Seconda parte - Federazione Italiana Gioco Bridge
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Seconda parte - Federazione Italiana Gioco Bridge
TRE DOMANDE A DOMENICO CHIARO Niki di Fabio arliamo del Procuratore Federale, insomma la pubblica accusa. Vediamo di conoscerlo meglio. 48 anni, origini siciliane, sposato, tre figli, in magistratura del 1983, attualmente Procuratore della Repubblica a Bergamo, passata esperienza quale componente dell’ufficio indagini della FIGC dal 1989 al 1998, Sostituto Procuratore FIGB dal 1996 e titolare dell’Ufficio dal 2001. Gioca, naturalmente, a bridge e lo potete trovare facilmente a qualche campionato anche a Salso. P – Anche per te allora la prima domanda (si fa per dire) a piacere: cosa ritieni di dire a quanti partecipano ad una competizione di bridge e pur dicendo che per loro è solo un divertimento, manifestano a volte un tale eccesso di agonismo da rischiare l’infarto... «Credo che per queste persone sia inutile ogni tipo di consiglio o raccomandazione; si tratta per fortuna di una assoluta minoranza, perché in generale il mondo dei bridgisti è fatto da persone che amano troppo questo gioco per rischiare di subire squalifiche che gli impongano di stare lontano dai tavoli anche solo per qualche settimana. Per gli altri (quelli a cui mi riferivo prima), più che consigli e raccomandazioni, avrei da esprimere solo avvertimenti, perché, come alcuni recenti vicende hanno dimostrato, la Giustizia sportiva nel nostro ambito può colpire tutti e duramente, senza condizionamenti di sorta... ». – Vedo che fai riferimento a recenti vicende ed immagino che ti riferisci alle recenti e clamorose condanne in sede disciplinare che hanno riguardato anche atleti di rilievo internazionale; la fine del 2005 è stato un periodo di lavoro molto duro per la Giustizia sportiva, come ti senti ora che è ormai passata la burrasca? «Certo, non è stato facile approntare e portare a compimento i primi “maxiprocessi” della nostra Giustizia sportiva, ma tralasciando l’esame nel merito dei provvedimenti (le sentenze a cui mi riferisco sono ormai state pubblicate e 52 sono sotto gli occhi di tutti), colgo l’occasione per ringraziare quanti hanno reso possibile lavorare anche in questa occasione in assenza da ogni possibile condizionamento, così com’è giusto che sia nell’interesse dell’intero mondo brigistico. Questa serenità ha consentito peraltro ai nostri organi giudicanti – cui va il mio plauso e la mia ammirazione – di valutare con il massimo scrupolo ed attenzione ogni singola posizione, con risultati che pure in qualche caso non sono stati coincidenti con le mie richieste, a conferma che non vi è stato alcun “appiattimento”. A questo punto, credo che il messaggio dovrebbe essere forte e chiaro: nessuno è intoccabile e gli aspiranti “furbetti” sono avvertiti... – A proposito di “aspiranti furbetti”, forse non tutti avranno notato che in alcune recenti sentenze sono stati ribaditi alcuni importanti principi a proposito di chi ha l’abitudine di utilizzare “segnali morse”. Possiamo dire qual- cosa a riguardo? «Sì, effettivamente, già prima della ormai nota sentenza relativa ai fatti di Genova e Bordighera in qualche altra sentenza era stato affermato il principio dell’assoluta validità della prova cosiddetta logica (cioè per indizi) nel giudizio disciplinare e su questa base si era arrivati in quei casi alla condanna per illecito sportivo di tesserati che avevano fatto ricorso a segnalazioni illecite nel corso del gioco, pur in assenza di un accertamento riguardo ai possibili codici di segnalazione. Questo principio è poi stato affermato più volte ed oggi deve dunque considerarsi ormai acquisito dalla nostra Giustizia sportiva, di tal modo che tutte le volte che ragionevolmente posso dedursi il ricorso a segnalazioni illecite (sia per numero di mani “inquisite” e sia per lo spessore tecnico dei giocatori coinvolti), sarà possibile affermare la sussistenza dell’illecito sportivo, anche quando rimangano ignoti i segnali di “orientamento”... Ma attenzione, questo non significa che ogni mano sospetta darà luogo ad un processo disciplinare: l’accertamento di un illecito sportivo a mezzo di prova indiziaria rimarrà un fatto eccezionale e giustificato da un rigoroso procedimento logico di deduzione che potrà fondarsi, come ho detto, solo sul significativo livello tecnico del giocatore (che impedisca di ritenere ragionevole l’errore o la giocata causale) o su una rilevante quantità di segnalazioni di mani sospette». – A proposito di segnalazioni di mani sospette, molti tesserati non comprendono bene quale sia a volte il destino di queste ultime. Vogliamo dare qualche chiarimento a riguardo? «Nel nostro ordinamento federale è ancora previsto un archivio segnalazioni nel quale dovrebbero pervenire tutte quelle notizie relative a giocate o licite sospette, che non si ritengano avere tuttavia il rilievo di vera e propria denuncia disciplinare. Se la segnalazione è genericamente indirizzata alla Federazione (e non al Procuratore federale) o non ha all’evidenza il rilievo di denun- cia disciplinare (perchè si limita a segnalare appunto un comportamento sospetto del tesserato), la stessa verrà avviata automaticamente all’archivio segnalazioni; viceversa, tutte le segnalazioni indirizzate al procuratore federale o che abbiano il contenuto di vera e propria denuncia disciplinare, saranno trasmesse al mio ufficio per la necessaria valutazione e daranno luogo all’iscrizione di procedimento disciplinare che sarà definito con l’archiviazione o con la citazione a giudizio dinanzi al G.A.N. (Giudice Arbitro Nazionale). Ma attenzione: una segnalazione che non abbia minimo fondamento logico e che appaia animata da esclusivo intento calunniatorio, potrebbe dar luogo ad una incolpazione a carico dello stesso denunciante per violazione dell’art. 1 R.G.F., proprio perché in palese violazione degli obblighi di lealtà sportiva che sono imposti a tutti i tesserati. Sarà dunque opportuno che prima di inoltrare la segnalazione, soprattutto per i giocatori meno esperti, si tenga conto anche delle valutazioni espresse in merito dall’arbitro ed, ove possibile, delle spiegazioni fornite in merito dagli interessati». – Vi sono stati di recente modifiche al nostro codice di giustizia sportiva che riguardano la procedura; vuoi provare a spiegare in parole semplici quali sono le modifiche più rilevanti? «Sì, in effetti il CONI ha di recente approvato (e rese operative) le modifiche introdotte dal Consiglio Federale su sollecitazione dell’apposita Commissione della quale fanno parte gli appartenenti agli organi di Giustizia. Lo scopo era quello di velocizzare ancora di più l’iter del nostro procedimento disciplinare, consentendo fra l’altro il ricorso a strumenti di comunicazione (quale il fax o la posta elettronica) che sono ormai entrati nell’uso quotidiano di tutti. Per sintetizzare, posso dire che è stata eliminato ogni filtro da parte del GAN per il rinvio a giudizio, in quanto la citazione davanti all’organo giudicante viene ora disposta dal Procuratore Federale, dopo la contestazione degli addebiti all’interessato. Nell’atto di contestazione il tesserato sarà ora invitato ad indicare un numero di fax od un indirizzo di posta elettronica al quale si possano inviargli le successive comunicazioni, con l’avvertenza che, in difetto di indicazioni, queste ultime saranno inoltrate all’associazione di riferimento (sarà dunque poi onere degli organi direttivi di quest’ultima informare il tesserato del contenuto delle comunicazioni eventualmente pervenute a suo nome), mentre sia il termine per Bridge Mare Relax 22 maggio - 1° giugno 2007 rispondere alla contestazione, che quello per fissare il giudizio è stato ridotto a 10 giorni liberi. In tal modo sarà possibile essere chiamati a rispondere in sede disciplinare anche entro un mese dalla data del fatto». – Da ultimo vorrei conoscere la tua opinione su quanto detto dal nostro GAN, Edoardo D’Avossa in occasione dell’intervista che immagino avrai letto sulla rivista di marzo-aprile dell’anno scorso. Cosa ne pensi della figura del delegato regionale della procura ? «Tutte le modifiche che proponeva il nostro GAN nel corso della sua intervista per velocizzare (ulteriormente) i tempi della nostra Giustizia sono state rese come ho detto operative già a partire dal luglio dello scorso anno e dunque fanno ormai parte del presente più che del futuro; quanto all’idea di costituire una rete di commissari che possano controllare le fasi finali dei campionati, credo che possa essere valida a patto che non si finisca per creare una rete di incaricati “fissi” francamente sproporzionata rispetto alle esigenze. Sono pronto a valutare le eventuali offerte di collaborazione di tesserati che abbia voglia e capacità di collaborare con la Procura Federale, ma – sia chiaro – il tutto dovrà essere (come lo è per tutti gli organi di giustizia) “gratis et amore dei... ”. Situato in magnifica posizione sull’Argentario vi permetterà di passare una vacanza davvero unica. Hotel, ampliato e ristrutturato nel 2003, con terrazze sul mare, è dotato di tutti i più moderni confort: ampio parcheggio interno, spiaggia privata attrezzata, ristorante con terrazza sul mare. 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Il simbolismo dei semi è di influenza francese: le PICCHE sono la nobiltà, le QUADRI i mercanti, le FIORI i contadini e le CUORI il clero. Risale al 1937 la proposta di introdurre un nuovo quinto seme, le AQUILE; l’esperimento era probabilmente nato con l’ambizione di vendere qualche mazzo di carte in più, ma fallì miseramente nel volgere di qualche mese. Per scovare le prime tracce di quello che sarebbe evoluto all’alba del ’900 nell’attuale Contract Bridge dobbiamo viaggiare nel tempo fino a circa metà del Seicento, per la precisione nel 1674, quando tale Cotton diede il nome appunto di Whist al capostipite del Whist vero e proprio. Sembrerà strano ma questa prima versione del Whist veniva giocata con solo 48 carte, dal momento che dal mazzo venivano tolti i 2; solo più tardi, al tempo in cui Hoyle e Semyour pubblicarono i primi classici testi sui giochi di carte, si giunse all’utilizzo del mazzo completo. Riguardo dell’etimologia del termine Trump, ovvero l’atout, esso deriva dall’italianissimo gioco del Trionfo, che risale addirittura a prima del quindicesimo secolo. L’ordine dei semi era quello classico non per il bridge, ovvero CUORI, QUADRI, FIORI e PICCHE, da cui la frase Come Quando Fuori Piove per ricordare appunto tale gerarchia. Ed ecco spiegato, per chi se lo fosse mai chiesto, perché il 2 di PICCHE è considerato simbolo del minimo assoluto. E andiamo alla storia; è l’inverno del 1736 quando un gruppo di gentiluomini inglesi, tra cui Edmond Hoyle e Lord 54 Edmond Hoyle Folkstone, si riuniscono abitualmente al Crown Coffee House. Appassionati di carte, decidono di abbandonare il gioco del Picchetto per studiare e dedicarsi al Whist. Le regole che si impongono sono le seguenti: – Far giocare la mano più forte – Studiare la mano del compagno così come la propria (non poco semplice, dal momento che non esisteva la figura del morto) – Non forzare la mano del compagno senza una stretta necessità Hoyle va poi ben oltre e nel 1742 pubblica quello che sarebbe divenuto il padre di tutti i trattati sull’antenato del bridge, ovvero A Short Treatise on the Game of Whist. L’impatto del testo è tale che nel volgere di pochi anni il Whist è il gioco di carte più in voga in tutta l’Inghilterra. La prima edizione venne stampata a Londra in poche copie, quasi a livello personale, da John Watts. Da esse vennero poi prodotte innumerevoli versioni copiate; uno pei primi casi di pirataggio in grande stile, tanto che l’autore e l’editore pubblicarono le edizioni successive vergandole con le proprie firme. Oggi gli originali sono quasi introvabili e una delle pochissime è esposta alla Bodleian Library ad Oxford. Nella sua opera Hoyle non spiega le regole di base del gioco ma cerca di approfondire le strategie da seguire, è più un manuale per esperti che un corso base. Riguardo all’autore si sa poco, di certo sembra che abbandonò gli studi di legge per quelli dei giochi, e di lui si occuparono anche alcuni quotidiani benpensanti di Londra. In uno di essi compare il seguente trafiletto al riguardo: “Tra le famiglie più importanti del Regno è comparsa recentemente una nuova figura del Tutor, la cui funzione è quella di completare l’educazione delle giovani Dame; alla stregua di un maestro di danza egli passa le ore al istruire le fanciulle ai piaceri mondani dei giochi di carte. Per quanto assurdo possa sembrare, un numero sempre maggiore di genitori sembra richiedere questo tipo di servigio per le proprie figlie”. D’altronde, conclude benevolmente l’articolo, “sembra appurato che il gioco delle carte coltiva la socialità ed educa la gentilezza.”; altri tempi, cari miei. Hoyle diviene il più ricercato istruttore di Londra non solo per le giovani damigelle, ma anche per i loro cavalieri e per i genitori, e tutti comprano per una ghinea a copia il suo manuale. La sua autorità era tale da vedere coniata un’espressione comune, “according to Hoyle”, che fino a circa metà del ’900 indicava in generale per i giochi di carte il concetto di giocare alla regola, seguendo le regole dei testi. Agli articoli adulatori che come sempre accompagnano l’uomo di successo del momento si unisce un libercolo satirico che fa il verso al nume del gioco. Hoyle ha la caricatura del Professor Whiston, che dà lezioni a Sir Calculation Puzzle. Quest’ultimo è in un certo senso l’antenato dell’Esperto Sfortunato di Simon nel suo famosissimo Perché perdete a Bridge; applica alla lettera, o crede di applicare, tutti gli insegnamenti del maestro, ma non riesce mai a indovinare un colpo, e il Profes- sor Whiston ha il suo bel daffare a spiegare perché teoria e pratica non vanno d’accordo. Tornando a Hoyle in persona, forte del successo che lo accompagnava egli pubblicò successivamente The Gamesters’ Companion, The Polite Gamester, e infine Hoyle’s Games considerato ancora oggi il più importante trattato di sempre sui giochi di carte, che spazia dal Whist al Picchetto così come dagli Scacchi al Backgammon. Lord Byron scrisse testualmente che “Troia deve ad Omero quello che il Whist deve a Hoyle”. Il grande merito di Hoyle fu che la diffusione del gioco varcò i confini dell’aristocrazie a cui era precedentemente confinato, divenendo popolare a livello di ogni ceto sociale. Un giornale dell’epoca arrivò ad asserire che nel gioco del Whist ”oggi come oggi ogni ragazzino dagli otto anni in su se la cava più che bene”. Più che nelle case il gioco era diffuso in tutte le Coffee House di Londra e pian piano entrò nei più esclusivi club privati, dove i Lord così come gli alti prelati avevano la passione del gioco radicata ai massimi livelli. Tanto per raccontarne una, all’entrata dei Circoli c’era un Libro delle Scommesse, su cui i soci firmavano gli impegni reciproci; nel novembre 1754 venne riportato che “Lord Mountfort scommette cento ghinee con Sir John Bland che Mr. Nash sopravviverà a Mr. Cibber”. Qualche mese dopo l’esito riportato è che “sia Lord M. che Sir B. sono trapassati prima che la scommessa si fosse conclusa”. Terreno fertile per un gioco d’azzardo quale il Whist. La prima edizione Americana di Hoyle’s Games venne pubblicata a Philadelphia nel 1790. SALE LA FEBBRE PER IL GIOCO Il primo codice delle regole del gioco venne pubblicato presso la Caffetteria White and Sander’s nel 1760 e nel 1851 fu la volta del più famoso regolamento del Portland Club, redatto da Caelebs. Benjamin Franklin, in una lettera spedita alla moglie durante un viaggio in Inghilterra, racconta che “il Cribbage è ormai fuori moda e ormai, da Parigi a Londra, tutti giocano a Whist” (il Cribbage è uno dei primissimi giochi di carte, inventato si dice da un soldato inglese all’inizio del ’600). Charles Maurice de Talleyrand-Périgord fu un aristocratico francese che ancora oggi viene considerato come il più influente diplomatico della storia europea. Lavorò anche in qualità di Primo Ministro sotto il Regno di Luigi XVI e poi Charles Maurice de Talleyrand-Périgord sotto Napoleone, e a lui viene attribuita la seguente sentenza: “E così, povero giovane, non giochi a Whist? Quale triste età avanzata stai preparando per te stesso!”. Il più grande giocatore dell’epoca fu un altro francese, Deschapelles, il cui nome è noto ancora oggi per un colpo che prende il suo nome. E anche in Italia il Whist godeva di molta popolarità. Sembra che a Firenze, nei palchi dell’opera, sul finire del ’700 gli appassionati giocassero sulle note delle loro arie preferite. A Londra nel 1793 nacque la rivista Sporting Magazine, in cui una regolare rubrica era dedicata al Whist. Per rimanere in Inghilterra c’è da notare che il gioco era particolarmente diffuso tra i militari, molti dei quali pubblicarono volumi al riguardo. Un buon esempio di quanto il Whist venisse giudicato una valida palestra per affinare il senso tattico ce lo può fornire la dedica che il Generale Scott riserva al Duca di Wellington nella prefazione del suo Easy rules of Whist: “My Lord, nessun libro potrebbe essere più indicato del presente per venir dedicato a Vostra Signoria. Sebbene nel gioco del Whist molto dipende dalla fortuna, la massima parte è determinata dall’intelligenza del giocatore. Le vostre vittorie in guerra sono state ottenute grazie alla vostra abilità in quello che mi permetto di chiamare Il Gran Gioco Militare. Per Vostro merito il mondo ora è in pace e potrete dunque dedicarVi a sconfiggere i nemici immaginari al tavolo di Whist seguendo gli stessi principi logici che tanta fama Vi hanno portato”. Una bella sviolinata, non c’è che dire, ma non so se il Duca avesse apprezzato, dal momento che dedicare un libro intitolato Le facili regole del Whist è come dire che il destinatario queste regole è meglio che se le rilegga. Dal codice di Portland prese spunto la neonata American Whist League quando nel 1891 codificò e modificò alcune regole; tra queste ci fu che il premio partita si otteneva all’ottenimento di sette e non cinque prese. Il più grande impulso allo sviluppo del Whist venne dall’avvento del Duplicato, che di fatto diede il via all’attività agonistica. Protagonista di tale innovazione fu un personaggio che sarebbe diventato uno dei grandi Immortali del Bridge, Milton C. Work. A questo proposito vale la pena di soffermarci su questo grande personaggio. Credo che a molti bridgisti il suo nome non suoni nuovo: il conteggio dei punti così come ancora oggi tutti noi lo utilizziamo, quattro l’ASSO, tre il RE e così via, ha il nome appunto di Punti Milton C. Work, con tanto di nome, cognome e secondo nome puntato. Un’invenzione che prese piede universalmente solo parecchio tempo dopo la morte dell’autore, avvenuta nel lontano ’34. Fino agli anni Cinquanta l’influenza degli insegnamenti di Ely Culbertson fece sì che la massima parte dei bridgisti utilizzasse il suo metodo di valutazione della mano, basato sulle vincenti. Ma non è questo che volevo raccontarvi, bensì la storia di un’intuizione che di fatto diede vita al bridge di competizione così come oggi lo concepiamo. La nascita e lo sviluppo del bridge a partire dal suo predecessore, il whist, senza dichiarazione e senza morto, furono in massima parte basate sulla partita libera, in cui sul breve termine l’influenza della sorte determinava spesso le fortune dei contendenti. Ai nostri tempi la partita è stata quasi completamente soppiantata dal bridge di gara, a squadre o a coppie che sia, in cui il fine è quello di confrontare sullo stesso terreno, ovvero le medesime smazzate. E sembra a tutti noi banale il concetto dei boards che passano da un tavolo all’altro. Ma, come per quasi tutte le invenzioni, finché non ci si pensa il concetto è tutt’altro che intuitivo. Andiamo allora alla storia. L’anno è circa il 1880 e Milton C. Work è un giovane studente dell’Università della Pennsylvania che ha ereditato dal padre la passione per il whist. A quei tempi gli unici testi sull’argomento erano a firma di tale Henry Jones, un inglese che scriveva sotto lo pseudonimo di Cavendish. Il nostro Milton leggeva con avidità tutte le sue pubblicazioni sull’argomento, fino al giorno in cui gli capitò sott’occhio un capitolo dedicato al tentativo di eliminare il fattore fortuna dal tavolo da gioco. Mr. Jones raccontava di avere radu- 55 L E ORIGINI D E L BRIDGE nato otto amici dividendoli in due squadre di quattro; aveva selezionato nella prima coloro che a suo parere erano più ferrati e nell’altra i meno esperti. Alla fine, avendo fatto giocare un certo numero di smazzate uguali nelle due sale, la compagine favorita aveva vinto con facilità. A parere dell’autore l’esperimento aveva favorito i più bravi diminuendo l’effetto della sorte. Milton decise di dare un seguito alla storia; radunò i suoi amici appassionati di carte fondando con loro il Club del Whist dell’Università della Pennsylvania e dando loro da leggere i pochi testi in circolazione. Forti di un minimo di preparazione comune di base lanciarono allora la sfida a un gruppo di preminenti uomini di affari che erano riuniti sotto il titolo di Saturday Night Whist Club, il club del whist del sabato sera. Questi erano in teoria i migliori giocatori di Philadelphia che a cadenza settimanale si riunivano a casa di uno dei membri a rotazione per interminabili partite il cui fine era di radunare abbastanza soldi da organizzare a fine stagione un gran banchetto a spese dei perdenti. Non avevano mai sentito parlare di testi tecnici e tanto meno di duplicato ma erano senza dubbio tutti giocatori di esperienza. Incuriositi dalla proposta e desiderosi di dare una lezione ai giovani rampanti, accettarono il confronto. La sede di gara fu la residenza di uno dei membri del Saturday Night, il Capitano John P. Green, vice presidente delle Ferrovie della Pennsylvanya. Ed ecco come tecnicamente si svolse quello che di fatto fu il primo duplicato interclub. Due stanze in cui i membri di una squadra sedevano NORD-SUD in una ed EST-OVEST nell’altra. Su ogni tavolo un mazzo di carte e tredici fiches. Durante il gioco ognuno teneva le proprie carte accanto a sé e la linea che si faceva la presa prendeva una fiche; non era ancora venuto in mente di tenere la carta coperta orizzontale o verticale a seconda di chi se aggiudica. A fine mano le tredici carte di ognuno venivano mescolate per non indicare la sequenza del gioco, il risultato veniva annotato e i quattro di una sala andavano a giocare la mano conclusa nell’altra. Così via fino alla fine, nessun board e 56 Il team di Philadelphia. due soli mazzi di carte. I giovani fecero valere la preparazione di gruppo vincendo agevolmente e i senior accettarono di buon grado la lezione formando poco tempo dopo con loro l’Hamilton Club di Philadelphia, che iniziò a occuparsi di Whist competitivo. Il risultato fu pochi anni dopo la nascita della Lega Americana di Whist. Un paio di anni dopo John T. Mitchell, forse il cognome vi dice qualcosa, introdusse il primo board da duplicato, rendendo di fatto semplice ed attuabile il whist di gara. Milton C. Work divenne negli anni a venire un preminente personaggio nel giovane mondo del bridge, senza per questo lasciare da parte la sua principale attività, che era quella di docente di lettere presso l’Università della Pennsylvanya. E non solo. Tra le sue mansioni per così dire alternative c’era quella di allenatore della squadra universitaria di baseball; di giorno allenava i suoi ragazzi e di sera li conduceva dalla passione del poker a quella prima del whist e poi del bridge. Ricordate che a quei tempi si scatenò una tale passione per il nostro amato gioco che tutti, dall’industriale fino all’operaio che immaginiamo sospeso alle travi nella costruzione dei grattacieli di New York, dal banchiere all’impiegato, tutti dicevo approfittavano di ogni momento di svago per una partita con amici o colleghi. In molti treni per i pendolari c’erano apposite carrozze attrezzate con tavoli da gioco. Si giocava persino in piscina. Ma ora, a proposito di treni, rientriamo nei binari del nostro filo conduttore. Sempre nel 1891 venne sperimentato il metodo Howell per i movimenti dei tornei; era più o meno lo stesso che ancora oggi sfruttiamo quando il numero di coppie è troppo limitato per un normale Mitchell. Vi ricordo che all’epoca parliamo di Whist e non ancora di Bridge. Il primo testo in cui si parla di Bridge risale a qualche anno prima, il 1886, e si intitola Birritch, or Russian Bridge. Già, il nome Bridge non indica il ponte immaginari che si instaura tra i due compagni di gioco ma sembra essere semplicemente l’inglesizzazione di un termine russo. La differenza tra il Whist e il suo giovane successore era che il seme di atout non veniva sorteggiato ma scelto di mano in mano dal mazziere o dal suo compagno nel caso il primo non avesse preferenze. Nei primi anni del ’900 capitò che alcuni giocatori, trovandosi solo in tre, provarono a giocare lasciando esposte le carte del quarto. Leggenda racconta che furono tre soldati in trincea a sperimentare per primi tale novità. L’introduzione del morto rese di fatto molto più divertente il gioco e poco per volta il concetto prese piede anche per i tavoli da quattro giocatori. Il nuovo gioco, chiamato Auction Bridge, venne sperimentato nei circoli di Londra. Il rango dei semi divenne quello attuale, con le PICCHE in cima e le FIORI in fondo. L’Auction divenne Plafond e il Plafond piano piano fu soppiantato dal nuovo arrivato, il Contract, in cui la grossa novità era data dalla licita e dai premi per i contratti di slam, ideati da Harold Vanderbild, che incontrarono subito grande successo. E l’esplosione vera e propria avvenne quando Ely Culbertson comprese che unificando i metodi di dichiarazione in un unico sistema standard e pubblicando a prezzo modico i primi trattati sul gioco della carta il mondo era pronto per gettarsi nelle braccia di quello che negli anni trenta sarebbe divenuto lo svago più in voga nell’America stretta dalle morse della Grande Depressione economica. Anche qui vale la pena di soffermarci sul come e quando venne pubblicato il primo libro di grande successo sul gioco del bridge. L’anno è il 1929, l’America sta entrando nel periodo buio della Grande Depressione Economica e Ely Culbertson è un laureato in Economia appassionato di bridge immigrato in America in tenera età, di sangue russo per parte di madre e scozzese per parte di padre. Josephine, sua moglie, compagna e consigliera, lo convince ad imbarcarsi in un drastico cambio di vita con le seguenti parole: “Ricorda che oggi come oggi ci sono in giro troppi mediocri professori di Economia e troppo pochi veri esperti di bridge.”. Insieme si buttano allora in un’avventura a dir poco rischiosa, la pubblicazione di una rivista dedicata al gioco del bridge. Bridge World conta di attirare l’interesse della crescente schiera di appassionati che a ogni livello sociale si dedicano a questo gioco, ma i primi mesi della sua pubblicazione scontano come è ovvio le difficoltà dell’avvio, le spese iniziali e una diffusione ancora non abbastanza capillare da risultare remunerativa. La situazione è al limite della bancarotta quando Jo suggerisce al marito una possibile via d’uscita: “Perché non provi a scrivere quel gran libro di bridge di cui parli da anni?”. “Già,” risponde Ely, “ma adesso ho bisogno urgente di soldi, non ho certo tempo per mettermi a scrivere”. “Ma allora” replica Mrs. Culbertson “annuncia sul prossimo numero che lo stai per pubblicare e offri uno sconto ai lettori che verseranno un anticipo per prenotarlo”. E così fu; Bridge World ricevette un sacco di prenotazioni e con esse i fondi per turare un po’ di falle. Ma a questo punto bisognava scriverlo questo benedetto libro, e anche in fretta. Più facile a dirsi che a farsi. Passano le prime settimane e la situazione ristagna. “O scrivi o finisci in prigione, lo vuoi capire?” insiste Josephine. Mentre i termini si assottigliano i Culbertson devono salpare per l’Europa per un incontro internazionale e, colmo dei colmi, due settimane prima dell’imbarco Ely viene ricoverato per un’operazione chirurgica. La maggior parte delle pagine vengono dettate in ospedale e mandate direttamente in stampa e il capitolo finale vede la luce proprio il giorno della partenza. La prima edizione del “Contract Bridge Blue Book” vende nel giro di un paio di anni mezzo milione di copie e così Bridge World come anche i suoi fondatori sono salvi. Quando pochi anni dopo esce anche il “Red Book” sul gioco della carta seguito dal volume completo su licita e gioco “Golden Book”, questi diventano, difficile crederlo, i libri in assoluto più venduti dell’anno in tutti gli Stati Uni- ti; e non parlo di classifiche di settore, intendo più venduti di ogni romanzo o saggio di successo. Marketing, ecco il segreto che distingueva Culbertson dagli altri pionieri del bridge moderno. Un esempio su tutti, Joshua Crane, l’avete mai sentito nominare? Definirlo una personalità poliedrica è il minimo; nel palmares delle sue attività lo ritroviamo allenatore della squadra di football di Harvard senza avere mai giocato, capitano della squadra americana di polo, costruttore di uno jacht che vinse importanti trofei internazionali. Artista e musicista dotato di un certo talento. Golfista distintosi ad alto livello amatoriale. E appassionato di bridge. Joshua capitanò negli anni Trenta una sua squadra inglese che giocava un sistema, da lui ovviamente creato, denominato Common sense system, Il sistema del buon senso. Le basi prevedevano intanto di contare i punti col metodo Milton Work del 4-3-2-1 ancora in uso attualmente; aperture da una dozzina di punti in su, preferenza per il palo lungo, per i Senza Atout sui minori, grande attenzione ai valori distribuzionale una volta scoperto il fit. Insomma, quello che tutti noi giocheremmo oggi come oggi ben volentieri con un partner occasionale. Vi ricordo che a quei tempi la bibbia di Culbertson prevedeva il conto delle prese onori e non dei punti, che le risposte di due su uno a volte si basavano su una lunga e non sul punteggio. Ebbene, chissà che evoluzione del nostro gioco avremmo visto se anche Crane si fosse saputo vendere come Culbertson. C’è da dire a prova delle buone intenzioni di Culbertson che quest’ultimo ospitò ben volentieri sulle pagine della sua rivista alcuni articoli di Crane che spiegavano nei dettagli le caratteristiche del suo sistema. E così, da allora, la storia ha fatto il suo corso; da noi nacque la FIB, poi la FIGB, nacque il mitico Blue Team, e oggi c’è il nuovo grande Blue Team. In questi ultimi anni in cui il board viene spesso soppiantato dallo schermo del bridge ondine, dobbiamo ricordare che nulla ci darà mai la sensazione della sfida dal vivo. E tutto questo è stato possibile grazie all’inventiva di quelli che per noi bridgisti, razza a parte nel mondo animale, sono stati i nostri padri fondatori. 57
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