emozioni e comportamento degli investitori
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emozioni e comportamento degli investitori
ENRICO RUBALTELLI EMOZIONI E COMPORTAMENTO DEGLI INVESTITORI 1. EMOZIONI, DECISIONI E INVESTIMENTI Uno degli ambiti dell’economia in cui è più utile l’integrazione dell’analisi psicologica con i comportamenti degli agenti economici è certamente quello dei mercati finanziari. Il primo contributo di uno psicologo allo specifico studio dei mercati finanziari è stato quello di Slovic (1972) che pubblicò sul prestigioso «Journal of Finance» un articolo in cui descriveva i concetti di psicologia che avrebbero potuto essere utili all’analisi dei comportamenti degli investitori. Non deve quindi sorprendere se l’applicazione della psicologia all’analisi dei mercati finanziari ha dato vita ad una vera e propria disciplina definita «finanza comportamentale» (Thaler 1993; Shefrin 2002; Shiller 2005; Rubaltelli 2006; Ferretti, Rubaltelli e Rumiati 2011). All’interno del campo di indagine della finanza comportamentale si possono individuare diversi filoni di ricerca. In questo contributo mi concentrerò sui comportamenti individuali degli investitori ed in particolare sul modo in cui le emozioni influenzano le loro scelte. Recenti studi in psicologia cognitiva e sociale hanno dimostrato quanto le emozioni ed i comportamenti guidati dall’intuito possano influenzare le scelte delle persone in diversi campi, finanza inclusa (Zweig 2007). Le persone sono solite pensare che i propri comportamenti dipendano da un’attenta analisi delle informazioni a disposizione, tuttavia è stato dimostrato che in molti casi i ragionamenti consapevoli servono come giustificazioni di azioni messe in atto in modo intuitivo e guidate da reazioni di tipo emotivo (Tversky e Kahneman 1974; Loewenstein, Weber, Hsee e Welch 2001; Slovic, Finucane, Peters e MacGregor 2002). Le ricerche psicologiche hanno portato alla formulazione dei cosiddetti modelli del doppio processo nei quali viene ipotizzata l’esistenza di processi di pensiero automatici e consapevoli che si integrano durante la presa di decisione (Epstein 1994; Chaiken e Trope 1999; Loewenstein et al. 2001; Slovic et al. 2002; Kahneman 2003; 2012; Evans 2009; Evans e Stanovich 2013). I processi automatici sono più veloci, richiedono meno risorse cognitive (essendo processi inconsapevoli non richiedono attenzione), e si basano SISTEMI INTELLIGENTI / a. XXVI, n. 2, agosto 2014 345 su associazioni e reazioni emotive; al contrario, i processi consapevoli sono dispendiosi dal punto di vista cognitivo (richiedono molto sforzo in termini di attenzione e memoria), sono lenti e si basano sulla corretta applicazione di regole o procedure precise (Kahneman 2012). Il ragionamento di tipo consapevole dovrebbe monitorare e controllare le conclusioni raggiunte dai processi automatici e correggere le decisioni quando queste conclusioni si rivelano errate (Kahneman 2003). Tuttavia, questa attività di controllo, che richiede appunto sforzo cognitivo, avviene in modo piuttosto approssimativo. Il cervello fa costantemente un compromesso tra qualità (o precisione) della decisione e sforzo cognitivo con l’intento di evitare di sprecare troppe energie in decisioni ritenute poco importanti. Di conseguenza, capita che delle conclusioni raggiunte dai processi automatici sfuggano al controllo dei processi consapevoli e arrivino ad influenzare i comportamenti delle persone. A causa della complessità dei mercati finanziari è molto facile che le conclusioni intuitive influenzino il comportamento degli investitori vista l’incertezza e la quantità di informazioni che contraddistinguono questo tipo di decisioni. Quando una situazione è incerta le emozioni diventano un’àncora da usare per dar senso a ciò che accade, inoltre l’alto numero di informazioni crea un carico cognitivo che rende particolarmente difficile l’elaborazione di ogni dato necessario a mettere in atto delle decisioni pienamente consapevoli (Simon 1978; Slovic et al. 2002). Ovviamente, i due processi di ragionamento interagiscono tra loro e difficilmente si riscontrano decisioni completamente guidate dall’intuito, così come non si verificano quasi mai decisioni completamente guidate da un’analisi «razionale» della situazione (cosa possibile solo se la situazione decisionale è estremamente semplice; Kahneman 2012). Ciò dipende soprattutto dal fatto che le emozioni e le conclusioni che emergono dalle valutazioni immediate influenzano il ragionamento consapevole, guidano l’attenzione e, in definitiva, influenzano la selezione delle informazioni utilizzate per decidere. Partendo da questa introduzione ai modelli del doppio processo, i prossimi paragrafi descriveranno l’impatto che l’interazione tra i processi automatici e la complessità dei mercati finanziari ha sulle scelte di investimento. 2. EMOZIONI E PERCEZIONE DELLA RELAZIONE TRA RISCHIO E RENDIMENTO Una delle nozioni fondamentali quando si investe in borsa è quella della correlazione positiva tra rischio e rendimento, ovverosia il fatto che all’aumentare del rischio di un investimento dovrebbe corrispondere un maggior rendimento (per lo meno su orizzonti temporali lunghi; Dimson, Marsh e Staunton 2002; Siegel 2002; Damodaran 2004; Shen 2005). In altre parole, il mercato dovrebbe ricompensare la decisione dell’investitore di accettare un rischio offrendo un rendimento potenziale più elevato. 346 Tuttavia, le reazioni emotive delle persone rendono molto difficile per gli investitori riconoscere questa relazione. Infatti, la stragrande maggioranza degli investitori, inclusi quelli più esperti, ritiene che il rendimento sia correlato in modo negativo con il tasso di rischio di un investimento (Ganzach 2000; Shefrin e Statman 2001; Statman, Fisher e Anginer 2008). In altre parole, gli investitori si aspettano di ottenere un rendimento maggiore da titoli meno rischiosi, quando storicamente avviene il contrario. Ganzach (2000) è stato il primo a studiare in modo sperimentale questa percezione errata della relazione tra rischio e rendimento. A due gruppi di studenti di business school è stato chiesto di valutare trenta mercati finanziari mondiali. Il primo gruppo ha giudicato il rischio associato ad un investimento in ciascuno dei trenta mercati usando una scala da 1 (molto basso) a 9 (molto alto), mentre il secondo gruppo ha giudicato, sulla stessa scala, il rendimento atteso per ciascuno dei trenta mercati. I risultati hanno mostrato una correlazione negativa (r = –0,55) tra i giudizi forniti da coloro che facevano parte del primo gruppo (valutazione del rischio) e coloro che facevano parte del secondo gruppo (valutazione del rendimento atteso). Anche con un disegno sperimentale entro i soggetti in cui le stesse persone valutavano sia il rischio che il rendimento atteso, Ganzach ha replicato i risultati iniziali. Indipendentemente da quale domanda veniva chiesta per prima, la correlazione tra rischio e rendimento atteso era sempre negativa (r = –0,71 se veniva chiesto per prima cosa di valutare il rischio; r = –0,66 se veniva chiesto per prima cosa di valutare il rendimento atteso). In uno studio simile, Shefrin (2001) ha intervistato una serie di portfolio manager e analisti finanziari nel periodo 1999-2001. Agli investitori è stata presentata una lista di otto diversi titoli azionari del settore tecnologico (es. Microsoft) e dovevano indicare, per ciascun titolo, il rendimento atteso (in percentuale) per l’anno successivo e il rischio (su una scala da 0 a 10). Anche in questo caso, la correlazione tra le due misure è risultata negativa. È interessante constatare come la valutazione del rischio fosse piuttosto corretta, mentre era il rendimento atteso ad essere valutato in modo inesatto. Infatti, sostituendo il di ogni titolo alla valutazione del rischio fornita dai partecipanti la correlazione restava negativa. Shefrin ha spiegato questi risultati sulla base dell’euristica della rappresentatività, un processo cognitivo attraverso il quale le persone si fidano eccessivamente degli stereotipi (Tversky e Kahneman 1974). Ad esempio, molti investitori fanno un’equivalenza in base alla quale titoli di aziende famose sono rappresentativi di titoli più sicuri e con un rendimento superiore (Shefrin e Statman 2001). In realtà, i titoli di queste aziende sono più sicuri e spesso sopravvalutati, poiché scelti da molti investitori, di conseguenza ottengono rendimenti inferiori. Ancora una volta, il comportamento degli investitori è guidato da valutazioni di tipo intuitivo e da percezioni imperfette piuttosto che da una valutazione approfondita di ciò che succede nei mercati finanziari. 347 La tendenza degli investitori a percepire una correlazione negativa tra rischio e rendimento atteso è anche coerente con il ruolo che le reazioni emotive hanno nel guidare il comportamento. Slovic et al. (2002) hanno dimostrato che nel caso della valutazione di nuove tecnologie le persone percepiscono una correlazione negativa tra rischio e beneficio (ciò che in borsa sarebbe il rendimento di un investimento). Ad esempio, nel caso dei telefoni cellulari, coloro che ne apprezzano i vantaggi, come ad esempio la possibilità di comunicare da qualunque posto nel mondo, tenderanno a sottovalutare i danni dovuti ai campi elettromagnetici. Al contrario, persone preoccupate dai rischi associati ai telefoni cellulari finiranno col sottovalutare i benefici offerti da questa tecnologia. Gli investitori ragionano in modo simile, con la differenza che si trovano a decidere in un contesto più complesso. Quando un’azienda è famosa questo induce gli investitori a provare sentimenti positivi, finendo per sopravvalutare i potenziali benefici e aspettarsi alti rendimenti da titoli a basso rischio. Inoltre, il termine rischio, che in finanza indica la variabilità degli esiti di un investimento, induce in molte persone delle reazioni emotive negative, dovute al fatto che induce a pensare al solo «rischio di perdere soldi». Di conseguenza, i processi automatici faticano a concepire come una dimensione etichettata come negativa (il rischio) possa produrre dei benefici in termini di superiore rendimento. Un’interessante dimostrazione di quanto appena detto viene dal lavoro di Statman, Fisher e Anginer (2008), i quali hanno chiesto ad alcuni investitori con patrimoni elevati di giudicare alcune tra le aziende più ammirate e meno ammirate incluse nella lista «Most Admired Companies» della rivista «Fortune». Inizialmente, Statman e colleghi hanno presentato agli investitori una lista di 210 aziende presenti nella classifica di «Fortune» del 2007 e per ciascuna azienda hanno riportato il settore industriale. Agli intervistati è stato chiesto di giudicare le reazioni emotive indotte da ogni azienda su una scale da 0 («assolutamente negativa») a 10 («assolutamente positiva») e i risultati hanno correlato positivamente con la posizione che ogni azienda aveva nella classifica di «Fortune». Successivamente, a due distinti gruppi di investitori è stata presentata la stessa lista di aziende; il primo gruppo ha valutato il rendimento atteso di ogni azienda su una scala da 1 («basso») a 10 («alto»), mentre il secondo gruppo ha valutato il rischio usando una scala simile. Anche Statman e colleghi hanno trovato una relazione negativa tra rischio e rendimento atteso. Tuttavia, questa relazione sembra spiegata dalle reazioni emotive provate nei confronti di ciascuna azienda, dal momento che all’aumentare della positività dell’emozione diminuisce la percezione di rischiosità di un titolo ed aumenta il rendimento atteso. Questi risultati sono coerenti con le predizioni delle teorie del doppio processo (Epstein 1994; Loewenstein et al. 2001; Kahneman 2012). 348 3. CARICO COGNITIVO E EMOZIONI NELLE SCELTE DI INVESTIMENTO 3.1. «Attention grabbing» come strategia di selezione degli investimenti Come già accennato in precedenza, una delle caratteristiche principali dei mercati finanziari è quella di obbligare gli investitori ad elaborare un numero molto elevato di informazioni creando così un forte carico cognitivo. Quando le informazioni sono molto numerose e in costante aggiornamento è impossibile attendere a ciascuna di esse in modo preciso e l’investitore è costretto ad elaborare una strategia per selezionare le informazioni più utili. Una delle capacità dei processi automatici è quella di orientare gli investitori verso informazioni che colpiscono in modo maggiore l’attenzione, ad esempio perché suscitano reazioni emotive più intense (Slovic et al. 2002). Barber e Odean (2008) parlano di «attention grabbing», ovverosia del fatto che alcune informazioni attirano in modo automatico l’attenzione e diventano particolarmente centrali nelle scelte degli investitori. L’attention grabbing permette di ridurre sensibilmente il numero di titoli tra cui scegliere senza sovraccaricare il sistema cognitivo perché vengono selezionati solo i titoli che attirano l’attenzione in modo automatico. Una strategia di questo tipo è profondamente influenzata dagli aspetti emotivi. È stato dimostrato che le reazioni emotive possono servire come una guida automatica dell’attenzione (Öhman, Flykt e Esteves 2001; Anderson 2005; Vuilleumier 2005). Non a caso gli investitori sembrano particolarmente propensi a scegliere titoli e fondi azionari che investono in spazi pubblicitari sulle riviste specializzate e che hanno ottenuto risultati particolarmente positivi nel recente passato (Sirri e Tufano 1998; Jain e Wu 2000; Barber e Odean 2008). Non a caso le strategie pubblicitarie usate dai fondi sono volte ad aumentarne l’attrattività piuttosto che a fornire informazioni rilevanti per una corretta scelta finanziaria (Huhmann e Bhattacharyya 2005). In linea con quanto proposto dalle teorie del doppio processo, l’attenzione degli investitori viene rivolta verso titoli e fondi che inducono le reazioni emotive più intense (Loewenstein et al. 2001; Slovic et al. 2002). Quando queste reazioni sono positive il titolo verrà incluso tra quelli da considerare per un futuro investimento, mentre reazioni emotive negative indurranno l’investitore ad evitare un certo titolo. 3.2. Pubblicità, emozioni e investimenti La pubblicità è chiaramente un importante mezzo attraverso il quale aziende e fondi di investimento possono attrarre l’attenzione degli investitori, indurre reazioni emotive positive ed aumentare la probabilità di essere scelti. La pubblicità è un modo per ridurre il costo della ricerca del 349 fondo migliore e infatti gli investitori la utilizzano per ridurre il numero di alternative tra cui scegliere (Sirri e Tufano 1998). Jain e Wu (2000) hanno analizzato le performance ed i flussi dei fondi comuni aperti pubblicizzati su riviste come «Barron’s» e «Money». Nonostante, un obiettivo delle pubblicità potrebbe essere quello di mostrare abilità gestionali superiori alla media questa conclusione viene smentita dal fatto che nel periodo successivo i fondi più pubblicizzati e quelli meno pubblicizzati ottengono, in media, gli stessi rendimenti. Jain e Wu (2000) suggeriscono invece che lo scopo della pubblicità sia quello di aumentare i flussi grazie alla tendenza degli investitori a pensare che i buoni rendimenti del recente passato si protrarranno anche nel futuro (DeBondt 1993). Il rendimento positivo registrato nel recente passato induce delle reazioni emotive più positive e attraverso il classico meccanismo psicologico della conferma di ipotesi (Wason 1968) porta gli investitori ad aspettarsi che il trend continui nella speranza di poterne approfittare. Mullainathan e Shleifer (2005) hanno invece studiato le pubblicità uscite sulle riviste «Money» e «Business Week» tra il 1994 ed il 2003, ovverosia prima, durante e dopo la bolla di internet. Secondo questi autori gli investitori avrebbero due principali credenze, che vengono applicate a fasi diverse del mercato. Una prima credenza, tipica di periodi di mercato «toro», riguarda la crescita e l’obiettivo di investire per diventare ricchi. La seconda credenza, tipica di periodi di mercato «orso», riguarda la protezione ed ha l’obiettivo di garantirsi un futuro tranquillo. Se fosse vero che la pubblicità di strumenti finanziari viene fatta con lo scopo di informare gli investitori non dovrebbero esserci differenze tra i messaggi prodotti durante periodi di mercato «toro» e periodi di mercato «orso». Se però l’obiettivo non è tanto quello di informare l’investitore per permettergli una decisione più consapevole ma di rendere attraente un certo fondo allora i messaggi pubblicitari dovrebbero essere adattati in base alle credenze che gli investitori hanno in diverse fasi del mercato. Mullainathan e Shleifer hanno effettivamente confermato che questa seconda possibilità è quella che si verifica nella realtà. Infatti, la scelta di presentare i rendimenti di un fondo e la scelta di quale strumento pubblicizzare sono entrambe influenzate dall’andamento del mercato e dal tentativo di fornire messaggi che vengano interpretati in modo favorevole dagli investitori. Ancora una volta il target non sono tanto i processi di tipo consapevole e analitico, ma piuttosto i processi intuitivi ed emotivi dal momento che questi ultimi possono avere un grande impatto sul comportamento degli investitori. Questi effetti della pubblicità non si riscontrano solamente per i fondi ma anche per singoli titoli. Yan e Chemmanur (2009) hanno studiato le pubblicità di aziende quotate in borsa riconducendo i risultati al concetto di «attention grabbing» già descritto in precedenza. I dati hanno mostrato che il rendimento dei titoli di aziende che hanno avuto una maggiore esposizione pubblicitaria è superiore nell’anno in cui è apparsa la pubbli350 cità rispetto all’anno successivo. Fehele, Tsyplakov e Zdorovtsov (2005) hanno invece studiato l’effetto che gli spot mandati in onda durante il Super Bowl, la finale del campionato di football americano, uno degli eventi sportivi più seguiti del mondo, ha sul rendimento dei titoli delle aziende apparse in video. Considerando il periodo 1969-2001, Fehele e colleghi hanno trovato che nel giorno successivo alla partita, il rendimento anomalo medio dei titoli delle aziende i cui prodotti sono apparsi negli spot è pari a 0,45% e raggiunge il 2% a due settimane dal Super Bowl. Questi autori sottolineano poi come questo fenomeno incida particolarmente sulle scelte dei piccoli investitori individuali. Questi investitori hanno una minore capacità di analizzare elevate quantità di dati e quindi hanno una maggiore probabilità di utilizzare strategie automatiche di selezione delle informazioni. 3.3. Cambiare il nome di aziende e fondi per renderli più attraenti In modo simile aziende e fondi possono influenzare le scelte degli investitori con semplici modifiche del nome o del ticker, ma senza modificare la sostanza del loro business. Ad esempio, Cooper, Dimitrov e Rau (2001) hanno mostrato che quando la bolla di internet era al suo massimo verso la fine degli anni ’90, le aziende che cambiavano il proprio nome aggiungendo il suffisso «.com» ottenevano ritorni anomali rispetto alla performance registrata prima del cambio di nome. Negli Stati Uniti, la maggioranza di questi cambiamenti è avvenuta nel 1999, ad un ritmo medio di sette aziende al mese. Mediamente il prezzo di ogni azione quindici giorni prima del cambio di nome era di $2,79 e raggiungeva $4,20 quindici giorni dopo il cambio di nome. Allo stesso modo quindici giorni dopo il cambio di nome aumentava anche il volume medio degli scambi rispetto al volume registrato quindici giorni prima del cambio. Cooper e colleghi hanno trovato risultati simili anche modificando la finestra temporale e testando una finestra temporale più breve (due giorni dopo il cambio di nome rispetto a due giorni prima) ed una finestra temporale più lunga (trenta giorni dopo il cambio di nome rispetto a trenta giorni prima). La spiegazione fornita da Cooper e colleghi (2001) si fonda sul fatto che gli investitori sarebbero più propensi a scegliere ciò che va di moda in un determinato momento piuttosto che valutare per ogni singolo titolo se il suo rendimento atteso e il suo rischio sono compatibili con il loro portafoglio e con i loro obiettivi di investimento. Una simile spiegazione è compatibile con l’effetto dell’attention grabbing descritto in precedenza (Barber e Odean 2008) ed anche con le teorie del doppio processo (Epstein 1994; Loewenstein et al. 2001; Kahneman 2012). Ciò che va di moda è più familiare e quindi più piacevole, inoltre, nei mercati finanziari, le mode sono solitamente associate alla possibilità di 351 ottenere guadagni sopra alla media, così da suscitare reazioni emotive particolarmente positive negli investitori (Shiller 2005). In un successivo studio relativo ai fondi di investimento, Cooper, Gulen e Rau (2005) hanno mostrato che i fondi con maggiore probabilità di cambiare nome sono quelli più vecchi, che necessitano di riconquistare l’attenzione degli investitori, e quelli con i rendimenti più negativi, che hanno bisogno di creare un’associazione con una moda che susciti emozioni positive negli investitori. Come nel caso dei titoli, se il nome di un fondo cambia in modo coerente con una moda il flusso degli investimenti tende ad essere superiore sei mesi dopo il cambio rispetto a sei mesi prima. Un altro modo per quantificare l’effetto che il cambio di nome, ma non di strategia di investimento, ha sui flussi diretti verso un fondo è quello di fare un confronto tra fondi che cambiano nome e fondi simili che non cambiano nome. Cooper e colleghi (2005) hanno mostrato che, nell’anno successivo, i fondi che cambiano nome ottengono un aumento dei flussi superiore del 20,17%. Inoltre, sono più frequenti i cambi di nome «hot», ovverosia in direzione di una moda vincente (65%), piuttosto che i cambi «cold» che non hanno come target una particolare moda ma dipendono da scelte tecniche. Ciò conferma che l’obiettivo è quello di attrarre l’attenzione degli investitori e di creare un’associazione tra il fondo e una moda che induce emozioni positive. Non a caso, l’aumento dei flussi si registra solamente per i fondi che operano cambi di nome «hot». Infine, la maggioranza dei cambi di nome, siano essi «hot» o «cold», viene definita una modifica di tipo «cosmetico», ovverosia solo apparente. In altre parole, il nome cambia ma la strategia di investimento rimane quella precedente. I fondi che fanno modifiche di tipo «hot e cosmetico» sono quelli che ottengono gli aumenti dei flussi maggiori dopo il cambio di nome (Cooper et al. 2005). Questi risultati sono un ulteriore conferma del fatto che gli investitori sono più propensi a fare scelte intuitive, basate sulle reazioni emotive e sulle mode, piuttosto che ad analizzare a fondo le strategie di investimento ed i risultati passati dei diversi fondi. 4. ALTRE IMPLICAZIONI DELLE EMOZIONI SULLE SCELTE DI INVESTIMENTO 4.1. L’effetto di disposizione Le emozioni influenzano anche numerosi altri comportamenti degli investitori che la finanza classica fatica a spiegare. Ad esempio, Shefrin e Statman (1985) hanno dimostrato, usando i dati di migliaia di transazioni, che nella maggior parte dei casi gli investitori vendono troppo presto i titoli che stanno guadagnando valore e tengono in portafoglio troppo a lungo i titoli che stanno perdendo valore. Questo fenomeno è 352 stato definito «effetto di disposizione» e, oltre ai dati raccolti grazie alle transazioni eseguite dagli investitori, è stato replicato in diversi paesi nel mondo (Odean 1998; Shefrin 2002) ed anche in ricerche sperimentali in laboratorio (Weber e Camerer 1998; Rubaltelli, Rubichi, Savadori, Ferretti e Tedeschi 2005). Tra le diverse spiegazioni che sono state proposte quella che ha ricevuto più credito è basata sulla teoria del prospetto (Kahneman e Tversky 1979; Kahneman, Knetsch e Thaler 1990; Grinblatt e Han 2002) ed in particolare sul diverso atteggiamento verso il rischio che le persone evidenziano a seconda che i risultati finali siano delle perdite o delle vincite. Nel caso delle perdite vi è una tendenza ad assumersi dei rischi maggiori pur di evitare di perdere, mentre nel caso dei guadagni vi è una preferenza per alternative sicure tali da garantire una vincita anche se questo significa rinunciare alla possibilità di ottenere un risultato migliore (Kahneman e Tversky 1979). Secondo questa interpretazione dell’effetto di disposizione, gli investitori non sono disposti a vendere un titolo il cui valore sta diminuendo perché questo renderebbe la perdita definitiva, portando la persona a provare delle emozioni di tipo negativo. Al contrario, quando il valore di un titolo sta aumentando, gli investitori non perdono tempo e lo vendono rapidamente per rendere il guadagno definitivo e provare delle emozioni positive. In altre parole, viene anticipata l’emozione suscitata dall’evento conseguente alla decisione di vendere un titolo. Se il titolo sta guadagnando l’investitore anticiperà il piacere di incassare la differenza tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita ed anche l’orgoglio di aver scelto correttamente l’azienda su cui investire. Al contrario, se il titolo sta perdendo, l’investitore anticiperà il dolore suscitato dal fatto di chiudere una posizione in perdita ed anche il fatto di dover ammettere un errore nella scelta dei propri investimenti. Proprio queste reazioni emotive negative aumenteranno la sua tendenza a scommettere su un futuro recupero. Tuttavia, la ricerca dimostra che il più delle volte questo recupero non avviene e gli investitori vendono il titolo quando oramai non vale più nulla (Shefrin e Statman 1985; Odean 1998). 4.2. Quotazione in borsa, fluidità e scelte di investimento Una situazione in cui le emozioni hanno un impatto significativo sulle scelte degli investitori è quella della quotazione di nuove aziende in borsa. Decidere se investire o meno su un’azienda che sta per essere quotata in borsa richiede una valutazione dell’investimento molto complessa perché caratterizzata dalla mancanza di informazioni e da un’elevata incertezza. Infatti, mentre le aziende quotate devono fornire in modo costante informazioni relative al proprio bilancio, questo non è obbligatorio per aziende che non sono quotate in borsa (lo devono fare solo nel periodo immediatamente precedente all’ingresso in borsa). 353 Se è vero, come abbiamo visto nel caso dell’attention grabbing, che le emozioni aiutano a dirigere l’attenzione e a selezionare le informazioni quando il carico cognitivo è elevato, è altrettanto vero che in assenza di informazioni precise l’emozione può diventare un indizio per guidare la decisione degli investitori (Slovic et al. 2002). Per esempio, MacGregor, Slovic, Dreman e Berry (2000) hanno dimostrato che nel caso delle aziende che vengono quotate in borsa la reazione emotiva nei confronti del settore industriale di cui fanno parte predice la decisione di investire o meno. Come già esposto in precedenza gli investitori che hanno una reazione intuitiva positiva verso un’azienda o un settore industriale saranno più propensi a sopravvalutare i possibili benefici (rendimento) e meno pronti a riconoscere la possibilità che si tratti di un investimento poco conveniente (MacGregor et al. 2000). In assenza di informazioni precise l’effetto delle emozioni sulla decisione di investire o meno è particolarmente marcato perché la scarsità di informazioni rende particolarmente difficile il lavoro di monitoraggio che i processi consapevoli dovrebbero esercitare sui processi di tipo automatico. Sempre relativamente alla quotazione di aziende in borsa, Alter e Oppenheimer (2006) hanno dimostrato che la fluidità cognitiva, ovverosia quanto un particolare stimolo è facile da elaborare, può fare la differenza. La fluidità cognitiva induce sentimenti di familiarità e reazioni emotive positive che inducono le persona a preferire stimoli facili da elaborare piuttosto che stimoli difficili da elaborare (Schwarz 2004). Sulla base di queste evidenze empiriche, Alter e Oppenheimer hanno testato l’ipotesi che, al momento di essere quotate in borsa, aziende con un nome più facile da elaborare siano anche quelle sui cui gli investitori sono più disposti a puntare. I risultati hanno mostrato come questa ipotesi sia corretta anche se solamente su brevi periodi di tempo. Aziende con un nome più facile da pronunciare fanno registrare un rendimento significativamente superiore sia dopo un giorno dall’ingresso in borsa sia dopo una settimana. Tuttavia, questo non è più vero quando si confrontano i rendimenti a sei mesi di distanza dalla quotazione in borsa. 4.3. Gli effetti dell’umore sugli investimenti Fino ad ora è stato descritto l’impatto che le reazioni emotive hanno sulle scelte di investimento. Tuttavia, anche l’umore dell’investitore al momento della decisione può avere un effetto dal momento che può influenzare il suo modo di elaborare le informazioni. A differenza delle reazioni emotive che sono una risposta affettiva a stimoli esterni (come, ad esempio, il nome di un’azienda o il suo rendimento recente), l’umore è un vissuto emotivo che ha origine dal decisore ed influenza il modo in cui viene percepita la realtà circostante. Diverse ricerche nel campo delle psicologia delle decisione e della psicologia sociale hanno 354 dimostrato che l’umore ha un forte impatto sui comportamenti e può essere usato come un’informazione per capire quale corso d’azione sia più opportuno seguire (Lerner e Keltner 2000; Schwarz e Clore 2003; Peters 2006). Questi studi hanno mostrato, tra le altre cose, che persone in un umore negativo sono propense ad utilizzare processi analitici ed hanno meno fiducia nei messaggi che ricevono. Al contrario, persone in un umore positivo sono più propense ad usare processi intuitivi, euristiche e meno disposte a mettere in dubbio i messaggi che ricevono (Schwarz e Clore 2003). Nonostante sia difficile testare l’umore degli investitori e metterlo in relazione con le loro scelte di portafoglio, diversi studiosi hanno cercato di verificare l’impatto di questa variabile usando delle proxy dell’umore, ovverosia altre variabili che però si sa avere un effetto sull’umore delle persone. Per esempio, Hirshleifer e Shumway (2003) hanno dimostrato che il clima atmosferico nelle sedi di ventisei diverse borse valori ha una correlazione con i rendimenti ottenuti dai mercati nel periodo 1982-1997. In particolare, è emerso che la presenza di tempo soleggiato correla in modo positivo con il rendimento di queste borse, tra le quali anche New York, Londra, Milano, Rio e Singapore (il clima piovoso e la presenza della neve non hanno invece effetto sui rendimenti). L’interpretazione di questi risultati è quella che il bel tempo migliori l’umore inducendo gli investitori ad essere più ottimisti riguardo alla possibilità di guadagnare (il tempo atmosferico viene quindi considerato una proxy dell’umore, dal momento che non è possibile misurarlo direttamente). Altri studi hanno trovato risultati simili usando altre proxy dell’umore. Yuan, Zheng e Zuh (2006) hanno mostrato che le fasi lunari influenzano il rendimento di quarantasette mercati mondiali, dove il rendimento è risultato migliore del 6,6% nei giorni di luna nuova rispetto a quelli di luna piena. Edmans, García e Norli (2007) hanno trovato che i mercati finanziari ottengono performance migliori subito dopo che la squadra nazionale ha vinto un torneo importante (come, ad esempio, mondiali di calcio, mondiali di basket ed olimpiadi). Anche le stagioni sembrano influenzare i risultati ottenuti dai mercati mondiali (Kamstra, Kramer e Levi 2000; 2003). In particolare, si registrano risultati meno positivi nel periodo in cui le ore di luce diminuiscono (durante l’autunno in Italia). Questo risultato viene collegato ad un diffuso stato d’umore negativo la cui esistenza è dimostrata da una forma di depressione stagionale (SAD, seasonal affective disorder), ovverosia una forma lieve di depressione indotta dalla riduzione di luce durante il giorno. I mercati finanziari hanno un rendimento inferiore proprio in questo periodo, più o meno a partire dalla fine di agosto (Kamstra et al. 2000; 2003). 355 5. CONCLUSIONI Questo contributo ha cercato di proporre una visione ragionata del modo in cui le emozioni influenzano il comportamento degli investitori. Nell’introduzione sono stati chiariti i principali modelli usati per spiegare come le emozioni influenzano il ragionamento e la presa di decisione (modelli del doppio processo; Kahneman 2012), mentre nelle tre sezioni successive sono stati descritti alcuni studi relativi al ruolo che le emozioni hanno sulla percezione della relazione rischio e rendimento, sulla selezione delle informazioni e scelta degli investimenti (l’attention grabbing) e su altri comportamenti come ad esempio la vendita di titoli già presenti in portafoglio (l’effetto di disposizione). Naturalmente, molti altri esempi e ricerche avrebbero potuto trovare spazio in questo articolo, tuttavia sono stati scelti solamente temi che avessero un’evidente connotato emotivo e un effettivo valore nello spiegare fenomeni che la finanza classica fatica ad integrare all’interno dei modelli del comportamento razionale (Shiller 2005). Nonostante, siano stati descritti soprattutto casi in cui le emozioni inducono gli investitori in errore, va chiarito che esse hanno un valore adattivo e permettono di velocizzare i processi decisionali così da poter affrontare in modo flessibile contesti in costante cambiamento ed evoluzione (Kahneman 2012). Grazie al feedback proveniente dalle reazioni emotive le persone sono in grado di reagire più rapidamente e di risparmiare energie cognitive per prendere decisioni ritenute davvero importanti. Il sistema cognitivo si è quindi evoluto adottando un compromesso tra qualità della decisione e quantità di energie spese (Kahneman 2003). Queste caratteristiche del sistema cognitivo sono rilevanti in tutte le situazioni in cui le persone devono prendere una decisione, ma ancor di più in campi come quello finanziario in cui la capacità di reagire rapidamente e di gestire lo stress sono abilità che possono fare la differenza tra guadagnare o perdere ingenti somme di denaro. Di conseguenza, la grande influenza che i processi automatici, guidati dall’intuito e dalle emozioni, hanno sul comportamento degli investitori non può essere sottovalutata e dovrebbe essere presa in maggiore considerazione non solo dagli investitori o dai consulenti finanziari, ma anche dai legislatori nel momento in cui si cerca di creare prospetti informativi più efficaci e di incentivare scelte più ragionate (De Marco, Ferretti e Rubaltelli 2014). RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Alter, A.L., Oppenheimer, D.M. (2006). Predicting short-term stock fluctuations by using processing fluency. 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