Tomaso Buzzi
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Tomaso Buzzi
su Tomaso Buzzi Tomaso Buzzi è insegnante severo, talvolta fino allʼescandescenza, come un comandante di cui si intuisca grandezza dʼanimo, ma che tratti sottoposti e graduati (allievi e assistenti) con cercato distacco. È persona graziosa che cammina a passi rapidi, come tutti quei piccoli di statura intelligenti che in famiglia ottengono predilezione, acquistando quella sicurezza che riescono a trasmettere con elettricità. Quando entra in aula gli allievi sono impauriti, perché ne subiscono il temperamento umorale. Ed egli non concede nulla per conquistare simpatia. Sprezzando spesso le loro prove e proponendosi autorevolmente ad esempio, acquista autorità e prestigio. Tomaso Buzzi Sondrio 1900 – Rapallo 1981 Infatti, a un certo punto, egli estrae dalla tasca due matite e, impugnate una a destra una a sinistra, dimostra come si possano disegnare contemporaneamente le due rampe di uno scalone barocco. Talvolta addirittura, per esibire straordinaria maestria, infilate le due mani nelle tasche dove tiene due carnet, schizza a un tempo due soggetti diversi, poi li estrae e li mostra tra stupore e smarrimento generale. In quanto proveniente da una famiglia da generazioni di architetti e ingegneri, pur avendo appena concluso il liceo classico, presumo di possedere certa attitudine al disegno. Al primo anno della Facoltà di Architettura, nel corso di “Disegno dal vero” il mercoledì pomeriggio, si devono riprendere a schizzo sedili finto-antichi, capitelli, busti marmorei e altri oggetti del genere. Buzzi passa tra i tavoli, osserva i lavori e, anche nel mio caso, scuote la testa come per dire: non cʼè niente da fare. Il giorno dopo lo stesso oggetto deve essere ripreso a linea pura e Buzzi, passando e osservando La Scarzuola, Montegabbione, Terni, 1958-1978 il mio disegno, sentenzia “questo non è un disegno, è un elettrocardiogramma”. Infatti mi trema la mano e, alla fine del corso, verrò bocciato. Eppure il suo straordinario disegnare è tuttʼaltro che accademico. Sto parlando quindi di un rapporto abbastanza difficile però, da parte mia, di curiosità per lʼuomo, confesso: non ancora per lʼarchitetto. Passano uno o due anni. Un certo giorno un ex-compagna di liceo di cognome Borletti, sapendoci studenti di architettura, ci incarica, con Massimo Vignelli, di allestire la sua festa di compleanno a casa dei genitori in via Fatebenefratelli. Appena entrati in quella casa, il nostro gusto di allora sbigottisce di fronte a un ambiente traboccante di bizzarra eccentricità. E scopriamo che ne è autore il nostro ex-professore. Pertanto, al centro del grande soggiorno, realizziamo una sorta di padiglione ortogonale in cartone ondulato coperto da festoni alternati di colore bianco, azzurro e rosa, usando le bobine ancora vergini del “Corriere della Sera”, della “Domenica del Corriere” e della “Gazzetta dello Sport”. In tal modo riusciamo a escludere dalla vista lʼarredamento circostante. Tra lʼaltro, cʼè una presenza particolarmente allarmante: sulla porta che dalla sala da pranzo immette nellʼoffice lʼintera figura di un cameriere dipinto a trompe lʼœil sorregge alcune vivande sul vassoio: una presenza che in seguito avrei trovato ricorrente, quasi una griffe, negli arredamenti di Buzzi pubblicati su riviste. Guido Canella, 2003 estratto da: Un “enfant terrible” tra gli architetti del Novecento milanese*, in Guido Canella, Architetti italiani nel Novecento, a cura di Enrico Bordogna con Enrico Prandi ed Elvio Manganaro, Christian Marinotti Edizioni, Milano 2010 * Registrazione corretta dellʼintervento al convegno “Un architetto e il suo luogo. Tomaso Buzzi, la Scarzuola e lʼidea delle ʻfollieʼ nel giardino europeo”, Facoltà di Architettura Civile del Politecnico di Milano, 30 ottobre 2003.
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