GIAN LORENZO BERNINI LE OPERE PER SCIPIONE BORGHESE
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GIAN LORENZO BERNINI LE OPERE PER SCIPIONE BORGHESE
GIAN LORENZO BERNINI LE OPERE PER SCIPIONE BORGHESE: Scipione Borghese, nipote del papa Paolo V e grande collezionista di antichità, tra il 1618 e il 1625 commissionò al giovane Bernini alcuni gruppi statuari (Enea, Anchise e Ascanio, Ratto di Proserpina, Apollo e Dafne, David) destinati alle sale della propria villa suburbana. Essi rappresentano l’incarico più importante dell’inizio dell’attività di Bernini poiché erano destinati ad integrare la collezione di statue antiche possedute dal cardinale; uno dei dibattiti più graditi agli intellettuali del tempo era, infatti, quello della superiorità degli antichi o dei moderni. Nelle sue opere Bernini seppe dare pienamente espressione a una nuova concezione della scultura caratterizzata dal forte dinamismo delle forme, colte nell’istante del movimento, e dalla spettacolarità teatrale delle pose. DAVID,1623-1624, MARMO, H 170 CM, ROMA, GALLERIA BORGHESE Bernini sceglie di rappresentare il momento di massima tensione dell’episodio biblico. L’energia fisica ed emotiva dell’azione si traduce in una struttura spiraliforme di grande dinamismo. David appare carico di energia e pronto a irrompere nello spazio dello spettatore in una posizione fortemente dinamica, creata dal preciso contrapposto tra il busto e le gambe. Colta nell’istante che precede l’azione, la statua è come sospesa in un momento transitorio che si rivela solo osservandola da un punto di vista unico e frontale, quello per cui Bernini l’aveva concepita collocandola contro una parete dalla quale doveva emergere osservando minacciosamente il proprio riguardante, che veniva a coincidere con Golia, in una aggressiva visione soggettiva. APOLLO E DAFNE, 1622-1625, MARMO, H 243 CM, ROMA, GALLERIA BORGHESE Il mito narra il tentativo di violenza di Apollo verso la ninfa Dafne che, invocando la protezione degli dei sulla propria purezza, viene trasformata in alloro, albero sempreverde che non dà frutti. L’antico mito, metafora del desiderio di possesso inappagato, si trasformò in un’allegoria moraleggiante grazie ai versi in latino che Maffeo Barberini compose per il basamento del gruppo, che sottolineano la vanità del desiderio e l’amarezza che segue al piacere dei sensi. Bernini fissò nel marmo il momento culminante della narrazione, cristallizzando l’istante in cui avviene la metamorfosi e ponendo i protagonisti su un terreno impennato verso il cielo, con un movimento che accompagna quello delle figure. Bernini, inoltre, ricorse a una compressione spaziale tendente al cerchio, dunque all’avvitamento che le figure compiono su se stesse per avere la spinta a librarsi verso l’alto. Con raffinata indagine psicologia Bernini dipinge sui volti dei protagonisti i contrastanti sentimenti che li animano: dalla stupefatta delusione di Apollo alla sconvolta consapevolezza di Dafne. Ciò provoca l’empatia dell’osservatore, l’immedesimazione nel dramma che si svolge in sua presenza, davanti a quei personaggi di marmo che appaiono veri, di carne e d’ossa, di capelli e di rami, come per una miracolosa trasformazione della materia lapidea. Una finzione che appare verità e provoca un vero sentire. Con straordinaria abilità, Bernini riesce a conferire al marmo una trasparenza simile all’alabastro. Piazza e colonnato di San Pietro: Chiamato da papa Alessandro VII a sistemare la piazza antistante San Pietro, Bernini propose una soluzione strettamente legata alla funzione liturgica del luogo: accogliere i fedeli convenuti per ricevere la benedizione papale e valorizzare il cuore simbolico della basilica, la Loggia delle Benedizioni che si apre nella facciata in posizione centrale sopra l’ingresso, rendendola ben visibile a tutti i fedeli. Quello di Bernini è un vero e proprio intervento urbanistico a scala cittadina. Egli antepone alla facciata due spazi in stretta continuità tra loro: una piazza più esterna, di forma ellittica, e un sagrato trapezoidale, delimitato da due corpi di fabbrica divergenti, sul quale affaccia la basilica. In questo modo la percezione delle distanze si attenua e la facciata sembra più vicina, quasi direttamente affacciata sulla piazza. 1 La piazza è delimitata da due porticati che constano di 284 colonne e di 88 pilastri di ordine tuscanico, coronati da uno spesso architrave sormontato da cornice marmorea. La copertura è a capanna, come nei templi classici, ma in prossimità della gronda si erge una massiccia balaustra sulla quale sono collocate 162 gigantesche statue di santi. Il colonnato, che un tempo aveva anche la funzione di accogliere le carrozze dei pellegrini, doveva rappresentare simbolicamente l’abbraccio materno della Chiesa ai fedeli. I due rami curvi del colonnato fanno pensare in modo abbastanza evidente a una sorta di grande abbraccio simbolico, e al fedele che attraversa la piazza in direzione della basilica si offrono visioni prospettiche sempre diverse. Nel progetto originario la piazza era chiusa mediante un terzo braccio di colonnato, che però non fu mai realizzato. Negli intenti di Bernini tale elemento concludeva geometricamente il disegno dell’ellissi e consentiva l’accesso attraverso due varchi non in asse con la facciata stessa. In questo modo il visitatore avrebbe scoperto con progressivo stupore l’immensità della basilica e la varietà degli elementi architettonici e scultorei circostanti. La Cappella Cornaro (1647-1652 marmi policromi, stucco e bronzo, Roma, Chiesa di Santa Maria della Vittoria) fornisce a Bernini un’ulteriore occasione per realizzare quell’unità delle arti che stava alla base della sua concezione estetica. L’opera è un trionfo di tecniche artistiche diverse e di materiali cromaticamente diversi: ne deriva un effetto di notevole impatto scenografico, nel quale la luce infonde alle diverse parti, architettoniche e scultoree, spiccate qualità pittoriche. Bernini presenta il momento dell’estasi di Santa Teresa d’Avila al centro di una grande ancona marmorea, come se si trovasse su una specie di palcoscenico. Il corpo della santa, in deliquio, è come abbandonato su una nuvola sospesa a mezz’aria. Mentre l’angelo si appresta a trafiggerle il cuore con una lancia dorata. I protagonisti dell’evento sacro sono inondati dai raggi di bronzo dorato che rappresentano la Grazia divina e da quelli della luce naturale proveniente dall’alto, da un’apertura nascosta. Su ciascuno dei lati della cappella si apre un palchetto dal quale i membri della famiglia Cornaro si affacciano per partecipare alla mistica esperienza che si svolge proprio sotto i loro occhi, al centro della cappella. I personaggi, resi da Bernini con un realismo che li rende veri e propri ritratti, sembrano dialogare tra di loro, invitando anche lo spettatore a sollevare lo sguardo in direzione della santa. 2 FRANCESCO BORROMINI SAN CARLO ALLE QUATTRO FONTANE Nel 1634 i Padri Trinitari Scalzi affidano a Borromini la sua prima grande commissione autonoma: la ricostruzione della chiesa e del convento della sede romana del proprio ordine. Si tratta di un progetto difficile, poiché lo spazio a disposizione è piuttosto angusto, trattandosi di una piccola area su crocevia detto “delle Quattro fontane”. Il progetto di Borromini si realizza in tre momenti successivi: inizialmente sono ricostruiti il refettorio, il dormitorio e il chiostro (1634-1638), poi la chiesa dedicata a San Carlo Borromeo (1638-1641), infine la facciata (a partire dal 1665). Il complesso è caratterizzato da un’organica e innovativa concezione dello spazio fondata sulla ricerca di un ritmo dinamico che leghi tra loro i singoli elementi architettonici. La chiesa presenta pianta ellittica, con l’asse maggiore nel senso della lunghezza per creare un effetto di contrazione. L’andamento curvilineo delle pareti è sottolineato da gruppi di quattro colonne, legate da una trabeazione continua che rimarca le dimensioni ridotte dello spazio, concluso da una cupola ellittica. L’effetto ottenuto da Borromini è quello di uno spazio unitario che suggerisce un’alternanza di contrazione ed espansione degli elementi architettonici. La cupola è decorata con motivo a cassettoni, costituito da esagoni, ottagoni e croci fusi mirabilmente tra loro, e raccordata alle pareti da un sistema di catini e pennacchi. L’alto e stretto prospetto, concepito come un reliquiario e collocato in un angolo della strada, nasconde completamente il corpo della chiesa, spiccando, invece che raccordandosi, sulla parete della strada. La facciata è suddivisa in due ordini da un aggettante cornicione marcapiano. L’ordine inferiore presenta due sezioni concave ai lati e una convessa al centro; l’ordine superiore, tre sezioni concave. Semicolonne binate scandiscono verticalmente la facciata, sottolineando il frazionamento del piano in parti concave e convesse. Statue di santi e angeli, un medaglione ovale e motivi decorativi fitomorfi costituiscono la ricca e fitta ornamentazione che contribuisce rendere maggiormente mossa l’intera facciata. 3
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