Il giardino come scena architettonica: le sette città di Tomaso Buzzi
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Il giardino come scena architettonica: le sette città di Tomaso Buzzi
Il giardino come scena architettonica: le sette città di Tomaso Buzzi di Camilla Bernstein «Poliphilo incomincia la sua hypnerotomachia ad descrivere et lhora et il tempo, quando gli apparve in somno di ritrovarsi in una quieta e silente piagia, diculto diserta. Dindi poscia disavveduto, con grande timore intro in una invia et opaca silva.»1 Queste parole sono l’incipit del poema rinascimentale Hypnerotomachia Poliphili, il racconto di un sogno, che è in realtà un viaggio, un percorso architettonico.2 Un viaggio per sette città, sette scenografie come quelle immaginate e progettate dall’architetto Tomaso Buzzi, che prendono forma nel parco della Scarzuola, rievocando il sogno di una città ideale. È all’interno di questo giardino che l’immaginario di Buzzi trova la piena libertà per esprimersi, rievocare immagini e suggestioni raccolte durante la sua lunga carriera in taccuini e disegni, creando attraverso il linguaggio del teatro quella che l’architetto definirà la sua “autobiografia di pietra”. Il concetto stesso di “città ideale” – approfondito nell’omonima mostra attualmente allestita ad Urbino –3 porta in sé elementi come il sogno, l’utopia, l’astrazione, il disegno, ed è proprio su questi si fonda il progetto della “città teatrale” di Tomaso Buzzi. Il luogo, a lungo cercato per dare vita al proprio universo di architettura, cultura e arte viene scoperto e acquistato nel 1957 da Buzzi tra le colline del paesaggio umbro, nella frazione di Montegiove (Montegubbione, Terni). La proprietà della Scarzuola ospitava i resti della chiesa e del convento, fondato nel XIII sec. nel luogo in cui si narra che San Francesco costruì una capanna di “scarza” (una pianta palustre presente nella zona) in cui sgorgò miracolosamente una fonte d’acqua. Da questo momento in avanti l’architetto milanese si ritirerà in tale luogo carico di valenze mistiche e religiose, dedicandosi quasi vent’anni del suo lavoro al recupero del parco e del convento e alla costruzione della sua “città”, una sequenza continua di spazi, immagini e allegorie. «... alla Scarzuola – afferma lo stesso Buzzi –, quando qualcuno mi osserva che la parte nuova, creata da me, non è francescana, io rispondo: naturalmente, perchè rappresenta il Mondo in generale e in particolare il mio Mondo, quello in cui ho avuto la sorte di vivere e lavorare, dell'Arte, della Cultura, della Mondanità, dell'Eleganza, dei Piaceri (anche dei Vizi, della Ricchezza, e dei Poteri ecc.) in cui però ho fatto posto per le oasi di raccoglimento, di studio, di lavoro, di musica e di silenzio, di Grandezze e Miseria, di vita sociale e di vita eremitica, di contemplazione in solitudine, regno della Fantasia, delle Favole, dei Miti, Echi e Riflessi fuori dal tempo e dallo spazio perchè ognuno ci può trovare echi di molto passato e note dell'avvenire…»4. Da queste parole emerge la volontà di Buzzi di realizzare un’oasi di cultura e silenzio in cui ritirarsi e, allo stesso tempo, un luogo pubblico, un teatro, metafora della vita di ciascuno, che sembra pensato per stupire e incantare gli spettatori [Fig. 1]. Questa dualità non può che trovare la sua essenza all’interno di un giardino, luogo che da sempre porta in sé il concetto di doppio, in quanto esso è al contempo un qualcosa di intimo e collettivo, di ambiguo, dove le società hanno articolato natura e cultura, progetto e diletto, lavoro e godimento:5 «Tutto il bizzarro dell’uomo e ciò che in lui c’è di vagabondo e di smarrito senza dubbio – scrive Luois Argon – potrebbe essere contenuto in queste sillabe, giardino.»6 I giardini scenografici, barocchi e settecenteschi, le loro architetture maestose, segnate dallo scorrere del tempo, reinterpretati e ricomposti come un insieme di folies disseminate nel parco, sono il riferimento immediato per chi visita la Scarzuola [Fig. 2]. Le sorprendenti scenografie, di cui oggi possiamo ammirare le rovine, realizzate nel progetto di illustri giardini storici – come villa d’Este a Tivoli o il parco di Bomarzo – sono pensate per confondere le idee, sopraffare emotivamente, coinvolgere in un mondo onirico, assurdo, ludico e edonistico,7 e raggiungono quindi l’atmosfera a cui la Scarzuola aspirava. La rovina – che rappresenta la metamorfosi del giardino in pietra – gioca di fatto un ruolo fondamentale nel pensiero e nel progetto di Buzzi: essa aggiunge alla natura qualcosa che non appartiene più alla storia ma che resta “temporale”, che non riproduce integralmente alcun passato ma allude intellettualmente a una molteplicità di passati.8 L’architetto milanese crea dunque, attraverso il linguaggio della rovina e del suo essere senza tempo, ne caratterizza l’immagine come elemento del sito naturale, la sua città di pietra: «I Palazzi – sempre per citare le autoriali parole del Buzzi – cambiano proprietà, vengono modificati o distrutti, le collezioni disperse, dilapidate. Solo le rovine rimangono: come villa Adriana, villa d’Este, Bomarzo o le abbazie come San Galgano in Italia… »9 Nel disegno dello spazio l’architettura e la rovina diventano, quindi, il mezzo per creare lo spettacolo, per incantare e indirizzare lo sguardo del visitatore, creando le scenografie e le viste successive del paesaggio circostante e del giardino stesso [Fig. 3]. Quest’ultimo rappresenta viene concepito come il luogo del sogno e dell’illusione ma anche il luogo in cui quanto immaginato può trovare la sua effettiva realizzazione.10 La dimensione onirica accompagna strettamente quella del viaggio nella città della Scarzuola. È lo stesso architetto a rivelare lo stretto legame che unisce questo giardino all’opera Hypnerotomachia Poliphili, o Polifilo, capolavoro di xilografia e tipografia rinascimentale, primo libro della cultura occidentale dedicato all’arte dei giardini. Questo romanzo visionario – stampato a Venezia nel 1499 e redatto da un misterioso personaggio, Francesco Colonna – narra la storia di Polifilo e del suo sogno, un viaggio attraverso paesi, architetture e giardini. Uno dei luoghi più interessanti che il protagonista incontra durante il suo percorso è appunto un giardino, in cui trovano posto architetture fantastiche immerse nella natura e che divenne, nel Rinascimento, l’ispirazione letteraria per molte opere disegnate a verde. Durante il percorso nel parco della Scarzuola possiamo ritrovare molti riferimenti alle architetture presenti in questo giardino di sogno (sepolcri, rovine, arene…) [Fig. 4]. La citazione più evidente è la barca di pietra che si trova nel lago della parte alta del sito naturale, che prende il nome proprio dal protagonista del viaggio onirico del romanzo, Polifilo.11 Il sogno a cui Tomaso Buzzi cerca di dare materia attraverso la consistenza solida della pietra, è quello di una città ideale che prescinda dalle dimensioni di tempo e spazio: l’artificio utilizzato è quello del teatro, da lui ritenuto «il vero modo, l’unico legittimo in architettura per inspirarsi, riprendere, riecheggiare forme del passato, modi di espressione, uso dei materiali, manierismi, etc… senza cadere nel pericolo delle ricostruzioni».12 È all’interno dell’universo teatrale che sono così legittimati i miti, le costruzioni fuori tempo, le false rovine, le città ideali, la sospensione del tempo. Lo stesso effetto è reso nei dipinti quattrocenteschi delle città ideali, che troviamo alla mostra di Urbino, grazie all’eliminazione della presenza umana, lasciando piazze e strade vuote, come si trattasse di quinte sceniche.13 Nel caso di Scarzuola è il fuori scala degli edifici a denunciare immediatamente l’appartenenza a un mondo, uno spazio, un tempo che non sono quelli della storia, della società e dell’architettura contemporanea, delle quali Tomaso Buzzi è stato partecipe e protagonista. Il linguaggio del teatro permette all’architetto di sottrarsi alla dimensione attuale e di creare un percorso a margine, un percorso nella storia – con la quale può dialogare in modo libero – e nel paesaggio, ulteriore scena che si offre allo spettatore. Possiamo leggere il progetto della Scarzuola esattamente nell’ottica di un percorso che ci conduce alla scoperta delle sette città, le sette scene in pietra, all’aperto e al chiuso, dell’Acropoli, della biblioteca, il labirinto e tutti gli altri elementi che costituiscono la macchina scenografica allestita da Buzzi. Le architetture presenti alla Scarzuola non devono essere lette però come un anacronistico tentativo di ricostruire un passato perduto, bensì come la rappresentazione dell’architetto del suo teatro del mondo, il palco di uno spettacolo di pietra. I volumi che creano la città di Buzzi, sono assemblati e montati come quinte e ingranaggi veri e propri [Fig. 5], che si confondono l’uno nell’altro e richiamano le immagini delle città in rovina, con la roccia lavorata a rustico di Piranesi,14 e contemporaneamente i modelli rinascimentali di Andrea Palladio e Vincenzo Scamozzi. L’architettura dei giardini delle ville venete e di Versailles, del teatro di Sabbioneta, i trattati di Sebastiano Serlio come di Ledoux, Ligorio e Juvarra si confrontano all’interno di questa città del teatro, quasi un catalogo di riferimenti alla storia dell’architettura:15 «Concezione classica a un tempo e romantica, pittorica e musicale, natura che è diventata architettura e scultura e letteratura e musica e pittura; architettura che ridiventa natura e la scultura, la pittura, la letteratura, la musica. Il sogno, l’idea fatta pietra, e la pietra fatta idea. Il tempo, cioè la mia vita, s’è fatto pietra, costruzione, e le costruzioni si disperderanno nel Tempo …».16 IMMAGINI 1. La Scarzuola, la città teatro e l'Acropoli 2. La Scarzuola, la porta di Giona 3. La Scarzuola, la città teatro e la camera dell'occhio 4. La Scarzuola, vista del parco 5. La Scarzuola, la città teatro 1 Francesco Colonna, Hypnerotomachia Poliphil, Aldo Manuzio, Venezia, 1499, Incipit a I verso. 2 Per la visita al complesso della Scarzuola si rimanda a http://www.scarzuola.net 3 Alessandro Marchi e Maria Rosaria Valazzi (a cura di), La città ideale, l’utopia del Rinascimento a Urbino tra Piero della Francesca e Raffaello (catalogo della mostra, Urbino, Galleria Nazionale delle Marche, 6 Aprile - 8 Luglio 2012), Electa, Milano 2012. 4 Enrico Fenzi (a cura di), Tomaso Buzzi, lettere pensieri appunti 1973- 1979, Silvana Editoriale, Milano, 2000, p. 71. 5 Monique Mosser, Georges Teyssot, “L’architettura del giardino e l’architettura nel giardino”, in Monique Mosser, Georges Teyssot, L'architettura dei giardini d'Occidente, Electa, Milano, 1990. 6 Louis Aragon, Il paesano di Parigi, Il saggiatore, Milano, 1996. 7 Bruno Zevi, Controstoria dell’architettura in Italia Barocco Illuminismo, Newton Compon, Roma, 1995. 8 Per affrofondimenti sul concetto di “rovina” cfr. Marc Augè, Rovine e macerie. Il senso del tempo, Bollati Boringhieri, Torino, 2004. 9 Enrico Fenzi (a cura di), Tomaso Buzzi, lettere pensieri appunti 1973- 1979, Silvana Editoriale, Milano, 2000, p. 89. 10 Marianne Roland Michel, “Scenografia e prospettiva nei giardini francesi del Settecento”, in Monique Mosser, Georges Teyssot, L'architettura dei giardini d'Occidente, Electa, Milano, 1990. 11 Enrico Fenzi, “La Cultura di un architetto”, in Alberto Giorgio Cassani (a cura di), Il principe degli architetti 1900-1981, Electa, Milano, 2008. 12 Enrico Fenzi (a cura di), Tomaso Buzzi, lettere pensieri appunti 1973- 1979, Silvana Editoriale, Milano, 2000. 13 Luigi Spinelli, “Dai disegni di Tomaso Buzzi. La cultura e l’eclettismo, il distacco e l’ironia, le trascrizioni degli antichi, la mondanità e la malinconia”, in Domus, n 945, marzo 2011, pp.56-64. 14 Alessandro Mazza, Architettura e Cerimonia, in Alberto Giorgio Cassani (a cura di), Il principe degli architetti 1900-1981, Electa, Milano, 2008. 15 Alberto Giorgio Cassani, “Antichi maestri, anime affini”, in Alberto Giorgio Cassani (a cura di), Il principe degli architetti 1900-1981, Electa, Milano, 2008. 16 Enrico Fenzi (a cura di), Tomaso Buzzi, lettere pensieri appunti 1973- 1979, Silvana Editoriale, Milano, 2000, p. 89.
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