n. 17 Anno 2011 - Associazione Iasos di Caria
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n. 17 Anno 2011 - Associazione Iasos di Caria
via Borgoleoni, 21 Tel. 0532/20.98.53 - 20.34.71 44100 Ferrara ASSOCIAZIONE S O M M A R I O 2 La campagna 2010 a Iasos 6 La torre e la cortina. Osservazioni preliminari sulle tecniche di fiancheggiamento nel castello dell’acropoli di Iasos Fede Berti Guglielmo Villa 10 Ricerche su assetti, arredi, percezione nella basilica dell’agora di Iasos Diego Peirano 17 Late Hellenistic ‘Masonry style’ at Iasos 25 Tra le figure rosse attiche di Iasos: un cratere della Bottega del Pittore di Achille Barbara Tober Francesca Curti 30 Anfore commerciali: i materiali dal VI al IV secolo a.C. 36 Le monnayage d’Iasos. De nouvelles frappes rares ou inédites 41 Rassegna bibliografica 44 Recensione: Marmi erranti. I marmi di Iasos presso i Musei Archeologici di Istanbul n° 17 anno 2011 Giulia Lodi Fabrice Delrieux Hanno collaborato: Fede Berti Daniela Baldoni Fede Berti Francesca Curti Fabrice Delrieux Carlo Franco Giulia Lodi Gianfranco Maddoli Diego Peirano Chiara Pilo Barbara Tober Guglielmo Villa Carlo Franco 48 Il convegno: “50 anni della Missione Archeologica Italiana di Iasos. Iasos e il suo territorio” Chiara Pilo 50 Ricordo di Giovanni Pugliese Carratelli, amico di Iasos 52 Notiziario Gianfranco Maddoli a cura di Daniela Baldoni 1 La campagna 2010 a Iasos di Fede Berti 1. Intervento di consolidamento del tratto di pavimento decorato da tessere e lastre marmoree (scutulatum) della stoa orientale dell’agora L a campagna a Iasos della Missione Archeologica Italiana è iniziata il 13 agosto e si è conclusa il 13 ottobre 2010. In qualità di commissario governativo è stato con noi il dr. Mustafa Akaslan, del Museo di Isparta; il vice direttore, dr. Gürkan Ergin, ci ha raggiunto da Istanbul, dove lavora presso la İstanbul Üniversitesi Edebiyat Fakültesi, Tarih Bölümü/Eski Cağ Tarih Anabilim Dalı: ringrazio entrambi per il costante sostegno e per l’interesse con cui hanno preso parte alle nostre attività. Hanno partecipato ai lavori gli archeologi Simonetta Angiolillo, Chiara Pilo e Marco Giuman (Università di Cagliari, Cattedra di Archeologia), Silvia R. Amicone, Daniela Baldoni, Simona Contardi, Valentina Coppola, Francesca Curti, Flavia Giberti, Giulia Lodi, Sara Bini e gli architetti Elisa Garberoglio, Maurizia Manara, Nicolò Masturzo, Diego Peirano, Manuela Vittori. Il numeroso gruppo di specializzandi in Restauro dei Monumenti e di studenti dell’Università di Roma La Sapienza (Giulia Castaldi, Alessandro Cioffi, Saverio Di Rollo, Alessandra Ferri, Marta Guercio, Figen Kıvılcım, Alessio La Paglia, Annamaria Nizi, Flavia Morelli, Giampiero Rellini Lerz, Giulia Santucci) è stato guidato da Alessandro Viscogliosi e da Guglielmo Villa e ha avuto il supporto tecnico (per le problematiche relative al restauro di superfici affrescate) di Attilia Todeschini. Dall’Università degli Studi di Perugia, Dipartimento di Storia Antica, sono giunti Gianfranco Maddoli, Massimo Nafissi, Roberta Fabiani (temporaneamente borsista della Alexander von Humboldt Stiftung) ed Elisa Maurizi. Fotografo della missione è stato Maurizio Molinari; disegnatrice Anna Maria Monaco; restauratrici Michela Bartolotti e Devrim Bekret. 2. Il vano A dell'edificio 11 della fortificazione dell'acropoli a scavo concluso. Prima di entrare nel merito di ciò che è stato fatto a Iasos, ricordo, perché molti di noi vi si sono fortemente impegnati, le iniziative con le quali è stato festeggiato il ‘cinquantenario’ della Missione (1960-2010) a iniziare dal Calendario 2010, offerto da Aero Products International S.r.l., per proseguire con la prima delle due giornate dell’incontro Karia, Karialılar ve Mylasa/3, tenutosi a Milas il 27 e il 28 agosto (giornata nella quale abbiamo avuto il piacere di avere con noi il Console a Izmir dr. Igor Di Bernardini e che si è conclusa, nel pomeriggio, con un trasferimento a Iasos, una visita agli scavi, un rinfresco e un intrattenimento musicale che si è svolto nella suggestiva cornice del bouleuterion) e concludere con l’inaugurazione, il 6 di dicembre, della mostra Marmi erranti. I marmi di Iasos presso i Musei Archeologici di Istanbul, mostra che è entrata a far parte delle manifestazioni di Istanbul 2010 Capitale Europea della Cultura: il catalogo è presentato in questa sede da Carlo Franco. 2 Le attività di scavo: il castello dell’acropoli e l’agora Nel primo è stata completata l’indagine del vano A dell’edificio 11 ubicato in corrispondenza della torre poligonale (Q) che si erge alla destra dell’ingresso (fig. 2). È stata scavata infatti la residua metà (quella meridionale) dell’ambiente, che non ha restituito, come era avvenuto invece nell’anno precedente, quella notevole quantità di materiali che ci si aspettava. Il gruppo di lavoro, costituito da Valentina Coppola, Sara Bini e Maurizio Molinari, ha esteso inoltre le ricerche all’intero complesso prendendo in esame e documentando le caratteristiche strutturali del perimetro murario, con torri, porta e postierla, scale ed accessi, camminamenti di ronda. Particolare attenzione è stata dedicata alla cisterna che si trova nel punto più alto del pianoro, all’interno del perimetro. La verifica dei numerosi e disparati dati raccolti consentirà di progredire nello studio della fortezza, la cui data di costruzione resta ancora una questione aperta, essendovi viceversa attestata -come sembrauna continuità di vita e funzioni almeno fino al XIV secolo. Nell’agora non è stato possibile (a causa di questioni tecniche non superabili in tempi brevi) proseguire le indagini là dove queste si sono fermate nel 2009 (ovvero non si è potuto realizzare lo scavo del tratto della stoa occidentale tagliato in direzione sud-sudovest/nord-nord-est dal muro del posteriore castello dell’istmo). Si è pertanto rettificata la sponda meridionale del saggio aperto (e ampliato nel corso di numerosi anni di lavoro) in corrispondenza del settore centrale. Qui, in una trincea orientata da ovest a est, si è giunti al livello di calpestio d’età imperiale, in altre parole al suolo del piazzale interno ai portici. Il vasellame e le monete ritrovati appartengono ad epoche tarde e dimostrano con la loro presenza quanto prolungata è stata la frequentazione di questo specifico settore urbano rispetto ad altri. Le peculiarità strutturali del saggio sono costituite dalla presenza di un pozzo (fig. 3) con imboccatura e camicia cilindriche che, scendendo, si allarga perdendo la propria forma regolare (è stato svuotato non oltre ai 2 m di profondità per ragioni di sicurezza) e di labili strutture murarie a direzione nord-sud, dove sono stati ritrovati in reimpiego alcuni blocchi architettonici dell’alzato della stoa occidentale (da menzionare tra questi, consideratane la rarità, un capitello di ordine corinzio). Notevoli inoltre, in corrispondenza del dipylon, la presenza di numerose tubature fittili con tracciato prevalentemente parallelo l’una all’altra per l’adduzione e la distribuzione d’acqua (sono di età romana) e la fontana (questa risalente all’età arcaica e già fatta oggetto d’indagini in anni precedenti) ubicata al margine del settore di scavo, verso il centro del piazzale (fig. 4). Di quest’ultima sono stati ripuliti, rilevati e in parte scavati la camera rettangolare e il canale (profondo mt 1) che ne usciva convogliando l’acqua verso meridione. Il canale, accuratamente ricoperto da lastre disposte in modo tale da lasciare vacui d’ispezione, ha pareti e fondo rivestiti con materiale lapideo; l’acqua che ancor oggi sale rapidamente a riempire il bacino di raccolta (o camera) sgorga dalla falda. La stratigrafia dei sedimenti ritrovati all’interno del canale, alcuni ricchi di materiali (fig. 5), sembra confermare un non prolungato uso dell’impianto, che, come già annotato, deve aver conosciuto il periodo di massimo utilizzo in epoca arcaico/classica. Ed ecco, brevemente, i lavori di studio e di restauro che hanno impegnato gran parte di noi. 3 3. Agora. Silvia Amicone sorridente si appresta al lavoro nel pozzo bizantino 4. Agora. La fontana arcaica e la canalizzazione, viste da sud 5. Lucerna fittile dalla fontana arcaica 6. Alcune delle lastre marmoree in fase di ricomposizione Francesca Curti (titolare di un dottorato di ricerca presso il Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università degli Studi di Firenze) ha completato, con il fotografo, la campagna di documentazione per la pubblicazione (che ha in corso con Alessandra Parrini) della locale ceramica attica a figure rosse, corrispondente a circa 600 frammenti (di crateri, kylikes, oinochoai, skyphoi, pissidi, askoi, etc.) risalenti prevalentemente ai secoli V e IV a.C. Tra essi si annoverano non pochi pezzi assai pregevoli: un insieme che, al di là delle attribuzioni e della lettura iconografica, prospetta la possibilità di nuove e più approfondite ipotesi sui rapporti commerciali intercorsi tra Atene e la Caria (Iasos in particolare), in una fase storica che, come è noto, fu assai complessa. La ceramica di V e IV secolo a.C., ma quella a vernice nera, attica e non, è stata l’oggetto del lavoro di Silvia R. Amicone che, in particolare, ha preso in esame i frammenti appartenenti alla Delicate class dell’agora di Atene e la cosiddetta Coral red. I campioni prelevati da frammenti di quest’ultima, da analizzare presso i laboratori dell’University College of London, Archaeology Department (presso cui la dottoressa è titolare di borsa di studio in Technology and Analysis of Archaeological Materials), consentiranno (è auspicabile) di individuarne aree di manifattura e provenienza. Giulia Lodi, quale punto di partenza per una raccolta dei bolli anforici, tesa ad identificarne provenienze e officine produttive e a stabilirne l’inquadramento cronologico, ha raccolto tutti i dati inventariali utili per creare uno specifico corpus informatizzato, schedando inoltre alcuni contenitori da trasporto risalenti alla fine del VI-V secolo a.C. ritrovati nell’agora (fontana arcaica) e nella cd. basilica est. Flavia Giberti ha portato avanti lo studio del complesso produttivo di età romana riportato in luce tra il 1961 e il 1967 nell’area della necropoli preistorica, quindi nel suburbio. La problematica connessa alla struttura, concernente cosa vi si producesse e per quanto tempo ciò sia avvenuto, ha indotto Flavia Giberti a isolare i materiali diagnostici ritrovati in precisi settori del complesso, corrispondenti alla corte scoperta e ad alcuni vani su questa prospicienti. Nello studio del cosiddetto Cesareo, e per il proprio dottorato di ricerca presso l’Università di Genova, Simona Contardi ha documentato i materiali di scavo stratigraficamente più significativi e pertanto idonei a indicare le fasi di frequentazione dell’edificio, del quale ha già analizzato le caratteristiche architettoniche e le tecniche murarie. Le ricerche di Daniela Baldoni, propedeutiche a pubblicazioni, si sono appuntate sui materiali provenienti dalla necropoli riportata in luce nel 1988 dietro la casa della Missione, dalla torre ‘bizantina’ del porto (scavata nello stesso anno) e dal gruppo di tombe di IV/III secolo a.C. ubicate sul costone del porto occidentale. Simonetta Angiolillo, successivamente all’intervento sugli affreschi della Casa dei Mosaici presentato in una delle giornate del Convegno internazionale di Efeso sulla pittura romana (XI. Internationales Kolloquium. Antike Malerei zwischen Lokalstil und Zeitstil?), ha documentato, con i colleghi Giuman e Pilo, alcuni dei pavimenti a mosaico della città e i materiali ritrovati nel corso dei più recenti scavi nella Casa dei Mosaici. Gianfranco Maddoli, Massimo Nafissi, Roberta Fabiani ed Elisa Maurizi hanno lavorato alla revisione e al controllo (anche mediante la realizzazione di calchi) di un gruppo di iscrizioni, in particolare (e successivamente ad un ulteriore intervento di pulizia e consolidamento) dell’importante testo 4 ellenistico rinvenuto nel 2009 che tratta della vendita del sacerdozio della Magna Mater. La presenza degli architetti Diego Peirano ed Elisa Garberoglio va ricondotta al progetto che li ha portati, prima di Iasos, a Hierapolis. Tale progetto riguarda lo studio degli arredi liturgici delle basiliche cristiane al fine di ricostruirne i percorsi cultuali e gli spazi rituali. A Iasos, hanno preso in esame la basilica dell’agora e quella dell’acropoli, analizzando e rilevando quanto resta degli arredi interni, per alcuni dei quali (ad esempio gli amboni) hanno elaborato nuove ipotesi di ricostruzione. Maurizia Manara ha ricostruito graficamente la stoa occidentale dell’agora attraverso la preparazione di una serie di tavole riferite, in particolare, all’edificio absidato con nicchia sulla parete di fondo che è ubicato al centro del dipylon (vi si potrà riconoscere il sacello dedicato a Herakles?). Gli architetti Nicolò Masturzo e Manuela Vittori hanno proceduto al rilievo del teatro (l’impianto, come è noto, è del IV secolo a.C.). Nicolò Masturzo ha inoltre aggiornato la planimetria generale dell’agora e rilevato un gruppo di blocchi iscritti d’età ellenistica facenti parte delle parastades di disparati edifici presenti in quell’area e nelle sue immediate vicinanze, come specificatamente richiesto dal Dottorato di Ricerca di cui l’architetto è titolare presso l’Università di Perugia, cattedra di Storia Antica. Michela Bartolotti ha lavorato al restauro delle numerosissime lastre marmoree ritrovate nel 2008 nel vano B2 dell’agora: i frammenti, di prevalente forma rettangolare, pure di una certa dimensione, corniciati, di marmi bianco-grigi venati (ma anche policromi) sono stati selezionati, riconosciuti, assemblati, in parte puliti, consolidati e ricomposti. Devrim Bekret, infine, ha restaurato con la consueta perizia oggetti di bronzo (armi, strumenti, attrezzi, monete), riassemblato elementi lapidei deterioratisi nel corso dell’inverno in quanto esposti (in agora: una colonna, lo stipite di una porta, altri blocchi architettonici: figg. 1 e 7), consolidato il pavimento in opus sectile dell’accesso monumentale che poneva in comunicazione la stoa orientale dell’agora con i quartieri della penisola (il pavimento poi è stato di nuovo ricoperto con sabbia e una sottile gettata di cemento), rimosso la patina calcarea da superfici iscritte e/o fittili, ricomposto forme vascolari. Il nostro ringraziamento e la nostra gratitudine vanno a quanti, con il loro contributo finanziario, hanno consentito la realizzazione dei lavori della Missione Archeologica Italiana di Iasos, alla quale il Ministero per la Cultura e il Turismo della Repubblica di Turchia ha confermato, anche per la campagna 2010, il proprio consenso: • al Ministero degli Affari Esteri • all’Università degli Studi di Cagliari • all’Università degli Studi di Perugia • all’Università degli Studi di Roma La Sapienza • ad Alvaro Orpelli, SEI Escavazioni Inerti S.r.l., Ferrara • alla NUDIBRANCO, Case e Cose, San Giuseppe di Comacchio (Ferrara) • all’Aero Products International S.r.l., Trezzano sul Naviglio (Milano) • alla Turkish Aerlines, Milano • al Comune di Portomaggiore, Assessorato alla Cultura • al Comune di Occhiobello, Assessorato alla Cultura • all’Associazione Iasos di Caria 5 7. Ricomposizione di una delle colonne della stoa meridionale dell’agora La torre e la cortina. Osservazioni preliminari sulle tecniche di fiancheggiamento nel castello dell’acropoli di Iasos di Guglielmo Villa 1. Veduta della torre “E” e dei tratti di cortina a essa connessi. Sono evidenti i crolli intervenuti nella parte sommitale delle strutture R 2. Planimetria del castello dell’acropoli ecenti indagini hanno focalizzato l’attenzione su evidenze architettoniche della Iasos medievale a lungo trascurate. Ricognizioni, rilievi e scavi, sia pure di limitata estensione, hanno interessato, in particolare, componenti fondamentali del sistema difensivo, delineando promettenti prospettive di ricerca, dalle quali potranno venire acquisizioni essenziali alla ricostruzione delle vicende insediative. In questo quadro il cosiddetto castello dell’acropoli merita senza dubbio un posto di primo piano. Si tratta di una struttura che allo stato attuale delle conoscenze presenta senza dubbio molti aspetti oscuri, a cominciare da una cronologia tutta da precisare, ma che riveste un notevole interesse per le sue cospicue dimensioni, l’evidente rilevanza strategica e le specifiche peculiarità tecniche, che pongono molti avvincenti interrogativi in rapporto al contesto locale. Il fortilizio occupa, sulla sommità del promontorio iasio, una posizione estremamente favorevole da un punto di vista militare, dalla quale si domina con lo sguardo la parte più interna del golfo di Mandalya e, sul versante settentrionale, il sito della città antica e la sua chora. Abbandonato da secoli, esso è oggi ridotto allo stato di rudere. Il degrado delle strutture murarie ha causato, tra l’altro, crolli notevoli, che hanno interessato soprattutto le parti superiori, maggiormente esposte (fig. 1). Ciò nonostante le sue caratteristiche architettoniche essenziali appaiono ancora perfettamente intellegibili. Il circuito fortificato si snoda lungo un perimetro poligonale (fig. 2), molto irregolare, composto da brevi tratti rettilinei che si adattano nel loro andamento alla tormentata orografia del sito, fondandosi in molti casi direttamente su banchi di roccia affioranti. La cortina ha un elevato verticale rispetto al piano di imposta e non reca tracce di sporti, neppure nelle parti meglio conservate. Le diffuse lacune che si sono create nella parte superiore ne hanno alterato in maniera sostanziale il profilo. In alcuni punti, tuttavia, le tracce di uno stretto camminamento di ronda ricavato nello spessore del muro e del parapetto che doveva servire a proteggerlo consentono di valutare, sia pure in linea di massima, la sua originaria altezza. Tracce ben visibili, in particolare, sono localizzate lungo il fronte nord-orientale, nella zona prospiciente i resti della cosiddetta basilica dell’acropoli, dove la quota del percorso è a posta a circa 4,50 metri dalla base delle mura, misura alla quale si deve aggiungere l’altezza del parapetto. Alla sommità delle mura si accedeva attraverso scale in muratura ricavate nello spessore del muro, che anche se molto rovinate si sono in buona parte conservate. Si contano in tutto 6 tredici collegamenti verticali, quattro dei quali sono costituiti da due rampe contrapposte (fig. 3). Due soli varchi danno accesso all’area fortificata. Quello principale si apre sul versante settentrionale, verso la città antica (fig. 4). Della porta sono ancora visibili la soglia, le parti basse degli stipiti, realizzate con due pezzi di reimpiego pertinenti ad un architrave ionico e, più in alto, a sinistra guardando dall’esterno, l’imposta dell’arco che la sormontava. L’accesso è affiancato da due torri a base rettangolare, che sporgono in tutto il loro volume rispetto al filo della cinta muraria (fig. 5). L’altro ingresso si trova nell’angolo sud-occidentale del fortilizio ed era verosimilmente posto in relazione al sottostante porto e alle sue strutture difensive. L’accesso, in questo caso, era protetto da un corpo di fabbrica a base rettangolare ormai rovinato, posto a cavallo della cinta muraria, alla base del quale si aprivano, in successione, due porte. All’interno del castello erano collocati diversi corpi di fabbrica, di modeste dimensioni, oggi del tutto rasati. Alcuni erano addossati alla cinta muraria; altri, si collocavano nella parte più elevata del promontorio, intorno ad una cisterna a pianta rettangolare, che poteva servire a raccogliere le acque meteoriche, garantendo una certa autonomia di approvvigionamento idrico al fortilizio, soprattutto in caso di assedio. Gli scavi compiuti negli ultimi anni (2009 e 2010), sotto la direzione di Fede Berti, hanno rilevato le semplici condizioni d’uso delle strutture edilizie interne al circuito, che dovevano servire alle necessità di una piccola guarnigione. Oltre che delle strutture poste a protezione degli accessi l’apparato difensivo è dotato di ben 13 torri, interamente sporgenti rispetto alla linea di cortina. Una, collocata in corrispondenza dell’angolo nord-occidentale, ha un impianto poligonale. Delle altre, sei sono a base quadrangolare; sei hanno invece impianti curvilinei: semicircolari o a “U”, in ragione della loro differente prominenza. Le due tipologie sono disposte lungo il fronte murario secondo una cadenza rigorosamente alternata e, per gran parte del circuito, a distanza piuttosto regolare (fig. 6). Fanno eccezione il versante occidentale e il tratto compreso tra la torre poligonale (torre Q) e l’accesso settentrionale, dove gli intervalli sono sensibilmente dilatati. Lungo il fronte occidentale, in particolare, si contano due sole torri: una, verso nord, a base trapezia; l’altra, cuvilinea, che presenta oltretutto un anomalo corpo pieno. Una prima ricognizione delle strutture murarie ha evidenziato come il complesso fortificato abbia, sotto il profilo costruttivo, un connotato sostanzialmente unitario. Il circuito murario appare privo di soluzioni di continuità o di anomalie che possano suggerire significative trasformazioni. Torri e cortine, in particolare, risultano connesse da salde ammorsature, che attestano l’appartenenza ad una medesima fase d’impianto. Indicazioni in tal senso vengono anche dall’elevato. Non mancano, certo, tracce di piccoli interventi: riparazioni e adattamenti che hanno interessato soprattutto le parti alte della cinta sul versante interno. Evidenti, ad esempio, sono gli interventi di adattamento del sistema di accesso alla torre poligo- 7 3. La scala di accesso alla parte superiore della fortificazione, in corrispondenza della torre “L” 4. La porta settentrionale del castello 5. Veduta dell’accesso settentrionale con le due torri che fiancheggiano la porta 6. Il circuito murario con l’alternanza delle torri di fiancheggiamento a base quadrangolare e curvilinea 7. Campionatura delle murature del circuito murario relativa al fronte meridionale 8. Campionatura delle murature del circuito murario relativa al fronte occidentale nale (Torre Q) e ai tratti di mura ad essa immediatamente prossimi, la cui realizzazione si deve probabilmente porre in relazione con le modifiche degli ambienti sottostanti. Ma l’osservazione delle tessiture murarie restituisce un dato di notevole omogeneità. L’intera struttura è realizzata con una muratura composta in massima parte da bozze di pietra calcarea scistosa, verosimilmente reperite sul posto. Il fronte esterno, in particolare, è caratterizzato da un’apparecchiatura piuttosto irregolare, che tende ad assumere un andamento sub orizzontale grazie ad un ampio utilizzo di zeppe. Gli unici fattori di distinzione significativi, al di là di alcune modeste risarciture e delle lacune prodotte da crolli e spoliazioni, sono dati dall’uso di pezzi architettonici di reimpiego e di spezzoni laterizi per le zeppe, che si riscontra quasi esclusivamente sul versante orientale (tra le torri D e I) (figg. 7-8). Piuttosto che a differenze di tecnica costruttiva, tuttavia, queste peculiarità si devono ascrivere, più probabilmente, ad una immediata disponibilità di materiali di spoglio. Una doviziosa fonte di approvvigionamento doveva essere costituita, del resto, nelle immediate vicinanze, dai resti della basilica dell’acropoli, la cui demolizione, per evidenti ragioni militari, si deve ritenere cronologicamente prioritaria rispetto alla costruzione del castello se non ad essa direttamente correlata (fig. 9). Oltre a fornire una evidente conferma di unità del circuito fortificato, la grossolana uniformità delle murature offre qualche ulteriore motivo di riflessione sulle condizioni del cantiere e sulla natura stessa dell’opera. La povertà dei materiali, in massima parte reperiti, se non proprio raccolti sul posto e la approssimazione delle tecniche di murazione impiegate sembrano riconducibili ad una iniziativa affrettata, forse condotta da maestranze di scarsa qualità. Nel suo insieme, tuttavia, la realizzazione appare tutt’altro che trascurata. L’impressione è che le sue scabre superfici riflettano un approccio determinatamente utilitaristico, subordinato in maniera esclusiva ad incombenti necessità di ordine militare. Sarebbero altrimenti incomprensibili gli accurati connotati d’impianto di un circuito fortificato improntato ai principi di una tecnica militare piuttosto sofisticata, non canonica, ma essenzialmente sperimentale. Significativa in tal senso è la distribuzione delle torri. Il diradamento che si rileva sul versante occidentale e, in parte, su quello settentrionale ad una lettura superficiale potrebbe far pensare ad approssimazioni progettuali o esecutive. A una più attenta valutazione, tuttavia, appare evidente una stringente logica di utilità difensiva, che ha imposto una ponderata commisurazione 8 dell’apparato fortificatorio alle opportunità che la natura del sito offriva. Nelle parti meno protette dalle torri, infatti, il promontorio declina rapidamente verso il mare in ripidi salti rocciosi, che fornivano garanzia di una efficace difesa naturale e, allo stesso tempo, ponevano difficoltà costruttive notevoli alla realizzazione di avancorpi, consigliando una definizione meno impegnativa del fronte difensivo. Di contro, la restante parte del circuito murario, maggiormente esposta al pericolo di sortite, è concepita come una efficiente ‘macchina’ difensiva. La planimetria del circuito, la serrata sequenza delle torri, la loro forma, la loro differente prominenza concorrono, infatti, alla definizione di un vero e proprio fronte fiancheggiato, nel quale la copertura delle cortine e delle stesse torri è garantita, sia pure con qualche approssimazione, da controllate linee di tiro, spesso incrociate. Le feritoie ancora rilevabili nel corpo delle torri costituiscono un utile indicatore per valutare la coerenza del sistema e la cura progettuale che la sua configurazione sottende. In molti casi i crolli delle parti sommitali delle torri ne hanno cancellato ogni traccia. In almeno sei torri (torri E, F, G, L, M e N), tuttavia, si sono conservate evidenze sufficienti a chiarirne la disposizione (fig. 10). Nelle torri ad impianto quadrangolare (E, G e M), in particolare, si rilevano tracce di tre feritorie ciascuna: una sul fronte e due collocate simmetricamente sui fianchi. Nelle torri curvilinee, invece, numero e posizionamento delle sottili aperture sono meno rigidi e rispondono più direttamente a necessità balistiche. La torre F è dotata di due feritoie, orientate rispettivamente verso gli spazi immediatamente antistanti le torri E e G. Nella torre L si contano tre feritorie: una frontale, una posta sul fianco orientale, orientata secondo una direzione di tiro grossomodo parallela alla cortina adiacente; una verso sud-est, che guarda la base della torre M. Due, infine, sono le feritoie che si aprono nel corpo della torre N: una rivolta verso lo spazio davanti la torre M; l’altra verso l’accesso meridionale al castello. Ulteriori dati sui dispositivi di tiro vengono dalle torri L e N, dove la sezione orizzontale dei corpi di fabbrica prodotta dai crolli ha posto chiaramente in luce l’impianto delle bucature, che appaiono configurate secondo uno schema trapezio fortemente strombato (fig. 11). Sul fronte esterno le asole che si aprono nella muratura hanno larghezza pari a 10 ÷ 12 cm; mentre all’interno il vano si allarga fino a raggiungere larghezze di 90 ÷ 100 cm. Nel caso della feritoia collocata sul fianco occidentale della torre N si è conservata, inoltre, anche la copertura della strombatura: una grossolana voltina a botte ribassata, apparecchiata con scapoli di pietra calcarea disposti di piatto. Si tratta di feritoie utilizzate per il tiro delle balestre, concepite secondo un modello ampiamente diffuso nell’Europa medievale, la cui adozione fornisce una chiave per interpretare su un piano squisitamente balistico il sistema difensivo, in particolare per quanto attiene all’orientamento e alla lunghezza dei diversi tratti di cortina, alla disposizione delle torri e alla loro reciproca distanza. Una prima verifica empirica delle traiettorie di fiancheggiamento ha restituito riscontri interessanti in tal senso. Una approfondita indagine metrologica, basata su misurazioni dirette, confronti tecnici e costruttivi, potrà consentire una valutazione più puntuale del sistema, fornendoci forse qualche utile riferimento anche intorno alla collocazione temporale della fondazione all'ambito culturale cui la sua concezione appartiene. 9 9. Materiali architettonici di reimpiego nel fianco della torre “F” e nella cortina connessa 10. Schema di posizionamento delle feritorie nelle torri di cui si possono ancora rilevarne le tracce (elaborazione grafica A. Cioffi) 11. Veduta dall’alto della torre “N” Ricerche su assetti, arredi, percezione nella basilica dell’agora di Iasos di Diego Peirano 1. Iasos, basilica dell’agora, vista dall’abside (foto dell'autore) E 2. Pianta ricostruttiva della basilica dell’agora (elaborazione di D. Peirano e E. Garberoglio su rilievo di D. Santarsiero e E. Benedetti) ntrando in quella che era stata l’agora di Iasos un ipotetico fedele del VII secolo ben poco avrebbe trovato della sua antica monumentalità. Almeno una parte delle stoai era crollata e gli elementi erano dispersi in costruzioni successive1; al centro di questo scenario una basilica non molto grande, costruita nel VI secolo, doveva apparire dominante (fig. 1): era preceduta da un’area pavimentata coeva alla chiesa, larga 12,5 m e profonda 4. Se ciò costituisse un percorso o un cortile è difficile da definire meglio, dal momento che non sono stati trovati muri di chiusura2. Il corpo della basilica era preceduto da un nartece cui s’affiancavano due camere proiettate all’esterno, secondo un modello che trova riferimenti in area microasiatica ad Apamea al Meandro e in forme diverse nella vicina Labraunda, dove i vani sono presenti ma non fuoriescono dal nartece se non in altezza, prendendo anzi la forma di torri3. Esternamente l’edificio era rivestito da un intonaco di colore rosato di cui si conservano tracce sui prospetti e sull’abside; fa eccezione il settore a sud-est della navata meridionale dove si trova un ambiente, tra i diversi accostati l’unico ammorsato, che costituirebbe anche l’unico previsto nel progetto originario del complesso (fig. 2). Il crollo della parete di facciata, rinvenuto dagli scavi degli anni Ottanta, si protendeva per 7,50 m oltre il filo del nartece4, misura questa che ben s’adatta all’altezza di una basilica di queste proporzioni. Parte dell’accesso al nartece o ai fianchi doveva essere lo stipite ora visibile nella chiesa medio-bizantina interna alla navata. Questo, evidentemente di riuso, è interrato rispetto alla soglia di 65 cm; ora, considerando che non poteva comporsi di due pezzi e che l’ingresso successivo dovesse essere alto m 1,70-1,80 ne consegue che la luce del portale misurasse almeno m 2,35-2,45. L’accesso al nartece non sarebbe ancora stato in grado di svelare i sacri riti che si svolgevano nel naos; questo per il disassamento del suo portale rispetto all’ingresso prospiciente che introduceva alla navata centrale. Il nartece, del quale è andato perduto il trattamento delle superfici verticali, era pavimentato di lastre rettangolari di dimensioni variabili; doveva essere a un solo livello, almeno a giudicare dal ridotto spessore dei muri sui due lati lunghi (59-65 cm sul lato interno, 60-63 sull’esterno5), incapaci di portare un piano superiore di gallerie. Sul nartece s’aprivano due vani; mentre per quello a sud, accessibile solo dal vestibolo, non è possibile formulare ipotesi circa le destinazioni d’uso6, la stanza settentrionale doveva essere 10 il luogo di deposito d’offerte. Lo suggerisce la possibilità di accedervi dal nartece e dall’esterno; i fedeli arrivando potevano depositare le offerte e i presbiteri/diaconi raccoglierle e, attraversando vestibolo e navata centrale, portarle in processione all’altare. Dal nartece si poteva proseguire per le navate minori secondo i sessi: lo indica la presenza di separazioni continue tra le colonne che spartivano gli ambulacri7, dove, nelle basi conservate, sono ancora visibili gli incavi che portavano le transenne. Con ogni probabilità la navata maggiore era invece riservata al passaggio delle processioni del clero, il piccolo e il grande introito formati rispettivamente dall’entrata in chiesa della gerarchia ecclesiastica8 e dall’ingresso di calice e patena che venivano portati all’altare dal tavolo dell’oblazione. Tali cortei dovevano confrontarsi con la presenza -nella stessa navata- dell’ambone, le cui forme sono state definite durante la campagna 20109: appartenente al tipo ‘cario’10, era servito da due scalette massicce e caratterizzato da un corpo centrale ottagonale fatto di una base capace di portare, attraverso l’interposizione di colonnine, una piattaforma superiore11 alleggerita e raccordata ai sostegni da una serie di arcatelle. Tale arredo occupava buona parte della navata centrale, definendosi come una sorta di monumento nel monumento. Quale fosse la sua posizione è difficile dire: la realizzazione della cappella medio-bizantina col suo corredo di tombe ha sconvolto le pavimentazioni del settore che non fornisce pertanto indicazioni; non ci sono poi evidenze del corridoio sopraelevato che talvolta univa il bema all’ambone, la solea. Non può essere nemmeno così pacifica una sua collocazione al centro della nave, poiché sono attestati numerosi esempi di disposizioni decentrate12, che meglio permettevano il passaggio delle processioni. Le processioni in ingresso alla navata centrale avrebbero incontrato, spaziando con lo sguardo dal basso in alto, i tappeti di opus sectile bianco e rosso porpora incorniciati da lastre di marmo bianco e serrati dalla teoria di transenne poste tra le colonne. Tali supporti -di marmo grigioerano coronati da capitelli ionici d’imposta dello stesso materiale; questi portavano le arcate sopra cui doveva correre un nastro di finestre a illuminare la navata. Un’altra separazione, di cui sopravvivono gli estremi dello stilobate, procedeva perpendicolarmente alla navata centrale e la divideva dalla parte più sacra dell’edifico, l’area riservata al clero, dalla quale con una serie di disposizioni si puntò a escludere i laici a partire dal XLIV canone del concilio di Laodicea13. Ciascuna delle due estremità presenta l’incavo di una base con lati compresi tra 29 e 32 cm e le sedi per transenne, con larghezza compresa tra 10-11 cm; tali dimensioni sembrano incompatibili con una separazione di tipo ‘basso’, fatta cioè di soli plutei e pilastrini, e sembrano indirizzare verso un divisorio ‘alto’, composto di transenne intervallate da colonnine che portavano un architrave continuo, elementi questi mai ritrovati. Di questa navata, che ricordiamo dominata dal volume dell’ambone, l’abside profilata a ferro di cavallo costituiva il punto di fuga dei colonnati14, oltre che -ovviamente- il fulcro della messa dei fedeli (la liturgia eucaristica). L’abside ha una corda di 5,43 m e uno sviluppo interno di 8,52. Durante le ricognizioni effettuate nella campagna 2010 un pezzo angolare di cornice, caratterizzato dalla sezione data da un toro e una gola dritta, è stato riconosciuto a essa pertinente; doveva correre all’altezza d’imposta delle arcate longitudinali e interrompersi in corrispondenza delle finestre che tradizionalmente, e con chiare implicazioni simboliche, erano tre tanto qui che in facciata. La presenza di marmi è probabile anche in altri settori della navata dove si propone di collocare una serie di 13 frammenti che il ridotto spessore, compreso tra 2,8 e 3,2 cm, qualifica come parti di rivestimento (fig. 3)15; sono caratterizzati da foglie d’acanto a profilo lanceolato originate da gambi massicci. Le foglie sono prolungate a toccare quelle dello stelo vicino e si alternano in altezza, secondo un rapporto 2:1, ad altre foglie avvolte verso l’interno; il materiale è marmo locale di colore bianco-grigio. Esistono nei frammenti meglio conservati alcune lievi difformità: in uno (inv. n. 4127) lo stelo centrale corre in verticale per tutta l’altezza della lastra mentre i laterali, dalla metà 11 3. Iasos, basilica dell’agora, frammenti marmorei di rivestimento (foto dell'autore) 4. Capitello da pilastro dalla basilica B di Filippi (foto dell’autore) in poi, s’incurvano a raggiungerlo, nell’altro (inv. n. 3869) i gambi si mantengono paralleli; a questo si aggiungano le proporzioni diverse. Tali differenze suggeriscono che, nonostante l’apparente identità, i frammenti appartengano a lastre diverse, a un capitello di quelli che si ponevano al fondo delle arcate longitudinali il primo (fig. 4), a una cornice continua il secondo. All’altra estremità della navata doveva aprirsi la finestra di facciata, con ogni probabilità una trifora, i cui montanti andrebbero riconosciuti in due blocchi conservati nel locale Antiquarium, uno intero e uno frammentario16, caratterizzati, al centro delle due facce, da un profilo convesso che racchiude una croce a estremità patenti. Alla quota di 1,00 m del montante completo andrebbe aggiunta l’altezza (compresa tra 24 e 26 cm) dei due capitelli ‘a stampella’ rinvenuti17 e dell’arco che concludeva l’apertura, variabile a seconda della distanza tra i supporti; l’altezza complessiva doveva essere compresa tra m 1,55 e 1,70. Occorre tuttavia ricordare come la veduta assiale della navata fosse riservata ai ministri del culto mentre i fedeli, assegnati alle navi laterali, ne avrebbero avuto una visione incompleta, limitata com’era dalla posizione, da transenne, da colonne e anche dai tendaggi di cui i fusti portano diverse tracce18. Per raggiungere le rispettive aree i fedeli avrebbero percorso i mosaici che ornavano le navate laterali di cui quella nord, all’ingresso, ricordava probabilmente il piccolo martyrium rinvenuto dagli scavi del 1984-1986 sotto l’ambulacro19. Al tempo degli scavi di questi mosaici rimaneva ben poco a causa del successivo inserimento di tombe nelle navate. Prima della rimozione a fini conservativi erano visibili una cornice con una treccia a tre capi di colore rosso, grigio e giallo accompagnata da una fascia bianca, il tutto profilato di nero; questo mentre il campo centrale mostrava cerchi intersecantisi. Il tassellato della navata meridionale mostrava una cornice di foglie cuoriformi rosse e gialle che si disponevano in alternanza verso l’interno o l’esterno; il mosaico, separato da una banda bianca e nera, sfoggiava ottagoni intersecantisi di colore grigio e giallo20. Non erano solo le pavimentazioni a differenziare la navata maggiore dalle laterali; mentre la pri- 5. Proposta di ricostruzione dell’interno della basilica visto dalla navata nord (disegno dell’autore) 12 ma sembra caratterizzarsi dall’accumulazione di elementi marmorei, le pareti degli ambulacri dovevano essere semplicemente rivestite d’intonaco dipinto. È ancora visibile in due strati quello della navata nord: nel soprastante si distinguono linee di color bianco, giallo e porpora che sembrano delineare cornici e campi geometrici, sotto vi è un motivo a pannelli fatto di cornici rosso-porpora e campi bianchi. L’affinità di colori e materiali fa pensare che le due fasi dovessero essere vicine. La navata centrale doveva essere anche la parte più luminosa della basilica: convergeva in essa, come d’uso in questo tipo di edifici, un apparato fatto di luci naturali e artificiali. Le prime includevano la trifora citata, ma anche il nastro di aperture che abitualmente correva al di sopra dei colonnati, infine le finestre aperte nell’abside; oltre a queste vi era un sistema d’illuminazione artificiale fatto di lucerne a sospensione e polykandela, documentate da ritrovamenti dentro o vicino l’edificio21. L’uso di queste lampade, coerentemente alle notizie tramandate dagli inventari22, doveva corrispondere nel numero e nella posizione ai punti ‘focali’ dell’azione liturgica: bema, ambone, altare e tavole secondarie; sulle ultime potevano trovarsi delle lampade a calice. Tale sistema doveva essere riprodotto su scala minore nelle navate riservate ai fedeli, com’è attestato dal ritrovamento nell’ambulacro nord di un sostegno pensile per lucerna analogo a quello già citato23. Nella navata centrale la vivida luce emanata da queste lampade a olio veniva enfatizzata dal riflesso sui marmi, con un certo impatto sulla percezione dei fedeli posti nei più ombrosi ambulacri laterali, schermati com’erano, almeno in alcuni settori, dai citati tendaggi (fig. 5). Ancora, tra le parti marmoree rinvenute va segnalata la presenza di tre piccoli frammenti traforati24 (fig. 6). I primi due sono di ridotto spessore (≤ 1 cm): uno mostra due nastri solcati che si annodano, il secondo un fiore quadrigigliato nella rara variante dotata di foglie lanceolate25, il terzo un fiore a otto petali, anch’essi lanceolati. Simili lavorazioni a giorno sono riconducibili a transenne che, nella gerarchia propria di questi edifici, trovano collocazione sul recinto del bema26, sebbene non si possa escludere che andassero a schermare le finestre di facciata27 (solo in parte o solo alcune vista la loro fragilità), secondo modi attestati nella vicina basilica di Hierapolis28, o in quella di Campanopetra29 a Salamina di Cipro. È doveroso osservare come in questi due casi tali schermi coesistessero con le più canoniche aperture dotate di vetri. Collocate con un certo margine di sicurezza le lastre traforate rimane da ipotizzare la disposizione dei frammenti in una transenna: dal nodo partono due nastri di cui uno correva linearmente, mentre l’altro s’incurvava a formare un cerchio con diametro approssimativo di 8 cm, pari all’altezza ricostruita del fiore quadrigigliato; i pezzi dovevano unirsi tramite l’attaccatura ancora visibile sulla parte curva. Ne deriverebbe una trama a nodi di cerchi che racchiudono fiori quadrigigliati molto vicina, anche per la variante con foglie lanceolate, a una delle transenne di Kalenderhane Cami30 e ad alcuni frammenti provenienti dalla basilica A di Nea Anchialos (figg. 7-8); tale motivo si alternava -a scacchiera- a campi quadrangolari di 12 cm ca. di lato per i quali non è possibile ricostruire altro dalla cornice (fig. 9). Resta il problema del fiore a otto petali; 13 6. Iasos, frammenti di transenne lavorate a giorno provenienti dalla basilica dell’agora (foto dell’autore) 7. Istanbul, Kalenderhane Cami, frammenti di transenne (da Peschlow) 8. Nea Anchialos, basilica A, frammenti di transenne (da Barsanti 2004) esso ha una larghezza ricostruita di 9,5 cm incompatibile tanto con le cornici circolari che con quelle quadrate ed è probabile che appartenga a un’altra lastra. Mentre per quest’ultimo l’uso di marmo bianco locale suggerisce di attribuirne la lavorazione a maestranze autoctone, i due frammenti precedenti -straordinari esempi di raffinatezza e abilità tecnica- si direbbero pezzi d’importazione. 9. Proposta di ricostruzione per le transenne lavorate a giorno della basilica dell’agora (disegno dell’autore) Conclusioni In quella che potrebbe apparire una basilica di tipo comune di VI secolo, ‘provinciale’ come si può pensare Iasos al tempo, il dato che colpisce di più è la forte gerarchizzazione dell’edificio -a dispetto delle dimensioni- con la compresenza di separazioni di tipo fisso e mobile destinate a orchestrare i movimenti collettivi di fedeli e ministri del culto. Coesistono, nell’edificio, l’ordinaria separazione tra bema e naos, ma anche quella tra le navate, che si direbbe essere stata tanto fissa -le transenne sugli stilobati tra i colonnati- quanto mobile, per la presenza di tendaggi tra le colonne. Con la navata centrale in uso alle processioni dei ministri del culto i fedeli sembrano confinati negli ambulacri laterali, le donne alla destra e gli uomini alla sinistra se, come indicano gli accessi, il vano posto a nord del nartece era destinato a raccogliere le offerte eucaristiche31. A tali compartimentazioni corrispondevano trattamenti diversi delle navate con la centrale più luminosa e dotata di pavimenti e arredi marmorei, come marmorei erano alcuni rivestimenti, e le laterali pavimentate a mosaico32 e rivestite d’intonaco dipinto. Nelle ipotesi che ricostruiscono le posizioni assunte dalle varie categorie di fedeli occorre tenere conto anche dei catecumeni: essi erano invitati alla fine della liturgia della parola ad abbandonare l’aula ed era preferibile che lo facessero senza arrecare disturbo; non disponendo l’edificio di gallerie dobbiamo pensare si raggruppassero al fondo delle navate e vicino agli ingressi. In tale caso sarebbero da riferire alla loro presenza i tendaggi limitati agli intercolunni più esterni. Il tipo di articolazione che si è andati ricostruendo assegna alla basilica dell’agora un ruolo primario tra le chiese iasie? Si tratta della cattedrale? Sembra di no. Non vi è traccia di quegli edifici, annessi, arredi che in genere qualificano i complessi cattedrali: i vani posti attorno all’edificio sono più recenti, non hanno né un’autonomia né un baricentro che non sia la chiesa stessa e non possono riconoscersi in un palazzo episcopale; mancano gli arredi che caratterizzano il bema delle chiese vescovili, il seggio e il synthronon, soprattutto manca il battistero. Ciò nonostante, è indubbio che dovesse trattarsi di una chiesa importante, centrale nella vita religiosa della locale comunità anche per aver incluso il più antico martyrium dal quale aveva probabilmente ereditato il culto. 14 Levi osservò come i portici dell’agora di II secolo furono in uso fino al IV; infatti, furono qui rinvenute monete di Valente e Teodosio II. Una moneta giustinianea fu rinvenuta tra gli strati romani dell’agora e un edificio bizantino posto tra le stoai est e nord, cosa che depone per una datazione post-giustinianea di quest’ultimo; in tale periodo i porticati dovettero già essere crollati. Levi 1969-1970, pp. 484-487. Per Berti la spoliazione dell’agora cominciò con la metà del IV secolo, com’è testimoniato dai blocchi di fregio delle stoai riusati nella struttura absidata, probabilmente un martyrion, su cui sorse la navata nord della basilica (Berti 1992, p. 128). Su questi temi si veda anche Pagello 1986, p. 137. 2 Serin 2004, p. 38. 3 Sui due esempi: Strzygowski 1903, p. 56; Blid 2006, pp. 30-32. Serin avvicina invece le camere che si proiettano oltre il nartece a esempi greci quali le chiese di Sicyone e Nea Anchialos D: Serin 2004, p. 49. 4 Serin 2004, p. 46. 5 Tutto questo mentre nella navata nord lo spessore si attesta sui 68-72 cm. 6 L’ambiente fu rimosso dagli scavi degli anni Sessanta: Levi 1969-1970, p. 462. 7 Da ultimo su questo tipo di separazioni: Peschlow 2006, pp. 53-71. 8 Solenni ingressi processionali sono attestati fin dal V secolo nei giorni delle rogazioni; a questi seguiva la salita del vescovo al seggio, il saluto al popolo e l’inizio delle letture. Mateos 1971, pp. 123-126. In precedenza l’ingresso doveva avvenire senza solennità, con ciascuno che, separatamente, guadagnava il suo posto prima dell’inizio della liturgia. Questo è il senso del LVI canone del concilio di Laodicea (ultimo terzo del IV secolo) dove si richiamano i presbiteri a entrare e prendere posto nel bema con il vescovo, ma non prima di lui. 9 Su questo: Peirano, Garberoglio 2011, passim. 10 Tale tipologia di ambone è delineata da: Castelfranchi 1994, pp. 50-51; Ruggieri, Acconci, Featherstone 2002, pp. 37-67. 11 Tale blocco era diviso in due lungo l’asse della scalinata: lo dimostra la presenza di un lato finito non appartenente al contorno in quattro di questi pezzi. In luogo di una piattaforma superiore ottagonale, ve n’erano quindi due contrapposte di forma trapezoidale allungata poggiante ciascuna su quattro colonnine. Tale assetto, inusuale, trova però conferme in una piattaforma rinvenuta nella vicina Keramos. Su questa: Castelfranchi 1994, pp. 50-52. Nell’ambone iasio l’analisi della faccia superiore, in particolare degli incavi in cui alloggiavano i parapetti (non identificati), e la loro interruzione che preparava alle spallette delle scale, hanno dimostrato come la piattaforma avesse il suo asse maggiore disposto normalmente rispetto alle scalette che lo servivano. 12 Sodini 1984, p. 453; Castelfranchi 2005, p. 439. 13 Mansi 1759-1798, II, col. 571. Tale decreto impediva l’accesso al santuario alle sole donne, mentre il successivo LXIX canone del concilio di Trullo (680) lo estendeva a tutti i laici, a eccezione dell’imperatore, autorizzato -secondo un’antica tradizione- a portare i doni per la comunione sull’altare: Mansi 1759-1798, XI, col. 969. 14 D’accordo con Serin sono indotto a vedere in questo profilo un accorgimento per rendere, almeno visivamente, l’abside più profonda: Serin 2004, p. 40. 15 I frammenti sono stati rinvenuti in tempi diversi all’interno della basilica. Su alcuni di questi si veda: Serin 2004, pp. 67-69. 16 Rispettivamente inv. 2472 e 2473. Potrebbe costituire il completamento dell’ultimo blocco un ulteriore frammento murato nella chiesa ‘medio-bizantina’ e visibile solo in parte. 17 Inv. n 2434. 18 Sono visibili tracce di questo tipo su due colonne: quella rialzata mostra due fori quadrati sui lati est e nord che misurano dalla base rispettivamente m 1,41 e 1,38; in quella conservata nell’annesso a nord del nartece le cavità, analoghe alla precedente, distano dal sommoscapo m 1,08 da un lato e 1,07 dall’altro. Calcolando che il foro ha un’altezza di 4 cm avremmo colonne di 2,51 m di media. Una terza colonna presenta un incavo a L la cui estremità superiore dista m 1,47 dall’imoscapo. L’altezza degli incavi inferiori fa pensare che i tendaggi potessero avere un ulteriore aggancio nel pluteo. 19 Di questa erano leggibili solo cinque lettere dell’ultima linea. Berti 1986, p. 156. Sul martyrium: Berti 1987, pp. 8-9, Berti 1992, pp. 128-129. 20 Secondo Berti l’esecuzione appariva accurata nel taglio e nella messa in opera delle tessere, delle quali si evidenziava la vivacità cromatica dei particolari. Berti 1986, pp. 155-156. 21 Rispettivamente inv. 5186 e 2287. Il primo ritrovamento, un sostegno pensile composto di un gancio legato a tre filamenti metallici collegati ad altrettanti uncini, proviene da un saggio presso lo stilobate ovest dell’agora; il secondo, un gancio di polykandelon proviene dallo scavo della stoa est della piazza: Contardi 2009, pp. 31-34. 22 De Blaauw 1994, p. 127. 23 Inv. 5263. Questa si componeva di un’asticciola dotata di asola cui era legato un doppio gancio a S: Contardi 2009, p. 31. 24 Questi sono stati rinvenuti nel 1982 (invv. 5109, 5169, 5174). 25 Barsanti 2004, p. 515. 26 Attestate a Olympia: Alder 1892, pp. 93-105. 27 Su questi usi: Frantz 1958, pp. 65-81. 28 Garberoglio 2009, pp. 153-161. 29 Roux 1998, p. 25 e fig. 11. 30 Peschlow 1997, pp. 107, 110 e tavv. 113-115. 31 La collocazione a nord per i fedeli di sesso maschile, gli unici autorizzati a portare le offerte eucaristiche, è piuttosto rara anche se attestata. Müller 1961, pp. 65-81. 32 Diversi autori hanno evidenziato come l’opus sectile fosse considerato un tipo di pavimentazione più prestigioso del mosaico e come il costo di quest’ultimo fosse molto variabile a seconda delle regioni. Dunbabin 1999, p. 254; Caillet 1994, pp. 409-414. 1 15 BIBLIOGRAFIA & Alder 1892 = F. Alder et alii, Olympia. II, Berlin 1892. & Barsanti 2004 = C. Barsanti, Le transenne, in A. Guiglia Guidobaldi, C. 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Mau defined this type of decoration as “First Pompeian style”2. Along the western and southern coast of Asia Minor and in the island of Rhodes, some well-preserved walls3 and fragments of friezes4 have also been found. In this context, the fragments presented in this article allow to mark Iasos too, among many other sites, on the find spot map of Hellenistic wall-decorations in Asia Minor. The majority of the fragments from Iasos belong to friezes with decorated and ornamental zones5. For most of the pieces the findspots are unknown. The largest fragment (nr. 1: fig. 1) is part of a frieze with a very colourful painted imitation of marble below a moulded section with a double guilloche on a coloured ground. The 15,4 cm high marbled zone is drawn on natural-coloured and polished stucco with black, grey, yellow and red big spots which in turn are separated by net-like red lines. The decoration changes without any section of lines or draft into an area with very small spots and short red lines. This seems to imitate a change of the conglomeration of the marble in between the continuous strip, which is 34,2 cm wide. The 5,8 cm high double guilloche is painted on a quarter-round moulding, using the same colours with the addition of a light blue hue6. The painting style of marble imitation with net-like veins is similar to the Knidian frieze7 as well as to fragments from Priene8 or Ephesos9. For many of the marble imitations of ‘Masonry style’, apart from the distinction between the rough and fine conglomeration in the rendering of the marble, it is not possible to identify as to which specific type the artisans were trying to imitate10. Nr. 2 (fig. 2) shows a part of a marbled frieze with a 5,4 cm high double guilloche on a quarter-round moulding. In this case, the 10 cm high preserved marble imitation is painted on red ground, but the style and colours are different. The round spots in red, yellow, white and green are ringed by thin and careful drawn black lines11. Similar differences can be seen on the poorly preserved double guilloche, but the ornamental bands share the same shape of a quarter-round which is the most common combination of the painted decor and stucco profile. In general, the style of this frieze seems to be different from nr. 1, and the pieces belong to different decoration systems. On Delian decorations these double guilloches on a quarter-round usually crown the frieze12 . Therefore the pieces from Iasos can be reconstructed as the ornamental band on the top of the two slightly different friezes with continuous strips of marble imitations (fig. 11). 17 2. Frieze fragment with double guilloche and marble imitation (nr. 2) (foto: N. Zimmermann; section: A.M. Monaco; graphic design: B. Tober) 3. Frieze fragment with double guilloche and yellow and red ashlar (nr. 4) (foto: N. Zimmermann; section: A.M. Monaco; graphic design: B. Tober) 4. Frieze fragment with double guilloche and red ashlar (nr. 7) (foto: N. Zimmermann; section: A.M. Monaco; graphic design: B. Tober) 5. Ornamental band with Lesbian cyma(nr. 5) (foto: N. Zimmermann; graphic design: B. Tober) The surface of nr. 4 (fig. 3) is not well preserved. However, like the aforementioned examples, the 8,5 high red-contured double guilloche is set above a drafted zone of yellow and red ashlar as the main band of the frieze formed by a string-course of bevelled-edge blocks which are just as a preserved height of 5,4 cm. The size of the graphic ornament is the same as before, but the shape of the ornamental border is clearly different, because it covers a rather flat and less moulded quarter-round. A deep groove marks the central axis of the ornament and comes from a careful sketch of the ornament. This could be taken as an indication for the use of a pattern book. Fragment nr. 7 (fig. 4) again shows a 5,1 cm high double guilloche above a red drafted ashlar, preserved at approximately 13 cm high, as part of a string-course of bevelled-edge blocks. The ornamental band is set on a flat ground and is separated from the ashlar by a deep groove. The monochrome ashlar as well as the flat profile indicate a fine typological range in between the layout of the friezes. A rich profiled section of the walls and friezes suggest the fine tuned hierarchy of the room decorations13. Despite of this analysis, nr. 7 and nr. 4 with monochrome ashlars and rather flat stucco are slightly simpler than nr. 1-2 with rich profiled sections and polychrome marble-imitation. In addition to these examples of double guilloches fragment, nr. 5 (fig. 5) shows a 10 cm high Lesbian cyma that can be reconstructed as an ornamental band of being a part of a frieze14. The ornamental band seems to be set beneath a main band of the marble imitation with red and yellow spots, which are just 1,6 cm high, on a small area on two fragments. A combination of nr. 5 as ornamental border beneath one of the marbled friezes nr. 1-2 seems possible (fig. 11). One small fragment of a semi-column (nr. 9, fig. 7) and one simple-profiled frieze fragment (nr.10, fig. 8) are found in the area of the agora, but the stratigraphic context is unknown. Another fragment of a semi-column (nr. 8 = inv. 8496, fig. 6) approximately 12 cm wide and 9 cm high was found near the theatre. No capitals are preserved. The section of the columns shows a very irregular fluting, which is clearly different from the regular shape of a Doric semi-column of Hellenistic times, which is known from the “quadriportico nell’area della Basilica est”15. Because of the flat fillets of the fluting, the semi-columns seem to belong to an Ionic or Corinthian order, similar to most of the columns of miniature-friezes in the neighbouring ancient cities16. But these Ionic or Corinthian examples have very flat flutings17. 18 Therefore the pieces from Iasos might also be Doric and their rounded shape could be seen as an effort to use a very soft stucco. The red ground flanking the fluting indicates that the semi-columns divided red wall panels. Semi-columns or pilasters of small shape belong to a characteristic decoration of the upper zone where they divide monochrome panels and form a miniature architectural frieze (fig. 11)18. The fragment nr. 3 (inv. 3015, fig. 9) was found at the “complesso della basilica presso la porta est”19 and surely was part of a Doric frieze. Part of a 10,8 cm wide light blue triglyph, on white grounded metope with no known measurement are preserved. The 3,4 cm high taenia is red and the regula without guttae is again light blue and is 1,7 cm high. The small size of the Doric frieze corresponds to the small size of the semi-columns. If these are Doric, they could be reconstructed hypothetically as a Doric miniature frieze (fig. 11)20. While full sized friezes could have decorated the exterior walls, this smaller counterparts could have been used in the interior21. The miniature friezes in the upper zone create a decorative illusionistic effect which probably derives from the window of a representative andron of a Greek house22. In any case, the semi-columns and entablature inside the rooms evoked associations with prestigious monumental architecture. They were considered to be the most representative of the decorative equipments of the elite class that were used in the buildings of Iasos during the Hellenistic period23. Fragment nr. 10 (fig. 8) belongs to the lower part of a simple stucco cornice, which usually crowns the moulded wall above the isodomic courses (fig. 11)24. The shape of nr. 10 is too small and fragmentary for a stylistic and typological analysis. Without good context or sound stratigraphy, this piece is not necessarily Hellenistic in date, but could also belong to a Roman Imperial wall decoration with a simple profiled stucco cornice that separates the main and the upper zone25. The same is true for nr. 6 (fig. 10). This fragment is out of the excavation of a building in the south-eastern corner of the agora in the year 1973. It was found 1 m above the pavement so that the fragment could be belong to a decoration within the area of the agora26. The fragment seems to be part of the corner of a big orthostat of the main zone (fig. 11). The embossed white panel of the orthostat and the fragmentary unknown zone above seem to be separated by a 6,8 and 8 cm wide grey-blue sunken frame. Because of the lack of an ornamental zone and without an analysis of the material, this fragment cannot be ascertained as a part of a Hellenistic masonry-style wall decoration. The fragment could also be part of a stuccoed and drafted wall decoration from the Roman Imperial period in the style of imitation marble, which was very common in the last decoration phase of Severian times in the Ephesian terrace house 227. Without a good chronological context or other material clue, this fragment must be classified as an “uncertain” piece of masonry-style at Iasos. 6. Semi-column of miniature architecture (nr. 8 = inv. 8496, next to theatre) (foto: F. Berti; section: A.M. Monaco) 7. Semi-column of miniature architecture (nr. 9, agora) (foto: F. Berti; section: A.M. Monaco) 8. Fragment of stucco cornice (nr. 10, agora) (foto: F. Berti; section: A.M. Monaco). 19 9. Doric cornice of miniature architecture (nr. 3 = inv. 3015, Basilica est) (foto: F. Berti; section: A.M. Monaco) 10. Fragment of orthostat (nr. 6, agora) (foto: N. Zimmermann; graphic design: B. Tober) The exact location of the rooms with Masonry-style decoration in Iasos largely remains unknown. Some fragments (nr. 9, fig. 7; nr. 10, fig. 8) were found in the area of the agora and could have belonged to Late Hellenistic public, private or religious buildings on the agora or its immediate vicinity. One fragment from the Basilica est could have been part of the decoration of a room in the gymnasium (nr. 3 = inv. 3015, fig. 9). Because of their small size, the fragments most likely represent material that has been disturbed several times and probably do not come from a destruction layer. One piece of miniature architecture (nr. 8 = inv. 8496, fig. 6) from an area near the Theatre and some of the fragments with completely unknown findspot could possibly come from the excavation of the residential area south-east of the Theatre. This area was built in the 4th century BC above earlier structures that date from the 8th-6th century BC and were altered in subsequent periods28. Therefore the fragments with unknown context can belong to Hellenistic houses as well as to other official or religious buildings within the archaeological area of Iasos29. The decoration of Hellenistic rock-cut tombs of the Hellenistic necropolis of the 4th-3rd centuries BC as well as from the 2nd century BC onwards should also be mentioned as possibilities, although no wallpaintings have been found there until now30. The analysis of the findspots and fragments results that all of the ‘Masonry style’ fragments from Iasos have to be classified as residuals31 without the possibility of the location of a certain room context. At this point, a reconstruction of complete Masonry-style walls from Iasos is not possible. Nevertheless, for a better understanding of the position and dimensions of the fragments, a hypothetically reconstruction of a Masonry-style wall decoration with the pieces from Iasos (fig. 11) should be helpful, despite it is far from being sure that the fragments belong to one wall decoration. In general, the Late Hellenistic wall painting fragments from Iasos belong to the known spectrum of this type of artefact in Asia Minor and the eastern Mediterranean area. Most of the comparanda can be dated between the 2nd and 1st century BC, which is also a likely dating for the pieces found at Iasos. Most of the ornamental parts of the friezes contain double guilloches which is known from the friezes in Delos but until now is rather rare in Asia Minor. The double guilloches from Iasos all have the same graphic shape but different sizes that range from 5,4-8,5 cm. The cross-section of the ornamental border varies clearly between flat and a quarter round. In contrast the Lesbian cyma is known from most of the findspots along the western and southern coast of Asia Minor. The elements of miniature architecture as well as the ornamental borders in combination with the imitation of luxurious marbles show the high quality of these decorations32. In the Late Hellenistic houses of Delos, polychrome decorations with these typological characteristics adorned the most prominent rooms of the houses33. Although the fragments of friezes from Iasos are not numerous, they show the possibilities in varying the decoration syntax and adapting the wall decoration to the meaning and hierarchy of the room where they were applied. The fragments of representative wall-decoration in the Hellenistic Masonry-style indicate the high standard of Hellenistic life culture in Iasos, which is also known from other luxurious articles of everyday life from the same period34. 20 11. Position of the Iasian fragments on a hypothetically Masonry style wall decoration (original: Bulard 1908, 294 pl. VI Aa; graphic design: B. Tober) 21 The situation in Iasos in Hellenistic times: Baldoni, Franco, Belli, Berti 2004, p. 38-41. I want to thank F. Berti for the permission to publish the fragments and for information on the findspots as well as the friendly reception at Iasos 2010. I also want to thank N. Zimmermann for the intermediation and for most of the photographs. A.M. Monaco provided drawings of the sections. I have to thank also A.K.Y. Leung for important corrections of the English text. For an introduction on ‘Masonry style’ decoration: Ling 1991, pp. 12-22; Mielsch 2001, pp. 21-27; Borda 1958, pp. 5-18. 2 Bulard 1908, pp. 91-184; Alabe 1995, p. 191-198; Bezerra de Meneses 1983, pp. 80-87; Westgate 2000, pp. 397-400; Mau 1882; Laidlaw 1985. Discussion of the differences of ‘Masonry style’ and ‘First style’ decorations: Guldager Bilde 1993, p. 151-177. 3 E.g. Priene: Raeder 1984, col. pl. I; Rumscheid 2010, p. 141 with fig. 20; Winter 2010, p. 279 and 288, fig. 12; Pergamon Bau Z: Bachmann 2010, pp. 181-183 and 188 with fig. 6-7; Magnesia: Magnesia am Mäander/Agora: Humann 1904, pp. 137-138 with fig. 149-150. 4 E.g. Priene: Wiegand-Schrader 1904, pp. 308-318, fig. 333-335; 337-346; 348-359; Wartke 1977, pp. 21-58, fig. 1-40, pl. 5-9; Pergamon: Kawerau,Wiegand 1930, pp. 47-52, fig. 61-66; Radt 1986, pp. 415-432, esp. pp. 426-442, fig. 10-12; Erythrai: Bingöl 1997, p. 90 with fig. 60; Knidos: Bingöl 1997, pl. 17; Ephesos: Tober 2007, pp. 418-420; Tober 2010b, pp. 31-32 with fig. 32-33; Milet: Weber 2004, pp. 141-144, pl. 45-48, pl. 43.4; Halikarnassos: Hinks 1933, pp. 8-9, Cat. nr. 12, fig. 4-5. Rhodos: Kondes 1952, pp. 547-591, esp. 556 with fig. 4, pp. 580-581 with fig. 22-23. 5 See fig. 11. Terminology and structure of friezes: Westgate 2000, pp. 397-399, fig. 6. 6 Typological analogies: Ephesos: Tober 2007, pp. 418-419 with fig. 1a; Tober 2010b, p. 32 with fig. 33; Delos: Bulard 1908, pl. XI et VIII c. 7 Bingöl 1997, pl. 17.1. 8 Priene: Wartke 1977, p. 47, Cat. nr. 43 et 48 with fig. 39 et 27, Cat. nr. 8 with fig. 8, pl. 6.2. 9 Tober 2007, p. 419 with fig. 1d. 10 Some different colourful types of real marble-breccias: Borghini 1998, p. 172, 182-187 and 190. Netlike veins: Borghini 1998, p.161 with fig. 18a. In some cases of late Hellenistic marble imitation the identification of the real examples is possible: e.g. F. Cavari-F. Donati, Rappresentazioni e composizione delle imitazioni marmoree nelle pitture di stile dell’Etruria romana, lecture held on the XI. Internationales Kolloquium der AIPMA. Antike Malerei zwischen Lokalstil und Zeitstil? on 13.9.2010 in Ephesos/Selçuk. 11 See Pergamon: Radt 1986, p. 429 with fig. 12; Bingöl 1997, p. 94 with fig. 62; Ephesos: Tober 2007, pp. 418-419 with fig. 1a; Tober 2010b, pp. 137-138 with fig. 32-33. 12 Westgate 2000, pp. 398-399 with fig. 6. 13 Westgate 2000, pp. 397-400. 14 See e.g. Halicarnassos: Hinks 1933, p. 8-9 with fig. 4-5. Milet: Weber 2004, p. 142-143, pl. 45.6; 48. 15 Tomasello 1987, p. 67-82, esp. 67 with fig. 1-2. See note 19. 16 See Tober 2010a, p. 240 with note 27. 17 See Tober 2010a, p. 255 with fig. 2. 18 Semi-columns of different orders are known from most sites along the western and southern coast of Asia Minor like Knidos, Erythrai, Ephesos, Priene, Pergamon as well as from Pompeji, Delos and the Near East: Tober 2010a, p. 239240 with notes 20-21; Bingöl 1997, p. 89-90 with fig. 60. 19 See plan. F. Berti identifies the part of this building where the stucco-fragment comes from as gymnasium. 20 The different findspots of the agora, the so called “Basilica est” and the area of the theatre do not allow a reconstruction on the same wall. 21 See Blanc 1993, p. 51; Blanc 2010, p. 53-64, esp. 53-56. Doric frieze in room K in the “Maison du trident” in Delos: Westgate 2010, p. 505-506. 22 Reber 2010, p. 583-594, esp. 585-588 et 592-593 with fig. 6-9. 23 Westgate 2000, p. 400. At Delos they are part of the decorations of the room-types oecus maior and oecus minor: Reber 2010, p. 586 with notes 16-17. 24 Westgate 2000, p. 397-398 with fig. 5; Bachmann 2010, p. 188 with fig. 7. 25 See Tober 2010a, p. 247-248. 26 Maybe it was part of the decoration of the Caesareum: See Tondo 1987, p. 167-168 with note 39; see plan on the last page of this volume; see note 27. 27 Zimmermann 2010, p. 105-121, esp. 119; p. 449-471, esp. 465-466; Zimmermann 2002, p. 114 et 247 with fig. 20-22, p. 254 with fig. 46; Zimmermann-Ladstätter 2010, p. 137-138. 28 Baldoni, Franco, Belli, Berti 2004, p. 108-111. Plan with 7 phases: ibid. p. 109. 29 Areas with Hellenistic buildings are the agora: Baldoni, Franco, Belli, Berti 2004, p. 80-85; Masturzo 1995, p. 5-14. The area of “Artemis Astias”: Baldoni, Franco, Belli, Berti 2004, p. 90. The sanctuary of Zeus Megistos: Baldoni, Franco, Belli, Berti 2004, p. 97-99; Landolfi 1987, p. 59-66. The late-Hellenistic Portico Complex: Baldoni, Franco, Belli, Berti 2004, p. 100-101. The Sanctuary of Demeter and Kore: Baldoni, Franco, Belli, Berti 2004, p. 116-117; Johannowski 1987, p. 55-58; Berti 2006, p. 7. 30 Baldoni, Franco, Belli, Berti 2004, pp. 124, 126-127 and 132-135; Henry 2002, pp. 11-13; Henry 2004, p. 17-19; Henry 2005, p. 17-19; Henry 2008, p. 10-13. 31 Similar dimensions and character of residuals of Terrace House 1 at Ephesos: Tober 2010a, p. 242 with note 42. 32 Typological analogy to type 6 “Profilé à panneaux en relief ” in Delos: Alabe 1995, p. 196. 33 Westgate 2000, p. 391-426, esp. 397-400. 34 E.g. Hellenistic relief pottery which is concentrated in the sanctuary of Demeter and Kore and in the Hellenistic necropolis: Pierobon 1987, p. 83-92. 1 22 BIBLIOGRAPHY & Alabe 1995 = F. Alabe, Intérieurs de maisons hellénistiques: les murs peints à Délos, RA, 1995/1, pp. 191-198. & Bachmann 2010 = M. 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Krinzinger (ed.), Die Wohneinheiten 1 und 2 im Hanghaus 2 von Ephesos, FiE, VIII/8, Wien 2010, pp. 105-121, 449-471. 24 Tra le figure rosse attiche di Iasos: un cratere della Bottega del Pittore di Achille* di Francesca Curti 1. Iasos, la porta est (foto G. Meucci) N el 1971 a Iasos, nel settore nord-est dello scavo dell’area di quella che venne definita una Basilica presso la porta orientale della città, furono rinvenuti 5 frammenti contigui di parete di un cratere a figure rosse di produzione attica1. Nello stesso saggio e nell’area circostante, che probabilmente faceva parte del temenos del santuario di Zeus Megistos ricordato dall’iscrizione posta sulla vicina porta urbica (fig. 1), sono venuti alla luce molti altri frammenti di ceramica a figure rosse importata che rivelano la grande varietà di forme attestate a Iasos e l’ampio arco cronologico che essi coprono2. Da questo complesso di materiali proviene il cratere oggetto del presente studio che offre lo spunto per una riflessione sui temi della ceramografia attica presenti sulle coste dell’Egeo orientale3. La porzione di parete ricomposta conserva la superficie quasi integra che permette di apprezzare le qualità tecniche del disegno, ottenuto con linee di diverso spessore e a rilievo. La vernice è omogenea e nera lucente. La curvatura suggerisce che possa trattarsi di un cratere a calice (fig. 2). La scena mostra parte di una figura maschile ammantata, appoggiata a un bastone, di profilo e rivolta a destra, col piede sinistro sollevato; l’uomo regge con la mano un rotolo di papiro ben legato e sembra rivolgersi a una figura seduta, frontale, con chitone a pieghe sottili e himation bordato di nero. Il soggetto appare dunque misterioso perché i personaggi non hanno attributi o una connotazione particolare, l’ambiente non è definito e la scena non è certo conclusa: infatti un lato di un cratere a calice delle dimensioni di questo potrebbe ospitare almeno altre due figure. Il vaso è databile alla metà del V secolo a.C. per il tipo di tecnica con linee di contorno di spessore diverso e per la realizzazione del panneggio e alcuni particolari permettono anche un inquadramento più preciso. Le larghe pieghe dell’himation dell’uomo, che ricadono in caratteristiche falde terminanti in un lembo a forma di goccia, trovano infatti confronti puntuali con gli orli delle vesti maschili sui vasi del Pittore di Achille4, in particolare sull’anfora di Stoccarda5 che presenta una figura nello stesso atteggiamento. Anche il chitone leggero con orlo nero rimanda allo stesso Pittore6 come il disegno caratteristico degli stinchi, riscontrabile in quasi tutte le sue figure di profilo. Il ceramografo, specializzato nella produzione di lekythoi a fondo bianco, dipinge anche crateri a calice e a campana con soggetti mitologici, alcuni di grandi dimensioni, come del resto è vario il repertorio vascolare dei pittori della sua maniera. Le sue scene sono sempre molto misurate e non affollate di figure, che di solito non si muovono in maniera concitata; si tratta spesso di incontri a due o tre personaggi, con un legame di tipo narrativo tra il lato principale e il lato secondario. Il frammento propone lo schema tipico del 25 2. Iasos, frammento attico a figure rosse n. inv. 2975 (foto M. Molinari) 3. Anfora lucana, Napoli, Museo Archeologico Nazionale 82263 (da Iozzo 2009, fig. 8) 4. Cratere a campana campano, Ginevra, coll. privata (da Kahil 1994, n. 6) 5. Cratere a volute apulo, Ruvo, Museo Jatta 1499 (da Kahil 1994, n. 4) dialogo tra un uomo e una etera, molto diffuso nell’iconografia attica del V secolo a.C.: in quel preciso contesto però l’uomo appoggiato al bastone, di fronte all’etera seduta, offre una piccola borsa di cuoio chiusa da una cordicella e contenente un compenso7. Sul nostro frammento invece la situazione è ben diversa perché l’oggetto tenuto per il nodo del nastro che lo chiude è un rotolo di papiro, quindi sicuramente un testo scritto. In questa forma il manufatto più attestato è il rotolo del pedagogo che però abitualmente è aperto e mostra alcune righe, come i versi sulla coppa di Douris con scena di scuola8 o la frase nel tondo di una kylix del Louvre in cui Linos legge il testo scritto e Mousaios regge la scatola per la scrittura9. Di solito il maestro si rivolge a un allievo, quindi a un efebo nudo o avvolto nell’himation, comunque a una figura abbigliata in maniera diversa dal nostro personaggio dal panneggio elaborato che potrebbe appartenere a una donna o a una figura regale. L’uomo consegna dunque una notizia scritta o la riceve da qualcuno che si trova di fronte a lui. Nelle narrazioni mitologiche i messaggi vengono recapitati oralmente: per esempio Ulisse si reca a Troia in ambasceria per riportare Elena in patria senza un messaggio scritto. Per Sisifo, tra i primi a conoscere le lettere dell’alfabeto, si parla di iscrizioni sugli zoccoli delle pecore o di un messaggio scritto, ma su una foglia di lauro10. Solo raramente i messaggi sono scritti, come nel caso della lettera di Ifigenia per Pilade, consegnata di fronte al tempio di Artemide Taurica, ricordata nella tragedia di Euripide11 e rappresentata nella ceramografia12. L’unica altra vicenda in cui, secondo le fonti, un testo scritto viene esplicitamente ricevuto e poi consegnato è quella di Bellerofonte e della Chimera13. Secondo Euripide e forse anche Sofocle14, l’eroe, ignaro, riceve dal re di Tirinto Proitos15 due tavolette inscritte da consegnare chiuse al re di Licia Iobates16. L’uccisione della Chimera17 si svolgerà appunto in questa regione dell’Asia Minore e il movente sta scritto proprio nel messaggio: Bellerofonte deve morire perché ha insidiato l’onestà di Stenebea, moglie di Proitos e figlia di Iobates. In realtà, Bellerofonte era stato falsamente accusato in patria di violenza per vendetta dalla regina, perché lui l’aveva respinta. Queste scene, sia quella della consegna del testo scritto a Bellerofonte da parte di Proitos, sia quella a Iobates da parte di Bellerofonte, sono ampiamente documentate nella ceramografia magnogreca18 (fig. 3), mentre nella ceramica attica si è preferito l’episodio dell’uccisione del mostro da parte di Bellerofonte in groppa al cavallo alato Pegaso19. Il nostro frammento narrerebbe allora un momento della vita dell’eroe, che ha avuto grande eco e venerazione in Licia, infatti potrebbe trattarsi sia della partenza da Tirinto sia dell’arrivo sulle coste orientali dell’Egeo, perché in entrambi i casi si parla del messaggio scritto nelle mani di Bellerofonte. La figura seduta sarebbe un re data la ricchezza delle vesti sovrapposte che, dalle numerose pieghe, risultano di diversa pesantezza; si tratta di un sovrano orientale, o di Iobates stesso? Il re della Licia però appare sì sempre seduto, ma il mantello che lo avvolge è sontuosamente ricamato20. D’altra parte l’atteggiamento, e soprattutto la veste e l’attributo del personaggio in piedi, non si addicono a Bellerofonte che è sempre raffigurato come ogni eroe, sia 26 in Magna Grecia che in Attica, con la clamide gettata sulle spalle che lascia il corpo nudo e con la lancia con cui ucciderà la Chimera. Atteggiamento e bastone sono invece tipici del re Proitos quale lo vediamo sulla ceramica apula, campana e lucana21 (fig. 4). Se si pensa invece che la figura seduta sia femminile sono due le possibili identificazioni nell’ambito del mito di Bellerofonte: Stenebea moglie di Proitos e amante delusa dall’eroe22 (fig. 5) o sua sorella Philonoe, figlia di Iobates, che la concederà in sposa all’eroe dopo l’uccisione della Chimera. La raffigurazione su questo cratere iasio sarebbe la prima di un episodio relativo al mito di Bellerofonte nella ceramografia attica a figure rosse, coincidenza da mettere in relazione con la narrazione omerica e con la tragedia Iobates di Sofocle23, per ovvi motivi cronologici. Di questo testo sono conservati pochissimi frammenti che non permettono nessuna ricostruzione dell’azione, il titolo però ha suggerito che fosse ambientata in Licia, mentre, se l’interpretazione della scena è corretta, il dramma si svolgerebbe forse a Tirinto. Il fatto che un soggetto legato tanto strettamente alla costa orientale dell’Egeo provenga dall’abitato di Iasos suggerisce alcune considerazioni perché lascia intravedere acquirenti in grado di leggere e apprezzare le storie dipinte sui vasi. Questa non è comunque l’unica scena mitologica complessa legata all’Oriente trovata nella polis caria costiera: il cratere fa parte infatti di un piccolo corpus molto interessante, carico di significati che appaiono accuratamente selezionati da un pubblico raffinato che sceglieva il vaso non solo per la sua funzionalità, ma anche per il messaggio di cui si faceva portatore. Si trattava di un’utenza colta in grado di interpretare le scene, i soggetti legati alla propria terra. Dall’esame degli altri frammenti iasei emerge infatti un dato importante e sorprendente: altre due scene mitologiche sono collegabili non solamente con l’Egeo orientale, ma anche alla regione di Iasos. I frammenti di un grande cratere a volute24 dell’ultimo quarto del V secolo a.C. (fig. 6) conservano i globetti a rilievo di quella che sembra una cascata d’acqua dorata; purtroppo la scena superstite si limita a questo, ma i confronti indicano come unica possibile interpretazione la pioggia d’oro di Zeus che scese a riempire il grembo di Danae, figlia di Akrisios, visto che la principessa era murata in una stanza sotterranea. Akrisios era re di Argo, in guerra con il gemello Proitos. Quando Bellerofonte ebbe liberato la Licia dalla Chimera, Iobates non solo gli concesse la mano di Philonoe, ma lo scortò in patria con un esercito di Lici per aiutare il genero Proitos contro il suo gemello. Da alcune fonti il re di Tirinto era ritenuto il padre mortale di Perseo, che si diceva anche figlio di Zeus grazie al miracolo della pioggia d’oro. I globetti a rilievo di Iasos potrebbero quindi essere relativi alla vicenda di Danae e di Perseo, soggetto che ha avuto una certa eco nel repertorio attico della seconda metà del V secolo a.C. Danae, eroina argiva, e Bellerofonte, le cui gesta sono legate sia all’Argolide che alle coste anatoliche dell’Egeo, portano a Iasos miti che parlano della origini greche della città collegando queste terre all’epos. Un frammento di cratere a campana a figure rosse di produzione attica, attribuibile al Pittore di Cadmo, mostra il satiro Marsyas in attesa del giudizio di Apollo25 (fig. 7). Il mito della contesa tra Apollo e Marsyas, con il conseguente scuoiamento del pastore frigio, è legato dalle fonti26 al nome del fiume che scorre in Caria e si getta nel Meandro. Infatti Apollo, impietosito dalla sofferenza di Marsyas appeso all’albero, lo avrebbe trasformato nel fiume omonimo. 27 6. Iasos, frammenti attici a figure rosse nn. inv. 7311, 7312 (foto M. Molinari) 7. Iasos, frammento attico a figure rosse n. inv. 263b (foto archivio Scuola Archeologica Italiana di Atene, neg. 9158) Questi pochi esempi indicano con una notevole chiarezza come gli acquirenti di questi vasi operassero delle scelte mirate e consapevoli rivolte non solo alla funzionalità del recipiente, ma anche ai messaggi che esso poteva trasmettere. Se consideriamo che le fonti parlano di Iasos come di una colonia argiva27 e che Danae e Bellerofonte sono originari dell’Argolide, tali indizi suggeriscono una scelta di temi legati all’onomastica della regione e ai miti di fondazione della città. Le opere del Pittore di Achille sono state rinvenute in Grecia, in Sicilia e in Magna Grecia28, ma a fronte di questa circolazione prettamente occidentale che vede interessate anche l’Etruria tirrenica con Vulci, quella interna con Chiusi e quella padana con Spina e Bologna, dobbiamo ricordare la lekythos proveniente dalla Troade, quelle di Marion sulla costa nord-occidentale di Cipro e quella di Naukratis29. Iasos costituisce quindi un tassello molto importante per lo studio della circolazione delle produzioni attiche30 e delle rotte seguite dagli scambi con Atene31. * Il presente contributo è stato elaborato nel corso dello studio per una tesi sulla ceramica attica a Iasos per il Dottorato in Storia e Civiltà del Mondo Antico presso l’Università degli Studi di Firenze. 1 Magazzini della Missione Archeologica Italiana a Iasos, inv. 2975; prov. Basilica Est, 1971, settore NE, tra II e III lastricato. Mis. 12,5 x 15,5, spess. 0,6. Superficie con scheggiature, vernice nera lucente, argilla depurata arancio. 2 Su proposta di Fede Berti, la ceramica a figure rosse di Iasos sarà oggetto di un volume a cura di F. Curti e A. Parrini. Sull’argomento Berti 2004; Curti 2004; Curti, Parrini. 3 La diffusione delle immagini a seguito della circolazione della ceramica figurata attica è un problema che sempre di più offre spunti di studio e di riflessione; dopo il convegno di Arles (Atti Arles 2000) recentemente si sono moltiplicati gli studi d’insieme sulla presenza attica in Occidente (Giudice 2007; Giudice, Giudice 2008 con ampia bibliografia a nota 1) e sul suo significato; si vedano da ultimo: Reusser 2002; Catucci 2003, p. 1; Mannino 2006, pp. 252-253. Per quanto riguarda la situazione sulle coste dell’Anatolia il problema risulta più complesso per la scarsa pubblicazione dei materiali e per la mancanza di archivi di riferimento aggiornati quali esistono, o sono in preparazione, per altre realtà (Giudice 1999). 4 Cfr. anfora, Paris, Bibliothèque National, Cabinet de Médailles 372, Oakley 1997, n. 4; anfora, London, British Museum E331, Oakley 1997, n. 42. 5 Stuttgart Museum 4131, Oakley 1997, n. 55. 6 Lekythos, Atene III eforia A 5606, Oakley 1997, n. 115. 7 Si vedano come esemplificazione dello schema iconografico: kylix, Toledo Museum of Art 1972.55, Reeder 1995, pp. 183-187, figg. 38 a-b; kylix, Berlin, Antikenmuseum 1799, Reinsberg 1993, p.122, figg. 65a-b; alabastron, Berlin, Pergamonmuseum F2254, Beazley 1963, p. 557, 123, Reinsberg 1993, p. 186, fig. 104. 8 Kylix, London, British Museum E54, Beazley 1963, p. 436, 96. 9 Kylix, Paris, Musée du Louvre G457, Beazley 1963, p. 1254, 80. 10 La vicenda dell’incontro di Sisifo con Antikleia, in seguito andata sposa a Laerte, è ricordata dalle fonti; di questo episodio esiste una redazione a figure rosse su un cratere a volute apulo (München, Antikensammlungen 3269, Trendall, Cambitoglou 1978, p.15, 51) in cui è visibile nelle mani di Laerte la foglia con scritto il nome di Sisifo. 11 Cropp 2000. 12 Sul cratere a calice di Ferrara Ifigenia consegna a Pilade, di fronte al tempio di Artemide Taurica, il messaggio con il racconto del viaggio in Tauride secondo la versione di Euripide (Museo Archeologico Nazionale 3032, Beazley 1963, p. 1440,1; Carpenter 1989, 377; Spina. Storia, fig. 108, cat. 538). 13 Iozzo 2009; Simon 2009. 14 Sui frammenti di Euripide si vedano: Collard, Cropp, Lee 1995, pp. 79-97 per la Steneboea, pp. 98-120; per il Bellerophon: Curnis 2003. A proposito dei frammenti di Sofocle: Pearson 1963, pp. 214-215; Radt 1977. 15 Kahil 1994. 16 Berger-Doer 1990. 17 Jacquemin 1986. 18 Cfr. anfora lucana, Napoli, Museo Archeologico Nazionale inv. 82263, Todisco 2003, L3; Iozzo 2009, p. 17, cat. 3. Sulle scene con Proitos si vedano: Kahil 1994, nn. 2, 4, 5; Todisco 2003, P5, L3, AP38, C25, C28, AP3; per Iobates si veda: Berger-Doer 1990, nn. 3,4,6,8; Todisco 2003, AP6. 19 Lochin 1994. 20 Tutte le immagini di Iobates sono su vasi dell’Italia Meridionale. 21 Si tratta sempre di redazioni magnogreche a figure rosse; si veda a questo proposito, Kahil 1994 nn. 1-6; in queste scene Bellerofonte è accompagnato da Pegaso e Stenebea assiste seduta. 22 Il racconto più dettagliato del mito si trova in Omero, Iliade VI, 155-180. 23 Pearson 1963, pp. 214-215; Radt 1977. 24 Sei frammenti di collo e attacco di ansa di grande cratere a volute. Magazzini della Missione Archeologica Italiana a Iasos, inv. 7311, 7312; prov. Basilica Est 1970, settore NE, vano F, parte S: - 73 / 155. Mis. frg. max. 9 x 9. Vernice nera lucente, argilla depurata arancio, linea di contorno a rilievo, uso delle sovradipinture. 25 Frammento di cratere a campana che conserva l’attacco dell’ansa, Izmir, Museo Archeologico, Inv. 263 b; prov. zona a sud del teatro, vano B. Mis. 7 x 6,2. Superficie con scheggiature, vernice nera lucente, argilla depurata arancio, uso della vernice diluita. 26 Apollodoro, Bibl. I. 4. 2; Erodoto, Hist. VII.; Senofonte, Anab. I. 2. 8. 27 Polibio, Hist. XVI, 12,2. 28 Si vedano a questo proposito le ampie e esaustive note in Giudice 2007, pp. 257-258, note 69 e 70, tav. 1; dai nuovi dati proposti dall’autrice emerge un articolato quadro di distribuzione. 29 Secondo i dati Beazley, i vasi attribuiti al Pittore di Achille trovati al di fuori delle rotte occidentali provengono da Hanai Tepe (Troade), lekythos a fondo bianco, Berlin, Völkerkundemuseum 5252, Beazley 1963, p. 995, 127. Da Marion, lekythos, Oxford, Ashmolean Museum 324, Beazley 1963, p. 993, 82; lekythos a fondo bianco, London, British Museum D51, Beazley 1963, p. 1000, 201. Da Naukratis, lekythos a fondo bianco, London, British Museum 1937, 10. 26, Beazley 1963, p. 996, 140. 30 Curti, Parrini, fig. 24. 31 Sulla base della distribuzione dei vasi attici sono ipotizzabili rotte che da Atene portavano a Samo e a Rodi, da Samo potevano risalire verso Chio e continuare verso il Ponto Eusino, da Rodi invece (seguendo le coste dell’Anatolia) arrivare a Cipro. I vasi di Naukratis rientrano nel panorama della distribuzione delle rotte africane. Per le recenti proposte relative alle rotte si vedano Giudice, Giudice 2008, pp. 316-322; Giudice et alii. 28 BIBLIOGRAFIA & Atti Arles 2000 = La céramique attique du IVe siècle en Méditerranée occidentale, Atti del Colloquio Internazionale (Arles, 7-9 dicembre 1995), Napoli 2000. & Atti Iasos 2004 = Iasos tra VI e IV sec. a.C. 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Orlo di anfora “Ionica a bande dipinte” I contenitori da trasporto presi in esame in questo studio appartengono a un orizzonte cronologico piuttosto ampio, dal VI al IV secolo a.C. circa. Le zone di ritrovamento sono settori distinti della città e dell’entroterra: un gruppo è stato rinvenuto nella fontana ‘arcaica’ dell’agora, un secondo proviene dal santuario di Zeus Megistos ubicato presso la Porta Est, dove alcuni esemplari facevano parte del deposito relativo al thesauros e altri del cosiddetto ‘deposito arcaico’, la cui costituzione sembra da ascrivere a meccanismi di dispersione dei più antichi materiali votivi. Un esemplare, infine, proviene dal fondo Bozan1. Lo scavo della fontana arcaica, sebbene non completato a causa dell’affioramento dell’acqua di falda, restituì un cospicuo numero di recipienti, funzionali alla raccolta dell’acqua e al suo consumo. La costruzione ha pianta rettangolare, due gradini per la discesa al serbatoio posti sul lato orientale, stipiti laterali. Di questi ultimi si conservano tre blocchi sul lato sinistro. Secondo Doro Levi la struttura, consistente in una vasca dalla quale si attingeva direttamente l’acqua, doveva essere dotata in origine di una copertura assai simile a quella della fontana di Smyrna, di poco anteriore2. L’area in cui la nostra fontana è ubicata, disseminata di punti di affioramento della falda, costituì per la comunità, a partire dal VI secolo a.C., una meta frequentata e importante. Del quartiere alle spalle della Porta Est fa parte uno dei complessi cultuali più importanti della città: il temenos di Zeus Megistos3. Gli scavi vi hanno riportato in luce un thesauros di dimensioni piuttosto modeste con l’antistante piazzale, delimitato a occidente da un muro e dalla strada che conduceva al porto. I materiali costituenti la stipe si datano tra la metà del VI secolo a.C. e l’età ellenistica; il thesauros al IV4. Le analisi archeometriche stabiliscono la provenienza solo di alcune tra le anfore studiate (nn. 5724, 5725, 5893, 7961)5; le restanti, che non sono state sottoposte ad accertamenti di tipo petrografico, sono state classificate in base a confronti tipologici con recipienti provenienti da altri siti del Mediterraneo: l’Etruria, il Chersoneso Tracico e Taurico, la Ionia6. Essi appartengono alle famiglie di contenitori definite convenzionalmente Samie o Protothasie di Zeest, Milesie, Ioniche, Anfore del Deposito di Nymphaion, Anfore della cerchia di Clazomene, Anfore Panskoje I e Anfore a labbro diedro Solocha I. Inv. 5724 (campionata; fig. 2, 1), 5893 (campionata; fig. 2, 2), 7961 (campionata), 8366 (fig. 2, 3), 8391, 8392, 8393, 8394 Partendo dall’autopsia delle anfore rinvenute da V. Grace in un relitto al largo dell’isola di Samos, P. Dupont ha ricostruito la sequenza evolutiva dei contenitori detti samii di Grace e protothasii di Zeest a partire dalla fine del VII secolo a.C. fino alla fine dell’epoca classica e ne ha attribuito la produzione alla città di Mileto7. Le analisi dei nostri esemplari 5724 e 7961 hanno evidenziato una realtà nettamente diversa: l’impasto identifica nel primo caso Samos come punto d’origine, nel secondo un’area più vasta, comprendente Efeso, Samos e/o Colofone. Le differenze tipologiche all’interno di uno stesso arco cronologico si possono spiegare con una derivazione da più modelli di base prodotti in centri distinti e disseminati nel territorio della Caria, sviluppatisi ciascuno a 30 proprio modo. Si venne a creare, quindi, una sorta di koinè anforica che prevedeva un’interazione tra le botteghe artigiane situate sul continente a nord di Capo Mykale e quelle della regione del Latmos8. 2. Anfore samie di Grace e protothasie di Zeest 1 2 3 Inv. 2650 (fig. 2, 4), 5725 (campionata; fig. 2, 5), 4759 (fig. 2, 6), 8097, 8098, 8099, 8100, 8105, 8130, 8386 Le anfore milesie sono state a lungo confuse con la coeva famiglia di recipienti originaria dell’isola di Samos a causa della stretta somiglianza tipologica e d’impasto9. Ciò aveva portato V. Grace a formulare l’ipotesi dell’esistenza di un unico centro produttivo: tuttavia le analisi condotte su alcuni campioni d’argilla rivelarono una provenienza dall’entroterra di Mileto10. L’anfora milesia ‘canonica’ è caratterizzata da un labbro particolare, alto e convesso, sottolineato da uno o più cordoli alla sommità del collo. Questo ultimo può essere dritto o rastremato, separato dalla spalla da una sorta di plica11. Le anse possono avere sezione ovale, a nastro semplice, o possono essere bifide, talvolta anche trifide. In alcuni casi uno stesso recipiente associa un’ansa bifida ad una a nastro. Gli esemplari da esportazione, a parte alcune eccezioni, non recano tracce di ingobbio o di decorazione suddipinta. Che genere di derrate potevano trasportare? I contenitori milesi, come quelli samii, erano destinati per lo più al trasporto di olio d’oliva (la chora milesia, come quella samia, era rinomata per la coltura dell’ulivo)12. È probabile che la plica realizzata alla base del collo servisse a limitarne il gocciolamento. Per quanto riguarda la capacità, le misurazioni condotte su esemplari integri attestano uno standard di 33-34 litri e la circolazione di ‘anforette’ frazionarie da una decina di litri13. 5 4 6 3. Anfore milesie 31 4. Anfora della cerchia di Clazomene Inv. 8395 (fig. 4). Le anfore decorate a bande dipinte della cerchia di Clazomene si possono suddividere dal punto di vista cronologico in due serie, l’una databile nella prima, l’altra nella seconda metà del VI secolo a. C14. La loro silhouette è armoniosa, con un piede dalla base allargata, lievemente rientrante. Il labbro è ad anello spesso. Le anse, a nastro, sono appiattite rispetto a quelle chiote loro contemporanee. La decorazione suddipinta è un elemento costante ed è costituita da larghe bande, orizzontali e ravvicinate, di colore rosso o bruno che rivestono la spalla a ridosso dell’attacco delle anse oppure il collo. Sono ricoperte da argilla diluita. Il fatto che ne siano state ritrovate in gran numero all’interno di sepolture scitiche, nelle necropoli del Mar Nero, ha fatto pensare che contenessero vino (è infatti noto come tali popolazioni ne facessero largo consumo e ne importassero ingenti quantità)15. La loro capacità media si aggira intorno ai 21-22 litri. Inv. 8377 (fig. 5, a sn.), 8378 (fig. 5, a ds.), 8379, 8387, 8388 Le anfore appartenenti al gruppo delle ioniche a bande dipinte sono rappresentate a Iasos da un gruppo di orli. Sono caratterizzate da un labbro ingrossato che si innesta su un collo cilindrico sottolineato da una sorta di collare all’attaccatura con la spalla16. Il corpo è troncoconico con il ventre ampio e teso. Le anse sono a bastoncello, il piede a disco. Sono caratterizzate da una decorazione suddipinta di colore nero o bruno rossastro sull’imboccatura, sul dorso delle anse e sul piede; sul ventre in genere vi sono tre bande sottili. 5. Anfore ioniche a bande dipinte Contenitori di questo tipo (da ritenersi varianti frazionarie e non ‘anforette’ da mensa come a lungo sono state considerate) sono stati ritrovati a Rodi, Delo e Xanthos, così come in Etruria, in Campania e in Sicilia17. È probabile che venissero prodotti in due forme distinte che si differenziavano per il corpo più rastremato verso il fondo e il piede a tromba, invece che a disco. La presenza di suddipinture ascrive le anfore di questa famiglia alle produzioni di fine VI secolo a.C. tipiche dell’area greco-orientale18. Inv. 6038 (fig. 6), 8397 Le anfore del Chersoneso, o Panskoje I, dalla necropoli ucraina all’interno della quale sono stati individuati i primi esemplari integri, sono rappresentate a Iasos da due frammenti, una porzione di collo e un puntale. La caratteristica saliente dei recipienti, prodotti con ogni probabilità nelle botteghe di Heraklea Pontica, sta nelle proporzioni slanciate. Essi presentano un alto collo cilindrico, con anse dal profilo arrotondato; il corpo è troncoconico e termina in un puntale dalle pareti squadrate. La loro capacità è di circa 3 choes attici (9,6 litri) anche se esistevano delle varianti frazionarie da 6,43 litri. Tutte le anfore ucraine presentano bolli englifici con nomi di 6. Anfora del Chersoneso 32 magistrati e fabbricanti su due registri19: l’analisi dei dati epigrafici e stratigrafici ha permesso di datare la produzione di Panskoje al primo quarto del IV secolo a. C. È noto che Heraklea Pontica disponeva di un ricco retroterra che permetteva la produzione e l’esportazione di vino, noci, legname20. Inv. 8380, 8381 (fig. 7), 8382, 8383, 8384, 8385, 8389, 8390 I recipienti commerciali iasii definiti come Solocha I appartengono alla serie prodotta dagli atelier di Peparethos (odierna isola di Skopelos)21. Tra la seconda metà del V secolo e gli inizi dell’età ellenistica l’isola fu una grande produttrice ed esportatrice di vino, almeno quanto Thasos, Chios e Mende. Innumerevoli sono le fonti che esaltano le virtù di tale prodotto e famose erano le celebrazioni in onore di Dioniso e di suo figlio Staphylos, divinità tutelari dell’isola e fondatori mitici della città di Peparethos22. Le anfore sono caratterizzate da un labbro diedro sottile e ribassato e da un collo corto. Il ventre è molto espanso e termina in un piccolo puntale fortemente incavato alla base. La loro capacità, ove misurata, varia tra i 16,9 e i 20 litri. Inv. 8095 (fig. 8) A Iasos la famiglia di contenitori commerciali riconducibili al gruppo detto del deposito di Nymphaion, dal sito che ne ha restituito esemplari completi, è rappresentata da un collo con anse23. Morfologia e proporzioni indicano una sorta di passaggio intermedio tra le anfore tasie biconiche antiche (quali quelle restituite dallo scavo di Phanagoria) e i contenitori contemporanei databili alla seconda metà del V secolo a.C., del tipo “Porta del Sileno”24. Essi differiscono dal primo gruppo nel profilo del ventre, che è perfettamente conico, e nella spalla bassa; dal secondo per il collo meno allungato, svasato in basso, e per il profilo del ventre teso. Il deposito di Nymphaion ha restituito esemplari di tre differenti capacità (15, 12 e 10 litri). L’argilla è rosata con minuscoli inclusi calcarei; l’ingobbio mostra invece dei riflessi perlacei dovuti alla presenza di mica. Le stringenti analogie sia morfologiche, sia nell’impasto tra queste anfore e le biconiche di Thasos hanno portato a ritenere che fossero prodotte dagli ateliers dell’isola25. Il vino, liquoroso, fortemente alcoolico, di colore rosso scuro e dalla lunga maturazione era molto richiesto sul mercato internazionale già a partire dal VI secolo a.C.; Plinio (Nat. Hist. XIV, 73) lo menziona, accanto a quelli di Chio e di Lesbo, tra i migliori importati in Italia al suo tempo26. Le evidenze archeologiche descritte confermano quanto tramandato dalle fonti: la vitalità economica di Iasos nel corso dell’età arcaica e classica27. La città intratteneva rapporti molto stretti con Mileto che era la più prospera tra gli insediamenti della dodecapoli ionica, in virtù della talassocrazia e del controllo esercitato sui commerci con l’Egitto e le regioni del Mar Nero28. Tale contiguità è testimoniata in primis dal racconto relativo all’origine della città tramandatoci da Polibio (XVI, 12,1). Iasos sarebbe stata fondata dai coloni provenienti da Argo, ma la popolazione indigena, di indole assai fiera, avrebbe loro opposto una vivace resistenza, domata soltanto dall’intervento di Mileto, che inviò in aiuto Neleus, il figlio del proprio ecista29. Tucidide (VIII, 28,3; 36,1) utilizza più volte l’aggettivo palaiòplouton (“dalle antiche ricchezze”) per definire l’entroterra iasio e riferisce che i Peloponnesiaci raccolsero nella città un ingente bottino. Strabone (XIV, 2, 21) descrive il territorio e ne sottolinea l’estrema povertà, affermando che 33 7. Anfora Solocha I 8. Anfora del deposito di Nymphaion l’unica risorsa della città era il mare. La sua testimonianza andrebbe interpretata tuttavia come un topos letterario; lo stesso autore quando tratta di altri territori sottolinea la povertà della terra a cui contrappone come fonte di sostentamento il bosco. Le ricerche condotte nel golfo di Mandalya mostrano una realtà varia e complessa: le colline sono separate da valli frutto dell’erosione provocata dai torrenti che un tempo scorrevano nella regione; la vegetazione, costituita per lo più da arbusti spinosi e da ligustri, appare come il risultato di un abbandono progressivo30. Le fascia costiera e l’interno dovevano ospitare un’economia di tipo misto, agricolo e pastorale e non erano trascurate le problematiche legate alla difesa: lo testimoniano le fattorie e le torri di guardia situate, ad esempio, lungo l’insenatura di Zeytinli Köyü. Una concentrazione tra le molteplici evidenze archeologiche appartiene ai secoli V e IV: trattasi di edifici articolati in uno o due vani, che hanno restituito frammenti ceramici (soprattutto di anfore), di mortai e presse olearie31. Iasos poteva contare in tale periodo sui rapporti commerciali con la Grecia e con Atene, la quale stava estendendo i propri interessi verso la Ionia e la zona del Ponto: il suo porto offriva un ottimo riparo e costituiva un punto di smistamento per le merci. Sugli scavi nel fondo Bozan si veda Masturzo 2005. La fontana di Smirne è stata datata al VII secolo a.C. Sulla struttura portata in luce a Iasos si vedano Levi 1972, pp. 474-77 e Ibba 2004. 3 Berti 2004, p.106. 4 Va ricordata la particolare distribuzione dei materiali più antichi, rinvenuti anche lontano dal thesauros, e come i più recenti fossero nel suo interno. Sul cosiddetto ‘scarico arcaico’ e la cronologia del contesto Berti 2004, pp. 106-107. 5 I campioni sono stati prelevati e analizzati dal prof. H. Mommsen e dal dott. M. Kerschner dell’Università di Bonn; sono stati individuate le seguenti classi d’impasto: inv. 5724: Samos; inv. 5725: Mileto; inv. 5893: nessun gruppo noto; inv. 7961: non identificato (probabilmente Efeso, Samo o Colofone). 6 Per l’Etruria Gerioli 2002, pp. 129-130, schede 13-14, tav. VI n. 1-2. Per il Chersoneso Tracico, Taurico e la Ionia Doğer 1986, Avram 1989, Garlan, Doulgeri Intzessiloglou 1999, Monachov 1999, Ibba 2004. 7 Dupont 1999, p. 148. 8 Dupont 1999, pp. 153-157. 9 Grace 1971, pp. 74-75 e 93-94. Gli esemplari esaminati dalla studiosa non furono sottoposti ad analisi all’epoca della pubblicazione: l’equivoco fu ingenerato dall’analisi autoptica. 10 Dupont 1998, pp. 164-186. 11 Dupont 1999, pp. 148-153, tav. n. 2-3-4, pp. 159-160. 12 Dupont 1999, p. 150; Dalby 2003, s.vv. Olive oil, Samos, Miletus. 13 Grace 1971, tav. n. 15/2; Dupont 1999, p. 147. 14 Monachov 1999, p. 165. 15 Sui costumi delle popolazioni Scite si vedano Zeest 1960, Lepjunskaja 1987, Kac 1994, Monachov 1999. 16 Per la ceramica orientale si veda Martelli 1978, pp.187-188; per le anfore Garlan 1999. 17 Pierro 1984, p. 103; Rendeli 1996, p.85, fig. 80 e tav. XXXIII; Govi 1999, p.35; Brocato 2000, p. 317, n. 16. 18 È probabile che si tratti di una produzione locale; l’attribuzione si basa sull’autopsia dell’impasto e sul confronto con esemplari fatti oggetto di analisi petrografiche. Al proposito si veda Dupont 1999, pp. 153-157. 19 Si tratta di bolli con immagini presenti anche su gemme e monete: Monachov 2010, pp. 104-108. 20 Uggeri 2010, p. 72. 21 Garlan, Doulgeri Intzessiloglou 1990, pp. 361-389; Garlan 2000, pp. 48-52. Per le anfore a labbro diedro (Mushroom rim type) si veda Lodi 2010 con relativa bibliografia. 22 Garlan, Doulgeri Intzessiloglou 1990, p. 364; Salviat 1990, pp. 159-160. 23 Kachidze 1981, p. 43. 24 Questi sembrerebbero originari di Mende: Monachov 1999, p. 179. 25 Monachov 1999, p. 179. 26 Tchernia 1986, p.193; Salviat 1986, p. 173. 27 Delrieux 2002, pp. 276- 277. 28 Fabiani 2004, pp. 11-47; Uggeri 2010, pp. 65 e 72-73. 29 Berti 1993, pp. 228-231. 30 Sul territorio e le sue problematiche Pierobon Benoit 2004, pp. 159-176 e 2005, pp. 211-213. 31 Degli insediamenti nella chora di Iasos e dei risultati delle ricognizioni riferisce Pierobon Benoit 2005. Sulle fattorietorre di epoca ellenistica si veda Lohmann 2005, pp. 345-352. 1 2 34 BIBLIOGRAFIA & Avram 1989 = A. Avram, Wo sind die Amphoren von Typ “Solocha I” hergestellt worden, Dacia, 33, 1989, pp. 247-252. & Berti 1993 = F. Berti, Iasos di Caria, in Arslantepe, Hierapolis, Iasos, Kyme. 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On y avait alors présenté notamment deux petits exemplaires iasiens dont l’intérêt tenait, soit à la rareté de leurs types, soit à la présence d’une contremarque inconnue jusqu’alors dans le monnayage de la cité2. Depuis lors, l’étude du matériel s’est poursuivie et a permis de reconnaître par exemple un échantillon de monnaies iasiennes s’élevant aujourd’hui à plus de 130 exemplaires courant de la fin du Ve-début du IVe siècle a.C. au principat de Maximin Ier. Parmi ces derniers, cinq pièces identifiées depuis peu ont attiré notre attention en raison de leur rareté ou de leur caractère tout à fait inédit. Ce sont ces monnaies, émises à toutes époques, que nous voudrions faire connaître ici en attendant la publication du catalogue général des trouvailles monétaires réalisées sur le territoire iasien. Le premier exemplaire (inv. I. 568; ici fig. 2) appartient à une série réunissant les plus anciens bronzes connus d’Iasos. Peut-être frappées à la fin du Ve-début du IVe siècle a.C. selon R.H.J. Ashton3, ces pièces d’un petit module (±9 mm) portent, au droit, une tête d’Apollon de troisquarts face à gauche et, au revers, une tête de femme à droite, les cheveux rangés dans un sakkos, une crevette devant elle, les lettres IASE, pour ’Iασέ(ων), placées à gauche4. Trois exemplaires étaient connus jusqu’à ce jour et tous ont été relevés à l’occasion de ventes en ligne5. D’un style très proche des pièces en argent et en bronze émises à Iasos dans le courant du IVe siècle6, ils annoncent le monnayage dit “aux fruits de mer”, bien connu par ailleurs. Produit semble-t-il en quantité (peut-être trois coins de droit pour cinq coins de revers), vers le milieu du IVe siècle a.C. d’après R.H.J. Ashton7, celui-ci montre, au droit, une tête d’Apollon à droite et, au revers, une crevette au-dessus d’un coquillage8. Crustacé et mollusque symbolisent la ‘Petite Mer’, étendue d’eau à l’est de la ville antique, aujourd’hui presque complètement comblée par les alluvions, d’où les Iasiens tiraient l’essentiel de leurs ressources9. De cet endroit très poissonneux10, on sortait notamment une sorte de crevette dont la réputation dépassait largement les frontières de la cité à l’époque du poète sicilien Archestratos11. Assurant à la fois notoriété et subsistance à ses riverains, la “Petite Mer” était l’objet de toutes les attentions et les Iasiens veillaient à ce que l’on ne leur en contestât pas la propriété. La représentation monétaire de la crevette sur une longue période du IVe siècle a.C. était donc un moyen d’affirmer leurs droits sur ce plan d’eau, d’autant que l’accès au site leur avait été interdit par Alexandre le Grand contre qui ils avaient lutté aux côtés des Perses en 33412. 2. Inv. I. 568 36 3. Inv. I. 7361f Le deuxième exemplaire auquel nous nous intéresserons est un bronze hellénistique de l’abondante série à la tête d’Apollon au droit et au jeune garçon nageant avec un dauphin au revers (inv. I. 7361f; ici fig. 3). Mesurant 12 mm pour un poids de 1,8 g (axe orienté à 12h), cette pièce porte au revers les deux premières lettres de l’ethnique (IA) ainsi que le nom abrégé EPIKOU. Il s’agit là d’une version inédite du nom EPIKOUROS, que l’on peut lire (ainsi que l’ethnique) en entier sur des exemplaires de la seconde moitié du IIIe-début du IIe siècle a.C. émis aux mêmes types, mais de plus grand module (±15 mm), plus lourds (±3,31 g), sans cercles de grènetis, un arc et un carquois sous le dauphin13. Par ailleurs, la tête d’Apollon, les cheveux relevés en chignon, et la queue dressée du dauphin, le tout à l’intérieur d’une couronne de grènetis, rappellent étroitement ce que l’on peut voir sur des pièces aussi petites (±13 mm) et aussi légères (±2,10 g) que la monnaie I. 7361f14. Cela étant, ces dernières sont toutes sans signatures et montrent un carquois à la place. Si la datation précise de tout ce matériel paraît encore difficile15, au moins peut-on souligner, à la suite de R.H.J. Ashton, que, par rapport aux grands bronzes contemporains frappés aux mêmes types, sans signatures (mais avec un ethnique complet) et peut-être comme l’équivalent du tétrachalque (±20 mm pour ±5,97 g), “the bronze signed issues are cruder in style, mostly have the abbreviated ethnic IA, and are smaller and lighter than the unsigned issue with full ethnic (mostly 15-18 mm and around 3 g-5 g in weight). Some of them are still smaller, with diameters at 12-14 mm and weights around 1,75-2,75 g, and may have been tariffed as half denominations, perhaps dichalka (they include a group, with quiver symbol, which is unsigned)”16. 4. Inv. I. 5405 Vers la même époque, peut-être dans la première moitié du IIe siècle, nous situerons un autre bronze d’Iasos aux types cette fois d’Apollon et Artémis (inv. I. 5405; ici fig. 4). Mesurant 16 mm pour un poids de 2,9 g (axe orienté à 12h), cette pièce est à ranger parmi les monnaies (dichalque ou tétrachalques ?) montrant, au droit, Apollon Delphinios nu debout à gauche, un arc dans la main gauche, une flèche dans la droite, un dauphin devant lui et, au revers, Artémis chasseresse debout à gauche, un arc dans la main gauche, une flèche tirée d’un carquois dorsal dans la droite. Partageant le même coin de revers qu’un exemplaire aujourd’hui au British Museum17, la monnaie I. 5405 a la particularité de porter au droit une contremarque circulaire très mal conservée mais dans laquelle on verrait volontiers une tête tournée à droite. À notre connaissance, cette marque n’apparaît nulle part ailleurs sur les monnaies de la cité et il n’est pas du tout certain que les Iasiens soient à son origine18. À tout le moins, elle rejoint une couronne de laurier contremarquée sur un autre bronze aux mêmes types de la seconde moitié du IIIe-début du IIe siècle a.C.19. La quatrième monnaie nouvellement identifiée est cette fois un bronze provincial romain, difficile à lire de prime abord (inv. I. 5998; ici fig. 5). Au droit figure la tête d’un empereur lauré à droite, avec une légende dont on ne voit plus que des traces indistinctes. Au revers est une déesse debout de face dans un péplos, la tête à gauche, des épis de blé dans la main droite, un long sceptre dans la gauche, avec l’ethnique IAΣΕΩ[N]. S’il y a tout lieu de reconnaître Déméter dans cette divinité, c’est la première fois que celle-ci apparaît dans le monnayage iasien. Pour sa part, l’identification 37 5. Inv. I. 5998 du prince, plus problématique, peut sans doute se faire d’après la forme des lettres encore lisibles et le style des types. Tout d’abord, le epsilon et le sigma n’étant pas lunaires, une datation postérieure au principat d’Hadrien paraît exclue, ce qui nous ramène au plus tard au début du IIe siècle p.C. où, sous Trajan au moins20, on trouve encore et ensemble de telles lettres. D’un point de vue cette fois stylistique, la tête de l’empereur, imberbe semble-t-il et petite par rapport à la taille du flan et des lettres de la légende, rappelle étroitement des bronzes du temps de Domitien21. S’il convenait de dater de cette époque la monnaie trouvée à Iasos, celle-ci pourrait alors passer, avec un module de 16 mm et un poids de 3 g, pour une fraction de pièces faisant ±25 mm et ±15,98 g dans un cas, 20 mm et 11,87 g dans l’autre22. La dernière monnaie d’Iasos présentée ici est un autre bronze d’époque romaine, aussi mal conservé que le précédent (inv. I. 19460-19461; ici fig. 6). On y reconnaît encore, au droit, le buste drapé d’une impératrice à droite, les cheveux rangés dans un chignon placé sur la nuque, avec une légende dont on ne lit plus que les lettres [C]EBAC[TH---] écrites de gauche à droite dans le sens des aiguilles d’une montre. Au revers ne paraît plus qu’une vague silhouette, la tête à gauche, le bras droit légèrement levé23, avec les lettres IAC-[E]W(?)[N] écrites de gauche à droite dans le sens des aiguilles d’une montre. Si l’origine iasienne de la monnaie ne fait aucun doute, l’identification des types est en revanche très compliquée. Non seulement nous ne connaissons aucun autre bronze d’Iasos comparable à celui-ci, mais le peu que l’on arrive encore à déchiffrer ne permet pas de reconnaître spontanément une divinité ou une personnalité précise. Toutefois, selon l’éclairage auquel la pièce peut être soumise, on devine au droit, devant le visage de l’impératrice, des traces de lettres faisant peut-être penser au mot FAVCTEINA. Si l’on a bien affaire à une Faustine, il ne peut alors s’agir que de Faustine la Jeune car, à notre connaissance, Faustine l’Aînée ne porte jamais de chignon sur les monnaies émises à son nom, et la forme des lettres gravées sur la pièce d’Iasos irait très bien avec les autres exemplaires iasiens du temps de Marc Aurèle (epsilon droit; sigma lunaire). Par ailleurs, le bronze attribué à Faustine remonterait à une époque où les Iasiens frappèrent monnaie plusieurs fois et s’inscrirait parfaitement dans un système monétaire à dénominations multiples. 6. Inv. I. 19460-61 Ainsi, sous le principat de Marc Aurèle, trois émissions différentes, peut-être quatre, toutes de grand module (de 30 à 37 mm), sont aujourd’hui attestées. Deux d’entre elles, peut-être trois, portent au droit le portrait de l’empereur. L’une montre au revers Dionysos drapé debout de face, la tête à gauche, un canthare dans la main droite, un sceptre dans la gauche, une panthère à ses pieds24, la deuxième un hermès dit “de Zeus”25, la troisième, douteuse, une tête casquée d’Athéna26. De son côté, la quatrième émission montre au droit le visage de Lucius Verus et, au revers, l’image d’Isis debout à gauche, un basileion sur la tête, une voile gonflée par le vent dans les mains, un sistre dans la droite27. Si aucun de ces types ne semble rappeler à coup sûr celui de la monnaie de 38 Faustine, le module de cette dernière (23 mm) en fait naturellement une fraction. En effet, dans la mesure où, d’après les émissions de Carie pour lesquelles une étude métrologique a déjà été faite28, les grands bronzes d’Iasos peuvent passer pour l’équivalent du triassarion (en particulier ceux de Lucius Verus), voire du tétrassarion (ainsi ceux de Marc Aurèle)29, l’exemplaire au nom de Faustine pourrait être celui de l’assarion, voire de l’assarion et demi. Delrieux 2010, p. 31-35. Delrieux 2010, p. 32-34. 3 Ashton 2006, p. 4; Ashton 2007, p. 53. 4 Si nous en ignorons le module et le poids, l’axe de positionnement des coins est orienté à 12h et l’ethnique n’est plus lisible. 5 Cf. Ashton 2007, p. 53.1-3, pl. 7.17-19. 6 Sur le monnayage d’Iasos à l’époque classique, cf. Ashton 2007, p. 47-58. 7 Ashton 2007, p. 53. 8 Les toutes premières monnaies d’Iasos avec un crevette, datées au plus tôt de la fin du Ve siècle a.C., montrent au droit une tête d’homme imberbe à droite. Selon les séries (deux recensées à ce jour), le crustacé, toujours au revers, est seul ou au-dessus d’un coquillage (Ashton 2007, p. 53.1, pl. 7.14, et p. 53.1-2, pl. 7.15-16). 9 Sur la “Petite Mer”, d’après IK, 28-Iasos, n° 30, l. 5-6, et les pêches que l’on y pratiquait, cf. Delrieux 2001, p. 163167, et Delrieux 2008a, p. 273-293. 10 Au début du XIXe siècle, les pêcheurs attrapaient encore “des monceaux de dorades, des pécunes, et plusieurs genres de torpilles (...) ils amenaient souvent des mollusques aux formes les plus incroyables, aux couleurs les plus brillantes” (Texier 1849, p. 137). 11 “Si un jour vous allez à Iasos, cité des Cariens, procurez-vous une crevette de mer de belle taille. Cependant, ce mets est rare sur le marché” (Athénée, Deipnosophistes, III, 66, 105e). 12 Il fallut toute la persuasion de deux Iasiens, Gorgos et Minniôn, fils de Théodotos et compagnons du roi de Macédoine, pour convaincre celui-ci de rendre la “Petite Mer” à leurs compatriotes. Sur l’ensemble du dossier, cf. Delrieux 2001, p. 168 sq. 13 Ashton 2007, p. 59.1-3, pl. 9.66-68. 14 Ashton 2007, p. 61.2-9, pl. 100-107. Sur les monnaies au nom (complet) d’Épikouros, les cheveux d’Apollon tombent le long du cou et la queue du dauphin est droite. 15 Cf. des essais dans Ashton 2007, p. 66-67. 16 Ashton 2007, p. 66. 17 Cf. BMC, Caria..., p. 126.14 (= Ashton 2007, p. 73.11, pl. 15.225). 18 Sur les contremarques apposées sur les monnaies d’Iasos, cf. notamment Ashton 2007, p. 77. 19 Delrieux 2010, p. 33-34. 20 Nous ne connaissons pas pour le moment de monnaies iasiennes du temps d’Hadrien. 21 Cf. RPC II, 1201. 22 Cf. RPC II, 1200-1201. 23 Ce qu’il reste du personnage, peut-être trônant, ressemble à la manière dont les Iasiens ont représenté Apollon et peutêtre quelque autre divinité (Apollon ? Hermès ?) au Ier siècle p.C. (RPC I, 2797; RPC II, 1201) 24 Cf. SNG, v. Aulock, 2557, aujourd’hui à Londres (inv. 1979-1-1-1886). Un autre exemplaire se trouve à Vienne (inv. 37736). 25 Cf. Mionnet 1833, p. 506.346 (= Schaefer 1912, p. 365.1), aujourd’hui à Paris (inv. FG 763). Un autre exemplaire a paru récemment dans Helios Numismatik, 5 (25 juin 2010), 763. 26 Cette émission n’est connue qu’à travers une seule monnaie décrite au XVIIe siècle par J. Vaillant (1693, p. 56), reprise au début du XIXe par T. E. Mionnet (1833, p. 506.347) puis, plus récemment, par W. Weiser (1985, p. 180). Supposée conservée au cabinet des médailles de Paris, celle-ci n’y a pas été retrouvée parmi les exemplaires d’Iasos. En revanche, têtes de Marc Aurèle et Athéna sont attestées sur les mêmes monnaies à Alexandrie d’Égypte, Antioche de l’Euphrate, Néapolis de Samarie, Olbasa et Paros (cf. http://rpc.ashmus.ox.ac.uk). 27 Cf. notamment Babelon 1898, 2445 (= SNRIS, Iasos 04, n° 1; à Paris, inv. FG 764), et Egger, 41 (nov. 1912), 575 (= Egger, 46 [mai 1914], 1260 = SNRIS, Iasos 04, n° 3; à Vienne, inv. 36028). Un troisième exemplaire a été repéré à Berlin (coll. C. R. Fox). 28 En l’occurence Aphrodisias (Johnston 1995, p. 61-79; Johnston 1997, p. 214-215), Bargasa (Delrieux 2008b, p. 99-103), Harpasa (Delrieux 2008b, p. 109-112), Hydisos (Delrieux 2007, p. 78-79), Néapolis de l’Harpasos (Delrieux 2008b, p. 117-120) et Orthosia (Delrieux 2008b, p. 127-130). 29 Un rapide calcul a permis d’établir les bilans métrologiques suivants : ±31 mm et ±16,38 g pour les frappes au nom de Lucius Verus (échantillon de trois monnaies), ±34 mm et ±19,75 g pour celles au nom de Marc Aurèle (échantillon de cinq exemplaires). 1 2 39 BIBLIOGRAPHIE & Ashton 2006 = R.H.J. Ashton, The Beginning of Bronze Coinage in Karia and Lykia, NC, 166, 2006, p. 1-14. & Ashton 2007 = R.H.J. Ashton, The pre-Imperial Coinage of Iasos, NC, 167, 2007 p. 47-78. & Babelon 1898 = E. 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Delrieux, L’exploitation de la mer et ses implications économiques, politiques et militaires dans le golfe de Bargylia en Carie à l’ époque gréco-romaine, Ressources et activités maritimes des peuples de l’Antiquité, Actes du Colloque international de Boulogne-sur-Mer, 12, 13 et 14 mai 2005, J. Napoli éd., Les cahiers du littoral, 2, n° 6, 2008, p. 273-293. & Delrieux 2008b = F. Delrieux, Les monnaies des cités grecques de la basse vallée de l’Harpasos en Carie (IIe s. a.C. - IIIe s. p.C.), Bordeaux 2008. & Delrieux 2010 = F. Delrieux, Les monnaies de fouilles trouvées à Iasos. Bilan provisoire et étude de cas, Bollettino dell’Associazione Iasos di Caria, 16, 2010, p. 31-35. & IK, 28-Iasos = W. Blümel, Inschriften griechischer Städte aus Kleinasien, 28: Die Inschriften von Iasos, Bonn 1985. & Johnston 1995 = A. Johnston, Aphrodisias reconsidered, NC, 155, p. 43-100. & Johnston 1997 = A. Johnston, Greek Imperial Denominations in the Province of Asia, Nomismata. Historisch-numismatische Forschungen 1. Internationales Kolloquium zur Kaiserzeitlichen Münzprägung Kleinasiens, 27.-30. April 1994 in der Staatlicher Münzsammlung, J. Nollé, B. Overbeck, P. Weiss éd., München 1997, p. 205-220. & Mionnet 1833 = T.E. Mionnet, Descrition des médailles antiques et romaines, avec leur dégré de rareté et leur estimation, suppl. 6, Paris 1833. & RPC I = A. Burnett, M. Amandry, P.P. Ripolles, Roman Provincial Coinage, I. From the Death of Caesar to the Death of Vitellius (44 BC - AD 69), London-Paris 1992. & RPC II = A. Burnett, M. Amandry, I. Carradice, Roman Provincial Coinage, II. From Vespasian to Domitian (AD 69 - 96), London-Paris 1999. & Schaefer 1912 = J. Schaefer, De Jove apud Cares Culto, Dissertatio inauguralis quam ad Summos in Philosophia honores ab amplissimo philosophorum Ordine in Academia Fridericiana Halensi cum Vitebergensi consociata, Ex Dissertationum philologicarum Halensium, vol. XX, 4 seorsum expressum, Halle 1912. & SNRIS = Sylloge Nummorum Religionis Isiacae et Sarapiacae, sous la direction de L. Bricault, en collaboration avec R. Ashton, F. Delrieux, W. Leschhorn, U. Peter, C. Sfameni, G. Sfameni Gasparro, Mémoires de l’Académie des Inscriptions et Belles Lettres, 38, Paris 2008. & Texier 1849 = C. Texier, Description de l’Asie Mineure faite par ordre du gouvernement français de 1833 à 1837, t. III, Paris 1849. & Vaillant 1693 = J. Vaillant, Numismata Imperatorum, Augustarum et Caesarum, a populis Romanae ditionis, Graece loquentibus, ex omni modulo, percussa, Paris 1693 (rééd., Amsterdam 1700). & Weiser 1985 = W. Weiser, Zur Münzprägung von Iasos und Bargylia, IK, 28-Iasos, t. 2, p. 170-185. 40 Rassegna bibliografica di Fede Berti 1. Parte della iscrizione di Hesychios. Da W. Blümel, Die Inschriften von Iasos (I.K. 28, 2), Bonn 1985, 419 I l rapporto sull’attività della Missione nel 2008 figura, a firma di Fede Berti, alle pp. 91-99 del volume 31.Kazı Sunuçları Toplantısı. 2.Cilt, Denizli 25-29 mayis 2009 (2008: works of the Italian Archaeological Expedition at Iasos). La stessa ha curato la scheda sulla presenza a Iasos di Zeus (in particolare lo Zeus con la doppia ascia), attraverso la documentazione che si ricava dalle iscrizioni e da altri ritrovamenti, in Mylasa Labraunda Milas Comakdağ. Archaeology and Rural Architecture in Southern Aegean Region, Istanbul 2010, pp. 63-67 (fig. 2). Il vasellame di vetro rinvenuto in tre settori dell’area urbana (cesareo, basilica cristiana dell’agora, quartiere della porta est) e riconducibile ai secoli del tardo Impero (e successivamente) è oggetto di una presentazione da parte di Simona Contardi (Late Antique Glass from Iasos-Caria), in Late Antique/Early Byzantine Glass in the Eastern Mediterranean, Colloquia Anatolica Aegea, Acta Congressus Internationalis Smyrnensis II, Izmir 2009, pp.123-132, volume curato da Ergün Lafli (fig. 3). Nella rivista Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Cagliari, Nuova Serie XXIV (Vol. LXI) - 2006 (ma 2007), pp. 25-54, Enrico Trudu (Atriis graeci quia non utuntur neque aedificant. Tipologie abitative di età ellenistica e romana in Eolia, Ionia e Caria) traccia le linee di sviluppo dell’edilizia privata tra l’età ellenistica e la prima età imperiale in alcune regioni dell’Asia Minore, soffermandosi sul ruolo svolto dalla tradizione greca nel quadro tipologico generale, che l’autore desume dall’analisi di trentanove complessi, presenti a Pergamo, Priene, Efeso, Cos. Tra questi, figura anche la “casa dei mosaici” di Iasos, nella quale il rapporto strutturale tra il peristilio e il vasto ambiente (prostas-pastas) settentrionale comunicante con i vani retrostanti di rappresentanza lascia supporre una realizzazione soltanto in parte riconducibile al tipo di peristilio rhodiacum di cui scrive Vitruvio (fig. 4). Un più corposo gruppo di lavori è incentrato su nuove (e meno nuove) epigrafi. Di Joel Kalvesmaki è Isopsephic inscription from Iasos (Inschriften von Iasos 419) and Shnan (IGLS 1403), in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 161, 2007, pp. 261268, dove l’autore propone una nuova lettura del lungo testo di VI secolo dell’era volgare (riesaminato parzialmente nel 2000 da P. Åstrom in Parola del Passato, 316-317, pp. 41 2. Mylasa Labraunda Milas Comakdağ 3. Late Antique/Early Byzantine Glass in the Eastern Mediterranean 4. Iasos, pianta della casa dei Mosaici (E. Trudu, Atriis graeci quia non utuntur neque aedificant, fig. 8) 5-8) inciso sull’ingresso della piccola tomba a camera che si affaccia sul porto occidentale (fig. 1). Non conoscendo il luogo (o, più semplicemente, la bibliografia su Iasos), Kalvesmaki incorre in una serie di sviste (il nome attuale del villaggio sarebbe Kuren, l’ubicazione della tomba addirittura “unknown” e altro ancora). Muovendosi tra le pieghe delle dottrine gnostiche, in particolare della isopsefia (per la quale alfabeto e aritmetica davano luogo a un complesso sistema, anche teologico), pur tuttavia, egli ravvisa un preciso rapporto di valore numerico tra gruppi di lettere ripetuti e testi che li precedono in due delle colonne che compongono il testo, distribuito su tre campi. La dedica ad Artemis Astias di un andron da parte di un Eupolemos (Eupolemos Potalou o Eupolemos Simalou? Un nuovo documento da Iasos, Epigraphica Anatolica, 42, 2009, pp. 61-77) trova nello studio di Roberta Fabiani un commento ampio e circostanziato, che, dipanandosi tra le vicende storicopolitiche della Caria del primo ellenismo, porta a riconoscere nel dedicante il dinasta degli inizi del III sec. a.C., un personaggio tuttavia da non confondere con l’omonimo (figlio di Potalos) menzionato in altro testo iasio (fig. 5). Nella medesima Rivista, alle pp. 78-80, Sevgiser Akat (A new ephebic list from Iasos) pubblica “une pierre errante” ora visibile nei pressi di Didyma e proveniente da uno dei ginnasi della nostra città, 'pietra' che consente integrazioni onomastiche in testi già noti e risalenti alla fine del periodo ellenistico (ma di controversa datazione). Il volume Hellenistic Karia, a cura di R. Van Bremen et J.-M. Carlon, contenente gli atti della prima International Conference on Hellenistic Karia (Oxford nel 2006) e pubblicato a Bordeaux nel 2010 (Ausonius Editions, Études 28), annovera tre importanti contributi. Roberta Fabiani, in Magistrates and Phylai in late Classical and early Hellenistic Iasos, pp. 467-482, traccia le linee evolutive delle istituzioni della città esaminando le magistrature più importanti (archontes, neopoiai, prostatai, prytaneis) così come esse sono adombrate nei decreti attraverso l’analisi della prosopografia, della paleografia e dell’evoluzione del formulario. Di taglio più numismatico è il lavoro di Koray Konuk (The Payment of the ekklesiastikon at Iasos in the Light of New Evidence, pp. 59-67) che, prendendo spunto dalla ricompensa che veniva percepita dai partecipanti all’assemblea così come descrive l’iscrizione riedita nel 1990 da Philippe Gauthier (in Bulletin de Correspondence Hellenique, 114, pp. 417-443), non accoglie la proposta formulata a suo tempo da Fabrice Delrieux (Revue des Études Grecques, 114, 2001, pp. 160-189) di 5. Iasos, l'iscrizione di Eupolemos 42 6. Iasos, blocchi con iscrizione che menziona il mausolleion mettere in relazione con tutto ciò le piccole monete di bronzo chiamate “aux fruits de mer” poiché la storia delle medesime risulta più complessa e antica: a suo giudizio, infatti, essa travalica gli eventi (presi in considerazione da Delrieux come determinanti per la cronologia delle emissioni) che coinvolsero Alessandro e la restituzione del 'mare piccolo' agli Iasei. Gianfranco Maddoli (Du nouveau sur les Hékatomnides d’après les inscriptions de Iasos, ibidem, pp. 123-131), tratta di cinque iscrizioni dalle quali scaturiscono spunti per nuove riflessioni sulla storia della città e della regione. Come esplicita il titolo, il filo conduttore è costituito dagli Ecatomnidi, ad iniziare da un decreto che, nominando Syennesis di Cilicia, delinea il contesto storico in cui nascerà la satrapia persiana poi data agli Ecatomnidi, passando al maussolleion menzionato su alcuni dei decreti rinvenuti nelle immediate vicinanze dell’agora e incisi sugli stipiti di un edificio a cui, allo stato delle cose, risulta impossibile dare forma, e successivamente alla base con iscrizione metrica (parte di un monumento più complesso risalente agli anni compresi tra il 341 e il 335 in quanto vi si trova la menzione di Hidrieus, fratello e successore di Mausolo) ritrovata non molti anni or sono in uno degli ambienti retrostanti la stoa occidentale dell’agora. Una quarta e più tarda iscrizione (anche questa un decreto) consente di presentare nuove ipotesi sulla genealogia di una famiglia sacerdotale nota da altri testi a Labraunda, famiglia in cui si tramandavano i nomi di Hekatomnos e Korris. L’ultimo testo, scritto su un altare parallelepipedo, è una dedica ad Alessandro e ad Olimpiade. Per quanto di datazione incerta (risale alla seconda metà del III sec. a.C., all’età augustea?), lo studioso -nella associazione sino ad ora non documentata sul piano cultuale di Alessandro alla madre- vi ravvisa comunque l'eco di una ideologia propagandistica che potrebbe risalire alla adozione di Alessandro stesso da parte di Ada, vedova di Hidrieus, che Pixodaros aveva relegato ad Alinda. Salvatore Vacante (Alessandro e l’apodosis del mar piccolo di Iasos: alcune osservazioni, in Città e territorio. La Liguria e il mondo antico, Atti del IV incontro internazionale di storia antica, Genova, 19-20 febbraio 2009, a cura di M.G. Angeli Bertinelli e A. Donati, Roma 2010, pp. 229-235) intreccia alla questione della restituzione alla città della mikra thalassa (forse non da ascrivere ad Alessandro ma a epoca successiva) alcune riflessioni concernenti l’ambiente e le risorse della chora di Iasos. L’autore riprende e amplia il medesimo tema in Economia e territorio di Iasos nell’età di Alessandro Magno. Una rilettura di SIG 3 307*, in Mediterraneo Antico XI, 1-2,2008, pp. 509-531, argomentando, nella discussione, sulle figure dei due noti fratelli iasii figli di Teodotos e il ruolo che essi (Gorgos e Minnion) potrebbero aver avuto presso il sovrano macedone, sui personaggi che agirono sulla ribalta politica della Caria dopo Ada, sulle risorse del territorio, le loro pertinenza e gestione e, non ultimo, sul ruolo dei Samii in esilio a Iasos che forse contribuirono alla ripresa economica della città in quegli anni. Del catalogo della mostra inaugurata ad Istanbul nel dicembre del 2010, catalogo che porta in tre lingue il titolo della mostra stessa (Marmi erranti. I marmi di Iasos presso i Musei Archeologici di Istanbul) e che è stato curato da Fede Berti, Roberta Fabiani, Zeynep Kızıltan, Massimo Nafissi, scrive, in questo numero del Bollettino, Carlo Franco. 43 Recensioni Marmi erranti. I marmi di Iasos presso i Musei Archeologici di Istanbul. Gezgin Tașlar. İstanbul Arkeoloji Müzeleri’ndeki Iasos Mermeleri. Wandering Marbles. Marbles of Iasos at the Istanbul Archaeological Museums, a cura di F. Berti, R. Fabiani, Z. Kiziltan, M. Nafissi, Catalogo della Mostra, Istanbul Arkeoloji Müzeleri, 7.12.2010-4.07.2011, Istanbul, 2010, pp. 243. di Carlo Franco T 1. Manifesto della mostra ra le iniziative legate al ruolo di Istanbul come Capitale Europea della Cultura per il 2010, una mostra allestita nel giardino dei Musei Archeologici riporta l’attenzione sui materiali provenienti da Iasos e colà pervenuti alla fine del XIX secolo, soprattutto in occasione dello smantellamento della cinta muraria. In redazione trilingue (italiano, turco, inglese), il volume si apre con alcuni saggi introduttivi sulla storia di Iasos, degli scavi italiani, dell’insediamento, delle scoperte; segue un ampio catalogo che presenta i dodici pezzi esposti: nove testi iscritti (anche multipli), due statue femminili, il famoso sarcofago a ghirlande. La parte predominante è svolta dai materiali epigrafici, ai quali spetta dunque il ruolo preminente nelle riflessioni qui tentate. Va detto subito che le novità, benché si tratti di reperti conservati al museo da più di un secolo (o forse proprio per questo?), sono notevoli. Per i modi in cui i pezzi approdarono a Costantinopoli, infatti, si sono ingenerati nel tempo alcuni problemi, che hanno limitato la potenzialità documentaria dei reperti. Anzitutto si è avuta una certa perdita di dati: proprio le recenti ricerche condotte dall’équipe perugina hanno portato ad esempio a identificare la provenienza da Iasos di una iscrizione conservata al Museo senza indicazioni sulla sua origine. Ma soprattutto, per la mancanza di un catalogo scientifico dei materiali epigrafici, i manufatti sono rimasti finora largamente esclusi dal moto di ricerca che gli scavi italiani hanno suscitato intorno a Iasos: anche i calchi e gli appunti presi da Louis Robert negli anni ’30 proprio relativamente a testi di Iasos sono rimasti inediti fino ad anni 2. Il giardino dei Musei Archeologici di Istanbul 44 recenti. Decisivo, oltre all’aver finalmente veduto e fotografato i testi per uno studio adeguato, è però il fatto che ora per la prima volta, attraverso la documentazione fotografica e a disegni, sia stata ricomposta l’unità inscindibile di testo e monumento: si tratta di una esigenza imprescindibile oggi negli studi epigrafici, ma che in passato era poco sentita, comportando significative limitazioni nella interpretazione generale. Emblematico, per restare al caso delle pietre ‘erranti’ di Iasos approdate a Istanbul, il caso di quelle che fino ad oggi erano note solo come iscrizioni apposte originariamente su ‘basi di statua’ (W. Blümel, Die Inschriften von Iasos, Bonn, Habelt, 1985, nn. 224-225), e che invece dal catalogo (n. 2) si scoprono essere entrambi elementi di ‘testa’ di un’esedra monumentale, della quale si fornisce un convincente tentativo di ricostruzione. Un altro ricongiungimento, ma di maggiore complessità, deriva dallo studio del testo forse più ricco di implicazioni proposto nel catalogo: una pietra riusata che reca su un lato (quello esposto alla vista) una dedica ad Aba figlia di Issaldomo, sul retro un decreto in onore dell’atleta Tito Flavio Metrobio (n. 1). Mette conto ripercorrere in dettaglio la vicenda della riscoperta (ché di questo si tratta) di questi testi. Il decreto per Aba è noto dal 1945, allorché Louis Robert lo citò (e ne riportò il calco) nel suo volume sulle iscrizioni provenienti dal santuario di Sinuri presso Milasa: ma la pietra mancava di indicazioni di provenienza, sicché l’iscrizione poté essere adibita dal grande epigrafista francese solo come attestazione del nome Issaldomo, e pure datata con sicurezza, grazie ai caratteri, al IV secolo a.C. Sul retro della pietra però stava, inosservato, il decreto per Metrobio: personaggio noto, che consente di assegnare ad Iasos entrambi i documenti. Sarebbe già notevole acquisizione questa (a tacere del dossier Metrobios, di cui si dirà oltre), se non si accompagnasse ad un’altra, ancora più ricca. Nel corso degli scavi nell’agora condotti nell’estate 2005 è venuto alla luce un grosso blocco che reca iscritto un epigramma in onore degli Ecatomnidi per i loro benefici a favore della città. Si è potuto ora accertare che la pietra faceva parte dello stesso monumento dal quale proviene la pietra di Istanbul: ciò permetterà dopo l’importante pubblicazione delle iscrizioni del Maussolleion, un’ulteriore valutazione, annunciata nel catalogo, dei rapporti tra Iasos e i dinasti cari. Un anticipo è fornito: la dedica ad Aba figlia di Issaldomo suggerisce che il matrimonio tra fratelli fosse stato praticato in più generazioni all’interno della dinastia. Nell’epigramma ci si riferisce poi agli Ecatomnidi come ai basileis, i re: si ricorda che vi sono altri casi di quest’uso (tra cui un frammento comico), ma certo è notevole l’uso locale e ‘interno’ dell’epiteto, che disegna ancora una volta la complessità del ‘discorso’ politico diretto dai dinasti cari alle differenti componenti culturali del territorio da loro variamente controllato nel IV secolo. Nella seconda metà del I secolo d.C. la pietra già dedicata ad Aba fu riusata per incidervi l’iscrizione in onore dell’atleta Metrobios: quindi anche a Iasos vigeva la pratica, che meritò ai cittadini di Rodi la dura critica da parte di Dione di Prusa, di riciclare statue e iscrizioni. E se nell’isola ciò sarebbe stato fatto soprattutto per adulare i ‘padroni’ romani, a Iasos lo si fece per onorare certo un atleta, impeccabilmente ‘elleno’, ma pur sempre vincitore di agoni romani, come i Kapitoleia di Roma, e che 45 3. Ipotesi di restituzione dell’esedra di Phormion (N. Masturzo) 4. Base della statua di Aba e poi di Metrobios: l'iscrizione per Aba 5. Base della statua di Aba e poi di Metrobios: l'iscrizione per Metrobios aveva ottenuto la cittadinanza romana probabilmente a seguito delle sue vittorie (Chr. Habicht, Titus Flavius Metrobios, Periodonike aus Iasos, in AA.VV., Imperium Romanum. Festschrift für Karl Christ zum 75. Geburtstag, Stuttgart, Steiner, 1998, pp. 311-316). E appunto la serie di iscrizioni dedicate al personaggio assume ormai, dopo la pubblicazione del nuovo testo scoperto a Istanbul, una consistenza davvero notevole: quattro sono i decreti documentati, non però superstiti. Essi costituiscono due serie: le dediche dell’atleta e le dediche all’atleta, sicuramente tra le personalità in vista nella Iasos della prima età imperiale. La prima è la dedica di Metrobio a Zeus Olimpio (Blümel, n. 107): scomparsa a fine Ottocento, essa fornisce la data per la vittoria dell’atleta (217sima olimpiade, ossia l’anno 89 d.C.), e cita le sue vittorie nei grandi agoni panellenici e ai Kapitoleia; un’altra dedica, rinvenuta durante la demolizione delle mura e poi scomparsa, cita un lungo elenco di successi atletici di Metrobio (ma non quello nell’Agone Capitolino: Blümel, n. 108). Dedicatario in questo caso è Herakles Prophylax della città: ciò rinvia alle attestazioni del culto per l’eroe a Iasos, oggetto di recente messa a punto (A. Malgieri, Un bronzetto di “Hercules dexioumenos” e il culto di Ercole a Iasos, Bollettino dell’Associazione Iasos di Caria, 14, 2008, pp. 24-29). Presente nel catalogo (n. 4, già Blümel, n. 109), e finalmente visibile nella sua completezza dopo la prima edizione curata da Christian Habicht sul calco tratto da Louis Robert, è la pietra che riporta gli onori che il Consiglio, il Popolo e la Gerusia di Iasos decretarono a Metrobio “per il valore e la forza”, in ricordo delle sue vittorie, brevemente elencate con significative presenze. Il tratto notevole di questo testo, il terzo relativo a Metrobios, è la vistosa rasura che indica la cancellazione del nome di Domiziano, damnatus dopo essere stato assassinato nel 96 d.C. L’autopsia finalmente condotta sulla pietra ha rivelato dell’altro: non solo che il monumento reca alcuni graffiti legati al mondo agonistico, ma che anche in questo caso di pietra riusata si tratta, giacché il marmo reca tracce di altre predisposizioni per statue, precedenti all’utilizzo per Metrobio. Ora, anche il quarto testo del dossier, ossia la base di statua riscoperta sul retro della iscrizione per Aba (n. 1), presenta la medesima caratteristica. Il testo, inedito, è pressoché identico al precedente: manca però, secondo l’integrazione proposta alla linea 1, la menzione della Gerusia, e non è presente la rasura del nome di Domiziano. Ciò induce a credere che questo decreto sia successivo al ‘cugino’ (potrebbe esserne una copia?), e che sia stato realizzato tenendo appunto conto della damnatio di Domiziano. Il tutto lascia comunque pensare che la gloria locale di Tito Flavio Metrobio sia durata oltre l’anno 96: l’impegno delle istituzioni cittadine e la moltiplicazione di monumenti legati al personaggio (non tutti databili) suggeriscono che il suo ruolo pubblico sia stato rilevante. In tanta abbondanza di dati, certo, spiace che nessuno dei testi relativi a questo cittadino illustre sia in situ. Non tanto le dediche infatti, quanto le basi di statua molto probabilmente provengono da uno dei ginnasi di Iasos, la cui localizzazione sfugge ancora: la prossimità alle mura e al mare sono indicazioni ragionevoli e fondate, se pietre di là provenienti finirono a Istanbul in occasione della citata, celebre demolizione. Alla vita politica della città, invece, conduce la serie di decreti onorari per stranieri (cittadini di 6. Colonna con graffiti agonistici 46 Melibea, Atene, Macedonia) esposti nell’Apollonion (n. 3), mentre ancora al ginnasio rinvia l’architrave con dedica del ginnasiarca Sopratros (n. 5): sulla base delle dimensioni delle pietre è data anche un’utile ipotesi ricostruttiva del complesso architettonico nel quale il testo era inserito. La stessa probabile provenienza si ha per il decreto onorario, inciso su colonna, per il paidonomos Gaio Giulio Capitone, corredato di altri graffiti agonistici in parte inediti (n. 6). Graffiti di tipologia analoga si rinvengono anche su una colonna (n. 7). Altre basi di statua con decreto onorario riguardano Thaitetos (n. 8) e poi l’imperatrice Giulia Domna (n. 9): sebbene i testi fossero già noti, la storia dell’evoluzione degli stili epigrafici in città riceve da nuovi dati importanti complementi. In effetti, la riconsiderazione attenta dei monumenti consente, oltre a varie precisazioni, soprattutto l’individuazione di nuovi testi: questo incremento, comunque importante, del patrimonio epigrafico di Iasos, comporta anche l’arricchimento immediato della documentazione onomastica. Tra i nomi ‘nuovi’ emersi dai graffiti individuati e interpretati nel corso delle ricerche preparatorie da segnalare almeno, per relativa rarità, gli antroponimi Leonops (n. 7, testo G), Thalieuktos (ivi, testo I), Petraites (ivi, testo M). 7. Base della statua dell'imperatrice Giulia Domna Nel 1995 Gianfranco Maddoli tracciava, in un importante contributo, il quadro della vicenda di dispersione, e quindi di faticoso recupero, del patrimonio epigrafico di Iasos, delineando un lavoro da svolgere (Vicende e prospettive delle iscrizioni di Iasos, in AA.VV., Iasos di Caria. Un contributo ferrarese alla archeologia micrasiatica. Progetti e lavori di restauro, Ferrara, Accademia delle Scienze, 1995, pp. 65-81). Si computavano allora a 170 i testi da Iasos conservati nei diversi musei europei, e se ne attribuivano 129 ad Istanbul. Forse il numero è destinato ad aumentare, come già provano le ricerche che hanno condotto a questa mostra: è certo che lo studio sin qui condotto, in vista di ulteriori e già annunciate pubblicazioni di nuovi testi, ha già raggiunto risultati ragguardevoli. Non tutti i marmi iscritti presenti ad Istanbul sono stati ripresi nella mostra, ma la selezione è ampiamente significativa. Grazie all’impegno e alla competenza dei curatori, le pietre erranti di Iasos, oggi romanticamente confuse nei giardini del Museo di Istanbul insieme con moltissimi altri pezzi iscritti o scolpiti di svariate provenienze, sono finalmente tornate ad essere, secondo la storica immagine della scienza epigrafica, saxa loquentia. 8. Sarcofago a ghirlande da Iasos al Museo Archeologico di Istanbul 47 Il convegno: “50 anni della Missione Archeologica Italiana di Iasos. Iasos e il suo territorio” di Chiara Pilo 1. Marcello Spanu e Fede Berti I 2. Il manifesto del convegno cinquant’anni di attività della Missione Archeologica Italiana di Iasos sono stati celebrati con un Convegno Internazionale di Studi che si è tenuto ad Istanbul dal 26 al 28 febbraio 2011 nelle prestigiose sedi dell’Istituto Italiano di Cultura, dell’İstanbul Arkeoloji Müzeleri (Musei Archeologici) e dell’İstanbul Üniversitesi Rektörlügü (Rettorato dell’Università). All’incontro, fortemente voluto da Fede Berti che ne ha curato l’organizzazione assieme a Daniela Baldoni e Marco Giuman, hanno preso parte molti degli studiosi che da lungo tempo sono impegnati nelle ricerche nell’antico centro di Iasos e nel suo territorio. I lavori hanno avuto inizio la mattina del 26 febbraio con i saluti dell’ambasciatore italiano in Turchia Giampaolo Scarante, della direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura Gabriella Fortunato e di Fede Berti. La sessione di apertura è stata dedicata alle problematiche connesse alle frequentazioni più antiche del sito, precedenti alla fondazione della colonia greca, con l’intervento di Nicoletta Momigliano e con quello di Mario Benzi e Gianpaolo Graziadio sul Tardo Bronzo III e i rapporti con i Micenei. Lo spazio pubblico ha costituito invece il filo conduttore dei contributi della seduta pomeridiana, incentrati sulle ricerche condotte nell’agora della città greca e romana. Luigi Donati ha presentato lo studio delle strutture idrauliche della piazza e in particolare delle fontane di età arcaica, Fede Berti i risultati delle più recenti campagne di scavo nella stoa occidentale, mentre Maurizio Michelucci ha illustrato caratteristiche e materiali delle stipi votive portate alla luce nell’area. Gli aspetti epigrafici sono stati affrontati da Roberta Fabiani e Massimo Nafissi, che hanno esposto i risultati dello studio dei decreti di Iasos, e da Gianfranco Maddoli, che ha presentato un nuovo documento di vendita di sacerdozio. La giornata successiva è stata dedicata alle tematiche connesse alla sfera del sacro, con gli interventi di Maurizio Landolfi sui votivi del santuario di Zeus Megistos e di Antonella Romualdi sui materiali del santuario di Demetra e Kore, ai contesti abitativi con la presentazione delle fasi di vita e dell’apparato musivo e pittorico della domus dei mosaici da parte di Simonetta Angiolillo e Marco Giuman, e all’ambito funerario, con le relazioni di Olivier Henry sulle tombe a camera, di Daniela Baldoni sui costumi funerari di età ellenistica e con la revisione degli interventi di anastilosi del monumento funerario noto come Balık Pazarı di Roberto Parapetti. Le attività sono riprese nel pomeriggio con i risultati delle ricerche topografiche di Alessandro Viscogliosi nel settore urbano del cosiddetto castello dell’istmo e con il contributo di Nicolò Masturzo che ha illustrato il lavoro di aggiornamento e sistemazione della topo- 48 3. Marcello Spanu, Fede Berti e Gabriella Fortunato, direttrice dell'Istituto Italiano di Cultura di Istanbul grafia urbana partendo da un’accurata revisione delle notizie e degli studi antiquari. Le indagini nel territorio di Iasos sono state oggetto degli interventi di Raffaella Pierobon Benoit e di Lucia Cianciulli, rispettivamente dedicati alla ricostruzione delle attività produttive a partire dai dati emersi nel corso delle ricognizioni di superficie e alla particolare tipologia edilizia dei cosiddetti edifici lelegi. La sessione conclusiva del convegno, tenutasi nel pomeriggio del 28 febbraio, ha ospitato i lavori degli studiosi turchi. Abdulkadir Baran ha presentato una rivisitazione della diffusione del fregio ionico nell’architettura greca. Abuzer Kizil ha illustrato le recenti indagini e scoperte a Milas e nel suo territorio, tra cui spicca il ritrovamento nel centro della città della camera sepolcrale di un monumento funerario reale che contiene un prestigioso sarcofago con scena di caccia. Un quadro storico delle città-stato della Caria tra la battaglia di Ipsos e quella di Magnesia è stato proposto da Mustafa Sayar. La vivace e partecipata discussione che ha chiuso le attività del convegno è stata la conferma di come questo incontro di studi abbia rappresentato una preziosa occasione per ripercorrere alcuni dei principali filoni di ricerca che hanno interessato l’attività della Missione, oltre a costituire uno stimolante momento di confronto che ha evidenziato tutte le potenzialità del futuro prosieguo delle indagini e degli studi. Sotto questi auspici si è posto il discorso conclusivo di Fede Berti, a cui sono andati i più calorosi ringraziamenti per l’attività svolta con passione e dedizioni in questi anni, lavoro che avrà senza dubbio modo di continuare al fianco del nuovo direttore Marcello Spanu, che si accinge a prendere in mano il testimone di questa significativa esperienza per l’archeologia italiana in Turchia. 4. La discussione a conclusione dei lavori 49 Ricordo di Giovanni Pugliese Carratelli, amico di Iasos di Gianfranco Maddoli 1. Giovanni Pugliese Carratelli I l 12 febbraio 2010 si è conclusa la lunga esistenza di Giovanni Pugliese Carratelli, uno degli intellettuali più significativi del Novecento non solo per lo studio del mondo antico, dove ha lasciato una traccia fondamentale e una viva eredità, ma per la cultura in genere e per il rapporto di questa con l’impegno civile e politico. Nato (nel 1911) e formatosi nella Napoli del primo dopoguerra a contatto con il vivace ambiente della città partenopea, fu discepolo e amico di Adolfo Omodeo e di Benedetto Croce, che egli riconobbe fino all’ultimo come i suoi grandi maestri. Fin da ragazzo si accostò allo studio delle civiltà antiche, a cominciare da quelle orientali studiando il sanscrito e approfondendo in particolare il Buddismo; ma il primo decisivo orientamento verso la civiltà greca gli venne dalle eccezionali scoperte archeologiche di Creta, dove agli inizi del secolo, a seguito degli scavi di Schliemann nel Peloponneso e a Troia, si stava concentrando l’attenzione degli studiosi europei, tra cui l’italiano Federico Halbherr al quale Pugliese si rivolse, da studente di lettere classiche, ottenendone preziosi suggerimenti per approfondire la civiltà egea. Da lì nacque il crescente interesse per il mondo mediterraneo antico nella sua più vasta dimensione, che per un verso lo vide presente alcuni anni dopo a Creta e lo portò a studiare le epigrafi in Lineare A e B, ma che per un altro lo spinse a interessarsi sempre più anche alle culture limitrofe, sia quelle della Magna Grecia e della Sicilia dietro l’insegnamento di Paolo Orsi, Biagio Pace ed Emanuele Ciaceri, sia quelle del Vicino Oriente anatolico a cominciare dalla presenza ellenica sulle coste orientali e meridionali ma anche approfondendo la civiltà degli Ittiti e i suoi esiti. È da ricordare, in questa direzione, che dal magistero universitario di Pugliese Carratelli sono nati insigni orientalisti, così come da una sua iniziativa prese vita l’Istituto per gli Studi Micenei ed Egeo-Anatolici del CNR. 2. Giovanni Pugliese Carratelli nel suo studio a Roma 50 Fu da questi interessi che si alimentò l’amicizia e la collaborazione con Doro Levi, per anni Direttore della Scuola Archeologica Italiana di Atene, ed è in questo sodalizio che va ravvisata l’origine dell’interesse di Pugliese per Iasos. Levi andò a Iasos agli inizi degli anni ‘60 per cercare tracce della presenza minoica sulla costa anatolica, adombrata nel celebre passo tucidideo sulla talassocrazia, e allora ebbe inizio l’esplorazione progressiva del sito. Dalla città greca in terra caria presto cominciarono a emergere iscrizioni alfabetiche di età classica ed ellenistica, e fu appunto a Pugliese Carratelli che Levi si rivolse per il loro studio e la loro pubblicazione. Pugliese non fu mai presente a Iasos e mai vide personalmente le pietre, ma tanta era la sua esperienza e la sua competenza che di esse seppe dare sempre dalle sole fotografie edizioni magistrali, periodicamente pubblicate nell’Annuario della Scuola di Atene. A noi che gli siamo succeduti nel compito, per suo esplicito desiderio e incarico, non è mai venuta meno la meraviglia per la sua capacità di leggere e intendere testi che anche alla visione autoptica appaiono oggi in alcuni casi difficili da decrittare; ma ancora ricordo con chiarezza quanto Egli mi disse un giorno a proposito di questi problemi, vale a dire che prima ancora di sforzarsi su una labile traccia occorre intuire quello che l’antico intendeva scrivere e solo poi cercarne conferma. Naturalmente questo presuppone una conoscenza vasta del lessico, delle tipologie, dello stile delle iscrizioni a seconda dell’epoca e del contesto: e tutto questo Pugliese Carratelli dominava da vero maestro. Fu nel 1992 -allora esisteva un Consiglio Scientifico della Missione voluto da Levi- che Pugliese mi affidò il compito di continuare la pubblicazione delle epigrafi di Iasos; venni a Iasos per la prima volta via mare, da Cos a Bodrum, accolto dall’allora direttrice Clelia Laviosa. Fu l’inizio di una presenza annuale quasi costante, allargata ad alcuni miei più giovani collaboratori, continuata fino ad oggi grazie alla disponibilità della direttrice Fede Berti. Un’esperienza scientifica e insieme umana che mi ha molto arricchito, che ha consentito la formazione di altri epigrafisti oggi particolarmente esperti e accreditati, in particolare Massimo Nafissi e Roberta Fabiani, con i quali abbiamo schedato e revisionato il vasto materiale edito e soprattutto inedito. Ne sono nate ricerche specifiche, nuove edizioni e riedizioni, progetti di collaborazione internazionale: tutto questo è frutto di un’eredità viva, dell’insegnamento di un Maestro che continua e continuerà a essere guida e modello. 3. Giovanni Pugliese Carratelli a Creta nel 1937 3. Giovanni Pugliese Carratelli con Gianfranco Maddoli 51 N O T I Z I A R I O a cura di Daniela Baldoni Attività dall’Associazione L’Associazione “Iasos di Caria” ha lo scopo di patrocinare le attività di scavo, di restauro e di pubblicazione dei ritrovamenti effettuati nel centro cario dalla Missione Archeologica Italiana, nonché di promuovere ogni iniziativa atta alla loro divulgazione. Secondo quanto stabilito dallo Statuto, i contributi finanziari ricevuti nel corso dell’anno sono stati in gran parte destinati alla campagna 2010 della Missione Archeologica, dal momento che le quote sociali versate hanno coperto interamente le spese per la gestione e per le attività dell’Associazione. Il Bollettino dell’Associazione Iasos di Caria La diffusione del “Bollettino dell’Associazione Iasos di Caria” costituisce un valido strumento tanto per l’informazione sulle attività svolte dall’Associazione, quanto per la divulgazione delle notizie relative ai lavori effettuati dalla Missione Archeologica Italiana. Esso viene inviato, con scadenza annuale, ai soci e a tutti coloro (Enti, Istituti, Associazioni, Soprintendenze, Musei, Università, Biblioteche, studiosi) che si ritengono interessati agli argomenti trattati. Vi saremmo grati se voleste contribuire all’iniziativa comunicandoci suggerimenti e proposte in merito ai contenuti del fascicolo. Saremo inoltre lieti di poter ospitare vostri eventuali contributi, redatti secondo le modalità che potremo indicarvi se vorrete mettervi in contatto con noi presso la sede dell’Associazione o all’indirizzo e-mail [email protected] iii Vita della Missione 1. Mustafa Akaslan � Rappresentante del Governo di Turchia presso la Missione Archeologica Italiana di Iasos è stato, nel 2010, il dottor Mustafa Akaslan, archeologo presso il Museo di Isparta. Lo ringraziamo per la pazienza, la disponibilità e la competenza con cui ha seguito assiduamente i nostri lavori. Gli siamo grati, inoltre, per il prezioso aiuto che, con discrezione e cortesia, ci ha offerto quotidianamente, contribuendo alla risoluzione dei problemi che abbiamo dovuto di giorno in giorno affrontare nel corso del periodo trascorso insieme. Ci auguriamo che la nostra compagnia gli sia stata altrettanto gradita. 52 N O T I Z I A R I O Convegni e conferenze � Il 29 gennaio 2010, presso il Centro Studi Giuseppe Guadagnini di Castel San Pietro Terme (Bologna), Fede Berti, direttrice della Missione Archeologica Italiana di Iasos, ha presentato una relazione dal titolo Ricerche a Iasos. 50 anni di scavi archeologici italiani in Turchia. � Il 22 maggio 2010, si è tenuto a Istanbul un incontro promosso dal Con- solato Generale d’Italia e dall’Istituto Italiano di Cultura sul tema: Contributo italiano a scavi, ricerche e studi nelle missioni archeologiche in Turchia. Tra gli interventi, si segnalano quelli di Fede Berti (Novità e prospettive di ricerca per Iasos) e di Raffaella Pierobon Benoit (Archeologia e territorio: le ricognizioni nel golfo di Mandalya). � Dal 24 al 28 maggio 2010 si è svolto a Istanbul il 32.Uluslararası Kazı, Arştırma ve Arkeometri Semposyumu, Convegno annuale sugli scavi, le ricognizioni topografiche e l’archeometria in Turchia, promosso dal T.C. Kültür ve Turizm Bakanlığı - Kültür Varlıkları ve Müzeler Genel Müdürlüğü, con il patrocinio dell’Agenzia Istanbul 2010 Capitale Europea della Cultura. Fede Berti ha illustrato i lavori della campagna di scavo del 2009 a Iasos (Iasos: excavations 2009), Raffaella Pierobon Benoit ha presentato i risultati delle ricognizioni della Missione Archeologica nel Golfo di Mandalya (Mandalya Gulf: survey 2009). 2. “32.Uluslararası Kazı, Arștırma ve Arkeometri Semposyumu” � Il 4 agosto 2010 si è tenuto a Muğla l’incontro annuale sul tema: Muğla Arkeolojik Kazı ve Yüzey Araștırmaları Toplantısı, promosso dal T.C. Muğla Valiliği - İl Kültür ve Turizm Müdürlüğü allo scopo di tracciare un quadro aggiornato degli scavi e delle ricognizioni in corso nella regione. Fede Berti ha presentato i lavori della Missione di scavo a Iasos nel 2009 (Iasos 2009 excavations campaign). Raffaella Pierobon Benoit, nella sua relazione sui risultati della ricognizione nel Golfo di Mandalya, da poco terminata, ha posto l'accento sugli interventi edilizi, illegali o incontrollati, e sugli scavi clandestini recenti individuati in molte zone del territorio esplorato (Mandalya Gulf survey 2010). � Nei giorni 27 e 28 agosto 2010 si è svolto a Milas il terzo convegno sul tema: Karia, Karialılar ve Mylasa, organizzato da Olcay Akdeniz. Vi hanno partecipato studiosi stranieri (W. Blümel, M. Errington, L. Karlsson, F. Rumscheid) e turchi (A. Diler, S. Günel, M. Sayar, M. Şahin, B. Söğüt, A. Tirpan, E. Varinlioğlu), che hanno presentato i risultati delle loro ricerche in Caria. La prima giornata dell'incontro, in gran parte dedicata al cinquantenario della Missione Archeologica Italiana, è stata aperta da Fede Berti, che ha ricordato l'attività svolta dalla Missione a Iasos, è proseguita con l’intervento di Alessandro Viscogliosi sui recenti lavori condotti nel Castello dell'istmo e si è conclusa con la visita dei partecipanti agli scavi di Iasos, seguita da un rinfresco e da un applauditissimo concerto tenuto da Tolga Çandar ed Eda Kırgız nell’antico bouleuterion della città. 3. “Karia, Karialılar ve Mylasa” 53 N O T I Z I A R I O � Dal 13 al 17 settembre 2010 si è svolto a Selçuk l’XI. Internationales Kolloquium dell'AIPMA (Association Internationale pour la Peinture Murale Antique), dal titolo Antike Malerei zwischen Lokalstil und Zeitstil ? Simonetta Angiolillo e Marco Giuman hanno presentato una relazione sugli affreschi della “Casa dei Mosaici” (The wall paintings at the “House of Mosaics” in Iasos. � L'11 novembre 2010, presso la sede del FAI di Bologna, Fede Berti ha tenuto una conferenza sul tema: L'archeologia italiana in una città costiera dell'Asia Minore. 4. Tolga Çandar con Eda Kırgız a Iasos � Il 26 novembre 2010, su invito dell'Associazione culturale ARTECENTO (Cento - Ferrara), Fede Berti ha tenuto una conferenza dal titolo: Iasos. Scavi archeologici e ricerche storiche nell'antica città della Turchia. Mostra � Il 6 dicembre 2010, nel quadro delle iniziative per celebrare il cinquantesimo anniversario delle attività della Missione Italiana di Iasos, si è inaugurata a Istanbul, nei giardini dei Musei Archeologici, la mostra Marmi erranti. I marmi di Iasos presso i Musei Archeologici di Istanbul / Gezgin Tașlar. Istanbul Arkeoloji Müzeleri’ndeki Iasos Mermeleri / Wandering Marbles. Marbles of Iasos at the Istanbul Archaeological Museums, che rimarrà aperta fino al 4 luglio 2011. La manifestazione si è svolta sotto l'egida dell’Agenzia Istanbul 2010 Capitale Europea della Cultura. 6. Il concerto nel bouleuterion a Iasos 54 N O T I Z I A R I O 6. Alcuni dei curatori della mostra di Istanbul: da sin. G. Maddoli, R. Pierobon, F. Berti, Z. Kızıltan, M. Nafissi, R. Fabiani IN RETE Il sito web dell’Associazione “Iasos di Caria” è visitabile all’indirizzo: www.associazioneiasosdicaria.org Il sito fornisce informazioni sulle finalità e sulle attività dell’Associazione, nonché sulla storia degli scavi condotti a Iasos dalla Missione Archeologica Italiana a partire dal 1960. Una serie di immagini dei singoli monumenti consente, inoltre, la visita virtuale della città antica. La lettura degli indici di tutti i numeri del Bollettino costituisce, infine, un utile strumento per la ricerca dei diversi articoli pubblicati sulla rivista. Nel Notiziario del Portale Numismatico dello Stato: http://www.numismaticadellostato.it Fede Berti dà notizia del rinvenimento avvenuto a Iasos, nel corso della campagna di scavi del 2007, di un gruzzolo costituito per lo più da antoniniani, databile al III sec. d.C. Le 15 monete sono state raccolte sul piano di calpestio di un ambiente, situato lungo la stoa orientale dell’agora, e più precisamente a ridosso della parete meridionale della stanza. Esse forniscono una testimonianza estremamente utile per la ricostruzione della circolazione monetaria nel centro cario, che si aggiunge alla scoperta avvenuta nel 1969, sempre nell’agora, di un ‘tesoretto’ della stessa epoca. Si trattava allora di un ripostiglio composto da 2997 antoniniani e 11 denari d’argento, nascosto probabilmente alla vigilia di un’incursione degli Eruli, nella seconda metà del III secolo. A quella scoperta e all’edizione del ‘tesoro’ è stato dedicato un intero volume del Bollettino di Numismatica, n. 40-43, pubblicato nel 2005. 55 14 Complesso della basilica presso la porta est 1 Acquedotto 2 Basilica a est del mausoleo romano 15 Teatro greco 3 Mausoleo romano (Balık Pazarı) 16 Quartiere a sud del teatro 4 Tomba ellenistica 17 Cinta di età geometrica e terrazze sotto l’acropoli 5 Tombe a camera ellenistico-romane 18 Basilica dell’acropoli 6 Agora 7 Saggio all’interno dell’agora 19 Castello medievale 8 Bouleuterion 20 Tempio sull’acropoli 21 Villa dei mosaici 9 Complesso di Artemis Astias 10 Tempietto in antis 22 Complesso del propileo sud 11 Caesareum 23 Santuario di Demeter e Kore 12 Porta est 24 Torre del porto 13 Santuario di Zeus Megistos 25 Tomba ellenistica 56