per loro, un debito di riconoscenza è qualcosa che gli altri ci hanno insegnato, oppure qualcosa che ci hanno mostrato con l’esempio. Abbiamo quindi chiesto a ogni bambino di sdraiarsi su un grande foglio, per ricalcare la propria sagoma. Tracciata la sagoma bisognava riempirla, darle spessore, inserirvi insomma i propri debiti di ricono- D scenza. Per farlo, i bambini potevano usare qualunque tecnica artistica e anche incollare oggetti o fotografie che descrivessero i vari debiti. Vicino a ciascun debito hanno poi indicato il nome del creditore. È difficile a parole restituire la bellezza e la ricchezza di queste grandi sagome colorate piene di acquisizioni positive che i bambini hanno avuto dalle persone importanti della loro vita e per le quali, appunto, sono riconoscenti. Ci proviamo, scegliendone solo una manciata. I bambini sono riconoscenti perché, grazie agli altri, sanno fare qualcosa di pratico, di concreto. z Andrea, dalla nonna: cucinare l’uovo fritto. z Lara, dalla zia: suonare il pianoforte. I bambini sono riconoscenti perché, grazie agli altri, sanno comportarsi in un certo modo. È quello che in filosofia ha a che fare con la virtù. z Luca, dal papà: sapere quando intervenire nelle situazioni della mia vita. z Matteo, dagli amici: capire che rispettare le regole è giusto. È molto interessare sentire perché i bambini sono riconoscenti di ciò che hanno avuto dagli altri. z Emma, dalla mia migliore amica Khady: costruire ed aggiustare gli oggetti, perché così si possono riutilizzare e sembrano nuovi. z Samira, da mio zio: fischiare, perché, siccome è lontano, è un modo per sentirlo vicino. Queste sagome sono diventate una sorta di alter ego per i bambini che, via via, disegnavano i debiti di riconoscenza. Un alter ego come è diventato Amadeu de Prado nel Treno di notte per Lisbona, che abbiamo proposto nel precedente articolo, via via che il protagonista Gregorius traduceva dal portoghese. Ma come fanno gli altri a donarci qualcosa? A darci qualcosa per cui siamo loro riconoscenti? z Kevin, da due miei compagni: essere ordinato, perché loro quando mi spostavo dal banco me lo riordinavano sempre. z Francesca, da mamma e papà: pettinarmi i capelli da sola. Da papà perché è un parrucchiere e mi ha fatto vedere come fare visto che li ho lunghi e da mamma perché mi ha spiegato che è una cosa che devo imparare a fare da sola. Per i bambini, un debito di riconoscenza è qualcosa che gli altri ci hanno insegnato, oppure qualcosa che ci hanno mostrato con l’esempio ascu ola eoltre Questo lavoro espressivo, con le intelligenze multiple, è una filosofia fatta con le mani, a cui segue la filosofia fatta con la testa, ovvero il dialogo. Vogliamo stuzzicarvi con la domanda di partenza posta ai bambini: se io sono un panino di debiti di riconoscenza, resta qualcosa di me tolti tutti gli strati? Concludiamo con la verifica, come durante il laboratorio. Niente paura, vi chiediamo semplicemente, come chiediamo ai bambini: c’è qualcosa che vi ha stupito? Se volete potete scriverlo a [email protected] 1 Per uno sguardo critico sull’imperatore filosofo: A. Fraschetti, Marco Aurelio. La miseria della filosofia, Laterza, Roma-Bari 2008. maggio 2015 | cem mondialità | 13 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 14 ascu ola eoltre educazione degli adulti rita roberto [email protected] La gestazione è detta anche «stato interessante» forse perché succedono cose meravigliose all’interno di quella pancia che cresce e nel suo mistero si rinnovano i sogni di generazioni. Esserci nel tempo dell’attesa ncora una volta prendo insegnamento dalla gestazione per parlare della generatività nel tempo dell’attesa. La gestazione è il paradigma del tempo sacro e necessario per concepire un figlio e portarlo alla luce ma è anche metafora del tempo necessario per concepire un sogno, un progetto e portarli a compimento. È detta anche «stato interessante» forse perché succedono cose meravigliose all’interno di quella pancia che cresce e nel suo mistero si rinnovano i sogni di generazioni. Come in una partitura musicale, la generatività si manifesta in quattro tempi: desiderare, mettere al mondo, prendersi cura e lasciar andare. Questo vale anche per le scelte umane, che richiedono un tempo di gestazione, perché un progetto A ascu ola eoltre 14 | cem mondialità | maggio 2015 che ci sta a cuore arrivi a vedere la luce. A riprova che la gestazione è un tempo sacro ed iniziatico c’è il labirinto unicursale, primo fra tutti quello di Chartres, le cui pietre bianche e nere, che delineano il cammino, sono 274 pari al numero dei giorni della gravidanza umana. Dalla sua origine il labirinto è lì a ricordarci questo insegnamento, ed è stato percorso a piedi nudi o in ginocchio da migliaia di pellegrini con l’intento di arrivare al centro, in Saper aspettare, rinunciando ad alcune cose amate, per un obiettivo più alto, fare il possibile perché gravidanza e parto si svolgano in modo ottimale, insegna il valore della scelta «Terra Santa» per rinascere a vita nuova. Un tempo che nei millenni resta perfetto e forzarlo comporta guai, anche drammatici. Il tempo dell’attesa La riflessione sulla gravidanza reimpone il tempo dell’attesa, del progetto, del sogno, del mistero. Ci induce a riflettere su quanto conta l’attesa nella nostra vita, nelle relazioni, in famiglia, nello studio, nella professione, nell’amore... Quanto il rallentamento del fare esteriore è necessario e direi indispensabile perché l’interiore possa crescere e svilupparsi? Quanto conta il saper aspettare e il come aspet- cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 15 tare? Spesso abbiamo paura dell’attesa poiché la vediamo come assenza e si verifica quando il tempo è vuoto di contenuti, di emozioni e relazioni vere, di cura, di riflessione. L’attesa non spaventa quando è «piena e abitata», come nella gravidanza. Abitata dalla riflessione, dalla meditazione, dalla prudenza: che non è rinuncia, ma scelta di alternative più adeguate, basata sulla capacità di pensare e prevedere le conseguenze del proprio dire e del proprio fare, prima di agire. Saper aspettare, rinunciando anche ad alcune cose amate, per un obiettivo più alto - fare il possibile perché gravidanza e parto si svolgano in modo ottimale - insegna il valore della scelta. L’attesa è preparazione ed iniziazione: fisica ed emotiva, ed incarna un’idea di libertà come capacità di accogliere, ascoltare, custodire e poi di donarsi e rispondere andando oltre in uno sforzo condiviso che dà forma al vivere insieme. E, sul fronte psichico, è fatta anche di letture che ci aiutino a crescere e pensare, di arte che ci orienti al bello, di lavoro cooperativo, nel volontariato e soprattutto di riflessioni e conversazioni condivise. La società odierna ci porta a sfuggire e a negare ogni tipo d’attesa, il tempo che dedichiamo alla riflessione ed al silenzio è da considerarsi «tempo perso» Prepararsi ai cambiamenti «Kairòs» e «chrónos» Il tempo dell’attesa può far nascere anche movimenti che ci rigenerano come soggetti nuovi e capaci, superando l’individualismo della società dei consumi ed entrando nella società che genera. È il tempo giusto e creativo che si muove all’interno del grembo fisico/ psichico e apre quel tempo benedetto fatto di luce detto «kairòs», che ci porta a concepire i nostri migliori progetti e ci riporta ad un senso sano del tempo, rallentato per costruire la vita, per cambiare dentro e fuori di noi. Tempo dell’attesa che si pone in antitesi con «chrónos», l’oscuro tempo che tutto divora: i tempi delle relazioni, dell’intimità, dell’amicizia, della famiglia del lavoro, della contemplazione … e allora molto resta inesplorato, sconosciuto e lontano. La società odierna ci porta a sfuggire e a negare ogni tipo d’attesa, il tempo che dedichiamo alla riflessione ed al silenzio, condizioni necessarie per accedere alla dimensione dell’attesa e ristabilire il contatto ancestrale con essa, è da considerarsi «tempo perso». Tutto oggi deve essere ottenuto in fretta e possibilmente senza sforzo, è così nell’amore e nel lavoro, nell’amicizia e nella fede. In campo psicologico, sociale, educativo, letterario, oltre che artistico e religioso, numerose sono le voci che invocano una rivalutazione dell’attesa, si parla di «arte dell’attesa», di «luogo dell’attesa», di «tempo dell’attesa». Tutte queste voci hanno in comune l’aver colto il valore che accompagna la capacità di attendere cioè il mettersi in contatto con il proprio sé profondo, il sentire la dimensione intima dell’attesa che si traduce in bisogno e mancanza di Qualcuno. La sfida oggi è tornare ad abitare l’attesa, e i suoi silenzi, non solo in gravidanza, come un tempo eccellente che scegliamo di vivere. Per prepararci ai cambiamenti, per abbandonare ciò che ha fatto il suo tempo, dentro e fuori di noi, per ripartire entusiasti e leggeri in una nuova fase della vita. Ognuno di noi sta aspettando impaziente un domani migliore. Ma sappiamo prepararlo e prepararci bene, nell’attesa? Vi lascio con queste riflessioni e entro in un periodo di attesa fatto di presenza silente e creativa. nnn maggio 2015 | cem mondialità | 15 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 16 ascu ola eoltre saggezza folle marco valli - osel dorje [email protected] Ogni scoperta deve essere messa a sua volta in discussione, deve essere confutata per diventare la base di ulteriori scoperte. Educare o dis-educare? ccolo lì, tutto soddisfatto che mi vomita addosso una marea di sentiti dire, di luoghi comuni… sorride convinto di essere un buon studente, uno di quelli che si interessano e sanno pure qualcosa… Compìta e seria mi guarda e ripete banalità sulla reincarnazione e sul Dalai-lama, convinta di dimostrarmi che non è venuta alla mia conferenza digiuna di nozioni, non sa quanto i suoi discorsi raccogliticci mi stanchino… Sono solo due esempi fra i mille possibili sui preconcetti e sulle pseudoconoscenze che albergano nella nostra testa e che ci fanno ritenere di essere esperti, acculturati o quantomeno non analfabeti su questo o quell’argomento. Tutto normale, se non fosse che sono un educatore e nel mio ruolo dovrei, in qualche modo, svolgere un’azione educativa su queste persone. Di conseguenza sorge la domanda: come? Troppo spesso si pensa che educare consista nell’immettere nozioni, idee, valori nella E 16 | cem mondialità | maggio 2015 Solo una mente aperta, priva di ogni filtro interpretativo, può apprendere in modo creativo ascu ola eoltre mente del discente, ma io penso che la prima cosa da fare sia diseducare, ovvero decostruire gli stereotipi, facendo piazza pulita dei preconcetti. Solo una mente aperta, priva di ogni filtro interpretativo, può apprendere in modo creativo. Suzuki Roshi diceva che nella mente dell’esperto ci sono poche possibilità, mentre infinite sono quelle nella mente del principiante. Nella funzione educativa dovremmo, come prerequisito, guidare l’allievo a ritrovare la propria mente da principiante liberandolo da tutta la zavor- ra ideologica ed emotiva, aiutandolo ad aprirsi. Quando abbiamo appreso un modo per svolgere una certa azione, lo ripetiamo ugualmente ogni volta, senza cercare nuove soluzioni, ma con un meccanismo ripetitivo che ha ben poco a che fare con l’intelligenza. Atisha, un grande filosofo buddhista, esortava a fare ogni giorno qualcosa di nuovo o in modo nuovo, cercando di sviluppare continuamente la propria creatività. Non pretendo che i miei allievi riescano a fare ogni giorno qualcosa di nuovo o in modo nuovo, ma almeno una volta alla settimana sarebbe un buon inizio. Prima di tutto bisogna però comprendere «con la pancia» il detto di Socrate: «l’unica cosa che so è di non sapere», giungendo a rendersi conto che il processo conoscitivo è un work in progress infinito e che non si può né si deve mai ritenersi esperti. A fronte della domanda «lei è un esperto di X o Y?», dovremmo rispondere col cuore: «sono un uomo che cerca!». Un buon insegnante deve quindi essere un demolitore di certezze e di preconcetti, deve saper spingere gli allievi in quella terra di nessuno che è il non-sapere, da cui poi partire per un’autentica ricerca di significati e di senso. Ogni scoperta deve poi essere messa a sua volta in discussione, deve essere confutata per diventare la base di ulteriori scoperte. San Gregorio di Nissa diceva che essendo Dio infinito, per quanto se ne conosca, vi è un altro infinito da conoscere. Possiamo dire (con le debite proporzioni) la stessa cosa di qualsivoglia argomento, anche perché avendolo esaurito, possiamo sempre cercare nuove interpretazioni. Odile Van Deth (biblista e teologa francese) mi diceva che più studia la Bibbia e più si rende conto delle infinite possibilità che vi sono insite, e questa è la vera meraviglia della Vita, può mostrarsi nuova e stupirci in ogni momento. Educare è quindi prima di tutto un dis-educare, un percorso di liberazione che giunge ad una vera libertà interiore, che sola può aprirci ad un percorso di ricerca. Ai miei studenti spesso cito il koan zen che dice: «Sali sulla pertica e quando è finita continua a salire», perché questo è il vero spirito di un ricercatore di verità. nnn cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 17 TROVARE L’ALBA DENTRO L’IMBRUNIRE. ARTE PASSIONE INTERCULTURA UN SORRISO UN SILENZIO PIÙ IN LÀ IL CIELO SPIGOLANDO NEI CAMPI DEL SIGNORE? IL DIALOGO INTERRELIGIOSO OGGI MARCO VALLI - OSEL DORJE cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 18 dossier ALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI LE TRADIZIONI MONOTEISTE HANNO NEGATO PER MILLENNI LA PLURALITÀ DELLE VIE, ARROGANDOSI L’ESCLUSIVA DELLA SALVEZZA, SCREDITANDO O ADDIRITTURA COMBATTENDO CHI RITENEVA DI SEGUIRE PERCORSI DIFFERENTI. È CURIOSO CHE NEL CRISTIANESIMO, AD ESEMPIO, CI SI DIMENTICHI CHE NEI PRIMI SECOLI LE CHIESE, I VANGELI, LE TEOLOGIE ERANO NUMEROSE E MOLTO DIFFERENZIATE E CHE L’AFFERMAZIONE DI UNA CERTA INTERPRETAZIONE SULLE ALTRE NON NE CERTIFICA IN ALCUN MODO LA MAGGIORE VERIDICITÀ, LO STESSO VALE PER LE CORRENTI DELL’ISLAM E DI TUTTE LE ALTRE TRADIZIONI. QUALE DIALOGO? a troppi anni bazzico il cosiddetto dialogo interreligioso, fin da tempi (gli anni ‘70) in cui non era di «moda», anzi era guardato con sospetto (era di quegli anni un libriccino dell’allora cardinal Ratzinger che negava ogni possibilità per il cristiano di avvicinarsi alle pratiche meditative orientali) per non essere un po’ disilluso, nonostante i molti passi in avanti fatti dalle gerarchie e assai di più dai fedeli e dai religiosi. Disilluso perché il dialogo, in qualunque forma, ha come punto fondante la disponibilità di entrambi gli interlocutori a modificare le proprie idee di partenza, senza questa disponibilità abbiamo un interesse culturale o antropologico per l’altro, niente di più. Nel 1979 mi trovai a Roma con p. Bede Griffiths, il continuatore dell’opera e dell’ashram di p. Henri Le Saux, un benedettino inglese che viveva come un sannyasin hindu, cercando di essere un monaco a-cosmico, totale, al di là delle appartenenze. In quella occasione l’abate generale dei Benedettini (ricordo solo che era tedesco) di fatto lo cacciò dall’ordine (fu poi accolto dai più aperti Camaldolesi) e ci fu rifiutata un’udienza col Santo Padre. D 18 | cem mondialità | maggio 2015 Fatti lontani, che forse non potrebbero più accadere, ma che mi hanno colpito profondamente perché segnavano un chiaro e rigido rifiuto all’apertura e al dialogo. Tutto cambia, com’è ovvio, eppure nel dialogo interreligioso molte cose sono rimaste uguali. Ieri come oggi ci si incontra, davanti a pubblici via via più numerosi, ognuno racconta la propria esperienza, o cerca di spiegare la propria fede, si risponde a qualche domanda degli intervenuti, foto ricordo e tutti a casa senza che nulla, nell’uno o nell’altro sia cambiato. Possiamo chiamarlo dialogo? Una volta Raimon Panikkar ad Assisi ha usato un’immagine forte: «togliersi i preservativi culturali e religiosi, prima di aprirci al dialogo con le altre religioni». Togliersi i preservativi significa essere disposti ad un incontro vero, rischioso e quindi potenzialmente fecondo, tenerli significa avere un rapporto sterile, che non dà nuova vita. Bede Griffiths, sempre sull’onda di quella metafora, parlava di matrimonio fra oriente e occidente, non di una frettolosa stretta di mano. Questo tipo di dialogo ovviamente non può essere teologico, perché la teo- cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 19 dossier SPIGOLANDO NEI CAMPI DEL SIGNORE? TUTTO CAMBIA, COM’È OVVIO, EPPURE NEL DIALOGO INTERRELIGIOSO MOLTE COSE SONO RIMASTE UGUALI. IERI COME OGGI CI SI INCONTRA, DAVANTI A PUBBLICI VIA VIA PIÙ NUMEROSI, OGNUNO RACCONTA LA PROPRIA ESPERIENZA, O CERCA DI SPIEGARE LA PROPRIA FEDE, SI RISPONDE A QUALCHE DOMANDA DEGLI INTERVENUTI, FOTO RICORDO E TUTTI A CASA SENZA CHE NULLA, NELL’UNO O NELL’ALTRO SIA CAMBIATO. POSSIAMO CHIAMARLO DIALOGO? logia è un pensare su Dio o sull’Assoluto, e il pensiero è culturalmente determinato, deve quindi partire dall’esperienza, dalla vita spirituale vissuta, dalla mistica. L’esperienza mistica che è al di là dei pensieri e delle parole è il luogo del vero incontro, là dove Simone Weil e Harada Roshi si riconoscono nell’esperienza della vacuità (ci sono parole della Weil che sembrano uscire da un testo zen), là dove Sri Aurobindo e Teilhard de Chardin intuiscono il medesimo concetto di divinizzazione della materia. Già p. Giovanni Vannucci, negli anni ‘60 e ’70, vedeva l’unitarietà mistica di tutte le tradizioni spirituali e componeva quel sublime Libro della preghiera universale che era una sorta di breviario con cui pregare ogni giorno con testi di tutte le tradizioni, comprese quelle ermetiche ed esoteriche, in totale apertura e riconoscimento del valore spirituale dell’altro da sé. Il Buddha diceva che vi sono ottantamila vie per l’illuminazione (intendendo un numero enorme, per l’epoca) il che significava che non vi può essere una sola via alla verità, ma che ogni uomo, in fondo, deve trovare/creare la sua. Le tradizioni monoteiste hanno negato per millenni la pluralità delle vie, arrogandosi l’esclusiva della salvezza, screditando o addirittura combattendo chi riteneva di seguire percorsi differenti. È curioso che nel cristianesimo, ad esempio, ci si dimentichi che nei primi secoli le Chiese, i Vangeli, le teologie erano numerose e molto differenziate e che l’affermazione di una certa interpretazione sulle altre non ne certifica in alcun modo la maggiore veridicità, lo stesso vale per le correnti dell’islam e di tutte le altre tradizioni. Ora parliamo di certi gruppi (dissidenti?) come di sette (termine dispregiativo), senza ricordarci che anche le attuali grandi religioni sono nate come sette (o percepite come tali dalle culture dominanti dell’epoca). Se non si esce da questa pretesa di esclusività o di superiorità nei confronti delle altre tradizioni non vi può essere dialogo, al più una sincera curiosità reciproca, che però non deve mai metterci in discussione. Panikkar infatti usava il termine «dialogo intrareligioso» inteso come un dialogo che avviene dentro la persona e le toglie la maschera di personaggio religioso all’interno di una certa tradizione… divenendo quindi un vero itinerario spirituale e religioso. Questo dialogo interiore, questo incontro/scontro fra culture diverse ci lascia spesso in una solitudine che può essere distruttrice o purificatrice, che sicuramente porta al collo delle nostre «microdossie» per aprirci ad un orizzonte finalmente libero. Il dialogo inizia quando interiorizziamo l’altra cultura religiosa e lasciamo che cominci a fecondare e a mettere in discussione le nostre presunte certezze. Solo in questo modo ci può essere un vero andare oltre gli schematismi e gli arroccamenti dottrinari, solo così possiamo aprirci realmente alle altre religioni. maggio 2015 | cem mondialità | 19 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 20 dossier ALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI E IL BATTESIMO? nno di grazia 1987, Assisi, Cittadella, convegno interreligioso dal titolo «Religioni a confronto», nomi prestigiosi fra i relatori: Panikkar, Balducci,Conio, Harada Roshi, ecc., e anche, immeritatamente, il sottoscritto. Relazioni forti e ponderose, svolazzi teologici impegnativi, molta curiosità fra il pubblico numerosissimo. Il giorno dedicato al buddhismo vide le relazioni di un monaco theravada birmano, di un lama tibetano, di un monaco Zen, di mons. Loris Capovilla e alla fine la mia. Decisi di centrare il mio intervento sul nascente buddhismo italiano e occidentale e prospettai i pericoli e le possibilità che questa inculturazione poteva portare, enfatizzai poi il fatto che i cristiani dovevano imparare a dialogare con noi «apostati», che avevamo scelto di abbandonare la fede dei nostri padri per intraprendere nuovi percorsi spirituali e non tanto con i monaci giapponesi o indiani. Noi eravamo la pietra di scandalo, loro al massimo una curiosità esotica! Confrontarsi con chi, in piena coscienza e spesso con non poca sofferenza interiore, aveva scelto di abbandonare la via dei padri, era la vera sfida. Finito l’intervento cominciarono le domande del pubblico e giunse pure quella che per me che suonava più o meno così: «ma lei è stato battezzato... come la A mette col suo battesimo»? Risposi che se il battesimo è un’iniziazione spirituale io non l’avevo tradito perché avevo realizzato quell’iniziazione con un percorso differente, avevo continuato la mia ricerca religiosa anche se sotto altri cieli… Non so se la mia risposta fu compresa e se venne vissuta come un artificio retorico o una provocazione, ma era quello che sentivo e che stavo maturando negli anni. Se il dialogo deve essere «infrareligioso» come diceva Panikkar, io ne ero una discreta incarnazione, provenendo da un percorso di ricerca nell’ambito del cristianesimo, con studi, pre- 20 | cem mondialità | maggio 2015 È PIÙ CRISTIANO CHI HA RICEVUTO TUTTI I SACRAMENTI E VA A MESSA TUTTE LE DOMENICHE, SALVO POI COMPORTARSI IN MODO DISCUTIBILE DURANTE LA SETTIMANA, O INVECE COLUI CHE NON VA A MESSA, NON SI ACCOSTA AI SACRAMENTI MA VIVE IN SPIRITO EVANGELICO? POTREMMO DECLINARE LA STESSA DOMANDA IN VERSIONE GIUDAICA O ISLAMICA, CON RISULTATI ANALOGHI ghiere, ritiri e addirittura un tentativo monastico, sempre però con una sensazione di disagio, di mancanza che non riusciva ad manifestarsi chiaramente1. L’incontro dapprima con l’induismo e poi col buddhismo misero in moto un processo faticoso e sofferto fino a riconoscere la mia incapacità di vivere una fede in un Dio personale e giungere a trovare risposte e pace nella pratica buddhista che questa fede non richiede. Non è facile per chi è cresciuto in un ambito teista ammettere con se stesso che il dono della fede non gli è stato elargito, ci si sente indegni, inadeguati, reietti. È un percorso solitario e impegnativo in cui l’anima occidentale si scontra con quella orientale in un incontro/scontro devastante, che però può diventare foriero di nuova vita. La prima volta che incontrai Panikkar mi definii buddhista, lui sorrise e disse: «ma anch’io sono buddhista e anche cristiano e hindu!». Capii molto tempo dopo cosa intendeva dirmi. In effetti i rischi dell’incontro tra religioni sono tanti ma i principali sono tre. In primo luogo, l’incontro è solo formale e su- cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 21 dossier SPIGOLANDO NEI CAMPI DEL SIGNORE? perficiale e non provoca alcun cambiamento; secondo, l’incontro porta ad una conversione e ad un cambiamento di religione; terzo, si fa una gran confusione, una zuppa new age in cui tutte le tradizioni si confondono e si annacquano. Panikkar indicava un percorso differente, in cui ci convertiamo ad una ricerca a-cosmica in cui preserviamo in noi la tradizione di partenza accogliendo al contempo le nuove, lasciandole essere vive e totali in noi. Con il tempo ho imparato a rimanere totalmente occidentale pur essendo anche totalmente coinvolto in una spiritualità orientale, ad essere in qualche modo cristiano (pur senza quella famosa fede) e anche buddhista e nello stesso tempo essere al di là di ogni appartenenza. «Se incontri il Buddha uccidilo e se senti parlar di lui passa oltre» afferma un detto zen, indicandoci che dobbiamo andare oltre ogni identificazione con una religione, immagine o teologia. I maestri dello Dzogchen spingono gli allievi a diventare dei Buddha (illuminati), non dei buddhisti. Nelle tradizioni monoteistiche l’appartenenza e l’ortodossia sono ancora punti fondanti (di qui la domanda del mio interlocutore sul battesimo), molto più dell’ortoprassi, e questo è sicuramente un problema. È più cristiano chi ha ricevuto tutti i sacramenti e va a messa tutte le domeniche, salvo poi comportarsi in modo discutibile durante la settimana, o invece colui che non va a messa, non si accosta ai sacramenti ma vive in spirito evangelico? Potremmo declinare la stessa domanda in versione giudaica o islamica, con risultati analoghi. Purtroppo anche in ambito buddhista o hindu (ove non dovrebbero esserci) si creano situazioni similari, con una sfrenata attenzione alle forme e non ai contenuti. Un sacerdote mi raccontò anni fa di essere stato mandato in Africa centrale per guidare gli esercizi spirituali, e gli capitò di dover predicare un ritiro in un convento di monache di clausura. Iniziò predicando gli esercizi come d’abitudine, ma dopo un paio di giorni si rese conto che le monache mostravano segni d’irrequietudine e insofferenza. Non riuscendo a capire che cosa stesse succedendo, chiese un colloquio con la badessa e un paio di altre monache che candidamente gli confessarono che loro non riuscivano a stare ferme così a lungo e che pregavano molto meglio cantando e ballando che non nel silenzio e nell’immobilità. Il sacerdote accordò loro il permesso di comportarsi come preferivano e il ritiro terminò in gloria fra danze e ritmi di tamburi con grande soddisfazione di tutti. Come mi disse quel sacerdote, egli aveva imparato cosa significhi inculturare. Non è la forma che conta, ma la sostanza, ogni via è plausibile, si può contemplare e pregare in silenzio o danzando, non è un problema. Il cristianesimo, fra le tradizioni monoteistiche, è sicuramente quello che ha fatto i maggiori passi in avanti nel dialogo, eppure I RISCHI DELL’INCONTRO TRA RELIGIONI SONO TANTI MA I PRINCIPALI SONO TRE. IN PRIMO LUOGO, L’INCONTRO È SOLO FORMALE E SUPERFICIALE E NON PROVOCA ALCUN CAMBIAMENTO; SECONDO, L’INCONTRO PORTA AD UNA CONVERSIONE E AD UN CAMBIAMENTO DI RELIGIONE; TERZO, SI FA UNA GRAN CONFUSIONE maggio 2015 | cem mondialità | 21 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 22 dossier ALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI permane questa vaga sensazioni di arroccamento che ancora rimanda all’antica (ma mai del tutto negata) concezione «extra ecclesiam nulla salus». La pretesa che solo in una tradizione (addirittura in un solo ramo di una tradizione) ci sia la salvezza, mentre altrove, al più vi è una salvezza incompleta, è qualcosa di incredibilmente limitante. Dice p. David Steindl-Rast: «tutte le vie spirituali portano allo stesso posto, magari in zone differenti, ma sempre della medesima regione». Questo dovrebbe essere lo spirito che ci guida... allora il battesimo può essere un inizio per una vita spirituale, comunque la si declini e non un marchio di appartenenza. O come diceva Bede Griffiths: «Giungiamo così a questa conclusione paradossale, ma teologicamente confermata, che non è attraverso la sua professione esteriore di fede che l’uomo si salva, sia egli cristiano o ebreo, indù, buddhista, musulmano o agnostico o addirittura ateo, ma attraverso la sua risposta al richiamo della grazia che gli viene rivolto, segretamente, indipendentemente dal fatto che abbia o no delle convinzioni religiose». INTERLUDIO Il vento fresco fa stormire le foglie delle giovani querce che ci circondano, più sotto la vallata tappezzata di vigneti sembra luccicare in questo tramonto magico. P. Cornelio siede a gambe incrociate su di un masso, io ai sui piedi… silenzio, pace, solo il volo libero delle rondini. La luce pian piano scema e il crepuscolo avanza. Il vecchio benedettino e il giovane buddhista si alzano, si inchinano uno all’altro poi scendono insieme verso l’eremo. Nessuna parola, nessun pensiero, solo il sorriso di chi sa e tace. Ci siamo seduti di fronte al Mistero... ma nessuno cercava di capirlo, ci era bastato contemplarlo insieme. UN SORRISO UN SILENZIO PIÙ IN LÀ IL CIELO 22 | cem mondialità | maggio 2015 INCONTRI Ho avute molte fortune nella mia vita e fra le più grandi annovero l’incontro e l’amicizia con alcuni dei più importanti pionieri del dialogo fra religioni che mi hanno permesso di assaporare la loro libertà interiore, la grandezza di cuore e la spaziosità di pensiero. Devo ammettere che questi incontri li ho cercati, li ho fatti maturare e crescere con amore e determinazione, sempre grato e consapevole del dono che mi veniva fatto. Fin da giovanissimo avevo intuito ciò che poi mi spiegò bene p. Cornelio Tholens: noi siamo fatti di incontri, con persone, libri, culture, religioni. Sono gli incontri che ci temprano, ci mettono in discussione, ci arricchiscono, ed io ho sempre cercato incontri con uomini di alta spiritualità e saggi di tutte le tradizioni, facendo mio il proverbio biblico: se incontri un uomo saggio, fa’ che il tuo piede logori la sua soglia. Il mio essere un po’ apolide, un po’ cristiano, un po’ buddhista, un po’ junghiano, un po’ comunista mi ha messo nelle condizioni di avvicinarmi a maestri cristiani, buddhisti, senza «appartenere» a nessuna di queste cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 23 per un nuovo patto tra le generazioni 1 33 36 a cura di ANTONELLA FUCECCHI - ANTONIO NANNI IL DECALOGO E L’ETICA MONDIALE A nche quest’anno siamo arrivati all’ultimo inserto. Come nelle precedenti annate sui temi delle virtù e dei vizi capitali, offriremo un bilancio «dinamico», che non chiuda il discorso sulle Dieci Parole, ma che - come farebbe chiunque si proponga di gettare un ponte - lascia una finestra aperta sul futuro. Abbiamo sottolineato ripetutamente che, lungo i secoli della modernità, il Decalogo ha perduto la forza e l’autorevolezza di cui godeva in passato. Non vi è dubbio, infatti, che il processo di secolarizzazione abbia provocato un «depotenziamento» del Decalogo fino a generare una domanda di libertà e una sorta di insofferenza verso ogni forma di autorità, imperativo, comandamento. Forse il momento più critico per il Decalogo si è verificato negli anni ’60, quando in tanti paesi dell’Occidente - dall’Europa all’America - c’è stata un’ondata di contestazione antiautoritaria e si è diffusa la mentalità del «vietato vietare». Nonostante ciò, le Dieci Parole non sono state né cancellate né dimenticate, ma hanno continuato a interrogare e a provocare anche le nuove generazioni. IL DECALOGO COME «ARCHITRAVE» DI UN’ETICA PER L’UMANITÀ Se però vogliamo che i Dieci Comandamenti continuino a rappresentare anche in futuro una «mappa» per il cammino storico dell’umanità, allora bisognerà fare in modo che essi diventino l’architrave dell’etica mondiale (Welt-Ethos). In questo senso a noi sembra che la scelta migliore sia quella di riprendere, condividere e rilanciare il progetto di Hans Küng che rimane, ancora oggi, il più coraggioso e avanzato. Nella Dichiarazione per un’etica mondiale, sottoscritta il 4 settembre 1993 a Chicago (Usa) dal Parlamento delle religioni, si afferma che «nelle dottrine delle religioni si trova un comune patrimonio di valori fondamentali che costituiscono il fondamento di un’etica mondiale». Insieme a questo solenne e significativo riconoscimento vi è una seconda affermazione che merita di essere posta in evidenza: «nessun cambiamento in meglio sarà possibile se prima non si verificherà un mutamento di coscienza dei singoli». Tale mutamento, a pensarci bene, non è altro che l’interiorizzazione dei comandamenti maggio 2015 | cem mondialità | 23 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 24 IL RITORNO DELLA BARBARIE E LA DIFFUSIONE DEI GRUPPI FONDAMENTALISTI STA PROVOCANDO UN PROCESSO DI INVOLUZIONE DELLA CIVILTÀ E SEGNA UN CAMPANELLO DI ALLARME PER TUTTI nella loro dimensione sociale, ossia rivolta al prossimo: non uccidere (nonviolenza), non rubare (solidarietà), non mentire (verità), non desiderare la donna e la roba d’altri (cioè vivere le relazioni rispettando la dignità della persona, l’etica del limite e il principio di proprietà). Oggi tuttavia siamo di fronte ad una situazione planetaria che negli anni ‘90 - cioè al tempo della Dichiarazione non si poteva immaginare, nonostante tanti rischi fossero ben noti già allora, come quello nucleare, terroristico, migratorio, ambientalista, dell’indebitamento estero, ecc. A questa lista delle emergenze planetarie bisogna poi aggiungere la questione della globalizzazione e del pensiero unico, il fallimento dei vari modelli di multiculturalismo, l’esplosione dei fondamentalismi religiosi e in particolare dell’islam, che ha provocato prima l’attentato delle Torri Gemelle (11 settembre 2001), in seguito la nascita del Califfato con le sue diramazioni terroristiche e stragiste, da Parigi a Tunisi, dalla Nigeria al Kenya. Per non citarne che alcuni. ARRESTARE IL PROCESSO DI REGRESSIONE ETICA DELLA COSCIENZA UMANA Il ritorno della barbarie e la diffusione dei gruppi fondamentalisti sta provocando un processo di involuzione della civiltà e segna un campanello di allarme per tutti. 24 | cem mondialità | maggio 2015 Tale involuzione deve richiamare la nostra attenzione su quelle tradizioni religiose che, pur avendo un glorioso passato, come l’islam, non sembrano però avere più la capacità di ri-generarsi e forse proprio per questo degenerano. Bisognerebbe allora avere il coraggio di smascherare coloro che nel nostro tempo sfruttano alcune palesi debolezze della religione islamica per calcoli economici e pura politica di potenza, addirittura per legittimare odio, guerre, terrorismo, fino ai crimini contro l’umanità. La semplice esistenza di uno Stato islamico che si è auto-proclamato tale senza avere base giuridica né confini territoriali formalmente riconosciuti è una realtà mostruosa e inquietante, che non può essere accettata dalla comunità internazionale, soprattutto se quello Stato fa ricorso non solo alla propaganda e al reclutamento ma agisce brutalmente attraverso un esercito di fanatici e di mercenari che non rispettano niente e nessuno. Nei confronti del Califfato non possiamo che esprimere una condanna unanime e senza appello, come si deve fare contro un’entità anti-umana o un tumore maligno. Agire come il Califfato, Al Qaeda, Boko Haram, Al Shabaab e altri movimenti jihadisti che fanno ricorso a logiche criminali significa collocarsi al di fuori della civiltà giuridica e di quel «minimo di umanità» che si richiede per aver diritto al rispetto e alla pietas. La verità che si sta imponendo sotto i nostri occhi è che siamo davanti ad un processo di regressione etica cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 25 della coscienza umana che riporta indietro l’orologio della storia di alcuni secoli, fermandolo al periodo che precede il Trattato di Westfalia (1648), quando in Europa si combattevano le «guerre di religione» e si era ben lontani dall’acquisizione del principio di laicità. In quel tempo era ancora lecito «uccidere» in nome di Dio (nonostante il quinto comandamento fosse noto a tutti) non solo pagani, atei, agnostici, credenti in altre religioni… ma perfino i cristiani che non appartenevano alla «tua» Chiesa (cattolica, protestante, valdese, calvinista, anglicana, ortodossa, ecc.). IL DECALOGO COME GRAMMATICA DI CIVILTÀ A scuola bisogna ripercorrere con i ragazzi le tappe che hanno consentito di teorizzare la cultura della pace e della nonviolenza, di superare la legge del taglione e di promuovere la moratoria universale contro la pena di morte, perché essi non credano che queste conquiste siano cadute dal cielo, ma si rendano conto del sacrificio La firma della Pace di Westfalia a Münster, di Gerard Terborch, 1648 di quanti hanno pagato con la loro vita ciò che oggi è a rischio di un’incomprensibile regressione. Qualcosa di analogo si sta verificando anche per il settimo comandamento, non rubare, che nel corso dei secoli ha favorito indubbiamente la crescita della solidarietà tra le persone e tra i popoli, ma che attualmente sembra attraversare pericolosi arretramenti sul piano della giustizia sociale e dell’ordine economico internazionale. Basti pensare alla forbice crescente che divide i paesi ricchi da quelli poveri. Anche qui bisogna che la scuola faccia comprendere ai ragazzi per quale ragione negli ultimi decenni sono diventati centrali i temi dello sviluppo, della crescita, dell’ambiente, delle risorse energetiche, dei beni comuni, dell’acqua, degli ogm, ecc. In questo senso il comandamento «non rubare» non deve essere riferito soltanto alla proprietà individuale e di ordine economico-finanziario, ma soprattutto ai beni comuni e all’ambiente, che sono di tutti. Continuando in questo ragionamento possiamo osservare che la stessa cosa sta avvenendo anche per l’ottavo comandamento (non mentire, non dire falsa testimonianza), poiché nella società attuale si assiste ad un conflitto che riguarda soprattutto i mass media, stretti nella tenaglia tra il diritto all’informazione e il diritto alla privacy (non ledere la sfera privata delle persone). Ora, in nome del principio di verità, nessuno ha il diritto A SCUOLA BISOGNA RIPERCORRERE CON I RAGAZZI LE TAPPE CHE HANNO CONSENTITO DI TEORIZZARE LA CULTURA DELLA PACE E DELLA NONVIOLENZA, DI SUPERARE LA LEGGE DEL TAGLIONE E DI PROMUOVERE LA MORATORIA UNIVERSALE CONTRO LA PENA DI MORTE maggio 2015 | cem mondialità | 25 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 26 di dire il falso agli uomini, perciò è da condannare la menzogna, l’inganno, la demagogia, il millantato credito, il ricorso senza scrupoli alle promesse impossibili da mantenere. Inoltre, come abbiamo visto negli inserti precedenti, i comandamenti riguardano anche i rapporti tra gli uomini e le donne che nel corso dei secoli hanno conosciuto importanti miglioramenti sul piano delle pari opportunità e dei diritti di genere. La scuola può fare molto per ricostruire con i ragazzi le trasformazioni del rapporto uomo-donna nel corso dei secoli, cercando di rileggere la storia «al femminile». Si pensi alle lotte delle «suffragette» per il diritto al voto politico delle donne e alla cultura femminista degli anni ‘70. Oggi, soprattutto nei paesi occidentali, il rapporto uomo-donna appare caratterizzato dalla cultura della parità, della fiducia, della complementarietà, ma non si può negare la persistenza del predominio maschilista, della discriminazione di genere, dello stalking, del femminicidio. Inoltre, in tante parti del pianeta, sono da denunciare forme di sessismo, di inaccettabile sottomissione della donna, di prostituzione minorile, di mutilazioni genitali femminili. Abbiamo già detto che il nostro vuole essere un bilancio dinamico e aperto, per questo più che abbondare nella denuncia siamo preoccupati di custodire i valori perenni che troviamo nel Decalogo. Questo significa che il nostro impegno deve evitare il pericolo di regressione che è sempre dietro l’angolo. Dal Decalogo dobbiamo ripartire per generare un nuovo grado di civilizzazione, che renda possibile una piena liberazione dell’umano. LIBERARE L’UMANO NON SIGNIFICA FORSE AFFRONTARE OGGI LA SFIDA DEL POST-UMANO? Hans Küng OGGI IL RAPPORTO UOMO-DONNA APPARE CARATTERIZZATO DALLA CULTURA DELLA PARITÀ, DELLA FIDUCIA, DELLA COMPLEMENTARIETÀ, MA NON SI PUÒ NEGARE LA PERSISTENZA DEL PREDOMINIO MASCHILISTA 26 | cem mondialità | maggio 2015 Passando dal Decalogo al tema del prossimo convegno CEM a Trevi nel mese di agosto 2015, che i nostri lettori già conoscono: «Liberare l’umano. Chi non si rigenera, degenera», vorremmo fare una sola considerazione. Il motivo della rigenerazione appare più che opportuno, obbligato. Quello che deve far pensare è la premessa da cui partire. Che senso può avere riproporre, ancora una volta, di liberare l’umano: «da» che cosa, ormai, oppure (forse meglio) «per» che cosa? A noi sembra che l’accostamento tra l’obbligo di rigenerarsi e la deriva fatale della degenerazione faccia ben vedere quale sarà il futuro prossimo dell’umano, se fallisse anche l’ultimo tentativo di liberazione nel tempo dell’antropocentrismo. Non ci resterebbe, cioè, altra strada che accettare la sfida del post-umano e la prospettiva co-evolutiva con la tecnica (animale-uomo-macchina) nell’attesa di celebrare la nascita del cyborg (post-umano) che forse (o senza forse) è già all’opera! cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:26 Pagina 27 dossier SPIGOLANDO NEI CAMPI DEL SIGNORE? TUTTI CERCHIAMO IL SENSO DEL NOSTRO VIVERE E DEL NOSTRO MORIRE… POI OGNUNO, A SECONDA DELLA PROPRIA CULTURA, DEFINISCE IN MODO DIFFERENTE CIÒ CHE HA SCOPERTO… MA IL SENSO È SEMPRE QUELLO, PERCHÉ GLI UOMINI NON SONO DIVERSI GLI UNI DAGLI ALTRI grandi tradizioni, ma attingendovi con grande libertà e apertura e senza quei filtri di chi forse ha un senso di appartenenza un po’ ipertrofico. Ho passato anni incantevoli con Lanza Del Vasto, discepolo di Gandhi e missionario della non violenza e del dialogo fra le religioni già dal secondo dopoguerra, mi sono seduto ai piedi di p. Griffiths, di p. Tholens, di Panikkar, incarnazioni viventi del dialogo infrareligioso, ho meditato e studiato con grandi Lama Tibetani e Roshi Zen, così come con liberi pensatori come Krishnamurti, R.P. Kaushik e Pietro M. Toesca. A tutti mi sono aperto ed essi si sono aperti con me, nella continua ricerca di un percorso oltre le nostre rispettive idee ed esperienze, come diceva p. Tholens: «io non ti sono maestro, lo siamo uno per l’altro, io imparo da te e tu da me e alla fine ognuno è andato oltre se stesso». L’incontro personale è, credo, il punto fondante di incontro interreligioso (e ancor più se infrareligioso), serve poco studiare sui libri (anche se è certamente utile), bisogna entrare nel rapporto con le spiritualità vissute e incarnate, con chi ha trasformato le idee in carne e sangue… in vita vissuta. Solo incontrando un vero cristiano posso capire il cristianesimo, solo incontrando un vero buddhista posso capire il messaggio del Buddha, perché si tratta di novità esistenziali, non di filosofie campate in aria, è qualcosa che è vissuto, non solo pensato. Solo gli incontri autentici, empatici, possono creare le basi per un confronto di vissuti e non solo di teologie. Anni fa fu organizzato un incontro esperienziale fra monasteri zen giapponesi e monasteri cattolici, per un certo periodo monaci zen furono ospiti di monasteri in Europa e poi monaci cattolici furono ospiti in monasteri zen in Giappone. Fu un’esperienza molto stimolante, perché i vari partecipanti fecero semplicemente esperienza della vita monastica altrui, senza tanti discorsi teologici… si pregava, si meditava e si lavorava insieme. maggio 2015 | cem mondialità | 27 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 28 dossier ALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI Alla fine di questo scambio si tenne un incontro fra tutti i partecipanti e un abate benedettino pensò bene di cercare di spiegare ai monaci zen giapponesi qualcosa del dogma cattolico, al che Hirata Roshi, uno dei più autorevoli maestri dello Zen Rinzai, si alzò e disse: «la ringrazio dello sforzo… ma le parole non faranno che creare divisione, nel silenzio, nelle preghiera ci siamo intesi perfettamente… lasciamo che il silenzio sia il sigillo del nostro incontro!». Ecco che l’incontro tra spiritualità, culture, religioni differenti vive nel silenzio, nei gesti quotidiani, nella ricerca profondamente umana di senso, al di là delle teorie, dei dogmi. Diceva Ramakrishna, grande santo hindu: «un inglese dice water, un italiano acqua, ecc., eppure intendono tutti la stessa cosa, così che chi dice Dio, chi Brahaman, chi Allah, chi non dà un nome… eppure intendono tutti la stessa cosa...». Tutti cerchiamo il senso del nostro vivere e del nostro morire… poi ognuno, a seconda della propria cultura, definisce in modo differente ciò che ha scoperto… ma il senso è sempre quello, perché gli uomini non sono diversi gli uni dagli altri. Dovremmo esserci un po’ evoluti dall’idea del Dio tribale, quello che si prende cura solo del nostro gruppo e che ovviamente è migliore di quelli degli altri… e anche che l’idea di Dio che noi abbiamo sia migliore o più reale di quella degli altri: questo rischia di essere un comportamento idolatrico, come ripete spesso Odile Van Deth-Emmanuelle-Marie, teologa e biblista francese. Nell’incontro fra persone tutto diviene più facile, finalmente possibile… perché si può scoprire che io sono te, fratello! «LA VERA TRASCENDENZA DIVINA NON PUÒ APPARTENERE AL COSIDDETTO ORDINE NATURALE E RAZIONALE; PER CUI, SE NON SI SUPERA QUEST’ORDINE, SI SARÀ INCAPACI, A RIGORE DI TERMINI, DI DIRE O DI PENSARE DELL’ “ASSOLUTO”. L’ATEISMO, CHE NEGA TUTTI I TENTATIVI DELLA RAGIONE UMANA DI PARLARE DI DIO, A COMINCIARE DELLA SUA ESISTENZA, È PORTAVOCE ELOQUENTE DI QUESTA TRASCENDENZA DIVINA. DOBBIAMO AGGIUNGERE CHE LA CRITICA DELL’ATEISMO AL MISTERO DIVINO, PER QUANTO POSSA PURIFICARE DELLE IDEE DI DIO ELABORATE DAGLI UOMINI, È INCAPACE DI OFFUSCARE LA PUREZZA ADAMANTINA DELLA TRASCENDENZA ASSOLUTA, CHE È, PER DEFINIZIONE, OLTRE OGNI NEGAZIONE E AFFERMAZIONE” (RAIMON PANIKKAR) TEISMO O A-TEISMO? l tema del teismo e dell’a-teismo (che non è anti-teismo ) è fondamentale nell’ottica del dialogo fra le religioni, poiché uno degli ostacoli che continuano a frapporsi è spesso l’immagine di Dio che le varie tradizioni hanno strutturato. Il termine Dio è spesso a sua volta un limite, un ostacolo, in quanto sottintende una divinità personale, un tu che quindi non può essere accolto da tradizioni, come il buddhismo e l’advaita vedanta, che ricercano il superamento dell’io, anche di un Io supremo. La visione a-teistica2, dove la a privativa sta per non-Dio (e non senza o contro Dio), intendendo con ciò che su questo tema nulla può essere detto, ogni parola è di per se stessa uno svilimento e un tradimento dell’Assoluto. Il Buddha, notoriamente, non parlò mai di Dio, e a ogni domanda sul tema rispose col I cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 29 dossier SPIGOLANDO NEI CAMPI DEL SIGNORE? L’ESPERIENZA MISTICA, CHE PER SUA STESSA NATURA È NON-TEISTA TRASCENDENDO IL PENSIERO, È IL PUNTO DI INCONTRO FRA ORIENTE E OCCIDENTE, NELL’ESPERIENZA DELL’ASSOLUTO MEISTER ECKHART E LIN CHI SI RITROVANO E SPESSO FINISCONO PER UTILIZZARE TERMINI SIMILI PER CERCARE DI DESCRIVERE L’INDESCRIVIBILE silenzio, non perché ne volesse negare o affermare l’esistenza, ma perché ne riconosceva l’indicibilità e, per certi versi, l’inutilità. Parlare di Dio è un parlare a vuoto, perché come dice un proverbio taoista, «chi non sa parla, chi veramente sa tace». Si narra che San Tommaso D’Aquino, il sommo teologo che aveva cercato di spiegare il mistero divino secondo la logica aristotelica, inventando la scolastica… avendo avuto un’esperienza mistica, volesse dare alle fiamme tutta la sua opera, che gli appariva vuota e risibile. Non so se questa sia storia o leggenda ma certo ci dice che solo l’esperienza del divino ha senso e questa sfocia nel si- lenzio, di fronte all’esperienza mistica ogni parola è un balbettio sconclusionato. L’esperienza mistica, che per sua stessa natura è non-teista trascendendo il pensiero, è il punto di incontro fra oriente e occidente, nell’esperienza dell’assoluto Meister Eckhart e Lin Chi si ritrovano e spesso finiscono per utilizzare termini simili per cercare di descrivere l’indescrivibile. San Giovanni della Croce descrive un percorso spirituale che di fatto è identico a quello di varie tradizioni orientali, così Teresa D’Avila e altri mistici. L’a-teismo, cioè la rimozione delle immagini, idee, concetti sull’assoluto, non solo è una grande purificazione, come dice Panikkar, ma può essere una grande possibilità per un dialogo interreligioso finalmente fondato sull’esperienza, sul vissuto. Se riusciamo ad andare al di là delle nostre immagini culturalmente determinate del divino e ci apriamo ad una prospettiva differente, allora il dialogo può divenire reale, perché ci sarà condivisione della vita interiore e non più uno scambio di concetti, per quanto elevati o raffinati. In un altro incontro fra monaci cristiani e buddhisti, uno zelante benedettino cercò di spiegare il concetto del Dio Trinitario, al che un roshi gli rispose: «non c’è problema… solamente per noi, se quel Dio c’è, ha già fatto la sua parte e non ci riguarda maggio 2015 | cem mondialità | 29 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 30 dossier ALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI più», significando che nessuno negava l’esistenza del divino, ma che non è un argomento di cui parlare e di cui interessarsi, ma semmai un’esperienza da vivere. In molti tendono a definire il buddhismo una filosofia di vita piuttosto che una religione, dando per scontato che una religione contempli la presenza di un Dio personale… ma questo può essere detto anche del taoismo, dello shintoismo e di certe tradizioni hindu. L’idea che il concetto di Dio sia fondante per una religione è un’idea totalmente occidentale, che nasce dall’esperienza delle tradizioni monoteiste ma che non può essere esteso urbi et orbi. Se vogliamo avvicinarci all’altro dobbiamo dapprima liberarci da ogni pre-giudizio e da ogni filtro culturale oppure non riusciremo mai a metterci veramente in ascolto. Ogni volta che parlo in consessi interreligiosi, ciò che percepisco è che la visione teista e monoteista viene data per assodata, come un punto di riferimento imprescindibile, in una visione occidentocentrica a dir poco limitante. Ci dimentichiamo che per millenni l’uomo ha vissuto in un’ottica politeista o a-teista? Che ancora milioni di persone seguono spiritualità non monoteiste o teiste? Il mondo e l’anima umana (come ci ha insegnato Hillman) sono assai più variegate e poliedriche delle schematizzazioni che ne ha dato il pensiero religioso e filosofico dell’occidente. A volte mi chiedo se veramente vi sia la volontà di un incontro con le altre culture e religioni, o se vi sia solo un tentativo di essere politically correct, ma rimanendo profondamente convinti che solo il nostro modo di vedere il mondo sia quello 30 | cem mondialità | maggio 2015 SE VOGLIAMO AVVICINARCI ALL’ALTRO DOBBIAMO DAPPRIMA LIBERARCI DA OGNI PRE-GIUDIZIO E DA OGNI FILTRO CULTURALE OPPURE NON RIUSCIREMO MAI A METTERCI VERAMENTE IN ASCOLTO. OGNI VOLTA CHE PARLO IN CONSESSI INTERRELIGIOSI, CIÒ CHE PERCEPISCO È CHE LA VISIONE TEISTA E MONOTEISTA VIENE DATA PER ASSODATA, COME UN PUNTO DI RIFERIMENTO IMPRESCINDIBILE, IN UNA VISIONE OCCIDENTOCENTRICA A DIR POCO LIMITANTE giusto. L’incontro, pur coraggioso e altamente significativo, organizzato da papa Francesco (che aveva già chiamato tutti, credenti e non, a quella splendida veglia silenziosa) fra israeliani e palestinesi, ne è stato per me un triste simbolo: non si è riusciti a pregare o a stare in silenzio insieme, ognuno ha dovuto fare la propria preghiera! Certo non di incontro interreligioso si trattava, ma la cosa non cambia, ognuno tende a rimanere sulle proprie posizioni, nessuno vuole arrischiarsi ad uscire dai propri confini, che finiscono per diventare le sbarre di una gabbia. Solo in un’ottica a-teista possiamo sentirci liberi di usare o non usare parole, di incontrare l’altro nella sua irriducibile alterità, aperti ad una mutua fecondazione. Senza immagini e concetti di e su Dio, tutto diviene possibile, anche la pace fra gli uomini (viste le troppe guerre che si sono combattute e si combattono in nome di una qualche idea di Dio). cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 31 dossier SPIGOLANDO NEI CAMPI DEL SIGNORE? IL VUOTO E IL PIENO SIMONE WEIL «Il vuoto è la suprema pienezza, ma l’uomo non ha diritto di saperlo. L’immaginazione lavora continuamente a tappare tutte le fessure per le quali passerebbe la grazia. Immaginazione che colma i vuoti, sforzo illimitato, estenuante [...] L’immaginazione che colma il vuoto è essenzialmente menzognera. Amare la verità significa sopportare il vuoto, e di conseguenza accettare la morte». BERNIE GLASSMAN ROSHI «Poiché lo zen è l’Unico Corpo, cioè la vita stessa, non esclude nulla. [...] Lo zen è questo, questo momento, questo bastone, questa quiddità. Togli qualcosa da questo, e non è più questo. [...] ...la forma non è che vacuità, La vacuità non è che forma. SENZA IMMAGINI E CONCETTI DI E SU DIO, TUTTO DIVIENE POSSIBILE, ANCHE LA PACE FRA GLI UOMINI (VISTE LE TROPPE GUERRE CHE SI SONO COMBATTUTE E SI COMBATTONO IN NOME DI UNA QUALCHE IDEA DI DIO [...] La forma è dharma, i fenomeni, il mondo fenomenico, ossia la molteplicità, le differenze della vita, tutte le forme che vediamo. La vacuità si riferisce all’unicità della vita, cioè alla vita così com’è, senza alcuna distinzione. Il sutra dice che la forma, o tutti i fenomeni, non è che vacuità, non è che l’Unico Corpo. [...] Ciò significa che, se riusciamo davvero a vedere il mondo dell’unità, allora comprendiamo ogni fenomeno. [...] Nello studio dello zen ci si dedica a tre aspetti: il mondo delle differenze (forma), il mondo della vacuità (unità) e la relazione tra essi (chiamata armonia). [...] Cos’è la vacuità? È ciò che è qualsiasi fenomeno una volta eliminati tutti i nostri concetti e le nostre idee di esso. Cos’è un bastone, quando lascio cadere tutti i miei concetti su cosa sia? Diciamo: “È un bastone”. Elimina questo concetto. “È diritto”. Elimina anche questo. “È l’estensione della mia mano”. Via pure questo. Cos’è? Quando comprendiamo cos’è, allora comprendiamo ogni fenomeno. Questa è la prima parte dello studio dello zen. La seconda parte consiste nel vedere le differenze, avendo compreso la vacuità di tutte le cose. Avendolo visto così com’è, ora lo riconosco come bastone, come diritto, come estensione della mia mano, come qualcosa che non è te, non è me, non è la stanza. [...] Nella prima parte del nostro studio comprendiamo come tutti i fenomeni non sono che vacuità, non sono che l’Unico Corpo. Dio, fiori, alberi, letame, insetti, vermi e farfalle sono l’Unico Corpo. Avendo visto tutto come l’Unico Corpo, lo consideriamo poi come l’insieme delle differenze, ed è questa la seconda parte dello studio. Nella terza parte, comprendiamo la relazione: vacuità e differenze si equivalgono». maggio 2015 | cem mondialità | 31 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 32 dossier Ecco due testi di due autori occidentali ma di diversa tradizione che giungono alla medesima esperienza: è il vuoto che dà accesso alla Verità, non il pieno. Quando si parla di vuoto s’intende il vuoto di concetti, idee, preconcetti, paure e aspettative, s’intende la possibilità di aprirci al mistero dell’essere e della vita senza filtri. Un dialogo fra le religioni non può che avvenire in quel vuoto, solo nel vuoto vi sono infinite possibilità, quando tutto è pieno nulla può essere aggiunto. Dice la Weil: l’immaginazione che riempie il vuoto è menzognera, il che significa che ogni idea, concetto, non è che una menzogna che creiamo per non rimanere in quel vuoto che ci terrorizza. Ma se tutti i fenomeni sono vuoti di esistenza intrinseca, come ci spiega Glassman Roshi, a cosa vogliamo attaccarci? Sentivo l’altro giorno un proclama di un sedicente Califfo che sta portando morte e distruzione in giro per il medio oriente e poco dopo l’autocompiacimento di un altro prelato sulla grandezza della tradizione cristiana… quanta pienezza, quanta mancanza di spaziosità… Come si fa a non vedere che i mille e poco più anni di islam e i duemila del cristianesimo o i duemilacinquecento del buddhismo sono un nulla a fronte della storia della terra, per non parlare dell’universo. Senza l’umiltà che riconosce la limitatezza delle nostre culture, fedi, ideologie, come può esserci apertura? Se sono così pieno delle mie idee come posso accogliere quelle altrui? Lanza del Vasto diceva sempre che le guerre sono giuste due volte: dalla parte di un contendente e da quella dell’altro... e quindi non possono che essere sbagliate. Se ognuno ritiene indiscutibili le proprie verità, come può porsi in dialogo? Troppo spesso nei convegni interreligiosi ho sentito questa oppressione, ho sentito questa paternalistica tolleranza per l’altro (sì ti ascolto, sei pure interessante, ma io ho la verità) che nasconde un’arroganza e una superbia terribile (e da parte di tutti, non solo di alcune tradizioni). Fare vuoto, fermare l’immaginazione che riempie il vuoto, questa è la via che può aprirci ad un dialogo autentico. L’ AUTORE DEL DOSSIER ALFABETI PER LA CURA DELLE RELAZIONI MARCO VALLI-OSEL DORJE INSEGNANTE E PSICOTERAPEUTA, MARCO VALLI-OSEL DORJE HA STUDIATO FILOSOFIA TEORETICA COL PROFESSOR PIETRO M. TOESCA, PSICOLOGIA DEL PROFONDO CON DORA KALFF, ALDO CAROTENUTO, JAMES HILLMAN E HANNA WOLFF. HA APPROFONDITO LO STUDIO DEL BUDDHISMO TIBETANO NELLA TRADIZIONE NYNGMAPA SOTTO LA GUIDA DI DILGO KHYENTZE RIMPOCHE, SOGYAL RIMPOCHE E NYOSHUL KHEN RIMPOCHE, COMPLETANDO IL RITIRO FORMALE DI FORMAZIONE. ALLIEVO DI LANZA DEL VASTO E DI BEDE GRIFFITTHS, È DA SEMPRE ATTIVO NEL CAMPO DEL DIALOGO INTERRELIGIOSO. HA PUBBLICATO VARI LIBRI E NUMEROSI ARTICOLI PER RIVISTE E GIORNALI. GESTISCE IL BLOG SAGGEZZAFOLLE.BLOGSPOT.IT [email protected] 1 Ho raccontato il mio percorso nel libro Le ore dell’anima, Xenia, Milano 2002. Panikkar ha dedicato un intero volume a questa visione nel buddhismo, Il silenzio del Buddha, Mondadori, Milano 2006. 2 BIBLIOGRAFIA MINIMA L. Del Vasto, Lezioni di vita, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1970 B. Griffiths, Matrimonio fra oriente e occidente, Queriniana, Brescia 2003 EPILOGO Un vecchio e un ragazzo camminano silenziosi sul sentiero, non c’è più nulla da dire, non c’è più senescenza e giovinezza, non ci sono più un buddhista e un cristiano… a terra un ramo reciso dal vento… fiorisce. È la vita che nasce dalla morte. I due si sorridono, non c’è niente da dire, solo un vuoto pieno di vita, pieno d’amore! IN MEMORIA DI P. CORNELIO THOLENS, DI LANZA DEL VASTO E DI TUTTI I MIEI PREZIOSI MAESTRI. MARCO VALLI - OSEL DORJE 32 | cem mondialità | maggio 2015 H. Le Saux, Risveglio a sé, risveglio a Dio, Servitium, Milano 2011 R. Panikkar, Il dialogo infrareligioso, La Cittadella, Assisi 2001 R. Panikkar, Il dialogo interculturale e interreligioso, Jaca Book, Milano 2014 C. Tholens, Incontri di un monaco tra oriente e occidente, Ancora, Milano1990 M. Valli, Le ore dell’anima, Xenia, Milano 2002 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 33 agenda agenda interculturale interculturale TRAGUARDI E SFIDE EDUCATIVE IL BILANCIO DELL’UNESCO ALESSIO SURIAN | [email protected] online il nuovo rapporto Achievements and Challenges, curato dal programma Educazione per tutti/Education for All (Efa) dell’Unesco1. È fra i documenti chiave del recente World Education Forum 2015 (Wef 2015, 19-22 maggio) di Incheon (Corea del Sud), che ha coinvolto oltre cento ministri da tutto il mondo per verificare un’agenda di lavoro comune riguardo all’educazione da qui al 2030. Ospiti speciali il premio Nobel Kailash Satyarathi, i direttori delle varie agenzie Onu (Undp, Unhcr, Unfpa, Unicef, Un Women), della Banca Mondiale e la direttrice generale dell’Unesco, Irina Bokova. L’incontro avviene ad un anno esatto dagli accordi di Muscat (Oman)2, che propone sette nuovi obiettivi da raggiungere entro il 2030, a partire dall’esperienza del programma Educazione per tutti (Efa) e degli Obiettivi del Millennio (più riduttivi nell’approccio) che hanno riguardato il periodo 2000-2015. Quali dunque i risultati finora raggiunti e le principali sfide? Impossibile riassumere in poche righe i diversi aspetti dei sei principali obiettivi Efa, ci limitiamo a qualche dato: È z a livello prescolare l’incidenza delle strutture educative è ancora limitata (coinvolge 184 milioni di bambini): nel mondo ancor oggi un bambino su quattro fra chi ha di meno di cinque anni soffre di malnutrizione; z nella scuola primaria è aumentato il tasso di scolarizzazione: 93 % nel 2015, rispetto all’84 % del 1999; ma nei paesi africani e dell’Asia meridionale e orientale 58 milioni di bambini non accedono alle strutture scolastiche e si registra una «stagnazione» negli sforzi tesi a favorire ulteriori ingressi a scuola; in 32 paesi dell’Africa subsahariana almeno il 20% degli alunni delle scuole primarie abbandonano prima della fine del ciclo elementare; z nelle scuole secondarie, almeno per il primo ciclo, il tasso di scolarizzazione è passato dal 71% del 1999 all’85% del 2012; ma in questo ambito rimangono vistose le disparità di classe; z il mondo conta ancora 781 milioni di adulti analfabeti, anche se ufficialmente il tasso di analfabetismo si è abbassato dal 18% del 2000 al 14% del 2015; i programmi di alfabetizzazione mancano spesso laddove sono più necessari: dei 73 paesi che avevano un tasso di analfabetismo inferiore al 95 % nel 2000, solo 17 hanno dimezzato il numero di analfabeti nel 2015; z in merito alle pari opportunità, nel 2012, il numero dei paesi in cui si registravano meno di novanta ragazze scolarizzate ogni cento ragazzi è passato da 33 a 16; ma meno della metà (48%) dei paesi possono vantare pari opportunità nel 2015; z complessivamente, la qualità dell’insegnamento lascia ancora a desiderare: solo un terzo dei paesi elaborano dati a questo proposito e quelli a disposizione indicano che meno di tre insegnanti di scuola primaria su quattro sono stati formati secondo gli standard nazionali. Uno dei risultati del programma Efa, a partire dalla Conferenza di Dakar del 2000, è l’aver messo a disposizione dati sistematici comuni e standard su come raccoglierli e averli condivisi online attraverso il sito: www.uis.unesco.org/Education/Pages/default.aspx e attraverso infografiche che integrano i rapporti come nel caso di quest’ultimo all’indirizzo: http://en.unesco.org/gem-report/sites/gemreport/files/2015_report_dataviz/index.html l 1 2 http://en.unesco.org/gem-report http://www.uis.unesco.org/Education/Documents/muscat-agreement-2014.pdf maggio 2015 | cem mondialità | 33 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 34 seconde generazioni queste sconosciute LUBNA AMMOUNE | [email protected] SONO ITALIANA. CERTO. MA NON SOLO CARI LETTORI, PER QUESTO MESE VI PROPONGO UN ALTRO CONTRIBUTO DI MARGHERITA PARRAO, REDATTRICE DI YALLA ITALIA LUBNA AMMOUNE n un periodo in cui tutti si chiedono se possano considerarsi italiani i ragazzi di seconda generazione, la mia domanda va in senso opposto: si può essere davvero considerati italo-cileni, italo-peruviani o italo-ecuadoriani anche prima di aver visitato il paese dei propri genitori? Spesso il costo e la lunghezza del volo non permettono ai latinoamericani frequenti viaggi tra l’Italia e il proprio paese d’origine, tanto che molti ragazzi di seconda generazione finiscono per visitare il Sud America solo in età relativamente avanzata. Anche la mia famiglia si è trovata per molti anni nell’impossibilità di pianificare un viaggio tutti assieme, ma i regali che i miei zii mi mandavano quand’ero bambina mi portavano a trasferire in Sud America le storie che inventavo con i miei giocattoli: se la mia macchinina arrivava da lì, mi sembrava logico immaginare che corresse sulla Panamericana. I 34 | cem mondialità | maggio 2015 La mia trottola Made in Chile era uno strumento da esploratori, che girando indicava in che direzione andare per raggiungere Santiago. A scuola nei miei disegni c’erano sempre aerei diretti verso sud, bandiere cilene e il mio primo abbraccio con mia cugina. Una volta, per un compito, decisi di disegnare la casa di famiglia di Pudahuel. Chiesi a mio padre di aiutarmi, volevo una copia esatta della casa delle zie. Quello divenne il setting in cui fantasticare giochi con i cugini e pranzi con i parenti. Il Cile era per me una sorta di terra promessa. Se litigavo con qualcuno, se sentivo parlare di un’ingiustizia, mi rifugiavo laggiù col pensiero, convincen- domi che lì nulla di male sarebbe potuto succedere. Le fiabe che mio padre ci raccontava erano ambientate in Cile, i bambini con cui giocavamo nei week-end erano figli di altri cileni, e i racconti di viaggio di chi tornava da Santiago erano per me meglio di qualsiasi cartone animato. Avevo sognato così intensamente quel viaggio che quando a 16 anni decisi che era tempo di pianificare il mio personale «ritorno a casa», mi preoccupava l’idea di trovare una realtà che deludesse le mie aspettative. Era strano chiamarlo «ritorno», ma mi sentivo così, come se la mia infanzia fosse stata davvero divisa tra Italia e Cile. Tutto sommato non ero certa che i giochi con i miei cugini fossero frutto della mia fantasia. Partii con mia sorella, e l’incontro con la mia famiglia fu esattamente come l’avevo ipotizzato. Scoprii poi che la casetta delle zie era solo poco più grande di come l’avevo pensata da bambina e per le vie di Pudahuel tutti ci riconoscevano come se avessimo sempre vissuto lì. Mio padre ci raggiunse per Natale, e la nostra gioia nel vederlo finalmente a casa fu almeno pari a quella che provò lui nel vederci già perfettamente a nostro agio con la sua - o meglio con la nostra - famiglia. L’emozione di quel primo viaggio è stata unica. E lo stupore più grande, quello vero, non è stato nella novità. Lo stupore maggiore è stato piuttosto nello scoprire che era proprio tutto come avevo sempre immaginato, che era tutto lì ad aspettarmi come nei miei disegni delle scuole elementari, che il Cile era parte di me già da molto tempo prima di quel viaggio. Quando rivelo di non essere mai stata in Cile da bambina, che il mio primo viaggio risale al 2002, tante persone rispondono: «Ah, ma allora sei italiana!». Come se il grado di «italianità» o «cilenità» si misurasse in base all’età del primo viaggio. Certo che sono italiana. Anche. Ma non solo. l da WWW.YALLAITALIA.IT cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 35 domani è accaduto DIBBÌ | [email protected] «CHI NON SPERA QUELLO CHE NON SEMBRA SPERABILE NON POTRÀ SCOPRIRNE LA REALTÀ, POICHÉ LO AVRÀ FATTO DIVENTARE, CON IL SUO NON SPERARLO, QUALCOSA CHE NON PUÒ ESSERE TROVATO, E A CUI NON PORTA NESSUNA STRADA». ERACLITO QUALCHE FINE DEL MONDO PER CREDENTI E NON lcuni mesi fa ho parlato qui dei «papi futuri». Da allora mi è capitato in vari incontri di incrociare fantascienza e fedi. Così torno sul tema dando un rapido sguardo alla science fiction «catastrofista» - a volte per convinzione e altre per diletto - con spunti più religiosi. Ecco tre storie relativamente leggere ma che possono intrigare. Lo scienziato-scrittore Arthur Clarke (quello di 2001) in un celebre racconto intitolato I nove miliardi di nomi di Dio seppe unire il massimo del moderno - un supercomputer - con l’antico mito della divinità «impronunciabile». I migliori specialisti vengono chiamati in Tibet per rintracciare e tabulare tutti i nomi del «Signore». Lavoro lungo e difficile. Quando hanno terminato e lasciano il vecchio monastero notano che lassù le stelle cominciano a spegnersi. Un’insolita, pacata, tecnologica apocalisse. Robert Sheckley si è divertito, in L’ultima battaglia, a prevedere che nello scontro finale con le forze del Male gli umani astutamente impieghino i robot. Loro è la vittoria ma sarà ai robot che Dio lascerà in eredità il paradiso. Due parole in più sull’ironico Giusto motivo di Howard Fast, un grande scrittore realista occasionalmente prestato alla fantascienza. Il racconto di Fast ha la semplicità di una parabola: si apre sul mondo sorpreso da un’interferenza radio-tv dove un dio (o chi per lui) annuncia che non ne può più delle nostre malefatte e che ha deciso di cancellarci per sempre a meno che… «Ditemi voi un giusto motivo perché io non debba distruggervi». Ci sono tutte le premesse per prendere la minaccia sul serio. Così politici, intellettuali, militari ma anche capi religiosi cercano la risposta senza trovarne una convincente. Viene chiesto agli scienziati di programmare un super-calcolatore in modo da indicare se sul pianeta esista qualcuno in grado di fornire la risposta giusta. Dopo aver elaborato tutti i dati, a sorpresa, il «cervellone» suggerisce di rivolgersi a uno sconosciuto hippy. Esitanti, i capi religiosi si recano da lui per chiedere lumi. L’hippy è più stupito di loro ma accetta di pensarci su. Concludendo che l’unica risposta veramente onesta è «siamo quello A che siamo». E dio, messo alle strette, decide - sempre attraverso un’interferenza radio-tv - di lasciarci un’altra possibilità. C’è anche un romanzo pessimista e beffardo dove la catastrofe non avviene per colpa dei guerrafondai ma… del disarmo. È L’undicesimo comandamento» di Lester Del Rey, che nel sottotitolo puntualizza: «romanzo di una Chiesa e del suo mondo». Ecco il paradossale inizio: «La Terra non era mai impazzita fino al punto di dare deliberatamente inizio a una guerra atomica. Era stato un incidente. Un grande papa, Clemente XV, aveva convinto le nazioni al disarmo […] Fu un incidente dovuto all’imprudenza, in uno dei luoghi in cui le armi atomiche venivano smantellate, a provocare una gigantesca esplosione in un Paese dell’Europa centrale. Quel Paese si ritenne attaccato a tradimento. […] L’equivoco era stato chiarito in meno di due ore ma i due terzi del mondo erano stati distrutti. Fra i morti Clemente XV». Tempo dopo, nel 2190, la «Chiesa scismatica americana» impone l’undicesimo comandamento: «crescete e moltiplicatevi». Un nuovo inizio. l Se volete leggermi sul mio blog: http://danielebarbieri. wordpress.com maggio 2015 | cem mondialità | 35 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 36 li ia d on M M CE i d e al n io naz no eg 54 Conv o tà INCONTRI LABORATORI PER ADOLESCENTI E BAMBINI 6 WORKSHOP PER ADULTI PRESENTAZIONE DI LIBRI LIBRERIA, MUSICA TREVI (PG) 23-26 AGOSTO 2015 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 37 TONIO DELL’OLIO Possiamo sperare ancora NON CI È CONCESSO DI LASCIARE IL MONDO COSÌ COM’È APRIRE SENTIERI DI GENERATIVITÀ relazione di Antonella Fucecchi LA LUDOTECA DEL FAI DA TE nella liberazione? Percorsi generativi in chiave socio politica PER ADULTI E BAMBINI a cura di Renzo La Porta Prete della diocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, è diventato coordinatore di Pax Christi nel 1993. È stato tra i promotori di molte campagne, attività e iniziative sui temi dell’economia di giustizia e del disarmo. Ha coordinato, tra le altre, la mobilitazione per la difesa della legge 185/90 per il controllo del commercio delle armi, è stato portavoce della Campagna per la pace in Sudan, ha contribuito a costituire la Rete Disarmo ed è stato tra i promotori della Campagna Italiana contro le mine. Ha organizzato incontri e momenti di dialogo tra rappresentanti di diverse tradizioni religiose come contributo delle fedi alla costruzione della pace. Ha organizzato molte mobilitazioni in difesa dei diritti umani, contro la guerra e per il disarmo. Come responsabile dell’area internazionale di Libera, partecipa a incontri internazionali anche presso le istituzioni comunitarie europee e presso le Nazioni Unite dove a Libera è riconosciuto lo status consultivo. Ha contribuito a dar vita a Medlink, una rete di associazioni italiane impegnate nel tessere reti di conoscenza e di promozione dei diritti nel bacino del Mediterraneo con altre realtà della società civile. Ha promosso la costituzione di una rete europea di organizzazioni di società civile contro le mafie denominata FLARE (Freedom Legality And Rights in Europe). Ha dato vita a una rete Latinoamericana per la legalità e contro la criminalità organizzata denominata ALAS (America Latina Alternativa Social). Tra i suoi libri Pace (nella collana «Parole delle fedi»), Emi, Bologna 2009 Parola a rischio. Alla scuola di Bartimeo, Paoline, Milano 2005 Dizionario di teologia della pace, Dehoniane, Bologna 1997 (contributo) LUOGO DEL CONVEGNO Hotel della Torre & S.S. Flaminia km. 147 Località Matigge / Trevi (Perugia) tel. 0742.3971 / fax 0742.391200 www.folignohotel.com / [email protected] CAFFÈ LETTERARIO a cura di Lucrezia Pedrali e Elisabetta Sibilio CORRISPONDENZE TRA IL PRIORE E MARIO LODI Performance a cura dell’Associazione culturale «Casa del Gioco e delle Arti» PALCOAPERTO SLAM a cura di Candelaria Romero SOGNO E SON DESTO! STAVO CAMBIANDO IL MONDO E HO DIMENTICATO LA PENTOLA SUL FUOCO Incontro-spettacolo di e con Michele Dotti DINO, DIONISO TEPPISTA Spettacolo e musica di Francesco Chiari dedicato al poeta Dino Campana PER INFORMAZIONI E ISCRIZIONI tel. 030.3772780 [email protected] /cem.saverianibrescia.it f cemsav t CemMondialita maggio 2015 | cem mondialità | 37 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 38 app-grade MARIA MAURA | [email protected] CHE SUCCEDE? I RAGAZZI TRA SOCIAL NETWORK E CHAT: COMUNICARE EDUCANDO O EDUCARE COMUNICANDO? hat’s app?» ovvero «che succede?». Succede che i ragazzi italiani sono sempre più connessi, solo uno su dieci non ha mai avuto accesso ad internet1, gli altri nove utilizzano molto il web per gestire le proprie relazioni interpersonali. Facebook è il social network più diffuso del mondo, mentre WhatsApp è l’applicazione di messaggistica tramite internet più utilizzato. Sei ragazzi su dieci usano WhatsApp regolarmente, il 75% dei ragazzi ha un profilo su Facebook, ma poiché spesso anche i genitori e i prof possono leggere le informazioni delle pagine personali, i social più frequentati sono Instagram, Spotify e ultimamente si fa sempre più strada Weheartit. Questi social permettono di condividere e commentare immagini e musica senza l’invadenza dei link e della pubblicità di Facebook e Twitter, che spesso conducono a spam. Inoltre la gestione del profilo personale W « e della «sezione notizie» è molto più semplice e limitata. Per non parlare del limite di età: fino a quattordici anni non è possibile iscriversi a Facebook, agli altri social invece sì. Questi social non vengono usati solo per scambiarsi foto e video, genitori e insegnanti sostengono che i ragazzi ora copiano i compiti e si scambiano informazioni sui lavori scolastici tramite WhatsApp. Forse, per aggirare questo ostacolo, basterebbe che ogni insegnante si interrogasse sulla tipologia dei compiti che assegna a casa: una versione da tradurre, ad esempio, è un compito facilmente copiabile, la lettura di un testo e la composizione di domande critiche sull’argomento è un esercizio più personalizzato, oppure reperire informazioni utili su un argomento per un massimo di 250 parole… La preoccupazione maggiore non dovrebbe essere la copiatura dei compiti e neppure il fatto che chattano così tanto. La domanda da porsi è: con chi chattano? Uno dei dati più preoccupanti è che tra i ragazzi connessi, uno su quattro invia messaggi con video o foto con riferimenti sessuali a gruppi dove non conosce tutti i partecipanti e uno su tre si dà appuntamento con qualcuno conosciuto solo attraverso questi gruppi. Il vero problema è educare i ragazzi ad utilizzare il mezzo digitale in modo responsabile e renderli consapevoli dei rischi. I nativi digitali sono fragili perché hanno in mano strumenti molto potenti ma non li sanno sempre usare con lungimiranza e soprattutto hanno accanto adulti che si trovano nella loro stessa situazione e fanno fatica ad indirizzarli. L’essere informati e consapevoli favorisce la responsabilità personale. In classe possiamo decidere di utilizzare i social in modo didattico, ad esempio assegnando ricerche in piccoli gruppi che possono essere condotte bene anche grazie all’aiuto delle chat. Oppure si possono creare spazi online (blog, google drive) o cartelle cloud (dropbox e box.net) condivisi in cui caricare documenti elaborati insieme perché l’insegnante possa controllarli e correggerli prima della loro eventuale esposizione. Le idee sono davvero innumerevoli e non dipendono strettamente dai social e dalle chat per avere un buon esito, resta il fatto che questi strumenti in ogni caso, agevolano la comunicazione e lo scambio di opinioni e materiali. L’educazione attraverso i media si accompagna sempre all’educazione all’uso dei media, e oggi più che mai è un’urgenza sia per gli adulti sia per i giovani. l 1 Fonte: Save The Children, ricerca fatta su un campione di 1003 ragazzi tra i 12 e i 17 anni, pubblicata in febbraio in occasione del «Safer Internet Day 2015». 38 | cem mondialità | maggio 2015 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 39 crea-azione A CURA DI NADIA SAVOLDELLI | [email protected] LA FESTA DEI POPOLI A BARI pochi mesi dalle attività realizzate nella «Settimana di azione contro il razzismo», l’associazione Abusuan organizza a fine maggio 2015 la Festa dei Popoli, quale conclusione di un percorso che vede in sinergia comunità straniere in occasione della decima edizione della manifestazione, promossa dai Missionari Comboniani di Bari con l’Ufficio Missionario Diocesano e la Caritas Bari. Spettacoli, giochi e animazioni per bambini, musica, teatro, arte, artigianato, gastronomia, cultura e danze dal mondo. Questa manifestazione interculturale unisce soggetti istituzionali, comunità straniere, associazioni di ispirazione religiosa e sindacali, cooperative e Ong mirando a diffondere il concetto di convivenza tra i popoli e a far conoscere le diverse realtà culturali che da anni convivono nel territorio. Dal 2004 la festa percorre itinerari fondamentali per un processo di sviluppo interculturale, raccogliendo intorno a sé un numero considerevole di soggetti promotori e di pubblico eterogeneo. Nell’ambito di questo evento, si è scelto di dedicare ad artisti A PER INFORMAZIONI MISSIONARI COMBONIANI TEL. 080.5010499 CENTRO INTERCULTURALE «ABUSUAN» TEL. 0805283361 WWW.ABUSUAN.COM e gruppi giovanili uno spazio di live perfomance per presentare i propri lavori promuovendo così progetti artistici innovativi aderenti allo spirito della festa, fornendo a talenti e gruppi l’opportunità di fare festa insieme al pubblico. SENSIBILIZZARE LA CITTADINANZA E I GIOVANI AI TEMI DELL’INTERCULTURALITÀ E AL VALORE CHE TALI RICCHEZZE RAPPRESENTANO, NELL’OTTICA DELL’ACCESSO ALLA DIVERSITÀ E DELL’ACCOGLIENZA, È UNO DEI PRINCIPALI OBIETTIVI DI QUESTO MOMENTO CULTURALE. Anche per la prossima edizione è stato dato spazio alle scuole protagoniste della festa. Il Centro Interculturale Città di Bari Abusuan è un luogo di incontro tra culture e tradizioni di paesi diversi. Le sue molteplici attività nascono dall’intenzione di far nascere una società nuova e un linguaggio capaci di esprimere, costruire e significare nuove e diverse forme della convivenza. Promuovendo conferenze, concerti, spettacoli, incontri letterari e cinematografici, attività didattiche e formative, si attua l’obiettivo di informare e conoscere le realtà di altri popoli, le culture, le storie e i conflitti che le/ci attraversano. Inoltre si offrono servizi di informazione e formazione nel campo delle migrazioni internazionali. Il fine è promuovere la risoluzione dei conflitti tramite la cooperazione e la sensibilizzazione ai diritti umani. È per questo che le attività vanno in due direzioni: il lavoro nell’ambito della conoscenza e dell’informazione con festival interculturali di musica, cinema e teatro (Festival Soulmakossa, Balafon film, Festa dei popoli, Bari in jazz); dall’altro il lavoro nell’ambito della formazione e della scuola con corsi per docenti ed operatori culturali, attività di educazione al decentramento cognitivo, laboratori di analisi della comunicazione mass-mediatica. Le attività del Centro sono rivolte a tutti coloro che operano nel campo della cooperazione sociale, del volontariato, alle amministrazioni locali, agli assistenti sociali, agli educatori, ai docenti, agli studenti, ai migranti. Nel quadro di una strategia complessiva perseguita anche attraverso la ricerca di sinergie fra le diverse componenti istituzionali, il Centro è impegnato con la Prefettura di Bari, in collaborazione con soggetti pubblici e privati, per attivare nella provincia centri interculturali quali luoghi di scambio e di confronto. l Per la segnalazione di eventi interculturali scrivere a [email protected] cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 40 mediamondo Mauro Magatti, Chiara Giaccardi Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi Feltrinelli, Milano 2015, pp. 148, euro 11 Con questo manifesto per la società dei liberi Mauro Magatti e Chiara Giaccardi invogliano a cambiare le cose. Un riesame attento, lucido, puntale del concetto di libertà per comprenderne il senso e allontanare dal non-senso con cui, invece, il più delle volte il termine viene evocato; non accontentandosi delle cose così come sono e prendendo coscienza del fatto che può esistere un modo migliore e meno superficiale di essere liberi. La libertà richiede vigilanza perché è impegnativa e necessita di essere valutata come progetto sociale tout-court, considerando l’insita natura relazionale che possiede. La libertà non può più venire ridotta a mero consumo: essa deve necessariamente essere condotta fuori dal circuito potenza-volontà di potenza in cui l’abbiamo intrappolata e in cui noi siamo finiti preda di quello che Bateson definisce «doppio legame», ovvero un meccanismo in cui l’individuo deve essere se stesso e allo stesso tempo aperto a tutte le possibilità, dove deve scegliere e contestualmente non credere a niente, in cui deve godere ma anche performare. Una libertà privata di qualsiasi punto di riferimento finirebbe per autocondannarsi all’annichilimento, come ben evidenziano Benasayag e Schmit quando affermano che «là dove è tutto possibile, nulla esiste». «Siamo pieni di cose, di esperienze, di relazioni, - affermano Magatti e Giaccardi - ma perfettamente vuoti e soli». Una libertà mancante di senso del futuro, ripiegata su Siamo pieni se stessa, che risucchia e annulla l’altro non può essere vera di cose, libertà; da qui la sfida di liberarla, di renderla libera in modo autentico; di più: di farla essere generativa. La generatività di esperienze, allora come soluzione, impegnativa, ardua ma rigogliosa, di relazioni, dal profumo utopistico. Generatività che al contrario del ma perfettamente consumo non incorpora ma escorpora, che non prende ma vuoti e soli dà; generatività come ciò che è in grado di mettere al mondo, di dar vita, di far essere. Generatività che ci crede, che si impegna, che sa sperare, che esce dalla logica del «tutto subito», che intraprende e attende. Non a caso il generare opera in una prospettiva deponente e transitiva, facendo proprie le attività del desiderare, del mettere al mondo, del prendersi cura e del partorire; per ognuna di queste declinazioni, attraverso cui la generatività si esplica e si concretizza, gli autori forniscono una spiegazione che, partendo dall’etimologia dei termini presi in considerazione, ne scava il significato profondo unendo all’assunto teorico quello pragmatico, perché niente rimanga solo una bella parola ma tutto prenda la forma di un’iniziativa possibile, pronta a partire. L’aspetto straordinario di questo «manifesto», che non solo dovrebbe essere letto da tutti ma su cui tutti dovremmo riflettere, sta nel’esame della miriade di elementi che entrano in gioco quando si tenta di proporre una soluzione a un problema, che è la conquista della nostra libertà, di quella degli altri, della società. Andrea Canevaro Nascere fragili EDB, Bologna 2015, pp. 120, euro 12 Il professor Canevaro, ospite al convegno CEM 2014, è una delle più importanti voci della pedagogia italiana ed europea, e ha dato contributi fondamentali nell’ambito dello studio e della ricerca su come affrontare le disabilità. Con questo volume va addirittura oltre. Nascere fragili è una riflessione a tutto tondo sulla natura umana, con spunti filosofici, sociologici, pedagogici, politici, considerati all’interno di una «narrazione» piana e convincente. Una disamina di come dovremmo andare al di là dello scontato dualismo normale/anormale per aprirci allo scenario delle infinite diversità che sono anche ricchezze e potenzialità. Anche la fragilità, tanto rifiutata in questo mondo di vincenti, può essere una possibilità creativa se viene accettata e accolta come realtà fondante dell’essere umano, realtà che coinvolge pienamente i processi educativi e le pratiche di cura di sé e degli altri. (Marco Valli) 40 | cem mondialità | maggio 2015 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 41 mediamondo Aa. Vv - Associazione 46 paralleli Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo Sesta ed., Terra Nuova, Firenze 2015, pp. 248, euro 20 Un volume che turba le coscienze, ma che non dovrebbe mancare nella biblioteca di ogni scuola per aiutarci a capire gli scontri e le guerre che ci circondano e minacciano. Studiare le guerre per cercare di costruire la pace è il pensiero retrostante a questo documentatissimo volume ideato dal giornalista della Rai Raffaele Crocco, che analizza tutte le guerre in atto nel mondo, cerca di spiegarne le cause e i tentativi di arrivare alla pace, ne presenta i protagonisti e documenta il tutto con cartine geopolitiche e fotografie. Le schede, compilate da giornalisti di varie testate italiane, hanno in premessa un rapporto a cura di Amnesty International sulla stato dei diritti civili e umani e i rapporti sulle missioni Onu in corso, la situazione dei beni artistici e ambientali a cura dell’Unesco e la situazione di profughi e rifugiati a cura dell’Unhcr. Un volume imperdibile per chi vuole informarsi ed informare, per educatori, giornalisti e storici. (m.v.) Tiziano Terzani Le parole ritrovate La Scuola, Brescia 2015, pp. 124, euro 9,50 Tiziano Terzani dopo l’11 settembre fu il primo a proporre, polemizzando anche con Oriana Fallaci, il dialogo e la comprensione delle altrui idee come unico mezzo per evitare e le guerre e, pur malato, iniziò un «pellegrinaggio» per portare il suo messaggio di pace. Tiziano girò l’Italia visitando scuole, parrocchie, centri sociali, librerie, portando ovunque la sua proposta di pace e di dialogo interculturale, ora esce un volumetto che raccoglie alcune di quelle conferenze con l’aggiunta di alcune foto inedite e di una intervista a suo figlio Folco. Una testimonianza agile e attualissima, che ci spinge a riflettere sulle nostre responsabilità di occidentali nelle guerre attuali e a rivedere pregiudizi e luoghi comuni. È una gioia ritrovare la voce di Tiziano, il suo acume e la sua saggezza ma anche la sua toscana ironia. (m.v.) Walter Kasper Papa Francesco. La rivoluzione della tenerezza e dell’amore Queriniana, Brescia 2015, pp. 136, euro 13 Che papa Francesco sia una personalità spirituale di altissimo rilievo che coinvolge credenti e non credenti è un fatto, la mole di libri pubblicati su di lui lo dimostra, anche se non sempre si tratta di opere di grande qualità. Non è certo il caso del libro del cardinale Walter Kasper, che svolge una veloce ma profonda disamina delle basi teologiche del messaggio di papa Francesco e delle ricadute pastorali. «Papa Papa Francesco unisce Francesco annuncia il messaggio sempre la continuità nei confronti valido del Vangelo nella sua eterna novità della grande tradizione e freschezza, senza ridurlo a un qualche della Chiesa con quel schema preconfezionato. Papa Francesco rinnovamento unisce la continuità nei confronti della che sa incessantemente grande tradizione della Chiesa con quel sorprendere rinnovamento che sa incessantemente sorprendere. Delle sue sempre nuove sorprese fa parte anche l’imbarazzante programma di una Chiesa “povera per i poveri”. Non è un programma liberale, ma un programma radicale radicale nel senso originario della parola, perché significa un ritorno alle radici. Questo riandare alle origini non è tuttavia ripiegamento sul passato: è una forza per un inizio coraggioso rivolto al domani. È la rivoluzione della tenerezza e dell’amore» (W. Kasper). (m.v.) maggio 2015 | cem mondialità | 41 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 42 mediamondo Stefan Hertmans Guerra e trementina Marsilio, Venezia 2015, pp. 303, euro 18 L’arte, la bellezza possono salvarci dagli orrori, dalle ferite della guerra? Può la vocazione artistica mantenere umano un soldato nelle trincee della prima guerra mondiale? Le pagine del diario che Urbain Martien, ormai novantenne, consegna al nipote poco prima di morire contengono il secolo forse più duro della storia dell’umanità. Parlano di un ragazzino di Gand (Belgio) che Un romanzo che si nutre sognava di fare il pittore e che lo scoppio della della testimonianza di Prima Guerra Mondiale ha trascinato su uno chi ha vissuto l’orrore dei fronti più crudeli del conflitto. Anche cirdelle trincee, per poi condato da morte e fango, sotto un cielo inficarico di quelle nuvole che tanto solleciritrovarsi a vivere nelle nito, tano la sua fantasia, Urbain non abbandonerà trincee dei propri ricordi mai il disegno. Quando il tempo sembra fermarsi, nella luce surreale della piana dell’Yser, l’arte lo aiuta a placare il pianto del mondo che va in pezzi intorno a lui. Riscrivendo la vita di Urbain Martien, Hertmans costruisce un romanzo che si nutre della testimonianza di chi ha vissuto l’orrore delle trincee delle Fiandre occidentali, per poi ritrovarsi a vivere nelle trincee dei propri ricordi. Un romanzo ben scritto, che ci pone di fronte alla tragedia della guerra e al miracolo della bellezza che sola, forse, può salvarci. (m.v.) Olga Focherini Questo ascensore è vietato agli ebrei a cura di Odoardo Semellini Edb, Bologna 2015, pp. 144, euro 12 Durante la seconda guerra mondiale fu attiva a Carpi (Mo) una rete clandestina che salvò centinaia di ebrei perseguitati dai nazifascisti, grazie a uomini e donne di diverse idee e fedi. Fra loro Odoardo Focherini, deportato a Hersbruck dove morì. Oggi è «giusto fra le nazioni» (per Israele), medaglia d’oro al valor civile e, dal 2013, Beato della Chiesa cattolica. La sua storia è qui raccontata dalla figlia Olga che fu tra le fondatrici dell’Associazione amici del «Museo-monumento al deportato» di Carpi. Faccio mio l’invito di Moni Ovadia: «mi permetto di suggerire di leggerlo e di farne dono al maggior numero possibile di persone». Non bisogna credere che Odoardo Focherini fosse un eroe solitario, era «un uomo attivo in un’organizzazione con altri generosi come lui». Il libro ricorda come, fra tanti italiani che collaborarono allo sterminio, vi fu chi si oppose: come il medico Giovanni Borromeo che si inventò il contagioso «morbo K» e tenne in isolamento (cioè nascose) gli ebrei, salvandoli da morte sicura. (Daniele Barbieri) Erri De Luca La parola contraria Feltrinelli, Milano 2015, pp. 62, euro 4 Erri De Luca, scrittore, poeta, studioso laico della Bibbia, è stato denunciato alla magistratura per aver detto in un’intervista che le popolazioni della Val Susa hanno il diritto di cercare di sabotare l’alta velocità che lo Stato cerca di imporgli. Dalla vicenda nasce questo piccolo saggio in cui De Luca non solo difende le proprie tesi ma riflette anche sulla negazione della parola che non sia acquiesciente col potere ricordando casi letterari famosi da Goethe a Rushdie. In uno Stato democratico un letterato può parlare contro il potere o deve rimanere in silenzio? Perché la sua frase lo porta in tribunale mentre frasi ben più cruente di politici o giornalisti non danno adito a procedimenti penali? Poche pagine dense e piene di passione civile e intellettuale che vale la pena di leggere indipendentemente che si concordi o meno con le idee di De Luca. (m.v.) 42 | cem mondialità | maggio 2015 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 43 nuovi suoni organizzati LUCIANO BOSI TROBADORS FABULOUS DECENTRAMENTO E GLOCALISMO PER UNA MAGGIORE DEMOCRAZIA CULTURALE en ritrovate e ben ritrovati. Continuando sul tema della protesta sociale in musica, mi reco in Occitania, nel sud della Francia, per raccontare un po’ dei Fabulous Trobadors, un ottimo duo di cantastorie etno-rap. Ho incontrato la loro musica oltre 10 anni fa, e da allora è stata per me un tiramisù sonoro: bastano poche battute di uno dei loro brani per farmi riacquistare energia e voglia di vivere. Il loro stile espressivo, dall’impronta rap e raggamuffin, è caratterizzato dal tenzone, uno scambio di componimenti poetici in forma di botta e risposta utilizzato dai trovatori occitani in epoca medievale. Altra peculiarità che rende unici e transculturali i duetti verbali è quella di accompagnarsi con il solo ritmo di due tamburelli; pratica adottata dopo un viaggio nel nord-est del Brasile, dove hanno scoperto gli emboladores do nordeste, cantastorie che si accompagnano con il ritmo del proprio pandeiro (tamburello). Claude Sicre scrive i testi e sostiene la parte vocale principale, mentre Jean-Marc Enjalbert, in arte AngeB, oltre al dialogo-contrappunto vocale, agisce anche da beatbox, producendo con la voce un’infinità di suoni ritmici, acustici ed elettronici. I testi di Claude, inizialmente solo in occitano, negli anni sono stati sostituiti in parte con testi in francese. Sono testi impegnati, orientati a sostenere la decentralizzazione culturale, provocatori e critici nei confronti del pensiero unico che il li- B berismo e la globalizzazione di mercato ci propinano. Già nel 1988, con l’idea di sparigliare il convenzionale, lo stesso Claude scrisse un libro dal titolo Vive l’Américke!, con un sottotitolo provocatorio e significativo: quelques idees blues pour colorier la France (idee blues per colorare la Francia). Buon ascolto e divertimento a tutte e a tutti e tenete d’occhio le rassegne estive: pare che quest’estate li potremo ascoltare in Italia in concerto! QUI ED ORA... MA NON SOLO (continua…) Il secondo disco paulista che dall’estate scorsa ruota spesso nei miei lettori cd è Metal Metal, dei Metà Metà, una delle formazioni più significative dell’attuale scena di San Paolo. Se il Brasile, a livello mondiale, rappresenta oggi un contesto tra i più innovativi nell’ambito dei meticciamenti sonori, e più in generale delle avanguardie, questo disco ne è un esempio perfetto. Le nostre orecchie devono qui adattarsi a continui cambi, anche repentini, di colori e sapori sonori che spaziano tra samba, jazz, rock e generi di ogni dove, ma anche tra sonorità distorte, ipnotiche, ripetitive o semplicemente lineari. Non mancano gli echi e le citazioni al candomblé afrobrasiliano, tra i quali Baj, il brano di apertura, dedicato come si conviene a Exu (Eshu in Nigeria, terra d’origine del pantheon Yoruba); è infatti a lui che si deve il primo tributo di ogni cerimonia. La cantante Juçara Marçal, il chitarrista Kiko Dinucci e il sassofonista Thiago França, fondatori del gruppo, sono qui coadiuvati da altri ottimi musicisti, tra i quali spicca, anche per notorietà, Tony Allen, il batterista nigeriano ideatore negli anni ’70 del ritmo afrobeat, trainante pulsare reso poi noto al mondo dal grande Fela Kuti. DISCOGRAFIA Èra pas de faire, Roker Promocion/Massilia Sound System, 1992 Ma Ville est le plus beau park, Mercury/Philips, 1995 On the Linha Imaginòt, Mercury/Philips, 1998 Duels de tchatche et autres trucs du folklore toulousain, tôt Ou tard/Warner Europe, 2003 IL DISCO Metà Metà, Metal Metal, Mais Um Discos, 2014 cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 44 saltafrontiera LORENZO LUATTI | [email protected] PRENDERSI CURA DELL’ALTRO l rispetto, la generosità, l’attenzione per l’alterità, la capacità di prendersi cura dell’altro e di riconoscere la fragilità, negli altri e in sé, sono processi, atteggiamenti e competenze che vanno stimolati fin da piccoli e poi coltivati nel corso di tutta la vita. Nei libri per bambini l’amore per il prossimo trova una relazione privilegiata con il mondo animale, dove un piccolo episodio di vita quotidiana, magicamente, può narrare una storia più grande, dai toni universali, anche grazie all’uso sapiente del disegno e del colore che riescono a dire ciò che non viene detto a parole. Fasciarlo, nutrirlo, costruirgli un ricovero di fortuna con una vecchia scatola tutta forata e foderata di giornale, sono le prime attenzioni, le prime cure che Billy e i suoi genitori - nell’albo di Bob Graham Come curare un’ala spezzata (il castoro, pp. 40) - rivolgono ad un povero colombo ferito. Il riposo e il tempo, nonché un pizzico di speranza, faranno il resto, prima che l’uccello ormai guarito possa riacquistare la libertà. Da un medesimo I 44 | cem mondialità | maggio 2015 episodio, l’ala contusa di un uccellino, prendono il via le storie narrate in due splendidi albi pubblicati da orecchio acerbo: I giganti e le formiche (pp. 40) di Cho Won hee, dove due enormi esseri umani ci insegnano a proteggere la natura e a farsi proteggere da essa, a non farsi ingannare dalle apparenze e a non essere forti con i deboli. Al contrario, Tuttodunpezzo (Topipittori, pp. 40), il protagonista del libro di Cristina Bellemo e André da Loba, esprime la noncuranza e l’egoismo di chi si sente forte, non ha mai dubbi sulle cose da fare e non dimentica mai niente. Non presta il suo cuore, non perde tempo e anche le idee le tiene per sé, visto che è tuttodunpezzo. Finché un giorno camminando in un bosco cade in una grande buca e avviene l’imprevedibile, l’irreparabile: si rompe in tre pezzi. E allora la prospettiva cambia. Ora sono tre pezzi, sono una piccola comunità di pezzi che si aiutano l’un l’altro per uscire da quella profonda buca. Tre albi preziosi, dunque, che sotto metafora sembrano dirci, tra le molte altre cose, che nella vita, dopo essere caduti e magari con l’aiuto di qualcuno, ci si può sempre rialzare, con qualche consapevolezza in più, e trasformati. Un racconto delicato che infonde sicurezza, che lascia avvertire amore e accoglienza, condite da un pizzico di avventura è La gatta vagabonda di Aino Pervik e Catherine Zarip (Sinnos, pp. 30). Un albo fresco e semplice, di piccolo formato, che racconta la vita di una mamma gatta vagabonda e dei suoi micini che dopo aver superato insieme alcuni eventi imprevisti e rischiosi, si scoprono cresciuti e fortificati, ed anche più autonomi. Infine una storia senza parole, Guarda Guarda (Carthusia, pp. 40) di Emanuela Nava e Chiara Bongiovanni, fatta di sguardi e immagini che parla di diversità e integrazione, di scoperta e amicizia. Due cuccioli, una giraffa e un ghepardo, si incontrano nella savana. Dopo un primo momento di diffidenza, il piccolo ghepardo, nascosto tra le fronde di un grande cespuglio, decide di uscire alla scoperto, incuriosito dall’atteggiamento della giraffa, impegnata a riempire un secchio d’acqua e a trasportare un lungo spazzolone. Insieme porteranno a termine una importante missione: lucidare il cielo e le stelle, scoprendo gli astri e le storie del mondo. l cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 45 cinema LINO FERRACIN | [email protected] torneranno i prati LA TRAMA. Inverno nuovo ordine del Comando, gli altri restano a seppellire i morti. Attorno la natura silenziosa fa da scenario all’assurdità della guerra e alla follia degli uomini. IL FILM. C’è una luna solare ad illuminare le vette e i declivi attorno a quella postazione, c’è una luna crudele a denudare di ogni ombra di difesa quell’avamposto coperto di neve. Ci sono occhi attenti e pensosi che da feritoie controllano e guardano un leprotto o una volpe tranquilla ai piedi di un larice spoglio. Ma Regia, soggetto e sceneggiatura Ermanno Olmi (collaborazione alla regia di Maurizio Zaccaro) Interpreti Claudio Santamaria, Igor Pistollato, Alessandro Sperduti, Niccolò Senni, Francesco Formichetti, Franz Stefani, Andrea Di Maria, Andrea Frigo, Camillo Grassi, Domenico Benetti, Andrea Benetti. Italia, 2014; 80min.; 01 Distribution. IN QUEL PICCOLO SPAZIO, SUGLI ALTIPIANI, SOLI, GLI UOMINI RIESCONO AD UCCIDERSI LO STESSO, CON UNA MORTE CHE ARRIVA IMPROVVISA, TEMUTA, ATTESA MA IMPROVVISA; MORTE COSTRUITA DA UN NEMICO CHE NON SI VEDE MAI E DAGLI ORDINI FOLLI DI COMANDANTI ALTRETTANTO LONTANI E INVISIBILI basta un rombo di cannone lontano perché la volpe fugga o uno scoppio più vicino perché il larice, oggetto dorato dei sogni di un fantaccino, bruci nella notte. C’è anche una voce di uomo che canta e svela la bellezza del tutto, suscitando applausi e grazie anche dai nemici invisibili. Ma ci sarà il bombardamento e la morte dei compagni a far tacere il cuore di quella voce perché svuotato della gioia necessaria perché un canto d’amore si alzi di nuovo. E c’è il dentro, il sotto con quel pugno di uomini terrei come il legno dei soffitti, come le coperte fredde, come le gamelle vuote e il pavimento sabbioso. E lì dentro, lì sotto l’uomo è comunque maggio 2015 | cem mondialità | 45 NOTA STORICA 1917, sugli altipiani del Fronte Nord-Est, in un avamposto isolato, coperto dalla neve, un maggiore porta un ordine del Comando di Divisione: attivare un nuovo punto di osservazione sulle linee nemiche. Un ordine impossibile in quei giorni di plenilunio per la presenza tra i nemici invisibili di un formidabile cecchino. Di fronte all’ottusità dei superiori e alle sue conseguenze nefaste, il capitano dell’avamposto rinuncia al suo comando ed al suo grado. Un tenentino appena arrivato lo sostituirà in quella notte tragica di attesa e di feroci bombardamenti. Al mattino mentre il grosso dei soldati si ritira su cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 46 cinema IL REGISTA Olmi nasce nel 1931 a Bergamo, ma vive e cresce a Milano; assunto dalla Edisonvolta, inizia la sua attività di documentarista. Negli anni 19531961 gira una trentina di documentari che hanno al centro il rapporto tra l’uomo, le sue opere e la natura. Dal 1959 i suoi film continuano la sua attenzione per gli umili, il quotidiano, la natura, lo scontro tra vita e morte, tra potere e valori. Ricordiamo i titoli che più ci restano dentro: E venne un uomo (1965), I recuperanti (1970), L’albero degli zoccoli (1978), Camminacammina (1982), La leggenda del santo bevitore (1988), Il segreto del bosco vecchio (1993), Il mestiere delle armi (2001), Centochiodi (2007), Il villaggio di cartone (2011). Nel 2008 riceve a Venezia il Leone d’Oro alla carriera. Una volta precisò di non essere un cineasta cristiano ma «aspirante cristiano». GLI ALTRI FILM DI OLMI SULLA GUERRA I recuperanti (1970) Tornato al paese nel ’45 dalla prigionia, Gianni non trova altro lavoro che quello di andare a cercare sull’altopiano i residuati metallici della Grande Guerra. A guidarlo in quel lavoro pericoloso è il vecchio Du che legge ancora su quei campi i segni di quella brutta bestia che è la guerra. Il mestiere delle armi (2001) Novembre 1526, 18 mila lanzichenecchi di Carlo V puntano su Roma mentre il capitano di ventura, Giovanni dalle Bande Nere, alleato del pontefice Clemente VII, cerca di bloccarne il passaggio oltre il Po. Rallentato e indebolito dai tradimenti dei Gonzaga e di Alfonso d’Este, Giovanni è sconfitto sul campo anche grazie ad una nuova arma da fuoco. Ferito e amputato, morirà dopo quattro giorni all’età di 28 anni. Le ultime ore esaltano la forza d’animo e la dignità del giovane guerriero di fronte alla morte. Cantando dietro i paraventi (2003) Fine Settecento, mari della Cina. Per vendicare l’avvelenamento del marito, la vedova Ching si trasforma in una temutissima piratessa capace però di accettare l’offerta di pace del nemico deponendo le armi. Un film di pace sulla guerra. in balia di ordigni sparati da cannoni mai visti e di ordini altrettanto assassini come quelli che arrivano per telefono da un Comando lontano. E il dentro è raccontato da un obiettivo chiuso, stretto, con colori umani, sporchi, grigi senza la vita di colori a connotare l’attesa di morte, gli incubi febbricitanti, la paura, la follia, la morte, la dignità, il coraggio. E c’è l’altro obiettivo, quello di fuori, di46 | cem mondialità | maggio 2015 stante, aperto, spettatore e giudice insieme, a scandire l’eterno lentissimo quasi immobile scorrere del tempo e la bellissima dominante indifferente presenza della natura, che appena abbassa il ciglio a guardare quel rumoroso, inutile, ridicolo affannarsi ed ammazzarsi dell’uomo, formichina che a fatica esce scavando dalla tana a tracciare un sentiero tra la neve che la notte di nuovo tutto ha ricoperto. Ma se quel Dio, che non ha ascoltato il grido del figlio sulla croce, ancora non ascolta l’invocazione o la bestemmia di quegli uomini sconvolti da scoppi e tremori, perché dovrebbe la natura? Tanto i prati torneranno e tutto col tempo sarà dimenticato. In quel piccolo spazio, sugli altipiani, soli, gli uomini riescono ad uccidersi lo stesso, con una morte che arriva improvvisa, temuta, attesa ma improvvisa; morte costruita da un nemico che non si vede mai e dagli ordini folli di comandanti altrettanto lontani e invisibili. Questi uomini, assediati e circondati da un paesaggio di favola, che desiderano e sognano ma che non possono avvicinare e godere, sono immagine di una umanità che non riesce a vivere a pieno il mondo perché circondata di morte e di nemici che essa stessa ha educato, addestrato e armato. Olmi è tornato sui monti dei suoi Recuperanti per riparlare di guerra ma a differenza de Il mestiere delle armi, dove in una scena potente un vecchio prete, trascinando sulle spalle un grande crocifisso, grida ai soldati, che entrano predoni in città, di fermarsi per non scatenare l’ira di Dio, qui Olmi non grida ma accumula parola dopo parola, gesto dopo gesto, momento dopo momento un’accusa totale alla guerra, a tutte le guerre non solo a quella su quell’altopiano che volutamente non ha né nome, né luogo, né data. E dopo la morte dal cielo, e dopo l’ordine di ritirata, mentre un fila di superstiti si allontana dall’avamposto, i restanti scavano fosse. E ancora l’angosciante ritmo dello scavo di mina sotto la roccia al fondo del rifugio; i volti e i nomi di quelli che non possono più ormai leggere le lettere da casa; l’invocazione di morte del ferito stanco; l’impossibilità di cantare ancora; la lettera del tenentino alla madre; la neve e, tra i fiocchi fitti, immagini d’epoca che mostrano attacchi, reticolati, feriti e morti, vittoria, volti esultanti, cortei festanti, re, palazzi del potere, croci sghembe o spezzate e sui titoli di coda un lontano silenzio di ordinanza a chiedere meditazione e porre domande. l cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 47 i paradossi arnaldo de vidi [email protected] Lezione di civiltà anzi di etnocentrismo ex Primo Ministro dell’Australia, John Howard (1996-2007), ha dichiarato: «... Sono stanco che questa nazione debba preoccuparsi di sapere se offendiamo alcuni individui o la loro cultura. La nostra cultura si è sviluppata attraverso lotte, vittorie, conquiste portate avanti da milioni di uomini e donne che hanno ricercato la libertà. La nostra lingua ufficiale è l’inglese, non lo spagnolo, il libanese, l’arabo, il cinese, il giapponese... Di conseguenza, se desiderate far parte della nostra società, imparatene la lingua! La maggior parte degli australiani crede in Dio. Non si tratta di obbligo di cristianesimo, d’influenza della destra o di pressione politica, ma è un fatto, perché degli uomini e delle donne hanno fondato questa nazione su dei principi cristiani e questo viene ufficialmente insegnato. È quindi appropriato che questo si veda sui muri delle nostre scuole. Se Dio vi offende, vi suggerisco allora di prendere in considerazione un’altre parte del mondo come vostro paese di accoglienza, perché Dio fa parte delle nostra cultura. [...] Questo è il nostro paese; la nostra terra e il nostro stile di vita. E vi offriamo la possibilità di approfittare di tutto questo. Ma se non fate altro che lamentarvi, [...] allora vi incoraggio fortemente ad approfittare di un’altra grande libertà australiana: il diritto ad andarvene. [...] Non vi abbiamo forzati a venire qui, siete voi che avete chiesto di essere qui. Allora rispettate il paese che vi ha accettati. Prendere o lasciare». L’ Howard ha di mira i musulmani che vogliono vivere secondo la sharia: essi devono lasciare l’Australia e questo allo scopo di prevenire e evitare eventuali attacchi terroristici. È combattere il terrorismo... con altro terrorismo. Allora siamo perduti, tutti perduti. Ma, sgomento!, l’amico che mi ha girato la dichiarazione di Howard ha messo come titolo «l’Australia dà lezione di civiltà a tutto l’Occidente!». Immagino che la lezione sarebbe duplice: di fede e di coraggio. La fede è spesso invocata come elemento di identità. Ma quale fede? Pare che Howard ignori un fatto: i musulmani credono in Dio, non sono né pagani né atei. Dio (o Allah) fa parte della loro cultura più che della nostra. Dire che la nazione australiana è fondata su principi cristiani e che questo è ufficialmente insegnato, sa molto di religione di Stato, vizio che si vuole combattere. Bisogna poi vedere quale Dio si adora: un Dio che propone esclusione o inclusione? Regni terrestri o il Regno di Dio? Il coraggio di opporsi al nemico è stato un imperativo nei secoli che hanno visto il sorgere e consolidarsi delle nazioni. Il jus soli, jus sanguinis (diritto al suolo per una determinata etnia) ha portato dei vantaggi (come il welfare state del governo per il benessere dei cittadini). Ma ha decimato i popoli, riempendo ossari e cimiteri dei caduti. Ha anche favorito l’etnocentrismo; e la dichiarazione di Howard è, di fatto, una lezione sì, ma di etnocentrismo. Chissà?, siamo all’alba di un tempo di superamento degli stati-nazione, preconizzato dalla famosa frase di Ugo di San Vittore (che ho già citato altre volte): «L’uomo che trova dolce la sua patria non è che un tenero principiante; colui per il quale ogni terra è come la sua propria è già un uomo forte; ma solo è perfetto colui per il quale tutto il mondo non è che un paese straniero». cem_maggio_2015_interno 14/05/2015 14:27 Pagina 48 la pagina dei girovaghi Massimo Bonfatti è il creatore della serie dei Girovaghi, una strampalata famiglia agli antipodi della famiglia modello: una vera riflessione sul tema della diversità. www.massimobonfatti.it - [email protected] cem_maggio_2015_copertina 14/05/2015 14:44 Pagina 3 cem_maggio_2015_copertina 14/05/2015 14:44 Pagina 4 d on M EM C i d le a on zi a N o n g ve 54° Con ialità Trevi (Pg), 23-26 agosto 2015 ca limitare Essere generativi signifi logiche l’egoismo, produrre con re di sostenibilità, rispetta , i giusti tempi del vivere rio orizzonte rico mprendendo nel prop ssato il rapporto fecondo tra pa e futuro, consapevoli che iare «non ci è concesso di lasc il mondo così co m’è» (J. Korczak) Luogo del convegno Hotel della Torre S.S. Flaminia km. 147 Località Matigge, Trevi (Perugia) tel. 0742.3971 / fax 0742.391200 www.folignohotel.com [email protected] Per informazioni e iscrizioni tel. 030.3772780 [email protected] cem.saverianibrescia.it f cemsav / t CemMondialita con la partecipazione di TONIO DELL’OLIO ANTONELLA FUCECCHI MICHELE DOTTI RATORI INCONTRI LABO NTI E PER ADOLESCER OP PER BAMBINI 6 WONTKASZHIO NE ADULTI PRESERIA MUSICA DI LIBRI LIBRE
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