Premessa - Filomeno Moscati

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Premessa - Filomeno Moscati
Filomeno Moscati
Premessa
L’idea
di un libro che trattasse della storia di due casali, Sala e
Dogana Vecchia, in modo separato da quella di Serino, di cui i
due casali fanno parte, è nata quando si è cominciato a parlare
del 150° anniversario dell’ unità d’ Italia. La ragione che mi ha
spinto a una trattazione separata è stata quella di voler mettere
in maggior rilievo la parte che nella costruzione di questa unità,
hanno avuto alcuni personaggi di Serino e, in particolare, il
ruolo preminente che vi hanno assunto
alcuni abitanti di
Dogana Vecchia. Questa idea originaria si è andata man mano
allargando fino a comprendere la trattazione dell’evoluzione
storica dei due casali, nel tentativo di far conoscere e porre in
ordine le notizie riguardanti le loro origini, le origini e il
significato delle loro denominazioni e le diverse opinioni
espresse riguardo ad esse.
Dalla trattazione della storia, piccola e particolare dei due
casali, emerge in modo netto e chiaro, attraverso le prove
documentali riguardanti le due chiese che ne sono il simbolo e
l’emblema ( e con cui uno di essi, quello di Dogana Vecchia,
si identificava anche fisicamente, in antico, col nome di Casale
di Santo Eustachio) il progressivo declino, sia dal punto di
vista socio-economico che demografico di questo casale, e, per
contro, l’ inarrestabile crescita d’importanza di Sala di Serino;
una crescita evidenziata oltre che dall’ aumento vistoso del suo
patrimonio edilizio lungo l’antica strada che la congiungeva a
Dogana Vecchia e lungo la nuova Via S. Pescatore,
dall’importanza degli Edifici Pubblici che sono sorti nel suo
ambito, quali i neo-costruiti Palazzo municipale, Scuola media
statale, Scuola elementare, Poste e Telegrafi, Banca di Credito
Cooperativo, Farmacia, Mercato coperto, che, uniti alle sedi di
associazioni culturali e ricreative, di supermercati e negozi di
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Filomeno Moscati
tutti i generi, hanno fatto dei due casali, ormai congiunti a
formare un unico complesso abitativo, il cuore amministrativo
e commerciale della odierna Serino.
La crescita e la trasformazione fisica dei due casali, oggi uniti
a formare un unico villaggio, oltre ad evidenziare il passaggio
da una civiltà prevalentemente contadina alla moderna civiltà
industriale, consumistica e digitalica, simboleggia anche, con
l’eliminazione dell’analfabetismo e la conseguente conquista di
un’unita culturale e sociale, il superamento delle rivalità fra i
diversi casali, che, ancora nella seconda metà del secolo XX, si
manifestavano con motteggi e sarcasmi, richiamanti riti
ancestrali di fatture e malocchio.
Filomeno Moscati
4
Sala di Serino
I
Sala di Serino
Antica terra
La “Terra di Serino” risulta abitata fin dalla preistoria. La
presenza di vita umana, nel territorio dell’attuale Serino, è stata
accertata attraverso scavi archeologici, che, oltre a permettere
di verificarne la presenza in due diversi siti, l’hanno
materialmente documentata attraverso il rinvenimento di
manufatti che hanno consentito , con sufficiente
approssimazione, di stabilirne anche l’epoca. Gli archeologi,
infatti, basandosi sul tipo della lavorazione delle pietre
scheggiate rinvenute in due giacimenti, il primo situato in
montagna in località Tornola a 850 metri di altitudine1 e l’altro
nel fondo valle nel territorio dell’attuale Sala,2 hanno potuto
stabilire che essi appartengono al paleolitico superiore, un
periodo che va da circa 38000 a circa 10000 anni fa.
Dei due siti archeologici quello di Tornola è stato ritenuto il
più antico essendo stato collocato nel paleolitico superiore
uluzziano, che va da circa 38000 a circa 33000 anni fa, come
chiaramente si evince dallo stesso titolo della relazione
scientifica degli scavi eseguiti in questa località, che segnala,
1
Ronchitelli A. Segnalazione di un‘industria uluzziana a
Tornola, Avellino; in Rassegna di Archeologia 1982/83, pp.
224,225. (L’individuazione e l’esplorazione del sito sono state
eseguite, nel 1982, da archeologi dell’Università di Siena su
segnalazione del prof. Vincenzo D’Alessio )
2
Accorsi C. A., Aiello A.. Bertolini C., Castelletti L., Rodolfi
G., Ronchitelli A., Il giacimento paleolitico di Serino
(Avellino), stratigrafia, ambiente e paleoetnologia, in Atti della
Società di Scienze Naturali, Memorie, serie A, 1979/86, pp.
435-487.
5
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in essa, la presenza di un’industria di lavorazione della pietra
di tipo uluzziano.3 Questa classificazione è importante perché
colloca la Serino preistorica nell’ambito di una civiltà che
prende nome dalla grotta di Uluzzo in Puglia, una civiltà di
transizione, diffusa in tutta l’Italia meridionale,
che
documenta l’evoluzione della specie umana e il passaggio
dall’uomo di Neandhertal (uomo dell’Età della pietra o delle
caverne) all’homo sapiens. Come e dove questo passaggio sia
avvenuto rimane incerto e il problema è ancora insoluto,
poiché diverse sono le ipotesi avanzate sull’argomento dai
paleontologi e dagli studiosi della materia.
Ciò che possiamo ritenere certo è che una tappa di questa
evoluzione può ritenersi documentata anche a Serino, nel
giacimento paleolitico rinvenuto nel territorio di Sala di
Serino. Questo secondo sito archeologico, individuato nei
pressi dell’abitato di Sala,4 è stato ritenuto più recente di quello
di Tornola, di almeno 2000 anni, e attribuito al paleolitico
superiore aurignaziano, che va da circa 33000 a circa 21000
anni fa. Sulla base dei reperti acquisiti, gli studiosi del sito
preistorico di Sala di Serino hanno dedotto che esso non fosse
la sede di una dimora stabile ma di un accampamento
temporaneo situato ai margini di una zona paludosa.5
Questa deduzione è in accordo con le ipotesi avanzate dalla
maggioranza dei paleontologi che si sono interessati del
paleolitico definito aurignaziano, ipotesi che collocano in
questo periodo l’affermarsi di una nuova civiltà, più avanzata
di quella cavernicola dell’uomo di Neandhertal; una civiltà in
cui l’alimentazione necessaria per la sopravvivenza della
3
Ronchitelli A., opera citata.
Talamo Pierfrancesco, La Preistoria, in Storia Illustrata di
Avellino e dell‘Irpinia, Sellino e Barra Editori, Pratola Serra
(AV) 1996, Vol. I, L‘Irpinia Antica, p.4.
5
Talamo Pierfrancesco, idem, p. 4.
4
6
Sala di Serino
specie umana non si basava più soltanto sull’alimentazione
carnea derivante dalla caccia, ma anche sulla pesca e sulla
raccolta dei prodotti spontanei dei boschi e della terra.6 Ciò ha
fatto ipotizzare che in quest’epoca sia avvenuta una divisione
dei compiti, con caccia e pesca riservate ai maschi e raccolta
dei frutti spontanei alle femmine;7 e la comparsa di ripari
mobili e temporanei costruiti con pelli di animali;8 cose
possibili perché, proprio in quest’epoca, accanto ai manufatti
costituiti da pietre scheggiate, compaiono e si affermano i
manufatti di osso lavorato.
È la comparsa di questa nuova civiltà nell’antica ―Terra di
Serino‖ che spiega e giustifica l’accampamento temporaneo di
Sala di Serino, situato a fondo valle e nelle vicinanze di un
fiume e di una zona paludosa.
6
Leften Stavros Stavrianos, A Global History from
Prehistory to the Present, Prentice Hall, New Jersey, U S A,
1991, pp. 9-13.
7
Steven L. Kuhn and Mary C. Stiner, What‘s a Mother to Do?,
The Division of Labor among Neandertals and Humans in
Eurasia, Current Antropology, Volume 47, Number 6,
December 2006;
8
Sue Rowland, Pre-History, Pre- Civilization, and Paleolithic
People, in Informal Learning Women‘s History
7
Filomeno Moscati
Bibliografia
Accorsi C. A., Aiello A.,Bertolini C., Castelletti L., Rodolfi
G., Ronchitelli A., Il giacimento paleolitico di Serino
(Avellino),,stratigrafia, ambiente e paleoetnologia, in Atti della
Società di Scienze Naturali. Memorie, serie A 1979,86;
Leften Stavros Stavrianos, A Global History from Prehistory
to the Present, Prentice Hall, New Jersey, U S A, 1991;
Ronchitelli A. Segnalazione di un‘industria uluzziana a
Tornola, Avellino, in Rassegna di Archeologia 1982/83;
Sue Rowland, Pre-History, Pre.Civilization, and Paleolitic
People, in Informal Learning Women‘s History;
Steven L. Kuhn and Mary C. Stiner, What‘s a Mother to
Do?The Division of Labor among Neandertals and Humans in
Eurasia, Current Anthropology, Volume 47, Number 6,
December 2006;
Talamo Pierfrancesco, La Preistoria, in Storia Illustrata di
Avellino e dell‘Irpinia, Sellino e Barra Editori,, Pratola Serra
/AV) 1996, Vol. I , L‘Irpinia antica;
8
Sala di Serino
II
Sala di Serino e Dogana Vecchia
Origine, evoluzione e significato
del nome dei due casali
I Sanniti furono sicuramente presenti nella vallata del
Sabato. La loro presenza è comprovata dall’esistenza di un
antico tratturo di epoca sannita, la ―Via della Mezza Costa‖, e
dal ritrovamento di tombe sannite nel territorio del comune di
Serino e di Santa Lucia di Serino.9
Filippo Masucci ritiene che essi fossero certamente presenti
nei pressi del fiume Sabato deducendolo dalla denominazione
dialettale, ancora attuale, di un casale situato nei pressi del
fiume, oltre che sul percorso di un’antica via e di un ponte di
epoca romana, Rimauri. Egli sostiene, basandosi sulle regole
della toponomastica, che i nomi delle località, oltre a
conservarsi pressoché immutati attraverso i secoli, racchiudono
in sé il loro significato originario. Il nome Rimauri, secondo
Filippo Masucci, deriverebbe dalla radice etrusca Rum e da
quella osco-sannita aur, che darebbe al nome il significato di
Abitatori del fiume. 10
Allo stato attuale non abbiamo documentazione dalla quale si
possa desumere la presenza stabile dei Sanniti nell’ambito
territoriale di Sala di Serino, anche se è lecito pensare che
questa presenza ci sia stata, perché il territorio di Sala –
Dogana Vecchia costituiva, per le sue caratteristiche naturali,
lo sbocco obbligato dei molti tratturi locali che permettevano
lo spostamento degli armenti posseduti dai Sanniti, i quali,
com’è noto, basavano gran parte delle loro risorse sulla
9
Masucci Filippo, Serino nell‘Età Antica ( ricerche storiche)
Tipografia Pergola, Avellino 1959, p, 28;
10
Masucci Filippo, idem, p.50;
9
Filomeno Moscati
pastorizia, che, anzi, in molte zone del Sannio antico costituiva
l’attività principale della popolazione.11 Filippo Masucci
afferma, invero, che non vi può essere alcun dubbio che il
villaggio Sala esistesse sin dall’epoca sannitica e romana,12
deducendolo sia dal ritrovamento dei resti di una condotta
d’acqua, classificata di epoca romana sulla base di notizie a lui
riferite, sia dall’effettiva presenza di tombe in tegoloni, tipiche
dei romani, e di sepolture in tufo, tipiche dei Sanniti , in un
fondo situato fra Sala e l’attuale convento di S. Francesco e
Giacomo.13
L’ esistenza di tombe sannitiche e romane, in assenza di
vestigia affioranti in superficie e di reperti archeologici
specifici derivanti da scavi, se è sufficiente per segnalare la
presenza dei Sanniti nell’ambito territoriale dell’attuale Sala
di Serino non basta, però, per poter affermare anche
l’esistenza di edifici, in pianta stabile, di un villaggio sannita,
perché la loro particolare organizzazione tribale escludeva gli
insediamenti territoriali stabili; ed è questa la ragione per cui
essi non hanno lasciato traccia di centri urbani ben definiti; e,
in quanto alla condotta d’acqua rinvenuta durante i lavori di
scavo per le fondamenta di una casa , classificata da Filippo
Masucci come di epoca romana soltanto sulla base di notizie a
lui riferite , è assai più probabile che essa sia invece quella
costruita nei primi decenni del secolo XVII, di cui ci dà notizia
suo fratello Alfonso,14 che portava l’acqua dalle “Percole” al
neo edificato Convento dei Francescani Riformati di S.
Giacomo.
11
Salmon E.T., Il Sannio e i Sanniti, Giulio Einaudi Editore,
Torino 1985, p. 72:
12
Masucci Filippo, idem, p.54
13
Masucci Filippo, idem, p.55.
14
Masucci Alfonso, Serino (Ricerche storiche), Tipografia
Giuseppe Rinaldi, Napoli 1923, Vol.I, p.123;
10
Sala di Serino
Ciò che invece indica e conferma, in modo certo, la presenza
di costruzioni in forma stabile nella località oggi denominata
Sala , è proprio il suo nome; un nome che, per il suo duplice
significato, oltre a indicare in Serino una forte presenza
longobarda, pone le origini del casale proprio nell’epoca
dell’invasione longobarda e della formazione del Ducato di
Benevento per opera di Zottone.
È Paolo Diacono, nella sua Historia Langobardorum, ad
affermare che il primo dei duchi longobardi a raggiungere la
città di Benevento e il territorio abitato dai Sanniti fu il duca
Zottone, ai tempi del re longobardo Alboino (568–572 d. C.).
Zottone, nei venti anni successivi alla morte di Alboino, estese
il suo dominio a quasi tutta l’Italia meridionale, 15 obbligando
le popolazioni ivi residenti, con esclusione delle sole zone
costiere che rimasero sotto il dominio Bizantino, a sottostare
alle leggi longobarde. Queste leggi prevedevano innanzi tutto
la hospitalitas, il tributo dovuto dalle popolazioni conquistate
ai Longobardi conquistatori. In realtà i Longobardi
conquistatori fecero propria una legge imperiale romana, in
vigore fin dal I secolo dopo Cristo, che concedeva ai barbari
che divenivano federati dell’impero un terzo delle terre e delle
tasse dei territori in cui si erano stanziati,16 come ricompensa
della loro soggezione all’imperatore e della difesa dei confini
dell’impero da essi attuata.
L’hospitalitas longobarda
prevedeva l’obbligo, per le popolazioni vinte e assoggettate,
15
Paolo Diacono, Historia Langobardorum, III, 33, “Fuit
autem primus Langobardorum
dux in Benevento, nomine
Zotto, qui in ea principatus est per curricula
viginti
annorum‖ ( Fu , invece, il primo duca dei Longobardi in
Benevento, di nome Zottone, colui che in quella città ebbe il
supremo comando per lo spazio di venti anni ).
16
Vitolo Giovanni, Medioevo, in Corso di Storia diretto da
Giuseppe Galasso, Vol. I, p. 48.
11
Filomeno Moscati
di cedere un terzo del raccolto di ogni anno al signore
longobardo.
L’ordinamento del popolo longobardo era, però, ancora
tribale e, proprio per questo , l’esercito si articolava in gruppi
di famiglie che si richiamavano a un comune antenato. Erano
queste famiglie che si stanziavano nei territori conquistati ed
era ai capi di queste famiglie, o fare, che la parte di raccolto,
costituente l’hospitalitas, doveva essere consegnata. L’ampio
locale in cui ciò avveniva, situato in zone di facile accesso, era
denominato sala (dal termine longobardo sal) ed è questo
termine, che, oltre a svelare da cosa ha preso origine il nome
del casale, ci consente di collocarne il sorgere nel ventennio
di comando del duca Zottone, cioè nel periodo che va dal 571
al 591 d. C..
Nel luogo dove era stata costruita la sala per riscuotere il
tributo dell’hospitalitas veniva poi edificata la dimora del capo
della fara e signore del luogo, duca o gastaldo; dimora che
veniva perciò identificata come curtis domini regis ( la corte
del signore
re ) intesa non solo come dimora ma anche
come aula, luogo in cui si amministrava la giustizia e si
effettuavano commerci e scambi. Ciò spiega perché i luoghi,
individuati col toponimo di Sala, siano divenuti così frequenti
in tutta l’Italia e anche nelle nostre contrade, dopo l’invasione
longobarda,
com’è dimostrato dal nome, ancora attuale, di
alcune località della Campania, quali Sala di Montoro, Sala di
Castelvetere sul Calore, Sala Abbagnano di Salerno, Sala
Consilina, per citarne solo alcune.
La dimostrazione del fatto che la zona, in cui s’insedia
l’attuale abitato di Sala di Serino, fosse particolarmente adatta
a favorire commerci e scambi è data dall’esistenza, nelle sue
immediate vicinanze, di un altro piccolo casale dal nome
antico , Dogana Vecchia, con la cui storia quella del casale di
Sala s’intreccia e si confonde. Anche in questo caso è il nome
12
Sala di Serino
del casale, particolarmente significativo, ad indicarci la sua
esistenza fin da tempi molto antichi e, secondo Filippo
Masucci, attribuibile all’epoca romana.
È certo che furono i romani, nel corso delle loro conquiste
territoriali, ad istituire l‘ager publicus (il territorio confiscato
ai popoli vinti e dichiarato demanio dello Stato Romano) e
anche l’imposizione di una tassa o dazio ( dal termine latino
datio, dationis ) per ogni specifico uso che i privati volessero
fare di questo ager publicus, come farvi pascolare le greggi,
raccogliere legna, ghiande e altri prodotti spontanei del bosco.
I dazi, imposti dai romani sul trasporto e sullo scambio delle
merci, risalgono anch’essi a un’epoca molto antica, quella dei
sette re di Roma, cosa di cui ci ha dato notizia Livio, che,
parlando della guerra contro l’etrusco Porsenna, afferma che i
patrizi, per tenere buona la plebe, le concessero l’esenzione
dalle imposte denominate portorium ( pedaggio sul passaggio e
sul trasferimento delle merci) e tributum (imposta straordinaria
sul reddito che si applicava in caso di guerra o di calamità). 17
Filippo Masucci sostiene, però, che è il nome del villaggio,
una volta chiamato Dogana (o Adohane) e ora denominato
Dogana vecchia, che ―ci richiama ai tempi romani‖ e che, per
Serino, era importantissima l’esistenza di una Dogana
pecudum;18 ma l’ipotesi del Masucci, anche se corroborata
dal fatto che i romani usavano imporre dazi fin dalla fine del
VI secolo avanti Cristo (epoca in cui viene collocata dagli
storici la guerra contro Porsenna ) può essere presa in
considerazione solo a partire dalla fine della terza guerra
17
Tito Livio, Ab urbe condita, II,9; portoriisque et tributo
plebes liberata, ut divites conferrent qui oneri ferendo esset-=e
la plebe fu esonerata dai pedaggi e dal tributo affinché li
pagassero quei ricchi che erano in grado di pagare .
18
Masucci Filippo, Serino nell‘Età antica ( ricerche storiche)
Tipografia Pergola, Avellino 1959, p. 55.
13
Filomeno Moscati
sannitica (298-290 a, C.), epoca in cui i romani, divenuti
padroni assoluti del Sannio con la definitiva vittoria sui
Sanniti, imposero ai pastori sabelli un tributo sulle greggi che
essi conducevano a svernare nelle terre di Puglia,19 come
afferma Varrone reatino nel suo De re rustica.
L’ipotesi del Masucci, tuttavia, anche se valida per quanto
riguarda l’esistenza, fin dall’epoca romana, dell’imposizione di
un diritto di passo sugli armenti dei pastori sanniti, non può
essere ritenuta altrettanto valida per quanto riguarda
l’esistenza, in epoca romana, di una dogana nel casale oggi
conosciuto come Dogana vecchia, poiché il dazio sugli
armenti era riscosso direttamente, dai ―publicani‖ (appaltatori
delle imposte), lungo i tratturi della transumanza. Nessun
reperto archeologico o documentale comprova, inoltre,
l’esistenza di una dogana in Serino nel periodo romano, e,
anzi, il nome stesso di Dogana, assunto in seguito dal casale,
lo colloca in un’epoca successiva, e di gran lunga posteriore,
giacché il vocabolo ―dogana‖ era inesistente nell’antica lingua
latina20 e si ricollega a tempi assai più vicini a noi e
all’esistenza effettiva, in esso, di una dogana, cioè all’epoca
dei Normanni.
La parola dogana è di origine assai più recente, e. secondo
Antonio Nicali, deriverebbe dal termine arabo diwani, col
19
Varrone reatino, De re rustica, II, 1,4,Greges ovum longe
obiguntur ex Apulia in Sannio aestivatum atque ad publicanum
profitentur, ne, si inscriptum pecus paverint, lege censoria
committant= le greggi di pecore venivano spinte lontano, dalla
Puglia nel Sannio, per passarvi l’estate, e al pubblicano erano
dichiarate, perché, se avessero fatto pascolare [ nell’ager
publicus] il bestiame registrato, non sarebbero incorsi nella
legge censoria;
20
N d A. Presso i Romani l’ufficio dove si riscuoteva il dazio (
detto portorium o vectigal) veniva chiamato telonium;
14
Sala di Serino
quale gli arabi indicavano i sedili, di forma particolare, sui
quali venivano fatti accomodare coloro che andavano a pagare
il tributo, e fu acquisita nel lessico volgare soltanto nel Medio
Evo, quando s’incrementò il commercio con l’Oriente e fu
perfezionata la tecnica commerciale degli scambi con
l’istituzione e la costruzione dei fondaci , ossia di locali per il
deposito delle merci.21
L’esistenza di dogane ad Avellino, Atripalda e Serino può
essere ritenuta certa soltanto a partire dal secolo XII, cioè
dall’epoca dei Normanni. Fu, infatti, il re normanno Ruggiero
II (1130-1154) a stabilire che l’ammontare dello Jus
plateaticum (tassa sulla compra -vendita di animali, che si
riscuoteva sulle piazze e che ammontava al tre per cento) fosse
esteso a tutti gli altri contratti di compra -vendita ―di panni ed
altre merci‖, e che il pagamento di questi nuovi dazi dovesse
avvenire ―nella dogana, ch‘era l‘ufficio di rendite fiscali‖22
poiché era la dogana ―il luogo dove sotto i Normanni tenevasi
il registro dei pesi feudali, e segnatamente dell‘adoha, (tassa
pagata dai feudatari in sostituzione del servizio militare) da cui
può dirsi con più verisimiglianza aver preso nome‖,23mentre
―seguitò l‘antico dazio sulla vendita degli animali a
riscuotersi nelle piazze da‘ pubblicani e si tenne per un ramo
di quello che dohana chiamavasi‖24. È questa la ragione per
cui l’esistenza di una dogana, in Serino, può ritenersi certa solo
a partire dall’epoca dei Normanni ed è da quest’epoca che può
essere ritenuta certa anche l’esistenza di un casale identificato,
21
Nicali Antonio, Storia delle dogane, Edizione curata da
Giuseppe Favale-Direttore Ufficio Amministrazione e Finanza
22
Bianchini Lodovico, Della storia delle finanze del Regno di
Napoli, Stamperia di Francesco Lao, Palermo 1839, Vol. I p.
37;
23
Bianchini Lodovico, idem, p. 38;
24
Bianchini Lodovico, ibidem, p.38;
15
Filomeno Moscati
oltre due secoli dopo, col toponimo di ―La Dogana,‖ o, con
maggiore esattezza, ―Adohane‖ ( ciò che avvalora e rende
condivisibile l’ipotesi del Bianchini) come chiaramente si
evince da molteplici documenti ufficiali di epoca aragonese.
Fu , inoltre, sotto i Normanni che lo sfruttamento e
l’utilizzazione dei pascoli assunse nuova forza e vigore, a
causa dell’importanza che essi attribuirono all’allevamento del
bestiame come fonte di ricchezza, e fu posto sotto l’egida dello
Stato il territorio incolto demaniale, che, da allora, venne
designato come foresta , termine derivato dal basso latino per
evidenziarne le caratteristiche di luogo selvatico, posto fuori
dell’abitato e protetto dalla legge; 25 ed è sintomatico il fatto
che, da allora, alcune zone boscose dell’attuale Serino siano,
ancora oggi, denominate col nome di ―Foresta‖ o ― ‗ncoppa
Foresta‖.
La presenza, al tempo dei Normanni, di una ― Dogana‖,
nel cui fondaco dovevano essere depositate e custodite, sotto
l’egida e la protezione dello Stato, le merci destinate alla
contrattazione di compra-vendita, pur avendo conferito al
casale una certa importanza economico-sociale , almeno per
quei tempi, non riuscì, tuttavia, a modificarne immediatamente
l’antico e originario nome, che era quello di ―Casale S.
Eustasii‖ . Il casale, difatti, prendeva nome dall’antica chiesa
intorno alla quale esso si era andato formando, e, a circa due
secoli dall’epoca dei Normanni, nel 1309 (sec. XIV), in pieno
dominio angioino, esso era ancora identificato col nome della
sua chiesa, come risulta da un documento di quell’anno,
conservato nell’Archivio Diocesano di Salerno, il quale
testualmente recita che ‖in Casali S. Eustasii est ecclesia S.
25
Pianigiani Ottorino, Vocabolario etimologico della lingua
italiana, Edizioni Polaris, Varese 1993, voce foresta, p. 551
16
Sala di Serino
Eustasii‖26 come riportato nell’opera di un illustre serinese, la
―Salerno Sacra‖ di monsignor Generoso Crisci, il quale tiene
a precisare che ―la sua origine risale certamente ad epoca
antecedente, anche se la mancanza di documenti impedisce di
precisarne la data‖.27 Questa origine doveva, comunque,
essere anteriore all'anno 1168, anno in cui Papa Alessandro III
(1159-1181) emise una bolla in cui elencava tutte le
Arcipreture della Diocesi di Salerno e ne definiva i confini; e
fra queste c'era l'Arcipretura di Serino.
Solo a cominciare dal periodo del dominio aragonese
(1443-1504) il casale di S. Eustachio non fu più identificato
con il nome della sua antica chiesa ma con quello di Dogana,
anzi di Adohane, come si evince da un documento del 13 luglio
1469 (sec. XV); un diploma,
che è un vero e proprio
contratto, con il quale il Re Ferrante d’Aragona (1458-1494)
sancisce la vendita, ―attesi gli urgenti bisogni della corte‖, ai
coniugi Lodovico della Tolfa e Agnesa de Ursinis, della
―Terram Sereni, in provincia Principatus ultra cum casalibus
Sancte Lucie, Santi Blasii, Santi Sossii, Raboctulorumm,
Adohane, Pontis, Ferrariorum, Sancti Joannis, Toppule,
Canalis, Sancte Agates et Sancti Michaelis‖.
La nuova denominazione di Adohane, assunta dal casale
prima chiamato di S. Eustachio, si spiega facilmente se essa
viene collegata alla politica economica instaurata nel suo regno
dal re Alfonso d’Aragona ( 1443-1458) e fatta propria da suo
figlio Ferrante (1458-1494) ; una politica protezionistica, che,
prevedendo l’integrazione economica fra i possedimenti
spagnoli e i possedimenti italiani della corona , obbligava i
sudditi italiani a comprare prodotti industriali esclusivamente
26
Rat. Dec. 418, n. 6126, in Crisci Generoso, Campagna
Angelo, Salerno Sacra, Edizione della Curia Arcivescovile,
Salerno 1962, p. 363;
27
Crisci Generoso, Campagna Angelo, idem, p.363;
17
Filomeno Moscati
aragonesi e i sudditi aragonesi ad approvvigionarsi con
prodotti agricoli esclusivamente italiani. 28 Fra i prodotti
agricoli italiani fu incrementata la produzione del grano; e ne
fu favorito il commercio con leggi che ne sancivano il deposito
nei fondaci delle dogane e la contrattazione, nello stesso
luogo, alla presenza di funzionari doganali che garantivano,
oltre la regolarità dei contratti,
la custodia delle merci
depositate e l’esattezza dei pesi e delle misure. Il nuovo
toponimo di Adohane è, in modo evidente, legato alla presenza
e all’importanza, nell’ormai ex casale di S. Eustachio, di una
“dogana dei grani‖ quale segno materiale tangibile della
politica economica della dinastia aragonese, che trovava nei
dazi doganali uno dei principali cespiti della corona, com’è
dimostrato dall’istituzione della Dogana di Puglia o del
Tavoliere di Foggia, voluta proprio dal re Alfonso
d’Aragona.29 Era questa la dogana in cui dovevano essere
pagati i pedaggi delle greggi transumanti in Puglia perché
potessero usufruire dei pascoli invernali, dogana che fu da
allora conosciuta e identificata come Dogana pecudum, o
Dogana menae pecudum, ―così chiamata dal menare che
facevansi tali animali in quel sito‖.30
Il termine Dogana menae pecudum, riferibile in modo quasi
esclusivo alla Dogana di Foggia, entrò a far parte del lessico
volgare solo a partire dall’anno 1447, anno in cui il re Alfonso
d’Aragona istituì la Dogana, con sede prima a Lucera e poi a
Foggia; ed era indicativo non solo del palazzo in cui avevano
sede gli uffici, ma anche della complessa macchina
economico-amministrativa messa in atto per la gestione dei
28
Vitolo G., Medioevo, in Corso di Storia diretto da C.
Galasso, Ed. Bompiani, Milano 1996, pp. 556,557;
29
Croce Benedetto, Storia del Regno di Napoli, Adelphi
Edizioni, Milano 1992, p.75;
30
Bianchini Lodovico, opera citata, p. 189
18
Sala di Serino
tratturi, dei pascoli e per la riscossione dei tributi e non può,
perciò, costituire fonte di richiamo dei tempi romani, come
ipotizza Filippo Masucci.
Il nome del casale subì una ulteriore variazione nel secolo
successivo (sec. XVI), una variazione che, con l’assunzione
del nuovo toponimo di ―Dogana Vecchia‖, contrassegna
l’esistenza di una nuova dogana, in sostituzione di quella
antica, in un sito diverso della ―Terra di Serino‖. La nuova
denominazione di “Dogana Vecchia‖, compare in un
documento ufficiale incontrovertibile, il pagamento del relevio
( tassa di successione ) che il feudatario Giovan Battista II
della Tolfa, figlio primogenito di Lodovico II della Tolfa,
pagò alla Corona di Spagna, nel frattempo subentrata alla
dinastia aragonese, dopo la morte del suo genitore avvenuta nel
1539 (sec. XVI). Nel documento si dice che Giovan Battista II
della Tolfa ―soddisfece alla Regia Corte il relevio su la terra
di Serino con i suoi casali di Santa Lucia, li Troyani, Santo
Sosso, Santo Biase, Ravottoli et le Percole, la Sala, Santo
Iacobo, Dohana vecchia, Rayano, Ponte, Ferrari et Santo
Ioanne, Canale, Toppola et Santa Agata.‖31
31
Ricca Erasmo, Istoria de Feudi delle Due Sicilie, Stamperia
di Agostino De Pascale, Napoli 1869, Vol. IV, p.429;
19
Filomeno Moscati
Bibliografia
Bianchini Lodovico, Della storia delle finanze del regno di
Napoli, Stamperia di Francesco Lao, Palermo 1839;
Crisci Generoso, Campagna Angelo, Salerno Sacra, Edizione
della Curia Arcivescovile, Salerno 1962;
Croce Benedetto, Storia del Regno di Napoli, Adelphi
Edizioni, Milano 1992;
Masucci Filippo, Serino nell‘Età antica, ricerche storiche,
Tipografia Pergola, Avellino 1959;
Nicali Antonio, Storia delle dogane, Edizione curata da
Giuseppe Favale- Direttore Ufficio Amministrazione e
Finanza;
Paolo Diacono, Historia Langobardorum;
Pianigiani Ottorino, Vocabolario etimologico della lingua
italiana, Edizioni Polaris, Varese 1993;
Ricca Erasmo, Istoria de Feudi delle Due Sicilie, Stamperia di
Agostino De Pascale, Napoli 1869;
Salmon E. T., Il Sannio e i Sanniti, Giulio Einaudi Editore,
Torino 1985;
Tito Livio, Ab Urbe condita;
Varrone reatino, De re rustica;
Vitolo Giovanni, Medioevo, Edizioni Bompiani , Milano1996;
20
Sala di Serino
III
Dogana Nuova alias Lo Mercato
Chiesa e Convento dello Spirito Santo
Il documento comprovante il pagamento del relevio, che
Giovan Battista della Tolfa II pagò dopo la morte di suo padre
Lodovico, pur facendo chiaramente intendere l’esistenza di una
nuova dogana, non ritiene degna di menzione né la dogana
nuova, così importante per le entrate fiscali della Corona, né il
luogo in cui essa è stata ubicata. La dogana nuova, e il sito in
cui essa è situata e con cui viene in alternativa indicata ( alias
lo Mercato= ossia il Mercato) appaiono, invece, esplicitamente
nominati, assieme a quello di Dogana vecchia, in un altro
contratto di compra-vendita in cui si afferma che Alfonso
Caracciolo, Principe di San Buono, con regio assenso del 27
ottobre del 1626 (sec.XVII) vende per ducati 102000 al Dottor
Tommaso de Franchis ― la terra di Serino con i suoi casali
nominati Santa Lucia, Trojani, Guanni, Santo Sosso, Strada,
Santo Biase, Grimaldi, Fontanella, Revottolo, Sala, Dogana
vecchia, San Giacomo, Raiano, Ponte, Ferrari, Toppola,
Canale, Sant‘Agata, Piscarole, San Michelangelo, Dogana
nuova alias lo Mercato, et con altre Ville seu Casali habitati
et inhabitati‖32
Dai documenti ufficiali sopra citati risulta evidente che il
trasferimento della dogana nella nuova sede deve essere
avvenuto fra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, appare
perciò strano che Alfonso Masucci, dopo avere confessato di
―ignorare quando la vecchia dogana fu abbandonata‖,
affermi poi che ―nel Trecento il trasferimento era già
avvenuto‖ perché ―consigliato anzi richiesto da un suolo più
32
Ricca Erasmo, Istoria de Feudi delle Due Sicilie, Stamperia
di Agostino De Pascale, Napoli 1864, Vol. IV, p. 430:
21
Filomeno Moscati
pianeggiante, da uno spazio più ampio, da una posizione più
centrale‖;33 ragioni non solo opinabili ma certamente assai
discutibili e addirittura da contraddire, visto che egli stesso
afferma in modo assai più veritiero, parlando della chiusura
della chiesa dello Spirito Santo, che il sito era ―posto in luogo
fuori mano‖.34 Ancora più strano è che nella lunga serie di
documenti, da lui citati per comprovare l’esistenza della
dogana nel nuovo sito (quasi tutti atti notarili) non ve ne sia
uno anteriore all’anno 1545 ed è addirittura sintomatico il fatto
che ―in uno strumento del 1546 per notaio Pietro Iannella, il
fabbricato per uso della dogana‖, esistente a Forum novum (
piazza o mercato nuovo), venga definito come ― dohanellam
dicti fori ( la piccola dogana del mercato suddetto).35
La verità è che il trasferimento della dogana dei grani nel
nuovo sito era stato causato non dalle ragioni addotte dal
Masucci, ma dal fatto che in esso sgorgavano le sorgenti del
fiume Sabato, denominate Acquara, le cui acque erano in
grado di far girare, senza soluzione di continuità, le macine
del mulino feudale ivi esistente. Ciò costituiva un richiamo
irresistibile per tutti i trasportatori, che, avendo comprato grano
in Puglia, volevano venderlo sotto forma di farina a Napoli,
dopo averlo macinato nei famosi cinque mulini dei principi
Caracciolo, ubicati in Avellino lungo il torrente Fenestrelle, o
in quello del conte di Serino; mulino che costituiva una fonte
di cospicuo reddito per il feudatario, dato che il commercio del
grano venne favorito ancora di più dalla ristrutturazione della
regia strada delle Puglie, avvenuta durante il corso della
33
Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia
Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, vol. II, p. 144;
34
Masucci Alfonso, idem, p, 155;
35
Masucci Alfonso, idem, p. 146;
22
Sala di Serino
seconda metà del secolo XVI.36 Lo prova l’affluenza di
trasportatori, di grano da macinare, in località Dogana nuova
nei giorni del mercato, che si teneva il martedì e il venerdì.
Quest’affluenza era così alta, che, nei capitoli stipulati a
Napoli il 1° dicembre 1584 fra L’Università di Serino,
rappresentata dal suo sindaco Fabio Moscati, e la feudataria
Costanza Loffredo, quale tutrice e rappresentante della nipote
minorenne Costanza della Tolfa, fu ritenuto necessario
inserire una clausola che permettesse, in quei giorni, l’utilizzo
di almeno una macina ai cittadini di Serino per sopperire ai
bisogni indispensabili della popolazione. La clausola , come
risulta da una copia del capitolato conservata nell’archivio
della famiglia Moscati a Faiano, dice ‖che ne li giorni de la
dohana come il martedì et il venerdì al‘hora de mezo giorno il
molinaro sia tenuto dare uno de li molina, lo meglio, per uso
de cittadini acciò possano macinare et fare pane per uso et
grassa de la terra et non vengha a mancare pane per difetto de
molina et che lo molino sia atto ed idoneo alla macina.‖37
La presenza della Dogana, del mulino feudale e del mercato
in uno stesso sito, ubicato all’interno dei muri perimetrali
dell’odierno acquedotto di Napoli, fra gli attuali incroci di Via
Santa Lucia – Stazione ferroviaria con Via Pescatore e via
Convento, causò il sorgere, in esso, di un certo numero di
apoteche e di un piccolo nucleo abitato, un nucleo tanto
piccolo, che, come risulta da un censimento del 1743, era
costituito da appena cinque famiglie con un numero
36
Barra Francesco, La città dei Caracciolo, in Storia illustrata
di Avellino e dell‘Irpinia, Vol. III, L‘Età moderna, Sellino e
Barra Editori, Pratola Serra (AV) 1996, p.2;
37
Moscati Ruggero, Una famiglia borghese del Mezzogiorno,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1964, p.31;
23
Filomeno Moscati
complessivo di tredici abitanti.38 Ciò conferma che, in realtà,
Dogana Nuova era soprattutto un luogo di commercio,
particolarmente frequentato nei giorni di mercato del martedì e
del venerdì, quando vi affluivano non solo i trasportatori di
grano dalla Puglia, ma soprattutto quelli dell’Alta Irpinia,
come risulta da un’altra clausola del capitolato del 1584, in cui,
per favorirne l’afflusso, si stabilisce specificamente che‖tutti
pratticanti in la dohana, de la Torella, Monte Marano,
Castiello Vetere, Castiello de li Franci, de Nusco, de li Lioni,
Tegoro (Teora), Santo Angelo, de Pesco Pagano et altri luoghi
debiano essere trattati come cittadini [ di Serino] a tutti atti
che facessero in tribunali civili o criminali.‖39
Sempre allo scopo di favorire l’afflusso dei forestieri, il
capitolato sancisce, inoltre, che ‖l‘officiale et sui famigli non
possano levare arme a forestieri che passano per lo territorio
di Serino ancora che non le portassero legate‖ e, infine, ―che
li officiali non possano levare a forastieri cosa nulla, a quelli
che portano a vendere per tutta la terra, tanto de peso come de
misura;....né dare nulla sorte de fastidio a detti venditori attale
che pise et misure le diano li catapani (addetti alla riscossione
delle multe) como antiquamente è stato observato.‖40
Malgrado la piccolezza del nuovo casale, denominato
Dogana Nuova ossia lo Mercato, fu proprio l’affluenza di un
maggior numero di persone nei giorni di mercato a causare,
nel corso del secolo XVI, due avvenimenti importanti, la
ricostruzione di un ponte in muratura sul corso del fiume
Sabato , e la costruzione di una chiesa nella zona di Mercato
nuovo.
38
Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia
Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, Vol. II, p. 146.
39
Moscati Ruggero, opera citata, p.31;
40
Moscati Ruggero, idem, p. 31.
24
Sala di Serino
Il ponte, situato fra il casale di Santa Lucia e quello di Dogana
nuova, fu ricostruito nell’anno 1571 per consentire ai
mercanti dell’Alta Irpinia (che giungevano a Serino attraverso
la Via della Mezza Costa ), agli abitanti di Santa Lucia e, di
conseguenza, a tutti quelli della riva destra del fiume Sabato,
un più facile accesso a Mercato Nuovo. La ricostruzione del
ponte fu facilitata dal fatto che il casale di Santa Lucia
partecipava alla gestione del mercato, perché, pure essendo in
fase di separazione amministrativa dall’Università di Serino,
non lo era affatto dal punto di vista dell’indipendenza
territoriale, avvenuta soltanto nel 1939.41
La costruzione della chiesa di Santo Spirito a Mercato
Nuovo, completata nell’anno 1564, fu causata, secondo
Alfonso Masucci, dal fatto che ―le antiche chiesette
parrocchiali erano diventate anguste per la cresciuta
popolazione e mal si prestavano alle solenni cerimonie
religiose, a cui prendeva parte tutta Serino. Sorse quindi nei
governanti il desiderio e il bisogno di edificare un tempio più
grande, più adatto alle feste e alle funzioni sacre spettanti al
comune,‖ ragione per cui ―verso la metà del Cinquecento le
due Università, di Santa Lucia e di Serino, convennero con
l‘aiuto del feudatario d‘innalzare una chiesa al Mercato
Novo...quasi a cementare la loro concordia e la loro
fratellanza‖ 42
Le ragioni, addotte dal Masucci per spiegare l’edificazione di
un nuovo tempio in un sito periferico, fuori mano e
frequentato solo nei due giorni di mercato settimanale,
appaiono in verità molto deboli, soprattutto se si tiene presente
che, a metà del secolo XVI, erano state edificate la chiesa di S.
Pietro a Santa Lucia, in sostituzione di quella di S. Lucia; la
41
Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg,
Penta di Fisciano (SA) 2005, p. 298;
42
Masucci Alfonso, ibidem, p.147;
25
Filomeno Moscati
Chiesa del Corpo di Cristo di San Sossio, in sostituzione di
quella di S. Sossio; la Chiesa della SS: Annunziata di San
Biagio, in sostituzione di quella di S. Biasiello; la Chiesa della
Madonna della Neve di Sala, in sostituzione di quella di S.
Eustachio; la Chiesa di S. Antonio di Ribottoli, in sostituzione
di quella di S. Stefano, tutte definite grandi e belle nelle
relazioni delle visite pastorali effettuate in quel secolo. 43 Le
ragioni addotte dal Masucci possono, però, assumere forza e
vigore se collegate a un avvenimento importante per la vita di
Serino, almeno a quei tempi: l’abbandono del castello
medioevale da parte dei Della Tolfa, feudatari di Serino, che,
proprio in quell'epoca, avevano preso
stabile dimora nel
―palazzotto‖ da loro fatto costruire nella frazione Ponte. Sorse
perciò naturale nei feudatari Della Tolfa, (divenuti nel
frattempo con Giovan Battista della Tolfa II conti di Serino
nell’anno 1556)44 il desiderio e l’ambizione di onorare il titolo
nobiliare di conte, di recente acquisito, facendo edificare una
chiesa che prendesse il posto di quella di S. Maria delle Grazie,
sita nella cerchia delle mura del castello feudale da loro
abbandonato. C’era, inoltre, una ragione di carattere pratico e
venale, che spingeva i conti di Serino a valorizzare il sito di
Mercato Nuovo, l’esistenza in esso del mulino feudale, che, in
virtù dei diritti proibitivi e di privativa, costituiva una fonte di
cospicui redditi per le finanze feudali.
Per la costruzione di
questa chiesa, situata non troppo lontano dalla loro nuova
residenza nel casale Ponte, i feudatari si avvalsero della
collaborazione delle Università di Serino e di Santa Lucia e di
tutti i cittadini che avessero voluto parteciparvi. Essi
mostrarono chiaramente di considerare la nuova chiesa come la
loro chiesa, dedicandole un’attenzione particolare
con
43
A D S (Archivio Diocesano di Salerno), Visite pastorali;
44
Ricca Erasmo, Istoria de‘ Feudi delle Due Sicilie, Stamperia di Agostino
De Pascale, Napoli 1869, Vol. IV, p. 429;
26
Sala di Serino
donazioni, creazioni di rendite, erezione di benefici e
affrontando spese, non indifferenti per quei tempi, per renderla
più bella e consona all’ importanza dei Conti di Serino.
Fu proprio Giovanni Battista della Tolfa II ( 1539-1567),
primo feudatario a fregiarsi nell’anno 155645 del titolo di
Conte di Serino, a dimostrare una particolare predilezione per
la chiesa appena costruita, perché, in un documento ufficiale e
sacro come il suo testamento, redatto nel marzo dell’anno
1565, appena un anno dopo la costruzione della chiesa, e
aperto dopo la sua morte avvenuta nel mese di ottobre del
1567, egli aveva stabilito che ―in ogni tempo che verrò a
morte, lasso, ordino e comando che il corpo mio si debia
seppellire in la venerabile ecclesia de la dohana nova della
mia ditta terra di Serino, sub vucabulo de lo Spirito Santo,‖ in
una sepoltura ―da farsi in terra davanti la grata de l‘altare
maggiore ... et seguendo mia morte fora de detta terra di
Serino il mio corpo si debia depositare in una ecclesia e di lì
poi, infra un anno, si debia conducere in detta sepoltura in la
detta ecclesia‖ (notaio Scipione Foglia).
L’ evidente predilezione del primo conte di Serino per la
chiesa dello Spirito Santo, resa palese dall’ordine e comando
di essere seppellito in essa, in terra e davanti alla grata
dell’altare maggiore, è ampiamente giustificata qualora si
tenga presente che detto altare oltre ad essere intitolato alla
Madonna delle Grazie, titolare e patrona dell’antica chiesa
inclusa nelle mura di cinta del castello medioevale
abbandonato dai feudatari, era di iurepatronato dei conti di
Serino, come chiaramente risulta dal verbale di una visita
pastorale eseguita il 10 di settembre dell’anno 1608. Il
verbale dice:
45
Ricca Erasmo, Istoria de‘ feudi delle Due Sicilie, Stamperia di Agostino
De Pascale, Napoli 1869, Vol. IV, p. 429;
27
Filomeno Moscati
―Nel Monastero dello Spirito Santo dell‘ordine conventuale di
S. Francesco
Compiuta la visita alla chiesa parrocchiale di S. Lucia il
predetto signor visitatore - si recò al Monastero di Santo
Spirito dell‘ordine predetto e – visitò due semplici benefici
esistenti nell‘altare maggiore – di detta chiesa, di cui sono
beneficiati il Reverendo Don Ottavio Nucleanus – di Napoli e
il francescano Don Tommaso Iannella di Serino – i quali
presiedono per il iure patronato del signore di detta terra – di
Serino.I detti benefici hanno un reddito annuo di ducati quindici per
ognuno di essi – con l‘obbligo di celebrare una messa ogni
sette giorni – per ognuno dei beneficiati.- Le messe suddette
sono celebrate per metà da parte del suddetto Don Ottavio, si
celebra – dal detto guardiano quanto rimane come [ fatto]dal
precedente guardiano. – Gli eredi pagano carlini ventiquattro
e il francescano Don Tommaso Iannella – celebra le messe
sue.
Fu ordinato al detto francescano Don Tommaso di esibire la
bolla di elezione e di esibire – l‘inventario entro un mese sotto
pena di libbre di cera dieci, e al detto guardiano – che mostri
il beneficio predetto e che entro un mese il guardiano presenti
in curia sia la licenza che l‘inventario.
II 048
Successivamente visitò la Confraternita della Santissima
Concezione eretta in un altare sulla parte sinistra - in detta
chiesa dello Spirito Santo, di cui sono maestri Ferdinando de
Mattio, mastro - Ferdinando Cocullo, Paolo Russo e Gabriele
de Filippo. Fu ad essi ordinato che entro il giorno seguente
presentino la bolla – di erezione e delle indulgenze e i conti
dell‘amministrazione passata e il computo – dei beni che la
stessa confraternita possiede sotto pena di sospensione – della
confraternita.-
28
Sala di Serino
La confraternita stessa indossa sacchi bianchi, con cappucci
bianchi e- mozzette cerulee e si esercita in opere di carità e –
nelle processioni generali..
Ha un reddito di ducati sei e per il restante riceve elemosine. –
Fu dato mandato ai maestri di produrre copia dell‘inventario
dei beni mobili – e stabili della confraternita. – I maestri della
confraternita dicono che si prendono cura di far celebrare una
messa cantata – sempre nella seconda domenica di ogni mese
e altre messe – sei per anno e fanno processioni, le quali tutte
– vengono eseguite dal guardiano a cui pagano carlini
quindici. – I maestri della congrega vengono eletti ogni anno
dal guardiano e - dai maestri uscenti.
Fu ordinato che tutte le cose facciano col consenso del
guardiano e dei maestri – I maestri produssero la bolla di
erezione e i conti.46 II 049
Come si evince dalla relazione della visita pastorale eseguita
nell’anno 1608, cioè dopo 54 anni dalla sua costruzione, la
chiesa dello Spirito Santo a Mercato Nuovo aveva soltanto due
altari funzionanti, l’altare maggiore, di iurepatronato dei conti
di Serino, e quello della Congrega della Santissima
Concezione; ben poca cosa, in verità, per una chiesa che era
stata costruita per essere il tempio di tutta Serino, come
ipotizza il Masucci; e ciò malgrado tutti gli sforzi compiuti dai
feudatari “della Tolfa”, che, per renderla veramente
funzionante e frequentata, avevano promosso la costruzione,
accanto ad essa, di un convento francescano dallo stesso titolo.
Essi, per fare sì che il convento sorgesse, fecero giungere
all’arcivescovo di Salerno Marco Antonio Marsilio Colonna
(1574-1589) , in data 22 maggio 1577, tre richieste ―per
l‘erezione di un convento di S. Francesco dell‘Ordine minore
conventuale in Serino presso la Chiesa dello Spirito Santo.‖
46
A D S (Archivio Diocesano di Salerno), Visite pastorali;
29
Filomeno Moscati
La prima di queste richieste, avanzata dalla contessa Costanza
de Loffredo, vedova del feudatario Francesco della Tolfa,
premorto al padre Giovan Battista della Tolfa II, dichiarava
che Ella, ―senza pretendere nulla dalla Mensa arcivescovile
donava,‖ ai padri dell’erigendo convento, ―ducati cinquanta
annui, pane e vino per il loro sostentamento‖. Nella seconda
richiesta, fatta a nome del conte di Serino Giovan Battista della
Tolfa III ( 1567-1580), dopo aver di nuovo chiarito che nulla si
pretendeva dalla Mensa arcivescovile, il feudatario precisava
che Egli voleva dare ai padri conventuali ―l‘intrate e quello
che dalle forze mie possa venire‖.
La terza richiesta, fatta a nome delle autorità comunali,
chiarisce, in modo definitivo, come e da chi sia stata promossa
l’edificazione di una chiesa e di un convento di frati minori
conventuali nella località di Mercato Nuovo di Serino, poiché
in essa si dice che ―desiderando il conte nostro fabbricare un
convento di tale religione in Serino, abbiamo non solo
assecondato un tal pio desiderio ma abbiamo sollecitato lo
stesso conte a far presto per dare inizio a questa santa
opera‖.47
Una nuova tappa dell’iter per la costruzione del nuovo
convento fu compiuta otto giorni dopo, il 30 maggio 1577,
dagli amministratori dell’Università (Comune) di Serino,
Magnifici Antonio Lota, sindaco, Alessandro Magnacerbo,
eletto (equivalente a consigliere- assessore), Troiano De
Nicolais, eletto, Matteo Saccardo, eletto, Sebastiano Cirino,
eletto, e dal Padre provinciale dei frati minori conventuali,
Giovanni Scavo da Napoli, con un atto notarile stipulato, nella
Chiesa dello Spirito Santo a Mercato Nuovo, dal notaio
Francesco Iannella. Nell’atto gli amministratori affermarono
―in una con l‘Illustrissimo Signore Giovan Battista della
Tolfa, attuale conte di detta Terra, di concedere e donare al
47
A D S , Benefici e Cappelle;
30
Sala di Serino
detto Ordine dei Minori Conventuali la detta Chiesa dello
Spirito Santo assieme a due moggi di terra confinanti con la
stessa chiesa.... e anche con ogni e qualsivoglia diritto introito
ed azione a detta chiesa...pertinente.‖ In cambio di ciò
l’Ordine dei Frati Minori si impegnava a mantenere nel
convento, a spese proprie, sette monaci, dei quali cinque di
messa (padri) e due per i servizi (frati conversi o picuozzi).
A dimostrazione di come i feudatari considerassero di loro
patronato sia la chiesa che il convento dello Spirito Santo,
l’iter preparatorio alla costruzione del Convento di Santo
Spirito fu completato il giorno successivo, 31 maggio 1577,
sempre dallo stesso notaio, Francesco Iannella, con due atti
notarili. Nel primo di essi, stipulato a Mercato Nuovo, il Conte
di Serino, Giovan Battista della Tolfa III, concede, alla Chiesa
e al costruendo Monastero dello Spirito Santo, 36 ducati annui
da prelevarsi sulle rendite del suo feudo denominato “Le
Percole”, sito nell’ambito territoriale del casale Rivottoli, e,
qualora ciò non fosse stato bastevole, dalle rendite dei suoi
beni burgensatici,48 e, inoltre, 25 tomoli49 di grano da
prelevarsi al tempo della trebbiatura. (tempore escuniae). Nel
secondo atto, stipulato nello stesso giorno, ma questa volta nel
palazzotto del conte a Ponte di Serino, la contessa Donna
Costanza Loffredo dona, al convento che si deve costruire, 15
tomoli di grano all’anno per il sostentamento dei frati.
Confermano la predilezione e il favore che chiesa e convento
godevano, sia presso i conti che presso alcune famiglie nobili
di Serino, l’istituzione di due monti di maritaggio che si
48
N d A, burgensatici erano detti i beni di proprietà esclusiva
del feudatario, non ricevuti per investitura;
49
N.d A. il tomolo era una misura di capacità per grani, a
forma di tronco di cono , usata in passato nell’Italia
Meridionale e di valore variabile da regione a regione.
31
Filomeno Moscati
assegnavano, con cerimonie di particolare solennità, nella
chiesa dello Spirito Santo.
Il primo e più importante monte di maritaggio fu quello
istituito da un membro importante della famiglia dei Conti
della Tolfa, monsignor Pietro della Tolfa, ultimo figlio di
Lodovico della Tolfa II e di Elisabetta Carafa, il quale, nel suo
testamento, datato 12 dicembre 1583, lasciò ―a la Cappella
sub vocabulo Santa Maria de la Grazia costrutta dentro la
chiesa dello Spirito Santo de mercato novo e proprie in
l‘altare maggiore ducati cento ogn‘anno in perpetuo... con
condizione che detti mastri et procuratori habiano da far
maritaggio di due povere donne di detta Terra per ogni anno
in perpetuum, cioè ducati cinquanta per ciascuna maritanda,
le quali due povere da maritare si debiano eligere per li mastri
et procuratori con l‘autorità et assenso dell‘Ill.ma Contessa
mia madre et heredi‖. Il sorteggio avveniva a conclusione
della processione del Corpus Domini, che terminava , appunto,
nella chiesa dello Spirito Santo. 50
Il secondo fu istituito dallo Utriusque Iuris Doctor (Laureato
in Diritto Canonico e Civile) Lorenzo Manfreda, di Santa
Lucia, con testamento redatto nell’anno 1607. Con questo
testamento Don Lorenzo Manfreda lasciò erede universale dei
suoi beni l’Ospedale dei Pellegrini di Napoli, con l’obbligo , da
parte di quest’ultimo, di impiegare la rendita ricavata dalla
somma di 3000 ducati ( ammontante a 15 ducati per ogni
maritanda ) per il maritaggio di sei giovinette appartenenti alle
famiglie De Filippo, Manfredi e Voira e , in mancanza di esse,
a sei fanciulle ―povere e onorate,‖ due di Santa Lucia e
quattro di Serino, ―eligende per bussola‖,
cioè scelte
mediante sorteggio. Il sorteggio delle fanciulle povere
avveniva, alla presenza delle autorità di Serino e di Santa
50
Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia
Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, p. 150;
32
Sala di Serino
Lucia, nella Chiesa dello Spirito Santo a Mercato Nuovo ― in
festivitate Spiritus Sancti‖, che cade nel lunedì dopo la
Pentecoste.51
Il segno più chiaro della predilezione dei Conti di Serino per
la chiesa dello Spirito Santo, che essi consideravano come la
loro chiesa, in sostituzione di quella di S. Maria delle Grazie
al castello medievale, è dato dal contratto che, secondo quanto
riportato da Alfonso Masucci, la contessa Costanza Loffredo
stipulò, per mano del notaio Francesco Iannella, con il pittore
fiammingo Guglielmo Prekoste(?) nell’anno 1575 e, quindi,
due anni prima dell’inizio dell’iter per la costruzione del
Convento di Santo Spirito. In questo contratto la feudataria
pattuì, con il pittore fiammingo, il dipinto su tavole di legno di
una ―cona‖ (pala d’altare) da collocare sull’altare maggiore,
che era di iurepatronato dei conti di Serino. Nel contratto fu
stabilito che nel quadro di mezzo di detta pala doveva essere
raffigurata la ―Madonna de la Grazia‖ e, nei quadri esterni a
quello centrale, da un lato S. Apollonia e dall’altra S. Agata,
mentre nel quadro superiore doveva essere raffigurato lo
Spirito Santo con, ai lati, da una parte S. Francesco de Paola e
dall’altro S. Antonio di Padova. Il pittore si impegnava ,
inoltre, ad indorare , con oro fino, tutte le cornici e le parti
intagliate di detto quadro e a dipinger d’azzurro finissimo le
parti del quadro che lo richiedevano. La somma pattuita per
dipingere detto quadro fu di ducati 200, somma rilevante per
quei tempi, tutti da pagarsi in carlini d’argento.52
La rilevanza della somma pattuita per il dipinto, l’incarico
dato a un pittore fiammingo, la meticolosa precisione con cui
vengono descritti i dettagli della ―cona‖ (pala d’altare) e le
immagini che deve contenere, sono il segno tangibile della
51
Masucci Alfonso, idem, p. 169;
Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia
Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, Vol. II, p. 146, 147;
52
33
Filomeno Moscati
considerazione che la feudataria accordava alla chiesa di cui
aveva il patronato, ma anche la testimonianza palese del
costume di quel tempo. Fu, infatti, dopo il Concilio di Trento
(1545-1563) e la vittoriosa battaglia di Lepanto (1571) che si
diffuse, in Italia, la moda di servirsi di pittori fiamminghi per
quadri di soggetto sacro; moda favorita da una cospicua
migrazione verso l’Italia di pittori fiamminghi, sia perché
attratti dalle vestigia dell’antica Roma come motivo di studio,
sia per sfuggire ai pericoli derivanti, nelle Fiandre, dalle
sanguinose rivolte antispagnole e dalla conseguente reazione.
Molti di essi presero stabile dimora in Italia perché sedotti
dalla facilità di trovare lavoro, sia per il diffondersi di
immagini e dipinti sacri come mezzo di evangelizzazione della
popolazione, in maggioranza analfabeta; sia per le condizioni
economiche migliori che i pittori fiamminghi offrivano per
fornire la loro opera, rispetto a quelle offerte dalle botteghe dei
pittori locali. Nonostante le condizioni economiche favorevoli,
il costo del quadro, commissionato dalla feudataria Costanza
della Tolfa ad un pittore fiammingo addirittura sconosciuto,
può essere considerato rilevantissimo, specie se rapportato al
costo medio dei quadri dipinti da poco rinomati pittori
fiamminghi, che si aggirava intorno ai 25, 30 ducati.53 È
questo alto costo a indurci a pensare che il quadro della
Madonna delle Grazie (attribuito dal Masucci a un pittore
addirittura sconosciuto e collocato sull’altare maggiore della
chiesa dello Spirito Santo) debba essere attribuito a un
pittore facente parte di quella schiera di artisti, anche di
notevole levatura, che, all’epoca, faceva capo alla bottega di
Cornelis Smet , un rinomato pittore fiammingo residente in
Napoli, che forniva loro vitto, alloggio e lavoro.54 Il pittore era,
53
Abbate Francesco, Storia dell‘Arte nell‘Italia Meridionale.
Il Cinquecento. Editore Donzelli 2001 , p. 222;
54
Abbate Francesco, idem, p. 223;
34
Sala di Serino
quasi sicuramente, non Guglielmo Prekoste, come
dubbiosamente sostenuto dal Masucci per la difficile lettura
della grafia del contratto, ma Guglielmo Prevost, un pittore
fiammingo operante in quel tempo nel Vicereame di Napoli e
abbastanza conosciuto dalle nostre parti, visto che proprio
nell'anno 1575 egli lavorava, a Solofra, col fabbricatore
santagatino dì cappelle e altari Felice Guarini, nonno del più
famoso Francesco, per dipingere una tela per la cappella
costruita dal Guarini in S. Angelo.55 L'attribuzione del quadro
al pittore fiammingo Guglielmo Prevost assume maggiore
consistenza, per non dire valore di assoluta certezza, se si
pensa che, all'epoca, il casale di Sant'Agata costituiva parte
integrante della Terra di Serino e del feudo dei conti Della
Tolfa. Il complesso iconografico del dipinto è conforme,
inoltre, sia ai desideri della feudataria con la raffigurazione
centrale della Madonna della Grazia, sia ai dettami della
controriforma cattolica con le raffigurazioni di S. Apollonia e
di S. Agata, entrambe martiri per conservare la fede, e di S.
Francesco de Paola e S. Antonio di Padova, due santi
francescani eminenti per la lotta e la
confutazione delle
eresie, oltre che per la difesa della fede cattolica.
Il quadro, una volta conservato nella sacrestia del Convento
di S. Francesco e Giacomo, dove era stato trasferito dopo la
chiusura del convento e della chiesa di Santo Spirito,56 in
seguito al terremoto del 23 novembre 1980 è stato rimosso,
assieme ad altri dipinti, per essere custodito in un luogo
remoto e riservato, che solo i frati conoscono e tengono
gelosamente segreto. La pala d’altare non compare, però,
55
De Maio Mimma, Documenti inediti sulla famiglia di
Francesco Guarini, articolo su Il Campanile, notiziario di
Solofra, 16 gennaio 2011, p. 4;
56
Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia di
Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, p. 149
35
Filomeno Moscati
nell’elenco dei dipinti rimossi e custoditi altrove, in luogo
segreto e riservato, a meno che non sia, cosa assai probabile,
quella identificata, nell’elenco di detti dipinti, come ―tela di
Madonna con Bambino, S. Francesco de Paola e S. Antonio di
Padova‖
La chiesa, nonostante l’evidente interessamento dei feudatari,
nell’anno del Signore 1625 non presentava variazioni di rilievo
rispetto all’anno 1608, come chiaramente si deduce dal verbale
di una visita pastorale eseguita il 26 agosto di quell’anno, che
dice:
―Cappella dello Spirito Santo e Confraternita della Ssma
Concezione‖
― Il giorno 26 di agosto 1625 allo stesso modo il Reverendo
Signor visitatore di – mattina visitò tre benefici che son
istituiti nell‘[altare]- maggiore della Chiesa dello Spirito
Santo dell‘ordine riformato ossia di S. Francesco – che
dicono di iurepatronato dei Signori della Terra di Serino.Beneficiati sono Don Donato Iannella per una metà e per l‘altra metà Don Emidio Calenta.
Il detto Don Donato celebra le sue messe per la parte sua e
[invece] per – la parte del detto Don Emidio celebra le sue
messe il padre guardi - ano di detto convento al quale il
beneficiato devolve le elemosine.Fu ordinato a Gabriele de Filippis e ai maestri della
Santissima Concezione che entro –dieci giorni esibiscano gli
atti giuridici di detti benefici sotto pena – della privazione. –
Allo stesso modo fu ordinato ai detti beneficiari che entro
quattro giorni esibiscano – II 374
le loro bolle e l‘inventario dei redditi, e [la prova] della
soddisfazione delle messe, – sotto pena di ducati dieci, insieme
al libro di quelli che sono morti entro- l‘otto di dicembre 1619
–Visitò la Confraternita della Santissima Concezione eretta
dentro la medesima chiesa in – un altare particolare , di cui
36
Sala di Serino
sono maestri Salvatore Pinto, - Sebastiano Todisco, Donato
de Monte, ai quali fu - ordinato che entro tutto il giorno
seguente esibiscano i conti – dell‘amministrazione a partire
dalla visita precedente , sotto pena di scomunica. – Fu anche
ordinato che esibiscano le bolle dell‘erezione entro giorni –
quattro sotto pena della soppressione [ della confraternita]. - I
confratelli indossano sacchi bianchi con cappelli e mozzette –
cerulei e si applicano nel seppellire i morti, nelle processio - ni
e in altre opere pie. Hanno beni mobili e immobili annotati
nella visita fatta nell‘anno 1613. 57 II 375
La chiesa dello Spirito Santo, secondo quanto riferisce
Alfonso Masucci e viene confermato dalle visite pastorali,
oltre gli altari della Madonna delle grazie e della Santissima
Concezione conteneva soltanto altri due altari, l’ Altare di S.
Francesco e quello di S. Antonio di Padova e due sepolcri
gentilizi ( del Magnifico Lorenzo Vigorita e del Magnifico
Alessandro De Stefanellis)58, troppo poco , in verità, perché
possa essere considerata la chiesa di tutta Serino.. Anche il
convento, costruito come prolungamento della chiesa e
funzionante a cominciare dall’anno 1584, ―aveva modeste
proporzioni‖ e ―non fu mai abitato da più di tre monaci―,
ragione per cui ―rimase sempre un conventino”;59 mancando,
inoltre, di rendite sufficienti al sostentamento di almeno tredici
monaci, il convento fu soppresso una prima volta nell’anno
1652, come prevedeva il decreto di Papa Innocenzo X (16441655) del 22 ottobre dello stesso anno, per essere riaperto
undici anni dopo, nel 1663, a seguito di suppliche e donazioni,
che, non essendo sufficienti, ne determinarono la chiusura
definitiva nell’anno 1771.
57
A D S, Visite pastorali;
Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia Giuseppe Rinaldi,
Napoli 1927, Vol. II, pp. 150, 153;
59
Masucci Alfonso, idem, pp. 160, 161;
58
37
Filomeno Moscati
Contemporaneamente alla soppressione del convento venne
anche sconsacrata la Chiesa dello Spirito Santo, che, dotata di
rendite esigue ed essendo stata costruita in fretta e con
materiale scadente minacciava rovina.60 La chiesa aveva,
infatti, un reddito molto modesto, come risulta da una nota
delle sue entrate compilata nell’anno 1625, che, come da noi
interpretata, dice:
Notamiento delle ìntrate ordinarie et anco extraordinarie
della Ecclesia – dello Spirito Santo della Terra di Serino delli
padri dell‘Ordine [dei] minori - conventuali di Santo
Francesco sono questiDalli eredi del quondam [defunto] Antinoro Scarano notati in
perpetuo per 4 sante messe –
et una colletta -------------------------------------10
i 0
Dallo erede dello quondam Nunzio Forino, per li dotali capitu
– li carlini tre l‘anno-----------------0 3
0
Da Fabio et Vicenzo Vigorita per annuo cenzo -2 0
0
con peso di sante messe i3 (tredici)+ una colletta
Dallo erede di Masi di Felippo per uno cenzo- 0 3
0
Da Minico Rosanilla carlini sei per piso di quattro –
missi l‘anno----------------------------------------- 0 3
0
da Subbastiano Molinaro carlini sei l‘anno con –
peso di misse quattro l‘anno ------------------ 0
3 0
dalli padri chierici regolari61 per lo lascito de lo quondam
Gri-gorio Troisi ducati dieci l‘anno con peso di messesessantasette l‘anno ------------------------------ 10 0 0
Da Pietro Angelo Voglione et Pietro Angelo Roberto –
Per cienzo con peso di 2 sante misse lisce l‘anno per –
l‘anima di fra Ventura Scauro con una messa cantata carolini vinti ------------------------------ 2 0 0
60
61
Masucci Alfonso, idem, p. 151;
N d A, erano i frati del Convento de lo Reto di Santa Lucia;
38
Sala di Serino
Dalla vedova dello quondam signor Alessandro de Stefanellis
ducati vinti l‘anno con peso di misse centovintiqua – ttro
l‘anno da celebrarsene 20 0 0
dalli eredi dello Illmo Signore Scipione de Arminio di Ave llino docati cinque l‘anno in perpetuum con peso di mi –
ssi trenta tre l‘anno et una colletta---------------- 5 0 0
Dalli eredi dello quondam Luca Rosanilla carlini dieci con –
peso di messe sei l‘anno et collette due---------i 0 0
Dallo erede di Virgilio di Ciuccio carlini dicisette l‘anno con peso di messe undici l‘anno –
et una colletta ----------------------------------------- i 3 0
III 295
Cienzi sopra silvi donati dalle bone memorie delli
signori della Tolfa docati trentatre et carlini cin –
quantaquattro -------------------------------------- 33 54
Donate dalli sopradetti signori tommola quaranta –
di grano et perché se sono persi quindici sopra lo cito di poligrino at[t]eso[che] non ce socienzi delle altre tommola vinticinquese ne so date vinti con peso di tomoli trenta –
l‘anno e queste se ne so avute --------------------- 30 0 0
Dalle elemosine extra ordinarie in chiesa et fora –
quando se ne [h]a di sante messe et offici de mortiforse potrebbe ascendere alla somma di ducati –
dieci l‘anno poco più o poco meno -------------- i0 0 0
Dalla vigna se ne ponno percepire l‘annobarrili di vino da trenta in trenta sei o cin –
qui per anno. Per questuando se ne pos –
sono esigere vinti per quanto di mosto –
et ce ne [oc] corrono nove di spesa l‘anno –
et trenta di potatura et spese da –
[e]seguirsi.
39
Filomeno Moscati
Da Iacono Peluso carlini sei l‘anno con peso di –
messe quattro l‘anno ------------------------------ 0 3 0
Da Camillo Scauro per lo fitto di una terra che –
fu del quondam fra Ventura do[ca]ti quattro - 2 0 0
dallo erede del quondam Angelo Carrafiello carlini –
vinti l‘anno con peso di sante messe tri –
dici l‘anno et una colletta ------------------------ 2 0 0
da Fonzo Franzese docati quattro l‘anno che –
furno lasciati dal quondam Matteo Fran –
zese sopra uno horto con peso di vinti –
sei misse l‘anno + una messa cantata --------- 4 2 i0
Da Gioseppe de Nixcolais sopra una soa vi –
gnia carlini quattuordici ------------------------- i 2 0
III 296
Da Giovanni Todisco carlini nove per lo lascito de lo
quondam -Pietro Todisco con peso di messe sei l‘anno- 0 4
i0
et per lo fundaco de lo sopraditto quondam Pietro –
Todisco carlini quattordici con peso di messe –
nove con una colletta ---------------------------i 2 0
dallo erede dello quondam Ferrante Mattia carlini sei con –
peso di messe quattro l‘anno -------------------- 0 3 0
Dalli mastri della santissima Concezione carlini quin –
dici l‘anno con peso di una messa ogni sa –
[ba]to santo cantata -------------------------------- i 2 0
III 297
Secondo Alfonso Masucci la causa della soppressione del
convento e della chiesa dello Spirito Santo, fu una banalissima
lite fra ecclesiastici, generata dal diritto di passaggio di una
40
Sala di Serino
condotta d’acqua,62 ma, se questa può essere considerata la
causa occasionale della soppressione, le ragioni storiche ,
assai più valide, sono ben altre.
La prima di queste è individuabile nel mutamento della
politica
feudale riguardante il sito di Mercato Nuovo e
l’importanza del mulino come fonte di entrate per le casse
feudali. Il mutamento della politica feudale fu ingenerato da un
evento straordinario: il matrimonio di Costanza della Tolfa
(che dall’anno 1581 era divenuta, come ultima erede della
famiglia
della Tolfa, contessa di Serino) con Marino
Caracciolo, principe di San Buono. Da quel momento i principi
Caracciolo, che niente legava alla Terra di Serino dal punto di
vista affettivo e venale, com’è dimostrato dal contratto di
vendita del feudo di Serino dell’anno 1626, (stipulato da
Alfonso Caracciolo principe di San Buono) furono portati a
favorire e privilegiare i cinque mulini situati lungo il corso del
torrente Fenestrelle e la Dogana di Avellino, quali fonti di
reddito delle casse feudali. Fu questa la causa del declino del
commercio e della molitura dei grani a Mercato Nuovo di
Serino, e , con l’affievolirsi del sostegno feudale, iniziò anche
il declino della Chiesa e del Convento di Santo Spirito.
La seconda causa del declino fu la costruzione, a partire
dall’anno 1615, di un nuovo convento francescano in località
San Giacomo, assai più centrale rispetto a Mercato Nuovo,
dotato di una chiesa assai più ampia e più bella di quella dello
Spirito Santo, e , soprattutto, fortemente voluto e sostenuto
dall’Università di Serino , che lo dotò di ben undici moggi di
terreno adiacente al convento e s’impegnò, inoltre, a fornire ai
monaci ―lana per la confezione degli abiti, vitto, medicinali e
62
Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia
Giuseppe Ricciardi, Napoli 1927, Vol. II, p. 165
Vedi anche Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg
Edizioni, Penta di Fisciano (SA) 2005, p. 281.
41
Filomeno Moscati
quanto altro potesse loro occorrere,‖ 63
consacrando
l’impegno con un contratto notarile redatto per mano del
notaio poeta Alessandro Pierro. 64
La terza causa del declino fu la posizione periferica e fuori
mano in cui era situata Dogana Nova alias lo Mercato, rispetto
a tutti i casali dell’ Università di Serino; una causa
riconosciuta, contrariamente a quanto aveva affermato in
precedenza , dallo stesso Alfonso Masucci, che, commentando
un tentativo di riapertura della chiesa dello Spirito Santo, nel
merito così, testualmente, si esprime: ―Ma fu come voler
risuscitare un morto. Posto in luogo fuori mano e poco ormai
frequentato...sostituito nelle funzioni religiose del Comune
dalla chiesa più ampia e più bella dei Riformati, il tempio dei
conventuali......fu abbandonato per sempre e ruinò.‖
63
P. Teofilo M, Giordano, I frati minori a Serino, Tipografia dei Monasteri,
Subiaco (Roma) 1968, p.19; in Moscati Filomeno, Storia di Serino,
Edizioni Gutenberg, Penta di Fisciano (SA) 2005, p. 282;
64
Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenbeg , Penta di
Fisciano (SA) 2005, pp. 246,247;
42
Sala di Serino
II 048
II 049
II 374
II 375
43
Filomeno Moscati
III 295
III 296
III 297
44
Sala di Serino
Bibliografia
Abbate Francesco, Storia dell‘Arte nell‘Italia Meridionale. Il
Cinquecento. Editore Donzelli 2001;
Barra Francesco, La città dei Caracciolo, in Storia illustrata
di Avellino e dell‘Irpinia, Sellino e Barra Editori, Pratola Serra
(AV) 1996;
De Maio Mimma, Documenti inediti sulla famiglia di
Francesco Guarini, su Il Campanile, notiziario di Solofra, 16
Gennaio 2011;
Giordano Teofilo M., I frati minori a Serino, Tipografia dei
monasteri, Subiaco (Roma) 1968;
Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia
Giuseppe Ricciardi, Napoli 1927;
Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg,
Penta di Fisciano /SA) 2005;
Moscati Ruggero, Una famiglia borghese del Mezzogiorno,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1964;
Ricca Erasmo, Istoria de Feudi delle Due Sicilie, Stamperia
di Agostino De Pascale, Napoli 1864;
45
Filomeno Moscati
Antica chiesa di S. Eustachio
in Dogana Vecchia
46
Sala di Serino
IV
Il cimitero promiscuo
Chiesa e convento dello Spirito Santo risorsero dalle ceneri
nel 1841, alcuni decenni dopo la loro chiusura e il loro
abbandono, per diventare... un cimitero. La storia di questa
macabra resurrezione è lunga e travagliata e parte da lontano.
La causa prima della trasformazione del complesso ecclesiale
– conventuale di Mercato Nuovo in cimitero va individuata in
un editto napoleonico del 12 giugno 1804 (23 pratile anno XII
secondo il calendario della rivoluzione francese); è l’editto di
Saint Cloud, che, vietando la tumulazione nelle chiese,
sanciva che le salme dei defunti dovessero essere sepolte in
cimiteri situati fuori dei centri abitati. Una decisione
rivoluzionaria visto che le salme di coloro che morivano nella
religione cristiana , tenendo fede a una tradizione antichissima
che risaliva al tempo delle persecuzioni, venivano tumulate,
nelle catacombe, in prossimità delle sepolture dei martiri,
perché era credenza comune che la vicinanza dei defunti alla
tomba di coloro che avevano testimoniato col sangue la loro
fede in Cristo, facilitasse il loro ingresso nel regno dei cieli. Il
sepolcro presso quello dei martiri e dei santi, era , pertanto,
così
fortemente desiderato dai cristiani, che essi
consideravano fortunato chi poteva essere sepolto vicino alla
tomba di un martire o di un santo , come si evince da una
iscrizione catacombale, conservata presso il Museo Borgiano
di Velletri, che dice : ― qua pro tanta merita accepit
sepulchrum intra limina sanctorum quod multi cupiunt et rari
accipiunt‖65 (La quale per così grandi meriti ricevette un
65
Armellini Mariano, Lezioni di Archeologia cristiana,
Tipografia della pace di Filippo Cuggiani, Roma 1898,
pp.99,100;
47
Filomeno Moscati
sepolcro tra le soglie delle dimore sepolcrali (intra limina)
dei santi [martiri], cosa che molti bramano e pochi ottengono).
Questa antica usanza ( che abbiamo visto attuata anche nella
Chiesa dello Spirito Santo, a Mercato Nuovo, da parte di
Giovan Battista II della Tolfa, primo conte di Serino) era
talmente radicata nel popolo cristiano che, ancora nel secolo
XIX , i morti venivano sepolti nelle chiese, sotto il loro
pavimento, con tutte le conseguenze negative, di carattere
igienico-sanitario, ambientale ed epidemiologico , da essa
derivanti.
L’ editto di Saint Cloud fu esteso anche al Regno d’Italia con
l’Editto della Polizia Medica, del 5 settembre 1806; editto che
fu fatto proprio, dopo la restaurazione borbonica, da
Ferdinando di Borbone con la Legge dello 11 marzo 1817, che
sanciva l’istituzione di un camposanto in ogni comune del suo
regno. La legge fu perfezionata e resa operativa dal ministro
dell’interno Tommasi, mediante il Regolamento del 21 marzo
1817, che stabiliva i requisiti minimi e indispensabili di un
camposanto.
Il regolamento del ministro Tommasi stabiliva che i cimiteri
dovevano essere costituiti da‖una estensione di terra nuda,
ben dissodata, interamente spoglia di alberi, arbusti e piante
perenni di qualunque specie, circondata di mura all‘altezza di
palmi undici fuori terra‖; che ―un moggio napoletano, pari a
900 passi quadrati era da considerarsi sufficiente ad ospitare i
morti di un comune di 8000 abitanti‖; e che, in ossequio agli
ideali di uguaglianza umana e di politica igienico-sanitaria cui
era stato ispirato l’Editto di Saint Cloud, ―la maggiore
semplicità possibile sarà usata nella costruzione del
camposanto, che sarà scelto in un sito circa un quarto di
miglio lontano dall‘abitato, o anche di più, quando le
circostanze locali lo esigano, nella direzione dei venti
settentrionali‖ e ―si avrà cura che sia quanto più si potrà
48
Sala di Serino
lontano da ogni via battuta e soprattutto dalle più
frequentate‖.
Il decreto sanciva, inoltre, che la struttura del cimitero
doveva essere realizzata ai margini dei centri abitati, in
prossimità di una chiesa, o del chiostro di un monastero
abbandonato;
che doveva avere ―forma quadrilatera,
circondato da portici per privati e confraternite, cappella
privata e casa del custode‖. Il decreto prevedeva, infine, la
possibilità di creare cimiteri unici per più comuni, sempre che
essi fossero situati a una distanza accettabile da ciascun
abitato; la sistemazione di piante all’ingresso e lungo le mura
di cinta ―affin di rendere il luogo meno disgustoso e
conciliargli quella religiosa tristezza che tocca il cuore e
richiama alla memoria utili considerazioni morali‖.
Fu sulla base di questo regolamento, che, nello stesso anno
1817,
l’intendente provinciale Patroni diede mandato
all’ingegnere Luigi Oberty di redigere i progetti dei cimiteri di
Avellino, Montesarchio, Vitulano, Montemiletto, Serino e
Altavilla,66 ma, come sempre accade per le leggi innovative e
contrastanti con tradizioni, usi e costumi inveterati, e perciò
divenuti patrimonio comune del popolo, la sua attuazione non
fu facile, sia per ragioni economico-pratiche, sia, e soprattutto,
per la sorda ostilità di amministratori e di popolo.
L’ostilità contro alcune disposizioni dell’editto di Saint Cloud
e, in modo preminente, contro l’uniformità delle sepolture e
delle lapidi sepolcrali, che annullava ogni identità e ogni
merito guadagnato dai defunti con una vita esemplare e, a
volte, addirittura encomiabile per eroismo, virtù e dottrina, si
era già manifestata, subito dopo l’emanazione dell’editto,
anche fra le persone più elevate per genio e pensiero. Fra
66
Caracozzi Antonietta, Luigi Oberty e la diffusione del
neoclassicismo nell‘Italia meridionale, Edipuglia, Bari 1999,
p. 23.
49
Filomeno Moscati
queste va annoverato il poeta Ugo Foscolo, che rese palese la
sua ostilità alle tombe senza nome e alle fosse comuni in un
carme famoso, ―Dei sepolcri‖, (composto nel 1806, anno in
cui l’editto di Saint Cloud fu esteso all’Italia) là dove dice che:
―Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
fuor de‘ guardi pietosi, e il nome a‘ morti
contende,‖67
sostenendo, invece, che :
‖Sol chi non lascia eredità d‘affetti
poca gioia ha dell‘urna;‖68
perché una
―celeste dote è negli umani; e spesso
per lei si vive con l‘amico estinto
e l‘amico con noi, se pia la terra
che lo raccolse infante e lo nutriva,
nel suo grembo materno ultimo asilo
porgendo, sacre le reliquie renda
dall‘insultar dei nembi e dal profano
piede del vulgo, e serbi un sasso il nome.‖69
L’ostilità dei Serinesi all’editto fu resa subito manifesta in
una lettera del sindaco di Santa Lucia, Filippo Pelosi, che
rispondendo all’ordine, impartito dall’intendente, di costruire il
camposanto, rispondeva, nell’aprile 1817, che ―a questo
Comune riesce molto malagevole nonché impossibile la
costruzione del camposanto testé ordinato, sì perché questo
Comune non ha l‘estensione così grande che possa eccedere
ad 1/4 di miglio, estensione che viene prescritta dal precitato
decreto per la suddetta costruzione, come ancora essendo
circondato da acque sorgive che non
permettono il
seppellimento dei cadaveri in esso.
67
Foscolo Ugo, Dei sepolcri, vv. 51,52,53;
Foscolo Ugo, idem, vv. 41,42;
69
Foscolo Ugo, idem, vv.31-38;
68
50
Sala di Serino
..Ad eseguire dunque questa costruzione...crederei opportuno,
se Ella lo stima espediente, di unire questo anzidetto Comune
con quello di Serino, che sono limitrofi, e costruire in esso un
solo camposanto....
Sindaco Filippo Pelosi.‖
Questa richiesta, che costituisce la prima pietra del cimitero
promiscuo di Serino e Santa Lucia, fu prontamente accolta
dall’intendente, che, in data 26 aprile 1817, comunicò al
sindaco di Serino la richiesta del sindaco di Santa Lucia e
aggiunse che, avendo ―trovato plausibile un tale sentimento,
―gli aveva ―imposto di mettersi d‘accordo con lei...affinché...
si possa redigere il progetto dell‘opera.‖
L’ingegnere Luigi Oberty redasse prontamente il progetto e,
seguendo i dettami del decreto scelse come luogo più idoneo,
e più conveniente economicamente per il costruendo cimitero,
quello di Mercato nuovo, in quanto ―profittando del locale
della Dogana si costruisce un Camposanto con la somma di
ducati 1600, ben modica per una popolazione di circa 6400
anime. Si forma un rettangolo di palmi 430 x 216 in quel
locale, profittando della Cappella, delle mura di circuito
esistenti e delle pietre risultanti dalla demolizione del vecchio
convento.‖
I due comuni , di Serino e di Santa Lucia, votarono
l’unificazione del cimitero nel marzo 1819, il Ministero
approvò sia l’unificazione che la pianta in data 24 aprile 1819,
e, nel luglio 1819, la costruzione del camposanto fu affidata a
Bernardino Sessa , di S. Severino frazione Carpineto.70
Sembrava ormai tutto facile e che la costruzione del
cimitero promiscuo potesse procedere speditamente e senza
ostacoli, ma non fu così perché iniziò, inaspettatamente, una
serie incredibile di liti fra Comune di Serino e privati, che
70
Masucci Alfonso, Serino. Ricerche storiche, Tipografia
Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, Vol.II, pp.187,188;
51
Filomeno Moscati
difendevano i propri diritti di proprietà; fra il costruttore Sessa
e il Comune, circa l’esecuzione dei lavori e il pagamento di
essi; fra i privati e il Sessa cui veniva imposto, attraverso atti
giudiziari, il fermo dei lavori in corso. Se a questo si aggiunge
che , nelle more, furono emanate, dalle autorità a ciò preposte,
nuove disposizioni meno restrittive che consentivano la
tumulazione in chiese di campagna, o , comunque, poste fuori
degli abitati, si può chiaramente comprendere come, nell’anno
1838, cioè a più di venti anni dal suo inizio, la costruzione del
cimitero promiscuo di Serino e Santa Lucia non fosse ancora
terminata. 71
Fu questa circostanza che indusse il Comune di San Michele
di Serino, che si trovava in gravi difficoltà sia di carattere
burocratico che economico e non aveva neppure iniziato la
costruzione del suo cimitero, ad inserirsi nella vicenda del
cimitero promiscuo cercando di diventarne il terzo fruitore,
allo scopo di diminuire le spese.
Il Sindaco di San Michele di Serino, Alfonso Rapolla, in una
lettera all’ intendente datata 7 dicembre 1838, gli comunica
che , a questo scopo, aveva fatto istanza al sindaco di Serino.
La lettera del Sindaco di San Michele all’intendente, strutturata
sulla falsariga di quella inviata dal sindaco di Santa Lucia
nell’aprile 1817, dice:‖ Il perimetro di questo paese offre
un‘estensione assai minore di quella prescritta dalla Legge per
la formazione dei camposanti. Solamente in un punto e
propriamente nella parte cosiddetta delle Macchie potrebbe
darsi una tale distanza; ma in questa non può costruirsi il
camposanto perché alpestre, solcata da valloni vernili,
pietrosa, cretosa, quasi inabile alla coltura, appena ridotta a
una specie di vigneto. Se si desiderasse formarlo nei fondi
attorno all‘abitato, oltre che non vi è la distanza, sono dei
fondi irrigabili e pregni d‘acqua, per modo che se si vuole
71
Masucci Alfonso, idem, Vol. II, pp. 195-200;
52
Sala di Serino
scavare il suolo nella profondità di circa palmi quattro si
scopre l‘acqua sorgiva. Per i siffatti motivi mi sono diretto al
sindaco generale di Serino al quale ho fatto istanza che
siccome questo si trova ab antiquo con quello collegato per
tutte le spese promiscue, che si erogano nel Circondario col
pagarne il vigesimo secondo la consuetudine, così avesse
accettato l‘unione di questo Comune per la formazione di un
camposanto in quello stesso luogo progettato per quello
servibile per l‘intero Circondario, col pagarne il vigesimo del
prezzo in questo modo, cioè ducati 220 nel prossimo venturo
anno ed il resto a rate molte come meglio può convenirsi.
Tutto ciò si progetta per linea di economia per questo Comune
afflitto dalla miseria e dall‘esorbitante peso della transazione
sulla molitura.‖
Il Decurionato di Serino, con una deliberazione in data 31
dicembre 1838, respinse la proposta adducendo che la
promiscuità era contraria alla legge ( cosa non vera, anzi era
vero il contrario) e che essa con il trasporto dei cadaveri poteva
favorire il contagio in caso di epidemia. In realtà la ragione
vera era un’altra, e una soltanto, la proposta era giunta in
ritardo e ciò comportava che ―si dovrebbero annullare tutti i
lavori già fatti e cominciare da capo ad allargare‖, come si
evince dalla conclusione della deliberazione presa.72
Finalmente, composte le liti, saldati i debiti, riscossi i crediti, la
costruzione del cimitero promiscuo di Serino e Santa Lucia di
Serino fu ritenuta terminata il 10 agosto 1841 e il cimitero fu
solennemente inaugurato il 21 settembre 1841.
L’ inaugurazione è stata così descritta dai sindaci dei due
Comuni in una lettera inviata all’Intendente, che, testualmente,
dice: ―Al Signore Intendente. Ieri alle ore 11, seguì la solenne
72
Filomeno Moscati, San Michele di Serino e la chiesa di S.
Michele Arcangelo dalle origini ai giorni nostri, LUBIGRAF,
Montoro Inferiore (AV) 2007, p.186.
53
Filomeno Moscati
inaugurazione del cimitero promiscuo dei Comuni di Serino e
di Santa Lucia. Il Vicario Foraneo, Don Paolino Maria
Iannelli, delegato dall‘Ill.mo e Rev.mo
Monsignore
Arcivescovo di Salerno, asperse dell‘acqua benedetta il luogo,
asilo di pace e della sempiterna quiete. Oltre la messa solenne,
un discorso analogo e commovente si tenne dall‘ottimo Padre
Michelangiolo da Forino, Lettore Teologo dei Minori
Riformati di San Francesco. Intervennero alla pia funzione: il
clero, i religiosi di S. Francesco, le confraternite tutte, il
Giudice con i suoi dipendenti, i rispettivi corpi municipali dei
due Comuni con a capo i sindaci, i conciliatori, le guardie di
onore, la Brigata della Reale Gendarmeria, i capi delle
Guardie Urbane, le guardie stesse, i Galantuomini ed una
numerosa popolazione. Coronò la santa cerimonia la somma
devozione dei circostanti, l‘ordine e la bella tenuta dei Corpi
suindicati, nonché quella inalterabile tranquillità che il luogo
ispirava e che tanto distingue questi fedelissimi sudditi del
nostro augusto Monarca Ferdinando II ( D. G.) Domenico
Brescia sindaco di Serino, Raffaele Moscati sindaco di Santa
Lucia.
Alfonso Masucci aggiunge che ―il santo luogo funzionò
subito..... e chi scorre i libri parrocchiali dei defunti avverte
subito l‘avvenuta apertura del camposanto, giacché alle
vecchie diciture è sostituita prima questa: sepultus est in
ossariis vulgo dictis camposanto ( è sepolto in ossari dal volgo
denominati camposanto) ovvero, sepultus est in publico
cimiterio e poi definitivamente da tutti i parroci: sepultus est in
agro santo‖ (è sepolto in terra consacrata)....ma aggiunge pure
che il neo-costruito cimitero ―fu per lungo tempo negletto un
pò da tutti, Autorità e popolo‖ e che fu solo ―verso l‘83, (cioè
42 anni dopo la sua inaugurazione) quando fra noi sorse la
Società Operaia e questa ...volle nel giorno dei morti recarsi
al camposanto, tra gran concorso di popolo, che la religione
54
Sala di Serino
dei sepolcri ritornò in onore, e il 2 Novembre il pio luogo
divenne meta di un pellegrinaggio di tutto Serino, fiori e ceri
dappertutto e messe nelle cappelle delle confraternite.73
Il cimitero promiscuo ebbe vita breve perché, negli anni che
vanno dal 1925 al 1937, esso venne demolito.
La demolizione del cimitero fu dovuta alla costruzione di
un’opera pubblica di grande importanza, che interessò, in
modo fortemente penalizzante e depauperante, i tre comuni
della valle di Serino, l’Acquedotto di Napoli, i cui interessi
furono valutati
prevalenti nei confronti di quelli
delle
popolazioni locali. La costruzione di questa imponente opera
pubblica prese l’avvio da una decisione del Consiglio
Comunale di Napoli , che, nel corso dell’anno 1866 stabilì, in
diverse deliberazioni consiliari, in primo luogo ―il
miglioramento e l‘aumento della condotta delle acque che la
città possiede,‖ e, in secondo luogo, ―la condotta di acque
novelle ed a preferenza quelle di Serino.‖ Il Decreto Reale 11
luglio 1877 ―autorizzò la città di Napoli a procedere
all‘espropriazione delle acque di Serino e Urciuoli‖.
La prima fase della realizzazione dell’acquedotto riguardò la
captazione e l’incanalamento delle sorgenti Urciuoli, site al
confine fra i Comuni di Santo Stefano del Sole e Cesinali, e
terminò con l’inaugurazione del novello acquedotto il 10
maggio del 1885.74
La seconda fase, che interessò direttamente il territorio di
Serino, ebbe inizio concreto, sotto il Fascismo, con la
captazione e l’incanalamento delle sorgenti Pelosi, nel 1925,
c fu effettivamente completata nel 1936-37, con
l’allacciamento del gruppo delle sorgenti Acquara. Fu proprio
73
Masucci Alfonso, Serino. Ricerche storiche, Tipografia
Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, pp.200-216;
74
Filomeno Moscati, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni, Penta di
Fisciano (SA) 2005, pp. 362-367;
55
Filomeno Moscati
la necessità di proteggere le sorgenti captate con un’ ampia
zona di terreno, e di recingerla con un muro, a determinare la
demolizione del cimitero promiscuo di Serino e Santa Lucia e
la costruzione, in sua vece, di due nuovi cimiteri, quello di
Santa Lucia, lungo la strada Santa Lucia –Atripalda, e quello di
Serino lungo la strada da Serino, frazione Pescarole, a San
Michele. 75
Alfonso Masucci afferma che il nuovo cimitero di Santa
Lucia era già terminato76 nell’estate dell’anno 1923, anno in
cui stava scrivendo il capitolo sui cimiteri;77 quello di Serino
fu completato e utilizzato durante gli anni trenta, nel corso dei
lavori di allacciamento delle sorgenti Acquara. Questo evento
ha lasciato in me il ricordo, sfumato e confuso, ma indelebile,
delle occhiaie dei loculi vuoti del cimitero in demolizione e il
via vai delle donne, che trasportavano, con grande devozione e
commozione, le ossa dei propri cari estinti al novello cimitero
di Serino, dopo averle deposte in ceste, avvolte e protette in
candidi lini e panni di seta, o di altre stoffe preziose.
75
Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni,
Penta di Fisciano (SA) 2005, pp. 367,368;
76
Masucci Alfonso, Serino. Ricerche storiche, Tipografia
Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, Vol. II, p.216;
77
Masucci Alfonso, idem, p. 213.
56
Sala di Serino
Bibliografia
Armellini Mariano, Lezioni di Archeologia cristiana,
Tipografia della pace di Filippo Cuggiani, Roma 1898;
Caracozzi Antonietta, Luigi Oberty e la diffusione del
neoclassicismo nell'Italia meridonale, Edipuglia, Bari 1999;
Foscolo Ugo, Dei sepolcri;
Masucci Alfonso, Serino ,ricerdhe storiche,Tipografia di
Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927;
Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg,
Penta di Fisciano (SA) 2005;
San Michele di Serino e la chiesa di S. Michele Arcangelo
dalle origini ai giorni nostri, LUBIGRAF, Montoro Inferio
re(AV)2007. ;
57
Filomeno Moscati
Chiesa della Madonna della Neve
in Sala di Serino
58
Sala di Serino
V
Parrocchia di S. Eustachio –
Madonna della neve.
La prima notizia certa dell’esistenza della chiesa di S.
Eustachio, tuttora esistente in Dogana Vecchia di Serino, si
trova documentata in un registro delle ratifiche decisionali
della Curia dell’Archidiocesi di Salerno, conservato
nell’Archivio della stessa diocesi ( A D S - Archivio
Diocesano di Salerno ) e risalente all’anno 1309. Il documento,
riguardante l’anno 1309 (sec.XIV), afferma che ―in casali S.
Eustasii est ecclesia S. Heustasii‖ e che essa ha come rettore
Lorenzo Conzaiocu di Salerno e come cappellani Guglielmo da
Ebulo e Tommaso del Merealdo da Serino.78 Il documento,
oltre ad affermare l’esistenza della chiesa ci dice anche che il
casale prendeva nome proprio da questa chiesa, essendo
conosciuto, ancora nell’anno 1309, come casale di
Sant’Eustachio, e si dovrà attendere il secolo successivo (XV)
perché assuma il toponimo di Adohane ( vedi pagina 19).
L’origine della chiesa, ( e del casale che da essa aveva preso
nome) ―risale certamente ad epoca antecedente, anche se la
mancanza di documenti impedisce di precisarne le data,‖79ma
questa data doveva sicuramente essere anteriore all’anno 1168,
anno in cui il Papa Alessandro III ( 1159-1181) definiva, con
78
A D S Ratifiche Decisioni, 418, n 6126, in Crisci Generoso,
Salerno Sacra, a cura di Vincenzo De Simone, Giuseppe
Rescigno, Francesco Manzione, Donato De Mattia, Edizioni
Gutenberg, Lancusi (SA) 2001, Vol. II, p. 304;
79
Crisci Generoso, Campagna Angelo, Salerno Sacra, Edizioni
della Curia Arcivescovile, Salerno 1962, p.360;
59
Filomeno Moscati
una bolla, i confini dell’Arcipretura di Serino, in cui erano
comprese le chiese delle sue nove parrocchie.80
La conferma, che la chiesa di S. Eustachio fosse ab antiquo
chiesa parrocchiale, ci viene da una visita pastorale effettuata il
giorno 6 novembre1557, all’epoca del Concilio di Trento, ed è,
perciò, particolarmente attendibile. Essa dice:
―Nel giorno sei novembre dell‘anno 1557 a Serino il suddettoreverendissimo signor visitatore dopo aver recitato l‘ufficio
(dei morti) - proseguendo si recò alla parrocchiale chiesa- di
Santo Eustachio di detta terra di cui è cappellano-Don
Antonio de Iannella e rettore è Donato Moscatus e, recitato
l‘ufficio dei defunti,- si recò all‘altare maggiore nel quale
rinvenne una- cassettina nella quale c‘era un vasetto di
stagno- in cui trovò il Santissimo Sacramento. Fu- ordinato e
allo stesso predetto ingiunto , sotto pena di scomunica, che
entro due mesi- faccia fare un tabernacolo dorato di ebano, una lampada ardente e due corporali puliti che lo stesso
predetto giurò che avrebbe fatto.- Cappellano e rettore
provvedono agli altari ordinari.- Poi si recò al fonte
battesimale, che- trovò chiuso con una chiusura di ferro ,in
questo- I 012Rinvenne il Santissimo Sacramento custodito in luogo
decente- conservato pulito e avvolto in panni buoniLa chiesa abbisogna di riparazione e per questo fu datomandato; fu anche ingiunto sotto pena di scomunica che entro
cinque- mesi
facciano una immagine perché non c'è
nell'abside- e presentino entro il giorno odierno la bolla e
l'inventa- rio dei beni mobili e stabili- incluse le decime dei
filiani e qualsivoglia altro bene. I- 013
Dal verbale di questa visita pastorale è chiaramente
evidenziato che la chiesa di S. Eustachio era chiesa
80
Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg,
Penta di Fisciano (SA) 2005, p.166;
60
Sala di Serino
parrocchiale, ma , altrettanto chiaramente, da essa si evince
che la chiesa suddetta, oltre ad essere molto piccola, era anche
in
condizioni così cattive da esigere una riparazione
immediata; le suppellettili erano poche e misere e la chiesa
così povera che non v’era un’immagine sacra neppure
sull’altare maggiore (nell‘abside) e il Santissimo Sacramento
era conservato in un modesto vasetto di stagno e, inoltre, non
esisteva un inventario dei suoi beni né delle decime pagate dai
filiani; da questo verbale, inoltre, non si evince quale fosse
l'estensione territoriale della parrocchia di S. Eustachio e quali
casali di Serino essa abbracciasse. Dal verbale della visita si
evince però che, in Dogana Vecchia, accanto alla chiesa
parrocchiale di S. Eustachio esisteva un oratorio privato
dedicato alla Madonna delle grazie. Il verbale della visita
pastorale , infatti, prosegue dicendo:
" nello stesso giorno il predetto Reverendissimo signore
vicario e visitatore- dopo aver recitato l'ufficio [ dei morti]
proseguendo si recò ad un certo- oratorio sotto il vocabolo di
Santa Maria delle grazie- di detta terra, che dissero essere di
iurepatronato- della famiglia de Cheche e vi trovò il beneficiato, il reverendo Don Galienus Cheche
che è un
francescano.- Abbisogna di riparazioni, paramenti e di un
altare- consacrato. É per chi di dovere. 81 I 013
Generoso Crisci afferma che quest’oratorio esisteva da 125
anni almeno, risultando già eretto nel 143282 La sua esistenza è
certa nell'anno 1521, perché documentata in uno strumento
notarile, redatto dal notaio Geronimo De Vivo e riguardante la
spartizione di un fondo sito in Dogana Vecchia, nel quale si
afferma che il fondo era situato accanto alla Ecclesia Sanctae
81
ADS, Visite pastorali;
Crisci Generoso, Salerno Sacra, a cura di Vincenzo De
Simone, Ciuseppe Rescigno, Francesco Manzioine, Donato de
Mattia, Edizioni Gutenberg, Lancusi (SA) 2001, Vol. II, p. 308.
82
61
Filomeno Moscati
Mariae de gratiis ibi existentis83. Questa chiesetta privata, di
iurepatronato della famiglia Cheche assieme a quella di S.
Paolo di Troiani, era già assai malandata e non idonea alle
funzioni religiose nell'anno 1557, come si evince dal verbale di
visita del 6 novembre di quell'anno. Malgrado l'ingiunzione a
riparare la chiesa, fatta in quella visita, la chiesa non fu
riparata né resa idonea alle funzioni religiose; anzi, 58 anni
dopo, era addirittura diruta, come risulta da una visita
pastorale alla chiesa di S. Eustachio , eseguita il 12 dicembre
1615, nel cui verbale viene affermato che "la cappella di santa
Maria delle Grazie, che si dice annessa alla chiesa di S. Paolo
e di cui è beneficiato Don Orazio Moscatus, è diruta".84 II
305
Fu questa la ragione per cui, nell'anno 1642 il suo
beneficiario, "il clerico Giacomo Cheche," avendo costatato
che "la chiesa passa cent'anni e più che è disfatta di modo che
dal detto tempo è profanata, et non ha più nome di chiesa,"
chiede all'Arcivescovo di Salerno di poter vendere il luogo su
cui erano le vestigia della chiesa , cosa che l'arcivescovo
concesse. Alfonso Masucci precisa che la tradizione vuole che
detta chiesa fosse situata" nel largo a mano destra di chi viene
da Ponte, vicino al pozzo"85
Nel giorno 6 novembre 1557 fu eseguita anche la visita alla
Confraternita di Santa Maria della neve il cui verbale, molto
difficile da interpretare per la pessima conservazione della
pagina e le molte abbreviazioni, dice:
Nello stesso giorno il predetto reverendo signore, inviato e
visitatore,- recitato l'ufficio, proseguendo si recò a una certaconfraternita intitolata a Santa Maria della neve,83
Masucci Alfonso, Serino. Ricerche storiche, Tipografia
Giuseppe Rinaldi, Napoli 1927, Vol. II, p.68;
84
Archivio Diocesano di Salerno , Visite pastorali,
85
Alfonso Masucci, idem, p.68,69;
62
Sala di Serino
I 013
E la predetta confraternita non abbisogna di riparazioni, ha
buoni parati sul fonte battesimale inseriti, la stessa non- ha
patrimonio, come dissero, né bolla [di erezione] Fu intimatoche li procurino e,-----------, che demolire facciano i
monumenti- che sono sopra le sepolture a meno che vi sia una
cappella e un compatrono e, sotto pena di scomunica, – che
entro il presente giorno esibiscano l'inventario dei beni
mobili.86 I 014
Dal verbale di una visita pastorale eseguita 11 anni dopo, cioè
nell'anno 1568, risulta che il visitatore, avendo constatato che,
contravvenendo al mandato ricevuto, la chiesa parrocchiale di
S. Eustachio non era stata riparata; che essa "abbisogna della
massima riparazione;" che, perciò, "incombe un pericolo
enorme sia sui fedeli che sul cappellano durante le
celebrazioni liturgiche; che, inoltre, risulta impossibile
ripararla, a causa della povertà sia della chiesa che dei filiani,
ne ordina la chiusura e il trasferimento del culto nella chiesa di
S. Maria della neve, sita nel vicino casale di Sala, 87
La povertà della chiesa parrocchiale di S. Eustachio di Dogana
Vecchia viene messa in evidenza da un inventario dei suoi beni
e delle sue entrate, compilato nell'anno 1598 e tramandatoci in
una copia, "fatta et rinovata" dal parroco, Don Angelo
Tramaglia, il 15 dicembre 1608.
L'inventario, che è la copia di quello risalente all'anno 1598, è
compilato in volgare ed è stato, perciò, riportato esattamente
così com'è scritto, salvo la punteggiatura che è stata, in qualche
parte, corretta per renderlo più comprensibile, Esso dice.
Copia
86
87
ADS, Visite pastorali;
Archivio Diocesano di Salerno, Visite pastorali;
63
Filomeno Moscati
Inventario tempore missionis (al tempo della missione) a
Serino il giorno 15 dicembre 1608, per Don- Angelo
TramagliaInventario fatto et rinovato della parrocchiale chiesa- di Sto
Eustachio della terra di Serino per me D. Angelo- Tramaglia
per ordine delli signori visitatori nel'anno 1598.
In nomine Domini nostri Iesu CristeSto Biase
In primis N[otaro] Giovanni Russo de Stefanello tene et
possede una terra ar- bustata et vitata di Sto Eustachio iusta li
(vicino ai) beni di Sta Caterina,- dell'herede di ferrante di
agnessa da doe bande (lati), et la via- vicinale renditi[zi]a
alla chiesa di Sto Eustachio l'ano quolibet (per qualsivoglia
anno) grani- quindici, quale terra la si possedeva per (da)
Agostino d'agnessa iusta li- beni di sarruzzo Capuano, di
Col'Angelo volta et di Sta CaterinaDico grani quindici------------------------------0----0—15; –
come per intestato appare nella sede di N[otar]o Cesare di
piano.Giuseppe di piano tiene una selva dove si dice
Cologna iusta- li beni d'Alessandro magnacervo da doe
bande, de paulo de piano- Donato stefanello, renditizia a Sto
Eustachio ca[rli]nì uno, [la] quale selva ut (e)- loco si
possedeva da Nuntio di piano iusta li beni di paulo lota- de
fabritio Capuano, da capo et da piedi, dico carolini uno--0-i-0
Notare Giovanni Russo de stefaniello tene et possede una terra
de la- Corte di Sto Eustachio iusta la via publica, et altri beni
di dicto Giovanni – Russo et Natale piscatore renditizia a Sto
Eustachio anno quolibet- carlini tre, (il) quale p[redett]o loco
si possedeva per Gio[sepp]e Capuano et ne- rendeva carlini
sei; tene una seconda terra[ che]è divisa et parte ne teneGiovanni Russo e parte il predetto Natale piscatore, si che
rendeno- carlini tre per ciascheduna parte et predicto loco si
possedeva per dicto - Gio[sepp]e Capuano iusta li beni di
64
Sala di Serino
Nando et di Sarruzzo Capuano- la via publica et anco teneva
una casa di predicto Sto Eustachio, che sta alle- Cortine iusta
li beni di Sto Biasi, cioè la casa che tiene Adonese- torino, et
la casa di Donato Capuano, et la corte di Sta Caterina avante dicta casa--------0—-i-- 0
II 189
ma al presente la casa è rimasta franca, per essere stato posto
de carlini - sei sopra la terra che si possiede per dicto
N[otaro] Giovanni Russo Stefanello et Natale- piscatore,
delli quali rendono carlini tre per ciascheduno, dico N
Giovanni Russo carlini tre------------------0—i—10Natale piscatore per la casa di sopra carlini tre—0—i-10Giulio, paulo, Giovanni Batt[ist]a et altri- figli del q[uonda]m
(defunto) ferrante d'agnessa- teneno et possedono una terra
arbustata et vitata dove se dice- la Corte d'ufaro iusta la via
pub[li]ca da doe bande, li beni di Sta- Caterina et li beni di
Giovanni Russo Stefanello, rendeno a Sto- Eustachio grani
quindici, q[ual]e [ reddito] si possedeva per sarruzzo- et
Nando Capuano ,iusta li beni di Agostino d'Agnessa, de
Col'Angelo- Volta, la via pub[li]ca et di Giovanni Capuano, et
di Sta Caterina- rendeno ogn'anno grani quinduici---0---0--i5
Reuottolo
Simone monciello tiene una selva detta la piana delli cierri
sen- gati; iusta li beni di pellegrino saccardo, da canto la via
publica, sotto li beni dell'heredi del N[otaro] Tomasi rutolo da
canto, quale predicto loco si possedeva per francisco et
Cristiano cerino rendeno quolibet anno a Sto Eus- tachio
carlini uno, dico--------------------0—-i—0
L'herede di Giovanni Tomasi rutolo tiene una selva per
nomine i sali- iusta li beni di simone monciello, Domenico de
pieri, da canto- Giovanni Angelo cerino, e la via publica da
sotto, quale predetto loco si pos- sedeno per francesco et
sebastiano cerino, iusta li beni di Ma- rino de pierri, verso lo
65
Filomeno Moscati
vallone, iusta li beni di Marino et- Matteo rutolo dicto sopra,
rende a Sto Eustachio dico carlini ----0-i-0
Ponte
Massentio Vigorita tiene una terra arbustata, et si chiama l'arbusto, iusta li beni d'Angelo et Minico Iannella, la viapublica da sopra et da sotto et da canto, et rende alla Chie- sa
di Sto Eustachio per la metà grani dieci, quale predicto loco si
possedeno- per Jacopo manzo, iusta li beni come di sopra,
dico-------------0---0—i0
II 190
Angelo et Minico Iannella tieneno et possedeno una terra
arbus- tata, et se chiama l'arbusto, iusta la via publica da
sopra et- da sotto di Massentio Vigorita, quale predicto loco
fu di Jacopo- manzo, iusta li beni come sopra dicto ,rende
ogn'anno a dicta chiesa- di Sto Eustachio nel dì di Natale –
grani ------------------------------------------0--0—i0
Giovanni Tomasi Vigorita tiene uno pezzo di terra arbustata
et. se chiama le lenze iusta li beni di Massentio Vigorita da
lato, et- li beni di dicto Giovanni Tomasi da sotto, et li beni di
Cesare Iannella- quale predicto loco se posedeno per
Francesco Iannella, iusta li beni de- Cola manzo, n[om]i[n]e
lo campo et lo cerretiello, rende ogn'anno- nel dì di Natale
per doe parte grani tridici et danari quattro- et l'altro terzo si
possede per Cesare Iannella----------------------------0----i3—4Cesare Iannella possede una terra arbustata dove se dice lelenze, iusta li beni di Col'Angelo manzo da sopra, et li beni di
Masse- ntio Vigorita da canto, et li beni di Giovanni Tomasi
Vigorita quale predicto loco- se possedeno per Francesco
Iannella iusta li beni di Cola manzo,- cioé lo campo et lo
cerretiello, et rende nel dì di Natale a detta- Chiesa per un
terzo grani sei et danari quattro, che doi altri terzi se
possedeno per Giovanni Tomasi Vigorita, dico------0---6------4
66
Sala di Serino
Marco marro tiene et possede una selva et se chiama lotoppolo, iusta la via publica da sotto et da canto, et li beni di
Ca- millo Santoro et li beni di N[otaro] Francisco Iannela. Et
anco possede- una casa in Raiano iusta li beni di Col'Angelo
manzo, la via, - publica, et altri suoi beni inclusove lo rendito
de l'arbusto, quale- predetto loco se possedeno la terra per
Gregorio virolla, la casa, et- l'arbusto per luca et Cipriano
virolla, iusta li beni di Cesare- Iannella la casa la selva iusta
li beni loro et di Sto Spirito, la via pu- blica, et la selva della
Sma Annunziata, rendono ogni cosa nel dì di Natale---1—4—0
l'herede di Marchese nivolla tiene una selva iusta li beni di
Massentio
II 191
marro da canto la via publica da sotto, et dal' altro lato
GiovanniTomasi- Vigorita, quale predicto loco si possedenoper Gregorio et luca virolla, iusta- li beni di D. Alessandro
molenaro et fra[tello], et se chiama lo toppolo, et rende
ogn'anno nello dì di Natale grani quattro---------------0---0---4
Angelo et Minico Iannella tieneno et possedono una selva- et
se chiama lo toppolo iusta li beni dell' heredi di Giovan luca
Ian- nella da sopra, li beni di Li- anora virolla da canto,
quale predicto loco se possedono per fabritio vi- rolla, iusta li
beni di Gasbarro et Antonio d'urso, et li beni di Sto- Spirito
che furno del brunillo, et li beni che furno di Cola marro , etli beni d'Alessandro Saccardo, et li beni della cappella [di]
Cristofaro- cheche; rende la metà Carlini uno et grani otto et
mezzo, ché l'altra metà se possede per Lianora virolla--0---i-8
Lianora virolla tiene et possiede una selva, che se - chiama lo
toppolo iusta li beni d'Angelo et Minico Iannella- da canto, li
beni dell'heredi di Giovanni luca Iannelli da sotto, li beni- di
pompeo todisco da l'altro canto. di D. Giovanni Tomasi
Iannella- da sopra, quale predicto loco si possedeva per
Orsola et fabio virollla- et altri confini come di sopra, et
67
Filomeno Moscati
rende ogn'anno in dì di Natale a ditta Chiesa di Sto
Eustachio carlini uno et grani otto----------------------0----i----8
Alessandro et Cola marro teneno et possedeno una terra
arbustata- et vitata, et se chiama le lenze, iusta la via publica
da sopra- et da lato et da sotto, iusta li beni Massentio
Vigorita et Matteo- Iannella, Marco marro da costi, quale
preditto loco si possedeno – Gabriele rogoglioso et Andrea di
Pinto, et se chiama l'arbustello- iusta li beni di D. Berardino
cheche, li beni di Gabriele rogoglioso- rende ogni anno ,a
dicta chiesa---—0—i---i0
Alessandro et Cola marro--------------------------0--2--- i8
II 192
Alessasndro et Cola marro tieneno et possedeno una terra che
se chiamal'arbustello vitato iusta li beni di Massentio
Vigorita delli - heredi di N[otaro] francesco Iannella, da
canto li beni di Marco marro la- via publica da sotto li beni
dell'herede di Giovanni luca Iannella del- l'altro canto, quale
predicto loco se possedeno per gabriele rogoglioso- iusta li
beni di Andrea di pinto da capo et da canto, che lo te- neva
da ditta Ecclesia da piedi li beni di francesco marro, et la via
pu- blica; rende ogn'anno grani trentasette, et mezo---------0--i---i7
Camillo santoro tiene et possiede una casa sopra[na]
et uno pezzo d''hortoiusta li beni di Giovanni Tomasi
Vigorita, minico santoro da sotto et Cornelia brescia- da
canto, quale predicto loco si possedeno per Minico santoro
iusta li beni di Ro- berto piscatore, et la via publica et li beni
di dicta chiesa, rende l'anno nel- dì di Natale carlini uno et
grani undici------------------0---i----ii
Camillo , carlini ------0---3----8
Camillo santoro tiene et possiede un'orto iusta li beni di ditto
Camillo- sopra li beni di Gasbarre santoro di sotto, et donato
brescia da canto,quale predicto loco si possedeno per
68
Sala di Serino
spirito santoro, che lo teneva da Sto Eus- tachio, iusta li beni
di santo santoro, et li beni di Sta Caterina che confina- da
quello; et rende ogn'anno nel dì di Natale gr-----------------------0---0—10
Cornelia brescia et gabriele Caporale suo marito tieneno et
pos- siedono una casa con uno gaito (pianerottolo) sopra un
orto, iusta li beni di Camillo san- toro da canto Minico
Santoro, da sotto a la via publica et li beni di Giovanni tomasi vigorita da canto al horto; quali casi [nel] preditto loco
si possedevano per spirito- santo, iusta li beni di roberto
piscatore, et la via publica et [altri]- beni di dicta Chiesa, et
rende ogn'anno nel dì di Natale—0—i---ii
Giovanni Tomasi Vigorita tiene et possiede una terra
arbustata et vitata- nomata la valle, iusta li beni di ferrante
et Innocentio lavorano, da sopra,- la via publica da costi et
da sopra, li beni di Matteo piscatore da sotto, preditto loco si
possedeva per giovanni Stefano Santoro iusta li beni di roberto
pisca- tore, la via publica da piedi et da costi e li beni di
dicta Chiesa che teneva
II 193
Teneva Gasbarro , rende ogn'anno nel dì di Natale--0-4-0
Giovanni, Jacopo et bartolomeo tedisco tieneno et possedono
tre membri di casa- sotto, et doe sopra di dicta chiesa, iusta li
beni di Donato brescia da canto,- li beni di Matteo piscatore
da l'altro canto, li beni d'orofino brescia- da sotto, la via
pubblica davante, quale preditto loco erano di Alessandro
santoro et- le teneva da dicta chiesa, iusta li beni di dicta
chiesa, che li teneva- Marino pellecchia, la via publica
davante e li beni di Vicienzo ragone- rende l'anno per la
metà carlini uno et grani dieci, che l'altra metà la teneorofino brescia---0---i---i0
orofino brescia tiene et possiede doe casi sopra et doe sotto da
dittachiesa di Sto Eustachio iusta li beni di Giovanni
69
Filomeno Moscati
Iacopo et bartolomeo todisco- da sopra, la via publica da
nante, et Matteo piscatore da canto, quale,- predicto loco si
possedeva per Alessandro santoro et altri fini come di sopra
alla- partita di Giovanni Jacopo todisco, rende l'anno nel dì
di Natale grani vin- ti cinque per una metà, che l'altra metà se
possede per Giovanni jacopo et fratelli- --------------------------0----i------i5
lodovico, o per sè fonso abruzzese, tiene et possiede una
potegha di- dicta chiesa, iusta li beni di lianora virolla da
sotti et lorenzo- santoro da sopra, la via publica davanti,
quale predicto loco fu di daniele- solimene, iusta li beni di
dicta chiesa d'ogni canto, la potegha di- vicienzo ragone la
teneva da dicta chiesa, rende ogni anno nel dì di Natale----0---0---- 5
Innocentio et ferrante lavorano teneno et possedono una terra
vitata- et se chiama la valle, iusta li beni di giovanni tomasi
vigorita da canto et- di sotto, li beni di Berardino santoro da
sopra, quale predicto loco fu di gasbarresantoro iusta
fines ut supra; rende per la metà nel dì di Natale grani quindici, che l'altra metà se possede per giovanni tomasi
vigorita come dicti- sopra dico grani----------------0----0—i5
II 194
Lianora virolla tiene et possiede una potegha iusta la casa- di
dicta chiesa, la via publica davante, et altri beni della chiesa
da- canto, quale preditto loco fu di Gasparre d'urso, iusta li
beni di dicta chiesa che- le tenevano D. Donato, eusebio et
rugiere et D Marco et Biasi mos- cato [iusta]la via publica;
rende ogn'anno nel dì di Natale-------------------------- 0----i---0
Casbarre santoro tiene et possiede una selva iusta li beni di
Donato- brescia da sotto, li beni d'Angelo et Minico jannella
da sopra, la- via di Sto Eustachio da lato, quale predicto
70
Sala di Serino
loco fu di Marino pel- lecchia, iusta li beni di Sto Eustachio,
che lo teneva Casparre- d'urso, li beni di Sto Salvatore, che
lo teneva guglielmo di santi, la- via publica da piedi et da
canto; rende ogn'anno per doe parti- carlini tre, che altre
grani quindici rende Donato brescia ---------------0----i-----i0
Donato brescia tene et possede una selva iusta li beni diCasbarre santoro da canti li beni di dicta chiesa, da sotto la
via- publica, quale predicto loco fu di Marino pellecchia,
iusta fines ut- supra alla partita di Gasbarre, per un terzo
rende ogn'anno------------------0---0—i5
Pietro todisco tene et possede una potegha iusta li beni di Lianora rivolla da lato, fonso abruzzese da l'altro canto, la viapublica da nante, quale predicto loco fu di Vicienzo et Andrea
ragone- iusta la piazza della dogana, la via publica, la taverna delli dicti , rende ogn'anno nel dì di Natale grani diece------------------------0---0----i0
Donato brescia tiene et possiede un orto quale have avuto in
doteda Scipione abruzzese, iusta li beni di lodovico
abruzzese, la- via publica, la cupitella, via a Santa Maria
della grazia, et dicto orto- se chiama orto dello campo et
rendito ce l'ha posto Scipione - abruzzese, sincom'appare per
intestato fatto per mano di notar pietro Iannella- et rende
ogn'anno grani cinque-------0-----0---5
Concordat cum originali , parti exhibenti restituto et intuens
frate sabatinus grecus attestavit
II 195
L'inventario riveste una notevole importanza, Esso, in primo
luogo, dimostra che le rendite della chiesa parrocchiale di
Santo Eustachio erano percepite in moneta contante, e ciò in
discordanza con le usanze del tempo, che si basavano
sull'istituto del censo, o enfiteusi, con pagamento in natura,
consistente in un terzo dei prodotti del suolo e nella metà dei
prodotti degli alberi da frutto. Le entrate della chiesa di Santo
Eustachio avevano , perciò, un doppio vantaggio; quello di
71
Filomeno Moscati
essere costanti, perché non soggette alla variabilità dei raccolti
annuali, e quello di poterne concentrare la riscossione in un
unico giorno, in genere quello di Natale.. Esse risultavano,
comunque, esigue, in quanto ammontanti a 48 carlini e 278
grani , questi ultimi monete di infimo valore. L'importanza
del documento è accresciuta dal fatto che esso consente di
conoscere i nomi, nel secolo XVI, di molti siti e luoghi di
Serino e la loro conservazione, variazione o scomparsa col
passare dei secoli. Lo stesso dicasi per i nomi delle persone,
alcuni dei quali desueti o addirittura scomparsi, Credo , infatti,
che sia difficile trovare , al giorno d'oggi, una persona che porti
il nome di Orofino, personaggio citato nell'inventario.
Tantissimi sono, invece, i cognomi di famiglie ancora
esistenti, che si sono tramandati immutati, o con lievi
modifiche, attraverso i secoli, quali Trammaglia, D'Agnessa,
Vigorita, Capuano, Di Piano, Lota, Piscatore, Molenaro, Volta,
Rutolo, Saccardi, Cerino, Marro, Santoro, Brescia, Moscato,
Todisco, Iannella, Pellecchia, Ragono, Abruzzese, Di Pinto,
D'Urso, Di Santi; o non più esistenti nell'ambito territoriale
dell'attuale Serino, quali Monciello, De Pierro, Caporale,
Virolla, Rogoglioso, Cheche, Stefanelli.
L'esiguità delle rendite della chiesa di Sant'Eustachio spiega
anche perché, nell'anno 1610, la chiesa più importante della
parrocchia di Sant'Eustachio fosse ancora quella di Santa
Maria della neve, tanto che in essa era stata trasferita anche la
cura dei fedeli della diruta chiesa parrocchiale di Santo
Stefano, esistente nella frazione S. Gaetano, com' è
documentato ( a meno di una madornale svista del visitatore o
del suo amanuense) nell'inizio del verbale di una visita
pastorale, eseguita il 24 ottobre 1610, che testualmente dice:
"E successivamente visitò la chiesa di Santa Maria della neve,
nella quale chiesa è trasferita la cura delle anime di Santo
72
Sala di Serino
Stefano per il fatto che essa era diruta"88 Da quello stesso
verbale si evince che la chiesa aveva "entrate annue di
ventisei ducati l'anno all'incirca, et le decime de più"; queste
decime erano costituite dall'undicesima parte del raccolto,
mentre le limosine per le esequie dei defunti ammontavano a
quindici carlini per morto , in conformità all'usanza di Serino;
(dixit che le decime l'esige de unnici una et li morti quinnici
carlini per morto, che si esige per tutto Serino).
Nel dicembre 1615, a quarantasette anni dal trasferimento
delle funzioni parrocchiali dalla chiesa di Sant'Eustachio a
quella di Santa Maria della neve,
la situazione era
immodificata, sebbene la chiesa di Santo Eustachio fosse stata
ricostruita, come risulta da due visite pastorali eseguite il 12
dicembre 1615.
Esse, dicono:
Santa Maria della neve
Il giorno 12 del mese di Xbris 1615 Il predetto reverendo
signor- visitatore, proseguendo la visi- ta, di mattina si recò
alla chiesa di Sta Maria della neve, di cui- è curato Don
Angelo Tramaglia, nella quale chiesa è trasferita- la cura
delle anime della chiesa parrocchiale di Sto Eustachio, e non
ha rettoria- e, dopo aver celebrato la messa nell'altare
maggiore di detta chiesa- visitò il Santissimo Sacramento
[custodito] in un tabernacolo ligneo finemente doratofoderato di seta rossa- entro una pisside argentea con piedeindorato, ben tenuto; c'è anche un'altra pisside, piccola,
d'argento senza piede.- Ha una mobilia descritta nella
precedente visita e, per dimenticanza,- furono tralasciate
delle pianete di damasco di colore rosso e giallo- con stola e
88
A D S, Visite pastorali; (Et successive visitavit Ecclesiam
Ste Marie ad nives, in qua ecclesiam est traslata cura
animarum Sti Stefani ex eo quo erat dirutta) II 021:
73
Filomeno Moscati
manipolo, un'altra smerlata di colore neromanipolo, un'altra di velluto ceruleo, vecchia.
II 302
con stola e
Fu ordinato che questa non sia usata. Di nuove, per verità,
sono state aggiunte- una grande tovaglia d'altare con
ornamento di rete di filo, un baldac- chino sopra l'altare di
damaschello di vivido colore.Ha un reddito di ducati venticinque e in censi quelli descritti
nella precedente visita.Nello stesso altare è eretta la confraternita intitolata a Sta
Maria- della neve, di cui sono maestri Angelo Saccardo,
Giovanni Pietro- Todisco, Aloisio Saccardo, Bartolomeo
Todisco, Francesco Guari- nus et Simeone Marra. Fu
ordinato che esibiscano i conti certi dell‘amministrazione
………………..
Ha un reddito annuo di quaranta ducati consistenti in- una
taverna sita nel casale di Sala, che viene data in affitto ognianno, e nel presente anno fu affittata per quarantadue ducati;parimenti ducati quattro sopra una selva di Giovan Pietro
Todisco,- dove si dice lo Toppolo, vicino ai beni di Mario e
Giuseppe- de Nicolais, Innocenzio e Ferdinando Saccorani,
come- da istrumento rogato per mano del notaio Salvatore de
Mattia;- parimente ducati quattro e tareni due sopra tutti i
beni di Otta- vio Moscati per il capitale di ducati quaranta,
come da istrumento- confezionato per mano del notaio
Giovanni Antonio Brescia;- parimenti carlini diciotto sopra
una selva dove si dice- Capo Revuottolo, vicino ai beni di
Bartolomeo Anzuoni, degli eredi- del fu Angelo Vistocco, del
notaio Giovanni Antonio Brescia e- altri confinanti, per legato
del defunto Reverendo Don
Giovanni VincenzzoTrammaglia.
II 303
74
Sala di Serino
La pagina successiva, di questo verbale di visita, è andata
dispersa o distrutta e , pertanto, abbiamo giudicato preferibile
considerarla conclusa.
Nello stesso giorno ( 12 dicembre 1615 ) fu eseguita anche
la visita alla chiesa di Santo Eustachio, il cui verbale dice:
Chiesa di Santo Eustachio
E, di seguito, si recò alla Chiesa parrocchiale di Sto
Eustachio, che- di nuovo è stata riedificata dai filiani del
casale di Dogana- vecchia nella quale si asserisce che prima
fossero amministrati- i Sacramenti; di cui è beneficiato Don
Angelo Trammaglia.- I redditi di detta chiesa sono descritti
nella visita di Santa Maria- della neve. Vi sono mobili
descritti nella visita precedente- ai quali è stata aggiunta la
custodia per il Santissimo Sacramento.- Asserirono che fosse
stato fatto un legato dal dottor Orazio Corsetti, di duca- ti
cinquecento da dividersi fra le chiese di San Luca, di San
Giovanni- Battista89 del Casale dei ferrari e di Santo
Eustachio, che, fino a questo momento,- non è stato ancora
recuperato. Si adoperino , con diligenza, per recuperarlo.- In
detta chiesa si celebra, con licenza della Curia, dal reverendo
Tommaso Iannella.- Fu ordinato che facciano due candelabri
di legno, dorati- e un messario nuovo.Ha un legato del
defunto Mariano Marra, il quale lasciò il frutto di due- anni,
di una sua data selva, per fare due cande- labri grandi
davanti all'altare; fu ordinato ai filiani che- applichino
diligenza nel recuperare detto legato. Beneficium Sante Marie
89
N.d..A, La chiesa è invece quella parrocchiale di San
Giovanni Evangelista, confusa, per una svista del visitatore o
del suo amanuense , con la chiesetta campestre di San
Giovanni Battista, realmente esistente fino alla seconda metà
del secolo XX nell'ambito della parrocchia di Ferrari, in
prossimità del confine fra gli attuali Comuni di Serino e San
Michele di Serino. Oggi è diruta
75
Filomeno Moscati
Gratiarum E di seguito visitò la cappella diruta di Santa
Maria- delle grazie che si dice annessa alla chiesa di San
Paolo di cui - il beneficiato è Don Orazio Moscatus II 305
La notizia più importante, che si ricava dalla lettura di queste
due visite pastorali, è che la chiesa parrocchiale di Santo
Eustachio di Dogana vecchia, malgrado l'esiguità delle sue
rendite, era stata completamente ricostruita, alla data del 12
dicembre 1615, soltanto "dai filiani del casale di Dogana
vecchia", come letteralmente recita il verbale di visita; e ciò
benché la parrocchia di Santo Eustachio abbracciasse un vasto
territorio e comprendesse nel suo seno anche i casali San
Giacomo, Raiano e Sala, come chiaramente risulta dal verbale
di un'altra visita pastorale effettuata nel giorno 1 luglio 1648.
La constatazione che è possibile effettuare dalla lettura dei
due verbali di visita del 12 dicembre 1615. è che la chiesa di
Santo Eustachio, pure essendo stata "de novo riedificata", non
aveva ancora riacquistato le sue funzioni primarie; a essa,
infatti,
competevano sia
la cura delle anime che
l'amministrazione dei sacramenti, funzioni e mansioni adesso
attribuite ed esercitate , con pieno diritto, dalla chiesa della
Madonna della neve e ciò fin dal momento in cui, nell'anno
1568, la cura delle anime era stata traslata dalla chiesa di
Santo Eustachio a quella di Santa Maria della neve. Da allora
entrambe le chiese si contendevano il titolo e le funzioni di
Chiesa parrocchiale.
L'inizio palese di questa contesa, che sarà lunga e annosa,
può essere fissato con sicurezza alla data del 14 gennaio 1615,
data in cui i filiani della parrocchia di Santo Eustachio,
appartenenti ai soli casali di Dogana vecchia e Raiano,
ricorrono alla Curia Arcivescovile di Salerno, perché, avendo
essi provveduto a riedificare la chiesa di Santo Eustachio e a
fornirla di tutto il necessario alla celebrazione delle funzioni
religiose, la Curia provveda, a sua volta, a reintegrarla nelle
76
Sala di Serino
sue antiche funzioni. Nel ricorso alla Curia era dato il massimo
rilievo al fatto che i filiani di Dogana Vecchia e Raiano
avevano versato una somma di circa 400 ducati sia per riavere
il Santissimo Sacramento, sia perché si potesse , di nuovo,
celebrare la messa nella loro chiesa. Il ricorso , a sostegno di
quanto in esso richiesto e per sottolineare l'importanza e
l'antichità della chiesa di Santo Eustachio e delle tradizioni ad
essa legate, affermava che quando la dogana era ancora attiva
e i signori di Serino risiedevano in zona, il Santissimo, dopo la
processione del Corpus Domini (che attraversava tutta Serino)
veniva riposto nella chiesa di Santo Eustachio; che nei giorni
di mercato e di pubblica fiera, essendo la chiesa insufficiente a
contenere la folla convenuta , si celebrava mediante un altare
portatile situato fuori della chiesa. 90
Il ricorso, presentato dagli abitanti di Dogana vecchia e
Raiano, diede luogo a un'inchiesta da parte della Curia, che
evidenziò come gli abitanti di Sala e San Giacomo, che
costituivano la maggioranza dei filiani della parrocchia, si
fossero sempre opposti alla riedificazione della chiesa di Santo
Eustachio e non avessero contribuito a cosa alcuna che
riguardasse il mantenimento del culto in detta chiesa. È questa
la ragione per cui l'arcivescovo di Salerno, Lucio Sanseverino
(1612-1623), (la cui attività pastorale si estrinsecò soprattutto
con personali e accurate visite alle parrocchie della sua diocesi
) essendo in visita a Serino, dopo aver ascoltato le parti in
contesa e avere vagliato le ragioni da esse esposte, decretò
verbalmente che la sede della parrocchia di Santo Eustachio
dovesse rimanere a Sala nella Chiesa della Madonna della
Neve. La decisione verbale dell'arcivescovo fu tramutata dalla
Curia Arcivescovile in decreto scritto, emanato in data 30
90
Crisci Generoso, Salerno Sacra, a cura di De Simone V.,
Rescigno G., Manzione F., De Mattia D. , Edizioni Gutenberg,,
Lancusi (SA) 2001, Vol. II p.305.
77
Filomeno Moscati
giugno 1615 , e questo spiega perché l'esordio della visita
pastorale del 12 dicembre 1615 sancisca che nella chiesa della
Madonna della neve è trasferita la cura delle anime della chiesa
parrocchiale di Santo Eustachio.91
Il decreto della Curia adduceva, a maggior sostegno della
decisione a favore della chiesa della Madonna della neve, la
sua centralità, che la poneva in una zona di intenso traffico, la
sua maggiore ampiezza, il suo più alto reddito e, infine, la
conformità ad altre decisioni dello stesso tipo prese in quello
stesso lasso di tempo e per le stesse ragioni. Malgrado tutte le
valide ragioni elencate, la questione della sede parrocchiale,
che sembrava definitivamente risolta col decreto della Curia
del 30 giugno 1615, ritornò prepotentemente alla ribalta l'8
marzo 1616, data in cui il Vicario generale della Diocesi di
Salerno, evidentemente per pressioni ricevute, emise un altro
decreto con il quale ritrasferiva la parrocchia nella sua antica
sede di S. Eustachio.
La decisione fu prontamente impugnata dai rappresentanti
legali e dai maestri della confraternita della Madonna della
neve, i quali comparvero presso la Curia Arcivescovile di
Salerno, il giorno 15 marzo 1616, per dichiarare che la
decisione presa dal Vicario doveva essere considerata nulla
perché ingiusta e presa contro ogni diritto, e, pertanto, essi si
erano appellati direttamente al Papa Paolo V (1605–1621) e
alla Sede Apostolica per ottenere una decisione definitiva a
favore della loro chiesa. . L' appello al Papa determinò una
situazione di stallo per cui , nell'attesa della decisione
definitiva da parte della Santa Sede, fu stabilito che, nelle
more, la sede della parrocchia rimanesse a Sala, nella Chiesa
della Madonna della neve, e che nella chiesa di S. Eustachio
potesse celebrare un sacerdote nominato dalla Curia.92
91
92
Crisci Generoso, idem, p. 306.
ADS, Benefici vari;
78
Sala di Serino
Era una situazione interlocutoria, che non poteva durare a
lungo e, difatti, dieci anni dopo la sede parrocchiale risultava
di nuovo , e questa volta con pieno diritto, attribuita alla
chiesa di S. Eustachio di Dogana vecchia, come, in modo
chiarissimo, si evince da due visite pastorali eseguite il 25
agosto 1625, che riportiamo per intero.
Esse, eseguite subito dopo quella alla chiesa di San Carlo,
nel casale di San Biagio, dicono :
Chiesa di Santa Maria della neve
E successivamente visitò la chiesa di Santa Maria della neve
nel casale- Sala, nella quale veniva esercitata la cura delle
anime, che, poi,è stata trasferita alla chiesa di Santo
Eustachio.- Visitò l'altare maggiore nel quale si celebra
mediante un altare portatile e fu- rinvenuto decentemente
ornato.- In detto altare c'è la confraternita che ha per titolo
Santa Maria della neve- di cui sono maestri Santo De Feo,
Martino Zaccardo,- Andrea Santoro, Antonio Molinari e
Lucio Santoro- ai quali è stato ordinato che entro tutto il
giorno seguente esibiscano- i conti della gestione della chiesa
a partire dalla visita precedente sotto pena di scomunica- Fu
prodotta la bolla di erezione [della confraternita] fatta
dall'ordinario nell'ultimo giorno- di luglio 1558 con l'onere di
pagare una libbra di cera bianca alla mensa- arcivescovile per
ogni singolo anno.- Ha un reddito di ducati trentaquattro
all'incirca- consistenti- in censi e in una taverna nel casale di
Sala, là dove si dice- la taverna di Santa Maria. Fu esibito un
inventario. I maestri dissero che debbono riscuotere, del
passato, circa- ducati ottanta; fu ad essi ordinato che li
riscuotano e. poi,- ne riferiscano alla Curia arcivescovile e
non debbano spenderli senza- permesso [della Curia]. Fu
assicurato che la chiesa abbisogna di riparazione e che il
campa- nile non è completato. Fu stabilito che sia lecito che
79
Filomeno Moscati
il denaro suddetto- sia speso nella riparazione della chiesa e
del campanile con l'intervento- del reverendo arciprete di
detto casale. II 369
I confratelli indossano sacchi bianchi con cappucci bianchi e
mozzette- di colore violaceo e si impegnano nel seppellire i
morti e in altre- opere pie e fanno celebrare messe nei giorni
festivi- con i redditi predetti, le quali celebra Don Giovanni
Domenico Trammaglia, al quale fu concessa licenza colbeneplacito della curia , ma fu a lui ordinato che nei giorni
festivi di- precetto non possa celebrare messa in detta chiesa
se non- dopo la messa della chiesa parrocchiale di Santo
Eustachio sotto pena- di libbre di cera dieci per ciascuna
volta [che ciò si verifica.] - Ha una mobilia di cui fu presa
nota nella precedente visita. Non furono confezionate- una
pianeta violacea, un messale, un altare portatile ed altre cose,
così come- era stato ordinato nella precedente visita; non fu
accomodato il calice finemente- dorato e , per equità, furono
concessi tre mesi per- confezionarli, altrimenti, trascorso
detto termine in detta chiesa non si celebri.- Visitò l'altare del
Santissimo Rosario in cui c'è la confraternita dallo stesso
titoloi cui maestri sono Salvatore Todisco, Giacomo
Zaccardo- e Sabato Piscatore a cui fu ordinato che entro tutto
il seguente- giorno esibiscano i conti dell'amministrazione
sotto pena di scomunica.Fu esibita la bolla della
concessione fatta dall'ordinario sotto la data Salerno- giorno
16 agosto 1609; e un' altra fatta dal Vicario generaledell'Ordine dei Predicatori il giorno 10 giugno 1578. I
confratelli non indossano- sacchi ma fanno celebrare una
messa nel giorno di sabato e nella prima domenica del mese.Ha un reddito di carlini quindici all'incirca e l'obbligo di
pagare- una libbra di cera bianca alla mensa arcivescovile
80
Sala di Serino
ogni anno.- Gli altri altari sono liberi; fu ordinato che a
nessuno siano concessi II 370
E in essi non si celebri senza licenza fatta dalla Curia
Arcivescovile.Chiesa parrocchiale di Santo Eustachio
E subito dopo visitò la chiesa parrocchiale di Sant'Eustachio
del casale- Dogana vecchia di cui è parroco il Reverendo
Oraziode Filippo, preposto dalla sede apostolica come
[evidenziato] nella bolla che esibìdatata Roma presso
Santa Maria Maggiore21 giugno ( ante diem decimo
Kalendis Julii ) 1620.Visitò il Santissimo Sacramento che è conservato nell'altare
maggioredentro un tabernacolo, ha due pissidi, vi si
celebra con un altare- portatile; tutti sono decentemente
ornati.- Il parroco non abita nei confini della parrocchia;
disse di non avere casain detto casale. Nella visita
precedente fu comandatoche i parrocchiani avrebbero
dovuto consegnare una casa al parroco entro- i confini della
parrocchia a spese (sumptibus) degli stessi parrocchiani
stante- la povertà della chiesa, il quale mandato non è stato
eseguito. Ricomandatofu, con proprio decreto, che i
parrocchiani entro quindicigiorni osservino il mandato
fatto, altrimenti, trascorso detto termine- il parroco senza
indugi trasferisca il Santissimo Sacramento dell'Eucarestiada detta chiesa a quella di Santa Maria della neve e iviamministri tutti i Sacramenti e in detta chiesa di Santo
Eustachio- più non si concelebri; e debbano contribuire nella
consegna- di detta casa tutti i parrocchiani di tutti i casali
che- sono sotto [ la giurisdizione] di detta parrocchia; e il
parroco vi debba sempre risiedere, sotto pena dell'interdetto
verso il casale che ricusa di contribuire II 371
81
Filomeno Moscati
nei confini della parrocchia di cui sopra, sotto la pena
contenuta nei Sacri Concili- e nelle Costituzioni Sinodali.
Il parroco insegna la dottrina cristiana, spiega il Vangelo,
come i parroc- chiani riferirono; non ha uno scomunicato né
un pubblico- peccatore.Esibì i libri parrocchiali e il libro dello stato delle animebene confezionati.Ha l'onere parrocchiale e l'obbligo di celebrare centodiecimesse all'anno in virtù del legato del defunto Orazio Corsetto,
per- i quali percepisce l'elemosina di ducati undici all'annocome per testamento fatto per mano del notaio Pietro Iannella
nello- anno 1614.La chiesa ha un reddito di ducati otto all'incirca, consistentiin diversi censi e possedimenti arbustati vicino- alla chiesa
dai quali si ricavano quindici ducati annui o- quasi. Ha
anche le decime di tutte le victualia (raccolte) del grano,dell'orzo, della canapa, del lino, delle fave, del granone,
dell'olio e di altre victu- alia; fu ordinato ai parrocchiani
che nel tempo del raccolto delle victu- alia non possano
quelle rimuovere dall'aia se non alla presenza- del parroco o
di persona da quello incaricata, sotto pena,- di scomunica
Ha una mobilia annotata nella visita precedente, una pianeta
di bianco colore,- i pulvinari e quattro vele non furono
confezionate;un calice dorato non fu accomodato; per
equità fu concessoun periodo di tre mesi per farlo al
parroco e ai parrocchiani- sotto pena contro il parroco di
libbre di cera venti, e controII 372
Contro i parrocchiani, da stabilire a proprio arbitrio. L'altare dal lato del cornu epistulae è libero; fu ordinato che a
nessuno- esso sia concesso e che in esso non si celebri.- Visitò
82
Sala di Serino
il fonte battesimale con gli oli sacri e con il Sacrario; fu
ordinato- al parroco che entro un mese accomodi i cancelli
intorno al Ciborioe quello mantenga con la serratura
chiusa, sotto pena di libbre di cera dieci.Visitò il confessionale con la bolla, le pene e i casi.
Furono inviati ordini a Sabato Pescatore - Giovanni Sullo e
Domenico Todisco, detentori di quattro ducatipercepiti
dalla quantità spettante alla chiesa parrocchiale- di Santo
Eustachio e alla chiesa di Santa Maria della neve.
Fu ordinato al parroco, sotto pena di scomunica, così come ai
detentori che deb- bano esibire i beni durante la visita della
sua chiesa al vespero. II 373
Alcune cose emergono , con assoluta chiarezza, dalla lettura di
queste due visite pastorali; la prima, e la più importante, è che,
nel 1625, la sede della parrocchia di Sala – Dogana vecchia era
ritornata nell'antica chiesa di Santo Eustachio, ove risultava
incardinata già dall'epoca della bolla di Papa Alessandro III,
del 1168, nella quale venivano elencate e si definivano i
confini di tutte le arcipreture della diocesi di Salerno; e fra
queste era compresa quella di Serino.
La contesa per l'assegnazione della sede parrocchiale
sembra, così, essersi conclusa, in modo definitivo, a favore
della chiesa di Santo Eustachio; ma, dall'epoca della bolla di
Papa Alessandro III (1159-1181), erano passati circa 500 anni
e la situazione topografica e demografica di Serino era
cambiata. I casali di Dogana Vecchia e Raiano erano rimasti
piccoli, poco popolati e, soprattutto, poco frequentati specie
dopo il trasferimento della dogana a Mercato nuovo, nei pressi
del mulino feudale; mentre Sala e S. Giacomo , situati in zona
più centrale e di maggior traffico, erano cresciuti sia di
popolazione che d' importanza e, in entrambi i casali, erano
sorte due chiese notevolmente più grandi e belle di quella di S.
Eustachio, oltre che più facili da raggiungere per gli abitanti
83
Filomeno Moscati
dei due casali. A San Giacomo, infatti, erano sorti , nel 1615,
la Chiesa e il Convento dei Santi Francesco e Giacomo (già
abitato e funzionante nel 1621)93 al posto dell’angusta e diruta
cappella di S. Giacomo, sconsacrata nell'anno 1576; e a Sala
era stata costruita, da parte dell'omonima confraternita, la
chiesa della Madonna della neve. La chiesa di Santo Eustachio
doveva essere, pertanto, così poco frequentata che il visitatore,
nel tentativo di favorire l'afflusso dei fedeli all'antica chiesa,
ritenne necessario imporre a Don Giovanni Domenico
Trammaglia, sacerdote celebrante in Santa Maria della neve
con il permesso della Curia, che nei giorni festivi e di precetto
dovesse celebrarvi la messa soltanto dopo che fosse stata
celebrata quella in Santo Eustachio, comminandogli la pesante
pena pecuniaria di dieci libbre di cera , da pagare alla Curia
arcivescovile, ogni volta che a ciò avesse contravvenuto.
Dalla visita alla chiesa della Madonna della neve si ricavano
notizie importanti sia riguardo alla confraternita che la costruì
che riguardo alla chiesa stessa. Nel verbale di visita si afferma
che i maestri della confraternita di S. Maria della neve
esibirono, al visitatore, la bolla di erezione emessa
dall'Arcivescovo in data 31 luglio 1558, con la quale si sanciva
la fondazione ufficiale della confraternita che aveva costruito
la chiesa dallo stesso nome. L' esistenza di fatto, ma non di
diritto, della confraternita doveva essere, comunque, anteriore
di qualche decennio. La chiesa era, difatti, già esistente alla
data del 6 novembre 1557, quando fu sottoposta a visita
pastorale assieme alla confraternita che l'aveva edificata e a
cui fu ordinato , fra l'altro, di procurarsi la bolla, che i maestri
adesso esibivano, e di far demolire i monumenti funebri
costruiti sui sepolcri esistenti nella chiesa, (evidentemente
costruita per costituire il luogo di sepoltura dei confratelli) a
93
Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg ,
Penta di Fisciano (SA) 2005 , p. 283,
84
Sala di Serino
meno che ogni monumento fosse stato dotato di una cappella e
di un compatrono (Vedi p. 71) .94 Ciò ci consente, inoltre, di
poter fissare la data di inizio della costruzione della Chiesa
della Madonna della Neve fra la fine del secolo XV e i primi
decenni del secolo XVI; le costruzioni e specie quelle delle
chiese, infatti, a quei tempi dovevano andare per le lunghe,
com'è dimostrato dal fatto che il verbale di visita, del 25 agosto
1625, afferma che all'atto della visita il campanile della chiesa
non era stato ancora completato.
Dal verbale di visita si evince anche la presenza, nella chiesa
della Madonna della neve, di una seconda confraternita con
una propria cappella e un proprio altare; la Confraternita del
Santissimo Rosario, eretta ufficialmente il 10 giugno 1578, con
bolla emessa dal Vicario generale dell'Ordine dei Predicatori,
cioè di S. Domenico ( che era uno dei tre ordini mendicanti) e
confermata, il 16 agosto 1609, con bolla emessa
dall'Arcivescovo di Salerno.
La presenza di queste due confraternite, nella Chiesa della
Madonna della Neve, costituisce un chiaro segno
dell'importanza che il casale Sala e la sua chiesa avevano
assunto e, per contro, il costante e sempre crescente declino
dell'importanza del casale Dogana Vecchia e della sua antica
chiesa. Questo declino appare evidente in alcuni documenti
dell'epoca e, soprattutto , nei verbali di alcune visite pastorali
da cui si ricava un quadro chiaro della situazione di precarietà
e di insufficienza della chiesa parrocchiale di S. Eustachio.
La visita del 25 agosto 1625 aveva messo in evidenza che il
parroco non risiedeva nell'ambito della parrocchia , perché
questa non possedeva una casa in grado di alloggiare il curato;
né i filiani avevano provveduto a fornirgliela malgrado il
mandato ricevuto nella visita precedente. La situazione non era
sostanzialmente mutata tredici anni dopo quando, in una visita
94
A D S, Visite pastorali;
85
Filomeno Moscati
pastorale del 1638, nella chiesa di S. Maria della neve viene
per la prima volta rilevata la presenza, sull'altare maggiore, di
una grande icona dalle molte immagini (ad ecclesiam Ste
Maria de nive- in casale Sala- visitavit altare maius in qua
[est] servata icona magna in pluribus imaginibus); III 47895
e, per contro, nella chiesa di S. Eustachio, fu, ancora una volta,
rilevato che il parroco non risiedeva nei confini della
parrocchia, ragione per cui fu comandato, sotto pena della
confisca dei frutti e degli altri redditi, nella forma sancita dai
Concili Sinodali, che il parroco dovesse risiedere, in futuro,
entro i confini della Parrocchia (" fuit instatum quod parochus
non residet intra fines Parrochie, fuit mandatum sub pena
confiscatione fructum et aliorum intra forma Sac. Conc:Sind.,
quod cum effectu intra fines parochie resideat in futurum.") III
47996 Quattro anni dopo, malgrado la pesantissima pena
prevista, la situazione rimaneva immutata e, il 15 febbraio
1642, ai filiani che protestavano perché il parroco non
risiedeva in parrocchia, fu comandato che lo avessero
provvisto di una casa abitabile e decente e allora il parroco sarà
tenuto a risiedervi sotto pena della privazione della parrocchia
( fuit instatum a filianis quod Parochus non residet, fuit
demandatus quod provideant de domo abitabile et decente, et
tunc ipse Parochus teneatur in abitatione residere... sub pena
privationis).97III 123
L'obbligo, per i parroci, di residenza entro i confini della
propria parrocchia, sancito in uno dei decreti del Concilio di
Trento(1542-1563) era stato riaffermato, con vigore, nei
mandati generali a parroci e sacerdoti della Charta Sereni
riuniti nella chiesa di Santa Lucia, durante la visita dell'agosto
95
ADS, Visite pastorali;
ADS, Visite pastorali,
97
ADS., Visite pastorali;
96
86
Sala di Serino
1625; 98 tale obbligo non poteva, però, essere materialmente
rispettato da Don Orazio De Filippo, parroco di S. Eustachio
fin dal 1620 ( ut in bullis expeditis in sede apostolico sub die
12 Julii 1620) sia per la mancanza dell'abitazione, sia per
l'esiguità del reddito della chiesa parrocchiale, e ciò generava
un contrasto insanabile.
Il contrasto sfociò in una vera e propria controversia tra
visitatore e parroco nella visita del 17 giugno 1644. In essa il
visitatore, dopo aver costatato che il parroco non risiedeva
nella parrocchia, gli ingiunse di risiedervi o di rinunciare ad
essa sotto le pene comminate nelle bolle pontificie sull'obbligo
della residenza; e delle pene arbitrarie per coloro che vi siano
precedentemente incorsi (Parochus non residet in Parochia,
fuit eidem iniunctum ut resideat aut resignet iusta penis
contentis in bullis Pontificiis residentiae oblighi preservando;
penarum incursorum de preterito ad arbitrio Illmi Domini).
Il visitatore dopo avere rilevato, inoltre, che il parroco al
suo arrivo non fece suonare le campane; né accendere la
lampada; né fece trovare il turibolo (incensiere) pronto,
adducendo la scusa di essere stato impedito da una necessità
impellente; gli ordinò di fare una copia del verbale di quella
visita entro dieci giorni e di presentarsi in Curia (Parochus in
avvento nostro non fecit pulsare campanas accendere lumen
reperire turibularium promptum, se excusavit ex quod ad
necessitate sibi occurrente. Fuit mandatus Parocho ut procuret
copiam presentis visitationis infra dies decem sub pena libre
cere decem, presentetur in curia). Il parroco, sotto la pressione
del visitatore, abdica e rinuncia alla parrocchia nel corso della
visita, poiché non vuole in quella risiedere, fatti salvi i frutti
98
ADS., Visite pastorali,( Mandata generalia facta in
visitatione Charta Sereni – Parochi habitare debent in propriis
parochiis sub pena suspensionis- aliisque penis contentis in
Costitutionibus Sinodalibus-----);
87
Filomeno Moscati
dell'anno in corso per il suo servizio fino al mese di ottobre. La
rinuncia fu accettata dal visitatore, anche per conto
dell'economo, fino a quando non si fosse provveduto, da parte
del coadiutore diocesano don Tommaso Croanicus?, alla
nomina di un legittimo successore mediante licenza della
Curia Arcivescovile 99
Il curato presentò, avverso le decisioni prese dal visitatore,
il seguente ricorso :
Presentatus Salerni in die 22 Junii 1644
Nella Corte Arcivescovile di Salerno compare D. Horatio de
Felippo- curato della chiesa parrocchiale di Santo Eustachio
della Terra di Serino- et dice come nella prossima visita
passata in detta sua Curatia- fatta dal Sig.re Canonico
Sabbatino sotto colore che esso supplicante- non residesse
minacciava condannarlo a diverse pene; ancorché nontenesse licentia in scriptis fu astrecto dire in voce che
renunciava- decta Parrochia, il quale subbito ammesse decta
renuncia et la prese- l'economo e perché quella non picca
subsisteva, essendo stata fatta- coacte per timore delle pene,
sì non fu fatta in scriptis- conforme ordine de franchis nel
capitulo da passe de officio de- narij, 3° non possendo essere
ancho ammessa decta renuncia non essendo- titulo di suo
patrimonio non havendo sub specie di possedere quello; etrenunciavo il patrimonio al predecto signore visitatore non
havendone- speciale mandato da Monsignore Arcivescovo di
ricevere la renuncia- di beneficio senza lo quale de securo
non potevano farlo né ri- cevere detta rinuncia niuna causa
subsistente de poterse- admettere detta renuncia; Ricorre
perciò alla decta Corte- Arcivescovale et dimanda declarasi
nulla decta renuncia et dicto- pretenso acto fatto in visita et
che sia mantenuto nella suapossessione altrimente si
99
ADS. Visite pastorali, III 153 ;
88
Sala di Serino
protesta contro cuis per esservi metamentum (stato costretto
con minaccia)-100 III 154
Il Vicario generale dell'Archidiocesi di Salerno, in data 23
giugno 1644, giudica che la rinuncia fatta da Don Orazio de
Filippo è nulla perché fatta non secondo l'ordine giuridico e
contro la forma dei Sacri Canoni e che, pertanto, il detto Don
Orazio de Filippo possa essere mantenuto nel beneficio di
Curato di
Santo Eustachio (Reverendissimus Dominus
Vicarius Generalis Salernitanus visto Decreto visitatoris et
considerato de iure considerando............... ....... decernit et
providet renunciationem predictam esse nullam tamquam facta
non Iuris ordinamento servato et contra formam Sacrorum
Canonum et ...dictum Don Horatium de Felippo posset esse
manutenutum in possessione dicti benefici Curati Sti
Eustachij).
Quattro anni dopo, nel 1648, era mutato il parroco ma non la
situazione, veramente precaria, in cui il nuovo curato era
costretto ad esercitare la sua missione pastorale, perché la
Chiesa di Santo Eustachio, oltre a essere priva di abitazione
per il curato, mancava totalmente di mezzi, come chiaramente
si evince dal verbale di una visita pastorale, eseguita il 2 luglio
di quell' anno, di cui riportiamo, tradotti, i passi più
significativi:
"Ecclesia Parrocchialis Santi Eustachij Dogane Veteris
Il giorno 2 del mese di luglio 1648. E di seguito l'Illustrissimo
e Reverendissimo Signor Visitatore di mattina- si recò alla
predetta Chiesa di Sto Eustachio, di cui è curato il Reverendo
Don Alessandro- de Auria come da bolle pontificie compilate
con data 13 dicembre 1646, essendo pontefice Innocen- zo X;
ci sono tutti i regolamenti, in detta bolla, circa- la presa di
possesso in data 4 gennaio 1647 e la professione di fede il
100
ADS., Visite pastorali
89
Filomeno Moscati
giorno seidi marzo dello stesso anno
.....................................
Il predetto curato ha sotto di sé i casali Dogana Vecchia, la
Sala, San- Giacomo e Raiano, i quali casali di Sala, Raiano e
San Giacomo niente corrispondono- alle spese del curato i cui
redditi sono tenui;- infatti non superano i quaranta ducati fra
certi e incerti e non sono sufficienti- per vivere onestamente, né
per sostenere le
spese del curato e specialmente per
confezionare gli ornamentie per mantenere la lampada
davanti al Santissimo.III 198
........Il curato non ha casa dove poter risiedere in detto casale,
né per il passato vi risiedettero- i curati. Al presente tuttavia
il curato per suo beneplacito vi risiede...III 199
Nello stesso giorno il visitatore, dopo la visita alla Chiesa di
Santo Eustachio, eseguì quelle alla chiesa dell'Annunziata ,
alla chiesa parrocchiale di S. Sossio e alle cappelle di S. Paolo
e di S. Maria dell'Arco a Troiani, per recarsi , infine, alla
chiesa della Madonna della neve nel cui altare maggiore
viene, ancora una volta, rilevata la presenza di una icona
lignea, che è così descritta: " In altare maiori adest icona
lignea cum diversis efficiebus ornatis et- coloratis in cui
medio adest titulus Ecclesiae et in eius capite effigies Crucifixi
aurati."101 III 212
Di grande interesse risulta la chiusa del verbale di questa
visita perché, per la prima volta, rivela l'esistenza in questa
chiesa di una cappella di patronato di un membro della
famiglia Cammarota, alla quale è stata invece attribuita la
costruzione della chiesa stessa. Essa dice :
101
ADS., Visite pastorali; <<Nell'altare maggiore c'è una icona
lignea composta da diverse immagini incorniciate e colorate e
in mezzo ad esse il titolo della chiesa e, sulla sua sommità,
l'immagine di un Crocifisso dorato.>>
90
Sala di Serino
Visitò la cappella dalla parte del Cornu Epistulae, esistente
dopo il Santissimo Rosario sotto il titolo- di Sta Maria delle
Grazie, la quale è del Signor Francesco Cammarota; Ha- un
onere di messe sessantadue che si debbono celebrare in detto
altare, ma, per il fatto che- non vi sono le cose necessarie
alla celebrazione, fu ordinato al detto signore che- procuri al
più presto di completarle.102 III 212
Nel 1650 la chiesa di Santo Eustachio conserva ancora il
titolo di chiesa parrocchiale, come si evince dal verbale di una
visita eseguita il 22 giugno di quello stesso anno, ma il nuovo
curato, Don Sebastiano Capuano, nominato con bolla del 29
novembre 1649, di nuovo non abita nella parrocchia in quanto
non ha una casa (curatus non habitat in Parochia cum non
habet domos) quasi a sottolineare e confermare la situazione
di insufficienza e di cronica indigenza della sede dell'antica
parrocchia. Ciò malgrado , fra alti e bassi, la situazione rimase
invariata, per altri due secoli, fino a quando l' Arcivescovo,
Marino Paglia, che dedicò gran parte della sua opera pastorale
al riordino e alla sistemazione delle parrocchie per renderle più
adatte alle esigenze della popolazione, nell'anno 1846 decise di
trasferire la sede parrocchiale, assieme al suo titolo, nella
chiesa di Santa Maria della neve di Sala di Serino.
La chiesa della Madonna della neve, quasi in previsione del
ruolo ufficiale che essa avrebbe assunto nel futuro, ma che in
pratica già esercitava, fu abbellita, nel secolo XVIII, da "un
pregevole quadro di Michele Ricciardi," 103 rappresentante il
miracolo della nevicata avvenuta a Roma, nella notte fra il 4 e
il 5 di agosto dell'anno 352 d.C.
Michele Ricciardi, membro di una famiglia di Penta di
Fisciano (SA) nacque "in una località del territorio foggiano
102
ADS,.Visite pastorali;
Romei Gennaro, Serino sacra. Chiese e santi, Poligrafica
Ruggiero s.r.l., Avellino 1994, p.16;
103
91
Filomeno Moscati
(dove si era trasferita la famiglia per lavoro) intorno al 1672 e
morì il 1753." 104 La prima notizia della sua presenza artistica
a Serino ci viene data da Alfonso Masucci , il quale afferma
che "il pittore Ricciardi" era, nei primi decenni del 700, "un
pittore in gran voga a Serino, che riempi del suo lavoro chiese,
chiostri e case signorili," fra cui il Salone del palazzo dei
Baroni Brescia- Morra in S. Sossio di Serino, su commissione
di Gaetano Brescia.105 Il Ricciardi fu, in realtà, un pittore che
dedicò la sua vita soprattutto ad affrescare conventi, come si
deduce da quanto scrive P. Arcangelo Pergamo, il quale lo
definisce come un pittore che, " seguendo una tradizione
secolare, trascorse la vita peregrinando di convento in
convento, dove affrescava povere chiese francescane e
silenziosi chiostri."106
"La sua costante presenza nel territorio è confermata dai
censimenti parrocchiali" ed è facilmente spiegabile se si tiene
presente che, a seguito della morte della sua prima moglie,
egli "sposò Agnese De Simone del casale San Sossio di Serino
nel 1715; " 107 ma la sua presenza , e la sua opera, nell'ambito
del territorio serinese risalgono ad almeno sei anni prima,
poiché, nel 1709, egli, nel chiostro del Convento dei
Francescani Riformati di Serino, illustrò, accanto ad episodi
della vita di S. Francesco, i principali momenti delle vite dei
maggiori Santi dell'Ordine Francescano, S. Antonio di Padova,
104
Carotenuto Simona, Pittori napoletani del Sei e Settecento
nel territorio di Serino", Paparo editore, Salerno 2008, p. 109
105
Masucci Alfonso, Serino, ricerche storiche, Tipografia di
Giuseppe Rinaldi, Napoli 1923, Vol. I, p.170;
106
P. Teofilo M. Giordano, I frati minori a Serino, in Moscati
Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg, Penta di
Fisciano (SA) 2005, p. 284;
107
Carotenuto Simona, Pittori napoletani del Sei e Settecento
nel territorio di Serino, Paparo editore, Salerno 2008, p 109;
92
Sala di Serino
S. Pietro d'Alcantara, S. Teresa d' Avila, S. Giovanni da
Capestrano; e, in uno dei medaglioni del Chiostro dedicato
all'Immacolata Concezione, lasciò una testimonianza non
peregrina della sua arte in una composizione pittorica in cui
diede il meglio di sé.108
Nel 1710 su commissione di Agostino Brescia (o meglio
dell'Abate Agostino, che ebbe lunga vita e fu quasi sempre
governatore della Chiesa del Corpo di Cristo) egli decorò "il
soffitto ligneo della chiesa del Corpo di Cristo, in S. Sossio di
Serino, con un apparato scenografico di finti stucchi, estesi
sull'intera navata e sul transetto, al cui interno erano presenti
le tele raffiguranti il Miracolo di Bolsena e il Cristo
Salvatore," in cui è ravvisabile l'influsso di Luca Giordano e di
altri pittori del tempo;109 purtroppo sia il soffitto ligneo del
Corpo di Cristo che i dipinti del salone di Palazzo BresciaMorra, che illustravano, nel soffitto, quattro scene guerresche
(fra cui un episodio della vita di Giovanni dalle Bande Nere), e
lungo le pareti stemmi nobiliari, 110 sono andati perduti.
Sul filo di questa tradizione, di abbellimento delle chiese
con soffitti lignei dipinti, o con tavolati dipinti da affiggere al
soffitto, il Ricciardi dipinse il tavolato con Il Trionfo della
Vergine, nella chiesa delle Clarisse di Santa Lucia di Serino,
nel 1715; e, nel 1716, il tavolato con il Miracolo della neve,
nella chiesa della Madonna della neve di Sala di Serino.
Nel Tavolato con il Miracolo della neve "l'evento sacro
viene reso in chiave monumentale attraverso l'introduzione di
partiti architettonici che danno solennità alla composizione,"
108
Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni,
Penta di Fisciano (SA) 2005, p.284;
109
Carotenuto Simona, Pittori napoletani del Sei e settecento
nel territorio di Serino, Paparo editore, Salerno 2008, p. 110;
110
Masucci Alfonso, Serino(Ricerche storiche), Tipografia di
Giuseppe Rinaldi, Napoli 1923, Vol. I, p.170;
93
Filomeno Moscati
la quale mette in risalto, nelle diverse partizioni sovrapposte,
"un intricato movimento di figure angeliche e di santi," che
conferiscono al quadro un marcato effetto di "illusionismo
scenografico"111 Questo tavolato, restaurato dopo il terremoto
del 23 novembre 1980, ancora campeggia, ancorato al soffitto
della Chiesa della Madonna della neve; però , a detta di alcuni
filiani della parrocchia di Sala particolarmente attendibili112,
esso non vi è stato affisso nella posizione originaria, ma con
una rotazione di 180 gradi.
A conferma della predilezione del Ricciardi per i soffitti
lignei dipinti, Simona Carotenuto gli attribuisce anche quello
della cappella dell' Eremo di S. Gaetano,113 che viene così
descritto da Alfonso Masucci: "Notevole è il soffitto di legno,
tutto ornato con fregi in stile settecentesco......Sempre nel
soffitto e in corrispondenza dell'altare, è questa iscrizione: Vs/
Vs/R 1727 e non ho saputo interpretarla."114 L'attribuzione,
fatta da Simona Carotenuto, è da ritenersi fondata, perché
suffragata oltre che dallo stile dei fregi, tipico del Ricciardi, dal
fatto che la cappella di S. Gaetano, fatta costruire da Nicola
Brescia fra il 1657 e il 1662, apparteneva , nel 1727, a suo
figlio Gaetano, cioè a colui che aveva abbellito il suo palazzo,
in San Sossio di Serino, con i dipinti di Angelo Michele
Ricciardi; il quale Gaetano era fratello dell'Abate Agostino,
che, nella sua qualità di Governatore della Confraternita, aveva
commissionato i dipinti del soffitto ligneo del Corpo di Cristo,
e, in quello raffigurante Il miracolo di Bolsena, si era fatto
ritrarre dal Ricciardi nella forma di un sacerdote seduto
111
Carotenuto Simona, idem, pp. 110, 111;
N. d. A., come l’insegnante Gaetano Vigorita, nato e vissuto
a pochi passi dalla chiesa della Madonna della neve
113
Carotenuto Simona, ibidem, p.112;
114
Masucci Alfonso, Serino (Ricerche storiche), Tipografia di
Giuseppe Rinaldi, Napoli 1923, Vol. I p.130;
112
94
Sala di Serino
accanto al Papa incredulo,115 seguendo la moda del tempo che
voleva che i pittori raffigurassero, nei loro quadri , l'
immagine dei loro committenti.
Particolarmente significativa, nell'ambito dei molti quadri
della Madonna di Montevergine dipinti dal Ricciardi, è l'icona,
del 1743, che adorna l'altare maggiore della Chiesa di Santo
Eustachio di Dogana Vecchia, in cui la Madonna è raffigurata
assieme ai santi Antonio di Padova e Vincenzo Ferrer, perché
s'inquadra nell'interesse dimostrato dal Ricciardi per la ripresa,
in chiave moderna, di alcune icone medioevali.116 L'icona
costituisce, secondo Gennaro Romei, una testimonianza in
favore della tradizione popolare, che ricorda la chiesa di
Sant'Eustachio come antico luogo di sosta per coloro che,
partendo dal territorio salernitano, si recavano in
pellegrinaggio al Santuario di Montevergine sul Monte
Partenio.117 Essa ci dice inoltre, a conferma della povertà della
Chiesa di Sant'Eustachio, che solo nel 1743, e cioè circa
duecento anni dopo l'ingiunzione fatta dal visitatore nella visita
del 6 novembre 1557, l'altare maggiore fu dotato di una icona.
115
Masucci Alfonso, idem, Vol. I, p.169;
Carotenuto Simona, ibidem, pp. 113, 114;
117
Romei Gennaro, Serino Sacra. Chiese e Santi, Poligrafica
Ruggiero s.r.l., Avellino 1994, p. 17;
116
95
Filomeno Moscati
Bibliografia
Carotenuto Simona, Pittori napoletani del Sei e Settecento
nel territorio di Serino, Paparo editore, Salerno 2008;
Crisci Generoso, Campagna Angelo, Salerno Sacra,
Edizione della Curia Arcivescovile, Salerno 1962;
Crisci Generoso, Salerno Sacra, a cura di De Simone V.,
Rescigno G., Manzione F., De Mattia D., Edizioni Gutenberg,
Lancusi (SA) 2001;
Giordano P. Teofilo M., I frati minori a Serino, Tipografia
dei monasteri, Subiaco (Roma) 1968;
Masucci Alfonso, Serino (Ricerche storiche), Tipografia di
Giuseppe Rinaldi. Napoli1923;
Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni,
Penta di Fisciano (SA) 2005;
Romei Gennaro, Serino Sacra. Chiese e Santi, Poligrafica
Ruggiero s. r. l., Avellino 1994;
96
Sala di Serino
I 012
I 013
I 014
97
Filomeno Moscati
II 189
II 190
II 191
II 192
98
Sala di Serino
II 193
II 194
99
Filomeno Moscati
II 195
II 021
II 302
100
Sala di Serino
II 303
II 305
II 369
II 370
101
Filomeno Moscati
II 371
II 372
II 373
III 478
102
Sala di Serino
III 123
III 153
III 154
103
Filomeno Moscati
III 198
III 199
III 212
104
Sala di Serino
VI
I leoni del Monte Terminio
Benedetto Croce sostiene, nella sua ―Storia del regno di
Napoli‖ , che fu nel corso delle parziali riforme legislative e
della generale riforma del costume, instaurate dai primi due re
della monarchia borbonica (Carlo III 1735-1759, Ferdinando I
1759-1825) , che nell’Italia meridionale ―irruppe l‘impetuosa
corrente della Rivoluzione Francese e trascinò l‘Italia
meridionale…in una sequela di guerre e rivolgimenti e
rivoluzioni… che… non ebbe termine se non dopo circa 70
anni. È una storia questa dei settant‘anni…trasmessa a noi
non solo da libri e documenti ma dalle persone di quelli che ne
furono attori e dei loro figliuoli‖, cioè ―una prossima e
appassionata storia familiare‖.118
Questa storia familiare ebbe i suoi episodi anche a Serino e ne
furono protagonisti uomini della borghesia, dell’aristocrazia,
del clero e studenti dell’Università; una minoranza, costituita
da esponenti di una classe politica e intellettuale formatasi di
recente119 e appartenenti a famiglie ancora oggi esistenti nel
territorio dell’antica Serino Essi nel 1799, all’epoca della
Repubblica Partenopea, tentarono un’impresa difficile e
pericolosa cercando di trapiantare anche a Serino l’ideale della
libertà. Fra coloro che più si distinsero, all’epoca della
Repubblica Partenopea (gennaio-giugno1799), nel tentativo di
trapiantare anche nel popolo gli ideali di libertà scaturiti dalla
Rivoluzione Francese, vanno annoverati, innanzitutto, alcuni
membri della famiglia Anzuoni del casale Dogana Vecchia,
individuati e condannati come rei di Stato per le azioni
118
Croce Benedetto , Storia del Regno di Napoli, a cura di
Giuseppe Galasso, Adelphi Edizioni, Milano 1992, p. 273.
119
Croce Benedetto, idem, p.275.
105
Filomeno Moscati
rivoluzionarie dell’anno 1799. Tali furono definiti Anzuoni
Matteo fu Giacomo, napoletano, avvocato, di anni 41,
domiciliato in Serino; Anzuoni Nicola Maria del quondam
(defunto) Giacomo, di anni 36, napoletano, negoziante,
dimorante in Serino; Anzuoni Gaetano di Serino; Anzuoni
Raffaele, figlio di Matteo, di anni 16, studente. Essi furono
riconosciuti colpevoli di reità contro lo Stato, 120 i loro beni
venero sequestrati e sottoposti ad amministrazione statale121
ed essi stessi espulsi dal regno o esiliati.
Nelle vicende rivoluzionarie dell’anno 1799 importanza
notevole ebbero anche Domenico Moscati e sua moglie
Carmela Clarizia. La prima notizia della loro partecipazione
agli avvenimenti rivoluzionari del 1799, che portarono alla
nascita e alla breve vita della Repubblica Partenopea , ci
pervengono dal Diario napoletano di Carlo De Nicola, il
quale, in data 9 ottobre 1799, annota che ―sono state arrestate
una tale Barbara Sancaprè, moglie di un capitano di Marina,
celebre per bellezza e brio, per cui molto di sé ha fatto parlare
negli anni passati, e d. Carmela Clarizia, moglie di d.
Domenico Moscati, che fu uno dei più sciocchi e decisi
patriotti, che si portò in parecchie spedizioni‖122 Carmela
Clarizia era figlia di un personaggio importante, Carlo Clarizia,
designato come uno dei ministri del Tribunale Civile
Repubblicano.123 e personaggio importante ella stessa, negli
avvenimenti rivoluzionari di quell’epoca, tanto che Carlo De
Nicola, nel suo minuzioso diario, annota che‖si parla molto
120
Filiazione dei rei di Stato esiliati , agosto 1799, p.21, 23,
26
121
Amministrazione dei beni dei rei di Stato, anno 1799,
fascicoli 110 e 127:
122
Carlo De Nicola, Diario napoletano, 1799, ottobre,
mercordì 9;
123
Carlo De Nicola, idem, 1799. Sabato 1 giugno ,;
106
Sala di Serino
della cospirazione ultima scoperta, e si dice che ne saranno
fatte pubbliche le notizie. La cassiera si dice che fosse la figlia
di d. Carlo Clarizia. D. Carmela, moglie del patriota
Domenico Moscati.124
Domenico Moscati, divenuto fervente giacobino soprattutto
per opera di sua moglie Carmela, si arruolò nell’esercito del
generale Championnet ancor prima che Napoli fosse occupata
dai Francesi. Fu, poi, uno dei protagonisti della difesa della
Repubblica guidando, col grado di capitano, la prima colonna
di patrioti napoletani accorsi in difesa dei francesi che si
trovavano in difficoltà a Monteforte e, quivi, si oppose con
successo alla colonna guidata da un altro ―Serinese‖ di salda
fede borbonica, l’ufficiale Costantino De Filippis,
respingendola e costringendola a ritirarsi sui monti Picentini,
tra Giffoni e Serino. Alla fine della Repubblica, con l’arrivo
dei sanfedisti e del cardinale Ruffo, egli fu arrestato e venne
così descritto nelle Filiazioni dei rei di Stato:‖Domenico
Moscati, figlio del quondam ( defunto) Francesco e di
Prudernza Spadano, di anni 31, nativo di Serino, Provincia di
Montefusco, capelli e ciglia castagni, occhi falbi (giallo
rossicci), viso tondo, con un neo sulla ciglia sinistra, viso
profilato, con folte barbette, statura 5,3 e 6.‖ Fu inquisito, e,
ritenuto colpevole di reità contro lo Stato, i suoi beni vennero
sequestrati e sottoposti all’amministrazione dei beni dei rei di
Stato e, infine, esiliato. Esule a Marsiglia si arruolò
nell’esercito francese col grado di capitano e, per molti anni,
non diede notizia di sé, tanto che i suoi parenti lo piansero,
reputandolo morto, e la moglie, per la stessa ragione, decise di
consolarsi altrimenti.125
124
Carlo De Nicola, ibidem, 1800, ottobre 3;
Moscati Ruggero, Una famiglia borghese del Mezzogiorno,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1964, p.123;
125
107
Filomeno Moscati
Nelle vicende connesse con La Repubblica Partenopea
importanza notevole ebbero anche:
Gennaro Rutoli, il quale, col grado di colonnello, guidò, il 20
maggio del 1799, una colonna di uomini armati, che, forzato il
passo di Contrada, si congiunse con un’altra colonna,
proveniente dal Passo di Monteforte agli ordini del generale
Marra; le quali, dopo aver conquistato Avellino, che era in
mano ai ―sanfedisti‖, la saccheggiarono;126
Giacomo Stefanelli, il sacerdote Giuseppe Parrella, Nicola e
Antonio Tramaglia, tutti arrestati e dichiarati rei di Stato,
ebbero i loro beni sequestrati e sottoposti ad amministrazione
statale.127
Questa pattuglia di giacobini costituì la classe dirigente nel
periodo rivoluzionario del 1799. Essa , aperta alle nuove idee
di libertà, aderì agli ideali della rivoluzione francese
impiantando a Serino un’amministrazione repubblicana, che
fu resa visibile anche materialmente con l’erezione, nelle
piazze di Serino, San Michele di Serino e Santa Lucia di
Serino, dell’albero della libertà, secondo la moda di quei
tempi. Fu una libertà effimera, perché i sanfedisti guidati da
Costantino De Filippi, un ufficiale borbonico di Santa Lucia di
Serino, li abbatterono, invano contrastati dalle principali
famiglie borghesi del Serinese, Anzuoni, Stefanelli, Moscati,
Rutoli e Magnacervo, tutte decisamente schierate a fianco dei
126
Barra Francesco, La rivoluzione del 1799, in Storia
Illustrata di Avellino e dell‘Irpinia, Ed. Sellino e Barra, Pratola
Serra (AV) 1966, Vol. IV, Il Risorgimento, p.14;
127
Filiazioni dei rei di Stato; Amministrazione dei beni dei rei
di Stato, fascicoli 110,127; Vedi anche Moscati Filomeno,
Storia di Serino, Edizioni Gutenberg , Penta di Fisciano (SA)
2005, pp,319-321;
108
Sala di Serino
repubblicani, ma senza seguito fra la popolazione rimasta
pervicacemente borbonica.128
La storia familiare di cui parla Benedetto Croce, fatta di
insurrezioni e rivolgimenti sopiti durante il decennio francese
(1805-1815), riprese con la restaurazione borbonica e divenne
manifesta con il consolidarsi della Carboneria, che da pochi
anni si era andata diffondendo nel Regno di Napoli. Lo prova
una notizia dell’aprile 1820: Costantino De Filippi, l’ufficiale
borbonico del 1799 (vedi p. 107) ora divenuto alto funzionario
del Regno di Napoli con la qualifica di Intendente della Terra
di Lavoro, mentre soggiornava per motivi di salute in Santa
Lucia di Serino, suo paese di origine, aveva ricevuto da suo
nipote Tommaso De Filippi, colonnello dei militi della
provincia, la notizia che nei Due Principati si stava preparando
una rivolta, e, a seguito di ciò, aveva anticipato il suo ritorno a
Caserta per riferire la notizia ai ministri Medici e Tommasi.129
La notizia era
correlata all’esistenza in Irpinia della
Carboneria, ―un‘organizzazione settaria‖
radicata sul
territorio in modo talmente forte che ―ogni Comune aveva la
sua vendita o le sue vendite con denominazioni che
impegnavano un programma di virtù e di patriottismo.‖ Due di
queste vendite erano presenti, nel 1820, anche nella Terra di
Serino. La prima, fondata in San Biagio di Serino da Sabato
Perreca, all’epoca sindaco di Serino, era denominata I leoni
del Monte Terminio; la seconda, in San Michele di Serino,
era denominata I seguaci di Cassio. 130
128
Barra Francesco, La rivoluzione del 1799, in op. citata, p.
22;
129
Cannaviello Vincenzo, Gli Irpini nella Rivoluzione del 1820
e nella Reazione, Tipografia Pergola, Avellino 1941, p. 11.
130
Cannaviello Vincenzo, Lorenzo De Concilj o liberalismo
irpino, De Angelis Editore, Avellino 2001, pp. 31, 32;
109
Filomeno Moscati
I membri di queste due vendite carbonare furono protagonisti
dell’insurrezione che infiammò Serino il 2 luglio 1820.
L’insurrezione prese l’avvio dall’arrivo a Serino del colonnello
Lorenzo de Concilj, che percorreva la provincia per
organizzare la rivolta. Egli, nella mattina del 2 luglio, dopo
essersi recato prima a Forino e Montoro, riunì i maggiori
esponenti delle due vendite carbonare in San Michele di
Serino, in casa del sindaco Michele Molinari, che era sita in
via Corticelle, nel fabbricato, che, fino al XVI secolo, aveva
ospitato il mulino delle monache, feudatarie di San Michele di
Serino. Alla riunione parteciparono, oltre al Sindaco Michele
Molinari altri due cittadini di San Michele, Nicola Cotone fu
Michele e Ciriaco De Cicco fu Matteo, e i membri più
importanti della vendita carbonara di Serino, Raffaele
Anzuoni, Sabato Perreca, Emerico Tedeschi, Baldassarre
Tedeschi.
Raffaele Anzuoni, di Dogana Vecchia, era quello stesso che
nel 1799, all’epoca della Repubblica Partenopea, era stato
esiliato assieme al padre e definito, nei registri della polizia di
Stato, ―giacobino, studente, di anni 16, figlio di Matteo.‖ Egli
era uno dei superstiti di quella pattuglia di giacobini, che,
rientrati dall’esilio all’avvento dei regni napoleonici di
Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat (1805-1815),
conquistati dalle idee di libertà, fraternità e eguaglianza,
scaturiti dalla Rivoluzione Francese, diedero forma, vita e
ideali alle vendite carbonare al tempo della restaurazione
borbonica. Non a caso, quindi, Raffaele Anzuoni, definito
studente e giacobino nel 1799, divenne carbonaro e Gran
Maestro di Vendita nel 1820. La sua fede e la sua fedeltà agli
ideali egli le manifestò anche nell’azione, e, dopo aver
partecipato all’abboccamento segreto col tenente colonnello
de Concilj in casa Molinari, in quello stesso giorno 2 luglio
1820 insieme al sindaco Sabato Perreca, al parroco Baldassarre
110
Sala di Serino
Tedeschi, al capitano Emerico Tedeschi, a Domenico dei
baroni Brescia, ai fratelli Lanzillo e a molti altri, percorse le
vie di San Biagio e di tutti gli altri casali di Serino, con la
bandiera tricolore della Carboneria (rossa, nera e celeste)
spiegata, propagandovi la rivolta e minacciando di morte tutti
quelli che non volevano seguirli. La sera del 2 luglio, postosi
alla testa di parecchi uomini armati, dopo essersi diretto ad
Avellino si portò a Monteforte per congiungersi alle truppe di
Morelli e Silvati provenienti da Nola. Unitosi a queste truppe
Raffaele Anzuoni, con i suoi, marciò su Avellino, e, dopo
averla occupata, il 3 luglio 1820, chiese, assieme agli altri,
che fosse promulgata, nel Regno di Napoli, la Costituzione di
Spagna del 1812; poi, esposta la bandiera tricolore sui
principali palazzi della città, prese parte al corteo, che, con alla
testa Lorenzo de Concilj, sfilò per le vie principali di Avellino
al grido di “Viva la Costituzione, viva la libertà‖. A lui il
tenente colonnello Lorenzo de Concilj affidò il compito di
bloccare la strada, che da Salerno portava ad Avellino, e di
sbarrare il passo alle truppe borboniche del generale Campana
che si dirigevano sulla città, come risulta dal Rapporto, che il
de Concilj fece al Tenente Generale Pepe, circa i movimenti
dell’armata rivoluzionaria dal 2 al 6 luglio 1820. Il de Concilj,
fra l’altro, così si esprime circa gli avvenimenti del giorno 3 :
―feci marciare sulle frontiere di Salerno il capitano Anzuoni
colla sua compagnia di milizie. Verso la fine di quello stesso
giorno furono fatti prigionieri 15 gendarmi, che si avanzavano
verso Solofra.. Erano questi una piccola avanguardia del
generale Campana, il quale non tardò a comparire, forte di
500 uomini del reggimento fanteria Real Palermo, e 150 del
cavalleria Principe; ma fu così ben ricevuto dal nostro fuoco,
che fu obbligato a retrocedere fino a Torchiato, paese quattro
miglia al di là di Solofra.‖
111
Filomeno Moscati
Fu l’Anzuoni, alla testa della compagnia dei militi di Serino
insieme a mezzo squadrone di cavalleria di Morelli e Silvati e
ad altri rivoltosi, a costringere il generale Campana e le sue
truppe a battere in ritirata. La vittoria fu così completa che le
truppe carbonare, guidate dai capitani Anzuoni, Belli, Nisco,
Paolella e Pristipino, dopo aver cacciato le truppe borboniche
da tutti i luoghi da esse occupati, inseguirono il nemico fino a
Salerno, vi entrarono fra le acclamazioni del popolo e
proclamarono la Costituzione.131 Il capitano Raffaele Anzuoni,
dopo l’occupazione di Salerno, inviò al tenente colonnello
Lorenzo de Concilj, comandante delle truppe rivoluzionarie,
questa missiva:
A dì 6 luglio 1820
Signor tenente colonnello,
Noi siamo in Salerno fin da ieri sera; tutto è tranquillo, la
truppa si unisce a noi. Venite a dar tuono alle altre provincie,
in somma venite al voto generale.
Anzuoni
Dopo le elezioni dei Deputati al Parlamento Napoletano,
indette il 22 luglio 1820, quando la reazione stava per prendere
il sopravvento, Raffaele Anzuoni, Serinese di Dogana Vecchia,
a ulteriore conferma e testimonianza della sua fede nella
Costituzione e del suo amore per la libertà, marciò verso
l’Abruzzo con l’esercito del generale Guglielmo Pepe, per
opporre l’ultima resistenza agli austriaci, nel vano tentativo di
impedire l’invasione dell’Italia Meridionale e l’abolizione
della Costituzione da poco concessa; e partecipò alla battaglia
di Androdoco (7 -9 marzo 1821), oggi generalmente
considerata come la prima battaglia risorgimentale. Dopo la
sconfitta, per sfuggire alle persecuzioni
generate dal
prorompere della reazione, si ecclissò per ricomparire soltanto
131
Cannaviello Vincenzo, LORENZO DE CONCILJ. o liberalismo irpino,
De Angelis Editore, Avellino 2001, p.41;
112
Sala di Serino
quando riuscì ad ottenere un passaporto per Roma, dove egli
giunse, insieme al figlio Nicolantonio, il 30 marzo 1822;
passò poi a Livorno e , ottenuto un passaporto per la Francia,
sbarcò a Marsiglia con l’intento di stabilirsi a Parigi, ma, a
causa delle difficoltà opposte dalla Prefettura di Polizia,
preferì recarsi in Svizzera, a Losanna, e da qui, dopo averne
ottenuto il permesso, si trasferì di nuovo a Roma.132
Quando Ferdinando II promulgò, il 18 dicembre 1830,
l’indulto che consentiva il rientro dei fuorusciti, che fu
pubblicato a Roma il 10 gennaio 1831, anche il suo ritorno in
patria fu difficoltoso, forse perché , per la molteplicità dei
permessi che aveva dovuto ottenere per i suoi trasferimenti da
un Paese all’altro, il suo nome era stato cambiato da Raffele in
Tommaso, ed egli, per poter rimpatriare, fu costretto a
dimostrare che quel Tommaso non esisteva. Ritornò a Serino
nella primavera del 1831.133
Matteo Anzuoni, suo padre, antico giacobino all’epoca della
Repubblica Napoletana, rientrato dall’esilio al tempo di
Giuseppe Bonaparte, divenne un adepto della Carboneria dopo
la restaurazione borbonica ed ebbe, in essa, una posizione di
rilievo, tanto da essere nominato componente della Giunta
Elettorale Provinciale e in questa veste fu presente, il 4
settembre 1820, all’elezione dei deputati al Parlamento
Costituzionale.134
Parroco della parrocchia di Dogana Vecchia era D. Baldassarre
Tedeschi, che fu attivamente presente nei moti insurrezionali
del 2 luglio 1820. Egli, essendo uno dei principali adepti alla
carboneria serinese, partecipò all’abboccamento segreto con il
tenente colonnello Lorenzo de Concilj in casa del sindaco di
132
Cannaviello Vincenzo, Gli Irpini nella Rivoluzione del 1820 e nella
Reazione, Tipografia Pergola, Avellino 1941, p. 251;
133
Cannaviello Vincenzo, idem, p.209;
134
Cannaviello Vincenzo, idem, p. 55;
113
Filomeno Moscati
San Michele di Serino, Michele Molinari. Dopo il colloquio fu
tra quelli che percorsero le vie dei principali casali di Serino,
con il tricolore carbonaro spiegato, inneggiando alla libertà e
alla Costituzione. Fu anche fra quelli che, al seguito del
capitano Raffaele Anzuoni, parteciparono alla difesa dei passi
collinari, e, dopo aver respinto le truppe del generale Campana,
consentirono l’occupazione di Salerno da parte degli insorti.
Per questa sua partecipazione fu esiliato e gli fu concesso di
rientrare a Serino solo dopo l’indulto pubblicato a Roma il 10
gennaio 1831.135
Settario e carbonaro fu giudicato l’impiegato comunale D.
Gennaro Anzuoni, che, perciò, fu destituito dall’impiego.136
Faceva parte della Carboneria anche Carmine Solimene di
Dogana Vecchia. Egli
accompagnò Raffaele Anzuoni
all’incontro segreto con il tenente colonnello de Concilj, e,
come trabante ( attendente), fu chiamato a testimoniare su
quell’incontro il 28 dicembre 1822.137
Figura di rilievo tra i carbonari serinesi
dev’essere
considerato Tommaso De Filippi, quello che nell’aprile 1820
aveva confidato a suo zio Costantino, Intendente di Terra di
Lavoro, che in Irpinia stava per iniziare un’insurrezione. . Egli,
settario fra i più antichi e fondatore di vendite, ebbe parte
rilevante negli avvenimenti insurrezionali del 1820, che
portarono alla concessione della Costituzione il 13 luglio di
quell’anno, poiché, quale colonnello dei militi di Avellino, il 2
luglio ordinò a tutti i capitani della provincia di marciare sul
capoluogo con le loro compagnie. Il mattino successivo, 3
luglio 1820, insieme al tenente colonnello De Concilj le passò
in rivista nel Largo dei Tribunali, e, dopo essersi unito alle
135
Cannaviello Vincenzo, idem, pp. 250, 209;
Cannaviello Vincenzo, idem, p. 160;
137
Romei Gennaro, 1820. I rivoluzionari di Serino. Poligrafica Ruggiero,
Avellino 1941, p. 29.
136
114
Sala di Serino
truppe di Morelli e Silvati, sfilò con loro per le vie di
Avellino.138 Il 22 luglio, dopo la concessione della
Costituzione il 13 luglio 1820, fu nominato Presidente della
Giunta Preparatoria per l’ elezione dei Deputati al Parlamento
Costituzionale.139 Quando il vento della reazione si fece più
impetuoso, egli, quale Presidente della più alta magistratura
carbonara (Grande Eletto)140 pronunziò un discorso
appassionato , invitando tutti gli adepti a difendere la
Costituzione di recente conquistata rischiando la vita, e, il 13
marzo 1821, dopo la rotta di Androdoco, indirizzò, a militi e
volontari, un appello stampato, invitandoli a sostenere il
generale Pepe e a non dimenticare che essi, nell’affiliarsi alla
carboneria, avevano giurato di far trionfare i principi della
libertà, dell’eguaglianza e odio per la tirannia, e, qualora non
fosse stato possibile tener fede a questo giuramento senza
lottare, di combattere fino alla morte. Al ripristino del governo
assoluto cercò di rimanere in patria assicurando, con atto
pubblico, la sua futura buona condotta, versando a garanzia la
somma di 3000 ducati, ma riuscì a ottenere soltanto un
passaporto per lo Stato Pontificio. 141 Nell’agosto 1825 gli fu
concesso di ritornare in patria, forse per i buoni uffici
interposti da suo zio l’Intendente Costantino de Filippi, di
comprovata fede borbonica;142 ma la sua condotta verso il
governo borbonico non dovette essere esemplare, poiché un
suddito zelante di Santa Lucia di Serino, sua patria, ritenne
opportuno informare le autorità che il De Filippi riceveva, in
un suo casino di campagna sito nel territorio di Santo Stefano
del Sole, le visite dei principali settari del Circondario di
138
Cannaviello Vincenzo, idem, p. 201;
Cannaviello Vincenzo, idem, p. 50;
140
Cannaviello Vincenzo, idem, p. 46;
141
Cannaviello Vincenzo, idem, p. 201e seg,;
142
Romei Gennaro, 1820. I rivoluzionari di Serino. Poligrafica Ruggiero,
Avellino 1981, p. 44;
139
115
Filomeno Moscati
Avellino, e, nel tornare da Giffoni , ove egli spesso risiedeva,
si faceva scortare dalla guardia civica di Serino con a capo D.
Raffaele Bastano, che era un effervescente carbonaro.143
Sabato Perreca , residente nel casale San Biagio e sindaco di
Serino nell’anno 1820, , fu uno dei maggiori rappresentanti
della Carboneria serinese. Era un massone divenuto carbonaro
dopo il 1815, durante il periodo della restaurazione borbonica,
così com’era avvenuto per molti altri iscritti alla massoneria..
Divenuto adepto della Carboneria fondò una vendita carbonara
nel casale ove risiedeva, inducendo molti ad iscriversi ad essa
e prodigandosi, poi, per istruirli nell’uso delle armi e negli
esercizi militari. Il 2 luglio 1820, dopo il colloquio segreto con
il tenente colonnello de Concilj, fu tra quelli che, partendo
proprio da San Biagio, percorsero le vie dei principali casali di
Serino, e, spiegando al vento il tricolore della Carboneria, dopo
avere propalato la falsa notizia che a Napoli era scoppiata la
rivolta e il re era morto, minacciarono di morte tutti quelli che
non si univano a loro. Il 3 luglio, col grado di capitano,
condusse in Avellino i carbonari da lui istruiti nell’arte
militare, per unirsi al reggimento guidato da Morelli e Silvati,
e, dopo la proclamazione della Costituzione, insignito della
fascia tricolore presenziò, quale sindaco di Serino, alla messa
di ringraziamento, cantata con Te Deum, che fu celebrata nella
chiesa del convento francescano di S. Francesco e Giacomo. Il
13 giugno del 1821, mentre si recava alla casa comunale, fu
arrestato e condotto in carcere ad Avellino, per essere poi
trasferito nelle carceri napoletane, prima a Castel Capuano e
poi al carcere di S. Francesco, ove rimase imprigionato per
circa tre anni. Scarcerato, a causa di una grave malattia, gli fu
concesso di espatriare nello Stato Pontificio dove rimase in
143
Cannaviello Vincenzo, Gli Irpini nella Rivoluzione del1820 e nella
Reazione Tipografia Pergola 1941, , p. 201 e seg.;
116
Sala di Serino
esilio, a Roma, fino al 1831, quando rimpatriò beneficiando
dell’indulto del 18 dicembre 1830.144
Accanto a questi rappresentanti eminenti della Carboneria
serinese un numero notevole di adepti, appartenenti a tutti i
ceti sociali e a tutti i casali di Serino, partecipò attivamente ai
moti rivoluzionari del 1820 e subì persecuzioni ed esilio.
Citiamo, fra i tanti che sono degni di ricordo:
i fratelli Rubino e Donato Lanzillo, di San Biagio, esiliati;
D. Alessandro e D. Nicola Tramaglia, di San Biagio, esiliati;
il barone Domenico Brescia, di San Sossio, esiliato;
i sacerdoti Don Filippo Feoli, Don Donato Mariconda, Don
Salvatore Masucci, parroco di San Sossio, Don
Francescantonio Cheche, Don Vincenzo De Filippis, Don
Carmine Mariconda, Don Francesco Mariconda, Don Raffaele
Volpe, tutti insegnanti privati a cui fu revocato il permesso
dell’insegnamento;
e, insieme a loro, tantissimi altri cittadini che subirono la sorte
di essere privati del loro incarico.145
Essi sono ben degni di essere ricordati come i leoni del Monte
Terminio, in conformità alla denominazione della vendita
carbonara cui erano iscritti.
144
Cannaviello Vincenzo, Gli Irpini nella Rivoluzione del 1820 e nella
Reazione, Tipografia Pergola, Avellino 1941, p. 203;
145
Cannaviello Vincenzo, idem, pp. 121-160;
117
Filomeno Moscati
Bibliografia
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di Avellino e dell‘Irpinia, Sellino e Barra Editori, Pratola Serra
, Avellino 1966;
Cannaviello Vincenzo, Gli irpini nella rivoluzione del 1820 e
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Editore, Avellino 2001;
Croce Benedetto, Storia del Regno di Napoli, a cura di
Giuseppe Galasso, Adelphi Edizioni, Milano 1992;
De Nicola Carlo, Diario;
Moscati Filomeno, Storia di Serino , Gutenberg Edizioni,
Penta di Fisciano (SA) 2005;
Moscati Ruggero, Una famiglia borghese del Mezzogiorno
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1964;
Romei Gennaro, 1820. I rivoluzionari di Serino, Tipografia
Pergola, Avellino1981;
118
Sala di Serino
VII
Sala e Dogana Vecchia
in epoca contemporanea
I due antichi casali di Sala e Dogana Vecchia, con il mutare
dei tempi e l’impetuoso e travolgente avanzare della moderna
civiltà tecnologica e digitalica, hanno subìto, nell’epoca
posteriore alla II guerra mondiale e al terribile terremoto del
1980, una profonda trasformazione; una trasformazione
evidente sia dal punto di vista fisico che da quello del costume,
legati alle tradizioni e alla cultura della civiltà contadina che
avevano caratterizzato la vita di Serino almeno fino al termine
della seconda guerra mondiale.
La prima e più vistosa trasformazione è quella fisica,
giacché balza evidente, agli occhi di tutti, che i due casali,
prima separati da un tratto di strada disabitato di un centinaio
di metri, sono oggi congiunti da una strada completamente
abitata senza soluzione di continuità, tanto da formare un
corpo unico che induce a pensare che essi siano un solo
casale; un casale che costituisce il cuore pulsante dell’odierna
Serino.
La trasformazione era, in realtà, iniziata già nel ventennio
fascista, quando, nel corso degli anni trenta del secolo XX, il
vento della tecnologia moderna si avvertì anche a Serino con
l’impianto , in Sala di Serino, di una modesta sala per
proiezioni cinematografiche, situata proprio là dove hanno
inizio la strada per Fontanelle e la Salita di Turci; sala cui
venne dato, forse a causa del numeroso pubblico che attirava
nei giorni di proiezione dei film di propaganda del regime, il
pomposo nome di Cinema Sirena.
In Dogana Vecchia, invece, sotto il regime fascista venne
costruito il locale dell’ECA (Ente Comunale di Assistenza),
119
Filomeno Moscati
ove venivano distribuiti pacchi dono, derrate alimentari e
generi di sussistenza per gli iscritti nell’elenco dei poveri.
Le fondamenta delle trasformazioni più appariscenti dal
punto di vista dell’aspetto fisico, ma soprattutto dal punto di
vista della mutata mentalità e delle mutate esigenze della
popolazione, furono gettate, nel dopo guerra, dal primo
Consiglio Comunale democraticamente eletto nel marzo 1946,
che, nella seduta del 4 maggio 1946, ratificò due decisioni
della Giunta Comunale, deliberate in data 16 aprile 1946;
decisioni che, pur potendo essere considerate soltanto come
dichiarazioni d’intenti, costituiscono il primo passo del
cammino verso la modernizzazione del paese.
La prima, concernente il miglioramento delle comunicazioni
viarie con le conseguenti ricadute economiche e commerciali,
riguardava la progettazione di una strada, definita in delibera
come una ―secolare aspirazione dei Serinesi‖, che,
sostituendo
la ― scomoda e preistorica
mulattiera‖,
congiungesse in modo agevole Serino e Giffoni. 146 Questa
strada fu effettivamente realizzata nel corso degli anni
sessanta.147
La seconda, mirante al miglioramento delle condizioni
culturali e sociali della popolazione, prima in parte analfabeta,
stabiliva l’istituzione, nell’ambito territoriale del Comune, di
una Scuola Media.148 Sempre in questo ambito fu evidenziata,
nell’anno 1951, la necessità di istituire a Serino una Scuola
Media di tipo agrario,149 e di costruire in Sala di Serino un
edificio scolastico con annesso campo sportivo;150 e, nel 1958,
proseguendo nell’opera di modernizzazione del paese, fu
146
Deliberazione del Consiglio Comunale di Serino del 4 maggio 1946
Vedi anche Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni.
Penta di Fisciano (SA) 2005, p.416;
148
Deliberazione del Consiglio Comunale di Serino del 4 maggio 1946;
149
Consiglio Comunale di Serino del 27 agosto 1951;
150
Consiglio Comunale di Serino del 27dicembre 1951;
147
120
Sala di Serino
deciso l’acquisto di un’area per il Palazzo delle Poste e
Telegrafi da costruirsi nella frazione capoluogo, Sala di
Serino.151
Negli anni che vanno dal 1960 al 1970, che contrassegnarono
il cosiddetto ―boom economico,‖ e, sulle ali di esso, la
rimozione delle macerie della guerra e la ricostruzione in tutto
il Paese, a Serino, “nel 1963 fu decisa la ricostruzione del
campanile della chiesa di Sala, crollato per effetto dei
bombardamenti del Settembre 1943; nel 1965, fu approvato il
progetto generale per la costruzione della sede municipale, in
sostituzione del vecchio ―Municipio‖, parzialmente crollato
per effetto degli stessi bombardamenti; nel 1967, fu contratto
un mutuo a questo scopo…… Nell‘anno 1969, avendo ormai
risanato le ferite della guerra, completato l‘iter dell‘edilizia
scolastica e della viabilità con l‘apertura della strada Serino
Giffoni, della S. S. Terminio e della superstrada AvellinoSalerno, fu iniziata l‘opera di industrializzazione, mirata a
creare posti di lavoro e condizioni di vita migliore per i
lavoratori dei campi, che costituivano la gran parte dei
cittadini di Serino. Si iniziò con la costituzione della
“Cooperativa agricola Serino e Valle del Sabato”, che aveva
come scopo una vendita sicura a prezzo adeguato dei prodotti
della Valle;….e, nel 1970, vennero individuate le zone di
sviluppo industriale e furono concesse le licenze edilizie per la
costruzione delle fabbriche per la lavorazione dei prodotti
ortofrutticoli S.E.C.A. SUD e S.O.S. (Società Ortofrutticola
Serinese) e, nel 1971, della “Serena S.r.l.”. In quello stesso
anno 1971 furono definitivamente eliminati i segni della
guerra mediante l‘abbattimento di ciò che restava della
vecchia sede comunale, sita nella frazione Sala alla Via
151
Deliberazione del Consiglio Comunale di Serino del 27 agosto 1958;
Cfr. Moscati Filomeno, Storia di Serino, Edizioni Gutenberg, Penta di
Fisciano (SA) 200 5, pp. 421, 422;
121
Filomeno Moscati
Municipio, giusta decisione del Genio Civile, per consentire la
sistemazione esterna del nuovo edificio municipale,152
L’onda della modernizzazione e del miglioramento economico
e culturale di Serino, contrassegnata dalla costruzione delle
fabbriche e di nuove ed efficienti arterie viarie, fu resa
evidente, malgrado l’ingente danno causato al patrimonio
edilizio dal sisma del 1980, dal sorgere, nell’anno 1982, di un
istituto bancario, la ―Cassa Rurale ed Artigiana,‖ che ebbe la
sua prima modesta sede in Sala di Serino, alla Via Sala
Fontanelle, in locali presi in affitto. Essa nacque come
―società cooperativa a responsabilità limitata ispirata ai
principi cooperativi della mutualità senza fini di lucro‖ e il
suo progredire, contrassegnato dall’apertura di una nuova
agenzia ad Aiello del Sabato nel 1991; dal mutamento della
denominazione sociale in ―Banca di Credito Cooperativo‖
nel 1997; dall’inaugurazione di una decorosa sede sociale, di
proprietà della banca, nella centralissima Piazza della fontana
di Sala di Serino, nel 1998; e dall’apertura di una seconda
agenzia in Via Puntarola di Atripalda nel 2004; segna le tappe
del progresso dei tre Comuni del Serinese negli anni che
vanno dal 1982 al 2010. 153 Questo progresso fu reso ancora
più evidente dall’aperura, sempre in Sala di Serino, di altre
due agenzie bancarie , una della Banca Popolare dell’Irpinia (
poi denominata Banca della Campania) . l’altra del Banco di
Napoli; e, nell’anno 1984, nell’intento di indirizzare il futuro
sviluppo di Serino anche in ambito turistico, furono concesse,
in questo senso, nuove destinazioni turistiche alberghiere,
152
Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni, Penta di
Fisciano (SA) 2005, pp.422,423;
153
Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni, Penta di
Fisciano (SA) 2005, pp.442-445
122
Sala di Serino
come quelle riguardanti l’Hotel Serino e i ristoranti, Boschetto,
Don Lorenzo. Tornola, Valleverde e Del Sole.154
Nell’anno 1988 fu dato l’avvio alla costruzione, sempre in
Sala di Serino, di due importanti opere: il Mercato Coperto,
teso a incrementare il commercio, nella frazione capoluogo,
rendendolo più facile e pratico; e la costruzione di una Villa
Comunale, che, oltre a costituire, con i suoi spazi verdi, un
luogo di svago e di riposo per la popolazione di tutta Serino,
servisse anche a rendere più bella e accogliente la frazione
capoluogo.
A sottolineare il mutamento e il passaggio dall’antico
mondo contadino, che per millenni aveva caratterizzato la vita
dell’antica Serino, a un nuovo mondo industrializzato e
tecnologicamente avanzato, più moderno, e, perciò, più attento
alla conservazione dei valori del sapere e della cultura
umanistica legati all’ antica civiltà, dopo la morte del
francescano Salvatore Floro di Zenzo, il 23 marzo del 1988, fu
deciso di intestare a Lui, che di questo sapere e di questa
cultura era stato il più valido rappresentante,155 la Biblioteca
Comunale allogata nella restaurata Casa dell’ E. C. A. in
Dogana Vecchia.
Il mutamento culturale e sociale, causato dal passaggio dalla
civiltà contadina alla moderna società industrializzata e
digitalizzata, mi è stato reso palese proprio da un contadino,
mio antico cliente
ed ora soltanto mio amico, che,
incontrandomi nel laboratorio di computer di Giacomino
Mazza in Fontanelle di Serino, con la solita saggezza contadina
mi fece capire quanto poco contasse il sapere antico
154
Moscati Filomeno, idem, p. 444;
Moscati Filomeno, Storia di Serino, Gutenberg Edizioni, Penta di
Fisciano (SA) 2005, pp. 445-448;
Salvatore Floro Di Zenzo, francescano poeta e poeta francescano,
Edizione a cura del Comune di Serino, Europrint 2000, Sirignano (AV)
2008;
155
123
Filomeno Moscati
dicendomi: ― Dottò, ricimmo ‗a verità, oggi chi nun sape usà
‗o computer è ‗nu perfetto analfabeta.‖
Questo passaggio epocale si appalesa anche nel mutamento
e addirittura nella scomparsa di tradizioni e usanze, che erano
l’espressione più genuina della cultura popolare dei nostri
antenati, per cui oggi non è più possibile udire il canto che, in
modo appena velato, i rivottolesi ( eredi dello spirito satirico e
caustico espresso nei versi fescennini dai loro antenati latini)
intonavano ogni anno, (almeno fino agli anni cinquanta del
secolo XX) accompagnando in processione, il 13 di giugno, il
simulacro (di mezzo busto) di S. Antonio quando
attraversavano il centro di Sala di Serino:
Sant‘ Antonio
mio benegna
A chilli ra Sala
‗na freve malegna,
‗e Santo Biase
‗nu pantecore,
‗e Funtanelle
e Rivuottolo
‗na bella braciola.
Le ragazze, invece, specie quelle cosiddette da marito (forse
invidiose delle loro coetanee di Sala, considerate pericolose
contendenti perché più evolute, più eleganti e più esperte nelle
seduzioni d’amore) giunte all’altezza della chiesa della
Madonna della Neve , rivolgevano alla Madonna la seguente
invocazione:
124
Sala di Serino
Maronna mia
Fallo caré!
Fallo caré!!
E fallo caré!!!
‗o ponte ra Sala,
a do‘ vanno
‗e Salaiole
A fa‘ l‘amore. 156
156
N. d. A. Fescennini erano detti i canti rusticani , gioiosi , pieni di
arguzie grossolane e spesso addirittura licenziose, che gli antichi romani
usavano cantare in occasione della mietitura, della vendemmia, delle nozze
e di qualsiasi altra festività. La loro denominazione, secondo una delle
versioni tramandateci dal grammatico latino Festo, deriverebbe dal
vocabolo latino fascinum = malocchio, assai calzante nei due casi di cui
sopra .
125
Filomeno Moscati
126
Sala di Serino
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128
Sala di Serino
Indice
I-Sala di Serino- Antica terra................................,,,p.5
II- Sala di Serino –Dogana Vecchia
Origine, evoluzione e significato del nome
dei due casali..........................
p. 9
III- Dogana nuova alias Lo Mercato –
Chiesa e Convento dello Spirito Santo......... p. 21
IV- Il Cimitero promiscuo.......................................p. 47
V - Parrocchia di S. Eustachio – Madonna della
Neve .................................................................p. 59
VI – I leoni del Monte Terminio ………………….p. 105
VII -Sala e Dogana Vecchia in epoca contemporanea
………………………………………………. p.119
Bibliografia ..................................................p.127
Indice ……………………………………….p. 129
129
Filomeno Moscati
Finito di stampare
il 31 Gennaio 2012 presso
il Centro stampa
Emilio De Cunzo
83100 Avellino
© Copyright. Tutti i diritti riservati
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