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00_Romane_atti_convegno_lecce_Layout 1 20/03/2014 09:02 Pagina I
Autori Vari
Cooperative ed enti no profit:
strumenti per la crescita,
opportunità per il professionista
Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti
ed Esperti Contabili
Fondazione Centro Studi
U.N.G.D.C.
Unione Giovani Dottori Commercialisti
ed Esperti Contabili di Lecce
00_Romane_atti_convegno_lecce_Layout 1 20/03/2014 09:02 Pagina II
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L’elaborazione dei testi, pur se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità in capo all’autore e/o
all’editore per eventuali involontari errori o inesattezze.
ISBN 978−88−6279−098-7
Finito di stampare nel mese di marzo 2014 presso Global Print S.r.l. - Gorgonzola (MI)
Indice
Indice
Profilo Autori
VII
Premessa
XI
Presentazione
XIII
PARTE I
LE SOCIETÀ COOPERATIVE
1. Le società cooperative
1.1 La forma cooperativa nel diritto societario
1.2 Cooperative a mutualità prevalente e cooperative a mutualità non
prevalente
1.3 Parametri di prevalenza mutualistica e rappresentazione in bilancio
1.4 I ristorni
1.5 La perdita della prevalenza mutualistica
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2. Il regime fiscale delle società cooperative
2.1 Il contesto normativo
2.2 Il regime fiscale delle società cooperative: le norme di carattere generale
2.3 Il regime fiscale nelle società cooperative a mutualità prevalente
2.4 Regimi fiscali inerenti particolari categorie di cooperative
2.4.1 Cooperative agricole e della piccola pesca
2.4.2 Cooperative di produzione e lavoro
2.4.3 Cooperative sociali
2.4.4 Banche di credito cooperativo
2.4.5 Cooperative di consumo
2.4.6 Cooperative a mutualità non prevalente
2.5 Il riporto delle perdite fiscali
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3. Approfondimenti
3.1 La società cooperativa per la risoluzione della crisi: workers buy out
3.1.1 Cos’è il WBO
3.1.2 Come funziona il WBO: le fasi tecniche
3.1.3 Gli strumenti per attuare il WBO
3.1.4 Il contesto necessario per il successo del WBO
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III
Indice
3.2 Lo sviluppo socio-economico del territorio attraverso lo strumento
cooperativo: le cooperative di comunità
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3.3 Cooperative e studi di settore
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3.3.1 Azione di accertamento
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3.3.2 Il problema dei ristorni
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3.3.3 Agevolazioni fiscali
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3.3.4 Cause di inapplicabilità
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3.3.5 Cooperative a mutualità prevalente
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3.3.6 Applicabilità dei parametri
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PARTE II
GLI ENTI NON PROFIT
Introduzione
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4. L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
4.1 Introduzione
4.2 L’esperienza italiana nel privato sociale e la cooperazione
4.3 L’impresa sociale: inquadramento normativo e motivi di insuccesso
4.4 Principali elementi qualificanti dell’impresa sociale
4.4.1 Nozione e forme giuridiche
4.4.2 Elementi statutari
4.4.3 Attività “principale”
4.4.4 Fine di utilità sociale
4.4.5 Assenza dello scopo di lucro e divieto di distribuzione
4.4.6 Struttura proprietaria e gruppi d’imprese
4.4.7 Responsabilità patrimoniale
4.4.8 Organo e forme di controllo
4.4.9 Operazioni straordinarie
4.5. Conclusioni
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5. La tassazione degli enti ecclesiastici tra normativa pattizia ed
agevolazioni fiscali degli enti del terzo settore
5.1 Natura dell’ente ecclesiastico e riconoscimento della personalità giuridica
agli effetti civili
5.2 Cenni sui principi riguardanti il regime di tassazione degli enti ecclesiastici
5.2.1 La specificità degli enti di tipo associativo
5.2.2. La tutela dell’identità confessionale per gli enti ecclesiastici
5.3 Le agevolazioni fiscali
5.3.1 La riduzione a metà dell’aliquota IRES ex art. 6, comma 1, lett. c),
d.p.r. 601/1973
IV
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Indice
5.3.2 L’esenzione IMU dei fabbricati degli enti ecclesiastici
5.3.3 Le agevolazioni nelle imposte sui trasferimenti
6. La raccolta fondi
6.1 Premessa
6.2 Modalità di svolgimento delle raccolte di fondi
6.2.1 Il direct mail
6.2.2 Il telemarketing
6.2.3 Imprese for profit
6.3 L’obbligatorietà del rendiconto per la raccolta fondi
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7. Il 5 per mille nel 2014
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7.1 Sostegno del volontariato e delle attività sportive dilettantistiche, soggetti
ammessi al beneficio
112
7.2 Adempimenti degli enti del volontariato e delle associazioni sportive
dilettantistiche
114
7.3 Regolarizzazione delle omissioni con la “remisione in bonis”
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7.4 Dalla pubblicazione degli elenchi al pagamento: iter
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7.5 La rendicontazione
116
8. I rendiconti degli enti non profit. Normativa e prassi nella redazione
degli schemi di Bilancio
8.1 La rendicontazione prevista dal codice civile e dalla prassi tributaria
8.2 Modalità di redazione e contenuti dei rendiconti degli enti non profit
8.3 La contabilizzazione delle liberalità
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9. Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit tra
imponibilità e problematiche amministrative
9.1 Premessa
9.2 Aspetti civilistici e di non imponibilità
9.3 Il regolamento per le semplificazioni amministrative
9.4 L’iter procedurale per poter somministrare
9.5 La somministrazione nei confronti degli associati
9.6 Il collegamento tra normativa tributaria e amministrativa
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V
Profilo Autori
Profilo Autori
Edmondo Belbello
Dottore Commercialista, revisore legale, si occupa da anni di imprese cooperative con
incarichi di gestione e controllo di importanti realtà cooperative. È vicepresidente della
Commissione cooperative dell’ODCEC di Roma e vicepresidente dell’Airces, associazione di revisori contabili delle imprese cooperative. Ha pubblicato testi sul bilancio e
sui sistemi di controllo delle imprese cooperative.
Francesco Capogrossi Guarna
Dottore Commercialista, ODCEC Roma, revisore legale e giornalista pubblicista.
E’ stato componente di commissioni di studio, anche nazionali, e membro
dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà (Tavolo tecnico non profit).
E’ Presidente della Commissione di studio “Enti non profit” dell’Ordine dei Dottori
commercialisti ed esperti contabili di Roma. E’ membro del Gruppo sull’imprenditoria
sociale (GECES) presso il Min. Lav. pol. sociali Dir. Gen. Terzo Settore e membro del
Gruppo di lavoro su “Implicazioni normative e fiscali” della Task Force G8 sulla Social
Impact Investment.
Svolge attività pubblicistica su quotidiani nazionali, riviste e siti internet (Wolters Kluwer
Ipsoa, Italia Oggi, Buffetti, Il Sole 24 Ore, Eutekne) in materia giuridica, tributaria e contabile. E’ autore e co-autore di volumi sugli enti non lucrativi.
Relatore in convegni sul non profit, docente presso la Scuola Superiore Economia e
Finanze, al Master tributario Ezio Vanoni ed Euroconference.
Bianca D’Agostinis
Dottore Commercialista, iscritta presso l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli
Esperti Contabili di Lecce, e Revisore Legale dei Conti. È Dottore di Ricerca in Economia Aziendale presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Bari; è Assegnista di Ricerca presso la Facoltà di Economia dell’Università del Salento. È autrice di
monografie e articoli in materia di bilancio di esercizio, principi contabili nazionali e internazionali, informativa contabile per le piccole e medie imprese, revisione legale dei
conti, private equity.
Sebastiano Di Diego
Dottore Commercialista, revisore contabile, docente di economia e gestione delle imprese. È autore di numerose pubblicazioni.
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VII
Profilo Autori
Andrea Dili
Dottore Commercialista, revisore legale, docente di fiscalità cooperativa al master di II
livello in “Impresa cooperativa: economia, diritto e management” presso l’Università di
Roma Tre. Docente ai corsi di formazione di revisori cooperativi promossi dalle principali centrali cooperative, è autore di testi e articoli su temi economici, fiscali e societari.
Sugli stessi temi ha partecipato in qualità di relatore a convegni e tavole rotonde e ha
preso parte a dibattiti televisivi e radiofonici.
Ilenia Errico
Dottore Commercialista, ODCEC Roma, revisore legale.
E’ Consigliere nel Consiglio Direttivo dell’Unione Giovani Dottori Commercialisti e degli
Esperti Contabili di Roma dal 2013.
Componente della Commissione di studio “Il Collegio sindacale e la Revisione legale”
della UGDCEC di Roma e componente della Commissione di studio “Il processo tributario” della UNGDCEC.
Svolge attività di relatrice nei seminari organizzati dall’UGDCEC di Roma e dall’ODCEC
di Civitavecchia per la preparazione dei tirocinanti all’Esame di Stato di Dottore Commercialista.
Antonio Fiorilli
Dottore Commercialista, ODCEC Roma, revisore legale.
Dottore di ricerca in diritto tributario presso l’Università di Roma “Tor Vergata”.
E’ docente aggiunto presso il Master di II livello in Diritto Tributario Professionale della
stessa Università, presso l’Accademia della Guardia di Finanza e presso la Scuola di
formazione professionale “Aldo Sanchini”. E’ collaboratore della Fondazione Studi Tributari.
E’ stato componente della Commissione di studio “Enti non profit e cooperative”
dell’Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti.
Autore di numerosi articoli in materia tributaria su riviste specializzate, relativi ad enti
senza scopo di lucro, con particolare attenzione agli enti ecclesiastici.
Giorgio Gentili
Dottore Commercialista, revisore legale e revisore di società cooperative. Presidente
della Commissione “Controllo legale dei conti” dell’ODCEC di Macerata. Componente
delle Commissioni “Revisione legale”, “Collegio sindacale”, “Responsabilità amministrativa ex d.lgs. 231/2001” dell’UNGDCEC. Si occupa prevalentemente di consulenza societaria, operazioni straordinarie, valutazioni aziendali, due diligence, revisione legale
dei conti, compliance ex d.lgs. 231/2001, cooperative ed enti non profit. Relatore in
numerosi convegni di aggiornamento professionale, è autore di monografie ed articoli
in varie materie professionali.
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Profilo Autori
Salvatore Giordano
Dottore Commercialista, svolge la propria attività professionale quale partner fondatore
dello studio associato Alari-Giordano di Salerno. Ha maturato specifiche competenze,
oltre che in materia di diritto societario e finanza aziendale, in diritto tributario e contabilità fiscale delle imprese. Esperto contabilità e bilancio Ipsoa. Relatore e pubblicista. Tra
gli altri libri ha pubblicato un testo su bilancio e fiscalità delle cooperative.
Andrea Liparata
Dottore Commercialista, ODCEC Roma, revisore legale.
Ha ricoperto diversi incarichi istituzionali presso l’ODCEC e L’UGDCEC di Roma, attualmente è componente del comitato scientifico del centro studi dell’UNGDCEC.
Ha una collaborazione di 10 anni con pubblicazione di numerosi articoli e risposte a
quesiti dei lettori in materia tributaria, del non profit e privacy con il gruppo Il Sole 24
Ore e il gruppo Class Editori.
Svolge abitualmente docenze in materia tributaria, del non profit e privacy, nei confronti
di dipendenti e dirigenti aziendali, iscritti ad ordini professionali, dipendenti e dirigenti di
enti pubblici.
È stato autore/coautore di numerose pubblicazioni in materia fiscale e di enti non profit.
Valentina Papa
Dottore Commercialista, ODCEC Civitavecchia, e revisore legale.
Laureata presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di “Roma Tre” con
Tesi in Diritto Tributario su “Le Onlus: inquadramento delle Organizzazioni non lucrative
di utilità sociale nell’ordinamento giuridico italiano”.
E’ Vicepresidente dell’Unione Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Civitavecchia; componente delle commissioni di studio dell’UNGDCEC “Processo Tributario” dal 2012 e “Cooperative ed Enti No Profit” dal 2013.
E’ componente delle commissioni “Tirocinio” e “Cooperative ed Enti no Profit” presso
l’Ordine di Civitavecchia dal 2013.
Lorenzo Portento
Dottore Commercialista, ODCEC Roma, revisore legale.
Membro della commissione di studio Enti Non Profit dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Roma; relatore in convegni di formazione professionale
continua presso l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma in
materia non profit: aspetti civilistici e tributari di Enti non profit, Onlus, Organizzazioni di
volontariato, Associazioni di Promozione Sociale.
Consulente di enti non profit a carattere nazionale nel mondo dello scautismo e del volontariato.
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Profilo Autori
Mirko Simone
Dottore Commercialista e Revisore Contabile dal 2002. Esperto e specialista nella trattazione societaria, fiscale e del lavoro inerente le Società Cooperative. Revisore di
Cooperative iscritto all’Albo Nazionale dei Revisori Cooperativi – Legacoop. Responsabile del Centro Servizi Legacoop di Lecce. Presidente dell’UGDCEC di Lecce dal 2012.
Presidente della Commissione Società Cooperative dell’UNGDCEC. Revisore dei conti
dal 2005 al 2012 del Coni di Lecce. Docente in diversi corsi di formazione finanziata.
Sindaco in molteplici società cooperative.
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Premessa
Premessa
di Alessandro Lini
I lavori del 52° congresso UNGDCEC sono dedicati al mondo del cosiddetto terzo settore. L’Unione ha deciso di confrontarsi con il mondo della mutualità e della solidarietà
invitando a partecipare al proprio congresso esponenti del mondo cooperativo e del no
profit per affrontare, con il loro autorevole apporto, argomenti di estrema attualità e delicatezza.
I contributi proposti in questa pubblicazione vogliono essere per il lettore una guida,
una breve introduzione ai temi che verranno affrontati e dibattuti tra sessioni e workshop.
Nella prima parte, dedicata al mondo delle cooperative, dopo aver passato in rassegna
le peculiarità del mondo cooperativo, il regime fiscale e gli aspetti legati agli studi di settore nelle stesse, si illustrano alcune delle opportunità che possono essere perseguite
nella risoluzione delle crisi d’impresa (workers buy out) e nello sviluppo socio economico del territorio attraverso (cooperative di comunità).
La seconda parte della pubblicazione è dedicata al mondo degli enti associativi. Qui si
affrontano le tematiche principali che interessano principalmente tutti gli enti non commerciali (rendiconti, raccolta fondi, 5 x mille), presentando poi alcuni approfondimenti
sulle tematiche relative all’impresa sociale, alla tassazione degli enti ecclesiastici ed alla
somministrazione nei circoli.
Da parte mia non posso che rivolgere un ringraziamento ai colleghi Andrea Dili ed Andrea Liparata, componenti del comitato scientifico della Fondazione Centro Studi, per
aver svolto, nelle rispettive aree di competenza, il ruolo nevralgico di curatore, ma naturalmente il mio grazie va anche a tutte le colleghe ed i colleghi che, a testimonianza
dello “spirito unione”, si sono prodigati per la stesura degli interventi che troverete in
questa pubblicazione.
Un ultimo ringraziamento infine va alla collega Raffaella Liccione, attuale Vicepresidente
e delegata di Giunta alla materia per il lavoro fatto dalle commissioni di studio dedicate
al terzo settore che hanno rappresentato per l’occasione una vera fucina di idee per la
realizzazione della parte scientifica dei lavori congressuali
Lecce, 3 aprile 2014
Alessandro Lini
Presidente Fondazione Centro Studi Ungdc
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XI
Presentazione
Presentazione
di Andrea Dili
Il rapporto sulla cooperazione italiana negli anni della crisi, presentato recentemente da
Euricse e Alleanza delle Cooperative Italiane, traccia un quadro significativo dell’impatto
del fenomeno cooperativo sull’economia italiana.
Alcuni dati risultano particolarmente significativi: il numero delle cooperative attive sul
territorio nazionale è stimato tra le 55.000 e le 60.000 unità. Esse danno lavoro a un
numero di addetti compreso tra 1,2 e 1,3 milioni (dato che sale a 1,75 milioni se si
considerano i lavoratori stagionali), gran parte dei quali assunti a tempo indeterminato,
e realizzano un valore aggregato della produzione superiore ai 120 miliardi di euro.
L’impatto complessivo della cooperazione sull’economia del nostro Paese vale il 10%
del Pil e l’11% dell’occupazione.
Si tratta evidentemente di un fenomeno di primaria rilevanza, spesso poco studiato e
non adeguatamente conosciuto da molti operatori economici, un fenomeno divenuto
ancora più interessante e attuale in un periodo di forte crisi economica stante la funzione anticiclica svolta dalle società cooperative: dai dati, infatti, si evince chiaramente la
maggiore capacità di tenuta di tale modello imprenditoriale nei momenti di difficoltà del
sistema produttivo.
Partendo da queste premesse abbiamo cercato di fornire al lettore una panoramica
sulle fattispecie più interessanti che ineriscono al fenomeno della cooperazione, avendo specifico riguardo all’attività del commercialista: partendo da una analisi delle principali peculiarità tracciate dal diritto societario e soffermandoci successivamente sulle
numerose possibilità offerte dal diritto tributario in termini di benefici fiscali.
Abbiamo voluto poi dedicare l’ultimo capitolo a tre questioni particolarmente attuali: la
prima, il workers buy out in forma cooperativa, strumento che negli ultimi anni ha visto
realizzare sul campo numerose esperienze di successo e importante opportunità professionale per i commercialisti; la seconda, le cooperative di comunità, ovvero enti che
intercettano il bisogno di garantire alla propria comunità territoriale uno sviluppo non
tanto o non soltanto economico quanto piuttosto sociale e culturale; la terza, infine, attiene a una problematica più prettamente legata all’esercizio della professione di dottore commercialista, ovvero l’applicazione degli studi di settore alle società cooperative.
L’auspicio è che tale pubblicazione possa fornire utili e pratici spunti tanto ai colleghi
che già si occupano professionalmente di società cooperative come a coloro che, al
contrario, pur incuriositi dalla materia non hanno ancora avuto l’opportunità di cimentarvisi.
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XIII
Parte I
Le società cooperative
Capitolo 1 – Le società cooperative
 1.
Le società cooperative
di Edmondo Belbello
 1.1 La forma cooperativa nel diritto societario
Si deve alla riforma del diritto societario del 2003 una prima e completa regolamentazione della impresa cooperativa direttamente nel codice civile. Prima di essa, infatti, la
sua disciplina era affidata alla “vecchia” legge Basevi1, poi ridefinita e aggiornata con la
legge n. 59/1992 con le integrazioni delle leggi speciali riguardanti specifiche tipologie
cooperative o specifici ambiti operativi (ci si riferisce ad esempio alla legislazione sulle
cooperative sociali o sulle banche di credito cooperativo).
La lettura del Titolo VI del codice civile, Capo I, rappresenta oggi un valido strumento
per la comprensione della società cooperativa, fornendo chiare indicazioni sulle sue
peculiarità, i suoi vincoli normativi ed i suoi meccanismi di funzionamento.
Il primo articolo che si incontra, il 25112, rappresenta un efficace biglietto da visita: il
legislatore ha, infatti, immediatamente inteso caratterizzare tale tipologia di impresa
mediante tre specificazioni: la prima, di natura soggettiva, evidenzia da subito che si
tratta di “società”; la seconda, di natura funzionale, introduce una immediata deroga
sullo scopo di tale società, che si caratterizzerebbe non per l’aspettativa di lucro quanto piuttosto per la ricerca di mutualità; la terza, di natura operativa, ne specifica un
elemento caratterizzante ed in netta contrapposizione con quanto stabilito per le imprese di capitali, e cioè la variabilità del capitale, specificazione profondamente connessa e diretta conseguenza delle prime due.
In quanto “società”, è chiaro che trattasi di attività di impresa svolta con precisa veste
giuridica, del tutto equiparata alle ordinarie società di capitali. In tal senso, si esprime
l’art. 2519 secondo cui alle cooperative si applicano le disposizioni delle società per
azioni, in quanto compatibili.
La norma non chiarisce cosa si intenda per scopo mutualistico, provvedendo anzi ad
una ulteriore declinazione del principio attraverso il successivo articolo del codice in cui
si parla di mutualità prevalente.
Il principio, peraltro costituzionalmente garantito3, non risultando direttamente descritto
nelle attuali norme, trova una sua efficace definizione nella relazione ministeriale di ac-
------------------------------------------1
Si tratta del d.lgs. del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577 che viene comunemente
citata e ricordata come “legge Basevi”, in ossequio all’allora ispiratore del testo normativo.
2
«Le cooperative sono società a capitale variabile con scopo mutualistico iscritte all’albo delle cooperative».
3
Secondo l’art. 45 della Costituzione «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i
mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità».
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3
Capitolo 1 – Le società cooperative
compagnamento al vecchio codice civile del 1942, secondo cui mutualità “consiste nel
fornire beni o servizi o condizioni di lavoro direttamente ai membri della organizzazione
a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato”.
In altre parole, il socio di una cooperativa instaura un rapporto associativo dove la finalità primaria non è il lucro (ovvero massimizzare il rendimento del capitale investito nella
società) ma, piuttosto, la possibilità di ricevere, nel momento in cui realizza lo scambio
mutualistico con la cooperativa, condizioni migliori di quelle che otterrebbe realizzando
analogo scambio in altre tipologie societarie presenti nel mercato. Oggetto dello scambio sarà la prestazione del socio nei confronti della società secondo il seguente schema:
 il socio svolge la propria prestazione lavorativa per la cooperativa: si attende
dunque condizioni lavorative ed una retribuzione migliori di quelle mediamente
offerte dal mercato;
 il socio è utente della cooperativa: vuole quindi acquisire beni o servizi dalla
cooperativa a qualità e prezzi migliori di quelli mediamente offerti dal mercato;
 il socio è un imprenditore che fornisce beni o servizi alla cooperativa: si attende
una valorizzazione dei prodotti e servizi conferiti a condizioni migliori di quelle
mediamente ottenibili dal mercato.
Si assiste dunque ad una sorta di capovolgimento della visione tradizionale di impresa:
il conferimento di capitale rappresenta la prestazione principale del socio di una società
di capitali e l’ottenimento di una remunerazione di quel capitale ne costituisce lo scopo.
Nella cooperativa, al contrario, c’è un soggetto che conferisce un capitale come semplice premessa per l’instaurazione del vero rapporto di scambio, che si sostanzia in
una prestazione mutualistica le cui modalità operative e la cui remunerazione risultano
completamente svincolate dal capitale conferito. I diritti patrimoniali, gestionali e di voto
del socio di una cooperativa sono completamente svincolati dalla misura del capitale
sociale. Questa è la ragione della “variabilità” del capitale: il legislatore ha preferito
semplificare le modalità operative legate al capitale sociale, per cui aumenti e diminuzioni risultano irrilevanti ai fini delle variazioni dello statuto (con ovvia semplificazione in
termini di adempimenti e costi connessi ad una deliberazione di assemblea straordinaria). Tale semplificazione normativa è finalizzata a garantire procedure di accesso ed
uscita del socio molto semplici e flessibili, in ossequio al c.d. principio della “porta
aperta”.
 1.2 Cooperative a mutualità prevalente e cooperative a mutualità non prevalente
In base alla tipologia di scambio mutualistico realizzato dal socio, le cooperative vengono generalmente classificate nei seguenti aggregati:
 cooperazione di lavoro;
 cooperazione di consumo o utenza;
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Capitolo 1 – Le società cooperative
 cooperazione di imprenditori o consortile.
Nel primo caso il rapporto mutualistico si sostanzia nella prestazione lavorativa del socio: la cooperativa può avere qualunque oggetto sociale (produzione di beni o servizi). Il
socio è contemporaneamente imprenditore (in quanto socio dell’impresa) e lavoratore,
con due distinti rapporti giuridici4: quello di lavoro (in cui vengono ormai riconosciute
forme anche flessibili ed a tempo determinato) e quello associativo. Il socio rischia il
proprio capitale nell’attività di impresa, ma si attende un trattamento migliore della propria prestazione lavorativa, in caso di risultati positivi, rispetto a quello ottenibile in una
società tradizionale. La divisione dell’eventuale avanzo gestionale, come specificato di
seguito, non è legata (se non in misura residua ed eventuale) all’entità dell’apporto di
capitale ma alla quantità di lavoro prestato.
All’interno di tale tipologia assume particolare rilevanza la cooperazione sociale. Si tratta di soggetti che hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla
promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso:
a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi;
b) lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate5.
Nelle cooperative di consumo, o utenza, il socio acquisisce beni e servizi dalla cooperativa a condizioni più vantaggiose di quelle di mercato. Gli esempi principali si riscontrano nelle cooperative di consumo in senso stretto, in cui il socio acquista beni di consumo ottenendo prezzi e condizioni di sconto migliori rispetto agli stessi acquisti fatti in
altri punti vendita o effettuati da non soci. Esistono poi cooperative di abitazione, in cui
il socio acquista la propria casa dalla cooperativa o il diritto di abitarla6 a condizioni più
favorevoli. Oppure l’esempio delle banche di credito cooperativo in cui i soci intrattengono rapporti, di credito e debito, a condizioni di tasso o spesa migliori rispetto ad altre
banche. Rispetto alla cooperazione di lavoro si verifica un diverso grado di attaccamento del socio alla cooperativa, in quanto il perfezionamento dello scambio non
comporta la contemporanea sussistenza di ulteriori rapporti giuridici. Il socio, in quanto
utente dei servizi, ne determina la qualità e le modalità di somministrazione.
Il terzo caso si caratterizza per il requisito imprenditoriale del socio: l’imprenditore si
associa con altri imprenditori per gestire in comune una o più fasi dell’impresa. Può essere il caso di una cooperativa di taxisti o di trasportatori, in cui ogni socio è titolare
della propria licenza ma decide di gestire in comune alcuni aspetti dell’attività. O il caso
------------------------------------------4
Giova in proposito ricordare la legge 3 aprile 2001, n. 142, “Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore” in cui è stata riconosciuta l’esistenza e
la tutela di un rapporto lavorativo distinto da quello associativo.
5
Di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381.
6
La distinzione si riferisce alla presenza di cooperative di abitazione “a proprietà divisa” in cui, una volta terminati gli alloggi, vengono girati in proprietà ai soci (risolvendosi dunque la prestazione mutualistica), o “a
proprietà indivisa” in cui gli alloggi rimangono di proprietà della cooperativa che li assegna in godimento ai
soci.
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Capitolo 1 – Le società cooperative
di cooperative agricole di conferimento, in cui i soci conferiscono il proprio prodotto (ad
esempio uva, latte, ecc.) che poi la cooperativa si occuperà di trasformare e commercializzare. I soci si attendono una valorizzazione del proprio conferimento a livelli uguali
o maggiori di quelli di mercato.
La realizzazione dello scambio mutualistico in una delle tre categorie esaminate rappresenta il presupposto della società cooperativa. Tuttavia, la citata riforma del diritto
societario ha comportato l’introduzione di una declinazione dell’impresa cooperativa in
due differenti tipologie: le cooperative a mutualità prevalente e quelle diverse.
Pur venendo ribadita una unica species di società cooperativa, ne viene poi identificata
una duplice applicazione in relazione al concetto di “mutualità prevalente”. È come se
fosse stato introdotto un indice di meritevolezza da parte del legislatore, in base al quale la realizzazione della propria attività, prevalentemente con i soci, rappresenterebbe la
vera essenza della impresa cooperativa che, pertanto, verrebbe premiata con il pieno
godimento delle agevolazioni previste dalla normativa (soprattutto fiscali). Per essere
“prevalente” una cooperativa deve prevedere:
 un requisito statutario, ovvero la presenza nello statuto delle limitazioni previste
dall’art. 2514 c.c.;
 un requisito gestionale, ovvero il raggiungimento di livelli gestionali in linea con i
parametri fissati dagli artt. 2512 e 2513 c.c..
In sintesi, il requisito statutario viene rispettato se:
1) è previsto il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse
massimo dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti e mezzo rispetto al
capitale effettivamente versato;
2) è previsto il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione
ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo
previsto per i dividendi;
3) è previsto il divieto di distribuire le riserve tra i soci cooperatori;
4) è previsto l’obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento, dell’intero patrimonio sociale, dedotto solo il capitale sociale ed i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici di cui alla legge n. 59/1992.
Il requisito gestionale presuppone che, a seconda della diversa tipologia di scambio
mutualistico, le cooperative:
1) svolgano la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o
utenti di beni o servizi;
2) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci;
3) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti
di beni o servizi da parte dei soci.
È necessario ribadire che la prevalenza rappresenta una qualificazione aggiuntiva che
lascia comunque salva la natura mutualistica dell’impresa: anche in mancanza di prevalenza, infatti, si è in presenza di società cooperativa, con conseguente applicabilità di
tutta la normativa specifica non direttamente connessa alla qualificazione di prevalente.
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Capitolo 1 – Le società cooperative
La differenza più rilevante risiede nella impossibilità di godere dei benefici fiscali pieni
che la legge riserva alle sole prevalenti.
 1.3 Parametri di prevalenza mutualistica e rappresentazione in bilancio
Come tutte le prestazioni effettuate o ricevute dall’impresa, anche quella mutualistica
deve trovare corretta rappresentazione nel bilancio di esercizio. Avendo definito che
alle società cooperative si applicano, in mancanza di norme specifiche ed in quanto
compatibili, le norme delle società per azioni, ne consegue che la redazione del bilancio dovrà seguire le regole previste dagli articoli 2423 e seguenti, eventualmente integrate da quanto disciplinato nel Titolo VI.
Si dovrà quindi verificare se, nelle norme previste dagli articoli 2511 e seguenti del c.c.,
esista un riferimento a specifici temi di bilancio. Analizzando le norme si possono elencare i seguenti punti:
1) art. 2512, comma 2: necessità di depositare annualmente il bilancio presso
l’Albo delle cooperative, cui la cooperativa deve iscriversi al momento della costituzione;
2) art. 2513, comma 1: gli amministratori e sindaci debbono documentare nella
nota integrativa la condizione di prevalenza mediante evidenziazione contabile
dei relativi dati gestionali;
3) art. 2528, comma 5: gli amministratori devono illustrare nella relazione al bilancio le ragioni delle determinazioni assunte con riguardo alla ammissione dei
nuovi soci (cioè il carattere aperto della cooperativa);
4) art. 2545: gli amministratori e sindaci devono indicare nelle loro relazioni specificamente i criteri seguiti nella gestione sociale per il conseguimento dello scopo mutualistico;
5) art. 2545-sexies: le cooperative devono riportare separatamente nel bilancio i
dati relativi all’attività svolta con i soci, distinguendo eventualmente le diverse
gestioni mutualistiche;
6) art. 2545-octies, comma 2: nel caso di perdita della qualifica di cooperativa a
mutualità prevalente a causa della soppressione delle clausole statutarie ex
art. 2514 c.c., gli amministratori devono redigere un apposito bilancio da notificare al Ministero delle attività produttive, al fine di determinare il valore effettivo dell’attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili;
7) art. 2545-undecies: disciplina del bilancio di trasformazione.
Tralasciando i richiami ad eventi straordinari della gestione aziendale (perdita della prevalenza e trasformazione), appare evidente il continuo richiamo alla completa ed adeguata rappresentazione, nel bilancio di una società cooperativa, della mutualità, sia in
termini generali che in termini specifici di prevalenza.
Nel disciplinare la prevalenza, il legislatore ha indirettamente evidenziato in quali voci
del bilancio viene rappresentata la prestazione mutualistica. Poiché però le stesse voci
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Capitolo 1 – Le società cooperative
accolgono anche le prestazioni riferite a non soci, andrà correttamente calcolata e rappresentata la percentuale riferita ai soli soci che misurerà l’indice di prevalenza.
L’art. 2513 prevede che:
a) i ricavi delle vendite dei beni e delle prestazioni di servizi verso i soci siano superiori al cinquanta per cento del totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni ai sensi dell’art. 2425, comma 1, punto A1;
b) il costo del lavoro dei soci sia superiore al cinquanta per cento del totale del
costo del lavoro di cui all’art. 2425, comma 1, punto B9, computate le altre
forme di lavoro inerenti lo scopo mutualistico;
c) il costo della produzione per servizi ricevuti dai soci ovvero per beni conferiti
dai soci sia rispettivamente superiore al cinquanta per cento del totale dei costi
dei servizi di cui all’art. 2425, comma 1, punto B7, ovvero al costo delle merci
o materie prime acquistate o conferite, di cui all’art. 2425, comma 1, punto
B6.
Vediamo quindi nel dettaglio come procedere per il calcolo degli indici.
Cooperative di consumo e di utenza
Ricavi vendite nei confronti soci (in A1)
Totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni (tot A1)
X 100 > 50%
Dati rilevanti
Conto economico
A) Valore della produzione
1) Ricavi delle vendite e delle prestazioni
a) Ricavi delle vendite verso i soci
b) Ricavi delle vendite verso terzi
Calcolo della prevalenza
€ 1.500
€ 1.000
€ 500
1.000 x 100 = 66,67%
1.500
Eventuali ricavi posizionati in A1, relativi ad attività non caratteristica (che quindi andrebbero più correttamente indicati in A5), non debbono rientrare nel denominatore.
Cooperative di lavoro
Costo prestazioni lavoro soci (in B9 e B7)
Totale costo del lavoro (tot B9 + B7 solo inerenti il rapporto mutualistico)
X 100 > 50%
Va sottolineato che il denominatore non dovrà contenere la parte di B7 riferita ai costi
per servizi estranei al rapporto mutualistico (es. consulenze varie, oneri bancari, ecc.).
Precisazioni per il calcolo della prevalenza:
 Lavoro interinale: dovrà considerarsi solo la parte riferita al lavoro, mentre andrà esclusa la quota servizi addebitata dalla società interinale;
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Capitolo 1 – Le società cooperative


Lavoratori assunti per vincoli: se assunti per vincoli di legge, di CCNL o di convenzioni con la Pubblica Amministrazione, e che, quindi, non possono essere
soci, il relativo costo non va considerato ai fini del calcolo;
Compensi amministratori: se relativi ad amministratori che sono anche soci lavoratori, poiché non si riferiscono al rapporto mutualistico non possono influenzare il calcolo della prevalenza.
Dati rilevanti
Conto economico
B) Costi della produzione
7) per servizi
a) per prestazioni lavoro soci
b) per prestazioni lavoro terzi
c) altri servizi
9) per il personale
a) da soci
b) da terzi
€ 800
€ 100
€ 200
€ 500
Calcolo della prevalenza
700 x 100 = 53,85%
1.300
€ 1.000
€ 600
€ 400
Cooperative di conferimento
Costi per l’acquisto di materie prime da soci (in B6)
Totale dei costi per l’acquisto di materie prime (tot B6)
Dati rilevanti
Conto economico
B) Costi della produzione
6) per materie prime
a) da soci
b) da terzi
€ 1.000
€ 600
€ 400
X 100 > 50%
Calcolo della prevalenza
600 x 100 = 60%
1.000
In deroga a quanto detto sopra, il terzo comma dell’art. 2513 del codice civile individua
uno speciale metodo di calcolo della prevalenza per le cooperative agricole, intendendosi come tali le cooperative che esercitano le attività di cui all’art. 2135 del codice civile.
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Capitolo 1 – Le società cooperative
Quantità dei prodotti conferiti dai soci
Quantità totale dei prodotti acquisiti
X 100 > 50%
oppure:
Valore dei prodotti conferiti dai soci
Valore totale dei prodotti acquisiti
X 100 > 50%
Cooperative di servizi
Costo per prestazioni servizi dei soci (in B7)
Totale dei costi per servizi inerenti il rapporto mutualistico (in B7)
Dati rilevanti
Conto economico
B) Costi della produzione
7) per servizi
a) per servizi da soci
b) per servizi da terzi
(inerenti scambio mutualistico)
c) altri servizi
€ 800
€ 200
X 100 > 50%
Calcolo della prevalenza
200 x 100 = 66,67%
300
€ 100
€ 500
Cooperative miste
Le cooperative miste, realizzando contestualmente più tipi di scambio mutualistico, sono chiamate a documentare la prevalenza attraverso il calcolo della media ponderata
degli indici calcolati con riferimento alle diverse gestioni mutualistiche.
A1 SOCI + B6 SOCI + B7 SOCI + B9 SOCI
A1 TOT + B6 TOT + B7 TOT + B9 TOT
Dati rilevanti
Conto economico
A) Valore della produzione
1) Ricavi delle vendite
€ 5.000
a) Ricavi delle vendite verso soci € 2.800
b) Ricavi delle vendite verso terzi € 2.200
10
X 100 > 50%
Calcolo della prevalenza
2.800 + 1.200 x 100 = 57%
5.000 + 2.000
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Capitolo 1 – Le società cooperative
B) Costi della produzione
7) Costo per servizi
a) Servizi dei soci
b) Servizi di terzi
€ 2.000
€ 1.200
€ 800
Precisiamo, infine, che per espressa previsione di legge, risultano esonerati dalla dimostrazione della prevalenza i seguenti soggetti:
 Cooperative sociali;
 Banche di credito cooperativo;
 Banche popolari;
 Consorzi agrari.
Inoltre, con specifico decreto del 30 dicembre 2005, il Ministero delle attività produttive
ha previsto una serie di regimi derogatori per particolari categorie di cooperative ed in
caso di eventi straordinari.
 1.4 I ristorni
Nella società cooperativa, come accennato, il socio si attende una remunerazione della
propria prestazione a condizioni migliori di quelle mediamente praticate dal mercato.
Va chiarito che il miglior trattamento riconosciuto al socio non deve riferirsi esclusivamente ad aspetti quantitativi, potendo (rectius, dovendo) riferirsi anche ad aspetti qualitativi.
Dal punto di vista quantitativo, e dunque riferendosi al trattamento economico, esistono due momenti in cui esso si sostanzia: nel corso dell’esercizio, come normale remunerazione di una prestazione; a fine esercizio, come ulteriore valorizzazione della prestazione, in relazione al risultato dell’impresa.
Nella cooperativa di lavoro il socio percepisce il proprio stipendio in corso d’anno in
base a quanto previsto dagli accordi contrattuali. Il socio di una cooperativa di conferimento di prodotti agricoli, riceve il pagamento del proprio prodotto in corso d’anno
mediante acconti in relazione al prezzo mediamente sostenibile dalla gestione. Il socio
di una cooperativa di consumo compra beni dalla cooperativa nel corso dell’anno ai
prezzi scontati. Alla fine dell’anno, verificato il risultato economico, se si è realizzato un
avanzo di gestione il socio potrà ricevere una ulteriore remunerazione della propria prestazione mutualistica. Il socio lavoratore potrà ricevere una integrazione del proprio salario come premio proporzionato alla quantità e qualità di lavoro prestato nell’anno. Il
socio conferitore potrà ricevere una integrazione del prezzo proporzionalmente alle
quantità conferite. Il socio consumatore potrà ricevere indietro una parte di quanto ha
pagato alla cooperativa, una sorta di sconto complessivo sul volume di acquisti effettuati nell’anno.
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Capitolo 1 – Le società cooperative
Il ristorno rappresenta dunque la parte di margine gestionale che può essere girata ai
soci cooperatori in proporzione alla quantità e qualità della prestazione mutualistica effettuata nell’esercizio.
Pur trattandosi di divisione di utili, esiste una profonda differenza tra ristorni e dividendi.
Il socio instaura due rapporti contemporanei con la cooperativa: un rapporto associativo, cui corrisponde il dovere di sottoscrizione e versamento del capitale ed il diritto alla
sua proporzionale remunerazione; un rapporto mutualistico, cui corrisponde il dovere
di effettuare la prestazione (lavorare, consumare, conferire, ecc.) ed il diritto di vederla
proporzionalmente remunerata. Si dividono gli utili in proporzione al capitale versato, si
ristorna l’avanzo di gestione in proporzione alle prestazioni effettuate.
Si può parlare di diritto al ristorno ed al dividendo, nella misura in cui tali istituti siano
stati disciplinati dallo statuto e da specifico regolamento interno. Diverse valutazioni potranno portare i soci a destinare in altre direzioni gli avanzi di gestione. Nella misura in
cui lo scopo della cooperativa è mutualistico, il ristorno dovrebbe rappresentare la primaria forma di divisione dell’avanzo tra i soci. Gli amministratori dovranno ovviamente
rendere compatibile la massima soddisfazione dei soci con la salvaguardia
dell’equilibrio economico, patrimoniale e finanziario della cooperativa, ricercando il migliore mix tra destinazioni esterne ed interne al patrimonio sociale. In tale direzione va la
previsione di cui all’art. 2545-sexies secondo cui l’assemblea può deliberare la ripartizione del ristorno anche mediante aumento proporzionale del capitale o emissione di
strumenti finanziari. Si tratta di un intelligente compromesso tra riconoscimento economico al socio e salvaguardia finanziaria della cooperativa, cui è stato riconosciuto
anche un certo beneficio fiscale in quanto la tassazione in testa al socio è rinviata
all’effettiva monetizzazione (che si avrà con la restituzione del capitale) e sarà riferita alla
normativa sui redditi di capitale (e non, nel caso di soci lavoratori, ai redditi di lavoro).
Il ristorno può essere trattato contabilmente in due differenti modalità:
 distribuzione di utile: non si avranno effetti nel bilancio cui si riferisce l’avanzo
distribuito;
 contabilizzazione nel conto economico: viene inserita una componente negativa nel bilancio dell’esercizio, nella stessa voce in cui vengono registrate le
transazioni con i soci.
Entrambe le modalità sono accettate dalle regole contabili e fiscali; tuttavia, il trattamento suggerito (in termini di maggiore trasparenza del bilancio) è il primo.
Poiché la maggior parte delle cooperative predilige la contabilizzazione a conto economico, è utile analizzare alcuni effetti che derivano da questa metodologia.
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Capitolo 1 – Le società cooperative
Considerando la seguente schematizzazione,
Tipologia di cooperativa
Cooperativa che si avvale del lavoro
dei soci
Cooperativa che si avvale
dell’apporto di beni e servizi dei soci
Cooperativa che svolge la propria
attività con soci utenti e consumatori
Ristorno
Integrazione salariale
Integrazione del prezzo
dell’apporto
Restituzione di una parte del prezzo pagato
Rappresentazione
conto economico
Integrazione voce B9) a
Integrazione voce B6) o B7)
Rettifica voce A1)
si evidenzia come la contabilizzazione a conto economico dei ristorni incida sul calcolo
degli indici di prevalenza in quanto va ad integrare le stesse voci di costo e ricavo utilizzate ai sensi dell’art. 2513 c.c..
Lo stesso Ministero delle attività produttive, il 13 gennaio 2006, ha emesso una specifica circolare in cui ribadisce che “i ristorni determinati dal cda ed approvati
dall’assemblea concorrono ad incrementare il valore del rapporto mutualistico con i
soci ai fini della determinazione della mutualità prevalente; la loro approvazione potrà
avvenire in una assemblea convocata ad hoc o nella stessa assemblea di bilancio, subito prima della approvazione del documento”.
Tale incidenza genera effetti positivi o negativi a seconda della tipologia mutualistica.
Nelle cooperative in cui il ristorno comporta un incremento della voce di costo relativa
allo scambio mutualistico (lavoro, servizio, conferimento) si ha un effetto positivo
sull’indice di prevalenza; nelle cooperative in cui il ristorno rettifica i ricavi (consumo,
utenza) si assiste ad un effetto negativo7.
 1.5 La perdita della prevalenza mutualistica
Ai sensi dell’art. 2545-octies c.c., si perde la prevalenza per il mancato raggiungimento, per due anni consecutivi, dei parametri gestionali di cui all’art. 2513 o per la volontaria soppressione delle clausole statutarie limitative di cui all’art. 2514.
------------------------------------------7
Da segnalare, sul punto, il documento della Commissione cooperative del CNDC sul ristorno nelle cooperative di utenza, in cui si propone una contabilizzazione del ristorno nella voce A5 del conto economico. Parrebbe tuttavia una strada poco percorribile in quanto sicuramente contraria a corretti principi contabili (in base alla natura della voce) ed all’art. 2425-bis (in base alla classificazione delle voci). In caso di effetti realmente penalizzanti, tali da porre in discussione la prevalenza, potrebbe essere opportuno propendere per un trattamento contabile del ristorno come distribuzione di utile o, in extremis, creare una voce A1 bis in cui registrare il ristorno: tale voce, non essendo prevista dall’art. 2513, potrebbe essere esclusa dal calcolo
dell’indice.
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Capitolo 1 – Le società cooperative
La perdita della prevalenza produce rilevanti effetti sia dal punto di vista giuridico che
operativo. Tuttavia, per comprendere a pieno tali conseguenze è opportuno integrare il
codice civile con ulteriori precisazioni.
Sul punto va infatti ricordato l’intervento normativo della c.d. legge sviluppo (n.
99/2009) che ha semplificato gli adempimenti connessi alla perdita della prevalenza nei
casi in cui non siano soppresse le clausole statutarie ex art. 2514 c.c.
La norma, ora integrata nel terzo comma dell’art. 2545-octies, dispone, infatti, che
“qualora la cooperativa abbia perso la qualifica di cooperativa a mutualità prevalente
per il mancato rispetto della condizione di prevalenza di cui all’articolo 2513, l’obbligo
di cui al secondo comma si applica soltanto nel caso in cui la cooperativa medesima
modifichi le previsioni statutarie di cui all’articolo 2514 o abbia emesso strumenti finanziari”.
Si tratta di una forte semplificazione della procedura prevista dall’articolo che verrà di
seguito esaminata.
Ulteriore precisazione è stata fornita dalla Commissione Centrale per le Cooperative –
nella seduta del 28 settembre 2005 – che ha pronunciato il seguente parere:
“nel caso di perdita della prevalenza, ai sensi degli artt. 2512 e 2513 del codice civile,
la cooperativa, dopo aver redatto il bilancio ex articolo 2545-octies del codice, può
modificare o sopprimere le clausole di cui all’art. 2514 del codice senza devolvere il patrimonio ai fondi mutualistici. Nel caso, invece, di soppressione o modifica delle clausole mutualistiche di cui all’art. 2514 in presenza della prevalenza di cui agli artt. 2512 e
2513 del codice, la cooperativa, dopo aver redatto il bilancio di cui all’articolo 2545octies del codice, devolve ai fondi mutualistici il patrimonio effettivo”. Tali conclusioni
sono state condivise anche dall’Agenzia delle Entrate nella nota del 13 febbraio 2006,
prot. 6153/2006.
Va precisato che tale previsione è stata criticata dalla dottrina prevalente, in quanto
rappresenterebbe un chiaro ed indebito superamento della gerarchia delle fonti, in cui
la Commissione Centrale per le Cooperative diviene organo derogante ad una previsione del codice civile.
Volendo schematizzare il raccordo tra le varie norme e disposizioni previste si ha il seguente quadro:
Evento
Mancato raggiungimento parametri art. 2513
senza successiva soppressione delle clausole
limitative dello statuto ex art. 2514
Mancato raggiungimento parametri art. 2513
con successiva soppressione delle clausole limitative dello statuto ex art. 2514
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Conseguenza
Comunicazione telematica di variazione sezione
all’Albo delle cooperative
Procedura completa di cui al comma 2, art.
2545-octies (pareri e bilancio straordinario)
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Capitolo 1 – Le società cooperative
Evento
Mancato raggiungimento parametri art. 2513
senza successiva soppressione delle clausole
limitative dello statuto ex art. 2514 ma con
emissione di strumenti finanziari
Soppressione delle clausole limitative dello statuto ex art. 2514, pur nel rispetto dei parametri
gestionali ex art. 2513
Conseguenza
Procedura completa di cui al comma 2, art.
2545-octies (pareri e bilancio straordinario)
Procedura completa di cui al comma 2, art.
2545-octies (pareri e bilancio straordinario) cui
si aggiunge l’obbligo di devoluzione del patrimonio residuo
L’iter operativo previsto dalla norma prevede che:
Iter ordinario
il revisore esterno, ove presente,
esprime un apposito parere sulla
situazione;
gli amministratori devono redigere un apposito bilancio;
il bilancio ha lo scopo di determinare il valore effettivo
dell’attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili;
una società di revisione deve
verificare senza rilievi tale bilancio;
il bilancio deve essere sottoposto ad approvazione;
infine, entro sessanta giorni dalla sua approvazione, il bilancio
va notificato al Ministero delle
attività produttive;
comunicazioni secondo procedura di cui all’art. 223sexiesdecies disp.att. c.c..
Iter semplificato
comunicazioni secondo procedura di cui all’art. 223sexiesdecies disp.att. c.c..
Iter straordinario
il revisore esterno, ove presente,
esprime un apposito parere sulla situazione;
gli amministratori devono redigere un apposito bilancio;
il bilancio ha lo scopo di determinare il valore effettivo
dell’attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili;
una società di revisione deve
verificare senza rilievi tale bilancio;
il bilancio deve essere sottoposto ad approvazione;
infine, entro sessanta giorni dalla sua approvazione, il bilancio
va notificato al Ministero delle
attività produttive;
devoluzione patrimonio ai fondi
mutualistici;
comunicazioni secondo procedura di cui all’art. 223sexiesdecies disp.att. c.c..
Scopo di tale procedura è di separare nettamente la fase in cui la cooperativa ha operato in regime di prevalenza (con relativo godimento dei benefici fiscali) da quella in cui
la prevalenza è venuta meno, con necessaria ridefinizione dello status operativo della
società.
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Capitolo 1 – Le società cooperative
Si vuole impedire che i soci possano appropriarsi delle riserve indivisibili reali che la
cooperativa ha creato durante il periodo di tempo in cui ha potuto godere dei benefici
fiscali.
Punto centrale della procedura è la predisposizione di un bilancio “straordinario” da cui
emerga una precisa fotografia del patrimonio effettivo della cooperativa che rimane
congelato in quanto riferito ad una gestione precedente alla perdita della prevalenza.
Sia in fase preventiva che in fase successiva al bilancio viene richiesto il parere di un
organo di controllo contabile con la seguente precisazione: il parere preventivo riguarda la verifica della effettiva esistenza delle cause che hanno determinato la perdita di
prevalenza; il parere successivo si sostanzia in un vero e proprio giudizio sul bilancio in
base ai principi di revisione legale dei conti.
Il valore patrimoniale identificato nel bilancio va considerato come il quantum che gli
amministratori, nell’eventualità di un suo effettivo realizzo negli esercizi successivi, dovranno inderogabilmente destinare alle riserve indivisibili, senza poter procedere ad una
distribuzione tra i soci di tali plusvalori. Per tale ragione, deve essere ricompreso anche
il valore dell’avviamento generato dalla cooperativa nel periodo di attività oggetto di misurazione in quanto, altrimenti, non verrebbe quantificata una parte (sia pure riferita ad
elementi immateriali) del valore della società che, in alcuni casi, può avere particolare
rilevanza.
Dovendo il bilancio mostrare il valore effettivo del patrimonio, i criteri da applicare dovranno essere quelli riferiti alla valutazione d’azienda e determinazione del capitale economico di un’impresa.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
 2. Il regime fiscale delle società cooperative
 2.1 Il contesto normativo
di Andrea Dili
Il reddito prodotto da un ente costituito sotto la forma giuridica di società cooperativa è
soggetto all’imposta sul reddito delle società: di conseguenza le norme che delineano il
sistema di tassazione dei redditi prodotti dalle società cooperative devono, innanzitutto, essere individuate nel testo unico delle imposte sui redditi: sono, dunque, applicabili
alle società cooperative le norme generali e le modalità di determinazione dell’imponibile che il legislatore ha voluto indicare in tema di IRES.
Tuttavia le disposizioni del TUIR non sono sufficienti ad esaurire la definizione di sistema fiscale riferibile agli enti cooperativi: infatti, sulla base del principio costituzionale che
qualifica una particolare e meritevole rilevanza sociale della cooperazione, il legislatore
ha nel tempo emanato una serie di norme di carattere agevolativo che hanno reso la
tassazione dei redditi prodotti dalle società cooperative almeno in parte differente rispetto a quanto previsto per la generalità dei soggetti passivi contemplati nel TUIR. In
particolare, tali disposizioni realizzano il fine di attenuare la tassazione sui redditi prodotti dalle società cooperative al verificarsi di determinati presupposti.
È altresì rilevante sottolineare come la gran parte delle norme agevolative inerenti le società cooperative siano state emanate in vigenza della vecchia IRPEG e, di conseguenza, facciano riferimento a tale imposta. Per effetto della perfetta sostituzione operata
dall’IRES, tali disposizioni sono riferibili alla tassazione dei redditi conseguiti dalle società cooperative così come viene disciplinata dalla nuova versione del TUIR e, dunque,
risultano integralmente applicabili al sistema di tassazione proprio dell’imposta sul reddito delle società.
Come accennato nelle pagine precedenti, è opportuno rimarcare che a livello fiscale
occorrerà tenere conto della profonda distinzione tra cooperative a mutualità prevalente (che usufruiscono dei benefici fiscali) e cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente – ovvero a mutualità non prevalente (che, al contrario, non godono dei benefici
fiscali1). Nelle pagine seguenti si farà generalmente riferimento alle cooperative a mutualità prevalente; mentre all’imposizione sulle società cooperative a mutualità non prevalente sarà dedicato un apposito paragrafo.
------------------------------------------1
In realtà, sebbene in maniera molto limitata, anche le cooperative a mutualità non prevalente possono godere di alcune agevolazioni fiscali.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Per quanto attiene alle cooperative a mutualità prevalente è opportuno precisare come
l’accesso al pieno godimento dei benefici fiscali dipenda preliminarmente dal soddisfacimento delle seguenti condizioni:
1) perseguimento dello scopo mutualistico;
2) rispetto dei parametri di prevalenza mutualistica di cui agli artt. 2512 e 2513
del codice civile (per alcune tipologie di cooperative il riferimento è ai cosiddetti
“regimi derogatori”; mentre altre sono espressamente esonerate dal dare dimostrazione della prevalenza);
3) previsione nel proprio statuto delle clausole di cui all’art. 2514 del codice civile;
4) iscrizione all’albo delle società cooperative nella sezione dedicata alle cooperative a mutualità prevalente;
5) adempimento dell’obbligo di versare il 3% degli utili netti annuali ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
Fatte queste premesse, le norme fiscali di carattere agevolativo disposte a favore delle
società cooperative a mutualità prevalente si possono essenzialmente classificare in
due macro categorie:
a) disposizioni dettate a favore della generalità delle società cooperative;
b) norme cosiddette “settoriali”, ovvero dettate nei confronti di ben determinate
tipologie di cooperative.
Fanno parte della prima categoria:
1) l’art. 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, che, sinteticamente, prevede
che non concorre a formare il reddito imponibile delle società cooperative e dei
loro consorzi la quota parte di utili che l’assemblea dei soci delibera di accantonare a riserva indivisibile2;
2) l’art. 21, comma 10 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che disciplina la
deducibilità delle imposte sui redditi calcolate sulle variazioni fiscali operate al
fine di determinare l’imponibile in sede di redazione della dichiarazione dei
redditi;
3) l’art. 7, comma 3 della legge 31 gennaio 1992, n. 59, che contempla che la
quota parte di utili destinati ad aumento gratuito del capitale sociale – entro i
limiti delle variazioni dell’indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo
per le famiglie di operai ed impiegati, calcolate dall’ISTAT – non concorre a
formare il reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi ai fini
delle imposte sui redditi;
4) l’art. 11, comma 9 della legge 31 gennaio 1992, n. 59, che dispone che i versamenti delle quote di utili (3%) destinati ad incrementare i fondi mutualistici
------------------------------------------2
L’art. 2545-ter del codice civile dispone che: «Sono indivisibili le riserve che per disposizione di legge o dello statuto non possono essere ripartite tra i soci, neppure in caso di scioglimento della società. Le riserve
indivisibili possono essere utilizzate per la copertura di perdite solo dopo che sono esaurite le riserve che la
società aveva destinato ad operazioni di aumento di capitale e quelle che possono essere ripartite tra i soci
in caso di scioglimento della società».
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
per la promozione e lo sviluppo della cooperazione sono esenti da imposta e
deducibili dalla base imponibile del soggetto che effettua l’erogazione.
Per quanto riguarda le norme cosiddette “settoriali”, occorre fare riferimento alle previsioni del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 601, ed in particolare:
1) all’art. 10, che prevede – al verificarsi di specifiche condizioni – l’esenzione da
imposte sul reddito per le cooperative agricole e della piccola pesca;
2) ai primi due commi dell’art. 11, che dispone – al realizzarsi di determinati presupposti – l’esenzione da imposte sul reddito ovvero il dimezzamento delle
stesse per le cooperative di produzione e lavoro (e per le cooperative sociali);
3) al terzo comma dello stesso art. 11, che contempla la deducibilità dal reddito
delle cooperative di produzione e lavoro dei ristorni assegnati ai propri soci;
4) all’art. 12, che, analogamente, ammette in deduzione dal reddito le somme ripartite tra i soci sotto forma di restituzione di una parte del prezzo dei beni e
servizi acquistati (cooperative di consumo e di utenza) o di maggiore compenso per i conferimenti effettuati (cooperative di conferimento).
Gli ultimi due articoli che il d.p.r. n. 601/1973 dedica al fenomeno cooperativistico riguardano i finanziamenti dei soci (art. 13) e, infine, una norma di chiusura (art. 14) che
definisce le condizioni per usufruire delle agevolazioni previste dagli articoli precedenti.
Fatte queste premesse, è indispensabile rimarcare che la portata della maggiore parte
di tali norme è stata progressivamente ridotta dagli interventi del legislatore volti a riformare – in termini restrittivi – il sistema di imposizione sulle società cooperative. Ci si
riferisce, in particolare:
 all’art. 6 del d.l. 15 aprile 2002, n. 63, convertito con modificazioni dalla legge
15 giugno 2002, n. 112, che ha definito il regime fiscale applicabile alle società
cooperative per i due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2001 (cosiddetto “regime transitorio”);
 ai commi da 460 a 466 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Finanziaria
2005), che ha riformato il trattamento tributario delle società cooperative;
 all’art. 82, commi da 25 a 28, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con
modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che ha rettificato il regime fiscale delle cooperative di consumo;
 all’art. 2, commi 36-bis, 36-ter e 36-quater del d.l. 13 agosto 2011, n. 138,
convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, che ha
delineato il regime fiscale attualmente vigente.
In estrema sintesi, quindi, il regime tributario delle società cooperative può essere sostanzialmente identificato con una serie di norme agevolative ormai piuttosto annose,
sulle quali il legislatore è più volte intervenuto – soprattutto per esigenze di gettito – con
il fine di limitarne gli effetti. Il modello che ne è scaturito, pertanto, è il risultato di più interventi riformatori che hanno interessato tanto le disposizioni di carattere generale,
quali l’art. 12 della legge n. 904/1977, come alcune specifiche norme di cui al d.p.r. n.
601/1973.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
 2.2 Il regime fiscale delle società cooperative: le norme di carattere
generale
di Andrea Dili
La principale norma tributaria di carattere agevolativo comune alla generalità delle società cooperative è senza dubbio contenuta nell’art. 12 della legge n. 904/1977. Essa
dispone che «fermo restando quanto disposto dal Titolo III del Decreto del Presidente
della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, e successive modificazioni ed integrazioni, non concorrono a formare la base imponibile delle società cooperative e dei loro
consorzi le somme destinate alle riserve indivisibili, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell’ente che
all’atto del suo scioglimento».
In estrema sintesi, prima dei vari interventi riformatori, tale disposizione consentiva di
non assoggettare a imposta la quota parte di utile di esercizio che l’assemblea dei soci
deliberava di destinare a riserva indivisibile3.
Fatte queste premesse, è utile precisare che il concetto di somme destinate a riserve
indivisibili attiene necessariamente ad un risultato di bilancio, del quale l’assemblea dei
soci può liberamente disporre. Pertanto, qualora l’assemblea deliberasse di accantonare parte dell’utile d’esercizio a riserva indivisibile, tale somma deve essere indicata
tra le variazioni in diminuzione del reddito, al fine di determinare l’imponibile da assoggettare a tassazione in sede di dichiarazione dei redditi annuale. Di conseguenza, tale
previsione normativa, riferendosi solamente ad una ben individuata parte del reddito
dell’esercizio (quota dell’utile netto destinata a riserva indivisibile), potrebbe non essere
sufficiente a determinare il mancato assoggettamento ad imposta dell’intero reddito
prodotto. Non sarebbe sufficiente, infatti, nei casi in cui, per effetto delle variazioni in
aumento ed in diminuzione effettuate ai sensi dell’art. 83 del TUIR, si realizzasse una
differenza positiva tra il reddito dell’esercizio, individuato per effetto dell’applicazione
delle norme fiscali, e l’utile di esercizio prodotto ed accantonato a riserva indivisibile.
Analoghe riflessioni possono essere sviluppate in merito all’applicazione delle altre
norme agevolative contenute nella legge n. 59/1992 e parimenti riferite alla generalità
delle società cooperative: esse, infatti, contemplano la possibilità di rendere non imponibili ulteriori destinazioni dell’utile netto di esercizio. In particolare, come già evidenziato, non sono sottoposte a tassazione ai fini IRES tanto la quota parte di utile destinato
ad aumento gratuito del capitale sociale, nei limiti sopra enunciati (art. 7, comma 3),
come i versamenti delle quote di utile destinate ai fondi mutualistici per la promozione e
lo sviluppo della cooperazione (art. 11, comma 9).
------------------------------------------3
In merito occorre evidenziare che il primo comma dell’art. 3 della legge 18 febbraio 1999 n. 28, interpretazione autentica dell’art. 12 legge n. 904/77, chiarisce che «l’utilizzazione delle riserve a copertura di perdite è
consentita e non comporta la decadenza dai benefici fiscali, sempre che non si dia luogo a distribuzione di
utili fino a quando le riserve non siano state ricostituite».
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
L’ulteriore norma di carattere generale dettata a favore delle società cooperative, ovvero il
comma 10 dell’art. 21 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, è una disposizione che mira
alla razionale applicazione delle altre norme agevolative: concepita, infatti, in un momento
storico in cui gli enti cooperativi avevano la possibilità di rendere non imponibile l’intera quota di utile destinata a riserva indivisibile, essa nasceva con il fine di evitare il perverso effetto
“imposte su imposte” dovuto all’utilizzo dell’art. 12 della legge n. 904/1977. In estrema sintesi tale norma stabiliva la deducibilità delle imposte sui redditi calcolate sulle variazioni fiscali effettuate ai sensi delle disposizioni del TUIR sul reddito d’impresa.
Come accennato, il regime fiscale attualmente in vigore è il risultato di una serie di interventi del legislatore che a partire dal 2002 e fino al 2011 hanno profondamente modificato l’applicazione delle disposizioni sopra esposte. La tecnica legislativa utilizzata
non ha comportato il varo di norme innovative, puntando piuttosto su interventi che
andassero a restringere il campo di applicazione delle disposizioni dettate fin dagli anni
settanta e, per questo, rendendone spesso complicata la pacifica interpretazione.
Non essendo questa la sede per ripercorrere l’excursus storico sul regime tributario
IRES degli enti cooperativi si cercherà di fornire al lettore un quadro sul regime fiscale
attualmente vigente.
A ben vedere il regime tributario delle cooperative a mutualità prevalente è oggi delineato dal comma 1 dell’art. 6 del d.l. 15 aprile 2002, n. 63 e dal comma 460 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, così come successivamente modificati4. Entrambe le
norme dispongono una parziale disapplicazione dell’art. 12 della legge n. 904/1977,
ovvero limitano la possibilità di rendere non imponibile la quota parte di utili netti destinati a riserve non divisibili.
In estrema sintesi, dunque, le regole generali di imposizione sulle società cooperative a
mutualità prevalente prevedono che l’agevolazione prevista dall’art. 12 non possa comunque trovare applicazione:
1) su una quota pari al 10% dell’utile netto annuale destinata a riserva minima
obbligatoria5;
2) su un’ulteriore quota dell’utile netto annuale pari al:
- «20 per cento per le cooperative agricole e loro consorzi di cui al decreto
legislativo 18 maggio 2001, n. 228, e per le cooperative della piccola pesca e loro consorzi»;
- «65 per cento per le cooperative di consumo e loro consorzi»;
------------------------------------------4
Le modifiche sono state operate:

dall’art. 82, comma 28, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6
agosto 2008, n. 133;

dall’art. 2 commi 36-bis e 36-ter del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla
legge 14 settembre 2011, n. 148.
5
Si ricorda che secondo quanto disposto dall’art. 2545-quater, comma 1 c.c. deve essere destinato a riserva minima obbligatoria almeno il 30% degli utili netti annuali. Di conseguenza tale limitazione (il 10% del 30%
degli utili netti) sarà pari al 3% degli utili netti annuali.
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21
Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
- « 40 per cento per le altre cooperative e loro consorzi».
Per quanto riguarda le cooperative sociali, tuttavia, in virtù del dispositivo del comma
463 della legge n. 311/20046, i limiti appena evidenziati operano soltanto sul 10%
dell’utile netto annuale destinato a riserva minima obbligatoria.
È opportuno chiarire che sebbene le limitazioni introdotte dal legislatore fiscale facciano
letteralmente riferimento a una mera parziale disapplicazione degli effetti dell’art. 12
della legge n. 904/1977, l’Agenzia delle Entrate ha più volte ribadito come esse debbano essere intese in senso più ampio, comprendendovi anche le disposizioni di cui
agli artt. 7 e 11 della legge n. 59/1992. In altre parole l’utilizzo delle agevolazioni fiscali
che prevedono esclusioni o deducibilità dal reddito imponibile sarà possibile soltanto
dopo aver assicurato a imposizione IRES:
 il 3% degli utili netti delle cooperative sociali;
 il 23% degli utili netti delle cooperative agricole e della piccola pesca;
 il 68% degli utili netti delle cooperative di consumo;
 il 43% degli utili netti delle altre cooperative.
Le società cooperative, dunque, determineranno la base imponibile IRES secondo le
seguenti regole generali:
 una quota minima degli utili netti annuali deve comunque essere sottoposta a
tassazione secondo i limiti visti sopra;
 sulla restante quota degli utili netti annuali possono essere fatte valere le agevolazioni previste dalla legge (articolo 12 della legge n. 904/1977, articolo 7 ed
articolo 11, nono comma della legge n. 59/1992);
 il delta delle variazioni fiscali in aumento e diminuzione concorre alla formazione della base imponibile;
 in virtù dell’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate sull’applicabilità
della disposizione ex comma 10 dell’art. 21 della legge n. 449/1997, rimane
deducibile una quota di IRES proporzionale alla quota di utile netto non imponibile.
La seguente tabella riepiloga il regime tributario IRES delle società cooperative con riferimento all’applicazione delle norme fiscali di carattere generale:
COOPERATIVE A
MUTUALITÀ
PREVALENTE
SOCIALI
AGRICOLE / PICCOLA
PESCA
CONSUMO
ALTRE
QUOTA UTILE
IMPONIBILE
QUOTA UTILE NON
IMPONIBILE
3%
97%
RECUPERO
VARIAZIONE IN
AUMENTO PER IRES
97%
23%
77%
77%
68%
43%
32%
57%
32%
57%
------------------------------------------6
Tale norma dispone che «Le previsioni di cui ai commi da 460 a 462 non si applicano alle cooperative sociali e loro consorzi di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381».
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Prima di sviluppare alcuni casi pratici di calcolo dell’IRES di una società cooperativa,
occorre evidenziare che le norme che sono state esposte operano soltanto nei limiti in
cui l’assemblea che approva il bilancio di esercizio delibera di destinare quota parte
degli utili a riserva indivisibile, fondo mutualistico7 e rivalutazione gratuita del capitale
sociale ex art. 7 legge n. 59/1992.
Ad esempio, una cooperativa di produzione e lavoro potrà trovarsi nelle seguenti situazioni:
CASO 1
DESTINAZIONE UTILE NETTO
RISERVA LEGALE
FONDO MUTUALISTICO
RISERVE INDIVISIBILI
TOTALE
30%
3%
67%
QUOTA UTILE
IMPONIBILE
3%
QUOTA UTILE NON
IMPONIBILE
27%
40%
30%
43%
57%
QUOTA UTILE
IMPONIBILE
3%
0
0
40%
17%
60%
QUOTA UTILE NON
IMPONIBILE
27%
3%
10%
0
0
40%
CASO 2
DESTINAZIONE UTILE NETTO
RISERVA LEGALE
FONDO MUTUALISTICO
RISERVE INDIVISIBILI
DIVIDENDI
RISERVE DIVISIBILI
TOTALE
30%
3%
10%
40%
17%
Gli stessi casi possono essere sviluppati mediante la seguente simulazione, che mostra
i passaggi per procedere al calcolo dell’IRES:
Cooperativa di produzione e lavoro
Utile ante imposte = 1.500
IRAP = 500
Utile ante IRES = 1.500 – 500 = 1.000
Variazioni in aumento per costi non deducibili (esclusa IRAP) = 470
CASO 1
Destinazione utile:
 riserva legale 30%
------------------------------------------7
Si noti che la destinazione obbligatoria a riserva legale (30%) deve considerarsi quale destinazione a riserva
indivisibile e che, parimenti, è obbligatoria anche la destinazione di una quota pari al 3% degli utili netti annuali ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
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23
Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative


fondo mutualistico 3%
riserve indivisibili 67%
Calcolo IRES:
risultato ante IRES
variazione in aumento per IRAP
variazione in aumento per costi non deducibili
variazione in diminuzione per accantonamento a riserva legale
variazione in diminuzione per accantonamento a fondi mutualistici e a riserve indivisibili
imponibile IRES stimato
imposta (IRES)
utile netto
Modello Unico:
utile netto
variazione in aumento per IRES
variazione in aumento per IRAP
variazione in aumento per costi non deducibili
variazione in diminuzione per accantonamento a riserva legale
variazione in diminuzione per accantonamento a fondi mutualistici e a riserve indivisibili
variazione in diminuzione per imposte sui redditi (art. 21,
comma 10, legge n. 449/1997)
reddito imponibile
imposta (IRES)
(27% di 1.000)
1.000
+500
+470
- 270
(30% di 1.000)
- 300
(1.400 x 27,5%)
(1.000- 385)
1.400
385
615
(27% di 615)
615
+ 385
+500
+470
- 166,05
(30% di 615)
- 184,50
(57% di 385)8
- 219,45
(1.400 x 27,5%)
1.400
385
CASO 2
Destinazione utile:
 riserva legale 30%
 fondo mutualistico 3%
 riserve indivisibili 10%
 dividendi 40%
 riserve divisibili 17%
------------------------------------------8
Come indicato nelle pagine precedenti, la variazione in diminuzione operata ai sensi dell’art. 21, comma 10
della legge n. 449/1997 «dovrà essere proporzionale alla quota di utili non tassata, calcolata sulla base del
rapporto tra l’utile escluso da tassazione e l’utile complessivo». Nel caso in esame, tale rapporto è pari al
57% (350,55/615).
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Calcolo IRES:
risultato ante IRES
variazione in aumento per IRAP
variazione in aumento per costi non deducibili
variazione in diminuzione per accantonamento a riserva legale
variazione in diminuzione per accantonamento a fondi mutualistici e a riserve indivisibili
imponibile IRES stimato
imposta (IRES)
utile netto
Modello Unico:
utile netto
variazione in aumento per IRES
variazione in aumento per IRAP
variazione in aumento per costi non deducibili
variazione in diminuzione per accantonamento a riserva legale
variazione in diminuzione per accantonamento a fondi mutualistici e a riserve indivisibili
variazione in diminuzione per imposte sui redditi (art. 21,
comma 10, legge n. 449/1997)
reddito imponibile
imposta (IRES)
(27% di 1.000)
1.000
+500
+470
- 270
(13% di 1.000)
- 130
1.570
431,75
568,25
(1.570 x 27,5%)
(1.000- 431,75)
568,25
+ 431,75
+500
+470
(27% di 568,25)
- 153,43
(13% di 568,25)
- 73,87
(40% di 431,75)
- 172,70
(1.570 x 27,5%)
1.570
431,75
 2.3 Il regime fiscale nelle società cooperative a mutualità prevalente
di Sebastiano Di Diego e Giorgio Gentili
Come accennato, nell’ambito delle cooperative a mutualità prevalente, il regime fiscale
non è univoco ma tende a differenziarsi a seconda delle caratteristiche della cooperativa. In particolare, possono essere individuate regole specifiche per ognuna delle seguenti tipologie di cooperativa:
 cooperative agricole (e loro consorzi) di cui al d.lgs. n. 228/2001;
 cooperative agricole di cui all’art. 10 del d.p.r. n. 601/73;
 cooperative della piccola pesca (e loro consorzi);
 cooperative di lavoro di cui all’art. 11 del d.p.r. n. 601/73;
 cooperative sociali;
 cooperative di consumo;
 cooperative in genere, diverse dalle precedenti.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Per facilitare la nostra esposizione iniziamo da queste ultime riprendendo alcuni concetti descritti nei paragrafi precedenti. Le regole applicabili a questa categoria residuale
possono essere così sintetizzate:
 inapplicabilità dell’art. 12 della legge n. 904/1977:
- alla quota del 10% degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria;
- alla ulteriore quota del 40% degli utili netti annuali;
 esenzione da imposte e deducibilità del 3% dell’utile destinato ai fondi mutualistici.
Riguardo a quest’ultima agevolazione, tuttavia, riteniamo che la sua applicazione non
possa determinare la tassazione di una quota dell’utile inferiore al 43%; a questa conclusione deve giungersi considerando il precedente orientamento dell’Agenzia delle Entrate, espresso nella circolare n. 34/E del 15 luglio 2005, che nonostante il mutato
quadro normativo deve ritenersi ancora attuale.
Il reddito imponibile ai fini IRES risulterà quindi formato:
 dalla parte di utile che residua dopo avere escluso la quota non tassabile
(normalmente il 43% dell’utile);
 dalle variazioni nette (es. per costi indeducibili) effettuate in dichiarazione dei
redditi.
Nel calcolare quest’ultima componente bisogna ricordare che, ai sensi dell’art. 21,
comma 10, legge n. 449/1997, non concorre comunque alla formazione del reddito
imponibile l’IRES riferibile alle variazioni in aumento e in diminuzione effettuate in dichiarazione dei redditi, diverse da quelle riconosciute dalle leggi speciali per la cooperazione.
Tale previsione, applicabile soltanto in presenza di un utile o un maggior utile da destinare a riserva indivisibile, rende possibile l’effettuazione di una variazione in diminuzione
in dichiarazione dei redditi corrispondente alla variazione in aumento operata con riferimento alle imposte contabilizzate.
In particolare, secondo quanto precisato dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n.
34/E in esame, la variazione in diminuzione deve essere effettuata limitatamente
all’IRES proporzionale alla parte di utile non tassabile (ossia non assoggettata ad imposizione).
Di regola, quindi, per le cooperative in genere, considerato che l’utile che concorre a
tassazione è soltanto il 43%, la variazione in diminuzione sarà pari al 57% dell’IRES.
Sulla base delle considerazioni sopra effettuate, il reddito imponibile ai fini dell’IRES
può essere determinato agevolmente utilizzando lo schema riportato nella tavola seguente.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Come per il regime transitorio, anche con il nuovo regime, la determinazione dell’IRES
dovuta presuppone la risoluzione di un’equazione matematica. Tale equazione sulla
scorta delle considerazione indicate precedentemente dovrà essere formulata nella
maniera seguente:
Reddito Imponibile = Utile Netto + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) (*) – Utile Netto × 57% –
IRES × 57%
dove: Utile Netto = Utile Lordo (**) – IRES
Sostituendo nell’equazione l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue:
Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – (Utile Lordo –
IRES) × 0,57 – IRES × 0,57 = Utile Lordo + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – Utile Lordo × 0,57 =
Utile Lordo × (1 – 0,57) + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) = Utile Lordo × 0,43 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)
Considerando ora che: IRES = Reddito Imponibile × 0,275
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che:
IRES = [(Utile Lordo × 0,43 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)] × 0,275 = Utile Lordo × 0,11825 +
(Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,275
Le ipotesi alla base dell’equazione sono quelle standard (devoluzione del 3% ai fondi mutualistici +
accantonamento a riserva indivisibile = almeno il 57% dell’utile civilistico), che permettono di sfruttare al massimo le norme agevolative, minimizzando il carico fiscale.
(*) Le “Variaz. aum.” e le “Variaz. dimin.” corrispondono alle variazioni operate in sede di mod.
UNICO SC con esclusione di quelle connesse all’applicazione delle disposizioni relative alle società
cooperative. Nell’ambito di tali variazioni non sono pertanto comprese:
– la variazione in aumento per l’IRES;
– le variazioni in diminuzione per l’IRES (nella misura del 57%), per l’accantonamento a riserva legale e a riserva indivisibile, nonché per la destinazione dell’utile al fondo mutualistico.
(**) L’Utile Lordo corrispondente all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP.
 2.4 Regimi fiscali inerenti particolari categorie di cooperative
di Sebastiano Di Diego e Giorgio Gentili
 2.4.1 Cooperative agricole e della piccola pesca
Cooperative agricole di cui al d.lgs. n. 228/2001
Sono da ricomprendere, in questa categoria:
 le società cooperative che svolgono le seguenti attività:
a) coltivazione del fondo, del bosco ovvero allevamento di animali ed, eventualmente, attività agricole connesse di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli propri
e, in misura non prevalente, anche di prodotti acquisiti da terzi;
b) fornitura, prevalentemente ai soci, di beni e servizi per l’agricoltura9;
 le cooperative forestali che forniscono in via principale servizi nel settore selvicolturale di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 227/2001.
Per queste cooperative valgono le seguenti regole:
 inapplicabilità dell’art.12 della legge n. 904/1977:
- alla quota del 10% degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria;
- alla ulteriore quota del 20% degli utili netti annuali;
 esenzione da imposte e deducibilità del 3% dell’utile destinato ai fondi mutualisitici.
------------------------------------------9
Non consideriamo in questa sede, pur rientrando nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 228/2001, le
cooperative di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti agricoli prevalentemente prodotti da soci.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Il reddito imponibile ai fini IRES risulta quindi formato:
 dalla parte di utile che residua dopo avere escluso la quota non tassabile;
 dalle variazioni nette effettuate in dichiarazione dei redditi.
Anche in questo caso occorrerà tener conto delle precisazioni contenute nella c.m. n.
34/E, che, come per le cooperative in generale: individua una quota minima di utile
(oggi il 23%) comunque soggetta a tassazione; ammette l’effettuazione di una variazione in diminuzione riferita all’IRES, pari di regola al 77%.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Come per le cooperative in genere, anche in questo caso il calcolo dell’IRES richiederà
la risoluzione di equazione matematica, così impostata:
Reddito Imponibile
= Utile Netto + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) (*) – Utile Netto × 77% – IRES × 77%
dove: Utile Netto = Utile Lordo (**) – IRES
Sostituendo nella predetta formula l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue:
Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – (Utile Lordo –
IRES) × 0,77 – IRES × 0,77 = Utile Lordo + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – Utile Lordo × 0,77 =
Utile Lordo × (1 – 0,77) + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) = Utile Lordo × 0,77 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)
Considerando ora che: IRES = Reddito Imponibile x 0,275
Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che:
IRES = [(Utile Lordo × 0,23 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)] × 0,275 = Utile Lordo × 0,06325 +
(Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,275
Le ipotesi alla base dell’equazione sono quelle standard (devoluzione del 3% ai fondi mutualistici +
accantonamento a riserva indivisibile = almeno il 77% dell’utile civilistico), che permettono di sfruttare al massimo le norme agevolative, minimizzando il carico fiscale.
(*) Le “Variaz. aum.” e le “Variaz. dimin.” corrispondono alle variazioni operate in sede di mod.
UNICO SC con esclusione di quelle connesse all’applicazione delle disposizioni relative alle società
cooperative. Nell’ambito di tali variazioni non sono pertanto comprese:
– la variazione in aumento per l’IRES;
– le variazioni in diminuzione per l’IRES (nella misura del 77%), per l’accantonamento a riserva legale e a riserva indivisibile, nonché per la destinazione dell’utile al fondo mutualistico.
(**) L’Utile Lordo corrisponde all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP.
Cooperative agricole di cui all’art. 10 del d.p.r. n. 601/1973
Rientrano in questa categoria le società cooperative che svolgono le seguenti attività:
 allevamento di animali con mangimi ottenuti per almeno un quarto dai terreni
dei soci;
 manipolazione, conservazione, valorizzazione, trasformazione e alienazione, di
prodotti agricoli e zootecnici e di animali conferiti prevalentemente dai soci.
Per queste cooperative viene esclusa l’applicabilità dell’agevolazione contenuta nell’art.
10 del d.p.r. n. 601/1973 “limitatamente alla lettera a) del comma 1” e quindi “per la
quota del 20% degli utili netti annuali”; ne consegue pertanto la tassazione del 20%
dell’utile.
Nessun impatto ha, invece, la limitazione di cui all’art. 6, comma 1, del d.l. n. 63/2002,
che sancisce l’inapplicabilità dell’art. 12 al 10% dell’accantonamento obbligatorio a riserva legale.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Le cooperative in esame, infatti, possono ottenere l’agevolazione di questa quota
dell’utile civilistico usufruendo dell’art. 10 del d.p.r. n. 601/1973, relativamente al quale,
come detto, opera unicamente l’inapplicabilità al 20% dell’utile.
L’agevolazione di cui all’art. 10, inoltre, si applica al reddito imponibile e non al risultato
civilistico, per cui nessun rilievo assume l’accantonamento o meno a riserva indivisibile;
ne deriva quindi che essa rende esenti:
 l’80% dell’utile civilistico, anche qualora venga destinato alla remunerazione
del capitale ovvero alla costituzione di riserve dividibili a favore dei soci finanziatori10;
 le riprese fiscali nette operate in sede di dichiarazione.
Ai fini della determinazione dell’IRES dovuta, l’equazione da considerare sarà la seguente:
Reddito Imponibile = Utile Netto – Utile Netto × 80%
dove: Utile Netto = Utile Lordo (*) – IRES
Sostituendo nella predetta formula l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue:
Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES – Utile Lordo × 0,80 + IRES × 0,80 = 0,20 × Utile Lordo –
0,20 × IRES
Considerando ora che: IRES = Reddito Imponibile × 0,275
Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che:
IRES = [0,20 × Utile Lordo – 0,20 × IRES] × 0,275
IRES + 0,055 IRES = 0,055 × Utile Lordo
IRES = 0,055 × Utile Lordo/1,055 = 0,0652133 × Utile Lordo
(*) L’Utile Lordo corrisponde all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP.
------------------------------------------10
Questa conclusione che ci pare pacifica, non sembra però venga condivisa dalla c.m. 34/E, la quale afferma, a nostro avviso troppo frettolosamente che: “resta fermo che, qualora la delibera di destinazione
dell’utile preveda la distribuzione ai soci di un importo superiore alle predette quote del 20 (...) per cento, tale
maggiore importo dovrà essere assoggettato ad imposizione fiscale, non trovando applicazione la norma di
cui al citato art. 12”.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Cooperative della piccola pesca
Sono considerate cooperative della piccola pesca quelle che esercitano professionalmente la pesca marittima con l’impiego esclusivo di navi assegnate alle categorie 3 e 4
di cui all’art. 8 del d.p.r. n. 1639/1968 o la pesca in acque interne.
Per tali cooperative, la determinazione del reddito imponibile soggiace alle seguenti regole:
 esenzione da imposte e deducibilità del 3% dell’utile destinato ai fondi mutualistici;
 inapplicabilità delle agevolazioni di cui all’art. 12 della legge n. 904/1977 e all’art.
10 del d.p.r. n. 601/1973 “per la quota del 20% degli utili netti annuali”.
Ne deriva, quindi, un regime fiscale del tutto analogo a quelle delle cooperative agricole
di cui all’art. 10 del d.p.r. n. 601/1973, analizzato nel paragrafo precedente.
 2.4.2 Cooperative di produzione e lavoro
Le cooperative di lavoro sono quelle che si avvalgono nello svolgimento della loro attività delle prestazioni lavorative dei soci.
Il regime fiscale delineato per tali cooperative coincide in larga parte con quello previsto
per le cooperative in genere. L’unico elemento di differenziazione consiste nella possibilità di continuare ad applicare l’agevolazione contenuta nell’art. 11 del d.p.r. n.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
601/1973 “limitatamente al reddito imponibile derivante dall’indeducibilità dell’imposta
regionale sulle attività produttive”.
Ne deriva, quindi, la possibilità di considerare esente ovvero di assoggettare ad aliquota IRES ridotta alla metà, il reddito imponibile generato dalla ripresa fiscale dell’IRAP, a
seconda del valore assunto dal seguente indice: ammontare delle retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci/ ammontare complessivo di tutti gli altri costi tranne quelli
relativi alle materie prime e sussidiarie.
In particolare, tale quota del reddito imponibile sarà esente qualora il valore dovesse
essere pari almeno al 50%; tassato con aliquota ridotta alla metà qualora, invece, il valore dovesse essere inferiore al 50% ma non al 25%.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Ai fini della determinazione dell’IRES dovuta, l’equazione da considerare è la stessa
prevista per le cooperative in genere, con l’avvertenza che tra le variazioni in aumento
non va considerata l’IRAP, se l’indice previsto dall’art. 10 del d.p.r. n. 601/1973 è pari
almeno al 50%; va considerata la metà dell’IRAP, se tale indice è inferiore al 50% ma
non al 25%.
IRES = Utile Lordo × 0,11825 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,275
Tra le variazioni in aumento non va considerata l’IRAP, se il rapporto tra l’ammontare delle retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci e l’ammontare complessivo di tutti gli altri costi tranne quelli
relativi alle materie prime e sussidiarie è pari almeno al 50%; va considerata la metà dell’IRAP, se
tale rapporto è inferiore al 50% ma non al 25%.
 2.4.3 Cooperative sociali
Il regime fiscale delle cooperative sociali, a seguito delle novità introdotte dalla Manovra
di Ferragosto (legge n. 148/2011), risulta piuttosto articolato.
Anche nei confronti di queste cooperative, infatti, trova applicazione la c.d. limitazione
generale che consiste nell’inapplicabilità dell’art. 12 della legge n. 904/1977 “alla quota
del 10% degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria”.
Non sono state invece previste limitazioni speciali; come in passato le previsioni di cui
ai commi da 460 a 462 continuano a non applicarsi alle cooperative sociali e loro consorzi di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381.
Ne consegue la possibilità di continuare a detassare integralmente il reddito imponibile,
nel caso in cui la cooperativa rispetti la condizione di cui all’art. 11 del d.p.r. n.
601/1973.
Nello specifico i casi che si possono verificare nella realtà sono tre e a ciascuno di essi
si ricollega uno specifico trattamento fiscale:
 cooperativa sociale che si trova nella seguente condizione (Caso 1): retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci che prestano la loro opera con carattere di
continuità superiore o uguale al 50% dell’ammontare complessivo di tutti gli altri costi tranne quelli relativi alle materie prime e sussidiarie;
 cooperativa sociale che si trova nella seguente condizione (Caso 2): retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci che prestano la loro opera con carattere di
continuità inferiore al 50% ma non al 25% dell’ammontare complessivo degli
altri costi tranne quelli relativi alle materie prime e sussidiarie;
 cooperativa sociale che si trova nella seguente condizione (Caso 3): retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci che prestano la loro opera con carattere di
continuità inferiore al 25% dell’ammontare complessivo degli altri costi tranne
quelli relativi alle materie prime e sussidiarie.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Nel Caso 1, lo schema di riferimento per la determinazione dell’IRES è il seguente:
Nel Caso 2, l’IRES verrà calcolata applicando l’aliquota ridotta alla metà in base all’art. 11
del d.p.r. n. 601/1973 al reddito imponibile calcolato sulla base del seguente schema.
Nello specifico il calcolo dell’IRES richiederà la risoluzione di equazione matematica,
così impostata:
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Reddito Imponibile = Utile Netto + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) (*) – Utile Netto × 90% –
IRES × 90%
dove: Utile Netto = Utile Lordo (**) – IRES
Sostituendo nella predetta formula l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue:
Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – (Utile Lordo –
IRES) × 0,90 – IRES × 0,90 = Utile Lordo + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – Utile Lordo × 0,90 =
Utile Lordo × 10 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) = Utile Lordo × 0,10 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)
Considerando ora che: IRES = Reddito Imponibile × (27,5%/2)
Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che:
IRES = [(Utile Lordo × 0,10 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)] × 0,1375 = Utile Lordo × 0,01375 +
(Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,1375
Le ipotesi alla base dell’equazione sono quelle standard (devoluzione del 3% ai fondi mutualistici +
accantonamento a riserva indivisibile = almeno il 90% dell’utile civilistico), che permettono di sfruttare al massimo le norme agevolative, minimizzando il carico fiscale.
(*) Le “Variaz. aum.” e le “Variaz. dimin.” corrispondono alle variazioni operate in sede di mod.
UNICO SC con esclusione di quelle connesse all’applicazione delle disposizioni relative alle società
cooperative. Nell’ambito di tali variazioni non sono pertanto comprese:
– la variazione in aumento per l’IRES;
– le variazioni in diminuzione per l’IRES (nella misura del 90%), per l’accantonamento a riserva legale e a riserva indivisibile, nonché per la destinazione dell’utile al fondo mutualistico.
(**) L’Utile Lordo corrisponde all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP.
Nel Caso 3, infine, il calcolo dell’IRES è analogo al caso precedente; l’unica differenza
è l’utilizzo dell’aliquota ordinaria IRES. Nello specifico il calcolo dell’IRES richiederà la
risoluzione di equazione matematica, così impostata:
Reddito Imponibile = Utile Netto + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) (*) – Utile Netto × 90% –
IRES × 90%
dove: Utile Netto = Utile Lordo (**) – IRES
Sostituendo nella predetta formula l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue:
Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – (Utile Lordo –
IRES) × 0,90 – IRES × 0,90 = Utile Lordo + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – Utile Lordo × 0,90 =
Utile Lordo × 10 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) = Utile Lordo × 0,10 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)
Considerando ora che IRES = Reddito Imponibile × (27,5%)
Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che:
IRES = [(Utile Lordo × 0,10 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)] × 0,275 = Utile Lordo × 0,0275 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,275
Le ipotesi alla base dell’equazione sono quelle standard (devoluzione del 3% ai fondi mutualistici +
accantonamento a riserva indivisibile = almeno il 90% dell’utile civilistico), che permettono di sfruttare al massimo le norme agevolative, minimizzando il carico fiscale.
(*) Le “Variaz. aum.” e le “Variaz. dimin.” corrispondono alle variazioni operate in sede di mod.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
UNICO SC con esclusione di quelle connesse all’applicazione delle disposizioni relative alle società
cooperative. Nell’ambito di tali variazioni non sono pertanto comprese:
– la variazione in aumento per l’IRES;
– le variazioni in diminuzione per l’IRES (nella misura del 90%), per l’accantonamento a riserva legale e a riserva indivisibile, nonché per la destinazione dell’utile al fondo mutualistico.
(**) L’Utile Lordo corrisponde all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP.
 2.4.4 Banche di credito cooperativo
Le Banche di credito cooperativo hanno tipicamente lo scopo di favorire i soci nelle
operazioni e nei servizi di banca, perseguendo il miglioramento delle condizioni morali,
culturali ed economiche degli stessi e promuovendo lo sviluppo della cooperazione e
l’educazione al risparmio e alla previdenza.
Da un punto di vista fiscale le regole che occorre tenere a mente per determinare
l’IRES sono le seguenti:
 inapplicabilità dell’art. 12 della legge n. 904/1977:
- alla quota del 10% degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria (considerato che l’accantonamento a riserva legale è pari al 70%
dell’utile è quindi tassato il 7% dell’utile);
- alla ulteriore quota del 40% degli utili netti annuali;
 esenzione da imposte e deducibilità del 3% dell’utile destinato ai fondi mutualistici.
Reddito Imponibile = Utile Netto + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) (*) – Utile Netto × 53% –
IRES × 53%
dove: Utile Netto = Utile Lordo (**) – IRES
Sostituendo nella predetta formula l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue:
Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – (Utile Lordo –
IRES) × 0,53 – IRES × 0,53 = Utile Lordo + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – Utile Lordo × 0,53 =
Utile Lordo × (1 – 0,53) + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) = Utile Lordo × 0,47 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)
Considerando ora che: IRES = Reddito Imponibile × 0,275
Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che:
IRES = [(Utile Lordo × 0,47+ (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)] × 0,275 = Utile Lordo × 0,12925+ (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,275
(*) Le “Variaz. aum.” e le “Variaz. dimin.” corrispondono alle variazioni operate in sede di mod.
UNICO SC con esclusione di quelle connesse all’applicazione delle disposizioni relative alle società
cooperative. Nell’ambito di tali variazioni non sono pertanto comprese:
– la variazione in aumento per l’IRES;
– le variazioni in diminuzione per l’IRES (nella misura del 53%), per l’accantonamento a riserva legale e a riserva indivisibile, nonché per la destinazione dell’utile al fondo mutualistico.
(**) L’Utile Lordo corrisponde all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
 2.4.5 Cooperative di consumo
Le cooperative di consumo forniscono beni a favore dei soci consumatori; da un punto
di vista fiscale sono destinatarie delle seguenti norme:
 inapplicabilità dell’art. 12 della legge n. 904/1977:
- alla quota del 10% degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria;
- alla ulteriore quota del 65% degli utili netti annuali;
 esenzione da imposte e deducibilità del 3% dell’utile destinato ai fondi mutualistici.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Reddito Imponibile = Utile Netto + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) (*) – Utile Netto × 32% –
IRES × 32%
dove: Utile Netto = Utile Lordo (**) – IRES
Sostituendo nella predetta formula l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue:
Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – (Utile Lordo –
IRES) × 0,32 – IRES × 0,32 = Utile Lordo + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – Utile Lordo × 0,32 =
Utile Lordo × (1 – 0,32) + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) = Utile Lordo × 0,68 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)
Considerando ora che: IRES = Reddito Imponibile × 0,275
Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che:
IRES = [(Utile Lordo × 0,68+ (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) ] × 0,275 = Utile Lordo × 0,187 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,275
Le ipotesi alla base dell’equazione sono quelle standard (devoluzione del 3% ai fondi mutualistici +
accantonamento a riserva indivisibile = almeno il 32% dell’utile civilistico), che permettono di sfruttare al massimo le norme agevolative, minimizzando il carico fiscale.
(*) Le “Variaz. aum.” e le “Variaz. dimin.” corrispondono alle variazioni operate in sede di mod.
UNICO SC con esclusione di quelle connesse all’applicazione delle disposizioni relative alle società
cooperative. Nell’ambito di tali variazioni non sono pertanto comprese:
– la variazione in aumento per l’IRES;
– le variazioni in diminuzione per l’IRES (nella misura del 32%), per l’accantonamento a riserva legale e a riserva indivisibile, nonché per la destinazione dell’utile al fondo mutualistico.
(**) L’Utile Lordo corrisponde all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP.
 2.4.6 Cooperative a mutualità non prevalente
Le cooperative diverse si differenziano da quelle a mutualità prevalente e rappresentano “un modello residuale”, che, a ben vedere, comprende due varianti:
 quello della cooperativa che oltre a non prevedere la prevalenza non prevede
nemmeno le clausole di non lucratività;
 quello della cooperativa che non presenti uno solo dei due requisiti richiesti per
la appartenenza alla categoria privilegiata.
Il regime fiscale di tali cooperative è delineato dal comma 464 e, a ben vedere, diversamente dalle aspettative, non risulta eccessivamente penalizzante.
Viene, infatti, previsto che “A decorrere dall’esercizio in corso al 31 dicembre 2004, in
deroga all’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, per le società cooperative e loro
consorzi diverse da quelle a mutualità prevalente l’applicabilità dell’art. 12 della legge
16 dicembre 1977, n. 904, è limitata alla quota del 30% degli utili netti annuali, a condizione che tale quota sia destinata ad una riserva indivisibile prevista dallo statuto”.
Tale norma tuttavia va coordinata con la novità introdotta all’art. 2, comma 36-ter, della
Manovra di Ferragosto, che stabilisce per la generalità delle cooperative l’impossibilità
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
di applicare l’art. 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904 alla quota del 10% degli utili
netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria11.
Ne deriva, quindi, considerando l’ulteriore esenzione del 3% da riconoscersi anche alle
cooperative a mutualità non prevalente12, la possibilità di sottrarre a tassazione il 30%
dell’utile civilistico.
L’equazione per il calcolo dell’IRES avrà il seguente contenuto:
Reddito Imponibile = Utile Netto + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) (*) – Utile Netto × 30% –
IRES × 30% dove: Utile Netto = Utile Lordo (**) – IRES
Sostituendo nella equazione l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue:
Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – (Utile Lordo –
IRES) × 0,30 – IRES × 0,30 = Utile Lordo + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – Utile Lordo × 0,30 =
Utile Lordo × (1 – 0,30) + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) = Utile Lordo × 0,70 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)
Considerando ora che: IRES = Reddito Imponibile × 0,275
Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che:
IRES = [(Utile Lordo × 0,70 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)] × 0,275 = Utile Lordo × 0,1925 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,275
------------------------------------------11
Si ricorda che in base alla precedente formulazione l’intero accantonamento a riserva legale obbligatoria
non rilevava ai fini IRES.
12
Cfr. c.m. n. 34/E, che però esclude per queste cooperative l’applicabilità dell’agevolazione di cui all’art. 7
della legge n. 59/1992.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Le ipotesi alla base dell’equazione sono quelle standard (devoluzione del 3% ai fondi mutualistici e
indivisibilità della riserva legale), che permettono di sfruttare al massimo le norme agevolative, minimizzando il carico fiscale.
(*) Le “Variaz. aum.” e le “Variaz. dimin.” corrispondono alle variazioni operate in sede di mod.
UNICO SC con esclusione di quelle connesse all’applicazione delle disposizioni relative alle società
cooperative. Nell’ambito di tali variazioni non sono pertanto comprese:
– la variazione in aumento per l’IRES;
– le variazioni in diminuzione per l’IRES (nella misura del 30%), per l’accantonamento a riserva legale indivisibile, nonché per la destinazione dell’utile al fondo mutualistico.
(**) L’Utile Lordo corrisponde all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP.
 2.5 Il riporto delle perdite fiscali
di Andrea Dili
La panoramica sul regime fiscale IRES delle società cooperative si conclude con un
intervento dedicato alla riportabilità delle perdite fiscali, fermo restando che le problematiche connesse all’applicazione degli studi di settore verranno trattate in un apposito
approfondimento.
Per quanto attiene al regime di riporto delle perdite fiscali, il sistema attualmente vigente prevede accanto ad una regola di carattere generale alcune limitazioni che riguardano tutte quelle attività che fruiscono di regimi di parziale o totale detassazione del reddito ovvero di un regime di esenzione dell’utile. Come noto, le società cooperative possono rientrare in entrambe le fattispecie, anche se – come vedremo – l’effettiva applicabilità di tali limitazioni agli enti cooperativi attiene soltanto alla seconda delle due.
In estrema sintesi, la regola generale relativa al riporto delle perdite viene stabilita dal
primo periodo del primo comma dell’art. 84 del TUIR laddove viene stabilito che «la
perdita di un periodo d’imposta, determinata con le stesse norme valevoli per la determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi
d’imposta successivi, in misura non superiore all’ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi». In altre parole, le perdite fiscali possono essere utilizzate per
abbattere il reddito imponibile di un soggetto IRES nel limite dell’80% del reddito stesso. Una prima eccezione a tale regola viene disposta dal secondo comma dello stesso
articolo 84: in buona sostanza, le perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta dalla
data di costituzione possono essere computate in diminuzione dell’intero reddito dei
periodi d’imposta successivi, a condizione che si riferiscano ad una nuova attività produttiva.
Fatte queste premesse, si osserva come il legislatore fiscale sia intervenuto sul regime
della riportabilità delle perdite fissando, per alcuni soggetti, delle regole decisamente
più sfavorevoli, con l’obiettivo di realizzare un criterio di simmetria tra imponibilità del
risultato positivo e deducibilità del risultato negativo.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
In tal senso possiamo rilevare tre fattispecie, che in passato hanno suscitato proprio in
relazione all’applicabilità alle società cooperative vari dubbi interpretativi. Ci si riferisce:
 al terzo periodo del primo comma dell’art. 84 che dispone che la perdita fiscale deve essere diminuita dei proventi esenti – diversi da quelli Pex – per la parte che eccede i componenti negativi non dedotti ai sensi del comma 5 dell’art.
109 del TUIR. In merito all’applicabilità di tale limitazione alle società cooperative, la circolare Agenzia delle Entrate 9 luglio 2003 n. 37/E ha avuto modo di
precisare come essa non possa trovare applicazione «in presenza di componenti di reddito d’impresa non imponibili per ragioni di ordine sostanziale o
esenti in applicazione delle disposizioni agevolative di cui agli articoli 10 e 11
del d.p.r. n. 601 del 1973»;
 al secondo periodo del primo comma dell’art. 83 del TUIR che in presenza di
attività che generano redditi integralmente o parzialmente esenti da imposta
prevede che le perdite fiscali assumano la medesima rilevanza dei risultati positivi. La dottrina ha dibattuto intensamente sull’applicabilità di tale norma alle
società cooperative, dove la presenza di redditi esenti può verificarsi a causa
dell’applicazione delle seguenti norme:
˗ art. 10 del d.p.r. n. 601/1973, per le cooperative agricole e per le cooperative della piccola pesca;
˗ art. 11, primo comma, primo periodo del d.p.r. n. 601/1973, per le cooperative di produzione e lavoro e per le cooperative sociali.
A ben vedere, tuttavia, la risoluzione Agenzia delle Entrate 13 dicembre 2010
n. 129/E ha chiarito come anche tale disposizione non possa trovare applicazione nei confronti delle società cooperative13;
 al secondo periodo del primo comma dell’art. 84 del TUIR che dispone che
«per i soggetti che fruiscono di un regime di esenzione dell’utile la perdita è riportabile per l’ammontare che eccede l’utile che non ha concorso alla formazione del reddito negli esercizi precedenti». Tale norma non presenta particolari
problemi interpretativi e sembra proprio pensata per essere applicata alle cooperative. La relazione tecnica alla legge Finanziaria 2007, precisa, infatti, che
«la norma stabilisce altresì un limite al riporto al futuro della perdita di esercizio
(a riduzione dei futuri redditi di esercizio fino al quinto) nei confronti delle coo-
------------------------------------------13
A supporto di tale tesi l’Agenzia delle Entrate sostiene che le esenzioni previste dagli artt. 10 e 11 del d.p.r.
n. 601/1973 a differenza di quelle richiamate nella relazione tecnica al disegno di legge finanziaria 2007, che
aveva introdotto una prima analoga formulazione della norma, «non si basano su una percentuale prestabilita
di esenzione dal reddito, ma sono calcolate in fase di determinazione della base imponibile prendendo a riferimento valori quali gli utili netti annuali accantonati ovvero l’IRAP computata tra le variazioni in aumento. Ciò
importa che l’incidenza del beneficio fiscale sul reddito della società cooperativa, in questi casi, non è individuato da una percentuale fissa, ma è oggetto di variazione nei diversi periodi di imposta. In altri termini, in
assenza di una percentuale prestabilita che consenta di determinare l’ammontare di reddito esente, non è
individuabile nel periodo d’imposta in cui è realizzata una perdita fiscale la “misura in cui assumerebbero rilevanza i risultati positivi”».
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
perative a mutualità prevalente, in considerazione del fatto che una quota
dell’utile civilistico (ex art. 12 legge n. 904/77) può essere imputata a riserva
indivisibile in esenzione di imposta e che una altra quota è destinata – in sospensione di imposta – a riserva obbligatoria».
L’applicazione della norma da un punto di vista operativo è relativamente semplice:
dalle perdite fiscali devono essere sottratte le quote di utili netti che, nei precedenti
esercizi, non hanno concorso in base all’art. 12, legge n. 904/1977 (o ad analoghe
agevolazioni) alla formazione del reddito. In altre parole, occorrerà predisporre una sorta di “basket” dove allocare la quota parte di utile che non ha concorso alla formazione
del reddito imponibile, da cui attingere al verificarsi di perdite fiscali per determinare la
quota di queste ultime riportabile negli esercizi futuri.
La seguente simulazione chiarisce le modalità applicative della norma14:
ESERCIZIO 2013
Utile netto
Riserva legale (30%)
Contributo 3% fondi mutualistici
Riserva indivisibile ex art. 12 legge n. 904/1977 (37%)
Quota comunque sottoposta a tassazione
Basket (quota parte di utile che non ha concorso alla formazione del
reddito imponibile)
ESERCIZIO 2014
Utile netto
Riserva legale (30%)
Contributo 3% fondi mutualistici
Riserva indivisibile ex art. 12 legge n. 904/1977 (37%)
Quota comunque sottoposta a tassazione
Quota parte di utile che non ha concorso alla formazione del reddito
imponibile
Totale Basket
ESERCIZIO 2015
Perdita fiscale
Perdita fiscale riportabile
1.000
300
30
670
43% di 1.000 = 430
57% di 1.000 = 570
500
150
15
335
43% di 500 = 215
57% di 500 = 285
570 + 285 = 855
2.000
2.000 – 855 = 1.145
------------------------------------------14
Il riferimento è ad una cooperativa ex art. 1, comma 460, lettera b) della legge 30 dicembre 2004, n. 311.
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Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative
Per le società cooperative, dunque, la disciplina del riporto delle perdite attualmente
vigente può essere riassunta dalla seguente tabella:
FATTISPECIE
Redditi esenti
Utili esenti
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RIPORTO DELLE PERDITE FISCALI: SOCIETÀ COOPERATIVE
DISCIPLINA
NORMA DI
DISPOSIZIONI FISCALI
RIPORTABILITÀ
RIFERIMENTO
“AGEVOLATIVE”
DELLE PERDITE
In caso di attività che
Art. 10 d.p.r. n.
fruiscono di regimi di
601/1973 (cooperative
parziale o totale deArt. 83, primo
agricole e cooperative
tassazione del reddi- comma, sedella piccola pesca);
to, le relative perdite
condo periodo
art. 11, primo comma,
fiscali assumono rile- d.p.r. 22 diprimo periodo d.p.r. n.
vanza nella stessa
cembre 1986,
601/1973 (cooperative
misura in cui assun. 917.
di produzione e lavoro
merebbero rilevanza i
e cooperative sociali).
risultati positivi.
Per i soggetti che
fruiscono di un regime di esenzione
Art. 84, primo
Art. 12 legge n.
dell’utile la perdita è
comma, se904/1977; art. 7,
riportabile per
condo periodo
comma 3, legge n.
l’ammontare che ecd.p.r. 22 di59/1992; art. 11,
cede l’utile che non
cembre 1986,
comma 9, legge n.
ha concorso alla forn. 917.
59/1992.
mazione del reddito
negli esercizi precedenti.
APPLICABILITÀ
ALLE SOCIETÀ
COOPERATIVE
no
si
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Capitolo 3 – Approfondimenti
 3. Approfondimenti
 3.1 La società cooperativa per la risoluzione della crisi: workers buy out
di Mirko Simone
A mio padre,
Angelo Simone, grande uomo
e grande cooperatore
 3.1.1 Cos’è il WBO
Le operazioni di WBO rientrano nell’ampio genus delle operazioni straordinarie di corporate reorganization note nel gergo comune con la locuzione di Merger & Acquisition.
Workers buy out significa “acquisizione da parte dei dipendenti” e si sostanzia in una
serie di operazioni, di tipo societario e finanziario, finalizzate all’acquisizione di una
azienda da parte dei suoi “lavoratori”. Quindi il WBO è quell’operazione che trasforma i
dipendenti di un’impresa, mediante la formazione di una cooperativa, nei proprietari
della stessa.
Nella particolare fase di vita di una azienda in cui si impongono decisioni circa
l’avvicendamento nella proprietà o la prosecuzione dell’attività in considerazione della
crisi in cui la stessa versa, con ripercussioni in entrambi i casi pesanti sulle maestranze,
l’operazione di WBO “cooperativo” rappresenta una soluzione che riesce, se opportunamente gestita e meditata, a realizzare l’ottima composizione degli interessi di tutti gli
stakeholders in campo.
L’operazione di WBO “cooperativo” (in fase di crisi) differisce dallo schema tipo delle
altre fattispecie di operazione di Buy Out note alla letteratura aziendale (c.d. leveraged
buy out – management buy out), in quanto i promotori (dipendenti) costituiscono una
NewCoop ed ottengono risorse finanziarie (non solo a titolo di capitale di debito), non
per acquisire le azioni (controllo) della Target Company e poi essere in quest’ultima incorporata (c.d. fusione inversa), ma per rilevare dalla Target Company il ramo
d’azienda o l’intera azienda ed integrarla in un processo di riorganizzazioneristrutturazione all’interno della NewCoop (la Target Company segue il suo destino).
In un grave periodo di crisi, come quello attuale, sono sempre di più i casi in cui gli
ex dipendenti dell’azienda in crisi, per non perdere il lavoro, si organizzano in forma
cooperativa al fine di rilevare l’azienda, apportando il TFR e la eventuale indennità di
mobilità.
Spesso in Italia l’operazione di WBO viene attuata quando l’azienda è in piena crisi,
ormai al collasso e quindi sull’orlo del fallimento.
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Capitolo 3 – Approfondimenti
Ci sono state diverse esperienze per lo più nate dalle ceneri di aziende ormai al collasso.
Sembrerebbe, pertanto, che il vero motore di queste iniziative sia la crisi.
Il problema, però, è che queste cooperative nascono come risposta alla situazione di
crisi, ma operano in un mercato in crisi.
Questo fa sì che lo stesso fattore che le ha portate alla luce ne può determinare il fallimento.
La NewCoop potrà continuare a sopravvivere solo se alla base ci sono fattori cardine
quale la motivazione e determinazione dei soci lavoratori, la solidità, la capacità manageriale e soprattutto il mercato.
Il WBO potrebbe essere un valido strumento, non solo per superare i periodi di crisi
aziendali, ma anche per risolvere un grave problema che affligge le PMI italiane: la successione e l’avvicendamento generazionale.
In questi casi, cioè quando un imprenditore per raggiunti limiti d’età o per qualsiasi altro motivo passa la mano e non ci sono figli che possono – o vogliono – subentrare alla
testa dell’azienda, l’intervento dei dipendenti, oltre a mettere a frutto esperienza maturata sul campo e salvare maestranze che altrimenti andrebbero perdute, potrebbe essere la migliore via d’uscita.
 3.1.2 Come funziona il WBO: le fasi tecniche
Le fasi salienti dell’operazione di WBO possono riassumersi in cinque punti:
 i dipendenti, soggetti promotori, hanno l’obiettivo di acquisire il patrimonio della società bersaglio (Target Company), cioè l’azienda stessa in cui lavorano;
 i dipendenti costituiscono una nuova società, la NewCoop, versando le quote
del capitale sociale (che possono provenire anche dall’anticipo della indennità
di mobilità o dal Tfr);
 gli “investitori istituzionali (fondi mutualistici, finanziarie cooperative)” partecipano al capitale di rischio della NewCoop in qualità di soci finanziatori/sovventori;
 la NewCoop ottiene un ulteriore flusso monetario a titolo di capitale di debito
dal mondo bancario o dagli “investitori istituzionali”, sfruttando l’effetto leva derivante dalla significativa capitalizzazione conseguita;
 la NewCoop acquisisce il ramo o l’intera azienda dalla Target Company.
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Capitolo 3 – Approfondimenti
I lavoratori, pertanto, dopo aver trovato un accordo sindacale, costituiscono la Newco.
Dopo questa operazione sarà quindi necessario recuperare il capitale adeguato per far
ripartire la nuova azienda con un nuovo management ed una nuova attività da portare
avanti.
Si rivolgono all’eventuale curatore fallimentare o liquidatore al fine di acquisire o affittare
l’azienda o ramo d’azienda in crisi.
Tale operazione può sembrare molto rischiosa e difficile, ma grazie anche ad alcuni
strumenti si sta diffondendo sempre di più.
Uno degli strumenti più importanti è la diffusione dei Fondi Mutualistici, nati con la legge n. 59/1992, che sostengono la “promozione e lo sviluppo della cooperazione, dando vita ad un circuito virtuoso in grado di sviluppare la forma cooperativa con risorse
generate al suo interno”.
Tali fondi mutualistici partecipano al capitale delle cooperative accanto alle risorse proprie dell’impresa.
In Italia ci sono stati casi importanti di WBO quali la RI-MAFLOW di Trezzano sul Naviglio (MI), la GRESLAB di Scandiano o la FENIX PHARMA di Roma.
Queste esperienze dimostrano come spesso può essere più sicuro gestire direttamente il proprio lavoro, piuttosto che affidare ad altri il proprio destino lavorativo e sperare
che questi non sia così affamato di profitto da distruggere la propria vita.
Il modello cooperativo si adatta particolarmente bene alle nuove imprese (NEWCO) che
in genere sono piccole e medie imprese ed inoltre, tale forma, è meno onerosa da gestire rispetto ad altre forme di società di capitali.
La società cooperativa, infatti, per le obbligazioni sociali risponde unicamente con il
suo patrimonio (art. 2518 c.c.), i soci godono, dunque, di una responsabilità limitata
corrispondente a quella dei soci di s.p.a. o s.r.l.. Essa è un’organizzazione democratica, in cui tutti i soci hanno la facoltà di partecipare attivamente alla vita societaria vigendo il principio di “una testa un voto”, secondo cui ogni socio ha diritto ad uno ed un
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Capitolo 3 – Approfondimenti
solo voto in assemblea qualunque sia il valore della sua quota o il numero delle azioni
possedute (art. 2538 c.c.).
Essere una cooperativa, però, non significa essere una Comune; significa comunque
avere una stratificazione dei livelli, delle funzioni e delle responsabilità, ognuno in base
alle competenze che ha sviluppato durante la propria vita e carriera lavorativa. Significa
inoltre condividere uno spirito ed un modo di discutere e collaborare perfettamente
democratico che non si riscontrano in altri contesti.
Non bisogna pensare che il valore aggiunto provenga dalla forma giuridica della società
cooperativa; il valore aggiunto è dato dalla società cooperativa inserita in un ambito più
ampio che è quello del movimento cooperativo.
L’elemento distintivo delle società cooperative rispetto a tutti gli altri tipi di società non
risiede tanto nella struttura organizzativa, quanto nello scopo economico perseguito,
ossia lo scopo mutualistico che si distingue da quello lucrativo. Lo scopo mutualistico
delle cooperative consiste in una reciprocità di prestazioni tra società e soci (la c.d. gestione di servizio) che è assente dallo scopo delle società ordinarie. Mentre infatti le società ordinarie debbono conseguire (lucro oggettivo) e ripartire (lucro soggettivo) utili
patrimoniali derivanti dall’esercizio di una attività economica con il mercato, le cooperative debbono, invece, svolgere la loro attività direttamente per i propri soci e a condizioni di favore rispetto a quelle praticate sul mercato.
Lo scopo prevalente dell’attività di impresa delle società cooperative di lavoro consiste
“nel fornire occasioni di lavoro direttamente ai membri dell’organizzazione a condizioni
più vantaggiose di quelle che si otterrebbero sul mercato”.
Queste imprese ad alta intensità di lavoro (c.d. cooperative di produzione e lavoro)
possono reggere in alcuni settori perché il loro obiettivo, lo scopo mutualistico, non è la
massimizzazione del profitto del capitale investito, ma è una redditività del capitale investito che si misura in un posto di lavoro sicuro, in uno stipendio certo e in reddito da
reinvestire in innovazione e miglioramento dell’azienda.
Anche i soci delle cooperative perseguono fini patrimoniali attraverso l’impresa.
Essi, tuttavia, alla più elevata remunerazione del capitale investito, sostituiscono piuttosto la soddisfazione di un preesistente “bisogno economico”.
Il vantaggio mutualistico che i soci conseguono attraverso distinti e diversi rapporti
economici instaurati con la cooperativa (lavoro, consumo, ecc.) è commisurato
all’entità di tali rapporti e del tutto svincolato dalla partecipazione al capitale.
Lo scopo mutualistico, pertanto, consiste nella gestione di un servizio in favore dei soci, i quali sono i destinatari elettivi, ma non esclusivi, dei beni o dei servizi messi a disposizione dalla cooperativa, a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, in conseguenza dell’eliminazione, nel processo di produzione e distribuzione, dell’intermediazione di altri imprenditori.
La cooperazione mette le persone al centro del modello d’impresa, prima che il profitto.
Questi valori di fondo distinguono le cooperative dalle altre forme d’impresa.
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Capitolo 3 – Approfondimenti
 3.1.3 Gli strumenti per attuare il WBO
Abbiamo visto come in Italia il workers buy out sia un fondamentale strumento di risposta ad una situazione di crisi.
A supporto di tale operazione ci sono alcuni strumenti legislativi che rendono più semplice un WBO:
 legge 27 febbraio 1985, n. 49 – legge Marcora;
 legge 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, comma 5;
 d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, art. 11, coordinato con la legge di conversione
21 febbraio 2014, n. 9.
La legge del 27 Febbraio 1985, n. 49, o legge Marcora, promuove la costituzione di
cooperative da parte di lavoratori licenziati, cassaintegrati o dipendenti di aziende in
crisi o sottoposte a procedure concorsuali attraverso un fondo di rotazione per il finanziamento di progetti formulati da società cooperative, nonché un fondo speciale per gli
interventi a salvaguardia dei livelli di occupazione, tramite l’assunzione di opportune iniziative imprenditoriali in forma cooperativa da parte di ben determinate categorie di lavoratori.
La legge n. 49/1985 (“Provvedimenti per il credito alla cooperazione e misure urgenti a
salvaguardia dei livelli di occupazione”) favorisce la creazione di nuovi strumenti per il
finanziamento delle imprese cooperative.
I destinatari diretti del contributo non sono le società cooperative, quanto piuttosto le
società finanziarie che, successivamente, utilizzano tali somme per realizzare le finalità
previste dalla stessa legge. Queste possono ricevere un contributo non eccedente il
triplo del capitale sociale conferito dai soci lavoratori (tale capitale sociale poteva anche
essere quello relativo alla cessione dei crediti per stipendi o per tfr maturati).
Tali società finanziarie sono società cooperative il cui capitale è detenuto, in larga misura, dal Ministero dello sviluppo economico, che concedono finanziamenti alle società
cooperative e pertanto svolgono una rilevante funzione di sostegno alle operazioni di
workers buy out.
L’intervento delle società finanziarie è, inoltre, volto ad assicurare lo sviluppo economico delle società cooperative e la creazione di nuova occupazione, finanziando operazioni di start-up, sviluppo, consolidamento e riposizionamento delle imprese costituite
in forma cooperativa.
Nel 1986 è stata fondata la società finanziaria, Cooperazione Finanza Industriale (oggi
ancora esistente come Cooperazione, finanza e impresa, C.F.I.), proprio per gestire il
fondo rotativo Marcora, su iniziativa delle tre maggiori Centrali Cooperative di quel
tempo.
La nuova legge Marcora, ossia la legge del 3 marzo 2001, n. 57, ha disposto che, oltre
alle cooperative di produzione e lavoro neo costituite, possono usufruire degli interventi
previsti dalla legge n. 49, anche le cooperative già esistenti, al fine di realizzare progetti
di crescita e sviluppo, e le cooperative sociali.
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Capitolo 3 – Approfondimenti
Rispetto alla normativa previgente, la legge n. 57 va oltre l’obiettivo della salvaguardia
dell’occupazione di chi è stato espulso dall’attività lavorativa, favorendo anche la patrimonializzazione delle aziende costituite sotto forma di cooperativa.
La sottocapitalizzazione, infatti, è uno degli aspetti cronici che caratterizzano le società
cooperative, penalizzandole anche nell’attribuzione del giudizio di rating da parte degli
istituti di credito.
L’azienda poco capitalizzata è, infatti, sempre interpretata come un’azienda a struttura
“debole”.
La nuova normativa è una risposta all’esigenza di consentire alle cooperative, da sempre afflitte da “nanismo finanziario” o da “sottocapitalizzazione”, di acquisire capitali di
rischio nella misura necessaria a far fronte alle necessità di liquidità o d’investimento,
richieste in modo sempre più pressante dal mercato.
La legge 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, comma 5, consente, ai dipendenti di
un’impresa in crisi, di mettersi in proprio e di richiedere all’INPS l’anticipazione
dell’indennità di mobilità al fine di costituire una cooperativa.
L’art. 7, comma 5, legge n. 223/1991 afferma: “I lavoratori in mobilità che ne facciano
richiesta per intraprendere un’attività autonoma o per associarsi in cooperativa in conformità alle norme vigenti possono ottenere la corresponsione anticipata dell’indennità
nelle misure indicate nei commi 1 e 2, detraendone il numero di mensilità già godute”.
Possono farne richiesta, i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, quelli che hanno contratto a tempo indeterminato e un’anzianità aziendale minima di 12 mesi, di cui almeno
6 di lavoro effettivamente prestato.
I lavoratori in mobilità che intendono costituire una cooperativa, per rilevare un ramo di
impresa o per svolgere una nuova attività imprenditoriale, possono chiedere e ricevere
una somma a titolo di anticipazione con i criteri stabiliti e versarla a titolo di capitale sociale; essi investono l’anticipo in cooperativa al fine poi di rilevare l’azienda in crisi.
Il d.l. 23 dicembre 2013, n. 145 (articolo 11, comma 2) coordinato con la legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9, rubricato “Misure per favorire la risoluzione di crisi
aziendali e difendere l’occupazione” sancisce che nel caso di affitto o di vendita di
aziende, rami d’azienda o complessi di beni e contratti di imprese sottoposte a fallimento, concordato preventivo, amministrazione straordinaria o liquidazione coatta
amministrativa, hanno diritto di prelazione per l’affitto o per l’acquisto le società cooperative costituite da lavoratori dipendenti dell’impresa sottoposta alla procedura.
Al comma 3, il medesimo articolo, stabilisce inoltre che l’atto di aggiudicazione
dell’affitto o della vendita a tali società cooperative costituisce titolo ai fini della corresponsione anticipata dell’indennità di mobilità, nel caso in cui la cooperativa sia costituita da lavoratori in mobilità che ne abbiano fatto richiesta ai sensi dell’articolo 7,
comma 5, della legge 23 luglio 1991, n. 223.
Le somme corrisposte a titolo di anticipazione dell’indennità di mobilità sono cumulabili
con la corresponsione dei contributi a fondo perduto, ex articolo 17 della legge 27 febbraio 1985, n. 49, erogati dal fondo speciale per gli interventi a salvaguardia dei livelli di
occupazione in favore delle cooperative che abbiano effettuato la sottoscrizione di ca50
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Capitolo 3 – Approfondimenti
pitale nella misura almeno uguale ai predetti contributi. Tale contributo a fondo perduto
non può, però, eccedere di tre volte l’ammontare del capitale sottoscritto da ciascuna
cooperativa.
La norma che si è appena commentata fa riferimento soltanto alle imprese che hanno
più di quindici dipendenti, i quali, in caso di chiusura dell’attività, possono fruire del trattamento economico scaturente dall’indennità di mobilità.
Inoltre la legge 21 febbraio 2014, n. 9 ha integrato il d.l., stabilendo che l’atto di aggiudicazione dell’affitto o della vendita a tali società cooperative può costituire titolo anche
per richiedere la liquidazione delle mensilità non ancora percepite, per quei lavoratori
aventi diritto all’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), che si sono costituiti in forma cooperativa (art. 2, comma 19, legge 28 giugno 2012, n. 92).
 3.1.4 Il contesto necessario per il successo del WBO
Affinché l’operazione di WBO si traduca in una esperienza di successo è necessario, in
primo luogo, conoscere a fondo le dinamiche dell’azienda: per questo motivo, il workers buy-out è applicato prevalentemente nelle piccole imprese.
Inoltre, è necessario che coesistano quattro requisiti fondamentali:
1) un chiaro accordo coi sindacati;
2) un accordo tra proprietà, creditori e liquidatore;
3) un buon rapporto continuo con i clienti;
4) ruolo chiave del professionista che dovrà “accompagnare” i dipendenti/soci in
ogni fase del processo: dall’analisi dei punti di forza e delle criticità dell’azienda
in crisi, alla redazione del business plan, del progetto industriale, piano finanziario per valutare il fabbisogno finanziario del nuovo soggetto, alla predisposizione degli strumenti per gestire e governare la newco da un punto di vista
economico, patrimoniale, finanziario oltre che amministrativo, contabile e fiscale (budget, controllo di gestione, consuntivi, flussi di cassa, gestione di tesoreria ecc.).
È necessario, chiaramente, fare un accurato studio e valutazione del mercato accompagnato da un business plan credibile e cercare di partire con un vantaggio competitivo per fronteggiare il mercato o, in alternativa, avere la capacità di diversificare su una
nuova area strategica d’affari.
Bisognerà, inoltre, cercare di mantenere il portafoglio lavori acquisito.
La motivazione dei dipendenti è determinante per il buon risultato dell’operazione.
Sicuramente non tutti i lavoratori della vecchia impresa aderiranno all’operazione: solo
quelli più motivati porteranno avanti il progetto attuando così una selezione naturale.
Accettano i lavoratori più decisi che riescono a sostenere all’inizio dei sacrifici ed il rischio d’impresa, impegnando capitale proprio (il trattamento di fine rapporto o
l’indennità di mobilità o risparmi personali).
Indispensabile è il sostegno finanziario dei Fondi mutualistici e di altri soci sovventori e
finanziatori.
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Capitolo 3 – Approfondimenti
Sarà importante, anche, recuperare i rapporti con i vecchi clienti e fornitori oltre a
crearne di nuovi con gli enti locali del territorio al fine di costituire una rete di relazioni
ed alleanze per sostenere il complesso processo.
Solo valorizzando l’intraprendenza e l’autoimprenditorialità si possono salvare posti di
lavoro.
I workers buy-out degli anni Novanta sono nati da crisi prevalentemente aziendali, da
crisi settoriali, da problemi di trasmissione d’impresa per cui il problema si risolveva ripristinando l’efficienza mediante la riduzione del personale, l’abbattimento dei costi, il
basso costo dei mezzi produttivi, l’elevata capitalizzazione.
Il contesto attuale è ben diverso perché nasce da una crisi sistemica.
Per la Newco è essenziale riuscire ad inserirsi nel mercato, cercare di essere innovativa
ed avere idee attraenti.
Oggi lo scenario è più duro ma ciò non toglie che l’operazione di WBO può essere una
valida alternativa alla soluzione della crisi.
 3.2 Lo sviluppo socio-economico del territorio attraverso lo strumento cooperativo: le cooperative di comunità
di Bianca D’Agostinis
Il momento di profonda crisi economica e finanziaria che attraversa il nostro paese, e
che comporta una stagnazione delle iniziative imprenditoriali, evidenzia i limiti del modello di sviluppo capitalistico e può trovare soluzione nell’implementazione dell’agire in
forma cooperativa. L’azienda cooperativa è strumento fondamentale di sviluppo del
capitale sociale (Putnam, 1993), da intendersi quale insieme di relazioni tra agenti economici grazie alle quali l’attività produttiva è facilitata (Percoco, 2012). Esso può essere
distinto in capitale sociale primario e capitale sociale secondario: il primo fa riferimento
alle relazioni che si instaurano in reti familiari, di vicinato, di amicizia e di conoscenza, in
cui si opera con criteri del tutto informali ed è prevalentemente caratterizzato dalla fiducia; il secondo si inserisce nella dimensione dell’aiuto reciproco e si riflette nei rapporti
sociali che si generano tra soggetti appartenenti alla stessa comunità territoriale, i quali
possono organizzarsi in aziende cooperative.
Le relazioni sociali, caratterizzate da scambi che creano esternalità positive, prodotte e
fruite dai partecipanti ad uno specifico contesto sociale, sono insite nelle aggregazioni
di una comunità in cui gli individui attivano reti di tipo fiduciario e collaborativo. L’agire
collettivo per il bene comune, fine primario delle cooperative, crea interazioni sociali
che influenzano significativamente l’economia e il benessere degli agenti componenti il
sistema di riferimento. Le aziende cooperative consentono l’emersione del valore sociale dell’agire comune, conseguito attraverso la trasformazione dei valori individuali e
degli interessi particolari in valori collettivi. Gli obiettivi prefissati dall’azienda cooperativa
si sostanziano nel perseguimento di uno sviluppo sostenibile e questo si può raggiun-
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Capitolo 3 – Approfondimenti
gere solo a condizione di promuovere una cultura del consenso, inteso quale condivisione di obiettivi e azioni tra azienda e stakeholders (soci, lavoratori, consumatori, fornitori, comunità), al fine di attivare il circolo virtuoso “sostenibilità-soddisfazione-fiduciaattrattività-valore”.
Ne deriva che lo sviluppo civile raggiunto da una società di uno specifico territorio dipende dalla capacità dei suoi componenti di costruire relazioni durature e basate sulla
reciprocità. È stato, infatti, ipotizzato e provato (Banfield, 2000) che la carenza di spirito
cooperativo e di fiducia generalizzata sia alla base dell’assenza di sviluppo e
dell’arretratezza economica e sociale di un territorio e che il capitale sociale sia virtualmente legato alla crescita economica, soprattutto con riferimento a contesti locali (Trigilia, 2005; Glaeser, Redlick, 2009).
Le cooperative possono essere concepite quali principali strumenti di un possibile sviluppo della società, in quanto caratterizzate da rilevanza economica e finalità diverse
rispetto alla massimizzazione del profitto (Percoco, 2012). Nelle cooperative la dimensione imprenditoriale si associa a quella sociale, legata a valori del passato attualizzati
attraverso una logica moderna, che non mira a una politica di conservazione ma a una
crescita progressiva. L’aggregazione di individui in cooperativa deve riuscire a conciliare principi economici da una parte, non potendo estrapolare del tutto la dimensione
mutualistica da quella del mercato, e valoriali dall’altra, come la socialità e la solidarietà.
Valori che permettono di incidere sul fabbisogno di benessere individuale e collettivo.
Qualsiasi impresa raggiunge la condizione di perdurabilità, necessaria per creare ricchezza (Di Cagno, Adamo, Giaccari, 2011), se riesce a conciliare il raggiungimento degli equilibri aziendali e, al contempo, a dare risposte alle plurime istanze sociali che in
essa confluiscono (Giaccari, Fasiello, 2013).
La cooperativa è l’azienda che più delle altre può riuscire a trovare un punto di equilibrio tra il momento economico e quello sociale, tra l’esigenza di raggiungere condizioni
di economicità e quella di garantire sviluppo sociale e culturale per l’intera comunità di
riferimento. Mutualità e scopo di lucro non sono, quindi, concetti antitetici ma possono
coesistere nella stessa organizzazione, tanto capitalistica quanto cooperativa. La peculiarità delle cooperative è da ricercarsi nel primario fine economico, che non è la remunerazione del capitale investito da parte dei soci ma la più conveniente valorizzazione
del lavoro apportato o il vantaggio indiretto che deriva dall’incremento del reddito dovuto alla riduzione delle spese di scambi di acquisto. Invero, diverse possono essere le
tipologie di cooperative e molteplici gli obiettivi cui esse tendono, definiti in funzione
degli interessi espressi da coloro che ne costituiscono la base sociale (Tamagnini,
1954), seppur tutti concretizzati nel contributo alla crescita socio-economica della collettività (Catturi, 1970).
Le differenze tra le aziende capitalistiche e quelle cooperative, quindi, sono da ricercarsi in caratteristiche strutturali piuttosto che funzionali: nella “porta aperta”, nella democrazia decisionale (“una testa un voto”), nella formazione dei cooperatori, nel fatto che il
capitale non è il core dell’organizzazione, data la sua limitata remunerazione, e che il
profitto è distribuito sulla base dell’attività svolta all’interno della cooperativa, in termini
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Capitolo 3 – Approfondimenti
di lavoro e di spese per i consumi. In altre parole, il socio cooperatore ricerca un vantaggio che è determinato dall’esito degli scambi che realizza con l’azienda e l’attesa
della remunerazione del capitale ha un ruolo ad esso subordinato.
La riflessione sulla partecipazione delle società cooperative al dinamico e virtuoso processo di crescita del territorio in cui operano ha consentito la concettualizzazione di
una particolare forma di manifestazione di attività economica nel complesso universo
delle aziende cooperative: la cooperativa di comunità. Essa è un’organizzazione di individui appartenenti ad una stessa comunità locale che si riuniscono al fine di sopperire a
carenze pubbliche, di soddisfare specifici bisogni e di creare dinamismo occupazionale, nel pieno rispetto del principio mutualistico. La peculiarità delle cooperative di comunità è data dal fatto che gli utili realizzati non sono distribuiti tra i soci ma impiegati
nell’autofinanziamento dell’azienda e nella realizzazione di opere che migliorano il benessere sociale e arricchiscono il circuito economico delle piccole realtà locali, valorizzandone le risorse materiali e immateriali. Si tratta della creazione di imprese che affiancano allo spirito imprenditoriale un interesse generale per la comunità locale condiviso da tutti coloro che nell’azienda operano. Questi ultimi sviluppano modelli organizzativi e gestionali che favoriscono la partecipazione di tutti i membri nelle scelte che riguardano il soddisfacimento dei bisogni economici, sociali e culturali dei soci/utenti.
I nobili obiettivi che si prefiggono le cooperative di comunità, come la creazione di posti
di lavoro, la conservazione di patrimoni storici, artistici e culturali, la valorizzazione di
settori produttivi tradizionali e l’apertura verso quelli innovativi, evidenziano la capacità
di poter assolvere alcuni compiti della pubblica amministrazione, cogliendo
l’opportunità di contribuire direttamente alla riforma dello stato sociale. Le cooperative,
facendo leva su valori quali l’eticità e la cooperazione, possono promuovere forme associative che consentano di intervenire nei settori di gestione e produzione di beni
pubblici, dell’assistenza e dei servizi sociali, a costi di gran lunga più bassi di quelli dello
Stato (Pearce, 1993; Kingma, 1997). La cooperazione può fornire, dunque, il suo contributo alla risoluzione di problemi insiti nel contesto sociale e a cui lo Stato o il mercato
non riescono a dare soddisfacenti risposte.
Le cooperative di comunità nascono dall’impulso al rinnovamento e al miglioramento
che ha investito il settore pubblico e che riguarda il superamento della vecchia amministrazione, fortemente burocratizzata, attraverso il diffondersi di cultura manageriale incentrata sull’efficienza e sull’efficacia dell’azione pubblica. Il superamento della crisi del
modello di welfare-state tradizionale, che ha portato a una situazione di declino economico e demografico, potrebbe realizzarsi attraverso l’inclusione dei cittadini nella gestione di servizi di interesse generale, al fine di raggiungere il miglioramento del modello
stesso, con benefici non solo economici ma anche, e soprattutto, sociali.
Certamente il tema della partecipazione civica, centrato sull’apertura ai cittadini dei
processi di definizione delle politiche pubbliche, prosegue senza soluzione di continuità
in quello della co-produzione (Bartocci, Picciaia, 2013), spostando l’attenzione sui processi tecnici di generazione e distribuzione di servizi e prevedendo meccanismi di inclusione, non necessariamente esclusiva, degli utenti. Un filone di studi che da diversi
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Capitolo 3 – Approfondimenti
anni riscuote particolare interesse tra gli studiosi (Bovaird, 2007; Brandsen, Pestoff,
Verschuere, 2012; Osborne, McLaughlin, 2004; Pestoff, 2009; Pillitu, 2008; Storlazzi,
2006), infatti, è quello della co-production, intesa come insieme di attività in cui i cittadini, in forma individuale o in forma organizzativa strutturata, collaborano con la pubblica amministrazione nella gestione di servizi pubblici. Esso nasce dall’acquisita consapevolezza che l’inclusione dei cittadini in forma singola realizza gradi di partecipazione
più bassi rispetto a quelli raggiungibili mediante il loro coinvolgimento in forma organizzata. Tale fenomeno, nella realtà, si è ulteriormente allargato andando oltre le public
utilities e raggiungendo settori produttivi sia tradizionali sia innovativi.
Le politiche di sviluppo che partono dal basso prevedono la partecipazione dei membri
di una realtà territoriale a organizzazioni economiche, al fine di diventare protagonisti
attivi della comunità, fornire risposte a comuni necessità e realizzare così un potenziamento bottom up del progresso civile. Il vantaggio della co-produzione deriva dal fatto
che i cittadini sono tra loro accomunati non solo da esigenze similari e dalla capacità di
riuscire a identificare con precisione i bisogni espressi o, a volte, latenti ma soprattutto
dal forte senso di appartenenza a un territorio, caratterizzato da accentuate e riconosciute specificità.
Promuovere l’auto-organizzazione dei cittadini al fine di soddisfare i loro bisogni e sensibilizzarli verso una cultura ambientale, sociale ed etica, orientata a un utilizzo responsabile delle risorse naturali, vuol dire diffondere la condivisione dell’interesse alla salvaguardia del territorio e alla sua crescita e miglioramento infrastrutturale.
Il concetto di comunità insito nelle organizzazioni aziendali, in cui l’uomo opera insieme
ad altri uomini per raggiungere un fine comune, implica quello di consapevolezza, da
parte di ciascun partecipante, di appartenere alla comunità, nel senso di svolgere una
funzione che si integra e si armonizza con quella degli altri componenti (Cassandro,
1978). La comunità aziendale, quindi, funziona su principi di cooperazione, collaborazione e solidarietà dei componenti, portati a svolgere il proprio ruolo sotto l’imperativo
della coscienza morale. Tale comunità si allarga così a quella più ampia di cui fa parte
che è la comunità sociale; ogni membro della comunità, adempiendo i compiti a esso
assegnati all’interno dell’azienda, assolve contemporaneamente anche a quelli di appartenente alla comunità sociale in cui è inserita la specifica comunità aziendale. Le relazioni contribuiscono a creare una cooperazione sentita tra tutti coloro che partecipano alla vita dell’azienda, che tende a realizzare così il concetto ideale di comunità.
Le cooperative di comunità, quindi, coinvolgendo l’intera collettività, rappresentano non
solo un mezzo di produzione economica ma anche strumento di integrazione sociale.
Esse nascono in aree a forte identità territoriale e in settori di attività anche molto diversi tra loro ma tutti strategici per l’economia locale. Si tratta di settori tradizionali, quali
l’agricoltura, l’artigianato, il turismo, ma anche molto innovativi come le energie rinnovabili, le tecnologie. La forte integrazione e identificazione delle cooperative di comunità
con il territorio in cui operano implica un rapporto di apertura e di significativi reciproci
scambi, vincoli e opportunità, entro i quali ricercare le condizioni di un adeguato e duraturo sviluppo della propria gestione.
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Capitolo 3 – Approfondimenti
Le cooperative di comunità non hanno ancora un inquadramento giuridico1 e non possono essere identificate in una specifica categoria né in una definita dimensione ma possono manifestarsi in tutte le tipologie di cooperative che la dottrina aziendalista considera
(Tessitore, 1968; Zan, 1982; Matacena, 1990; Vermiglio, 1990; Mazzoleni, 1996; Costa,
2004), con la particolare caratteristica di creare condizioni di vantaggio per l’intera e ben
individuata comunità in cui esse operano (Fasiello, 2012). Le cooperative di comunità
possono essere cooperative di utenza, sociali, agricole, di lavoro, miste ma tutte accomunate dall’essere costituite da cittadini della stessa area territoriale.
Le finalità delle cooperative di comunità sono da ricercare nelle caratteristiche dei territori locali e si manifestano in benefici diretti e indiretti alla collettività. Alcune cooperative
sorgono per colmare la scarsità o addirittura la mancanza di servizi basilari di aree
svantaggiate, come servizi socio-sanitari, scuole, farmacie, servizi commerciali, servizi
di comunicazione; altre sono create per valorizzare le risorse del territorio, cercando,
quindi, di incrementare il turismo, il recupero e la conservazione del patrimonio storico,
culturale e ambientale, il mantenimento e la diffusione di tradizioni culturali, il ripopolamento di piccole aree; altre, ancora, si prefiggono lo scopo di sopperire al problema
della disoccupazione, fornendo lavoro a persone disagiate o semplicemente a coloro
che vogliano operare non solo per se stessi ma anche per gli altri. Si tratta di attività
strategiche che consentono la valorizzazione e il miglioramento del contesto territoriale.
In esse il cittadino diventa protagonista sia dal punto di vista organizzativo, partecipando attivamente all’attività della cooperativa, sia dal punto di vista della destinazione dei
beni/servizi, atti a soddisfare i bisogni, e delle risorse, impiegate in nuovi investimenti
per la realizzazione di progetti a beneficio dell’intera comunità.
Un particolare settore di diffusione delle cooperative di comunità è quello del turismo,
in cui una determinata comunità si aggrega con l’obiettivo di qualificare e arricchire
l’accoglienza del territorio, attraverso la diffusione di cultura locale e la messa a sistema
di esperienze, competenze e testimonianze dei mestieri, delle tradizioni, della gastronomia, delle produzioni artigianali. Nello sviluppo di servizi turistici sono coinvolti tutti i
cittadini, concentrati a potenziare la promozione turistica e culturale e, di conseguenza,
a rendere il proprio territorio accogliente sia per i visitatori sia per i suoi stessi abitanti.
L’attività consiste nella realizzazione di percorsi enogastronomici, culturali ed ecoambientali, finalizzati alla creazione di collaborazioni tra diversi attori del territorio, quali
cantine, fattorie, agriturismi, guide turistiche, artisti, critici d’arte, ristoratori, albergatori.
Attraverso la cooperativa, quindi, si esplicita la volontà di preservare e valorizzare
l’identità culturale di piccoli territori.
------------------------------------------1
Il Consiglio Regionale della Sardegna, nel marzo 2013, ha presentato un progetto di legge per la promozione, il sostegno e lo sviluppo delle cooperative di comunità nella Regione.
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Capitolo 3 – Approfondimenti
Dal punto di vista prettamente operativo, le cooperative di comunità consentono una
raccolta di capitale a basso costo2 e favoriscono una maggiore tutela degli interessi
degli utenti, data la coincidenza con gli interessi dell’organizzazione, in cui gran parte
degli stakeholders sono coinvolti. Inoltre, consentono una maggiore flessibilità organizzativa e gestionale delle attività di produzione di beni e servizi e l’introduzione di incentivi per incrementare l’efficacia del management, in maniera più semplice di quanto avvenga nel settore strettamente pubblico. L’importanza della co-produzione dei cittadini
si riscontra nella capacità di modulare l’attività produttiva sulla base delle esigenze e
delle richieste di chi fa parte della stessa azienda, ciò garantendo la qualità dei prodotti/servizi e la creazione di maggiore responsabilità civica (Mari, 1994).
Lo statuto della cooperativa deve contemplare la funzione sociale avente l’obiettivo di
produrre un benessere socio-economico generale attraverso lo sviluppo di relazioni tra
i membri, i non soci ed eventuali istituti di collaborazione esterni. Ciò può realizzarsi se
l’operato della cooperativa si fonda su una solida base mutualistica, se l’impresa adotta concretamente il principio della porta aperta ed è, quindi, propensa al continuo ingresso di nuovi soci, se è governata in modo democratico e condiviso.
Il coinvolgimento dei membri è riflesso anche nel consiglio di amministrazione, la cui
composizione è generalmente rappresentata da soci cooperatori. La scelta degli amministratori è un momento topico della vita della cooperativa di comunità, poiché essi
rivestono un ruolo importante per accrescere la partecipazione e il coinvolgimento dei
cittadini. Il management promuove l’educazione alla solidarietà, fornendo opportunità e
risorse all’interno di un quadro progettuale incentrato su un modello di governance
aperta, in cui gli stessi membri possono contribuire al processo di sviluppo. Il punto di
forza delle cooperative, che coinvolgono tutti o la maggior parte dei cittadini, è la condivisione di valori, obiettivi, esperienze, responsabilità, fiducia reciproca e leadership
riconosciuta. Con la promozione di tali principi, le cooperative di comunità possono dare soluzioni condivise ai problemi sociali e raggiungere efficienti risultati per il miglioramento della qualità della vita e lo sviluppo dell’occupazione, diventando protagoniste
del futuro delle piccole comunità locali.
La significatività del fenomeno rappresentato dalle cooperative di comunità è ravvisabile, inoltre, nella capacità di promuovere e realizzare reti con altre cooperative di località
affini o del tutto differenti, che consentono di risaltare le tipicità di un territorio. È necessario avere la capacità di comprendere ciò che i territori offrono, esaltarne le potenzialità e allo stesso tempo coltivare relazioni continue superando i confini territoriali, al fine
di migliorare le proprie organizzazioni e replicare esperienze di successo già realizzate.
L’importante ruolo socio-economico che le cooperative di comunità possono ricoprire
all’interno di una realtà locale trova riscontro nel progetto “cooperative di comunità”
------------------------------------------2
Difficilmente le cooperative operano in settori ad alta intensità di capitale poiché trovano difficoltà a recuperare risorse di prestito, data l’espressione di un potere di controllo distribuito a favore della pluralità dei soci.
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Capitolo 3 – Approfondimenti
promosso da Legacoop a fine 2010 (Legacoop, 2011)3. Si tratta di un progetto di sviluppo sostenibile, attraverso il quale si possono realizzare iniziative collettive pensate
dai cittadini, fondate sulla loro competenza e partecipazione nell’elaborazione delle
idee e delle decisioni. Ciò a vantaggio della comunità, considerata nella collettività dei
soggetti che appartengono all’aggregazione aziendale e di quelli che ne sono solo
utenti o beneficiari.
Il progetto muove dall’esigenza di sviluppare nuove espressioni della mutualità votate
alla conservazione e alla valorizzazione delle tradizioni e delle risorse naturali, sociali e
culturali presenti sui territori. Le cooperative di comunità, infatti, possono rappresentare
uno strumento originale e innovativo per valorizzare le grandi potenzialità di piccoli territori e offrire risposte concrete agli abitanti dei borghi d’Italia. Il progetto ha lo scopo di
mantenere vitali le tante comunità locali a rischio deperimento se non addirittura a rischio estinzione.
Le cooperative di comunità, essendo un fenomeno recente, non sono prive di elementi
di criticità, primo fra tutti la mancanza negli operatori di cultura manageriale e di competenze organizzative e operative. Non bisogna dimenticare, infatti, che le cooperative
di comunità aggregano in sé l’organizzazione aziendale, che come tale deve perseguire
l’economicità e la perdurabilità nel tempo, condizioni essenziali per la produzione di valore, e la finalità mutualistica, che consente di produrre utilità per coloro che partecipano alla stessa azienda.
Al fine di verificare la capacità delle cooperative di comunità di raggiungere gli obiettivi
per i quali sono state istituite, è, quindi, necessaria una continua attenzione agli aspetti
organizzativi, gestionali e sociali e all’informativa aziendale, che dovrebbe andare al di
là di quella obbligatoria per legge e dare contezza della produzione di ricchezza per la
collettività, in termini di benessere sociale oltre che economico (Vermiglio, 2000; Viviani, 2000). Gli strumenti di comunicazione dovrebbero, quindi, consentire di misurare e
rappresentare il “reddito sociale” prodotto dall’azienda, ossia le remunerazioni qualitative e qualitative di tutti coloro che in essa direttamente o indirettamente operano.
Possiamo concludere che le cooperative di comunità sono iniziative che ben si configurano in un quadro di politiche di welfare, incentrate non solo su una logica ammini-
------------------------------------------3
In Italia diverse sono le iniziative cooperative che possono essere definite “cooperative di comunità”, a titolo
di esempio: la cooperativa sociale L’Innesto ONLUS, con sede a Gaverina Terme (Bergamo), ha l’obiettivo di
salvaguardare il territorio e ripristinare il bene ambientale della valle Cavallina; la cooperativa sociale Il Miglio,
con sede a Miglierina (Catanzaro), ha l’obiettivo di contrastare lo spopolamento del comune e delle zone limitrofe; la cooperativa I Briganti di Cerreto, con sede a Collagna (Reggio Emilia), punta alla promozione del turismo e alla sostenibilità ambientale; la Rete Imprese Cooperative Ambientali in Abruzzo, che raggruppa tutte
le organizzazioni mutualistiche che operano nella riserva naturale regionale del Lago di Penne ed è sensibile
alle problematiche sociali in quanto coinvolge nelle sue attività numerosi volontari e collaboratori delle fasce a
rischio, occupati nella gestione di aree protette, nella commercializzazione di prodotti agricoli, nei settori di
ristorazione e turismo; la Cooperativa di Comunità di Melpignano, con sede a Melpignano (Lecce), nata per
la diffusione di energie rinnovabili attraverso la realizzazione e gestione di impianti fotovoltaici sui tetti dei privati.
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Capitolo 3 – Approfondimenti
strativa di risposta alle necessità del territorio locale ma anche sulla valorizzazione della
dimensione relazionale. Solo quest’ultima, infatti, consente di attivare reti di collaborazione che possano culminare nella costruzione di soluzioni condivise per uno sviluppo
locale, al fine di migliorare le plurime dimensioni della qualità di vita per la comunità. Le
cooperative di comunità hanno, quindi, una funzione di coesione all’interno del contesto cittadino, in quanto rafforzano le relazioni e consolidano l’impegno civico, attraverso la diffusione di capitale sociale, ossia di fiducia che consente di cooperare in termini
di reciprocità. Non bisogna però mai perdere di vista l’aspetto aziendale delle cooperative, che richiedono una conduzione razionale e improntata imprescindibilmente a principi di corretta gestione economica.
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Capitolo 3 – Approfondimenti
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Capitolo 3 – Approfondimenti
 3.3 Cooperative e studi di settore
di Salvatore Giordano
Gli studi di settore applicati alle cooperative hanno da sempre creato qualche difficoltà
agli operatori del settore ed ai commercialisti che li seguono. Infatti il concetto di mutualità, a differenza di quello legato al lucro tipico delle altre società di capitali, non è
tenuta in debita considerazione ai fini dell’accertamento e ciò – spesso – comporta delle situazioni al limite del paradosso che riguardano il mondo cooperativistico. Attraverso il presente intervento cercheremo di chiarire gli indirizzi dell’Agenzia delle Entrate in
merito agli studi di settore applicati alle società cooperative, in modo da tracciare il
quadro di tutte le variabili da monitorare per scongiurare il pericolo di accertamento attraverso tale strumento.
Da ultimo, l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 23/2013 ha fornito indicazioni e
chiarimenti relativamente all’applicazione degli studi di settore per il periodo d’imposta
2012 ed inoltre ha evidenziato alcuni aspetti rilevanti per le cooperative4.
Di particolare interesse è il chiarimento relativo alla fruibilità della causa di inapplicabilità
degli studi nei confronti di cooperative e consorzi di imprese che operano nel settore
degli appalti di lavori, servizi, forniture in campo edile costituite appositamente per raggiungere i requisiti minimi di idoneità tecnica e finanziaria, necessari ai fini della partecipazione alle gare di appalto.
In taluni casi – osserva l’Agenzia – il consorzio o la cooperativa, una volta aggiudicati i
lavori, assegna i medesimi alle imprese consorziate/socie, fornendo così alle stesse la
possibilità di accedere alla realizzazione di opere complesse che, altrimenti, non sarebbero in grado di compiere. Di solito, dal punto di vista contrattuale, i soci o consorziati
che eseguono i lavori fatturano le prestazioni alla cooperativa o consorzio, il quale, a
sua volta, emette fattura nei confronti del committente, soggetto pubblico o privato.
Per l’Agenzia delle Entrate quando ricorre tale situazione, le cooperative o i consorzi
non possono beneficiare della causa di inapplicabilità degli studi di settore poiché –
come avremo modo di sottolineare - l’elemento determinante ai fini della sussistenza
della stessa è la presenza di attività svolte esclusivamente a favore dei soci.
Ed infatti, andando più indietro nel tempo, la circolare ministeriale n. 23 del 22 giugno 2006 già affermava, fra le altre cause di inapplicabilità, che gli studi non si applicano:
a) nei confronti delle società cooperative, società consortili e consorzi che operano esclusivamente a favore delle imprese socie o associate;
b) nei confronti delle società cooperative costituite da utenti non imprenditori che
operano esclusivamente a favore degli utenti stessi.
Tra le società cooperative, società consortili e consorzi che operano esclusivamente a
favore delle imprese socie o associate possono rientrare, ad esempio, le cooperative di
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Fonte: Eutekne – Autore: Paola Rivetti
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Capitolo 3 – Approfondimenti
acquisti collettivi in agricoltura, le cooperative di vendita ai soci di macchine agricole, i
consorzi cooperativi di servizi quali i servizi amministrativi, servizi tecnici o di consulenza, i consorzi di cooperative sociali.
Invece tra le società cooperative costituite da utenti non imprenditori che operano
esclusivamente a favore degli utenti stessi possono rientrare, ad esempio, le cooperative edilizie di abitazione o le cooperative di consumo che effettuano vendite esclusivamente a favore di soci non imprenditori.
Inoltre anche la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 14 novembre 2007, n.
330/E è concorde relativamente a tale interpretazione. In tale documento di prassi
l’Agenzia delle Entrate, infatti, rispondendo all’interpello afferma che l’art. 2 del decreto
30 marzo 1999, individua le categorie di contribuenti alle quali non si applicano gli studi
di settore e dispone l’inapplicabilità degli studi nei casi segnalati precedentemente.
Inoltre l’Agenzia afferma anche che nella circolare del Ministero delle Finanze del 21
maggio 1999 n. 110/E, punto 6.5, è stato chiarito che “Le cause di inapplicabilità di
cui ai punti 3 e 4 fanno riferimento alle cooperative di imprese e quelle di utenti che non
operano per conto terzi e che non seguono le ordinarie regole di mercato. Tali cause di
inapplicabilità operano in presenza di attività svolte esclusivamente a favore dei soci o
associati o degli utenti. In caso di attività svolte in via non esclusiva, in sede di contraddittorio con il contribuente, qualora ricorrano le condizioni previste dall’art. 14 del decreto del presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, gli uffici terranno
conto, comunque, che tali cooperative operano in situazioni di mercato influenzate dal
perseguimento di fini mutualistici che possono incidere in maniera rilevante sui ricavi
conseguiti”.
Pertanto, alla luce delle circolari sopra citate, si evince che soltanto le cooperative che
svolgono attività rivolte esclusivamente a favore dei soci, o associati, o utenti, sono
escluse dall’applicabilità degli studi di settore.
Le cooperative che invocano la clausola di inapplicabilità non sono tenute alla compilazione dello studio di settore ma, salvo esclusioni specifiche, sono tenute alla compilazione del modello dei parametri di impresa e degli indicatori di normalità economica
(INE).
 3.3.1 Azione di accertamento
A seguito dell’art. 6 del decreto 28 dicembre 2012 è a regime la disposizione che prevede che nei confronti delle cooperative a mutualità prevalente di cui all’art. 2512 del
codice civile, i risultati degli studi di settore di cui all’art. 62-bis del d.l. 30 agosto 1993,
n. 331, non possono essere utilizzati per l’azione di accertamento da studi di settore.
Pertanto, nei confronti delle cooperative a mutualità prevalente di cui all’art. 2512 del
codice civile, i risultati degli studi di settore non possono essere utilizzati per l’azione di
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Capitolo 3 – Approfondimenti
accertamento da studi di settore per i periodi d’imposta in corso al 31.12.20105, al 31
dicembre 20116, al 31 dicembre 2012 e successivi.
Le cooperative a mutualità prevalente dovranno comunque continuare a compilare il
modello dello studio di settore.
Alla luce di tale norma, dunque, i risultati degli studi di settore potranno essere utilizzati
esclusivamente per la selezione delle posizioni soggettive da sottoporre a controllo con
le ordinarie metodologie e non rileveranno altresì ai fini dell’applicazione dell’art. 10,
comma 4-bis della legge 8 maggio 1998, n. 146 (rettifiche da parte dell’Ufficio sulla
base di presunzioni semplici).
 3.3.2 Il problema dei ristorni
L’imputazione dei ristorni, in sede di applicazione degli studi di settore, costituisce un
problema assai rilevante in quanto gli stessi influenzano la determinazione dei ricavi
presunti puntuali.
Su tale tema, la dottrina è concorde nell’escludere il valore dei ristorni dal calcolo dei ricavi presunti dagli studi di settore, mentre l’Agenzia delle Entrate è intervenuta, in tema di
ristorni, con una nota del 4 agosto 2008, in risposta ad una Centrale Cooperativa.
Tale nota, sinteticamente, argomenta che i ristorni:
 sia se deliberati come destinazione dell’utile di esercizio delle cooperative, sia
se imputati direttamente a conto economico, non devono avere alcun effetto
sui risultati degli studi di settore e dei parametri;
 devono essere inefficaci a stimare i ricavi presunti della gestione caratteristica
delle imprese cooperative.
La stessa nota, tuttavia, precisa che i ristorni devono essere evidenziati tra i costi, nel
rigo F23 del modello Studi di settore.
L’allocazione in tale rigo incide nella verifica della coerenza. In tale caso: «sia
nell’apposita sezione di GERICO denominata “note aggiuntive”, sia nell’eventuale fase
del contraddittorio, il contribuente avrà la possibilità comunque di giustificare detta situazione».
 3.3.3 Agevolazioni fiscali
La presenza di agevolazioni fiscali in capo alla cooperativa, sia riferite alla quota detassata dell’utile di esercizio sia alla quota esente di reddito d’impresa, determinano - in
sede di compilazione degli studi di settore - per un’esigenza di quadratura tra il reddito
indicato nel modello degli studi di settore e il quadro del reddito d’impresa, l’emergere
di costi “fittizi” che inevitabilmente influiscono sulla formula di calcolo dei ricavi di
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Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 16 marzo 2011.
Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 28 dicembre 2011.
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Capitolo 3 – Approfondimenti
Ge.ri.co. Anche in tale ipotesi, al pari di quanto indicato per i ristorni, è necessario segnalare la situazione all’interno del quadro annotazioni.
Le principali agevolazioni fiscali che devono essere segnalate, se significative e se determinano incongruità, sono:
 quota detassata degli utili destinati a riserva indivisibile di cui alla legge n.
904/1977;
 quota del 3% dell’utile destinata a fondi mutualistici;
 reddito esente di cui agli art. 10 e 11 del d.p.r. n. 601/1973;
 rivalutazione delle quote e delle azioni ai sensi dell’art. 7 legge n. 59/1992.
 3.3.4 Cause di inapplicabilità
La disciplina prevede che gli studi di settore non si applicano in presenza di ben individuate cause di inapplicabilità. In particolare le cause di inapplicabilità, così come riferito
precedentemente hanno sempre interessato le cooperative:
 che operano esclusivamente a favore delle imprese socie o associate;
 che operano esclusivamente a favore degli utenti stessi.
Per la verità, a partire dagli studi applicabili dal periodo d’imposta 2000, i decreti di approvazione hanno individuato un’altra causa di inapplicabilità per le società cooperative
che in qualsiasi forma esercitano l’attività di trasporto con taxi e noleggio di auto con
autista.
In relazione alle cause di inapplicabilità degli studi di settore per le cooperative, come
visto, l’unico chiarimento ufficiale emanato in tutti questi anni è rappresentato dalla
C.M. 21 maggio 1999, n. 110/E, par. 6.5.
In pratica, secondo l’Agenzia, le cause di inapplicabilità sono valide solo per le cooperative ed i consorzi che operano esclusivamente nei confronti dei propri soci, mentre
per le cooperative che operano anche nei confronti di terzi si applicano normalmente
gli studi di settore, seppur tenendo conto “che tali cooperative operano in situazioni di
mercato influenzate dal perseguimento di fini mutualistici“. L’eventuale inapplicabilità
dello studio di settore alla cooperativa comporta anche l’esonero per la cooperativa
dall’obbligo di presentare eventuali questionari obbligatori ai fini della predisposizione o
revisione periodica degli studi di settore, come chiarito nel comunicato stampa del 7
dicembre 2006.
Dunque, il problema riguarda l’individuazione delle cooperative interessate all’inapplicabilità, tenendo presente che le disposizioni fanno espresso riferimento alle cooperative
che operano “esclusivamente” a favore dei propri soci, senza precisare cosa effettivamente si debba intendere con la locuzione “operano esclusivamente a favore dei soci”.
Dalla formulazione letterale della norma sembra però che debba farsi discendere
l’applicazione della causa solo alle cooperative per le quali lo scambio mutualistico con
i propri soci dia luogo a ricavi per cessioni o prestazioni. Solo in tal senso, infatti, la locuzione acquista un suo preciso senso, che manca, invece, in tutte le altre situazioni
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Capitolo 3 – Approfondimenti
(ad esempio: cooperative di produzione e lavoro) in cui le cooperative effettuano prestazioni o cessioni a favore di terzi soggetti.
Concorrono a consolidare tale interpretazione la citata C.M. n. 110/E del 1999 dove è
più volte detto ed è meglio chiarito che deve trattarsi di cooperative che svolgono attività a favore dei soci, cioè che operano nei confronti dei soci, in condizioni di mercato
diverse da quelle ritenute ordinarie, con la conseguenza, quindi, che il termine attività
non può che riferirsi ad un facere a favore di qualcuno, il che dà sicuramente luogo a
ricavi.
Inoltre, quando il legislatore ha inteso estendere la causa di inapplicabilità anche alle
cooperative che non svolgono attività nei confronti dei soci, lo ha fatto in modo esplicito, come nel caso delle cooperative di tassisti o di noleggio auto con autista.
Infine, nei documenti dell’Agenzia delle Entrate non si fa minimamente cenno alla possibilità di estendere la causa di inapplicabilità alla cooperativa che utilizzi esclusivamente il lavoro o i conferimenti dei soci, il che conferma che per attività svolta a favore dei
soci dovrebbe intendersi solo quella attività che può dar luogo a ricavi.
In definitiva si ritiene che la predetta causa di inapplicabilità vale per le cooperative che
svolgono attività da cui scaturiscono cessioni o prestazioni di servizi, esclusivamente a
favore dei propri soci, quali possono essere, come già sottolineato, i gruppi di acquisto
chiusi, gli spacci che vendono solo a soci non imprenditori, le cooperative edilizie, ecc.,
ivi compresi tutti i consorzi che operano esclusivamente a favore dei propri soci che
siano cooperative.
 3.3.5 Cooperative a mutualità prevalente
La realtà delle cooperative vede la prevalenza di soggetti che operano anche nei confronti di terzi non soci. Per esse risultano, quindi, non operanti le predette clausole di
inapplicabilità ma è valida solo l’avvertenza che di tale situazione gli uffici devono tenerne conto.
In effetti, le cause di inapplicabilità, come si è visto in precedenza, valgono solo per le
cooperative che operano esclusivamente a favore dei soci, il che non sempre si verifica
nelle cooperative a mutualità prevalente nelle quali, come è noto, gli scambi mutualistici
fra soci e cooperative devono essere superiori al 50% del valore complessivo di riferimento (ma non pari al 100%), come previsto nell’art. 2513 c.c. e dal decreto del Ministero delle attività produttive 30 dicembre 2005.
Pertanto, ben può verificarsi il caso di una cooperativa cui spetti la qualifica di cooperativa a mutualità prevalente, in quanto effettua cessioni o prestazioni a favore dei soci in
misura superiore al 50% dei ricavi, ma che ne effettua anche a vantaggio dei terzi.
Quindi in tali situazioni, fino all’esercizio 2009, si presentano tutti i problemi concernenti
le cause che originano la non congruità (con accertamento automatico) in quanto la
cooperativa è comunque obbligata agli studi di settore e potrebbe risultare non congrua per effetto appunto della prevalenza, cioè dal fatto d’aver operato, per più del
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Capitolo 3 – Approfondimenti
50%, a favore di soci cui ridistribuisce, in misura proporzionale e sotto forma di ristorno, il beneficio economico realizzato con la partecipazione dei soci.
Fino all’esercizio 2009, nelle società cooperative a c.d. mutualità prevalente gli uffici
dovranno verificare, ai fini dell’applicabilità degli studi di settore, la sussistenza dei requisiti di mutualità prevalente. Dal 2010 tale verifica servirà per selezionare le posizioni
da controllare al di là dello studio stesso.
La prevalenza, ai sensi dell’art. 26 del decreto legislativo del Capo Provvisorio dello
Stato, è rispettata quando la cooperativa:
 svolge la propria attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o
utenti di beni e servizi;
 si avvale prevalentemente, nello svolgimento della propria attività, delle prestazioni lavorative dei soci;
 si avvale prevalentemente, nello svolgimento della propria attività, degli apporti
di beni e servizi da parte dei soci e, in tutti questi casi, rispetta i parametri
quantitativi (> 50%) di attività rivolte nei confronti dei soci.
Inoltre, la cooperativa a mutualità prevalente deve possedere uno statuto contenente le
clausole inderogabili previste dall’art. 2514 c.c., ossia:
1) divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei
buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato;
2) divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i
dividendi;
3) divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori;
4) obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell’intero patrimonio sociale, dedotto soltanto il capitale sociale e i dividendi eventualmente
maturati, ai fondi mutualistici.
Verificata la sussistenza dei requisiti sopra menzionati, nell’applicazione degli studi di
settore alle società cooperative a mutualità prevalente fino all’anno 2009, si dovrà tener
conto delle particolari “situazioni di mercato influenzate dal perseguimento di fini mutualistici che possono incidere in maniera anche rilevante sui ricavi conseguiti”.
In sostanza vi era – anche prima dell’inutilizzabilità dello studio per un accertamento
automatico - l’indicazione agli uffici locali di adeguare, in sede di contraddittorio, gli
elementi di riferimento per la determinazione dei ricavi alla particolare attività svolta.
Pertanto le particolari situazioni locali, la tipologia di attività, la determinazione del requisito della mutualità, deve essere valutata di volta in volta, dagli uffici nei quali è ubicata la società cooperativa.
Per converso, l’individuazione di criteri rigidi ed univoci da utilizzare in sede di contraddittorio da parte degli uffici dell’Agenzia delle Entrate, potrebbe impedire il reale adeguamento dei ricavi alle situazioni di mercato in cui la società cooperativa si trova a
svolgere la propria attività e contrasterebbe per gli anni precedenti al 2010 con la inutilizzabilità automatica dello studio di settore per l’azione di accertamento.
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Capitolo 3 – Approfondimenti
 3.3.6 Applicabilità dei parametri
Come sopra ampiamente motivato, l’attività svolta dalla cooperativa a mutualità prevalente non segue le ordinarie regole economiche, per cui pare evidente che la non congruità potrebbe emergere con molta probabilità anche a seguito di una eventuale applicazione dei parametri contabili.
Al riguardo, non va sottaciuta la circostanza che anche i parametri, analogamente agli
studi di settore, risultano elaborati sulla base di dati che considerano una ordinaria gestione, influenzata, quindi, da logiche speculative che mancano nella gran parte delle
cooperative.
Anche in tale eventualità, si presenteranno tutti i problemi visti a proposito degli studi di
settore in relazione alle diverse situazioni di non raggiungimento della congruità e, pertanto, l’inutilizzazione dell’azione di accertamento da studi di settore dovrà essere
estesa anche all’applicazione dei parametri.
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Parte II
Gli enti non profit
Introduzione
 Introduzione
di Andrea Liparata
La presente parte della pubblicazione che accompagna i lavori del 52° Congresso
dell’UNGDCEC tratta, con singoli interventi, talune delle tematiche di maggiore interesse del comparto non profit.
Al riguardo, una premessa di qualificazione e distinzione è doverosa, il comparto non
lucrativo attiene a quell’insieme di enti caratterizzati dal perseguimento di scopi ideali,
che pertanto si differenziano sia dall’imprenditore puro, operante in forma individuale o
societaria, sia dal comparto mutualistico delle cooperative o dei consorzi.
L’appartenenza alla categoria del non profit impone, sia in fase di costituzione, sia per
tutta la durata, la verifica e il monitoraggio del fine ultimo perseguito, che dovrà essere
ideale e/o solidaristico. Il fine di un ente non lucrativo, non può mai essere l’arricchimento economico e/o il perseguimento dell’utile di qualsivoglia stakeholder interno o
esterno all’operatore non commerciale.
Il significato profondo di fine non lucrativo pone gli enti non profit completamente al di
fuori delle normali logiche e dinamiche di gestione delle aziende commerciali. Il risultato
economico, il costo dei fattori impiegati, l’efficacia e l’efficienza, devono essere di volta in
volta interpretati in relazione alla finalità perseguita. L’unica problematica che l’ente non
lucrativo deve risolvere in termini economici, è il reperimento delle risorse per la propria
esistenza, a nulla rilevando il raggiungimento di avanzi di bilancio, che in casi estremi potrebbero essere il segnale di un’incompleta adesione al fine ideale perseguito.
Le peculiarità del mondo non profit, fanno emergere i limiti di un approccio di regolamentazione tributaria e di misurazione costruito secondo i criteri tipici del comparto lucrativo. Si pensi semplicemente all’applicazione di strumenti quali gli studi di settore,
già discutibili nel mondo commerciale, con riferimento ad entità che svolgono solo
marginalmente attività lucrative e senza alcun interesse per la massimizzazione del profitto.
L’obbligatorietà di sistemi di rendicontazione periodica economico finanziaria, a poco
servono in un contesto in cui il risultato di esercizio non assume importanza e il ricorso
al credito bancario è estremamente raro. Gli stakeholder di un’associazione ambientalista non sono interessati a sapere quanti utili sono realizzati in un determinato esercizio,
bensì quanti ettari di foresta vengono preservati o quante nuove riserve marine sono
state istituite.
La questione tributaria ha veramente poco significato, chiedere imposte agli enti non
lucrativi, in alcuni casi determina un aggravio su soggettività che operano in ambiti dai
quali lo stesso comparto Pubblico si è dovuto ritirare, per insufficienza di risorse eco-
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71
Introduzione
nomiche e conseguente crisi del welfare state. In altri termini, l’imposizione sul non profit sembra violare il principio di sussidiarietà tra Pubblico e Privato.
Rispetto al non profit lo Stato nella sua forma di regolatore, dovrebbe preoccuparsi
esclusivamente dell’individuazione degli ambiti di interesse sociale nei quali riconoscere
la più totale detassazione e semplificazione amministrativa, proprio perché, chi correttamente opera nel comparto non lucrativo, di fatto svolge delle attività che diversamente graverebbero sulla collettività o comunque sulla qualità del vivere civile.
La legislazione del non profit, compresa quella diretta al controllo e alla repressione dei
fenomeni di elusione ed evasione, non dovrebbe concentrarsi nella ricerca di materia
imponibile, un euro prelevato dal non profit, è spesso una risorsa sottratta ad un soggetto svantaggiato. Diversamente, la legislazione dovrebbe fornire strumenti di analisi in
grado di far emergere la natura effettiva dell’ente. Far pagare l’IRES o l’IVA al bar di
un’associazione che permette lo svolgimento di attività sportive dilettantistiche in un
territorio difficile, non ha senso. Analogamente, far pagare imposte sulle proprietà immobiliari a chi ha come scopo la beneficenza non ha significato. Sono tutte sconfitte
del sistema tributario, sia per il gettito modesto che ne deriva, sia e soprattutto per il
messaggio punitivo che riceve chi opera senza finalità di lucro.
Per quanto attiene all’apporto che il dottore commercialista può fornire al mondo del
non profit, nei diversi ruoli di consulente o componente di organi di controllo, vi è la
tradizionale necessità, sentita da moltissimi sodalizi, di avere un supporto nell’affrontare
le numerose problematiche amministrative e tributarie.
Tuttavia il compito del dottore commercialista, per le aree normative di propria competenza, deve essere più ampio e finalizzato a supportare la gestione dell’ente favorendo
il rispetto della legalità a sostegno del fine ideale perseguito. Infatti, la varietà del mondo non profit impone necessariamente che l’assistenza all’ente non lucrativo si accompagni ad una approfondita conoscenza dello scopo ideale perseguito.
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
 4. L’impresa sociale tra passato, presente
e futuro
di Francesco Capogrossi Guarna
 4.1 Introduzione
L’attuale dibattito sul tema dell’economia sociale, sia a livello nazionale che in ambito
europeo, scaturisce dalla necessità di superare gli effetti negativi della grave crisi economica e finanziaria in atto attraverso soluzioni e modelli imprenditoriali alternativi e innovativi rispetto a quelli tradizionali.
Di conseguenza le inefficienze del mercato1 e il sostanziale fallimento del “fare impresa”
attraverso sistemi organizzativi finalizzati soltanto al profitto e al soddisfacimento di interessi proprietari pone al centro dell’attenzione un nuovo e più efficace modo di tutelare i cittadini per un benessere collettivo.
La Commissione Europea, con la “Social Business Initiative”2, ha voluto collocare
l’impresa sociale al centro dell’ecosistema, dell’innovazione sociale e dell’economia in
genere3, volendo contribuire alla creazione di un ambiente favorevole per lo sviluppo
del business sociale.
Secondo la stessa S.B.I. in Europa le imprese sociali hanno differenti forme legali ma,
in ogni caso, hanno caratteristiche comuni.
Si tratta dunque di operatori nell’economia sociale il cui obiettivo principale è quello di
avere un impatto sociale piuttosto che realizzare un profitto per la proprietà o gli azionisti. Tale impresa opera fornendo beni e servizi per il mercato in modo imprenditoriale e
innovativo e utilizza i propri profitti principalmente per raggiungere gli obiettivi sociali
prefissati.
È gestita in modo aperto e responsabile e, in particolare, coinvolge i lavoratori, i consumatori e le parti interessate ai risultati della sua attività.
------------------------------------------1
C.d. contract failure (A. Zoppini, in H.Hansman, La proprietà dell’impresa, ed. Il Mulino, 2005).
Si veda il sito http://ec.europa.eu/internal_market/social_business/index_en. htm. La Commissione Europea ha costituito un gruppo di esperti dei vari paesi UE (GECES) per 6 anni (2012–2017), che viene consultato circa l’opportunità, lo sviluppo, la creazione e l’attuazione di tutte le azioni menzionate nel SBI, o l’ulteriore
sviluppo dell’imprenditorialità sociale e dell’economia sociale. Per l’Italia partecipa la Direzione generale per il
Terzo settore e le formazioni sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che ha costituito un gruppo nazionale di supporto.
3
Valgano in tal senso le conclusioni della conferenza europea tenuta il 16–17 gennaio 2014 a Strasburgo dal
titolo “Social Enterpreneurs: have your say” (http://ec.europa.eu/internal_market/conferences/2014/01162
social-entrepreneurs/declaration/index_en. htm).
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
Appare quindi prioritario, secondo i più recenti indirizzi, sviluppare e rafforzare il ruolo
delle imprese sociali prevedendo, ad esempio, forme giuridiche più adeguate e meglio
regolamentate, anche attraverso incentivi di tipo finanziario e fiscale ovvero aprendo
alla possibilità di distribuire in modo limitato utili per la remunerazione del capitale investito e creare meccanismi di governance più efficaci.
La creazione di valore, pertanto, oggi più che in passato, dovrebbe trovare il suo fondamento imprenditoriale in attività realizzate esclusivamente per fini di utilità sociale4,
sia attraverso la produzione e lo scambio di beni e di servizi nei settori della sanità,
dell’istruzione, dell’ambiente e della cultura sia con l’inserimento di lavoratori “svantaggiati” sotto profili diversi, anche ad esempio in termini di disagio occupazionale5.
 4.2 L’esperienza italiana nel privato sociale e la cooperazione
Nel campo del welfare e del sociale l’esperienza italiana ha dimostrato, in oltre un ventennio, di saper rispondere a queste specifiche esigenze, sempre crescenti, attraverso
soggetti – in genere senza scopo di lucro – rientranti nel c.d. “terzo settore”6 e qualificabili come istituzioni, di natura privata, che si collocano tra lo Stato e il Mercato ma
non sono riconducibili né all’uno né all’altro settore7.
I diversi modelli e le differenti logiche di funzionamento di questi organismi identificano,
poi, il non profit come espressione della società civile (c.d. sussidiarietà orizzontale),
come semplice supporto alle amministrazioni pubbliche (c.d. sussidiarietà verticale) ovvero quale espressione del settore for profit (c.d. corporate philantropy).
Il comparto, tuttavia, è stato disciplinato e regolamentato nel tempo da un numero eccessivo di norme, anche a carattere speciale, che hanno introdotto qualifiche, settori di
attività e modalità di intervento spesso similari8.
------------------------------------------4
Per la nozione di “fini di pubblica utilità” e quella di “utilità sociale” si richiama l’Atto di indirizzo emanato il
26/10/2006 dalla ex Agenzia per il Terzo Settore (soppressa dall’art. 8 comma 23 del d.l. n. 16 del 2/3/2012
conv. legge n. 44/2012 le cui funzioni sono state attribuite al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali –
Dir. Gen. Terzo Settore e Formazioni sociali).
5
Si richiamano in proposito alcuni progetti sperimentali che riguardano lo sviluppo di imprese sociali come
forme di riconversione di aziende profit in crisi e/o strumenti per la ripresa del mercato del lavoro definite “rescue company” o “save company” (Fiorentini G., 2010). Si veda anche “Impresa sociale & innovazione sociale. Imprenditorialità nel terzo settore e nell’economia sociale: il modello IS&IS”, di F.Calò, G.Fiorentini, Franco
Angeli (2013).
6
Anche qualificato come economia civile, privato sociale o settore non profit.
7
Secondo l’ultimo Censimento delle istituzioni non profit per il 2011 effettuato dall’Istat (dati pubblicati a novembre 2013) appartengono al settore 301.191 organizzazioni operanti in forme e ambiti diversi (+28% rispetto al 2001) di cui 11.264 costituite in forma di cooperativa sociale ex legge n. 381/1991 (+98,5% rispetto
al 2001).
8
Si pensi ad esempio alle organizzazioni di volontariato (legge 11 agosto 1991, n. 266 e art. 30, comma 5,
d.l. 29 novembre 2008 n. 185 conv. nella legge 29 gennaio 2009 n. 2), alle cooperative sociali (legge 8 novembre 1991, n. 381), alla promozione sociale (art. 3, comma 6, legge 25 agosto 1991, n. 287 e legge 7
dicembre 2000, n. 383) e alle ONLUS (qualifica soltanto “fiscale” ex art. 10 e seguenti del d.lgs. 4 dicembre
1997 in vigore dall’1 gennaio 1998).
74
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
Ma le prime, e durature, esperienze imprenditoriali con obiettivi sociali sono state quelle
previste dalla legge 8 novembre 1991 n. 381 sulle cooperative sociali, figure peraltro
richiamate dalla stessa Costituzione (art. 45).
Tali soggetti hanno dimostrato di operare con efficacia ed in continua crescita9 con lo
scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e
all’integrazione sociale di cittadini attraverso:
a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi;
b) lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi –
finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate.
Secondo il Rapporto Unioncamere su “Cooperazione, non profit e imprenditoria sociale”10 “le modalità di funzionamento, gli obiettivi e la strutturazione del fenomeno coope-
rativo hanno subito profonde trasformazioni negli anni, pur senza intaccare i principi di
origine: mutualità e solidarietà”.
Tuttavia anche all’interno dello schema cooperativo sociale il legislatore ha dovuto operare alcune “forzature” estendendo il concetto di mutualità fuori dal perimetro dei propri
soci ed oltre la compagine sociale. Si è così affiancato alla definizione di “mutualità interna” quella di “mutualità esterna” attraverso la quale l’azione è diretta non solo agli
associati ma anche ad altri soggetti esterni all’organizzazione che condividono gli interessi da perseguire a cura della cooperativa stessa11.
Il modello cooperativo, quindi, inserito nel libro V del codice civile sulle società e disciplinato per la parte “sociale” da una legge speciale, si è sempre basato sui seguenti
elementi principali:
 organizzazione proprietaria fondata su princìpi democratici priva di interessi
egoistici;
 finalità mutualistica e limitato scopo di lucro soggettivo strumentale;
 propensione all’attività sociale verso l’esterno anche con l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati.
 4.3 L’impresa sociale: inquadramento normativo e motivi di insuccesso
L’impresa sociale12 è stata recepita nel nostro ordinamento con la legge 13 maggio
2005, n. 118 con cui si delegava il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi re-
------------------------------------------9
Secondo il 1° Rapporto Euricse su “La cooperazione in Italia” (novembre 2011) le cooperative attive al
31/12/2008 erano pari a 57.640 e le cooperative sociali pari a 13.938 (superiori al Censimento Istat 2011).
10
“Unioncamere-Si.Camera, Cooperazione, non profit e imprenditoria sociale: economia e lavoro, gennaio
2014”.
11
Studio n. 429–2006/C su “L’impresa sociale - Prime riflessioni sul d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155” – Consiglio Nazionale del Notariato (giugno-luglio 2006).
12
Si tratta in sostanza di una “qualifica” che può essere, in via facoltativa, acquisita da qualunque organismo
privato. Le cooperative sociali e i loro consorzi di cui alla legge n. 381/1991 sono imprese sociali ex lege
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75
Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
canti una disciplina organica, ad integrazione delle norme dell’ordinamento civile, relativa alle “imprese sociali”.
Il successivo d.lgs. 24 marzo 2006 n. 15513, in vigore dal 12 maggio 2006, ha individuato e disciplinato i requisiti soggettivi e oggettivi prevedendo l’acquisizione di tale
qualifica da parte di qualunque “organizzazione privata” (in forma societaria, cooperativa, consortile ovvero rientrante tra gli enti del “terzo settore”) che eserciti, in via stabile
e principale, un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio
di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale.
Completano l’iter normativo i decreti attuativi del Ministro dello sviluppo economico e
del Ministro della Solidarietà sociale, approvati il 24 gennaio 2008 (in GU dell’11 aprile
2008 n. 86), rendendo quindi operativa la disciplina di cui al d.lgs. n. 155/2006
sull’impresa sociale regolamentando i seguenti aspetti:
1. art. 2 comma 3: definizione di ricavi e computo della percentuale del 70% per
cento dei ricavi complessivi dell’impresa;
2. art. 5 comma 5: definizione degli atti da depositare al Registro delle Imprese;
3. art. 10 comma 2: linee guida per la redazione del bilancio sociale;
4. art. 13 comma 2: linee guida per le operazioni di trasformazione, fusione, scissione e cessione d’azienda.
Nonostante i punti di forza del modello di impresa sociale, consistenti in flessibilità, attenzione agli aspetti relazionali e motivazionali, sviluppo del capitale umano, dimensione fortemente localistica e organizzazione “multistakeholder”14, la sua disciplina non ha
incontrato ampi consensi come dimostra il fatto che il numero di questa “nuova” forma
imprenditoriale è rimasto molto esiguo.
In proposito si richiama il Rapporto Unioncamere su “Cooperazione, non profit e imprenditoria sociale; economia e lavoro”15, secondo cui le imprese sociali qualificate
come tali ai sensi del d.lgs. 24 marzo 2006 n. 155, iscritte e registrate al 14 gennaio
2014 nell’apposita sezione del Registro Imprese, sono pari a 76816.
Numeri, questi, troppo esigui che non consentono di dare un giudizio positivo alla
normativa italiana in materia, rimasta pressoché inattuata se posta a confronto con il
------------------------------------------sempreché rispettino le previsioni dell’art. 10 comma 2 (bilancio sociale) e art. 12 (coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari delle attività) del d.lgs. n. 155/2006.
13
In GU n. 97 del 27 aprile 2006.
14
Borzaga C., Fazzi L. (2008).
15
Pubblicato a gennaio 2014.
16
Secondo il documento su “L’Impresa sociale in Italia. Pluralità dei modelli e contributo alla ripresa. Rapporto Iris Network” a cura di Venturi P. e Zandonai F. (2012) in collaborazione con Unioncamere, edizioni altraeconomia (2012), le imprese sociali costituite ex d.lgs. n. 155/2006 ed iscritte nell’apposita sezione erano al
2011 pari a 365, le altre imprese con la sola dicitura “impresa sociale” pari a 404, mentre le cooperative sociali ex legge n. 381/1981 erano in numero di 11.808. Il potenziale di imprenditorialità sociale, tuttavia, secondo il documento, arriva per altre organizzazioni non profit a 22.468 unità e addirittura per le imprese for
profit operanti nei settori ex d.lgs. n. 155/2006 ad un totale di 85.445.
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
settore della cooperazione sociale, comportando quindi la necessità di una sua riformulazione se non di una vera e propria riforma.
Le principali cause che hanno rallentato il potenziale successo della norma sulle imprese sociali possono essere così individuate:
 tardività nella pubblicazione dei decreti ministeriali attuativi avvenuta soltanto
nel corso del 2008;
 scarsa omogeneità e compatibilità tra la norma sull’impresa sociale e quelle già
previste per le altre forme organizzative che possono assumerne la predetta
qualifica (tra cui quelle in materia di società e di enti non lucrativi17);
 assenza di qualunque agevolazione di natura fiscale (imposte sul reddito, Iva,
altre imposte18), sia per la mancanza di un sistema di tassazione di favore per
le finalità dell’attività d’impresa svolta sia per la carenza di incentivi nei confronti dei terzi che ne promuovono lo sviluppo (ad es. detrazioni, deduzioni a seguito di contributi, finanziamenti, erogazioni, liberalità, ecc..);
 assenza di forme di remunerazione del capitale investito (per l’assoluto divieto
di lucro soggettivo e la non distribuzione dei profitti neanche in forme indirette),
con la conseguente scarsa capacità di poter attrarre risorse finanziarie per la
creazione e lo sviluppo delle attività imprenditoriali a valenza sociale;
 recente “concorrenza” della normativa sulle start-up innovative19, in forma di
società di capitali, anche cooperativa, nonché quelle c.d. a vocazione sociale
operanti in via esclusiva nei settori indicati dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. n.
155/2006 sull’impresa sociale;
 previsione di vincoli nella governance aziendale che privano gli enti in forma
societaria di quelle caratteristiche tipiche di tali istituti capitalistici (ad es. il divieto di distribuzione degli utili, il principio di non discrezionalità
nell’ammissione ed esclusione dei soci e l’obbligo di forme di coinvolgimento
nelle decisioni dell’impresa dei lavoratori e dei destinatari dell’attività20).
------------------------------------------17
Ad es. derivante dalla contemporanea qualifica di impresa sociale che esercita in via stabile e organizzata
un’attività economica e quella, non compatibile sotto il profilo tributario, di ente non commerciale rientrante
nella nozione dell’art. 73, comma 1, lett. c) del d.p.r. n. 917/1986 e soggetto a perdita di status ex art. 149
del d.p.r. n. 917/1986.
18
Valgono in realtà i singoli trattamenti tributari agevolati previsti dalle altre norme di settore per particolari
soggetti operanti in settori sociali (es. cooperative, ONLUS, volontariato, promozione sociale, ecc..).
19
Sono quelle aventi oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione dei prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico ai sensi del d.l. 18 ottobre 2012 n. 179 conv.
nella legge 17 dicembre 2012 n. 221.
20
Il riferimento per tali vincoli è agli articoli 3, 9, 12 e 14 del d.lgs. n. 155/2006. Si veda su tali punti “Impresa
sociale, Quaderno n. 2” (aprile 2012) a cura della Commissione “Analisi normativa, enti non lucrativi e impresa sociale” del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
 4.4 Principali elementi qualificanti dell’impresa sociale
Si evidenziano di seguito i requisiti di maggior interesse ai fini di tale qualifica21.
 4.4.1 Nozione e forme giuridiche
Possono acquisire la qualifica di impresa sociale, ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n.
155/2006, tutte le organizzazioni private22, che esercitano in via stabile (ex art. 2082
del codice civile) e “principale” un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale (indicati nell’art. 2), diretta a realizzare finalità di interesse generale, e che hanno specifici requisiti. Rientrano tra le predette organizzazioni:
1. gli enti di cui al Libro I del codice civile, tra cui:
1.1. associazioni (riconosciute e non) – artt.14, 36 c.c.
1.2. fondazioni – art. 14 c.c.
1.3. comitati (riconosciuti e non) – artt.14, 39 c.c.
2. gli enti di cui al Libro V del codice civile, tra cui:
2.1. società di persone – artt. 2291–2324 c.c.
2.2. società di capitali – artt. 2325–2483 c.c.
2.3. cooperative artt. 2511–2548 c.c.
2.4. consorzi artt. 2602–2615–ter c.c.
Sono invece esclusi dalla possibilità di acquisire la qualifica di impresa sociale i seguenti soggetti:
 le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo
2001, n. 16523;
 le organizzazioni i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l’erogazione
dei beni e dei servizi in favore dei soli soci, associati o partecipanti24;
------------------------------------------21
Si veda il “Quaderno n. 1, Impresa sociale, Lineamenti tecnico-operativi” – CNDCEC e IRDCEC (giugno
2009).
22
Il riferimento molto ampio e generico a “tutte le organizzazioni private” - oltre a questioni di coordinamento
normativo come già sottolineato in precedenza - potrebbe porre dubbi interpretativi sulla riconducibilità o
meno a tale categoria di forme soggettive particolari (ad es. si veda quanto precisato sui “trust” per la qualifica di ONLUS dall’Atto di indirizzo della ex Agenzia del Terzo Settore del 25/05/2011 e dalla Circolare Agenzia Entrate n. 38/E dell’1 agosto 2011 – Par.3).
23
In materia di ONLUS l’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 38/E dell’1 agosto 2011 ha ritenuto possibile per gli enti “esclusi” dalle ONLUS (enti pubblici e società commerciali) costituire o partecipare ad ONLUS
ai sensi dell’art. 10 comma 10 del d.lgs. n. 460/1997, con ciò superando il suo precedente e contrario
orientamento (cfr. Risoluzione n. 164/E del 28 dicembre 2004 e Circolare n. 59 del 31 ottobre 2007). Dello
stesso avviso anche la Cassazione con Sentenza n. 11148 del 10 maggio 2013. Ciò è possibile anche in
presenza di una loro influenza dominante nelle determinazioni della ONLUS e una prevalenza numerica dei
soci.
24
Differentemente da quanto previsto per le ONLUS ai sensi dell’art. 10 comma 3 del d.lgs. n. 460/1997
secondo cui le finalità solidaristiche si intendono realizzate anche quando tra i beneficiari vi siano – ancorché
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro

gli enti ecclesiastici e gli enti delle confessioni religiose con cui lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, per le attività non ricomprese in quelle indicate
per l’impresa sociale25.
La scelta del legislatore, a differenza di altre normative di settore (ad es. ONLUS) è stata quella di amplificare l’autonomia privata nell’acquisizione della qualifica di impresa
sociale, ammettendo soggetti giuridicamente anche molto differenti.
Ma tra le cause che hanno limitato il successo della norma in commento devono ricordarsi, ancora una volta, quelle legate alla verifica in concreto dell’applicazione di limiti e
condizioni nei diversi modelli organizzativi e gestionali che, ad esempio, incontrano trattamenti fiscali profondamente difformi26.
Occorre quindi rendere più omogenea e compatibile la normativa per le varie forme organizzative prevedendo ad esempio due sezioni o livelli: 1) sezione enti societari; 2) se-
zione altri enti.
Ogni riferimento normativo (limiti e deroghe comprese), pertanto, potrebbe essere ancorato a ciascuna sezione secondo le sue specifiche.
Alcuni commentatori, al contrario, considerano essenziale (quale unica soluzione percorribile per il futuro) ricomprendere nella qualifica di impresa sociale solo strutture societarie (società di capitali), visto lo svolgimento di attività “con metodo economico”
(come ad es. previsto per le start up innovative ex d.l. n. 179/2012).
Sotto il profilo agevolativo e fiscale, poi, potrebbero essere introdotte ipotesi diverse tra
cui:
 quelle già previste per le start up innovative ex d.l. n. 179/2012, quali ad es.:
1. accesso agevolazioni per l’assunzione di personale ex art. 27-bis, in
materia di lavoro ex art. 28, ecc…;
2. incentivi all’investimento agevolato su capitale e fondi investiti ex art.
29, comma 1, d.l. n. 179/2012 (ad es. detrazioni fiscali 19%-25%
IRPEF; 20% IRES - cfr. d.m. 30 gennaio 2014, in G.U. n. 66 del 20
marzo 2014), fino a un tetto massimo;
3. raccolta di capitali tramite portali on line (art. 30) come ad es. il
crowdfunding;
------------------------------------------in via esclusiva - i propri soci, associati o partecipanti, nonché degli altri soggetti indicati alla lettera a) comma
6, se questi si trovano nelle condizioni di svantaggio di cui alla lett. a) comma 2.
25
Tali enti, similarmente, possono acquisire la qualifica di ONLUS “parziaria” o “parziale” ex art. 10 comma 9
d.lgs. n. 460/1997. Appare tuttavia preferibile escludere gli enti ecclesiastici, per le oggettive e complesse
difficoltà nella distinzione delle attività e degli obblighi conseguenti, anche se l’art. 1 comma 3 del d.lgs. n.
155/2006 indica l’adozione di un regolamento e di scritture contabili separate.
26
Basti pensare al regime degli enti associativi ex art. 148 comma 3 del d.p.r. n. 917/86 che “decommercializza” molti “ricavi” dell’attività svolta ovvero quello agevolato delle cooperative ex art. 12 legge n. 904/1977 e
art. 11 d.p.r. n. 601/1973 rispetto al sistema di tassazione previsto per una società di capitali (art. 51 d.p.r. n.
917/1986) ovvero quello delle ONLUS che esclude dalla commercialità i proventi delle attività istituzionali e
rende non imponibili quelli delle attività connesse (art. 150 commi 1 e 2 d.p.r. n. 917/1986).
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79
Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro



esclusione dalle norme sulle società di comodo e/o da quelle per le imprese in
perdita sistemica;
crediti d’imposta “variabili” specie per i primi anni di attività (poi in forma più ridotta);
esenzioni e/o riduzioni Iva (similarmente all’imposta ridotta al 4% sulle prestazioni socio sanitarie e assistenziali di cooperative).
 4.4.2 Elementi statutari
Ai fini della costituzione di una impresa sociale questa deve avvenire per atto pubblico
ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 155/2006, a prescindere dalla forma giuridica adottata,
dovendo esplicitare il “carattere sociale dell’impresa” e indicando27:
 l’oggetto sociale nelle attività di utilità sociale (art. 2);
 l’assenza del fine di lucro (art. 3);
 nella denominazione l’uso della locuzione “impresa sociale”28 (art. 7);
 i requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza (art. 8 comma 3);
 le modalità di ammissione ed esclusione dei soci e la disciplina del rapporto
sociale secondo il principio di non discriminazione, compatibilmente con la
forma giuridica dell’ente (art. 9)29;
 la nomina di uno o più sindaci, che vigilano sull’osservanza della legge e dello
statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, sull’adeguatezza
dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile, in caso di superamento
di due dei limiti indicati nell’art. 2435-bis comma 1 c.c. ridotti della metà30;
 forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari delle attività, da intendersi per tale qualsiasi meccanismo, inclusa l’informazione, la consultazione o
la partecipazione, mediante il quale lavoratori e destinatari possono esercitare
un’influenza sulle decisioni da adottare nell’ambito dell’impresa, almeno per le
le questioni che incidano sulle condizioni di lavoro e sulla qualità dei beni e dei
servizi prodotti o scambiati (art. 12)31;
------------------------------------------27
Per un approfondimento valga lo Studio n. 429–2006/C del Consiglio Nazionale del Notariato (giugnoluglio 2006).
28
Tale obbligo è escluso per gli enti ecclesiastici. L’uso della locuzione di impresa sociale o di altre parole
che traggano in inganno i terzi è vietato (non vengono tuttavia previste sanzioni specifiche come ad es. per le
ONLUS ad opera dell’art. 28 comma 1 lett. c) chi contravviene al disposto dell’art. 27, è punito con la sanzione amministrativa da euro309,87 a euro3.098,74).
29
Ciò necessita l’intervento dell’assemblea per i provvedimenti di diniego di iscrizione dei soci ovvero della
loro esclusione ai sensi dell’art. 9 comma 2.
30
I limiti per la redazione del bilancio in forma abbreviata sono: 1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale:
4.400.000 euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro; 3) dipendenti occupati in media
durante l’esercizio: 50 unità.
31
Ciò può avvenire anche in regolamenti aziendali o accordi specifici.
80
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro

l’obbligo di devoluzione del patrimonio residuo in caso di cessazione (ad eccezione per le cooperative) ad altri enti non profit (ONLUS, associazioni, comitati,
fondazioni ed enti ecclesiastici) secondo le norme statutarie.
Avuto riguardo agli obblighi di iscrizione presso la sezione speciale del Registro delle
Imprese, il decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 24 gennaio 2008 ne ha
definito, ai sensi dell’art. 5 comma 2 del d.lgs. n. 155/2006, le procedure per il deposito degli atti e documenti da depositare tra cui:
a) l’atto costitutivo, lo statuto e ogni successiva modificazione;
b) un documento che rappresenti la situazione patrimoniale ed economica
dell’impresa;
c) il bilancio sociale (art. 10 comma 2) redatto secondo apposite linee guida;
d) i documenti di cui sopra in forma consolidata per i gruppi di imprese sociali, oltre all’accordo di partecipazione e ogni sua modifica;
e) ogni altro atto o documento previsto dalla normativa vigente.
Il deposito dei documenti avviene entro trenta giorni dal verificarsi dell’evento.
In tema di contabilità e bilancio, ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 155/2006, le imprese
sociali devono tenere le scritture contabili quali il libro giornale, il libro inventari, nonché
redigere approvare e depositare nel registro delle imprese un documento con la situazione patrimoniale ed economica e redigere e depositare il bilancio sociale.
Il DM sugli atti del registro delle imprese precisa altresì, all’art. 2 comma 1, che il documento economico-patrimoniale e quello consolidato debbano essere redatti secondo gli schemi di bilancio di esercizio predisposti dalla ex Agenzia per il Terzo Settore.
Si tratta in particolare delle “Linee guida e schemi per la redazione del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato delle imprese sociali” (febbraio 2010).
Nelle linee guida vengono richiamati gli obblighi del codice civile per la redazione di bilancio ove si tratti di imprese sociali aventi la forma degli enti “societari” di cui al libro V
del codice civile a cui si applicano:
 per le società per azioni, gli artt. 2423 c.c. e ss.;
 per le società in accomandita per azioni, in forza del rinvio contenuto nell’art.
2454 c.c., le norme relative alle s.p.a.;
 per le società a responsabilità limitata, in forza del rinvio contenuto nell’art.
2478-bis c.c., gli art. 2423 c.c. e ss., salvo quanto disposto dall’art. 2435-bis
c.c.;
 per le società cooperative, in forza del rinvio contenuto nell’art. 2519 c.c. e in
quanto compatibili le norme relative alle s.p.a.;
 per i consorzi, l’art. 2615-bis che rinvia per la redazione della situazione patrimoniale alle norme relative al bilancio di esercizio delle s.p.a.;
 per le società di persone, in assenza di obblighi civilistici sulla struttura del bilancio, l’art. 2423 c.c. e ss., in quanto applicabili.
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
Gli enti di cui al libro I del codice civile (associazioni, fondazioni, comitati e altri enti di
carattere privato) sono invece tenuti a redigere il bilancio di esercizio secondo le linee
guida e gli schemi ivi illustrati32.
Il dettato letterale dell’art. 2 comma 1 lett. b) del d.m. sul registro imprese, richiamato
anche in materia di scritture contabili dall’art. 10 comma 1 del d.lgs. n. 155/2006, non
sembra riferirsi anche alla situazione finanziaria ma solo a quella economicopatrimoniale33.
Tuttavia il riferimento agli “schemi di bilancio di esercizio” sembra propendere per una
più ampia ipotesi di documenti consuntivi che – anche alla luce delle linee guida e gli
altri atti di indirizzo in materia contabile – siano composti da una situazione patrimoniale, economica e finanziaria.
Peraltro è da sottolineare che l’unico riferimento chiaro alla componente finanziaria è
previsto dal decreto del Ministro della Solidarietà sociale del 24 febbraio 2008 (emanato ai sensi dell’art. 10 comma 2 del d.lgs. n. 155/2006), che individua le linee guida per
la redazione del bilancio sociale obbligatorio per le attività svolte da parte di organizzazioni che esercitano l’impresa sociale.
Nel punto 1.2.5. – Sezione D – infatti l’esame della situazione finanziaria prevede i seguenti elementi:
 analisi entrate e proventi nel rispetto del 70% dei ricavi;
 analisi uscite e oneri;
 indicazione delle spese in funzione degli obiettivi dell’impresa;
 analisi dei fondi disponibili;
 vincolati e di dotazione;
 analisi delle entrate e dei costi dell’attività di raccolta fondi.
 4.4.3 Attività “principale”
L’art. 2 comma 3 del d.lgs. n. 155/2006 considera “attività principale” quella per la
quale i relativi “ricavi” sono superiori al 70% dei ricavi complessivi dell’ente.
Sul punto il decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 24 gennaio 2008 ha definito i criteri quantitativi e temporali per il computo della percentuale del 70% dei ricavi
complessivi dell’impresa sociale. In particolare viene chiarito che debbono intendersi
ricavi:
1. tutti i proventi che concorrono positivamente alla realizzazione del risultato gestionale dell’esercizio contabile di riferimento, se l’ente adotta principi di contabilità per competenza;
------------------------------------------32
Per completezza si richiama altresì il Principio contabile n. 1 (Tavolo tecnico ex Agenzia Terzo settore,
CNDCEC, OIC - maggio 2011).
33
La situazione finanziaria è obbligatoria ad es. per le ONLUS ai sensi dell’art. 20-bis del d.p.r. n. 600/1973
nonché per alcune tipologie di enti non profit che svolgono attività ad es. di raccolta pubblica di fondi ovvero
rientrano tra gli enti associativi ai sensi dell’art. 148 comma 8 lett. d) del TUIR per i quali l’obbligo di rendicontazione è economico-finanziario.
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
2. tutte le entrate temporalmente riferibili all’anno di riferimento, se l’ente adotta
principi di contabilità per cassa34.
In entrambi i casi ciò deve essere considerato compatibilmente con i vincoli di legge in
materia di contabilità35.
Il provvedimento, poi, considera, ai fini della richiamata percentuale nel rapporto tra i
ricavi dell’attività sociale e quelli complessivi che al numeratore debbano essere riportati soltanto i ricavi come definiti dall’art. 1 del d.m. direttamente generati dalle attività
svolte nei settori obbligatori36.
Sono invece, in ogni caso, esclusi dal rapporto in questione – sia al numeratore che al
denominatore – i ricavi (non tipici) relativi a:
1. proventi o rendite finanziarie o immobiliari;
2. plusvalenze di tipo finanziario o patrimoniale;
3. sopravvenienze attive;
4. contratti o convenzioni con società o enti controllati o controllanti della medesima organizzazione.
L’elemento da utilizzarsi per l’inserimento, al fine del corretto computo percentuale, di
ricavi non chiaramente attribuibili ad un determinato settore di attività, è riferito al numero degli addetti impiegati per ciascuna attività37.
Tutte le informazioni di cui sopra (rapporto percentuale di ricavi, particolari ricavi al di
fuori dell’attività tipica, l’attribuzione con il numero di addetti), debbono essere pubblicate unitamente ai dati di bilancio anche all’interno del bilancio sociale.
In caso di mancato rispetto delle condizioni citate l’ente stesso deve effettuare una segnalazione al Ministero della solidarietà sociale e al Registro delle imprese.
 4.4.4 Fine di utilità sociale
Il fine centrale dell’impresa sociale, ai sensi dell’art. 2, è quello di produrre e scambiare
beni e servizi di utilità sociale nei seguenti settori:
a) assistenza sociale (legge 8 novembre 2000 n. 328 sul sistema integrato di interventi e servizi sociali);
------------------------------------------34
Secondo il Principio contabile n. 1 (Tavolo tecnico ex Agenzia Terzo settore, CNDCEC, OIC - maggio
2011) i bilanci degli enti non profit dovrebbero, anche laddove non siano presenti norme cogenti, essere redatti secondo il principio della competenza economica in quanto più adatti a fornire informazioni in merito al
reale stato di salute dell’ente, con riferimento alla situazione patrimoniale-finanziaria ed a quella economica.
E’ tuttavia consentito agli enti di minori dimensioni, intesi come quelli con ricavi e proventi inferiori ad € 250
mila (cfr. ex Agenzia per le ONLUS, “Linee guida e schemi per la redazione dei bilanci di esercizio degli enti
non profit”, par. 1.3).
35
E’ ovviamente il caso degli organismi a carattere societario che non possono ad es. adottare criteri di imputazione contabile per cassa, salvo deroghe specifiche. Per il futuro è auspicabile prevedere quale criterio
contabile soltanto quello di competenza escludendo quello di cassa per omogeneità di valori ed effetti (es.
anche fiscali).
36
Art. 2 d.lgs. n. 155/2006.
37
Non appare chiaro il termine “addetto”, se debba riferirsi a lavoratori dipendenti o assimilati, a volontari, a
lavoratori autonomi, o ad altre forme lavorative.
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
b) assistenza sanitaria (d.p.c.m. 29 novembre 2001 sui “livelli essenziali di assistenza”)
c) assistenza sociosanitaria (d.p.c.m. 14 febbraio 200138);
d) educazione, istruzione e formazione (legge 28 marzo 2003 n. 53 sui livelli essenziali di prestazioni di istruzione e formazione professionale39);
e) tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (legge 15 dicembre 2004 n. 308 recante
delega in materia ambientale ad esclusione delle attività di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi);
f) valorizzazione del patrimonio culturale (d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, modificato dal d.lgs. 24 marzo 2006 n. 156 in tema di “codice dei beni culturali”);
g) turismo sociale (art. 7 comma 10 legge 29 marzo 2001 n. 135)40;
h) formazione universitaria e post universitaria;
i) ricerca ed erogazione di servizi culturali41;
j) formazione extra-scolastica finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo;
k) servizi strumentali alle imprese sociali resi da enti composti in misura superiore
al 70% da organizzazioni che esercitano un’impresa sociale.
Con riferimento alla necessità di allargare gli ambiti di intervento si riportano gli ulteriori
settori di interesse sociale che sono stati inseriti in alcune proposte di riforma42:
1. commercio equo e solidale;
2. servizi al lavoro finalizzati all’inserimento lavorativo di lavoratori svantaggiati di
cui all’articolo 2, numero 18), del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008;
3. alloggio sociale;
4. erogazione di microcredito da parte dei soggetti iscritti all’elenco di cui
all’articolo 111 del d.lgs. n. 385/1993 che svolgano in modo prevalente questa
attività. L’erogazione di microcredito si considera prevalente quando risulti che
------------------------------------------38
In attuazione dell’art. 3-septies del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502. Nulla viene precisato in relazione alle
condizioni e modalità di svolgimento dei servizi, ad es. se accreditati o contrattualizzati con lo Stato, le Regioni e gli enti locali.
39
Non viene richiamata la legge 10 marzo 2000 n. 62 sul sistema nazionale di istruzione in merito alle “scuole paritarie” identificate come “istituzioni scolastiche non statali”. Rientra nell’ambito didattico anche
l’Istruzione e formazione professionale (IEFP) e gli Istituti Universitari.
40
Si segnala che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 80 del 5 aprile 2012, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 9 del d.lgs. 23 maggio 2011 n. 79 (Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell’art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246), statuendo che
tale norma, contenente una classificazione e una disciplina delle strutture ricettive alberghiere e paralberghiere, accentra in capo allo Stato compiti e funzioni la cui disciplina era stata rimessa alle Regioni e alle Province
autonome che finisce per alterare il riparto di competenze tra Stato e Regioni nella suddetta materia.
41
La definizione dei “servizi culturali” risulta troppo ampia e generica e di difficile inquadramento.
42
Si veda la proposta presentata con un emendamento il 23 gennaio 2014 da Luigi Bobba nel collegato alla
legge di stabilità “Destinazione Italia” – definito non ammissibile – (cfr. Il Sole 24 Ore del 12/2/2014).
L’ampliamento dei settori era già stato richiesto in un precedente emendamento nel giugno 2012.
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
almeno il 70% degli impieghi dell’organizzazione esaminata sia destinato a microfinanziamenti, così come definiti dal medesimo articolo 11 del d.lgs. n.
385/93.
E’ previsto, inoltre, all’art. 2 comma 2 che, indipendentemente dai settori di attività,
possono acquisire la qualifica di impresa sociale le organizzazioni che esercitano attività d’impresa al fine dell’inserimento lavorativo di soggetti che siano:
a) lavoratori svantaggiati43
b) lavoratori disabili44
e che rappresentino almeno il 30% dei lavoratori impiegati a qualunque titolo
nell’impresa (comma 4).
Sono previste peraltro particolari tutele ai lavoratori dall’art. 14 (lavoro nell’impresa sociale) riguardanti:
 il trattamento economico non inferiore a quello dei CCNL (comma 1);
 la possibilità di prestare attività di volontariato nei limiti del 50% dei lavoratori a
qualunque titolo impiegati45;
 4.4.5 Assenza dello scopo di lucro e divieto di distribuzione
L’art. 3 del d.lgs. n. 155/2006 impone il vincolo dell’assenza dello scopo di lucro, da
intendersi in senso soggettivo46 (e non oggettivo, essendo l’attività economica e commerciale elemento qualificante dell’impresa sociale).
Il comma 1 in particolare prevede l’obbligo di destinare gli utili e gli avanzi della gestione allo svolgimento dell’attività tipica statutaria ovvero per incrementare il patrimonio.
L’assenza dello scopo di lucro viene poi confermata con il comma 2 con il divieto di
distribuire, anche in via indiretta, utili e avanzi della gestione, comunque denominati,
nonché fondi e riserve (o capitali) in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori.
A tal fine si considerano distribuzione indiretta di utili le ipotesi, da considerarsi tassative ex lege – di cui all’art. 3 comma 2 d.lgs. n. 155/2006 – quali la corresponsione di:
1. compensi agli amministratori superiori a quelli in imprese operanti in medesimi
settori e condizioni, salvo comprovate esigenze di acquisire specifiche competenze entro il limite del 20%;
------------------------------------------43
Art. 2, par. 1, lett. f), pti i), ix) e x), del regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione, 5 dicembre
2002, della Commissione relativo all’applicazione degli artt. 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore
dell’occupazione. Possono a questi aggiungersi anche quelli di cui all’articolo 1 del decreto del Ministro del
Lavoro e delle politiche sociali del 20/3/2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 153 del 2 luglio 2013.
44
Art. 2, par. 1, lett. g) del citato regolamento (CE) n. 2204/2002.
45
Si applicano gli artt.2,4, 17 della legge n. 266/1991 sul volontariato, anche se non sono chiari i limiti, i contenuti e le condizioni di simili attività (note sono le questioni riguardanti ad es. il trattamento fiscale dei rimborsi spese, quelli contributivi, assicurativi, di tutela negli ambienti di lavoro, ecc..).
46
Secondo il principio del c.d. “non distribution costraint”.
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
2. retribuzioni o compensi a dipendenti o lavoratori autonomi superiori a quelli dei
contratti collettivi per le medesime qualifiche salvo comprovate esigenze per
specifiche professionalità (improprio è il riferimento ai c.c.n.l. per i lavoratori autonomi);
3. remunerazione di strumenti finanziari diversi da azioni o quote superiori di cinque punti al tasso ufficiale di riferimento47.
Tra le ipotesi controverse circa la distribuzione in “forme indirette” vi è quella delle destinazioni effettuate in favore di un altro ente appartenente alla medesima e unitaria
struttura ovvero svolgente la stessa attività meritevole o altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa.
Il MEF – Dipartimento Finanze –48 ha affrontato la questione in materia di IMU richiamando alcune eccezioni al divieto con riferimento alle seguenti fattispecie:
1. il caso in cui la distribuzione sia prevista dalla legge;
2. il caso in cui la distribuzione avvenga in favore di un ente che:
2.1 appartenga alla medesima e unitaria struttura;
2.2 svolga la stessa attività meritevole;
2.3 svolga altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla
normativa vigente.
Viene precisato dunque che l’ente, per non configurare ipotesi distributive non consentite dalla legge, possa destinare i suoi utili, avanzi o riserve di patrimonio ad altri enti
operanti esattamente nello stesso settore49 nonché ad enti operanti in almeno una delle
“altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigen-
te”.
Altra questione “dubbia” riguarda il caso di cessione della quota di partecipazione
nell’impresa sociale – evidentemente in forma societaria – e se questa, in caso di plusvalenza, venga considerata o meno una forma di distribuzione di utili o di patrimonio.
Secondo alcuna dottrina il divieto distributivo influirebbe sulla liquidazione della quota di
partecipazione al capitale sociale in caso di recesso del socio potendo cedere la quota, per il rispetto dell’art. 3, al solo valore nominale e non quello incrementato del valore
patrimoniale acquisito.
Rimane quindi un problema relativo alla c.d. exit strategy circa il valore di cessione che,
tuttavia, potrebbe trovare una giustificazione in termini di corporate social responsability rendendo appetibile un “valore di mercato” della stessa impresa sociale50. Ciò pertanto legherebbe l’aumento della quota ad elementi non tipicamente economici o fi-
------------------------------------------47
Si veda il Provv. BCE che ha fissato il TUR alla data del 13 novembre 2013 pari allo 0,25%.
Risoluzione n. 3/DF del 4/3/2013 in materia di esenzione IMU degli immobili utilizzati dagli enti non commerciali di cui all’art. 7 comma 1, lett. i) del d.lgs. n. 504/1992 e al d.m. n. 200 del 19 novembre 2012.
49
Almeno in via prevalente o principale se non esclusiva.
50
Si veda “Forme innovative di filantropia nel panorama italiano: “venture philanthropy”, Antonio Cuonzo, in
Diritto e pratica delle società, n. 9 settembre 2009, Il Sole 24 Ore
48
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
nanziari trattandosi di un libero apprezzamento del mercato basato sulla CSR (Corporate Social Responsibility) dell’impresa.
Il rispetto tassativo della non distribuzione appare essenziale sia in termini formali (previsioni quindi da inserire negli atti costitutivi e statuti) sia sostanziali (adeguandosi in
concreto all’obbligo).
In caso di inadempienza la sanzione più grave è quella della perdita di qualifica di impresa
sociale, con tutte le conseguenze del caso ivi compresa la devoluzione del patrimonio
residuo ex art. 13 del d.lgs. n. 155/2006. Infatti, in caso di accertata violazione delle
norme il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, assunte le opportune informazioni,
può diffidare, ai sensi dell’art. 16 comma 3, gli organi direttivi dell’impresa sociale a regolarizzare i comportamenti illegittimi entro un termine congruo, decorso il quale vengono
applicate le sanzioni del comma 4 con cui si dispone la perdita della status.
Tali previsioni richiamano quelle già formulate da altre normative analoghe, come per le
ONLUS ex art. 10 comma 6 d.lgs. n. 460/1997. Tuttavia, le casistiche ivi disciplinate
hanno fatto emergere in passato questioni interpretative che hanno dato luogo a numerosi interpelli fiscali disapplicativi da parte dell’Agenzia delle Entrate51.
Occorrerebbe quindi per il futuro precisare più chiaramente, ed in modo ben definito, il
perimetro applicativo dei divieti ai fini della indiretta distribuzione, anche per evitare infruttuosi contenziosi.
Inoltre appare opportuno prevedere, come suggerito da molti, forme di distribuzione di
utili per incrementare l’appeal della qualifica di impresa sociale e poter attrarre adeguate risorse finanziarie e capitali per gli investimenti nelle attività sociali. Le ipotesi proposte sono le seguenti:
1. destinare una quota degli utili ad aumento gratuito di capitale sociale nei limiti
delle variazioni dell’indice Istat dei prezzi al consumo per operai e impiegati per
il periodo corrispondente a quello dell’esercizio sociale in cui gli utili sono stati
prodotti52;
2. possibilità di destinare utili per la sola impresa sociale costituita nelle forme societarie del libro V del c.c. prevedendo per la distribuzione di dividendi ai soci
una quota non superiore al 50% degli utili e avanzi di gestione. Non possono
in ogni caso essere distribuiti dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale versato53;
------------------------------------------51
Si vedano la circolare Ministero delle Finanze n. 168 del 26 giugno 1998, la circolare Agenzia Entrate n. 59
del 31 ottobre 2007 e le risoluzioni Agenzia Entrate n. 294/E del 10 settembre 2002, n. 9 del 25 gennaio
2007, n. 38/E del 17 maggio 2010.
52
Proposta presentata con un emendamento il 23 gennaio 2014 da Luigi Bobba nel collegato alla legge di
stabilità “Destinazione Italia” – dichiarata non ammissibile.
53
Si tratta di un meccanismo analogo a quello previsto per le cooperative a mutualità prevalente ex art. 2514
comma 1 c.c. Si veda “Impresa sociale: che fare?”, di Roberto Randazzo e Giuseppe Taffari in Cooperative
& Enti non profit n. 6/2013 – Wolters Kluwer.
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
Ulteriori previsioni potrebbero interessare ad es. la possibilità di disciplinare “patrimoni
destinati ad uno specifico affare”, quote con diritti patrimoniali e amministrativi diversi e
l’emissione e remunerazione di strumenti finanziari.
In proposito si richiama l’art. 29 del d.lgs. n. 460/1997 – rimasto inattuato – che aveva
previsto la possibilità di emettere titoli denominati “di solidarietà” i cui fondi raccolti, oggetto di gestione separata, fossero destinati al finanziamento delle ONLUS, riconoscendo come costo fiscalmente deducibile dal reddito d’impresa la differenza tra il tasso effettivamente praticato ed il tasso di riferimento determinato con decreto del Ministro del Tesoro e delle Finanze.
 4.4.6 Struttura proprietaria e gruppi d’imprese
La disciplina della struttura proprietaria di una impresa sociale ex art. 4 del d.lgs. n.
155/2006 richiama, in via analogica ed in quanto compatibile, le norme in materia di
direzione e coordinamento previste dal titolo V, libro I, del codice civile (artt. 2497 e seguenti c.c.) e quelle dell’art. 2545-septies c.c. (gruppo cooperativo paritetico). In particolare il sistema di governance è il seguente:
 il soggetto che, per previsioni statutarie o per altre ragioni, ha la facoltà di nominare la maggioranza degli organi di amministrazione si considera esercitare,
in ogni caso, attività di direzione e controllo (comma 1);
 non possono esercitare tale attività di direzione e coordinamento e controllo le
imprese private con finalità lucrative e le amministrazioni pubbliche dell’art. 1
comma 2 d.lgs. n. 165/2001 (comma 3)54;
 non possono rivestire cariche sociali soggetti nominati dalle imprese private e
dagli enti pubblici (art. 8 comma 2) né può essere riservata la nomina della maggioranza dei componenti delle cariche sociali a soggetti esterni alla organizzazione che esercita l’impresa sociale in forma di “ente associativo”, salvo quanto
specificamente previsto per ogni tipo di ente dalle norme (art. 8 comma 1).
Anche per tali requisiti è richiesta la verifica di quanto previsto per ogni tipo di ente dalle norme legali e statutarie compatibilmente con la sua natura, trattandosi di soggetti
aventi forme giuridiche molto diverse.
In ambito solidaristico (ONLUS) si segnalano, a fini di completezza, i contrastanti pareri
sulla questione del “controllo” e dell’”influenza dominante” da parte dell’Agenzia delle
Entrate55, che richiedeva la verifica del “ruolo” che tali soggetti ricoprivano all’interno
dell’organizzazione, e quello della ex Agenzia per il Terzo settore56 secondo cui:
------------------------------------------54
In caso di decisione assunta con il voto favorevole o l’influenza determinante di tali soggetti esclusi l’atto è
annullabile e può essere impugnato entro 180 giorni ai sensi del codice civile (comma 4).
55
Si vedano la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 28 dicembre 2004 n. 164/E e la circolare del 31
ottobre 2007 n. 59.
56
La ex Agenzia per il Terzo Settore aveva approvato un primo Atto di indirizzo in data 23 novembre 2004
(delibera n. 516) ed uno il 4 ottobre 2010 in relazione alla partecipazione nella ONLUS di “soggetti esclusi”
(enti pubblici e società commerciali) in qualità di soci e/o fondatori.
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro

la nozione di “influenza dominante”, ai sensi del codice civile57, comporta oggettive difficoltà per la individuazione delle ipotesi applicabili agli enti senza
scopo di lucro (“non societari”). Tali riferimenti, infatti, interessano società per
azioni nelle quali è presente un capitale azionario e la cui titolarità maggioritaria
di quote può effettivamente attribuire poteri e diritti, anche patrimoniali, sulle
determinazioni del soggetto controllato58;
 la questione della presenza prevalente e maggioritaria dei soci formati dagli enti esclusi, secondo cui la ONLUS perderebbe la sua autonomia “giuridicotributaria” divenendo “ente strumentale” dell’ente escluso. Ciò, infatti, risulta in
contrasto non soltanto con le disposizioni dell’art. 10 del d.lgs. n. 460/1997
ma anche alla sua stessa ratio come emerge dalla Relazione illustrativa59.
Infine si sottolinea che l’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 38/E dell’1 agosto
2011 ha ritenuto ammissibile per una ONLUS la detenzione di una partecipazione in
una impresa sociale di cui al d.lgs. n. 155/2006, essendo le rispettive normative di settore compatibili tra loro. Tale partecipazione, pertanto, non altera la natura solidaristica
della ONLUS né comporta l’elusione circa il divieto di distribuzione di utili.
 4.4.7 Responsabilità patrimoniale
L’art. 6 comma 1 indica che “salvo quanto disposto in tema di responsabilità limitata
per le diverse forme giuridiche previste dal libro V del c.c.”, nelle organizzazioni che
esercitano l’impresa sociale con “patrimonio” (e non “capitale”) superiore a € 20 mila
delle obbligazioni risponde solo l’organizzazione stessa (questo varrebbe soltanto per
le altre forme organizzative – che, peraltro, possono far valere le previsioni del d.p.r. n.
361/2000 in caso di riconoscimento di personalità giuridica – discriminandole con le
società di capitali ad es. le srl e le srl semplificate ex d.l. n. 76/2013).
Se questo si riduce di oltre un terzo delle obbligazioni risponde personalmente e solidalmente chi ha agito in nome e per conto dell’impresa anche se potrebbe proporsi, in
caso di modifiche alla normativa, una deroga
come previsto per le start up innovative con una riduzione del capitale “posticipata” al
secondo esercizio successivo (art. 26 comma 1 d.l. n. 179/2012).
------------------------------------------57
Il richiamo è all’art. 2359 codice civile in materia di “controllo”.
La trasposizione in ambito non profit di tali previsioni creano distorsioni applicative e iniquità di trattamento,
secondo l’ex Agenzia per il Terzo Settore. Si vedano in proposito la sentenza n. 446/1993 della Corte Costituzionale e la decisione del Consiglio di Stato sez. V del 22 agosto 2003 n. 4748, sempre con riguardo alla
influenza dominante laddove soggetti pubblici detenevano la maggioranza delle quote azionarie.
59
La Relazione illustrativa al d.lgs. n. 460/1997 evidenziava come l’esclusione degli enti pubblici dalle
ONLUS deriva dalla “necessità di favorire la crescita ed il consolidamento di un terzo settore che operi autonomamente rispetto ai canali di allocazione diretta delle risorse pubbliche”. E ciò è altresì dimostrato,
nell’ultimo decennio, dalla costituzione di enti privati da parte di soggetti pubblici al fine di ridurre l’utilizzo
delle risorse pubbliche, attingendo al “privato sociale”.
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
 4.4.8 Organo e forme di controllo
Sull’impresa sociale l’art. 11 del d.lgs. n. 155/2006 disciplina gli “organi di controllo”60
prevedendo che:
 ove non sia diversamente stabilito dalla legge, gli atti costitutivi devono prevedere, nel caso del superamento di due dei limiti indicati nel primo comma
dell’art. 2435-bis del codice civile ridotti della metà, la nomina di uno o più sindaci, che vigilano sull’osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei
principi di corretta amministrazione, sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile;
 i sindaci esercitano anche compiti di monitoraggio dell’osservanza delle finalità
sociali da parte dell’impresa, avuto particolare riguardo alle disposizioni di cui
agli articoli 2, 3, 4, 6, 8, 9, 10, 12 e 14 del d.lgs. n. 155/2006. Del monitoraggio deve essere data risultanza in sede di redazione del bilancio sociale di cui
all’art. 10, comma 2;
 i sindaci possono in qualsiasi momento procedere ad atti di ispezione e di
controllo; a tale fine, possono chiedere agli amministratori notizie, anche con
riferimento ai gruppi di imprese sociali, sull’andamento delle operazioni o su
determinati affari;
 nel caso in cui l’impresa sociale superi per due esercizi consecutivi due dei limiti indicati nel primo comma dell’articolo 2435-bis del codice civile, il controllo
contabile è esercitato da uno o più revisori contabili iscritti nel registro istituito
presso il Ministero della giustizia61 o dai sindaci. Nel caso in cui il controllo contabile sia esercitato dai sindaci, essi devono essere iscritti all’albo dei revisori
contabili iscritti nel registro istituito presso il Ministero competente.
Pertanto, laddove una società di capitali gestisca un’impresa sociale, valgono tutte le
norme previste dal codice civile e dal d.lgs. n. 39/2010 in materia di collegio sindacale
e revisione legale dei conti secondo le diverse specifiche, ove applicabili e compatibili
per le diverse configurazioni assunte (in particolare ad es. spa, srl, cooperative).
L’indicazione dell’art. 11 comma 1 del d.lgs. n. 155/2006 “ove non sia diversamente
stabilito dalla legge” pone invece, nuovamente, questioni di dubbia interpretazione e di
applicazione in concreto, specie per quelle forme giuridiche per le quali non sussiste un
vero e proprio obbligo da parte di un organo di controllo62.
------------------------------------------60
Il CNDCEC ha emanato i seguenti atti di indirizzo in materia di controllo negli enti non profit: 1. Raccomandazione
n. 5/2003, sistemi e le procedure di controllo per gli ENP anche con riguardo ai soggetti ed alle aree sottoposte a
verifica; 2. documento del 16 febbraio 2011 sul controllo indipendente negli enti non profit e il contributo professionale del dottore commercialista e dell’esperto contabile.
61
Ora revisori legali dei conti ai sensi del d.lgs. n. 39/2010 iscritti presso il Ministero dell’Economia e Finanze.
62
Ad es. solo per le ONLUS l’art. 25 comma 5 del d.lgs. n. 460/1997 prevede l’obbligo di allegare al bilancio
una relazione di controllo sottoscritta da uno o più revisori (ora revisori legali dei conti ex d.lgs. n. 39/2010)
iscritti qualora i proventi totali superino per due anni consecutivi € 1.032.913,80 (limite fisso). In altri casi, pur
mancando espresse disposizioni normative, si richiamano le indicazioni di prassi e della giurisprudenza come
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
 4.4.9 Operazioni straordinarie
La finalità principale posta dall’art. 13 del d.lgs. n. 155/2006 in caso di operazioni di
trasformazione, fusione, scissione e cessione d’azienda è quella di preservare
l’assenza dello scopo di lucro ed il perseguimento delle finalità di interesse generale.
Nessuna questione si pone invece in relazione ai profili di “tutela fiscale” poiché
l’impresa sociale non gode, di alcuna agevolazione tributaria. Elemento di ulteriore valutazione in caso di scioglimento o cessazione, al contrario, deve riguardare proprio
quegli enti (ad es. gli enti non commerciali associativi ex art. 148 del d.p.r. n. 917/1986
o le ONLUS art. 10 d.lgs. n. 460/1997) che hanno fruito di regimi particolari.
In tale ultima ipotesi si ricorda che laddove l’ente prosegua l’attività – non con qualifica
di ONLUS – sarà tenuto a devolvere il patrimonio limitatamente all’incremento patrimoniale realizzato nei periodi d’imposta in cui questi aveva usufruito della predetta qualifica qualora l’avesse assunta successivamente alla prima costituzione dell’ente medesimo (ad es. prima ente non commerciale e poi ONLUS).
La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 59/E del 31 ottobre 2007 ha chiarito inoltre
l’obbligo di allegare alla richiesta di parere sulla devoluzione del patrimonio alla ex
Agenzia per il Terzo Settore ex art. 10 comma 1 lett. f) d.lgs. n. 460/1997, una documentazione rappresentativa della situazione patrimoniale dell’ente redatta ai sensi
dell’art. 20-bis comma 1 lett. a) del d.p.r. n. 600/1973 alla data in cui l’ente ha acquisito la qualifica di ONLUS, nonché la stessa rappresentativa della situazione alla data in
cui tale qualifica è venuta meno63.
Con riferimento all’impresa sociale l’art. 13 comma 3 prevede inoltre, fatta eccezione
per le cooperative, l’obbligo di devoluzione del patrimonio residuo in caso di cessazione ad altre entità non lucrative (ONLUS, associazioni, i comitati, fondazioni, enti ecclesiastici) secondo le norme statutarie.
In tale ambito occorrerebbe, per il futuro, specificare meglio le finalità degli enti beneficiari (analoghe, di interesse generale, di utilità sociale) semplicemente e genericamente
identificati dalla norma.
Appare altresì importante verificare le caratteristiche degli enti destinatari e se questi,
ad esempio, operi nello stesso o analogo settore ovvero in una delle attività di utilità
sociale dell’art. 2 del d.lgs. n. 155/2006.
------------------------------------------nel caso di enti (associazioni o fondazioni) per il riconoscimento di personalità giuridica ex d.p.r. n. 361/2000
(si veda la Circolare del Ministero dell’Interno 23 febbraio 2001 n. M/5501/30 e il Consiglio di Stato sez. I,
sentenza del 6 dicembre 1995).
63
Si veda l’iter per la richiesta di parere devolutivo e il Regolamento per ONLUS ed enti non commerciali su:
http://www.lavoro.gov.it/AreaSociale/AgenziaTerzoSettore/Documenti/Pages/default.aspx.
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
Anche la devoluzione del patrimonio residuo (come per le ONLUS o per altri enti non
profit64) dovrebbe essere sottoposta ad una rigida procedura di controllo da parte
dell’amministrazione competente65.
In merito alle operazioni straordinarie è stato emanato il decreto del Ministro della Solidarietà Sociale del 24 gennaio 2008, ai sensi dell’art. 13 comma 2 del d.lgs. n.
155/2006, individuando in apposito allegato le linee guida concernenti le modalità cui
devono attenersi le imprese sociali.
La definizione in esame interessa più aspetti procedurali che non sostanziali, rinviando
di fatto alle disposizioni, a seconda dei casi, di cui agli articoli dal 2498 al 2506-quater
del codice civile, avendo riguardo alla particolare natura dell’organizzazione che esercita l’impresa sociale.
Per le operazioni straordinarie occorre preventivamente che gli amministratori (punto 1
del d.m.) notifichino con atto scritto con data certa66 al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali l’intenzione di procedere ad una delle richiamate operazioni allegando
apposita documentazione per una valutazione di conformità, come di seguito:
1. situazione patrimoniale67 di ciascuno degli enti coinvolti nell’operazione, a data
non anteriore di oltre 120 giorni da quella di convocazione dell’assemblea
straordinaria in caso di trasformazione68 ovvero, in caso di fusione o scissione,
rispetto al giorno in cui il progetto viene depositato nelle sedi dei soggetti coinvolti69. In caso di cessione d’azienda la data non deve essere anteriore a quella
in cui avviene la cessione;
2. relazione degli amministratori con le ragioni dell’operazione, la prevedibile evoluzione della gestione, i miglioramenti per l’impatto sul tessuto sociale di riferimento, le modalità con cui il soggetto finale garantirà il rispetto dell’assenza
del fine di lucro. In caso di cessione d’azienda le ulteriori informazioni riguardano le modalità con cui il cessionario intenda rispettare le “finalità di interesse
generale”70, i criteri di valutazione d’azienda e la determinazione del prezzo.
------------------------------------------64
La cui competenza al parere devolutivo è ora del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Dir. Gen.
Terzo Settore e formazioni sociali.
65
Valgano in particolare le funzioni, anche ispettive, del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali per il rispetto delle disposizioni sull’impresa sociale e, in caso di mancata ottemperanza, di disporre della perdita di
qualifica di impresa sociale (art. 16 comma 3 e 4).
66
Almeno 90 giorni prima della convocazione assembleare chiamata a deliberare sull’operazione di trasformazione, fusione o scissione.
67
Da redigersi secondo gli schemi dell’ex Agenzia per il Terzo Settore, e comunque costituita dallo stato patrimoniale (ponendo in evidenza le attività e passività relative all’attività economica svolta ai fini di utilità sociale), dal rendiconto gestione (o conto economico) e dalla nota integrativa.
68
Per delibere entro sei mesi dalla chiusura dell’ultimo bilancio la situazione patrimoniale può sostituirsi con il
bilancio stesso.
69
Ove il bilancio sia stato chiuso non oltre sei mesi prima del giorno di deposito del progetto di fusione o
scissione la situazione patrimoniale può sostituirsi con il bilancio stesso.
70
Tale termine sembra discostarsi da quello di “utilità sociale” dell’art. 2 del d.lgs. n. 155/2006 in base ad
una attività svolta in specifici settori.
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Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro
L’autorizzazione del Ministero si intende concessa trascorsi novanta giorni dalla ricezione della notificazione.
Da ultimo, in merito alle procedure concorsuali previste in caso di insolvenza, le imprese sociali sono assoggettate ex art. 15 del d.lgs. n. 155/2006 alla sola liquidazione
coatta amministrativa, di cui al regio decreto 16 marzo 1942 n. 267 (legge fallimentare),
articoli 194 e seguenti.
Sarebbe opportuno, per il futuro, verificare anche le altre ipotesi di gestione della crisi e
di applicazione o meno delle procedure concorsuali. Le start up innovative ex d.l. n.
179/2012 ad esempio prevedono la procedura per la crisi da sovraindebitamento ai
sensi della legge 27 gennaio 2012 n. 3.
 4.5. Conclusioni
Alla luce dell’analisi svolta sull’impresa sociale secondo le previsioni del d.lgs. n.
155/2006 deve concludersi come tale “qualifica” – o meglio tale “forma” – debba rinnovarsi, anche molto velocemente. Il ridotto consenso incontrato in quasi un decennio
(considerata l’esiguità del numero di imprese sociali iscritte), e l’evoluzione delle “necessità sociali” di welfare aumentate, anche in ambito europeo, dalla grave crisi economica e
finanziaria in atto, obbliga tutti gli attori ad uno sforzo di intervento più mirato che trovi soluzioni e modelli imprenditoriali alternativi e innovativi rispetto a quelli tradizionali.
Molte sono, infatti, le criticità emerse dall’esame della normativa (e dei d.m. attuativi),
tra cui si segnalano ancora una volta:
 l’assenza di agevolazioni di natura fiscale e di tassazione per le finalità e gli effetti sociali prodotti dall’impresa;
 la carenza di incentivi nei conferimenti di capitale e/o patrimonio da parte dei
soggetti che ne promuovono lo sviluppo;
 l’impossibilità di prevedere forme di remunerazione del capitale investito (per
l’assoluto divieto di lucro soggettivo) senza poter attrarre risorse finanziarie;
 la perdurante difficile compatibilità ed omogeneità tra norme – anche molto diverse – che disciplinano soggetti con caratteristiche talvolta opposte ovvero
contrastanti (come quelle per le società di capitali rispetto agli enti non profit,
ad es. associativi).
Occorre quindi intervenire tempestivamente per una sostanziale rivisitazione del d.lgs.
n. 155/2006 che accolga gli indirizzi da più parti richiamati al fine di poter realizzare in
concreto quei risultati di “utilità sociale” previsti con la norma originaria, ma oggi divenuti indifferibili.
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Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici
 5. La tassazione degli enti ecclesiastici tra
normativa pattizia ed agevolazioni fiscali degli enti
del terzo settore
di Antonio Fiorilli
 5.1 Natura dell’ente ecclesiastico e riconoscimento della personalità giuridica agli effetti civili
La natura ecclesiastica di un ente è collegata all’appartenenza ad un ordinamento confessionale separato ed autonomo dall’ordinamento statale. La Carta Costituzionale tutela la libera espressione del sentimento religioso in forma individuale ed associata (artt.
2, 3 e 19), riconosce l’autonomia e la parità di trattamento delle confessioni religiose
(art. 8) e definisce le modalità per regolamentare i rapporti dello Stato con la Chiesa
Cattolica e le altre confessioni tramite patti, accordi ed intese (artt. 7 e 8). La tutela degli enti confessionali è rafforzata dal divieto espresso di imporre tributi speciali in base
al carattere ecclesiastico di un ente ovvero del fine di religione o di culto perseguito
(art. 20)1.
L’ente ecclesiastico può chiedere il riconoscimento della personalità giuridica agli effetti
civili, acquisendo in questo modo la qualifica di “ente ecclesiastico civilmente riconosciuto”. Nella realtà confessionale cattolica, tale qualifica è attribuita secondo la procedura fissata dalla legge 20 maggio 1985, n. 2222. La qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto è presente anche nelle leggi di ratifica delle Intese3, siglate dalle
Autorità delle confessioni religiose diverse da quella cattolica, seppure con l’assenza
del carattere “ecclesiastico” (enti ebraici) ovvero con la specifica aggettivazione della
confessione di appartenenza (ente ecclesiastico avventista, luterano, buddhista, induista, etc.).
Un accenno preliminare deve essere riservato all’iter di riconoscimento della personalità giuridica, in quanto le agevolazioni fiscali più significative spettano agli enti riconosciuti. Occorre precisare, innanzi tutto, che solo gli enti costituiti o approvati
dall’Autorità ecclesiastica (cattolica) che hanno fine di religione e di culto possono acquisire tale qualifica. L’art. 2 della legge 20 maggio 1985, n. 222, stabilisce che gli enti
------------------------------------------1
L’art. 20 della Costituzione stabilisce che il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di
un’associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività.
2
La legge riporta le disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico
in servizio nelle diocesi.
3
Il testo delle intese è disponibile in http://www.governo.it/Presidenza/USRI/confessioni/intese_indice.html.
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Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici
che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi ed i seminari, perseguono uno scopo di religione e di culto; mentre le persone giuridiche canoniche differenti da quelle appena indicate, le fondazioni e in genere gli altri enti ecclesiastici non riconosciuti come persone giuridiche nell’ordinamento della Chiesa, possono perseguire i suddetti fini, ma tale finalità deve essere di volta in volta accertata
dall’Amministrazione in conformità all’art. 16 della stessa legge e, per ottenere il riconoscimento, lo stesso fine deve essere un elemento costitutivo ed essenziale dell’ente,
anche se connesso a finalità di carattere caritativo previste dal diritto canonico.
Ai fini dell’accertamento dello scopo, l’art. 16 della legge n. 222/1985 separa:
 le attività di religione o di culto (in senso stretto), ossia quelle dirette
all’esercizio del culto ed alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei
religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana [lett. a)
dell’art. 16];
 le “attività diverse” da quelle di religione e di culto, ossia l’assistenza e la beneficenza, l’istruzione, l’educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali ovvero a scopo di lucro [lett. b) della art. 16].
L’indicazione delle attività commerciali alla fine della lett. b) individua una fattispecie di
chiusura – assieme alle attività aventi “scopo di lucro” – per le attività che non possono
essere orientate ex lege ad uno scopo “costitutivo ed essenziale” di religione. Resta
fermo, quindi, che la suddivisione delle attività serve ad accertare il perseguimento di
uno scopo di religione e di culto ai fini del riconoscimento della personalità giuridica agli
effetti civili, mentre la stessa distinzione non può essere meccanicamente utilizzata per
individuare le attività e gli enti meritevoli di benefici fiscali, né per orientare le modalità di
tassazione degli stessi enti.
E’ importante precisare, per completezza, che la competenza all’Autorità confessionale
permane oltre il momento di riconoscimento agli effetti civili degli enti in esame ed è regolata dalla normativa indicata di seguito:
 ogni mutamento sostanziale nel fine, nella destinazione dei beni e nel modo di
esistenza di un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto acquista efficacia civile mediante riconoscimento con decreto del Presidente della Repubblica,
udito il parere del Consiglio di Stato (art. 19 legge n. 222/1985);
 la soppressione degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e la loro estinzione per altre cause hanno efficacia civile mediante l’iscrizione nel registro delle
persone giuridiche del provvedimento dell’autorità ecclesiastica competente
che sopprime l’ente o ne dichiara l’avvenuta estinzione (art. 20 legge n.
222/1985).
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Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici
 5.2 Cenni sui principi riguardanti il regime di tassazione degli enti ecclesiastici
Per comprendere il regime tributario degli enti ecclesiastici e delle attività da loro esercitate, occorre fare riferimento al punto 3 dell’art. 7 dell’Accordo di Villa Madama del
18 febbraio 1984 tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede (ratificato con legge n.
121/1985), nel quale il principio di equiparazione dei fini di religione e di culto ai fini di
beneficenza e di istruzione, stabilito dall’art. 29 lett. h) del Concordato Lateranense,
viene suddiviso nella equiparazione degli enti e delle attività, come di seguito indicato:
 1° comma: agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di
culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione;
 2° comma: le attività “diverse” da quelle di religione e di culto, svolte dagli enti
ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello stato concernenti tali attività ed al regime tributario previsto
per le medesime4.
L’art. 15 legge n. 222/85 ribadisce che gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, alle condizioni previste
dall’articolo 7, n. 3, secondo comma, dell’Accordo del 18 febbraio 1984. I principi
adottati per disciplinare la materia tributaria degli enti ecclesiastici della Chieda cattolica
(parrocchie, diocesi, istituti religiosi, etc.) sono stati recepiti, in tutto o in parte, nelle altre Intese.
Dalla lettura combinata dei principi appena indicati e dalla separazione delle attività di
cui all’art. 16, legge n. 222/1985 si segnala la possibilità che venga attribuita impropriamente alla normativa di cui alla legge n. 222/1985 una funzione “dispositiva” in sede tributaria, come accaduto nella risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 91/E/2005
illustrata al successivo § 5.3.1. Tale normativa non stabilisce affatto che le attività di religione e di culto siano le uniche a poter beneficiare di un regime tributario agevolato
oppure che la natura commerciale determini di per sé il venir meno di un’agevolazione
fiscale, perché la legge n. 222/1985 non si occupa della materia fiscale, ma rinvia al
punto 3 dell’art 7 dell’Accordo. Quindi, se la modalità commerciale costituisce la modalità di esercizio di talune attività di utilità sociale (assistenza, istruzione etc.) con
l’attribuzione di benefici di natura fiscale, gli enti ecclesiastici hanno diritto al medesimo
trattamento tributario previsto per le medesime attività svolte da enti “laici” proprio in
forza di quanto disposto in sede pattizia dal 2° comma del punto 3 dell’art. 7 sopra indicato. Resta fermo che la tassazione dell’ente deve seguire le regole di individuazione
------------------------------------------4
L’art. 8 del d.p.r. 13 febbraio 1987 n. 33, stabilisce al riguardo che “l’ente ecclesiastico che svolge attività
per le quali sia prescritta dalle leggi tributarie la tenuta delle scritture contabili, deve osservare le norme circa
tali scritture relative alle specifiche attività esercitate”.
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Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici
della soggettività passiva stabilite dalle singole leggi d’imposta5, salvo poi individuare le
fattispecie in cui il fine di religione e di culto, per il tramite del regime di equiparazione
degli enti e delle attività, può determinare l’attenuazione dell’imposizione. Sullo sfondo
resta il principio di non discriminazione del soggetto (passivo) in base alla connotazione
ecclesiastica e/o lato sensu religiosa di cui all’art. 20 Cost. citato in apertura, evitando
cioè che l’elemento religioso possa costituire un indice di capacità contributiva per innestare un prelievo, specifico o aggiuntivo, di natura fiscale oppure un elemento per
negare un’agevolazione prevista per gli altri enti civili.
 5.2.1 La specificità degli enti di tipo associativo
Un ente di origine confessionale può accedere al regime fiscale agevolato previsto per
gli enti di tipo associativo, come accade per le associazioni privati di fedeli di cui all’art.
10 legge n. 222/1985, purché tale ente osservi i requisiti fissati dalla specifica normativa (ad es. legge n. 398/1991). Nel mondo associativo, la finalità religiosa viene considerata alla stessa stregua di altre finalità di utilità sociale meritevoli di sostegno, come
dimostra la possibilità degli enti di tipo associativo aventi scopo di religione di accedere
alle agevolazioni previste per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi di cui all’art.
148 d.p.r. n. 917/1986 ed all’art. 4 d.p.r. n. 633/1972.
Occorre segnalare, però, che l’obbligo di adeguamento dello statuto imposto dalla
normativa appena indicata – segnatamente l’introduzione di clausole per garantire
l’intrasmissibilità della quota associativa, l’effettività del rapporto associativo su base
democratica e la destinazione/impiego degli avanzi di gestione o del patrimonio in coerenza con il perseguimento dello scopo meritevole – pur non creando particolari problemi per le realtà associative, può costituire un punto critico per gli enti ecclesiastici,
come si vedrà meglio nel paragrafo successivo.
 5.2.2. La tutela dell’identità confessionale per gli enti ecclesiastici
L’inserimento obbligatorio di clausole statutarie per esigenze di tutela fiscale può determinare un contrasto con la tutela pattizia della fisionomia/struttura/autonomia confessionale dell’Ente. Tale contrasto emerge per l’assenza di uno statuto degli enti ecclesiastici risalenti nel tempo e, più in generale, per effetto dello specifico principio di
“rispetto della struttura” degli stessi enti indicato nel 2° comma del punto 3 dell’art. 7
dell’Accordo del 1984 ed in alcune Intese (nelle intese si riporta il “rispetto
dell’autonomia”). Tale principio è fissato in una normativa di rango primario (leggi di ratifica, leggi di esecuzione e leggi di approvazione) che beneficia di una tutela “rafforzata” dall’iter di formazione definito dalla Costituzione e lo stesso principio non può esse-
------------------------------------------5
Per questo motivo, la titolarità di redditi determina la soggettività passiva IRES, l’esercizio di un’attività
commerciale comporta l’applicazione dell’IVA (e dell’IRAP), come pure la semplice erogazione di retribuzioni
fa scattare la tassazione IRAP.
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Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici
re derogato unilateralmente né dal legislatore statale, né tanto meno
dall’Amministrazione.
La soluzione di tale criticità è stata individuata nella redazione di un regolamento ad
hoc riguardante le modalità di esercizio delle specifiche attività interessate dal regime
“di favore”, senza toccare l’integrità del “tipo” ente. E’ questo il caso delle ONLUS (c.d.
“parziali”) e della recente normativa di esenzione IMU, ricollegabile all’esenzione ICI di
cui all’art. 7, co. 1, lett. i) d.lgs. n. 504/1992, come integrata dall’art. 91-bis d.l. n.
1/2012 e dal d.m. Economia e finanze n. 200/2012. In questi casi, le clausole riportate
nel regolamento si occupano degli aspetti oggettivi di natura patrimoniale/economica,
mentre non possono incidere sui rapporti, anche gerarchici, tra i componenti dell’ente,
sui rapporti con le Autorità confessionali e sulle riserve di competenza delle stesse Autorità in materia di mutamento o di estinzione degli enti stessi6.
 5.3 Le agevolazioni fiscali
Le agevolazioni fiscali più significative per gli enti ecclesiastici sono costituite dalla riduzione a metà dell’aliquota IRES e dall’esenzione IMU (già ICI), nonché dalle agevolazioni
previste per le imposte sui trasferimenti.
 5.3.1 La riduzione a metà dell’aliquota IRES ex art. 6, comma 1, lett. c), d.p.r.
n. 601/1973
Gli enti ecclesiastici sono classificabili nella categoria degli enti non commerciali in base
agli stessi criteri fissati per la generalità degli enti non commerciali, con la differenza
che gli enti riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili non sono assoggettati
alla verifica dei criteri di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 149, d.p.r. n. 917/1986, per stabilire
la perdita della qualifica di ente non commerciale7.
L’art. 6, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 601, stabilisce la riduzione a metà dell’IRES per
gli enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione. Secondo
quanto stabilito dal comma 2 dello stesso articolo, tale agevolazione è fruibile esclusivamente dagli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, regolarmente iscritti nel Registro
delle Persone giuridiche tenuto presso la Prefettura competente in base alla sede legale dell’Ente.
L’ambito di applicazione di tale agevolazione è stato affrontato in una pronuncia
dell’Agenzia delle Entrate (ris. 19 Luglio 2005, n. 91/E). L’Agenzia ha negato
l’applicazione della riduzione IRES in presenza di un’attività di tipo ospedaliero svolta
------------------------------------------6
Resta tuttavia aperta la riflessione sul conflitto di tale regolamentazione unilaterale con il rispetto della struttura degli Enti nella fase di utilizzo lato sensu del loro patrimonio.
7
L’art. 144, comma 5, d.p.r. n. 917/1986 stabilisce una deduzione dall’IRES per gli enti religiosi di cui
all’articolo 26 della legge 20 maggio 1985, n. 222, che esercitano attività commerciali, in relazione all’opera
prestata in via continuativa dai loro membri.
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Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici
da un ente ecclesiastico in regime prevalentemente di convenzione pubblica. Pur richiamando integralmente la normativa pattizia, l’Agenzia supera il dato letterale costituito dal riferimento esclusivo dell’agevolazione al soggetto beneficiario e riprende l’iter
logico giuridico delle sentenze 29 marzo 1990, n. 2573 e 15 febbraio 1995, n. 1633,
della Corte di Cassazione che restringono l’ambito applicativo della stessa agevolazione. In dettaglio, l’Agenzia fa leva sull’assenza di una strumentalità immediata e diretta
tra l’attività (commerciale) ed il fine di religione per negare l’agevolazione, ma finisce per
attribuire la stessa agevolazione ad attività (di assistenza spirituale) fiscalmente improduttive di reddito, negando in questo modo i presupposti stessi di assoggettamento al
tributo8. Le conclusioni dell’Agenzia non sono state seguite dalla più recente giurisprudenza di merito che ha nuovamente affermato la natura soggettiva dell’agevolazione
per un ente ecclesiastico titolare di redditi fondiari ed esercente attività ricettiva di utilità
sociale (pensionato per studentesse), precisando che “non avrebbe altrimenti senso la
previsione di un regime agevolativo che non troverebbe applicazione per mancanza di
soggetti rientranti nella norma stessa”9.
 5.3.2 L’esenzione IMU dei fabbricati degli enti ecclesiastici
Le fattispecie di esenzione IMU degli immobili utilizzati dagli enti non commerciali sono
state recepite (invero non integralmente) dalla normativa in materia di ICI per effetto del
rinvio dell’art. 13 d.l. n. 201/2011 all’art. 9 d.lgs. n. 23/2001 e da questo all’art. 7,
d.lgs. n. 504/1992. Resta ferma l’esenzione IMU dei luoghi di culto e delle zone extraterritoriali individuate nel Trattato Lateranense, mentre le criticità riguardanti la compatibilità con il diritto comunitario dell’esenzione IMU dei fabbricati adibiti all’esercizio di
attività (commerciali) di utilità sociale sono state superate con l’introduzione dell’art 91bis d.l. n. 1/2012, conv. dalla legge n. 27/2012 e del successivo decreto del Ministero
dell’Economia e delle finanze 19 novembre 2012, n. 200, recanti la disciplina del nuovo
requisito di esercizio delle attività meritevoli con “modalità non commerciali”10.
------------------------------------------8
L’Agenzia precisa che “l’assistenza agli infermi […] si concreta tanto in un’assistenza spirituale, rientrante
come tale tra le attività di religione e culto (in particolare, cura delle anime) quanto in un’assistenza corporale,
esercitata nelle forme di vera e propria attività sanitaria, come tale oggettivamente commerciale, inquadrabile
tra le attività “diverse”. Per quest’ultima peraltro, non è dato riscontrare un nesso di strumentalità diretta ed
immediata con il fine di religione e culto che il legislatore ha inteso tutelare”.
9
CTP Torino, 28 novembre 2012, n. 205/8/12.
10
Le fattispecie di esenzione IMU che riguardano prevalentemente gli enti di origine confessionale sono contenute in differenti lettere dell’art. 7 d.lgs. n. 504/1992 riportate di seguito:
lett. d) - i fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto, purché compatibile con le disposizioni
degli articoli 8 e 19 della Costituzione, e le loro pertinenze;
lett. e)- i fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati negli articoli 13, 14, 15 e 16 del Trattato lateranense,
sottoscritto l’11 febbraio 1929 e reso esecutivo con legge 27 maggio 1929, n. 810;
lett. i) - gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ri-
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Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici
La modalità “non commerciale” viene individuata, per ciascuna delle attività indicate
nella predetta lett. i), mediante la combinazione di specifici requisiti qualitativi (accreditamento, convenzionamento, contrattualizzazione, parità, etc.) e l’analisi di determinati
parametri quantitativi dei corrispettivi praticati, laddove tale analisi viene attuata anche
mediante il confronto con la media dei prezzi praticati nel mercato di riferimento (restano escluse da tale confronto le attività didattiche). Detti requisiti consentono di verificare l’effettiva funzione sussidiaria di tali attività rispetto all’offerta di servizi della stessa
natura nel settore pubblico e permettono di escludere l’esenzione qualora emerga una
potenziale lesione della libera concorrenza con altri operatori economici presenti nel
mercato di riferimento. Rispetto all’ICI, è stata aggiunta la possibilità di proporzionare
l’imponibilità IMU di una determinata unità immobiliare adibita promiscuamente ad attività meritevoli e non meritevoli, secondo tre criteri: prioritariamente la superficie e, in via
sussidiaria, il numero dei soggetti beneficiari delle prestazioni “meritevoli” ed il tempo
effettivo di svolgimento delle medesime prestazioni.
Particolare attenzione merita l’apertura (interpretativa) contenuta nella risoluzione del
Ministero delle finanze n. 4/DF del 4 marzo 2013, riguardante la possibilità di non
escludere l’esenzione IMU alle unità immobiliari concesse in comodato ad altri enti non
commerciali per lo svolgimento diretto delle attività indicate nella stessa lett. i) dell’art. 7
d.lgs. n. 504/92, superando un orientamento restrittivo della Corte di Cassazione in
materia di ICI.
Come accennato in precedenza, il Ministero dell’Economia e delle finanze (R.M. 3 dicembre 2012, n. 1/DF) ha chiarito che gli enti ecclesiastici sono tenuti alla redazione di
un apposito regolamento, recante i requisiti stabiliti dall’art. 3 d.m. 200/2012 indicati di
seguito:
 il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché
fondi, riserve o capitale durante la vita dell’ente, in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge, ovvero siano effettuate a favore di
enti che per legge, statuto o regolamento, fanno parte della medesima e unitaria struttura e svolgono la stessa attività ovvero altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigente;
 l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione esclusivamente per
lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di
solidarietà sociale;
 l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente non commerciale in caso di suo
scioglimento per qualunque causa, ad altro ente non commerciale che svolga
un’analoga attività istituzionale, salvo diversa destinazione imposta dalla legge.
------------------------------------------cerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16,
lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222.
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Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici
Nella risoluzione n. 3/DF del 4 marzo 2013, lo stesso Ministero ha precisato che:
 l’obbligo di devoluzione del proprio patrimonio ad un altro ente non commerciale che svolga un’attività istituzionale analoga deve essere inteso nel senso
che deve trattarsi di un’attività affine od omogenea o di sostegno all’attività istituzionale dell’ente in scioglimento;
 il termine di adeguamento dello statuto, fissato al 31 dicembre 2012 dal d.m.
200 del 2012, non deve considerarsi perentorio.
Al momento di chiusura del presente elaborato, si resta in attesa dell’approvazione del
nuovo modello di dichiarazione IMU degli enti non commerciali con il quale dovranno
essere comunicati i dati delle unità immobiliari ed i parametri necessari per le ipotesi di
imponibilità/esenzione, anche parziale. Dopo il rinvio fissato nella risoluzione del Ministero dell’Economia e delle finanze n. 1/DF dell’11 gennaio 2013, la legge n. 147/2013
(art. 1, comma 719) ha fissato l’obbligo di trasmettere i dati in via telematica anche con
riferimento ai dati relativi ai periodi d’imposta 2012 e 2013.
 5.3.3 Le agevolazioni nelle imposte sui trasferimenti
Per quanto riguarda l’imposta di registro, è venuta meno l’agevolazione sui trasferimenti a titolo oneroso degli immobili dichiarati di interesse culturale di cui al d.lgs. n.
42/2004. Al tempo stesso, il comma 737 della legge n. 147/2013 stabilisce che agli
atti pubblici formati e alle scritture private autenticate a decorrere dal 1° gennaio 2014
– nonché alle scritture private non autenticate presentate per la registrazione dalla medesima data – aventi ad oggetto trasferimenti gratuiti di beni di qualsiasi natura, effettuati nell’ambito di operazioni di riorganizzazione tra enti appartenenti per legge, regolamento o statuto alla medesima struttura organizzativa politica, sindacale, di categoria, religiosa, assistenziale o culturale, si applicano, se dovute, le imposte di registro,
ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro cadauna.
Per quanto riguarda le imposte sulle successioni e sulle donazioni, occorre richiamare il
regime di equiparazione degli enti e delle attività di cui al punto 3 dell’art. 7
dell’Accordo del 1984, per applicare le fattispecie di esenzione di cui all’art. 3 d.lgs. n.
346/1990. Il comma 1 dell’art. 3 appena citato stabilisce che non sono soggetti
all’imposta i trasferimenti gratuiti a favore dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei
Comuni, né quelli a favore di enti pubblici e di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, che hanno come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità. Al tempo stesso, i trasferimenti a favore di enti pubblici e di fondazioni o di associazioni legalmente riconosciute, diversi da quelle appena indicati, non sono soggetti all’imposta se sono stati disposti per le finalità sopra indicate. In questi casi, tuttavia, il beneficiario deve dimostrare,
entro cinque anni dall’accettazione dell’eredità o della donazione o dall’acquisto del
legato, di avere impiegato i beni o i diritti ricevuti, ovvero la somma ricavata dalla loro
alienazione, per il conseguimento delle finalità indicate dal testatore o dal donante.
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Capitolo 6 – La raccolta fondi
 6. La raccolta fondi
di Valentina Papa
 6.1 Premessa
Le organizzazioni non profit si confrontano continuamente con la necessità di raccogliere fondi per finanziare le proprie attività. Molto spesso, dopo un periodo iniziale in
cui è prevalente il finanziamento da parte dei fondatori e dei volontari, l’ente è solitamente caratterizzato da un calo nelle adesioni e, conseguentemente, da una contrazione delle entrate. In questo contesto, si rende necessaria la ricerca di risorse tali da
avere un flusso di entrate costanti e durature, che possa portare al raggiungimento di
un equilibrio finanziario volto ad assicurare la realizzazione degli obiettivi istituzionali.
Per poter definire le modalità di finanziamento, l’ente deve in primo luogo evidenziare
quelli che sono gli obiettivi primari. Una volta stabiliti gli obiettivi, dovrà procedere alla
quantificazione delle risorse necessarie al raggiungimento degli stessi, valutando le risorse già presenti e quelle da reperire.
E’ in quest’ottica che l’organizzazione non profit dovrà porre in essere una serie di attività finalizzate al reperimento delle risorse utili al perseguimento di ciascun obiettivo
prefissato. Tali attività vengono comunemente definite raccolta fondi o “fund-raising”1.
Le fonti di finanziamento possono essere classificate con riferimento alla provenienza
dei fondi stessi, distinguendo se si tratta di fonti pubbliche o private.
Nei finanziamenti pubblici è lo Stato che, attraverso canali diretti o meno, eroga le
somme all’organizzazione. Tali finanziamenti sono volti ad un’attività generica svolta
dall’ente oppure ad un singolo progetto e possono essere durevoli nel tempo oppure
limitati a seconda delle decisioni dello Stato stesso.
Per quanto concerne i finanziamenti privati, possono derivare a titolo esemplificativo
dall’attività svolta dai volontari, da finanziamenti delle imprese, dalle quote di iscrizione,
dalle donazioni e dalle liberalità di vario genere.
L’Agenzia per il terzo settore, soppressa dall’art. 8 comma 23 del d.l. n. 16/20122, ha
redatto il documento denominato “Linee guida per la raccolta dei fondi”, con
l’obiettivo di creare un insieme di indicazioni organiche che rappresentino un punto di
riferimento per gli enti che decidono di effettuare le raccolte di fondi e si rivolgono a tut-
------------------------------------------1
Il fund raising è una espressione inglese traducibile semplicemente in raccolta fondi. “To raise” significa far
crescere, coltivare, sorgere, ossia di sviluppare i fondi necessari a sostenere un’azione senza finalità di lucro.
2
L’Agenzia per il terzo settore, originariamente denominata Agenzia per le ONLUS, è stata soppressa
dall’art. 8 comma 23 del d.l. n. 16/2012, convertito in legge n. 44/2012. I compiti e le funzioni dell’Agenzia
del terzo settore sono stati trasferiti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, più precisamente, alla
Direzione Generale per il terzo settore e le formazioni sociali.
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Capitolo 6 – La raccolta fondi
te le organizzazioni indipendentemente dalla loro forma giuridica, attività o missione3.
Lo scopo di questo documento è quello di tutelare tutti i soggetti interessati dalle raccolte fondi, sottolineando i principi basilari di trasparenza, rendicontazione e accessibilità.
Il documento è suddiviso in tre parti:
 Linee guida: è la parte principale del documento che contiene i principi essenziali da rispettare durante le raccolte di fondi, al fine di tutelare il donatore, il
destinatario della donazione e l’organizzazione stessa;
 Allegato n. 1 – Comportamenti, tecniche e strumenti per le buone prassi nella
raccolta dei fondi: analizza i principali strumenti utilizzati dagli enti non profit
per raccogliere i fondi. L’allegato 1 è da considerarsi in evoluzione, avendo già
subito una modifica rispetto a quello redatto nel 20104;
 Allegato n. 2 – I profili fiscali delle erogazioni liberali: sono riportate due tabelle
riepilogative delle norme che conferiscono agevolazioni fiscali, con riferimento
ai beneficiari delle stesse.
Ai fini fiscali, la norma di riferimento per la raccolta di fondi è rappresentata dall’art.
143, comma 3 del d.p.r. n. 917/1986. Tale disposizione sottrae dall’imposizione IRES i
fondi ottenuti dagli enti non lucrativi a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in
concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione.
In aggiunta, con la previsione dell’art. 2, comma 2 del d.lgs. n. 460/1997, è stata disposta l’esclusione per le raccolte pubbliche di fondi dall’imposta sul valore aggiunto e
altresì l’esenzione da ogni altro tributo erariale e locale.
Le agevolazioni fiscali sono riconosciute esclusivamente se vengono rispettati alcuni
elementi. In particolare, per finalità prettamente antielusiva, deve trattarsi di iniziative
------------------------------------------3
Cit. Linee guida per la raccolta di fondi, Agenzia per il terzo settore, 2011: “A partire dal 2007, l’Agenzia per
il terzo settore ha avviato un percorso di riflessione e di analisi volto a produrre un quadro coerente di principi
e di orientamenti su aree di intervento ritenute strategiche per la promozione del terzo settore, attraverso
l’emanazione di specifiche linee guida. Questi indirizzi, che non hanno carattere vincolante, agiscono sulla
sfera della moral suasion ed essendo finalizzati a favorire la trasparenza, l’efficienza, l’efficacia e la qualità
nell’attività degli enti, rappresentano un corpo di riferimenti per tutti coloro che operano nell’ambito del terzo
settore. Il DPCM n.329/2001, successivamente modificato con DPCM n. 51/2011, che regolamenta le attribuzioni e i poteri assegnati all’Agenzia per il terzo settore, comprende all’art. 3 la “vigilanza sull’attività di sostegno a distanza, di raccolta di fondi e di sollecitazione della fede pubblica, allo scopo di assicurare la tutela
da abusi e le pari opportunità di accesso ai mezzi di finanziamento”. Il tema della raccolta fondi e delle tutele
connesse rappresenta infatti uno degli ambiti maggiormente considerati dagli enti non profit e dalla cittadinanza, in quanto la trasparenza delle azioni collegate e la certezza della destinazione dei fondi raccolti sono
percepiti come fattori di affidabilità e credibilità per la valorizzazione e il sostegno del terzo settore e della società civile nel suo insieme.”
4
Gli aggiornamenti dell’edizione del 2011 si riferiscono all’inserimento di schede relative alla raccolta pubblica di fondi, all’aggiornamento della scheda riferita agli SMS solidali e all’attività di telemarketing. Con riferimento a quest’ultima modifica, è da imputarsi all’entrata in funzione del Registro pubblico delle opposizioni
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Capitolo 6 – La raccolta fondi
occasionali svolte in concomitanza di celebrazioni o campagne di sensibilizzazione ed i
beni ceduti devono avere un valore modico.
Per occasionalità si fa riferimento, generalmente, a una media di due eventi l’anno5,
parametro non tassativo ma che, comunque, risulta essere uno strumento utile per
escludere, ad esempio, la possibilità di organizzare raccolte fondi con cadenza mensile. Infatti, dal punto di vista lessicale, il termine occasionale si contrappone ad abituale; pertanto, si potrebbe dedurre che l’assenza del carattere di abitualità dovrebbe essere sufficiente per ottenere le agevolazioni fiscali.
Tuttavia, la circolare ministeriale n. 124/E del 12 maggio 1998 al punto 2 definisce
quelle che sono le previsioni normative in materia di raccolte fondi, senza dare una definizione dettagliata del concetto stesso.
Altro principio fondamentale è che i fondi raccolti durante gli eventi organizzati dagli
enti non profit non devono avere natura di corrispettivo, cioè non devono rappresentare un mero rapporto di scambio. E’ per questo motivo che il legislatore ha precisato che i beni offerti devono avere un valore modico, incentivando così i potenziali
donatori.
In ultimo, è da sottolineare che le raccolte devono essere aperte al pubblico, cioè
devono avvenire in occasione di manifestazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione.
 6.2 Modalità di svolgimento delle raccolte di fondi
I tradizionali strumenti di raccolta di fondi possono essere suddivisi sostanzialmente in
due tipologie a seconda che utilizzino mezzi di contatto personali o impersonali.
Semplificando, ci troveremo di fronte al direct marketing, al telemarketing o al mailing
quando il contatto con i potenziali donatori avviene con mezzi personali. Di contro, nel
caso di manifestazioni, propaganda o pubbliche relazioni, il contatto si instaura con
mezzi impersonali. Il documento dell’Agenzia per il terzo settore individua tra i principali
strumenti utilizzati dagli enti non profit per la raccolta dei fondi i seguenti: direct mail,
telemarketing, face to face, eventi, eventi di piazza, salvadanai, imprese for profit,
grandi donatori, lasciti testamentari, SMS solidali e donazioni on line tramite il sito web
dell’organizzazione.
Di seguito, verranno analizzati alcuni di questi strumenti di raccolta ed in particolare: il
direct mail, il telemarketing e le imprese for profit.
------------------------------------------5
Il parametro di due eventi l’anno è stato introdotto per le manifestazioni organizzate dalle ASD che si avvalgono del regime fiscale forfetario previsto dalla legge n. 398/1991 e, più precisamente, dalla disposizione
dell’art. 25, legge n. 133/1999.
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Capitolo 6 – La raccolta fondi
 6.2.1 Il direct mail
E’ definito direct mail6 qualsiasi tipo di materiale cartaceo finalizzato alla raccolta fondi
divulgato attraverso il servizio postale, come ad esempio lettere personalizzate e non
personalizzate, questionari o materiali promozionali fra cui depliant, brochure o flyer.
Il direct mail rappresenta uno fra gli strumenti di raccolta più diffusi per il finanziamento
degli enti non profit pur avendo un investimento iniziale particolarmente elevato. Pertanto, è fondamentale utilizzare valide liste di indirizzi dei potenziali donatori che si intendono contattare. A tal proposito, le organizzazioni che inviano materiale postale a
indirizzi specifici, devono assicurarsi che le banche dati di cui si servono per effettuare
le spedizioni siano aggiornate solo con i soggetti che, in precedenza, hanno espressamente fornito il consenso all’invio di materiale informativo e che successivamente
non lo abbiano revocato.
Al riguardo, la legge n. 106/2011, di conversione del d.l. n. 70/2010, ha esteso
l’ambito di operatività dell’art. 130, comma 3-bis del d.lgs. n. 196/2003, modificato
dall’art. 6, comma 2, lettera a) del d.l. n. 70/2010, prevedendo la possibilità per gli
operatori di “direct mail” di utilizzare i dati personali dei soli soggetti che non abbiano
richiesto l’inclusione nel Registro pubblico delle opposizioni 7, per l’invio di materiale
informativo cartaceo.
 6.2.2 Il telemarketing
Con il termine telemarketing si definisce un’attività di marketing svolta telefonicamente,
che permette di instaurare un rapporto diretto ed interattivo con il donatore potenziale.
Lo sviluppo del contatto telefonico rivolto ad un target interno o esterno all’ente, ha lo
scopo di raccogliere adesioni e, di conseguenza, fondi o altre forme di sostegno ai
progetti dell’organizzazione stessa.
Tuttavia, questo tipo di fund-raising, vista la sua natura, può essere considerato particolarmente invasivo e inopportuno e, pertanto, potrebbe creare qualche problema con
i donatori potenziali. Per questo motivo, il telemarketing può essere uno strumento
estremamente utile per contattare soggetti già acquisiti e con i quali è già stato instaurato un rapporto.
Come per il direct mail, anche per il telemarketing devono essere rispettate le previsioni
normative in materia di Registro pubblico delle opposizioni.
------------------------------------------6
Il direct mail è una espressione inglese traducibile semplicemente in contatto postale.
Cit. Linee guida per la raccolta di fondi, Agenzia per il terzo settore, 2011: “Il Registro pubblico delle opposizioni è stato istituito con Decreto del Presidente della Repubblica n. 178 del 7 settembre 2010, attuativo
dell’art. 20 bis della legge n.166/2009, che ha modificato il regime di gestione degli elenchi pubblici telefonici
su cui è possibile esercitare attività di telemarketing. La costituzione e la gestione del Registro, entrato in funzione il 31 gennaio 2011, è stata affidata dal Ministero dello Sviluppo Economico - Dipartimento per le Comunicazioni alla Fondazione Ugo Bordoni. La vigilanza e il controllo sulla tenuta del Registro e sul trattamento
dei dati sono attribuiti al Garante per la Privacy, ai sensi dell’articolo 130, comma 3 quater del Codice Privacy.”
7
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Capitolo 6 – La raccolta fondi
Il telemarketing può essere suddiviso in inbound e outbound. Il telemarketing inbound
o in entrata è caratterizzato dalla gestione dei contatti telefonici provenienti
dall’esterno. Tali contatti vengono raccolti dall’ente mediante l’invio preventivo di materiali informativi e promozionali, dalla diffusione di recapiti telefonici o dalla divulgazione
di informazioni attraverso diversi mezzi di comunicazione, come ad esempio internet,
TV o stampa.
Per telemarketing outbound o in uscita si intende la gestione dei contatti mirati a
pubblici esterni e/o interni all’organizzazione stessa. Per pubblici interni si intendono i
soci o i sostenitori i cui dati sono già presenti negli archivi dell’ente, o persone che
hanno espressamente dato il consenso al trattamento dei propri dati personali e che,
conseguentemente, possono essere contattati telefonicamente, pur nel rispetto della
normativa in materia di privacy. Di contro, nei pubblici esterni si includono tutti coloro
che hanno dato il consenso all’inserimento dei propri dati negli elenchi telefonici pubblici, non richiedendo l’inclusione nel Registro pubblico delle opposizioni.
 6.2.3 Imprese for profit
La raccolta di fondi effettuata da parte di imprese for profit può portare agli enti non
profit molti vantaggi, ma deve essere effettuata attraverso un’attenta valutazione ed
una gestione efficacie.
In questo contesto, è fondamentale effettuare una scelta strategica dell’impresa, senza
limitarsi esclusivamente ad una mera operazione di marketing promozionale.
Al fine di ottenere una valutazione corretta degli interessi e degli obiettivi da perseguire,
le organizzazioni dovrebbero sviluppare ricerche conoscitive sulle imprese for profit che
intendono contattare. La metodologia più efficace consiste nello stilare un elenco degli
elementi principali da considerare durante la fase di valutazione dell’impresa for profit e
degli effetti che possono scaturire dalla collaborazione che si andrà ad instaurare.
Nelle Linee guida per la raccolta di fondi, l’Agenzia per il terzo settore ha individuato
alcuni degli elementi da considerare; a titolo esemplificativo avremo:
 tipologia di impresa for profit: devono essere analizzati tutti gli elementi identificativi dell’impresa, a partire dalla composizione societaria ed ogni altra informazione anagrafica utile per effettuare una valutazione efficace;
 ragioni dell’intervento: devono essere analizzate le motivazioni che spingono
l’azienda ad effettuare le donazioni o ad avviare altre forme di collaborazione
con l’organizzazione non profit;
 principio di coerenza: deve essere valutata la coerenza dei valori, dei principi e
dei comportamenti dell’impresa for profit e delle società che, eventualmente, la
compongono o la controllano, in relazione a quelli dell’ente for profit;
 impressione del pubblico: di fondamentale importanza è la percezione che il
pubblico ha del marchio e dell’impresa for profit stessa. Se l’impressione del
pubblico fosse negativa, l’ente rischierebbe di avere effetti peggiorativi invece
di migliorare la propria immagine;
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107
Capitolo 6 – La raccolta fondi

valore aggiunto: deve essere valutato se la collaborazione fra l’organizzazione
non profit e l’impresa for profit determinerà un incremento di valore o, al contrario, se possa danneggiare la reputazione dell’ente non profit;
 aspettative ed obiettivi: devono essere adeguatamente bilanciati gli obiettivi e
le aspettative dell’ente non profit con quelli dell’impresa for profit.
Il rapporto con un’impresa for profit può essere caratterizzato da diversi tipi di collaborazioni. Fra queste troviamo, ad esempio, le erogazioni liberali, le donazioni di beni e
servizi, volontariato d’impresa, realizzazione di sponsorizzazioni o cause related marketing.
Il fenomeno del cause related marketing, conosciuto anche con l’acronimo CRM, nasce negli Stati Uniti e può essere definito come uno sforzo da parte di un’impresa di
contribuire alla realizzazione di obiettivi propri delle organizzazioni non profit, incrementando di contro i propri introiti.
Pertanto, si tratta di un’azione di marketing in cui le organizzazioni non profit e le imprese for profit formano una partnership per promuovere un’immagine o un servizio,
traendone beneficio entrambe.
Nel CRM la donazione è subordinata alla transazione, cioè al ricevimento di un bene in
cambio di denaro8. L’obiettivo è stato quello di creare una forma di pubblicità rivolta ai
“consumatori-cittadini” e non ai “consumatori-clienti”, che valorizzi il marchio o il prodotto di una impresa for profit, destinando una parte delle risorse al finanziamento di
un’iniziativa di solidarietà sociale o ad un progetto di interesse collettivo.
I rapporti che si instaurano fra le imprese for profit e le organizzazioni non profit rientranti nell’attività di CRM possono essere considerati come sponsorizzazioni “solidali”9,
cioè attività volte a diffondere un messaggio attraverso il collegamento di un marchio o
del nome dell’impresa for profit con un determinato evento. Un esempio di questo tipo
di attività è rappresentato dal caso di “BNL e Comitato Telethon Fondazione ONLUS”.
Tornando alla sponsorizzazione solidale, è opportuno sottolineare che
l’Amministrazione finanziaria, con la R.M. n. 137/E del 2000, sembrerebbe orientata
verso un’integrale deducibilità degli oneri sostenuti dalle imprese durante le campagne
di CRM come costi di pubblicità.
Secondo le disposizioni dell’art. 109, d.p.r. n. 917/1986, per essere deducili, occorre
che i predetti costi abbiano, oltre al requisito della competenza, della certezza e della
determinabilità, anche quello dell’inerenza all’attività di “impresa for profit”. Per inerenza
degli oneri si intende la loro idoneità a promuovere un incremento di ricavi. In
quest’ottica, l’Amministrazione finanziaria, pur confermando l’orientamento posto con
------------------------------------------8
Cit. Linee guida per la raccolta di fondi, Agenzia per il terzo settore, 2011
Per sponsorizzazione si intende un contratto atipico in base al quale un soggetto detto sponsee si obbliga
ad associare ad un evento il marchio o il nome di un altro soggetto detto sponsor in cambio di un corrispettivo, traendo beneficio e migliorando la propria immagine verso il pubblico.
9
108
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Capitolo 6 – La raccolta fondi
la risoluzione 137/E, potrebbe ritenere indeducibile una parte dei costi ove ravvisi che
questi siano eccessivi rispetto al complesso dei ricavi.
 6.3 L’obbligatorietà del rendiconto per la raccolta fondi
La redazione del rendiconto per la raccolta di fondi è sancito dall’art. 20 comma 2
d.p.r. n. 600/1973, modificato dall’art. 8 comma 1 del d.lgs. n. 460/199710.
In ottemperanza ai principi di chiarezza e trasparenza, è previsto l’obbligo per le organizzazioni non profit di redigere un apposito rendiconto dal quale si evincano le entrate
e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o compagne di sensibilizzazione. Lo stesso è da considerarsi aggiuntivo rispetto a quello annuale.
Inoltre, tale rendiconto deve essere accompagnato da una relazione illustrativa delle
spese e delle entrate relative all’evento, come stabilito dall’art. 20 comma 2 d.p.r. n.
600/1973. Attraverso questa relazione deve essere specificato l’importo dei fondi raccolti risultanti dalla documentazione attestante ogni singolo versamento e le somme
effettivamente sostenute per lo svolgimento dell’attività di raccolta.
Con la circolare n. 59 del 31 ottobre 2007, l’Agenzia delle Entrate ha specificato che i
costi relativi alla raccolta non devono risultare eccessivi, in modo tale che, una volta
decurtati dai fondi raccolti, residui una quota rilevante da destinare alle finalità solidaristiche11.
Il rendiconto deve essere redatto entro quattro mesi dalla data di chiusura dell’esercizio
per ciascuna delle raccolte fondi effettuate dall’ente. La redazione di uno specifico ren-
------------------------------------------10
L’art. 8 comma 1 del d.lgs. n. 460/1997 dispone che “Nell’articolo 20 decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,n. 600, riguardante le scritture contabili degli enti non commerciali, dopo il primo
comma, sono aggiunti, in fine, i seguenti:
“Indipendentemente alla redazione del rendiconto annuale economico e finanziario, gli enti non commerciali
che effettuano raccolte pubbliche di fondi devono redigere, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio,
un apposito e separato rendiconto tenuto e conservato ai sensi dell’articolo 22, dal quale devono risultare,
anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione indicate nell’articolo 108, comma 2-bis,
lettera a), testo unico delle imposte sui redditi (n.d.a. L’art. 108 del TUIR è stato modificato dal d.lgs. del
12/12/2003 n. 344, che ne ha variato la numerazione sostituendolo con l’art. 143), approvato con decreto
del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”.
11
Cit. circolare n. 59 del 31 ottobre 2007, l’Agenzia delle Entrate: “…Occorre pertanto, individuare e quantificare un rapporto tra i fondi raccolti e la loro destinazione, prevedendo che i costi totali, sia amministrativi sia
per l’attività di raccolta fondi, debbano essere contenuti entro limiti ragionevoli e tali da assicurare che, dedotti tali costi, residui, comunque, una certa quota di fondi da destinare ai progetti e alle attività per cui la
stessa campagna è stata attivata. A tale proposito, si ritiene che i fondi raccolti debbano essere destinati per
la maggior parte del loro ammontare a finanziare i progetti e l’attività per cui la raccolta fondi è stata attivata. I
fondi raccolti, in sostanza, non devono essere utilizzati dall’ente per autofinanziarsi a scapito delle finalità solidaristiche che il legislatore fiscale ha inteso incentivare. Per agevolare l’attività di accertamento da parte degli
organi preposti alla vigilanza sulla raccolta fondi, le organizzazioni interessate avranno cura di specificare nella
relazione illustrativa che accompagna il rendiconto l’importo dei fondi raccolti risultante dalla documentazione
attestante i singoli versamenti, nonché le somme effettivamente destinate alle attività e ai progetti, dettagliatamente descritti, per i quali la raccolta fondi è stata attivata.”
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Capitolo 6 – La raccolta fondi
diconto per ogni attività di raccolta è necessaria per salvaguardare il principio di “pubblica fede”, dimostrando che i fondi sono stati impiegati nelle cause per cui erano stati
raccolti.
Poiché lo scopo è quello di illustrare le operazioni finanziarie in entrata ed in uscita, il
rendiconto assume natura finanziaria. Tale struttura appare idonea a fornire dimostrazione sia dell’entità dei fonti raccolti, sia degli impieghi effettuati.
Di seguito, uno schema esemplificativo di come può essere strutturato un rendiconto
per la raccolta di fondi.
ENTRATE
- Da soggetti privati
- Da società
- Da enti pubblici
- Donazioni e/o offerte
- …. …. ….
TOTALE ENTRATE (A)
USCITE
- Acquisti di beni di valore modico
- Spese per acquisto volantini
- Spese per acquisto stampati
- Spese per promozione dell’evento di raccolta
- Rimborsi spese a volontari
- Spese per noleggio attrezzature (es. sedie o tavoli)
- …. …. ….
TOTALE USCITE (B)
RISULTATO DELLA RACCOLTA (A-B)
110
Importo
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Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014
 7. Il 5 per mille nel 2014
di Lorenzo Portento
Puntuale come ogni anno torna anche nel 2014 il 5 per mille. La legge di stabilità (articolo 1, comma 1051, della legge 27 dicembre 2013 n. 147) ha confermato per questo
anno la facoltà di destinare una parte dell’imposta sul reddito per le persone fisiche,
pari al 5 per mille, a sostegno delle stesse finalità e secondo le modalità analoghe a
quelle applicate negli anni precedenti; il limite massimo di spesa è stabilito in 400 milioni di euro1. Attraverso il meccanismo infatti il contribuente ha la facoltà di devolvere una
quota dell’Irpef a soggetti operanti in settori di riconosciuto interesse pubblico e svolgenti attività eticamente e socialmente meritorie. La misura è stata introdotta per la
prima volta con la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006) ed è
stata nuovamente proposta per le annualità successive, ininterrottamente dal 2006 ad
oggi.
I settori a sostegno della cui attività può essere destinato il beneficio del 5 per mille
dell’Irpef sono2: i) il volontariato di cui è competente la Direzione Generale per il terzo
settore e le formazioni sociali del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali; ii) la ricerca
scientifica ed universitaria di cui è competente il MIUR; iii) la ricerca sanitaria di cui è
competente il Ministero della Salute; iv) le politiche sociali perseguite dai Comuni di
cui è competente il Ministero dell’Interno; v) le attività sportive a carattere dilettantistico riconosciute dal Coni competente la Presidenza del Consiglio dei Ministri con il
supporto del Coni, salvo per gli anni 2006 e 2007; il finanziamento delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, a decorrere solo dall’anno finanziario 20123, di cui è competente il Ministero per i Beni e le Attività
Culturali.
------------------------------------------1
Per gli anni precedenti, la base normativa dell’istituto è stata: anno 2006, legge n. 266/2005, senza previsione di limite di spesa; anno 2007, legge n. 297/2006, d.l. n. 159/2007 conv. in legge n. 222/2007, legge n.
211/2007, per uno stanziamento finale di 467 milioni di euro; anno 2008, legge n. 244/2007, d.l. n.
248/2007 conv. in legge n. 31/2008, per uno stanziamento finale di 405 milioni; anno 2009, d.l. n.112/2008
conv. in legge n. 133/2008, per uno stanziamento finale di 385 milioni; anno 2010, legge n. 191/2009, d.l. n.
225/2010 conv. in legge n. 10/2011 per uno stanziamento di 483 milioni; anno 2011, legge n. 220/2010 per
uno stanziamento di 300 milioni; anno 2012, legge n. 183/2011, d.l. n. 95/2012 conv. in legge n. 135/2012
per 395 milioni.
2
Già previste dal d.p.c.m. 23 aprile 2010, prorogate con l’art.33, comma 11, della legge 12 novembre 2011,
n. 183 (legge di stabilità 2012) su cui l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti con la circolare n. 10/E del
20 marzo 2012, e prorogate per l’esercizio finanziario 2013 con l’art. 23, comma 2, del d.l. 6 luglio 2012, n.
95 convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 su cui l’Agenzia delle Entrate ha fornito
chiarimenti con la circolare n. 6/E del 21 marzo 2013.
3
Introdotto ex articolo 23, comma 46, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni dalla legge 15
luglio 2011, n. 111.
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Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014
Per gli enti del volontariato e le associazioni sportive dilettantistiche è l’Agenzia delle
Entrate ad acquisire la domanda di iscrizione, mentre a curare e gestire gli adempimenti degli altri soggetti sono le altre amministrazioni di competenza. Non è prevista la
predisposizione di appositi elenchi per il finanziamento delle attività di tutela dei beni
culturali e paesaggistici, la cui ripartizione spetta al Ministero, mentre nel caso di scelta
delle attività sociali svolte dai Comuni il contribuente può esprimere la propria scelta
solo per quello di residenza.
E’ da rilevare come in tutti questi anni l’interesse nei confronti del 5 per mille da parte
dei cittadini è in costante aumento. Infatti, il numero complessivo di coloro che hanno
optato per una scelta è passata dai 13 milioni, nel 2006, a quasi i 17 milioni nel 20114.
Nonostante il successo però, il 5 per mille non è ancora entrato a far parte del sistema
legislativo italiano, e la sua esistenza negli anni è dipesa dalla reiterazione annuale di
leggi, quali la legge finanziaria, la legge di stabilità ed altre disposizioni di bilancio, che
rimandano ad un d.p.c.m. di natura non regolamentare per la restante disciplina
dell’istituto. Il quadro risulta di conseguenza complesso ed inefficiente. Ad esprimere
un giudizio estremamente negativo sulla gestione del 5 per mille è la Corte dei Conti, in
una recente relazione inviata al Parlamento e alle principali amministrazioni dello Stato,
nella quale descrive il quadro normativo “confuso ed inadeguato al possibile nuovo
ruolo istituzionale del privato sociale”. Con la Delibera n. 14 dello scorso 23 dicembre
20135 la Corte denuncia infatti una disciplina instabile e frammentaria, a carattere provvisorio e subordinato ogni anno ad un espressa previsione legislativa con conseguenti
inefficienze ed inutili appesantimenti burocratici; rileva inoltre come la pluralità di amministrazioni coinvolte, lo scarso coordinamento tra loro e le elevate disfunzioni interne,
rappresentino un ulteriore causa di incertezza sulla disponibilità delle risorse, sui ritardi
nei pagamenti, e sull’efficacia, scarsa, nella verifica del possesso dei requisiti nei soggetti ammessi al beneficio.
 7.1 Sostegno del volontariato e delle attività sportive dilettantistiche, soggetti ammessi al beneficio
Gli enti del volontariato e le associazioni sportive dilettantistiche, per poter essere tra i
soggetti beneficiari del 5 per mille, devono presentare domanda di ammissione secondo le regole introdotte annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Tra gli enti del “volontariato” sono ricompresi tutti i soggetti privati operanti senza fine di
lucro in settori a rilevanza sociale, elencati all’articolo 1, comma 1, lettera a), del
d.p.c.m. 23 aprile 2010, e precisamente la tipologia comprende6:
------------------------------------------4
Fonte: elaborazione della Corte dei Conti su dati dell’Agenzia delle Entrate.
Delib. N. 14/2013/G “Destinazione e gestione del 5 per mille dell’Irpef”.
6
Cosi come da ultimo specificato nella circ.n. 6/E del 21 marzo 2013.
5
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Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014

le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, ONLUS ordinarie (art. 10 del
decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460), iscritte nell’Anagrafe presso la
DRE competente;
 gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato
patti, accordi o intese e le associazioni di Promozione Sociale le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell’Interno, iscritti nell’Anagrafe delle
ONLUS in quanto ONLUS parziali, cioè limitatamente alle attività svolte
nell’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale nei settori di attività
elencati all’articolo 10, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 460/97;
 le organizzazioni di volontariato, ex legge n. 266/1991, iscritte nei registri regionali e delle provincie autonome;
 le cooperative sociali, ex legge n. 381/1991, iscritte all’Albo nazionale delle società cooperative presso il Ministero dello Sviluppo economico, nonché i consorzi di cooperative con la base sociale formata per il cento per cento dalle
stesse cooperative sociali;
 le organizzazioni non governative riconosciute idonee ex legge n. 49/1986,
iscritte presso il Ministero degli Affari Esteri;
 le associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale, regionali e
provinciali previsti dall’art. 7, commi 1, 2, 3 e 4, della legge 7 dicembre 2000,
n. 383;
 le associazioni e fondazioni che operano senza finalità di lucro nei settori indicati dall’art. 10, comma 1, lettera a) del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 4607.
L’ammissione ai benefici degli organismi del volontariato è esclusa per quelli con personalità giuridica di diritto pubblico (es. la Croce Rossa italiana).
Le associazioni sportive dilettantistiche8 che possono partecipare al riparto del 5 per
mille sono quelle riconosciute ai fini sportivi dal Comitato olimpico nazionale italiano,
che svolgono una rilevante attività sociale. In particolare le associazioni in cui è presente il settore giovanile e che siano affiliate a una Federazione sportiva nazionale o a una
disciplina sportiva associata o a un Ente di promozione sportiva riconosciuti dal Coni.
Inoltre le associazioni devono svolgere prevalentemente una delle seguenti attività: i)
avviamento e formazione allo sport dei giovani di età inferiore a 18 anni; ii) avviamento
alla pratica sportiva in favore di persone di età non inferiore a 60 anni; iii) avviamento
alla pratica sportiva nei confronti di soggetti svantaggiati in ragione delle condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari.
------------------------------------------7
Le circolari 56/E del 10 dicembre 2010 e 6/E del 21 marzo 2013 sottolineano i requisiti formali e sostanziali
richiesti.
8
Prima del 2009, le associazioni sportive dilettantistiche furono inserite tra i destinatari del 5 per mille dal d.l.
n. 159/2007 conv. in legge n. 222/2007, a valere, retroattivamente sugli esercizi finanziari 2006 e 2007, e dal
d.l. n. 248/2007, conv. in legge n. 31/2008, per l’esercizio 2008, unicamente con il possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal Coni ai sensi del d.l. n. 136/2004 conv. in legge n. 186/2004 e artt.7 e 90
della legge n. 289/2002.
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Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014
L’Agenzia delle Entrate precisa con circolare n. 6/E del 21 marzo 2013, che la tipologia
di appartenenza deve essere espressamente indicata nella Sezione I del modello di
domanda e l’iscrizione nell’Anagrafe delle ONLUS ovvero negli appositi elenchi, albi e
registri, compreso il registro delle persone giuridiche, deve sussistere fin dal momento
della presentazione della domanda.
 7.2 Adempimenti degli enti del volontariato e delle associazioni sportive dilettantistiche
I soggetti beneficiari del 5 per mille dell’Irpef per partecipare al riparto del 5 per mille
debbono procedere all’iscrizione in via telematica nell’apposito elenco tenuto
dall’Agenzia delle Entrate.
Vengono dunque applicate anche per l’esercizio finanziario 2014 gli stessi termini già
stabiliti negli scorsi anni con i necessari aggiornamenti. Tale iscrizione dovrà essere effettuata inviando la relativa domanda, a pena di decadenza esclusivamente in via telematica, utilizzando modello e software specifici. La domanda va trasmessa entro il
07 maggio 2014 direttamente dai soggetti interessati, se abilitati ai servizi Entratel o Fisconline, oppure tramite gli intermediari abilitati a Entratel. Sono tenuti a presentare la
domanda anche coloro che l’hanno inviata gli anni precedenti.
All’atto dell’iscrizione il sistema rilascia una ricevuta che attesta l’avvenuta ricezione e
riepiloga i dati della domanda. Entro il 14 maggio l’Agenzia delle Entrate pubblica sul
suo sito internet l’elenco provvisorio dei beneficiari distinti per tipologia; in caso di errori
nei dati, il legale rappresentante dell’ente può, entro il 20 maggio, chiederne la correzione alla DRE di competenza territoriale utilizzando i modelli di variazione AA7/10 oppure AA5/6 se non titolari di partita IVA. Corretti gli eventuali errori, l’Agenzia provvederà a pubblicare la versione definitiva degli elenchi.
Successivamente all’iscrizione i legali rappresentanti degli enti del volontariato regolarmente iscritti negli elenchi devono spedire entro il 30 giugno di ogni anno, tramite
raccomandata con ricevuta di ritorno oppure tramite posta elettronica certificata, alla
direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate nel cui ambito si trova il domicilio fiscale
dell’ente, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà9 ai sensi dell’articolo 45
del d.p.r. n. 445 del 2000, che attesta la persistenza dei requisiti che danno diritto
all’iscrizione.
------------------------------------------9
Il modello di dichiarazione sostitutiva è pubblicato sul sito dell’Agenzia delle Entrate oltre ad essere disponibile nel software di iscrizione telematica precompilato in alcuni campi con le informazioni presenti nella domanda di iscrizione.
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Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014
I legali rappresentanti delle associazioni sportive dilettantistiche iscritte in elenco devono spedire la dichiarazione entro gli stessi termini all’Ufficio del Coni nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell’associazione interessata10.
Alla dichiarazione deve essere sempre allegata la fotocopia non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore, anche se il legale rappresentate dell’ente non è
cambiato rispetto al precedente anno. Il mancato rispetto del termine e la mancata
allegazione del documento di identità alla dichiarazione sostitutiva costituiscono
causa di decadenza dal beneficio.
Tabella di sintesi
7 maggio 2014
20 maggio 2014
27 maggio 2014
30 giugno 2014
30 settembre 2014
Termine ultimo per l’iscrizione negli elenchi dei beneficiari
Termine per la presentazione di istanze per correggere errori nella
iscrizione agli elenchi
Pubblicazione elenco aggiornato con le correzioni degli enti iscritti
Termine per l’invio della dichiarazione sostitutiva di atto notorio
Termine per la regolarizzazione delle domande di iscrizione o successive integrazioni documentali (c.d. “remissione in bonis”)
 7.3 Regolarizzazione delle omissioni con la “remisione in bonis”
A decorrere dall’esercizio finanziario 201211, possono partecipare al riparto delle quote
del 5 per mille gli enti che pur non avendo assolto in tutto o in parte, entro i termini di
scadenza, agli adempimenti richiesti per l’ammissione al contributo, abbiano i requisiti
sostanziali richiesti dalle norme di riferimento, presentino le domande di iscrizione e
provvedano alle successive integrazioni documentali, compresa la dichiarazione sostitutiva di atto notorio, entro il 30 settembre di ogni anno con le stesse modalità con
cui doveva essere effettuata originariamente la domanda, versando contestualmente
una sanzione di importo pari a 258 euro. I requisiti sostanziali richiesti per l’accesso
al beneficio devono essere comunque posseduti alla data di scadenza della presentazione della domanda di iscrizione 12.
------------------------------------------10
“Il ruolo del CONI, a partire dal 2009, è circoscritto all’acquisizione delle dichiarazioni sostitutive dell’atto di
notorietà relative alla persistenza dei requisiti idonei al 5 per mille, alla verifica della loro veridicità ed alla conseguente elaborazione degli elenchi degli ammessi, esclusi e decaduti da inviare all’Agenzia delle Entrate per
i successivi adempimenti. All’erogazione delle somme spettanti a ciascun soggetto provvede poi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio sport” (nota n. 1200/13 del 10 aprile 2013 del Coni).
11
Cosi previsto dall’articolo 2 comma 2, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16 convertito con modificazioni dalla legge
26 aprile 2012 n. 44; circolare n. 10/E del 20 marzo 2012 e circolare 38/E del 28 settembre 2012.
12
Per gli enti del volontariato e per le associazioni sportive dilettantistiche devono essere posseduti entro il 7
maggio.
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Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014
La sanzione deve essere versata con il Modello F24, indicando il codice tributo
[8115]13. E’ esclusa la possibilità di compensare l’importo della sanzione con crediti
eventualmente disponibili e non può essere oggetto di ravvedimento.
 7.4 Dalla pubblicazione degli elenchi al pagamento: iter
Concluse le attività amministrative di controllo, una volta validati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, l’Agenzia delle Entrate provvederà a pubblicare gli elenchi
degli enti ammessi tra i soggetti beneficiari del 5 per mille dell’Irpef con l’indicazione
delle scelte e degli importi. Per quanto riguarda le associazioni sportive dilettantistiche
è il Coni a trasmettere all’AdE gli elenchi degli enti ammessi al beneficio. È possibile
comunicare le coordinate del proprio conto corrente bancario o postale ai fini
dell’accreditamento della quota spettante presso l’ufficio territoriale dell’Agenzia delle
Entrate con apposito modello oppure attraverso il sito internet per i contribuenti abilitati
al servizio fisconline. Il Ministero procede direttamente al pagamento dei soggetti beneficiari di somme superiori ai 500.000 euro mentre l’AdE provvede al pagamento delle
somme ai soggetti beneficiari di somme inferiori; i soggetti beneficiari che non comunicano le proprie coordinate, ovvero che non dispongono di un conto corrente, vengono
pagati con modalità alternative direttamente dal Ministero del Lavoro e delle Politiche
Sociali14 (per esempio liquidazione con rimessa diretta al LR); in caso di variazione il
codice IBAN va comunicato esclusivamente alla sede territoriale dell’AdE.
Nell’ipotesi in cui prima dell’erogazione delle somme il soggetto abbia cessato la propria attività o non svolga più le attività che hanno costituito il presupposto per l’accesso
al beneficio15, le somme attribuite non dovranno essere erogate. Laddove, invece, siano state già erogate, ma il soggetto, prima dell’erogazione delle somme, risulti aver
cessato l’attività o non svolgere più l’attività che da diritto al beneficio,
l’amministrazione competente dovrà procedere al recupero degli importi erogati.
 7.5 La rendicontazione
E’ affidata all’Amministrazione erogatrice del contributo il compito di vigilare sulla effettiva destinazione dei fondi ricevuti. L’obbligo di rendicontazione delle somme è stato
introdotto per la prima volta dalla legge Finanziaria 2008 (legge 24 dicembre 2007, n.
244, art. 3, comma 6). Anche per il 2014 è previsto l’obbligo, per gli enti e i soggetti
destinatari delle somme del 5 per mille, di redigere un apposito rendiconto utilizzando
------------------------------------------13
Codice tributo istituito con ris. n. 46/E dell’11 maggio 2012.
Gli enti che non hanno il conto corrente bancario o postale devono comunicare al Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali il nome del legale rappresentante, i dati anagrafici, l’indirizzo e il CF, oltre ai dati anagrafici dell’ente beneficiario. Il pagamento avverrà solo successivamente ai pagamenti effettuati dall’Agenzia e
dopo che la stessa invierà gli elenchi cosiddetti NO IBAN.
15
Vedi il d.p.c.m. 23 aprile 2010 e circ. n. 56/E del 10 dicembre 2010.
14
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Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014
il modulo reso disponibile sui siti istituzionali dei Ministeri competenti, corredato da una
relazione illustrativa, “nel quale sarà rappresentato in modo chiaro e trasparente
l’effettivo impiego delle somme percepite per le finalità cui sono destinate”16. La redazione di questo documento è obbligatoria e nel caso non venga redatto nei tempi e
nelle modalità fissate dalle amministrazioni erogatrici delle somme, la legge prevede il
recupero della somma erogata. Ogni amministrazione competente per le diverse tipologie di soggetti ammessi al beneficio stabilisce le linee guida e i modelli da utilizzare ai
fini della rendicontazione17.
Per i soggetti percettori di quote del 5 per mille che rientrano nel settore di competenza
del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, indicati con l’espressione enti del volontariato18, lo stesso Ministero ha pubblicato sul suo sito, per la prima volta il 7 dicembre 2010, le “linee guida per la predisposizione del rendiconto circa la destinazione delle quote del 5 per mille dell’Irpef” accompagnate da un modello fac-simile di rendiconto. Le linee guida ed il modello sono state rinnovate lo scorso 17 luglio 2013.
Quest’ultime in particolare presentano alcune novità:
 Accantonamento: è possibile accantonare in tutto o in parte l’importo percepito, fermo restando che l’Ente beneficiario deve specificare nella relazione allegata le finalità dell’accantonamento effettuato ed allegare oltre alla documentazione relativa al futuro utilizzo anche il verbale del CdA in cui viene deliberato l’accantonamento. E’ obbligatorio spendere tutte le somme accantonate e rinviare il modello di rendiconto entro 24 mesi dalla percezione del
contributo.
 Risorse umane: nel caso in cui i compensi per il personale superano il 50%
dell’importo percepito è obbligatorio allegare copia delle buste paga del personale imputato fino alla concorrenza dell’importo rendicontato.
 Nel caso di erogazioni liberali ad altri enti, anche esteri, è obbligatorio allegare
copia del bonifico effettuato.
Inoltre il Ministero attraverso le FAQ19 ha precisato:
------------------------------------------16
Art. 12 d.p.c.m. 23 aprile 2010.
Le Associazioni sportive dilettantistiche possono adottare il modello previsto per gli altri enti del volontariato ma devono evidenziare le attività di interesse sociale effettivamente svolte. A partire dall’erogazione delle
somme relative all’anno finanziario 2008 risulta competente l’ufficio per lo sport istituito presso la Presidenza
del Consiglio dei Ministri. Informazioni al seguente link http://www.sportgoverno.it/percorsi/5-permille.aspx; il
Ministero della Salute, competente sui fondi erogati alla ricerca sanitaria, ha reso note le modalità di rendicontazione nel mese di dicembre 2010, la rendicontazione è obbligatoria dal 2008, facoltativa per il 2007;
informazioni al seguente link http://www.salute.gov.it/ricercaSanitaria/paginaMenuRicercaSanitaria.jsp?menu=cinque&lingua=italiano. Il MIUR, competente per i fondi destinati alla ricerca scientifica e università, ha
reso noto un modello di rendiconto il 23 febbraio 2011, informazioni al seguente link http://cinquepermille.miur.it/TermineIscrizione.aspx.
18
Per ragioni di carattere organizzativo le associazioni sportive dilettantistiche sono state ricomprese solo per
le annualità 2006 e 2007, ai fini dell’obbligo della rendicontazione, nel settore “enti del volontariato”.
19
Pubblicate sul sito del Ministero del Lavoro e delle PS insieme alle linee guida.
17
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117
Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014

è possibile rendicontare le spese sostenute prima del pagamento a partire
dalla pubblicazione dell’elenco definitivo20;
 è possibile la cessione del credito dopo la pubblicazione dell’elenco definitivo
in cui l’Ente risulta ammesso al contributo. La data da cui occorre rendicontare
le spese decorre comunque dall’avvenuta pubblicazione dell’elenco definitivo;
 il contributo del 5 per mille non può essere devoluto, infatti precisa che non si
ha diritto qualora prima dell’erogazione del contributo risulti aver cessato
l’attività o non svolga più l’attività che dà diritto al beneficio;
 è possibile rimborsare con il contributo del 5 per mille le spese anticipate dai
soci con fondi infruttiferi ove si tratti di un programma di investimento strutturale e le spese siano state destinate esclusivamente alle finalità di utilità sociale
dell’ente. Va prodotta una relazione illustrativa alla quale si dovrà fare riferimento negli anni successivi;
 non è possibile presentare rendiconti cumulativi di vari anni (per esempio nel
caso in cui siano pervenuti in rapida successione).
L’ente nel redigere il rendiconto dovrà obbligatoriamente predisporre una relazione
descrittiva per illustrare nel dettaglio la destinazione della quota ricevuta e gli interventi
realizzati, indicandone il costo per ciascuna delle principali voci di spesa. Al modello
deve essere allegata fotocopia del documento di identità del legale rappresentante firmatario.
La rendicontazione è obbligatoria per tutti gli enti che hanno ricevuto il 5 per mille.
Gli enti che hanno ricevuto un importo superiore o uguale a 15.000 euro per il 2008,
20.000 euro per gli anni successivi, devono anche inviare il modello di rendiconto e gli
allegati al Ministero LPS unicamente tramite raccomandata a/R. Il rendiconto deve essere redatto (e deliberato) entro 12 mesi dal ricevimento delle somme; ai fini del calcolo del termine, si fa riferimento al mese di accreditamento dell’importo. Per chi è obbligato a trasmettere il rendiconto, l’invio deve essere realizzato entro i 30 giorni successivi al compimento dell’anno di riscossione e della conseguente redazione del rendiconto. Sono ammesse tutte le spese (per l’attività istituzionale ordinaria dell’ente o
per progetto). Solo dall’anno 2010 le somme non potranno essere utilizzate per la copertura dei costi delle campagne pubblicitarie sul 5 per mille.
In alternativa al rendiconto predisposto dal Ministero del Lavoro l’obbligo di rendicontazione è assolto se il beneficiario redige un bilancio sociale. Qualora il bilancio sociale
sia pubblicato sul sito dell’Ente dovrà essere inviata la sola comunicazione
dell’avvenuta pubblicazione sul sito e la delibera dell’organo competente di approvazione dello stesso; qualora invece il bilancio sociale non sia pubblicato sul sito dell’Ente
dovrà essere trasmesso al Ministero PLS allegando la delibera dell’organo competente
di approvazione dello stesso, con le tempistiche previste per la trasmissione del rendiconto.
------------------------------------------20
Elenco pubblicato sul sito dell’Agenzia delle Entrate già validato dal Ministero del Lavoro e delle PS.
118
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Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014
Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali si riserva la facoltà di chiedere la trasmissione del rendiconto e di eventuali allegati ai soggetti beneficiari tenuti al solo obbligo di
redazione del rendiconto (per importo inferiore ad euro 15.000,00 per l’anno 2008; inferiore ad euro 20.000,00 per le annualità successive); acquisire ulteriore documentazione da parte dei soggetti tenuti all’invio del rendiconto e degli eventuali allegati; compiere ispezioni sulla documentazione contabile in oggetto presso la sede
dell’organizzazione in cui sia conservata.
I contributi erogati sono soggetti a recupero nei seguenti casi21: qualora la erogazione
delle somme sia stata determinata sulla base di dichiarazioni mendaci o basate su false
attestazioni anche documentali; qualora le somme erogate non siano state oggetto di
rendicontazione; qualora gli enti che hanno percepito contributi di importo pari o superiore a 20.000 euro non inviino il rendiconto e la relazione; qualora, a seguito di controlli
l’ente beneficiario sia risultato non in possesso dei requisiti che danno titolo
all’ammissione al beneficio; qualora l’ente, dopo l’erogazione delle somme allo stesso
destinate, risulti, invece, aver cessato l’attività o non svolgere più l’attività che da’ diritto
al beneficio, prima dell’erogazione delle somme medesime; qualora gli enti che hanno
percepito contributi di importo inferiore a 20.000 euro non ottemperino alla richiesta di
trasmettere, ai fini del controllo, il rendiconto, la relazione illustrativa e la ulteriore documentazione eventualmente richiesta.
------------------------------------------21
Art. 13, d.p.c.m. 23 aprile 2010
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119
Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit
 8. I rendiconti degli enti non profit.
Normativa e prassi nella redazione degli schemi
di Bilancio
di Ilenia Errico
 8.1 La rendicontazione prevista dal codice civile e dalla prassi tributaria
Il bilancio di esercizio per gli enti non profit1 rappresenta un importante strumento, finalizzato a mostrare gli aspetti finanziari – patrimoniali ed il risultato economico del periodo; per mezzo del quale l’ente può soddisfare le esigenze conoscitive dei propri
stakeholders.
La normativa del codice civile in materia di rendicontazione per gli enti non profit prevede scarsi adempimenti obbligatori e fornisce una distinzione tra enti dotati di personalità giuridica e non.
In particolare per gli enti non profit dotati di personalità giuridica, l’art. 20 c.c. pone a
carico degli amministratori l’obbligo di convocare l’assemblea delle associazioni una
volta l’anno per l’approvazione del bilancio. Il successivo art. 21 c.c. esclude gli amministratori dal diritto di voto nelle deliberazioni assembleari di approvazione del bilancio.
Ancor meno disciplinati sono gli aspetti di rendicontazione per gli enti non profit privi di
personalità giuridica. In particolare, l’art. 36 c.c. stabilisce che l’ordinamento interno e
l’amministrazione sono regolati dagli accordi degli associati, lasciando quest’ultimi liberi
nel definire le linee guida per la redazione e l’approvazione dei rendiconti.
Alla scarna disciplina civilistica si contrappone una pluralità di leggi speciali di settore.
In linea generale, le normative in materia di organizzazioni di volontariato (legge n.
266/1991), in materia di promozione sociale (legge n. 383/2000), in materia di enti
sportivi dilettantistici (legge n. 209/2002) e quella in materia di ONLUS (legge n.
------------------------------------------1
L’espressione Enti non profit riassume differenti tipi di soggetti che svolgono attività caratterizzate da rilevanza ideale e sociale, senza finalità di lucro. A livello giuridico, rientrano tra gli enti non profit i seguenti soggetti: associazioni riconosciute (art. 14 e ss. c.c.); fondazioni riconosciute (art. 14 e ss. c.c.); associazioni non
riconosciute (art. 36 e ss. c.c.); comitati (art. 39 e ss. c.c.); fondazioni e associazioni bancarie (d.lgs. n.
356/1990 e legge n. 461/1998; d.lgs. n. 153/1999); organizzazioni di volontariato (legge n. 266/1991); cooperative sociali (legge n. 381/1991); associazioni sportive (legge n. 398/1991); organizzazioni non governative (art. 28 legge n. 49/1987); enti di promozione sociale (art. 3 comma 6 legge n. 287/1991); enti lirici (d.lgs.
n. 367/1996); centri di formazione professionale (legge n. 845/1978); istituti di patronato (legge n. 152/2001);
associazioni di promozione sociale (legge n. 383/2000); imprese sociali (d.lgs. n. 155/2006 e dd.mm. del 24
gennaio 2008). Sotto il profilo tributario gli enti non profit possono configurarsi come enti non commerciali o
enti commerciali. Gli enti non commerciali che soddisfano le condizioni di cui all’art. 10 e ss. del d.lgs. n.
460/1997, assumono la posizione fiscale di ONLUS.
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121
Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit
460/1997), prevedono obblighi generici di redazione del bilancio senza dare indicazioni
significative in merito a contenuti e struttura.
La redazione del bilancio mira ad assolvere prevalentemente funzioni informative e tributarie. In particolare, il sistema informativo – contabile fornisce garanzie riguardo ad
una corretta gestione e ad un corretto impiego delle risorse nel perseguimento delle
finalità istituzionali.
In relazione all’ambito tributario, l’art. 20 comma 2 d.p.r. n. 600/1973 stabilisce che,
indipendentemente dalla redazione del rendiconto annuale economico e finanziario, gli
enti non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi devono redigere, entro 4 mesi dalla chiusura dell’esercizio, un apposito e separato rendiconto dal quale
devono risultare, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione indicate nell’art. 143, comma 3, lett. a), d.p.r. n. 917/1986.
La redazione del documento in questione non risulta obbligatoria qualora l’ente non
abbia esercitato alcuna raccolta occasionale pubblica di fondi. A tal proposito l’Agenzia
delle Entrate, con la r.m. del 16 dicembre 2011, n. 126/E, richiamando i contenuti
della c.m. del 12 maggio 1998, n. 124/E, precisa, per gli enti non commerciali, la redazione di due rendiconti:
 un rendiconto annuale economico e finanziario;
 un rendiconto specifico per gli enti non commerciali che effettuano occasionali
raccolte pubbliche di fondi.
Dunque, per l’Agenzia delle Entrate il rendiconto economico – finanziario annuale è
sempre obbligatorio, indipendentemente dalle modalità gestionali e organizzative
dell’ente ed a prescindere dalla qualificazione dell’attività svolta. In aggiunta, tale documento contabile, permette agli organi di controllo di verificare, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo, le modalità operative, la struttura organizzativa dell’ente
e la corretta qualifica fiscale.
Per quanto riguarda le ONLUS, la disciplina prevista dall’art. 20-bis, d.p.r. n.
600/1973 impone la redazione di un apposito documento che rappresenti la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’organizzazione, nel termine di quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale, distinguendo le attività direttamente connesse
da quelle istituzionali. Il comma 3 del predetto art. 20-bis prevede la sostituzione del
documento contabile con un rendiconto delle entrate e delle spese complessive in presenza di attività istituzionali e connesse con proventi non superiori ad euro 51.645,69.
Infine, il comma 5 dispone, per le ONLUS con proventi superiori per due anni consecutivi ad euro 1.032.913,80, l’obbligo di allegare al bilancio una relazione di controllo sottoscritta da uno o più revisori iscritti nel registro dei revisori legali.
122
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Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit
 8.2 Modalità di redazione e contenuti dei rendiconti degli enti non profit
Le modalità di redazione ed i contenuti dei rendiconti degli enti non profit vengono delineati nell’atto di indirizzo dell’Agenzia per le ONLUS2 dell’11 febbraio 2009 e nei principi contabili emessi dal tavolo tecnico congiunto Agenzia per le ONLUS, Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e Organismo Italiano di Contabilità.
L’atto di indirizzo dell’Agenzia per le ONLUS definisce le linee guida e gli schemi per
la redazione dei bilanci di esercizio ed elenca i seguenti documenti:
a. Stato patrimoniale
b. Rendiconto gestionale
c. Nota integrativa
d. Relazione di missione
Inoltre, fornisce una importante semplificazione per i cosiddetti enti minori, soggetti
con proventi e ricavi annui inferiori a 250.000 euro. Per tali enti viene prevista la possibilità di redigere un rendiconto finanziario più semplice, secondo criteri di cassa, anziché mediante la contabilizzazione per competenza. Al predetto rendiconto dovrà essere allegato un prospetto sintetico delle attività patrimoniali in essere alla data di bilancio
(Rendiconto degli incassi, dei pagamenti e situazione patrimoniale).
Il principio contabile n. 13, predilige il principio della competenza economica nella redazione del bilancio in quanto più adatto nel fornire informazioni in merito al reale stato
di salute dell’ente. Ciò nonostante, ritiene ammissibile, nel rispetto dei vari postulati,
l’utilizzo da parte degli enti minori di un sistema di rilevazione basato sulle entrate e sulle uscite di cassa.
L’Agenzia per le ONLUS prevede la redazione dello schema di Stato patrimoniale secondo quanto disposto per le società di capitali dall’art. 2424 c.c., con alcune modifiche che tengano conto delle peculiarità che contraddistinguono la struttura del patrimonio degli enti non profit. Le principali differenze rispetto allo schema di stato patrimoniale delle imprese commerciali sono:
 l’assenza di riferimenti a società controllanti, in quanto per gli enti non profit vige il carattere di autogoverno;
 la struttura delle poste ideali del patrimonio netto, che evidenzia:
˗ il fondo di dotazione iniziale;
------------------------------------------2
L’art. 8, comma 23, d.l. n. 16/2012 ha soppresso l’Agenzia per le ONLUS, trasferendo le sue funzioni e
compiti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali dalla data di entrata in vigore del predetto d.l.
3
Principio contenente il “Quadro sistematico per la preparazione e la presentazione del bilancio degli enti
non profit” approvato nel mese di maggio 2011, rappresenta l’insieme di norme di carattere generale che
governano la redazione del bilancio, delineando prima le assunzioni contabili e successivamente i postulati
del bilancio ed i principi di redazione. Tale documento ha trovato applicazione per i periodi contabili chiusi
dopo il 31 dicembre 2011, anche se il Tavolo tecnico ne ha raccomandato l’immediata applicazione.
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123
Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit
˗
il patrimonio libero, costituito dal risultato gestionale dell’esercizio in corso
e degli esercizi precedenti, nonché dalle riserve statutarie libere;
˗ il patrimonio vincolato, composto da fondi vincolati per scelte di terzi donatori o degli organi dell’ente, nonché dalle riserve statutarie vincolate.
Nello schema di Stato patrimoniale proposto dall’Agenzia per le ONLUS non viene prevista la separazione del patrimonio destinato all’attività istituzionale da quello destinato
all’attività accessoria, in quanto tale distinzione assumerebbe rilievo solamente per fini
fiscali e non civilistici.
Il Rendiconto gestionale a proventi/ricavi e costi/oneri fornisce informazioni sulle modalità di acquisizione e di impiego delle risorse nel periodo, con riferimento alle seguenti
aree gestionali:
 attività tipica o di istituto: attività istituzionale svolta dall’ente non profit in linea
con le indicazioni statutarie;
 attività promozionale e di raccolta fondi: attività volta all’ottenimento di risorse
finanziarie necessarie alla realizzazione dei fini istituzionali;
 attività accessoria: attività diversa da quella istituzionale ma complementare alla stessa in grado di garantire all’ente non profit le risorse per perseguire le finalità istituzionali;
 attività di gestione finanziaria e patrimoniale: attività strumentali all’attività istituzionale;
 attività di supporto generale: attività di direzione e conduzione dell’ente diretta
a garantire il permanere delle condizioni organizzative di base assicurandone la
continuità.
I valori di periodo vengono comparati con gli stessi valori del periodo precedente e le
eventuali variazioni nei criteri di valutazione o rappresentazione dovranno confluire nella
Nota integrativa a garanzia di una più completa informazione.
Il Rendiconto gestionale proposto dall’Agenzia per le ONLUS rappresenta i valori a sezioni contrapposte, una classificazione dei proventi in base alla loro origine ed una
classificazione degli oneri ripartiti per aree gestionali.
Dal punto di vista operativo, possono emergere complicazioni circa la corretta ripartizione dei componenti economici promiscui appartenenti a diverse aree gestionali.
L’Agenzia non prevede una metodologia da seguire in merito a tale suddivisione; tuttavia, per una maggiore informazione ribadisce l’importanza di riportare in Nota integrativa i criteri scelti.
Per gli enti che svolgono una rilevante attività produttiva tipica (gestioni ospedaliere,
assistenziali, scolastiche, di ricerca, immobiliari, ecc.), il Rendiconto gestionale può essere integrato con un Conto economico in forma scalare secondo lo schema di cui
all’art. 2425 c.c., atto a rappresentare costi e ricavi di ciascuna delle specifiche attività.
Per gli enti non profit può risultare di utile supporto, la stesura da parte dell’organo
amministrativo dell’ente di una prima nota dettagliata che distingua le entrate e le uscite istituzionali e non, secondo lo schema di seguito illustrato.
124
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Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit
CASSA
Istituzionale
Data
Descrizione
Commerciale
Promiscuo
01/01/2014 Fondo dotazione iniziale Istituzionale
02/01/2014 Spese attrib.ne CF
Istituzionale
03/01/2014 Quota associativa
Istituzionale
05/01/2014 Locazione sala
Commerciale
…
31/01/2014
Saldo finale
Entrate
Uscite
BANCA
Saldo
Entrate
Uscite
Saldo
200
0
0
0
0
100
0
0
200
100
0
0
0
0
50
500
0
0
0
0
0
0
50
550
200
100
100
550
0
550
Nella Nota integrativa dovranno essere riportati gli specifici contenuti elencati nelle linee guida dell’Agenzia per le ONLUS.
Gli enti non profit con ricavi e proventi inferiori a 250.000 euro annui sono esonerati
dalla redazione della Nota integrativa; in alternativa, possono redigerla secondo uno
schema ridotto e semplificato.
Ultimo documento che accompagna il bilancio è la Relazione di missione con la quale
gli amministratori espongono e commentano le attività svolte nell’esercizio, oltreché le
prospettive sociali. In particolare, la Relazione di missione deve fornire informazioni rispetto ai seguenti ambiti:
 missione e identità dell’ente;
 attività istituzionali, volte al perseguimento diretto della missione;
 attività strumentali, rispetto al perseguimento della missione istituzionale (ad
esempio: attività di raccolta fondi e di promozione istituzionale).
Per ciascuno dei tre ambiti occorre effettuare una dettagliata rendicontazione in relazione alle dimensioni dell’ente. Le linee guida dell’Agenzia per le ONLUS forniscono indicazioni di carattere generale, da adattare in base alle esigenze dell’ente e dei suoi interlocutori.
 8.3 La contabilizzazione delle liberalità
Molto spesso nella redazione del bilancio degli enti non profit, possono emergere problematiche riguardo la corretta contabilizzazione delle liberalità. A tal proposito è intervenuto il principio contabile n. 2, il quale traccia le linee guida da seguire nel processo
di iscrizione e valutazione delle liberalità nel bilancio di esercizio degli enti non profit.
Tale principio parte dal presupposto che l’ente non profit utilizzi un sistema contabile
articolato sulla competenza economica, ma definisce anche disposizioni tecniche per
gli enti che adottano un sistema di rilevazione per flussi di cassa.
Le liberalità sono quegli atti caratterizzati dai seguenti presupposti: l’arricchimento del
beneficiario con corrispondente riduzione di ricchezza da parte di chi compie l’atto e lo
spirito di liberalità (inteso come atto di generosità effettuato in mancanza di alcuna forma di costrizione). Esempi di liberalità sono le donazioni monetarie e in natura, i legati
ed i contributi erogati da terzi.
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125
Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit
Le liberalità non monetarie sono iscritte in sede di rilevazione iniziale al fair value; i beni
immobili, in caso di non reperibilità del fair value, vengono iscritti al valore catastale.
A riguardo, l’atto di indirizzo dell’Agenzia per le ONLUS afferma che le valutazioni dei
beni immobili non sono rilevanti per la vita dell’ente date le sue caratteristiche e finalità
istituzionali. Tuttavia, sottolinea come un’adeguata stima consenta di fungere meglio
da “memoria” delle acquisizioni e delle donazioni ricevute nel tempo. Molto spesso gli
enti iscrivono in bilancio le donazioni ricevute di beni immobili al valore simbolico di
1,00 euro, ma ciò potrebbe falsare l’informazione ricevuta dai terzi circa il reale valore
del patrimonio netto.
In linea generale, le liberalità ricevute richiedono l’iscrizione dell’elemento nell’attivo dello Stato patrimoniale nell’esercizio in cui sono ricevute o in quello in cui si acquisisce il
diritto a riceverle, in contropartita richiedono l’imputazione di un provento da attività tipica nel Rendiconto della gestione.
Il trattamento contabile delle liberalità varia a seconda che si tratti di liberalità vincolate
o meno.
In particolare, le liberalità non vincolate sono imputate al Rendiconto gestionale e girate al conto patrimonio netto in sede di destinazione dell’avanzo economico, qualora
vengano destinate dagli amministratori o dagli associati ad un progetto specifico.
Il trattamento contabile delle liberalità vincolate, “assoggettate per volontà del donatore o, comunque, di un terzo esterno, a una serie di restrizioni, di vincoli che ne limitano
l’utilizzo in modo temporaneo o permanente”, è distinto come segue:
1. liberalità vincolate rappresentate da beni immobili destinati ad incrementare durevolmente il valore dell’ente non profit (come ad esempio gli immobili di valore artistico,
storici o di pregio).
Sono iscritte nell’attivo dello Stato patrimoniale ed hanno come contropartita un provento; poi, in sede di destinazione dell’avanzo economico, un eguale importo è imputato nel passivo dello Stato patrimoniale alla voce Fondi vincolati destinati da terzi.
Qualora il bene ricevuto in donazione sia soggetto ad ammortamento, l’ente non profit,
contestualmente all’imputazione della quota di ammortamento nel Rendiconto di gestione, gira un uguale importo del Fondo vincolato alla voce Patrimonio libero del passivo.
2. liberalità vincolate rappresentate da beni immobili destinati all’utilizzo strumentale al
perseguimento del fine istituzionale (come ad esempio le autovetture e gli immobili destinati ad attività operative).
Sono iscritte nell’attivo dello Stato patrimoniale con contropartita un provento di competenza dell’esercizio.
3. liberalità vincolate rappresentate da beni immobili destinati alla reperibilità di risorse
da impiegare nell’attività istituzionale (come ad esempio immobili destinati a locazione).
Sono contabilizzate in conformità alle liberalità di cui al precedente punto 2.
Inoltre, qualora se ne ravvedano le condizioni, i beni aventi utilità pluriennale vengono
sottoposti all’ordinario processo di ammortamento, che consente di far concorrere
nei diversi esercizi di utilizzo del bene la corrispondete quota di costo.
126
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Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit
L’atto di indirizzo dell’Agenzia per le ONLUS pone in risalto, anche ai fini gestionali, la
rilevanza del tema degli ammortamenti dei beni materiali, considerando anche la funzione di autofinanziamento della gestione riconducibile a tali componenti. Pertanto, il
problema della corretta determinazione degli ammortamenti non si pone per tutti i beni
pluriennali materiali, ma solo per alcuni. Infatti, l’Agenzia per le ONLUS considera gli
ammortamenti necessari per gli immobili strumentali, allorché vi sia produzione di servizi a cui gli immobili stessi concorrono e vi sia un effettivo deperimento economico del
bene stesso; non ha, invece, la medesima valenza con riferimento a immobili da reddito o da altri beni non strumentali.
Come noto, gli enti non profit che utilizzano un sistema di rilevazione articolato sui movimenti di cassa, rilevano esclusivamente le liberalità monetarie nel momento in cui
affluiscono all’ente.
Di seguito si fornisce un esempio volto ad evidenziare la differente rappresentazione nel
Rendiconto gestionale delle liberalità non monetarie ricevute da un ente che si avvale di
un sistema di rilevazione per competenza rispetto ad un ente che utilizza un sistema
per flussi di cassa.
Supponiamo una Fondazione universitaria impegnata in attività di ricerca e studio nel
campo medico che riceve da un associato, in data 1° gennaio dell’esercizio n, a titolo
di liberalità non vincolata, un apparecchio tecnologico utile per le sue attività di ricerca.
Il valore di tale bene mobile è stimato a 20.000 euro e la quota di ammortamento è pari
ad euro 1.000. Gli oneri derivanti da attività tipica sostenuti e di competenza
dell’esercizio sono pari ad euro 2.000, così ripartiti: euro 500 acquisti vari ed euro
1.500 servizi.
Nel caso di un sistema di rilevazione per competenza economica l’apparecchiatura ricevuta in donazione viene rilevata nell’esercizio in cui la Fondazione universitaria la riceve o in quello in cui ne acquisisce il diritto. Il Rendiconto della gestione è, per semplicità, il seguente:
Oneri
Proventi e Ricavi
1) Oneri da attività tipiche:
1.1) Acquisti
1.2) Servizi
1.5) Ammortamenti
Totale oneri
Risultato gestionale positivo
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1) Proventi e ricavi da attività tipiche
500
1.500
1.000
3.000
17.000
1.3) Da soci e associati
20.000
Totale proventi e ricavi
20.000
127
Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit
Lo Stato patrimoniale è, per semplicità, il seguente:
Attivo
Passivo
B) Immobilizzazioni
II – Immobilizzazioni materiali:
3) Altri beni
A) Patrimonio netto
20.000
III – Patrimonio libero
1) Risultato gestionale esercizio in
corso
17.000
B) Fondi ammortamento
2) Altri
1.000
D) Debiti
4) Debiti verso fornitori
di cui esigibili entro l’esercizio successivo
Totale Attivo
20.000
Totale Passivo
2.000
20.000
Nel caso di un sistema di rilevazione per flussi di cassa le liberalità non monetarie non
rilevano al fine della contabilità della Fondazione, in quanto non comportano entrate di
cassa. Pertanto, non trovano collocazione nel Rendiconto della gestione il quale assumerà la seguente struttura:
Oneri
Proventi e Ricavi
1) Oneri da attività tipiche:
1) Proventi e ricavi da attività tipiche
1.1) Acquisti
1.2) Servizi
500
1.500
Totale oneri
2.000
Totale proventi e ricavi
Risultato gestionale negativo
0
0
2.000
Dal confronto dei due diversi sistemi di rilevazione è opportuno evidenziare che, a differenza del sistema per flussi di cassa, quello basato sulla competenza economica richiede la quadratura dei conti tra Stato patrimoniale e Rendiconto gestionale. In aggiunta, analizzando i due schemi di Rendiconto emerge come un sistema di rilevazione
basato sui flussi di cassa tende a deviare il risultato gestionale dell’ente rispetto ad un
più corretto sistema di rilevazione basato sulla competenza economica. Tuttavia, al fine
di ovviare ad eventuali distorsioni di informazione, il principio contabile n. 2 stabilisce
per gli enti che utilizzano un sistema di rilevazione articolato sulle entrate e sulle uscite
di cassa, che le liberalità non monetarie vengano esposte nel prospetto della Situazione attività e passività al termine dell’anno. Questo ultimo prospetto contribuisce ad illustrare in modo chiaro ed esaustivo la situazione patrimoniale – finanziaria dell’ente non
profit.
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Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit
 9. Somministrazione di alimenti e
bevande negli enti non profit tra imponibilità
e problematiche amministrative
di Andrea Liparata
 9.1 Premessa
Lo svolgimento di attività nel settore della somministrazione di alimenti e bevande, da
parte di entità non lucrative, impone la considerazione di aspetti di normativa generale,
oltreché il rispetto di specifici adempimenti tributari e di procedure amministrative. La
gestione di piccole attività di somministrazione presso circoli e soggetti assimilati, costituisce, probabilmente, la più semplice tra le opportunità di svolgimento di attività
commerciali marginali, dirette al sostentamento dei fini istituzionali.
Le principali difficoltà che si riscontrano nelle diverse fasi connesse con l’impostazione
e la successiva gestione delle attività di somministrazione, sono riconducibili, alla sovrapposizione di normative stabilite per diverse soggettività del non profit, ad una diffusa dottrina non tecnica, spesso non coerente con il dettato normativo e ad una giurisprudenza in taluni casi incerta, circa il corretto inquadramento amministrativo tributario delle attività di somministrazione. Il rischio, almeno con riferimento ai sodalizi di minori dimensioni, è quello di un adeguamento solo parziale alle disposizioni vigenti, con
esiti in presenza di controlli, ormai estremamente frequenti, dirompenti in termini sanzionatori, di maggiore imponibile accertato e di eventuale perdita di qualifica non commerciale ai sensi dell’art.149 del d.p.r. n. 917/1986.
 9.2 Aspetti civilistici e di non imponibilità
Uno dei principali fraintendimenti che molti gestori di entità non lucrative commettono è
quello di considerare la somministrazione di alimenti e bevande nei confronti degli associati come non commerciale e conseguentemente non rilevante ai fini IRES e IVA.
Nei fatti è vero l’esatto contrario, la somministrazione assume a fini tributari quasi sempre natura commerciale, fatte salve poche e specifiche deroghe, dettagliatamente individuate dal legislatore. Tuttavia, prima di soffermarsi nell’esame degli aspetti tributari è
opportuno un breve cenno circa gli elementi indipendenti e spesso trascurati della qualificazione civilistica. In proposito, senza scendere eccessivamente nel dettaglio, è bene
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Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit
ricordare che secondo il codice civile1 è imprenditore chi esercita professionalmente
un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di
servizi. Pertanto, lo svolgimento di attività somministrative a carattere preponderante,
anche nei casi in cui si caratterizzi per l’irrilevanza commerciale a fini tributari, a fini civilistici attribuisce all’ente non lucrativo natura di imprenditore con tutte le conseguenze
del caso, compreso il potenziale assoggettamento a procedura fallimentare2.
Passando ad esaminare gli aspetti di natura più spiccatamente tributaria occorre evidenziare che, seppure secondo presupposti parzialmente diversi, esiste un’ampia
omogeneità di qualificazione tra la disciplina IRES e IVA. Infatti, evidenziando una prima
fattispecie di non imponibilità, gli artt.148 comma 5) del TUIR (in ambito IRES) e 4
comma 6) del d.p.r. n. 633/1972 (in ambito IVA) prevedono la non commercialità delle
somministrazioni di alimenti e bevande, anche verso corrispettivi specifici, quando effettuate da associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all’art.3,
comma 6, lett. e), della legge n. 287/19913, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’Interno, purché nel contemporaneo rispetto delle seguenti condizioni:
1) effettuazione presso le sedi in cui è svolta l’attività istituzionale mediante bar ed
esercizi similari;
2) attività somministrative strettamente complementari a quelle svolte in diretta
attuazione degli scopi istituzionali;
3) effettuazione nei confronti di soci associati e partecipanti4.
Un’ulteriore fattispecie in cui è possibile riscontare i profili della non imponibilità IRES e
IVA, si rileva quando la somministrazione è svolta in ambito e quale strumento di realizzazione di manifestazioni occasionali di raccolte pubbliche di fondi5. Anche in questa
circostanza i vincoli per l’eventuale attività somministrativa sono numerosi e direttamente riconducibili alla natura dell’evento di raccolta fondi, che impone il rispetto dei
requisiti dell’occasionalità, della concomitanza con celebrazioni o campagne di sensibilizzazione, del valore modico per le offerte di beni6 nei confronti dei sovventori7.
------------------------------------------1
Art. 2082 c.c.
Cass., sez. I civile, sent. n. 8374 del 20 giugno 2000.
3
La semplice qualificazione di associazione di promozione sociale ai sensi della L.n.383/2000 non costituisce un requisito soggettivo. sufficiente per usufruire del beneficio tributario della non imponibilità delle attività
somministrative .
4
Medesimi soggetti indicati al comma 3) dell’art.148 del TUIR.
5
Art. 2 del d.lgs. n. 460/1997.
6
L’art. 25 della legge n. 133/1999, si veda anche circ. min. Finanze n. 43/E dell’8 marzo 2000, consente agli
enti sportivi dilettantistici che optano per l’applicazione del regime previsto dalla legge n. 398/1991, di conseguire nel limite di due eventi per anno e nell’ammontare massimo di euro 51.645,69, proventi esenti IRES
per attività commerciali connesse agli scopi istituzionali. Pertanto, laddove la somministrazione fosse qualificabile provento commerciale connesso, nei limiti indicati dall’art.25 della legge n. 133/1999, si ha una non
imponibilità IRES, ma una probabile rilevanza IVA (salvo eccepire la mancanza di abitualità), in quanto nessuna norma espressamente prevede l’esclusione da detto secondo tributo.
2
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Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit
In aggiunta, si possono ipotizzare fattispecie di non imponibilità parziali (limitate alla sola IRES e non anche all’IVA) in presenza di ONLUS, laddove l’attività somministrativa
sia configurabile come direttamente connessa all’istituzionale e quindi possa beneficiare della normativa di esenzione prevista dall’art.150 del TUIR. Al di fuori della pressoché esaustiva elencazione di fattispecie di non imponibilità riportata, la somministrazione di alimenti e bevande per un ente non lucrativo assume i caratteri di attività commerciale e come tale è produttiva di proventi rilevanti ai fini IRES e IVA.
1
2
3
4
PRINCIPALI IPOTESI DI NON IMPONIBILITÀ DELLA SOMMINISTRAZIONE
DI ALIMENTI E BEVANDE
Soggetto
Requisiti di non imponibilità
Associazioni di promozione sociale ri˗ somministrazione presso le sedi in cui si svolge l’attività istituzionale, da bar e esercizi sicompresse tra gli enti di cui all’art. 3
comma 6) della legge n. 287/1991, con
milari;
finalità assistenziali riconosciute dal Mi- ˗ somministrazione strettamente complementanistero dell’Interno
re alle attività di diretta attuazione degli scopi
istituzionali;
˗ effettuazione della somministrazione nei confronti di soci, associati e partecipanti.
Tutti gli enti non commerciali
˗ In ambito di raccolte occasionali di fondi, nel
rispetto dei requisiti di cui all’art. 2 del d.lgs.
n. 460/1997.
Enti sportivi dilettantistici in opzione
˗ Nell’ambito degli eventi di cui all’art.25 com398/1991 (limitatamente all’IRES)
ma 2) della legge n. 133/1999.
ONLUS (limitatamente all’IRES)
˗ In presenza di riconducibilità ad attività direttamente connesse alle istituzionali consentite.
 9.3 Il regolamento per le semplificazioni amministrative
Nell’ambito del d.p.r. n. 235/2001 vengono disciplinate diverse fattispecie di semplificazione applicabili agli enti associativi e volte a consentire lo svolgimento di attività di
somministrazione. Tuttavia, per quanto di interesse in questa sede, devono richiamarsi
i contenuti dell’art. 2 del predetto regolamento. Tale norma, per precise tipologie soggettive, subordina la possibilità di svolgere le attività di somministrazione al ricorrere di
due semplici presupposti, l’ottenimento dell’autorizzazione sanitaria, la presentazione
di una dichiarazione di inizio attività. Nel dettaglio, la normativa amministrativa, si com-
------------------------------------------7
L’art. 20 del d.p.r. n. 600/1973 impone che in presenza di raccolte occasionali di fondi sia redatto, entro
quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, un apposito e separato rendiconto tenuto e conservato ai sensi
dell’art. 22 del d.p.r. n. 600/1973, dal quale devono risultare, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in
modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione realizzate.
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Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit
bina con quella tributaria in materia di IRES, in quanto individua quali potenziali destinatari delle semplificazioni, gli enti associativi fiscalmente agevolati. Pertanto, le soggettività interessate dalle norme di semplificazione, sono da ricondurre alle seguenti tipologie:
1) associazioni politiche;
2) associazioni sindacali e di categoria;
3) associazioni religiose;
4) associazioni assistenziali;
5) associazioni culturali;
6) associazioni sportive dilettantistiche8;
7) associazioni di promozione sociale9;
8) associazioni di formazione extra-scolastica della persona.
La norma amministrativa, richiede che le predette soggettività, siano adeguate alla
normativa fiscale10, e pertanto abbiano provveduto, in fase costitutiva, all’inserimento
delle specifiche clausole statutarie di legge, tese a garantire l’effettiva natura associativa e non lucrativa dell’ente.
Quali ulteriori elementi qualificativi sono richiesti al circolo, l’adesione ad un ente o organizzazione nazionale le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero
dell’interno e lo svolgimento diretto delle attività di somministrazione nei confronti degli
associati.
 9.4 L’iter procedurale per poter somministrare
L’ente associativo in possesso dei requisiti soggettivi e di aderenza sinteticamente richiamati, può svolgere attività di somministrazione, a seguito della presentazione di
una semplice denuncia nei confronti dell’autorità amministrativa comunale (S.C.I.A.),
completa delle seguenti indicazioni:
 l’ente nazionale con finalità assistenziali al quale aderisce;
 il tipo di attività di somministrazione;
 l’ubicazione e la superficie dei locali adibiti alla somministrazione;
 che l’associazione si trovi nelle condizioni previste per essere considerata ente
fiscalmente agevolato secondo la disciplina del TUIR;
 che il locale, ove è esercitata la somministrazione, sia conforme alle norme e
prescrizioni in materia edilizia, igienico-sanitaria e ai criteri di sicurezza stabiliti
dal Ministero dell’interno e, in particolare, di essere in possesso delle prescritte
autorizzazioni in materia;
------------------------------------------8
I requisiti di qualificazione sono contenuti nell’art. 90 della legge n. 289/2000.
I requisiti di qualificazione sono contenuti nella legge n. 383/2000.
10
Art.148 comma 3 del d.p.r. n. 917/1986.
9
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Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit

l’allegazione in copia semplice, non autenticata, dell’atto costitutivo o dello statuto.
Le semplificazioni stabilite che prevedono l’impiego della S.C.I.A., valgono esclusivamente per gli avvii di attività di somministrazione da parte di circoli in precedenza soggetti alla semplice dichiarazione di inizio attività. Pertanto, rimangono escluse dalla
semplificazione in parola, quelle casistiche non riconducibili alla definizione fin qui sinteticamente descritta. Più in dettaglio, sembrano restare escluse dall’agevolazione amministrativa, tra le altre, le seguenti casistiche:
 enti privi di natura associativa (ad es. comitati, fondazioni ecc.);
 enti non riconducibili alle tipologie soggettive contenute nell’art.148 comma 3)
del d.p.r. n. 917/1981;
 enti che non svolgono l’attività di somministrazione direttamente, ovvero non
risultano affiliati alle organizzazioni nazionali aventi le finalità riconosciute dal
ministero degli interni;
 enti che non svolgono le attività di somministrazione nei confronti di soci e
soggetti a questi assimilati.
Definita, la platea dei potenziali beneficiari della S.C.I.A., appare opportuno soffermarsi
sinteticamente ad illustrare le caratteristiche della semplificazione in parola. In proposito, è lo stesso Ministero dello Sviluppo Economico, nella richiamata circolare n.
3637/2010, che chiarisce le caratteristiche generali di semplificazione. Anzitutto, la
S.C.I.A. interviene in presenza di qualunque atto di autorizzazione, licenza concessione
non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, il cui rilascio sia subordinato esclusivamente all’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o
da atti amministrativi a carattere generale e non sia connesso ad alcun genere di contingentamento. Alla segnalazione, ricorrendone i presupposti di legge, si devono aggiungere le specifiche dichiarazioni sostitutive dell’interessato, come pure le eventuali
attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati e le dichiarazioni di conformità attestanti la
sussistenza delle condizioni richieste dalla legge. L’elemento di particolare interesse, è
che l’attività oggetto di S.C.I.A., nel caso in esame l’esercizio della somministrazione
nell’ambito del circolo, può iniziare dal giorno della presentazione della segnalazione.
Ovviamente, all’Amministrazione sono comunque attribuiti poteri di controllo rispetto
all’attività oggetto di segnalazione. Trascorsi i termini per i controlli, il provvedimento di
autorizzazione deve considerarsi consolidato e l’amministrazione può intervenire esclusivamente, ricorrendo all’istituto dell’autotutela11, ovvero mediante procedure di interdizione per il riscontro di dichiarazioni sostitutive false, ovvero per pericolo di danni12, che
non possano essere risolti mediante l’adeguamento dell’attività alla normativa vigente.
------------------------------------------11
Di cui agli artt. 21-quinquies e 21-octies della legge n. 241/1990.
Si tratta del pericolo per danni al patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale.
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Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit
 9.5 La somministrazione nei confronti degli associati
Un elemento di discrimine fondamentale, per la configurazione del diritto
all’ottenimento della possibilità di somministrazione, mediante semplice presentazione
della S.C.I.A., discende dalla concreta effettuazione delle attività nei confronti degli associati. In proposito, è opportuno precisare e ribadire, quanto stabilito dalla giurisprudenza in materia. Al riguardo, si ricorda quanto precisato nell’ambito della sentenza del
TAR del Lazio n. 2970 del 21 aprile 2005. In tale intervento, il giudice amministrativo, si
sofferma a valutare le diverse circostanze che legittimano la revoca dell’autorizzazione
alla somministrazione, approfondendo gli aspetti idonei a verificare la qualificazione di
pubblico esercizio in capo ad un ente non commerciale, considerando al riguardo,
l’eventualità di una legittima somministrazione anche nei confronti di soggetti non soci.
In particolare, per l’ipotesi di revoca in caso di abuso legato ad effettuazione di somministrazione nei confronti di un pubblico indiscriminato, il TAR afferma che la semplice
estensione dei servizi di somministrazione nei confronti di altri soggetti invitati dai soci,
non costituisce, di per sé, un elemento sufficiente per integrare la trasformazione del
circolo stesso in pubblico esercizio, essendo in tal caso necessario che alle modalità di
acquisizione delle iscrizioni al circolo privato secondo criteri molto ampi, si accompagni
l’immediata fruibilità del servizio di somministrazione di alimenti e bevande.
Infatti, secondo il TAR, possono usufruire dei servizi di un circolo privato i seguenti
soggetti:
1) coloro che sono in possesso della tessera sociale del circolo stesso;
2) coloro che sono muniti della tessera di appartenenza all’associazione nazionale di categoria o di quella di altri circoli locali aderenti alla stessa;
3) coloro che, trovandosi in fase di ammissione al circolo, sono dotati di tessera
provvisoria in quanto registrati all’ingresso del locale per la domanda di tesseramento;
4) coloro che non soci, siano occasionalmente presenti all’interno del circolo in
quanto invitati dai soci e dagli stessi accompagnati.
Pertanto, il TAR conclude affermando che la trasformazione in pubblico esercizio di un
circolo e la conseguente legittimità della revoca dell’autorizzazione alla somministrazione, sono possibili solo nel caso in cui l’accesso sia consentito ad un’indistinta generalità di persone, le quali possano usufruire dei servizi in seguito ad ammissione, che può
avvenire a richiesta e dietro pagamento di un canone annuo di importo minimo. In altri
termini, si ha revoca quando il circolo privato, si qualifica tale da un punto di vista formale, al solo fine di eludere le limitazioni poste dalla legge e dai regolamenti locali.
 9.6 Il collegamento tra normativa tributaria e amministrativa
Sempre in tema di somministrazione da parte di circoli, di tutto interesse, sono le considerazioni contenute nella sentenza del T.A.R. del Lazio n. 9013 depositata il 18 ottobre 2013, che coinvolge Roma Capitale e un circolo che effettuava attività di sommini-
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Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit
strazione e di esecuzioni musicali, conclusasi con la condanna del sodalizio. La vicenda trae origine da un accesso della polizia municipale presso i locali di un circolo, a seguito del quale gli agenti della polizia locale accertavano che sotto la parvenza di
un’associazione culturale era di fatto svolta una somministrazione al pubblico di alimenti e bevande di cui all’art. 3 della legge n. 287/1991, congiuntamente
all’effettuazione di esecuzioni musicali senza il possesso delle necessarie autorizzazioni
amministrative, del nulla osta impatto acustico e dei requisiti professionali. In aggiunta,
la polizia municipale accertava che l’attività di esecuzioni musicali svolta all’interno del
locale, arrecava disturbo alla quiete pubblica ed al riposo delle persone. Infatti, al momento del sopralluogo, il locale era in attività con diversi avventori che stazionavamo
all’esterno e che venivano qualificati come clienti dallo stesso Presidente del circolo e
dalla persona addetta al tesseramento. All’interno della sede associativa si trovavano
diversi avventori intenti a consumare bevande e ad ascoltare musica. Il tesseramento
avveniva ad opera di una persona la quale rilasciava le tessere al momento
dell’ingresso degli avventori, contestualmente i nominativi venivano trascritti nel libro
soci e su un verbale di assemblea retrodatando il momento di acquisizione della qualifica di associato. La polizia municipale osservava l’assenza di attività socio culturale,
come pure l’inesistenza di aree o spazi dedicati ad attività diverse da quelle di somministrazione e ascolto della musica. Dall’esame delle tessere risultava che erano nella
quasi totalità dei casi rilasciate la sera stessa, senza alcuna formalità. A seguito del
verbale della polizia municipale l’Ente Locale ordinava la cessazione delle attività di
somministrazione nei confronti del pubblico e la sospensione per trenta giorni di quelle
nei confronti degli associati.
L’associazione culturale, nel contenzioso instaurato, difendeva la legittimità del proprio
operato evidenziando che per statuto il sodalizio svolge attività culturale e ricreativa
senza fini di lucro, che aveva scopo istituzionale di carattere culturale e che pertanto le
attività contestate erano perfettamente in linea con l’oggetto associativo. In aggiunta
l’associazione in quanto affiliata ad un ente avente finalità assistenziali riconosciute dal
Ministero dell’Interno, riteneva di non essere destinataria, per le attività di somministrazione, della disciplina autorizzativa indicata dalla legge n. 287/1991, normativa riferibile
esclusivamente ai pubblici esercizi commerciali.
I Giudici Amministrativi non hanno accolto le deduzioni del circolo, concludendo per
l’inapplicabilità, al caso in esame, della disciplina agevolativa in materia di somministrazioni effettuate da associazioni di cui al d.p.r. n. 235/2001.
Dalle motivazioni del Giudice Amministrativo è opportuno riportare alcune interessanti
precisazioni. Anzitutto viene preliminarmente osservato che la disciplina dei circoli privati deve essere letta in parallelo con la regolamentazione fiscale, del T.U.I.R. Tale elemento è particolarmente significativo poiché, trattandosi di soggetti non profit,
l’assenza di finalità di lucro non può che essere risolta a livello di imposizione fiscale.
Conseguentemente, a seguito del rinvio alla disciplina fiscale effettuato dall’art. 2,
comma 1 del d.p.r. n. 235 del 2001, la somministrazione di alimenti e bevande deve
avvenire a favore degli associati nei locali dove si svolge l’attività associativa.
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Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit
In aggiunta, sempre in applicazione del d.p.r. n. 235/2001 è consentito agli enti locali
di effettuare controlli ed ispezioni.
Nel dettaglio il potere di ispezione attribuito dalla legge all’Ente Locale consente di controllare quanto segue:
 l’elenco dei soci;
 che le persone presenti nella sede sociale siano tutte regolarmente iscritte, ossia in regola con il pagamento dell’iscrizione annuale;
 che i presenti cui è destinata la somministrazione siano tutti regolarmente associati;
 gli indici funzionali all’accertamento dell’eventuale trasformazione dell’attività in
una a fine di lucro;
 la presenza di intrattenimenti danzanti e, quindi, l’esistenza delle autorizzazioni
di legge;
 l’agibilità dei locali rispetto a tali spettacoli.
Di tutto interesse, sono le indicazioni fornite dal T.A.R. per la verifica della natura commerciale dell’ente non lucrativo. In proposito, il Giudice Amministrativo annovera tra gli
indici di commercialità il pagamento del biglietto, il rilascio senza formalità della tessera
di socio, la pubblicità delle iniziative svolte nel locale, la dimensione del locale, la presenza di un evidente fine imprenditoriale, l’elevato numero di persone, l’assenza di
spazi e/o aree destinati alle attività strettamente culturali.
Quanto invece agli elementi che qualificano un circolo privato quale pubblico esercizio,
questi si ritengono riscontrati quando l’accesso è consentito ad un’indistinta generalità
di persone, anche quando tali persone possano fruire dei servizi di somministrazione
solo in seguito ad ammissione, ad esempio mediante il pagamento di un canone annuo minimo. La facilità di ammissione, configura la presenza di un pubblico esercizio
che si qualifica come circolo privato al solo fine di eludere le limitazioni imposte dalla
legge all’apertura di esercizi per la somministrazione al pubblico. Da ultimo, dalle osservazioni del Giudice Amministrativo emerge l’importanza delle procedure stabilite nello statuto e nei regolamenti dell’associazione che disciplinano le modalità per
l’acquisizione della qualificazione di associato. Infatti, solo la dimostrabilità da parte
dell’associazione, del rispetto dei percorsi di associazione stabiliti negli accordi degli
associati, in termini di presentazione della domanda, esame della stessa e successiva
delibera di ammissione, pongono al riparo da contestazioni circa l’effettività della qualifica di socio per i soggetti che accedono presso la sede sociale.
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