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00_Romane_atti_convegno_lecce_Layout 1 20/03/2014 09:02 Pagina I Autori Vari Cooperative ed enti no profit: strumenti per la crescita, opportunità per il professionista Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili Fondazione Centro Studi U.N.G.D.C. Unione Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Lecce 00_Romane_atti_convegno_lecce_Layout 1 20/03/2014 09:02 Pagina II Copyright © 2014 - Cesi Multimedia s.r.l. Via V. Colonna 7, 20149 Milano www.cesimultimedia.it Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione dell’opera, anche parziale e con qualsiasi mezzo. L’elaborazione dei testi, pur se curata con scrupolosa attenzione, non può comportare specifiche responsabilità in capo all’autore e/o all’editore per eventuali involontari errori o inesattezze. ISBN 978−88−6279−098-7 Finito di stampare nel mese di marzo 2014 presso Global Print S.r.l. - Gorgonzola (MI) Indice Indice Profilo Autori VII Premessa XI Presentazione XIII PARTE I LE SOCIETÀ COOPERATIVE 1. Le società cooperative 1.1 La forma cooperativa nel diritto societario 1.2 Cooperative a mutualità prevalente e cooperative a mutualità non prevalente 1.3 Parametri di prevalenza mutualistica e rappresentazione in bilancio 1.4 I ristorni 1.5 La perdita della prevalenza mutualistica 4 7 11 13 2. Il regime fiscale delle società cooperative 2.1 Il contesto normativo 2.2 Il regime fiscale delle società cooperative: le norme di carattere generale 2.3 Il regime fiscale nelle società cooperative a mutualità prevalente 2.4 Regimi fiscali inerenti particolari categorie di cooperative 2.4.1 Cooperative agricole e della piccola pesca 2.4.2 Cooperative di produzione e lavoro 2.4.3 Cooperative sociali 2.4.4 Banche di credito cooperativo 2.4.5 Cooperative di consumo 2.4.6 Cooperative a mutualità non prevalente 2.5 Il riporto delle perdite fiscali 17 17 20 25 28 28 32 34 37 38 39 41 3. Approfondimenti 3.1 La società cooperativa per la risoluzione della crisi: workers buy out 3.1.1 Cos’è il WBO 3.1.2 Come funziona il WBO: le fasi tecniche 3.1.3 Gli strumenti per attuare il WBO 3.1.4 Il contesto necessario per il successo del WBO 45 45 45 46 49 51 © Cesi Multimedia 3 3 III Indice 3.2 Lo sviluppo socio-economico del territorio attraverso lo strumento cooperativo: le cooperative di comunità 52 3.3 Cooperative e studi di settore 61 3.3.1 Azione di accertamento 62 3.3.2 Il problema dei ristorni 63 3.3.3 Agevolazioni fiscali 63 3.3.4 Cause di inapplicabilità 64 3.3.5 Cooperative a mutualità prevalente 65 3.3.6 Applicabilità dei parametri 67 PARTE II GLI ENTI NON PROFIT Introduzione 71 4. L’impresa sociale tra passato, presente e futuro 4.1 Introduzione 4.2 L’esperienza italiana nel privato sociale e la cooperazione 4.3 L’impresa sociale: inquadramento normativo e motivi di insuccesso 4.4 Principali elementi qualificanti dell’impresa sociale 4.4.1 Nozione e forme giuridiche 4.4.2 Elementi statutari 4.4.3 Attività “principale” 4.4.4 Fine di utilità sociale 4.4.5 Assenza dello scopo di lucro e divieto di distribuzione 4.4.6 Struttura proprietaria e gruppi d’imprese 4.4.7 Responsabilità patrimoniale 4.4.8 Organo e forme di controllo 4.4.9 Operazioni straordinarie 4.5. Conclusioni 73 73 74 75 78 78 80 82 83 85 88 89 90 91 93 5. La tassazione degli enti ecclesiastici tra normativa pattizia ed agevolazioni fiscali degli enti del terzo settore 5.1 Natura dell’ente ecclesiastico e riconoscimento della personalità giuridica agli effetti civili 5.2 Cenni sui principi riguardanti il regime di tassazione degli enti ecclesiastici 5.2.1 La specificità degli enti di tipo associativo 5.2.2. La tutela dell’identità confessionale per gli enti ecclesiastici 5.3 Le agevolazioni fiscali 5.3.1 La riduzione a metà dell’aliquota IRES ex art. 6, comma 1, lett. c), d.p.r. 601/1973 IV 95 95 97 98 98 99 99 © Cesi Multimedia Indice 5.3.2 L’esenzione IMU dei fabbricati degli enti ecclesiastici 5.3.3 Le agevolazioni nelle imposte sui trasferimenti 6. La raccolta fondi 6.1 Premessa 6.2 Modalità di svolgimento delle raccolte di fondi 6.2.1 Il direct mail 6.2.2 Il telemarketing 6.2.3 Imprese for profit 6.3 L’obbligatorietà del rendiconto per la raccolta fondi 100 102 103 103 105 106 106 107 109 7. Il 5 per mille nel 2014 111 7.1 Sostegno del volontariato e delle attività sportive dilettantistiche, soggetti ammessi al beneficio 112 7.2 Adempimenti degli enti del volontariato e delle associazioni sportive dilettantistiche 114 7.3 Regolarizzazione delle omissioni con la “remisione in bonis” 115 7.4 Dalla pubblicazione degli elenchi al pagamento: iter 116 7.5 La rendicontazione 116 8. I rendiconti degli enti non profit. Normativa e prassi nella redazione degli schemi di Bilancio 8.1 La rendicontazione prevista dal codice civile e dalla prassi tributaria 8.2 Modalità di redazione e contenuti dei rendiconti degli enti non profit 8.3 La contabilizzazione delle liberalità 121 121 123 125 9. Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit tra imponibilità e problematiche amministrative 9.1 Premessa 9.2 Aspetti civilistici e di non imponibilità 9.3 Il regolamento per le semplificazioni amministrative 9.4 L’iter procedurale per poter somministrare 9.5 La somministrazione nei confronti degli associati 9.6 Il collegamento tra normativa tributaria e amministrativa 129 129 129 131 132 134 134 © Cesi Multimedia V Profilo Autori Profilo Autori Edmondo Belbello Dottore Commercialista, revisore legale, si occupa da anni di imprese cooperative con incarichi di gestione e controllo di importanti realtà cooperative. È vicepresidente della Commissione cooperative dell’ODCEC di Roma e vicepresidente dell’Airces, associazione di revisori contabili delle imprese cooperative. Ha pubblicato testi sul bilancio e sui sistemi di controllo delle imprese cooperative. Francesco Capogrossi Guarna Dottore Commercialista, ODCEC Roma, revisore legale e giornalista pubblicista. E’ stato componente di commissioni di studio, anche nazionali, e membro dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà (Tavolo tecnico non profit). E’ Presidente della Commissione di studio “Enti non profit” dell’Ordine dei Dottori commercialisti ed esperti contabili di Roma. E’ membro del Gruppo sull’imprenditoria sociale (GECES) presso il Min. Lav. pol. sociali Dir. Gen. Terzo Settore e membro del Gruppo di lavoro su “Implicazioni normative e fiscali” della Task Force G8 sulla Social Impact Investment. Svolge attività pubblicistica su quotidiani nazionali, riviste e siti internet (Wolters Kluwer Ipsoa, Italia Oggi, Buffetti, Il Sole 24 Ore, Eutekne) in materia giuridica, tributaria e contabile. E’ autore e co-autore di volumi sugli enti non lucrativi. Relatore in convegni sul non profit, docente presso la Scuola Superiore Economia e Finanze, al Master tributario Ezio Vanoni ed Euroconference. Bianca D’Agostinis Dottore Commercialista, iscritta presso l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Lecce, e Revisore Legale dei Conti. È Dottore di Ricerca in Economia Aziendale presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Bari; è Assegnista di Ricerca presso la Facoltà di Economia dell’Università del Salento. È autrice di monografie e articoli in materia di bilancio di esercizio, principi contabili nazionali e internazionali, informativa contabile per le piccole e medie imprese, revisione legale dei conti, private equity. Sebastiano Di Diego Dottore Commercialista, revisore contabile, docente di economia e gestione delle imprese. È autore di numerose pubblicazioni. © Cesi Multimedia VII Profilo Autori Andrea Dili Dottore Commercialista, revisore legale, docente di fiscalità cooperativa al master di II livello in “Impresa cooperativa: economia, diritto e management” presso l’Università di Roma Tre. Docente ai corsi di formazione di revisori cooperativi promossi dalle principali centrali cooperative, è autore di testi e articoli su temi economici, fiscali e societari. Sugli stessi temi ha partecipato in qualità di relatore a convegni e tavole rotonde e ha preso parte a dibattiti televisivi e radiofonici. Ilenia Errico Dottore Commercialista, ODCEC Roma, revisore legale. E’ Consigliere nel Consiglio Direttivo dell’Unione Giovani Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma dal 2013. Componente della Commissione di studio “Il Collegio sindacale e la Revisione legale” della UGDCEC di Roma e componente della Commissione di studio “Il processo tributario” della UNGDCEC. Svolge attività di relatrice nei seminari organizzati dall’UGDCEC di Roma e dall’ODCEC di Civitavecchia per la preparazione dei tirocinanti all’Esame di Stato di Dottore Commercialista. Antonio Fiorilli Dottore Commercialista, ODCEC Roma, revisore legale. Dottore di ricerca in diritto tributario presso l’Università di Roma “Tor Vergata”. E’ docente aggiunto presso il Master di II livello in Diritto Tributario Professionale della stessa Università, presso l’Accademia della Guardia di Finanza e presso la Scuola di formazione professionale “Aldo Sanchini”. E’ collaboratore della Fondazione Studi Tributari. E’ stato componente della Commissione di studio “Enti non profit e cooperative” dell’Unione Nazionale Giovani Dottori Commercialisti. Autore di numerosi articoli in materia tributaria su riviste specializzate, relativi ad enti senza scopo di lucro, con particolare attenzione agli enti ecclesiastici. Giorgio Gentili Dottore Commercialista, revisore legale e revisore di società cooperative. Presidente della Commissione “Controllo legale dei conti” dell’ODCEC di Macerata. Componente delle Commissioni “Revisione legale”, “Collegio sindacale”, “Responsabilità amministrativa ex d.lgs. 231/2001” dell’UNGDCEC. Si occupa prevalentemente di consulenza societaria, operazioni straordinarie, valutazioni aziendali, due diligence, revisione legale dei conti, compliance ex d.lgs. 231/2001, cooperative ed enti non profit. Relatore in numerosi convegni di aggiornamento professionale, è autore di monografie ed articoli in varie materie professionali. VIII © Cesi Multimedia Profilo Autori Salvatore Giordano Dottore Commercialista, svolge la propria attività professionale quale partner fondatore dello studio associato Alari-Giordano di Salerno. Ha maturato specifiche competenze, oltre che in materia di diritto societario e finanza aziendale, in diritto tributario e contabilità fiscale delle imprese. Esperto contabilità e bilancio Ipsoa. Relatore e pubblicista. Tra gli altri libri ha pubblicato un testo su bilancio e fiscalità delle cooperative. Andrea Liparata Dottore Commercialista, ODCEC Roma, revisore legale. Ha ricoperto diversi incarichi istituzionali presso l’ODCEC e L’UGDCEC di Roma, attualmente è componente del comitato scientifico del centro studi dell’UNGDCEC. Ha una collaborazione di 10 anni con pubblicazione di numerosi articoli e risposte a quesiti dei lettori in materia tributaria, del non profit e privacy con il gruppo Il Sole 24 Ore e il gruppo Class Editori. Svolge abitualmente docenze in materia tributaria, del non profit e privacy, nei confronti di dipendenti e dirigenti aziendali, iscritti ad ordini professionali, dipendenti e dirigenti di enti pubblici. È stato autore/coautore di numerose pubblicazioni in materia fiscale e di enti non profit. Valentina Papa Dottore Commercialista, ODCEC Civitavecchia, e revisore legale. Laureata presso la Facoltà di Economia dell’Università degli Studi di “Roma Tre” con Tesi in Diritto Tributario su “Le Onlus: inquadramento delle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale nell’ordinamento giuridico italiano”. E’ Vicepresidente dell’Unione Giovani Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Civitavecchia; componente delle commissioni di studio dell’UNGDCEC “Processo Tributario” dal 2012 e “Cooperative ed Enti No Profit” dal 2013. E’ componente delle commissioni “Tirocinio” e “Cooperative ed Enti no Profit” presso l’Ordine di Civitavecchia dal 2013. Lorenzo Portento Dottore Commercialista, ODCEC Roma, revisore legale. Membro della commissione di studio Enti Non Profit dell’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Roma; relatore in convegni di formazione professionale continua presso l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Roma in materia non profit: aspetti civilistici e tributari di Enti non profit, Onlus, Organizzazioni di volontariato, Associazioni di Promozione Sociale. Consulente di enti non profit a carattere nazionale nel mondo dello scautismo e del volontariato. © Cesi Multimedia IX Profilo Autori Mirko Simone Dottore Commercialista e Revisore Contabile dal 2002. Esperto e specialista nella trattazione societaria, fiscale e del lavoro inerente le Società Cooperative. Revisore di Cooperative iscritto all’Albo Nazionale dei Revisori Cooperativi – Legacoop. Responsabile del Centro Servizi Legacoop di Lecce. Presidente dell’UGDCEC di Lecce dal 2012. Presidente della Commissione Società Cooperative dell’UNGDCEC. Revisore dei conti dal 2005 al 2012 del Coni di Lecce. Docente in diversi corsi di formazione finanziata. Sindaco in molteplici società cooperative. X © Cesi Multimedia Premessa Premessa di Alessandro Lini I lavori del 52° congresso UNGDCEC sono dedicati al mondo del cosiddetto terzo settore. L’Unione ha deciso di confrontarsi con il mondo della mutualità e della solidarietà invitando a partecipare al proprio congresso esponenti del mondo cooperativo e del no profit per affrontare, con il loro autorevole apporto, argomenti di estrema attualità e delicatezza. I contributi proposti in questa pubblicazione vogliono essere per il lettore una guida, una breve introduzione ai temi che verranno affrontati e dibattuti tra sessioni e workshop. Nella prima parte, dedicata al mondo delle cooperative, dopo aver passato in rassegna le peculiarità del mondo cooperativo, il regime fiscale e gli aspetti legati agli studi di settore nelle stesse, si illustrano alcune delle opportunità che possono essere perseguite nella risoluzione delle crisi d’impresa (workers buy out) e nello sviluppo socio economico del territorio attraverso (cooperative di comunità). La seconda parte della pubblicazione è dedicata al mondo degli enti associativi. Qui si affrontano le tematiche principali che interessano principalmente tutti gli enti non commerciali (rendiconti, raccolta fondi, 5 x mille), presentando poi alcuni approfondimenti sulle tematiche relative all’impresa sociale, alla tassazione degli enti ecclesiastici ed alla somministrazione nei circoli. Da parte mia non posso che rivolgere un ringraziamento ai colleghi Andrea Dili ed Andrea Liparata, componenti del comitato scientifico della Fondazione Centro Studi, per aver svolto, nelle rispettive aree di competenza, il ruolo nevralgico di curatore, ma naturalmente il mio grazie va anche a tutte le colleghe ed i colleghi che, a testimonianza dello “spirito unione”, si sono prodigati per la stesura degli interventi che troverete in questa pubblicazione. Un ultimo ringraziamento infine va alla collega Raffaella Liccione, attuale Vicepresidente e delegata di Giunta alla materia per il lavoro fatto dalle commissioni di studio dedicate al terzo settore che hanno rappresentato per l’occasione una vera fucina di idee per la realizzazione della parte scientifica dei lavori congressuali Lecce, 3 aprile 2014 Alessandro Lini Presidente Fondazione Centro Studi Ungdc © Cesi Multimedia XI Presentazione Presentazione di Andrea Dili Il rapporto sulla cooperazione italiana negli anni della crisi, presentato recentemente da Euricse e Alleanza delle Cooperative Italiane, traccia un quadro significativo dell’impatto del fenomeno cooperativo sull’economia italiana. Alcuni dati risultano particolarmente significativi: il numero delle cooperative attive sul territorio nazionale è stimato tra le 55.000 e le 60.000 unità. Esse danno lavoro a un numero di addetti compreso tra 1,2 e 1,3 milioni (dato che sale a 1,75 milioni se si considerano i lavoratori stagionali), gran parte dei quali assunti a tempo indeterminato, e realizzano un valore aggregato della produzione superiore ai 120 miliardi di euro. L’impatto complessivo della cooperazione sull’economia del nostro Paese vale il 10% del Pil e l’11% dell’occupazione. Si tratta evidentemente di un fenomeno di primaria rilevanza, spesso poco studiato e non adeguatamente conosciuto da molti operatori economici, un fenomeno divenuto ancora più interessante e attuale in un periodo di forte crisi economica stante la funzione anticiclica svolta dalle società cooperative: dai dati, infatti, si evince chiaramente la maggiore capacità di tenuta di tale modello imprenditoriale nei momenti di difficoltà del sistema produttivo. Partendo da queste premesse abbiamo cercato di fornire al lettore una panoramica sulle fattispecie più interessanti che ineriscono al fenomeno della cooperazione, avendo specifico riguardo all’attività del commercialista: partendo da una analisi delle principali peculiarità tracciate dal diritto societario e soffermandoci successivamente sulle numerose possibilità offerte dal diritto tributario in termini di benefici fiscali. Abbiamo voluto poi dedicare l’ultimo capitolo a tre questioni particolarmente attuali: la prima, il workers buy out in forma cooperativa, strumento che negli ultimi anni ha visto realizzare sul campo numerose esperienze di successo e importante opportunità professionale per i commercialisti; la seconda, le cooperative di comunità, ovvero enti che intercettano il bisogno di garantire alla propria comunità territoriale uno sviluppo non tanto o non soltanto economico quanto piuttosto sociale e culturale; la terza, infine, attiene a una problematica più prettamente legata all’esercizio della professione di dottore commercialista, ovvero l’applicazione degli studi di settore alle società cooperative. L’auspicio è che tale pubblicazione possa fornire utili e pratici spunti tanto ai colleghi che già si occupano professionalmente di società cooperative come a coloro che, al contrario, pur incuriositi dalla materia non hanno ancora avuto l’opportunità di cimentarvisi. © Cesi Multimedia XIII Parte I Le società cooperative Capitolo 1 – Le società cooperative 1. Le società cooperative di Edmondo Belbello 1.1 La forma cooperativa nel diritto societario Si deve alla riforma del diritto societario del 2003 una prima e completa regolamentazione della impresa cooperativa direttamente nel codice civile. Prima di essa, infatti, la sua disciplina era affidata alla “vecchia” legge Basevi1, poi ridefinita e aggiornata con la legge n. 59/1992 con le integrazioni delle leggi speciali riguardanti specifiche tipologie cooperative o specifici ambiti operativi (ci si riferisce ad esempio alla legislazione sulle cooperative sociali o sulle banche di credito cooperativo). La lettura del Titolo VI del codice civile, Capo I, rappresenta oggi un valido strumento per la comprensione della società cooperativa, fornendo chiare indicazioni sulle sue peculiarità, i suoi vincoli normativi ed i suoi meccanismi di funzionamento. Il primo articolo che si incontra, il 25112, rappresenta un efficace biglietto da visita: il legislatore ha, infatti, immediatamente inteso caratterizzare tale tipologia di impresa mediante tre specificazioni: la prima, di natura soggettiva, evidenzia da subito che si tratta di “società”; la seconda, di natura funzionale, introduce una immediata deroga sullo scopo di tale società, che si caratterizzerebbe non per l’aspettativa di lucro quanto piuttosto per la ricerca di mutualità; la terza, di natura operativa, ne specifica un elemento caratterizzante ed in netta contrapposizione con quanto stabilito per le imprese di capitali, e cioè la variabilità del capitale, specificazione profondamente connessa e diretta conseguenza delle prime due. In quanto “società”, è chiaro che trattasi di attività di impresa svolta con precisa veste giuridica, del tutto equiparata alle ordinarie società di capitali. In tal senso, si esprime l’art. 2519 secondo cui alle cooperative si applicano le disposizioni delle società per azioni, in quanto compatibili. La norma non chiarisce cosa si intenda per scopo mutualistico, provvedendo anzi ad una ulteriore declinazione del principio attraverso il successivo articolo del codice in cui si parla di mutualità prevalente. Il principio, peraltro costituzionalmente garantito3, non risultando direttamente descritto nelle attuali norme, trova una sua efficace definizione nella relazione ministeriale di ac- ------------------------------------------1 Si tratta del d.lgs. del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577 che viene comunemente citata e ricordata come “legge Basevi”, in ossequio all’allora ispiratore del testo normativo. 2 «Le cooperative sono società a capitale variabile con scopo mutualistico iscritte all’albo delle cooperative». 3 Secondo l’art. 45 della Costituzione «La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità». © Cesi Multimedia 3 Capitolo 1 – Le società cooperative compagnamento al vecchio codice civile del 1942, secondo cui mutualità “consiste nel fornire beni o servizi o condizioni di lavoro direttamente ai membri della organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato”. In altre parole, il socio di una cooperativa instaura un rapporto associativo dove la finalità primaria non è il lucro (ovvero massimizzare il rendimento del capitale investito nella società) ma, piuttosto, la possibilità di ricevere, nel momento in cui realizza lo scambio mutualistico con la cooperativa, condizioni migliori di quelle che otterrebbe realizzando analogo scambio in altre tipologie societarie presenti nel mercato. Oggetto dello scambio sarà la prestazione del socio nei confronti della società secondo il seguente schema: il socio svolge la propria prestazione lavorativa per la cooperativa: si attende dunque condizioni lavorative ed una retribuzione migliori di quelle mediamente offerte dal mercato; il socio è utente della cooperativa: vuole quindi acquisire beni o servizi dalla cooperativa a qualità e prezzi migliori di quelli mediamente offerti dal mercato; il socio è un imprenditore che fornisce beni o servizi alla cooperativa: si attende una valorizzazione dei prodotti e servizi conferiti a condizioni migliori di quelle mediamente ottenibili dal mercato. Si assiste dunque ad una sorta di capovolgimento della visione tradizionale di impresa: il conferimento di capitale rappresenta la prestazione principale del socio di una società di capitali e l’ottenimento di una remunerazione di quel capitale ne costituisce lo scopo. Nella cooperativa, al contrario, c’è un soggetto che conferisce un capitale come semplice premessa per l’instaurazione del vero rapporto di scambio, che si sostanzia in una prestazione mutualistica le cui modalità operative e la cui remunerazione risultano completamente svincolate dal capitale conferito. I diritti patrimoniali, gestionali e di voto del socio di una cooperativa sono completamente svincolati dalla misura del capitale sociale. Questa è la ragione della “variabilità” del capitale: il legislatore ha preferito semplificare le modalità operative legate al capitale sociale, per cui aumenti e diminuzioni risultano irrilevanti ai fini delle variazioni dello statuto (con ovvia semplificazione in termini di adempimenti e costi connessi ad una deliberazione di assemblea straordinaria). Tale semplificazione normativa è finalizzata a garantire procedure di accesso ed uscita del socio molto semplici e flessibili, in ossequio al c.d. principio della “porta aperta”. 1.2 Cooperative a mutualità prevalente e cooperative a mutualità non prevalente In base alla tipologia di scambio mutualistico realizzato dal socio, le cooperative vengono generalmente classificate nei seguenti aggregati: cooperazione di lavoro; cooperazione di consumo o utenza; 4 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Le società cooperative cooperazione di imprenditori o consortile. Nel primo caso il rapporto mutualistico si sostanzia nella prestazione lavorativa del socio: la cooperativa può avere qualunque oggetto sociale (produzione di beni o servizi). Il socio è contemporaneamente imprenditore (in quanto socio dell’impresa) e lavoratore, con due distinti rapporti giuridici4: quello di lavoro (in cui vengono ormai riconosciute forme anche flessibili ed a tempo determinato) e quello associativo. Il socio rischia il proprio capitale nell’attività di impresa, ma si attende un trattamento migliore della propria prestazione lavorativa, in caso di risultati positivi, rispetto a quello ottenibile in una società tradizionale. La divisione dell’eventuale avanzo gestionale, come specificato di seguito, non è legata (se non in misura residua ed eventuale) all’entità dell’apporto di capitale ma alla quantità di lavoro prestato. All’interno di tale tipologia assume particolare rilevanza la cooperazione sociale. Si tratta di soggetti che hanno lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate5. Nelle cooperative di consumo, o utenza, il socio acquisisce beni e servizi dalla cooperativa a condizioni più vantaggiose di quelle di mercato. Gli esempi principali si riscontrano nelle cooperative di consumo in senso stretto, in cui il socio acquista beni di consumo ottenendo prezzi e condizioni di sconto migliori rispetto agli stessi acquisti fatti in altri punti vendita o effettuati da non soci. Esistono poi cooperative di abitazione, in cui il socio acquista la propria casa dalla cooperativa o il diritto di abitarla6 a condizioni più favorevoli. Oppure l’esempio delle banche di credito cooperativo in cui i soci intrattengono rapporti, di credito e debito, a condizioni di tasso o spesa migliori rispetto ad altre banche. Rispetto alla cooperazione di lavoro si verifica un diverso grado di attaccamento del socio alla cooperativa, in quanto il perfezionamento dello scambio non comporta la contemporanea sussistenza di ulteriori rapporti giuridici. Il socio, in quanto utente dei servizi, ne determina la qualità e le modalità di somministrazione. Il terzo caso si caratterizza per il requisito imprenditoriale del socio: l’imprenditore si associa con altri imprenditori per gestire in comune una o più fasi dell’impresa. Può essere il caso di una cooperativa di taxisti o di trasportatori, in cui ogni socio è titolare della propria licenza ma decide di gestire in comune alcuni aspetti dell’attività. O il caso ------------------------------------------4 Giova in proposito ricordare la legge 3 aprile 2001, n. 142, “Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore” in cui è stata riconosciuta l’esistenza e la tutela di un rapporto lavorativo distinto da quello associativo. 5 Di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381. 6 La distinzione si riferisce alla presenza di cooperative di abitazione “a proprietà divisa” in cui, una volta terminati gli alloggi, vengono girati in proprietà ai soci (risolvendosi dunque la prestazione mutualistica), o “a proprietà indivisa” in cui gli alloggi rimangono di proprietà della cooperativa che li assegna in godimento ai soci. © Cesi Multimedia 5 Capitolo 1 – Le società cooperative di cooperative agricole di conferimento, in cui i soci conferiscono il proprio prodotto (ad esempio uva, latte, ecc.) che poi la cooperativa si occuperà di trasformare e commercializzare. I soci si attendono una valorizzazione del proprio conferimento a livelli uguali o maggiori di quelli di mercato. La realizzazione dello scambio mutualistico in una delle tre categorie esaminate rappresenta il presupposto della società cooperativa. Tuttavia, la citata riforma del diritto societario ha comportato l’introduzione di una declinazione dell’impresa cooperativa in due differenti tipologie: le cooperative a mutualità prevalente e quelle diverse. Pur venendo ribadita una unica species di società cooperativa, ne viene poi identificata una duplice applicazione in relazione al concetto di “mutualità prevalente”. È come se fosse stato introdotto un indice di meritevolezza da parte del legislatore, in base al quale la realizzazione della propria attività, prevalentemente con i soci, rappresenterebbe la vera essenza della impresa cooperativa che, pertanto, verrebbe premiata con il pieno godimento delle agevolazioni previste dalla normativa (soprattutto fiscali). Per essere “prevalente” una cooperativa deve prevedere: un requisito statutario, ovvero la presenza nello statuto delle limitazioni previste dall’art. 2514 c.c.; un requisito gestionale, ovvero il raggiungimento di livelli gestionali in linea con i parametri fissati dagli artt. 2512 e 2513 c.c.. In sintesi, il requisito statutario viene rispettato se: 1) è previsto il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato; 2) è previsto il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi; 3) è previsto il divieto di distribuire le riserve tra i soci cooperatori; 4) è previsto l’obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento, dell’intero patrimonio sociale, dedotto solo il capitale sociale ed i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici di cui alla legge n. 59/1992. Il requisito gestionale presuppone che, a seconda della diversa tipologia di scambio mutualistico, le cooperative: 1) svolgano la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi; 2) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci; 3) si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci. È necessario ribadire che la prevalenza rappresenta una qualificazione aggiuntiva che lascia comunque salva la natura mutualistica dell’impresa: anche in mancanza di prevalenza, infatti, si è in presenza di società cooperativa, con conseguente applicabilità di tutta la normativa specifica non direttamente connessa alla qualificazione di prevalente. 6 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Le società cooperative La differenza più rilevante risiede nella impossibilità di godere dei benefici fiscali pieni che la legge riserva alle sole prevalenti. 1.3 Parametri di prevalenza mutualistica e rappresentazione in bilancio Come tutte le prestazioni effettuate o ricevute dall’impresa, anche quella mutualistica deve trovare corretta rappresentazione nel bilancio di esercizio. Avendo definito che alle società cooperative si applicano, in mancanza di norme specifiche ed in quanto compatibili, le norme delle società per azioni, ne consegue che la redazione del bilancio dovrà seguire le regole previste dagli articoli 2423 e seguenti, eventualmente integrate da quanto disciplinato nel Titolo VI. Si dovrà quindi verificare se, nelle norme previste dagli articoli 2511 e seguenti del c.c., esista un riferimento a specifici temi di bilancio. Analizzando le norme si possono elencare i seguenti punti: 1) art. 2512, comma 2: necessità di depositare annualmente il bilancio presso l’Albo delle cooperative, cui la cooperativa deve iscriversi al momento della costituzione; 2) art. 2513, comma 1: gli amministratori e sindaci debbono documentare nella nota integrativa la condizione di prevalenza mediante evidenziazione contabile dei relativi dati gestionali; 3) art. 2528, comma 5: gli amministratori devono illustrare nella relazione al bilancio le ragioni delle determinazioni assunte con riguardo alla ammissione dei nuovi soci (cioè il carattere aperto della cooperativa); 4) art. 2545: gli amministratori e sindaci devono indicare nelle loro relazioni specificamente i criteri seguiti nella gestione sociale per il conseguimento dello scopo mutualistico; 5) art. 2545-sexies: le cooperative devono riportare separatamente nel bilancio i dati relativi all’attività svolta con i soci, distinguendo eventualmente le diverse gestioni mutualistiche; 6) art. 2545-octies, comma 2: nel caso di perdita della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente a causa della soppressione delle clausole statutarie ex art. 2514 c.c., gli amministratori devono redigere un apposito bilancio da notificare al Ministero delle attività produttive, al fine di determinare il valore effettivo dell’attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili; 7) art. 2545-undecies: disciplina del bilancio di trasformazione. Tralasciando i richiami ad eventi straordinari della gestione aziendale (perdita della prevalenza e trasformazione), appare evidente il continuo richiamo alla completa ed adeguata rappresentazione, nel bilancio di una società cooperativa, della mutualità, sia in termini generali che in termini specifici di prevalenza. Nel disciplinare la prevalenza, il legislatore ha indirettamente evidenziato in quali voci del bilancio viene rappresentata la prestazione mutualistica. Poiché però le stesse voci © Cesi Multimedia 7 Capitolo 1 – Le società cooperative accolgono anche le prestazioni riferite a non soci, andrà correttamente calcolata e rappresentata la percentuale riferita ai soli soci che misurerà l’indice di prevalenza. L’art. 2513 prevede che: a) i ricavi delle vendite dei beni e delle prestazioni di servizi verso i soci siano superiori al cinquanta per cento del totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni ai sensi dell’art. 2425, comma 1, punto A1; b) il costo del lavoro dei soci sia superiore al cinquanta per cento del totale del costo del lavoro di cui all’art. 2425, comma 1, punto B9, computate le altre forme di lavoro inerenti lo scopo mutualistico; c) il costo della produzione per servizi ricevuti dai soci ovvero per beni conferiti dai soci sia rispettivamente superiore al cinquanta per cento del totale dei costi dei servizi di cui all’art. 2425, comma 1, punto B7, ovvero al costo delle merci o materie prime acquistate o conferite, di cui all’art. 2425, comma 1, punto B6. Vediamo quindi nel dettaglio come procedere per il calcolo degli indici. Cooperative di consumo e di utenza Ricavi vendite nei confronti soci (in A1) Totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni (tot A1) X 100 > 50% Dati rilevanti Conto economico A) Valore della produzione 1) Ricavi delle vendite e delle prestazioni a) Ricavi delle vendite verso i soci b) Ricavi delle vendite verso terzi Calcolo della prevalenza € 1.500 € 1.000 € 500 1.000 x 100 = 66,67% 1.500 Eventuali ricavi posizionati in A1, relativi ad attività non caratteristica (che quindi andrebbero più correttamente indicati in A5), non debbono rientrare nel denominatore. Cooperative di lavoro Costo prestazioni lavoro soci (in B9 e B7) Totale costo del lavoro (tot B9 + B7 solo inerenti il rapporto mutualistico) X 100 > 50% Va sottolineato che il denominatore non dovrà contenere la parte di B7 riferita ai costi per servizi estranei al rapporto mutualistico (es. consulenze varie, oneri bancari, ecc.). Precisazioni per il calcolo della prevalenza: Lavoro interinale: dovrà considerarsi solo la parte riferita al lavoro, mentre andrà esclusa la quota servizi addebitata dalla società interinale; 8 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Le società cooperative Lavoratori assunti per vincoli: se assunti per vincoli di legge, di CCNL o di convenzioni con la Pubblica Amministrazione, e che, quindi, non possono essere soci, il relativo costo non va considerato ai fini del calcolo; Compensi amministratori: se relativi ad amministratori che sono anche soci lavoratori, poiché non si riferiscono al rapporto mutualistico non possono influenzare il calcolo della prevalenza. Dati rilevanti Conto economico B) Costi della produzione 7) per servizi a) per prestazioni lavoro soci b) per prestazioni lavoro terzi c) altri servizi 9) per il personale a) da soci b) da terzi € 800 € 100 € 200 € 500 Calcolo della prevalenza 700 x 100 = 53,85% 1.300 € 1.000 € 600 € 400 Cooperative di conferimento Costi per l’acquisto di materie prime da soci (in B6) Totale dei costi per l’acquisto di materie prime (tot B6) Dati rilevanti Conto economico B) Costi della produzione 6) per materie prime a) da soci b) da terzi € 1.000 € 600 € 400 X 100 > 50% Calcolo della prevalenza 600 x 100 = 60% 1.000 In deroga a quanto detto sopra, il terzo comma dell’art. 2513 del codice civile individua uno speciale metodo di calcolo della prevalenza per le cooperative agricole, intendendosi come tali le cooperative che esercitano le attività di cui all’art. 2135 del codice civile. © Cesi Multimedia 9 Capitolo 1 – Le società cooperative Quantità dei prodotti conferiti dai soci Quantità totale dei prodotti acquisiti X 100 > 50% oppure: Valore dei prodotti conferiti dai soci Valore totale dei prodotti acquisiti X 100 > 50% Cooperative di servizi Costo per prestazioni servizi dei soci (in B7) Totale dei costi per servizi inerenti il rapporto mutualistico (in B7) Dati rilevanti Conto economico B) Costi della produzione 7) per servizi a) per servizi da soci b) per servizi da terzi (inerenti scambio mutualistico) c) altri servizi € 800 € 200 X 100 > 50% Calcolo della prevalenza 200 x 100 = 66,67% 300 € 100 € 500 Cooperative miste Le cooperative miste, realizzando contestualmente più tipi di scambio mutualistico, sono chiamate a documentare la prevalenza attraverso il calcolo della media ponderata degli indici calcolati con riferimento alle diverse gestioni mutualistiche. A1 SOCI + B6 SOCI + B7 SOCI + B9 SOCI A1 TOT + B6 TOT + B7 TOT + B9 TOT Dati rilevanti Conto economico A) Valore della produzione 1) Ricavi delle vendite € 5.000 a) Ricavi delle vendite verso soci € 2.800 b) Ricavi delle vendite verso terzi € 2.200 10 X 100 > 50% Calcolo della prevalenza 2.800 + 1.200 x 100 = 57% 5.000 + 2.000 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Le società cooperative B) Costi della produzione 7) Costo per servizi a) Servizi dei soci b) Servizi di terzi € 2.000 € 1.200 € 800 Precisiamo, infine, che per espressa previsione di legge, risultano esonerati dalla dimostrazione della prevalenza i seguenti soggetti: Cooperative sociali; Banche di credito cooperativo; Banche popolari; Consorzi agrari. Inoltre, con specifico decreto del 30 dicembre 2005, il Ministero delle attività produttive ha previsto una serie di regimi derogatori per particolari categorie di cooperative ed in caso di eventi straordinari. 1.4 I ristorni Nella società cooperativa, come accennato, il socio si attende una remunerazione della propria prestazione a condizioni migliori di quelle mediamente praticate dal mercato. Va chiarito che il miglior trattamento riconosciuto al socio non deve riferirsi esclusivamente ad aspetti quantitativi, potendo (rectius, dovendo) riferirsi anche ad aspetti qualitativi. Dal punto di vista quantitativo, e dunque riferendosi al trattamento economico, esistono due momenti in cui esso si sostanzia: nel corso dell’esercizio, come normale remunerazione di una prestazione; a fine esercizio, come ulteriore valorizzazione della prestazione, in relazione al risultato dell’impresa. Nella cooperativa di lavoro il socio percepisce il proprio stipendio in corso d’anno in base a quanto previsto dagli accordi contrattuali. Il socio di una cooperativa di conferimento di prodotti agricoli, riceve il pagamento del proprio prodotto in corso d’anno mediante acconti in relazione al prezzo mediamente sostenibile dalla gestione. Il socio di una cooperativa di consumo compra beni dalla cooperativa nel corso dell’anno ai prezzi scontati. Alla fine dell’anno, verificato il risultato economico, se si è realizzato un avanzo di gestione il socio potrà ricevere una ulteriore remunerazione della propria prestazione mutualistica. Il socio lavoratore potrà ricevere una integrazione del proprio salario come premio proporzionato alla quantità e qualità di lavoro prestato nell’anno. Il socio conferitore potrà ricevere una integrazione del prezzo proporzionalmente alle quantità conferite. Il socio consumatore potrà ricevere indietro una parte di quanto ha pagato alla cooperativa, una sorta di sconto complessivo sul volume di acquisti effettuati nell’anno. © Cesi Multimedia 11 Capitolo 1 – Le società cooperative Il ristorno rappresenta dunque la parte di margine gestionale che può essere girata ai soci cooperatori in proporzione alla quantità e qualità della prestazione mutualistica effettuata nell’esercizio. Pur trattandosi di divisione di utili, esiste una profonda differenza tra ristorni e dividendi. Il socio instaura due rapporti contemporanei con la cooperativa: un rapporto associativo, cui corrisponde il dovere di sottoscrizione e versamento del capitale ed il diritto alla sua proporzionale remunerazione; un rapporto mutualistico, cui corrisponde il dovere di effettuare la prestazione (lavorare, consumare, conferire, ecc.) ed il diritto di vederla proporzionalmente remunerata. Si dividono gli utili in proporzione al capitale versato, si ristorna l’avanzo di gestione in proporzione alle prestazioni effettuate. Si può parlare di diritto al ristorno ed al dividendo, nella misura in cui tali istituti siano stati disciplinati dallo statuto e da specifico regolamento interno. Diverse valutazioni potranno portare i soci a destinare in altre direzioni gli avanzi di gestione. Nella misura in cui lo scopo della cooperativa è mutualistico, il ristorno dovrebbe rappresentare la primaria forma di divisione dell’avanzo tra i soci. Gli amministratori dovranno ovviamente rendere compatibile la massima soddisfazione dei soci con la salvaguardia dell’equilibrio economico, patrimoniale e finanziario della cooperativa, ricercando il migliore mix tra destinazioni esterne ed interne al patrimonio sociale. In tale direzione va la previsione di cui all’art. 2545-sexies secondo cui l’assemblea può deliberare la ripartizione del ristorno anche mediante aumento proporzionale del capitale o emissione di strumenti finanziari. Si tratta di un intelligente compromesso tra riconoscimento economico al socio e salvaguardia finanziaria della cooperativa, cui è stato riconosciuto anche un certo beneficio fiscale in quanto la tassazione in testa al socio è rinviata all’effettiva monetizzazione (che si avrà con la restituzione del capitale) e sarà riferita alla normativa sui redditi di capitale (e non, nel caso di soci lavoratori, ai redditi di lavoro). Il ristorno può essere trattato contabilmente in due differenti modalità: distribuzione di utile: non si avranno effetti nel bilancio cui si riferisce l’avanzo distribuito; contabilizzazione nel conto economico: viene inserita una componente negativa nel bilancio dell’esercizio, nella stessa voce in cui vengono registrate le transazioni con i soci. Entrambe le modalità sono accettate dalle regole contabili e fiscali; tuttavia, il trattamento suggerito (in termini di maggiore trasparenza del bilancio) è il primo. Poiché la maggior parte delle cooperative predilige la contabilizzazione a conto economico, è utile analizzare alcuni effetti che derivano da questa metodologia. 12 © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Le società cooperative Considerando la seguente schematizzazione, Tipologia di cooperativa Cooperativa che si avvale del lavoro dei soci Cooperativa che si avvale dell’apporto di beni e servizi dei soci Cooperativa che svolge la propria attività con soci utenti e consumatori Ristorno Integrazione salariale Integrazione del prezzo dell’apporto Restituzione di una parte del prezzo pagato Rappresentazione conto economico Integrazione voce B9) a Integrazione voce B6) o B7) Rettifica voce A1) si evidenzia come la contabilizzazione a conto economico dei ristorni incida sul calcolo degli indici di prevalenza in quanto va ad integrare le stesse voci di costo e ricavo utilizzate ai sensi dell’art. 2513 c.c.. Lo stesso Ministero delle attività produttive, il 13 gennaio 2006, ha emesso una specifica circolare in cui ribadisce che “i ristorni determinati dal cda ed approvati dall’assemblea concorrono ad incrementare il valore del rapporto mutualistico con i soci ai fini della determinazione della mutualità prevalente; la loro approvazione potrà avvenire in una assemblea convocata ad hoc o nella stessa assemblea di bilancio, subito prima della approvazione del documento”. Tale incidenza genera effetti positivi o negativi a seconda della tipologia mutualistica. Nelle cooperative in cui il ristorno comporta un incremento della voce di costo relativa allo scambio mutualistico (lavoro, servizio, conferimento) si ha un effetto positivo sull’indice di prevalenza; nelle cooperative in cui il ristorno rettifica i ricavi (consumo, utenza) si assiste ad un effetto negativo7. 1.5 La perdita della prevalenza mutualistica Ai sensi dell’art. 2545-octies c.c., si perde la prevalenza per il mancato raggiungimento, per due anni consecutivi, dei parametri gestionali di cui all’art. 2513 o per la volontaria soppressione delle clausole statutarie limitative di cui all’art. 2514. ------------------------------------------7 Da segnalare, sul punto, il documento della Commissione cooperative del CNDC sul ristorno nelle cooperative di utenza, in cui si propone una contabilizzazione del ristorno nella voce A5 del conto economico. Parrebbe tuttavia una strada poco percorribile in quanto sicuramente contraria a corretti principi contabili (in base alla natura della voce) ed all’art. 2425-bis (in base alla classificazione delle voci). In caso di effetti realmente penalizzanti, tali da porre in discussione la prevalenza, potrebbe essere opportuno propendere per un trattamento contabile del ristorno come distribuzione di utile o, in extremis, creare una voce A1 bis in cui registrare il ristorno: tale voce, non essendo prevista dall’art. 2513, potrebbe essere esclusa dal calcolo dell’indice. © Cesi Multimedia 13 Capitolo 1 – Le società cooperative La perdita della prevalenza produce rilevanti effetti sia dal punto di vista giuridico che operativo. Tuttavia, per comprendere a pieno tali conseguenze è opportuno integrare il codice civile con ulteriori precisazioni. Sul punto va infatti ricordato l’intervento normativo della c.d. legge sviluppo (n. 99/2009) che ha semplificato gli adempimenti connessi alla perdita della prevalenza nei casi in cui non siano soppresse le clausole statutarie ex art. 2514 c.c. La norma, ora integrata nel terzo comma dell’art. 2545-octies, dispone, infatti, che “qualora la cooperativa abbia perso la qualifica di cooperativa a mutualità prevalente per il mancato rispetto della condizione di prevalenza di cui all’articolo 2513, l’obbligo di cui al secondo comma si applica soltanto nel caso in cui la cooperativa medesima modifichi le previsioni statutarie di cui all’articolo 2514 o abbia emesso strumenti finanziari”. Si tratta di una forte semplificazione della procedura prevista dall’articolo che verrà di seguito esaminata. Ulteriore precisazione è stata fornita dalla Commissione Centrale per le Cooperative – nella seduta del 28 settembre 2005 – che ha pronunciato il seguente parere: “nel caso di perdita della prevalenza, ai sensi degli artt. 2512 e 2513 del codice civile, la cooperativa, dopo aver redatto il bilancio ex articolo 2545-octies del codice, può modificare o sopprimere le clausole di cui all’art. 2514 del codice senza devolvere il patrimonio ai fondi mutualistici. Nel caso, invece, di soppressione o modifica delle clausole mutualistiche di cui all’art. 2514 in presenza della prevalenza di cui agli artt. 2512 e 2513 del codice, la cooperativa, dopo aver redatto il bilancio di cui all’articolo 2545octies del codice, devolve ai fondi mutualistici il patrimonio effettivo”. Tali conclusioni sono state condivise anche dall’Agenzia delle Entrate nella nota del 13 febbraio 2006, prot. 6153/2006. Va precisato che tale previsione è stata criticata dalla dottrina prevalente, in quanto rappresenterebbe un chiaro ed indebito superamento della gerarchia delle fonti, in cui la Commissione Centrale per le Cooperative diviene organo derogante ad una previsione del codice civile. Volendo schematizzare il raccordo tra le varie norme e disposizioni previste si ha il seguente quadro: Evento Mancato raggiungimento parametri art. 2513 senza successiva soppressione delle clausole limitative dello statuto ex art. 2514 Mancato raggiungimento parametri art. 2513 con successiva soppressione delle clausole limitative dello statuto ex art. 2514 14 Conseguenza Comunicazione telematica di variazione sezione all’Albo delle cooperative Procedura completa di cui al comma 2, art. 2545-octies (pareri e bilancio straordinario) © Cesi Multimedia Capitolo 1 – Le società cooperative Evento Mancato raggiungimento parametri art. 2513 senza successiva soppressione delle clausole limitative dello statuto ex art. 2514 ma con emissione di strumenti finanziari Soppressione delle clausole limitative dello statuto ex art. 2514, pur nel rispetto dei parametri gestionali ex art. 2513 Conseguenza Procedura completa di cui al comma 2, art. 2545-octies (pareri e bilancio straordinario) Procedura completa di cui al comma 2, art. 2545-octies (pareri e bilancio straordinario) cui si aggiunge l’obbligo di devoluzione del patrimonio residuo L’iter operativo previsto dalla norma prevede che: Iter ordinario il revisore esterno, ove presente, esprime un apposito parere sulla situazione; gli amministratori devono redigere un apposito bilancio; il bilancio ha lo scopo di determinare il valore effettivo dell’attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili; una società di revisione deve verificare senza rilievi tale bilancio; il bilancio deve essere sottoposto ad approvazione; infine, entro sessanta giorni dalla sua approvazione, il bilancio va notificato al Ministero delle attività produttive; comunicazioni secondo procedura di cui all’art. 223sexiesdecies disp.att. c.c.. Iter semplificato comunicazioni secondo procedura di cui all’art. 223sexiesdecies disp.att. c.c.. Iter straordinario il revisore esterno, ove presente, esprime un apposito parere sulla situazione; gli amministratori devono redigere un apposito bilancio; il bilancio ha lo scopo di determinare il valore effettivo dell’attivo patrimoniale da imputare alle riserve indivisibili; una società di revisione deve verificare senza rilievi tale bilancio; il bilancio deve essere sottoposto ad approvazione; infine, entro sessanta giorni dalla sua approvazione, il bilancio va notificato al Ministero delle attività produttive; devoluzione patrimonio ai fondi mutualistici; comunicazioni secondo procedura di cui all’art. 223sexiesdecies disp.att. c.c.. Scopo di tale procedura è di separare nettamente la fase in cui la cooperativa ha operato in regime di prevalenza (con relativo godimento dei benefici fiscali) da quella in cui la prevalenza è venuta meno, con necessaria ridefinizione dello status operativo della società. © Cesi Multimedia 15 Capitolo 1 – Le società cooperative Si vuole impedire che i soci possano appropriarsi delle riserve indivisibili reali che la cooperativa ha creato durante il periodo di tempo in cui ha potuto godere dei benefici fiscali. Punto centrale della procedura è la predisposizione di un bilancio “straordinario” da cui emerga una precisa fotografia del patrimonio effettivo della cooperativa che rimane congelato in quanto riferito ad una gestione precedente alla perdita della prevalenza. Sia in fase preventiva che in fase successiva al bilancio viene richiesto il parere di un organo di controllo contabile con la seguente precisazione: il parere preventivo riguarda la verifica della effettiva esistenza delle cause che hanno determinato la perdita di prevalenza; il parere successivo si sostanzia in un vero e proprio giudizio sul bilancio in base ai principi di revisione legale dei conti. Il valore patrimoniale identificato nel bilancio va considerato come il quantum che gli amministratori, nell’eventualità di un suo effettivo realizzo negli esercizi successivi, dovranno inderogabilmente destinare alle riserve indivisibili, senza poter procedere ad una distribuzione tra i soci di tali plusvalori. Per tale ragione, deve essere ricompreso anche il valore dell’avviamento generato dalla cooperativa nel periodo di attività oggetto di misurazione in quanto, altrimenti, non verrebbe quantificata una parte (sia pure riferita ad elementi immateriali) del valore della società che, in alcuni casi, può avere particolare rilevanza. Dovendo il bilancio mostrare il valore effettivo del patrimonio, i criteri da applicare dovranno essere quelli riferiti alla valutazione d’azienda e determinazione del capitale economico di un’impresa. 16 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative 2. Il regime fiscale delle società cooperative 2.1 Il contesto normativo di Andrea Dili Il reddito prodotto da un ente costituito sotto la forma giuridica di società cooperativa è soggetto all’imposta sul reddito delle società: di conseguenza le norme che delineano il sistema di tassazione dei redditi prodotti dalle società cooperative devono, innanzitutto, essere individuate nel testo unico delle imposte sui redditi: sono, dunque, applicabili alle società cooperative le norme generali e le modalità di determinazione dell’imponibile che il legislatore ha voluto indicare in tema di IRES. Tuttavia le disposizioni del TUIR non sono sufficienti ad esaurire la definizione di sistema fiscale riferibile agli enti cooperativi: infatti, sulla base del principio costituzionale che qualifica una particolare e meritevole rilevanza sociale della cooperazione, il legislatore ha nel tempo emanato una serie di norme di carattere agevolativo che hanno reso la tassazione dei redditi prodotti dalle società cooperative almeno in parte differente rispetto a quanto previsto per la generalità dei soggetti passivi contemplati nel TUIR. In particolare, tali disposizioni realizzano il fine di attenuare la tassazione sui redditi prodotti dalle società cooperative al verificarsi di determinati presupposti. È altresì rilevante sottolineare come la gran parte delle norme agevolative inerenti le società cooperative siano state emanate in vigenza della vecchia IRPEG e, di conseguenza, facciano riferimento a tale imposta. Per effetto della perfetta sostituzione operata dall’IRES, tali disposizioni sono riferibili alla tassazione dei redditi conseguiti dalle società cooperative così come viene disciplinata dalla nuova versione del TUIR e, dunque, risultano integralmente applicabili al sistema di tassazione proprio dell’imposta sul reddito delle società. Come accennato nelle pagine precedenti, è opportuno rimarcare che a livello fiscale occorrerà tenere conto della profonda distinzione tra cooperative a mutualità prevalente (che usufruiscono dei benefici fiscali) e cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente – ovvero a mutualità non prevalente (che, al contrario, non godono dei benefici fiscali1). Nelle pagine seguenti si farà generalmente riferimento alle cooperative a mutualità prevalente; mentre all’imposizione sulle società cooperative a mutualità non prevalente sarà dedicato un apposito paragrafo. ------------------------------------------1 In realtà, sebbene in maniera molto limitata, anche le cooperative a mutualità non prevalente possono godere di alcune agevolazioni fiscali. © Cesi Multimedia 17 Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Per quanto attiene alle cooperative a mutualità prevalente è opportuno precisare come l’accesso al pieno godimento dei benefici fiscali dipenda preliminarmente dal soddisfacimento delle seguenti condizioni: 1) perseguimento dello scopo mutualistico; 2) rispetto dei parametri di prevalenza mutualistica di cui agli artt. 2512 e 2513 del codice civile (per alcune tipologie di cooperative il riferimento è ai cosiddetti “regimi derogatori”; mentre altre sono espressamente esonerate dal dare dimostrazione della prevalenza); 3) previsione nel proprio statuto delle clausole di cui all’art. 2514 del codice civile; 4) iscrizione all’albo delle società cooperative nella sezione dedicata alle cooperative a mutualità prevalente; 5) adempimento dell’obbligo di versare il 3% degli utili netti annuali ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. Fatte queste premesse, le norme fiscali di carattere agevolativo disposte a favore delle società cooperative a mutualità prevalente si possono essenzialmente classificare in due macro categorie: a) disposizioni dettate a favore della generalità delle società cooperative; b) norme cosiddette “settoriali”, ovvero dettate nei confronti di ben determinate tipologie di cooperative. Fanno parte della prima categoria: 1) l’art. 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, che, sinteticamente, prevede che non concorre a formare il reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi la quota parte di utili che l’assemblea dei soci delibera di accantonare a riserva indivisibile2; 2) l’art. 21, comma 10 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che disciplina la deducibilità delle imposte sui redditi calcolate sulle variazioni fiscali operate al fine di determinare l’imponibile in sede di redazione della dichiarazione dei redditi; 3) l’art. 7, comma 3 della legge 31 gennaio 1992, n. 59, che contempla che la quota parte di utili destinati ad aumento gratuito del capitale sociale – entro i limiti delle variazioni dell’indice nazionale generale annuo dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, calcolate dall’ISTAT – non concorre a formare il reddito imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi ai fini delle imposte sui redditi; 4) l’art. 11, comma 9 della legge 31 gennaio 1992, n. 59, che dispone che i versamenti delle quote di utili (3%) destinati ad incrementare i fondi mutualistici ------------------------------------------2 L’art. 2545-ter del codice civile dispone che: «Sono indivisibili le riserve che per disposizione di legge o dello statuto non possono essere ripartite tra i soci, neppure in caso di scioglimento della società. Le riserve indivisibili possono essere utilizzate per la copertura di perdite solo dopo che sono esaurite le riserve che la società aveva destinato ad operazioni di aumento di capitale e quelle che possono essere ripartite tra i soci in caso di scioglimento della società». 18 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative per la promozione e lo sviluppo della cooperazione sono esenti da imposta e deducibili dalla base imponibile del soggetto che effettua l’erogazione. Per quanto riguarda le norme cosiddette “settoriali”, occorre fare riferimento alle previsioni del d.p.r. 29 settembre 1973, n. 601, ed in particolare: 1) all’art. 10, che prevede – al verificarsi di specifiche condizioni – l’esenzione da imposte sul reddito per le cooperative agricole e della piccola pesca; 2) ai primi due commi dell’art. 11, che dispone – al realizzarsi di determinati presupposti – l’esenzione da imposte sul reddito ovvero il dimezzamento delle stesse per le cooperative di produzione e lavoro (e per le cooperative sociali); 3) al terzo comma dello stesso art. 11, che contempla la deducibilità dal reddito delle cooperative di produzione e lavoro dei ristorni assegnati ai propri soci; 4) all’art. 12, che, analogamente, ammette in deduzione dal reddito le somme ripartite tra i soci sotto forma di restituzione di una parte del prezzo dei beni e servizi acquistati (cooperative di consumo e di utenza) o di maggiore compenso per i conferimenti effettuati (cooperative di conferimento). Gli ultimi due articoli che il d.p.r. n. 601/1973 dedica al fenomeno cooperativistico riguardano i finanziamenti dei soci (art. 13) e, infine, una norma di chiusura (art. 14) che definisce le condizioni per usufruire delle agevolazioni previste dagli articoli precedenti. Fatte queste premesse, è indispensabile rimarcare che la portata della maggiore parte di tali norme è stata progressivamente ridotta dagli interventi del legislatore volti a riformare – in termini restrittivi – il sistema di imposizione sulle società cooperative. Ci si riferisce, in particolare: all’art. 6 del d.l. 15 aprile 2002, n. 63, convertito con modificazioni dalla legge 15 giugno 2002, n. 112, che ha definito il regime fiscale applicabile alle società cooperative per i due periodi d’imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2001 (cosiddetto “regime transitorio”); ai commi da 460 a 466 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (Finanziaria 2005), che ha riformato il trattamento tributario delle società cooperative; all’art. 82, commi da 25 a 28, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, che ha rettificato il regime fiscale delle cooperative di consumo; all’art. 2, commi 36-bis, 36-ter e 36-quater del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, che ha delineato il regime fiscale attualmente vigente. In estrema sintesi, quindi, il regime tributario delle società cooperative può essere sostanzialmente identificato con una serie di norme agevolative ormai piuttosto annose, sulle quali il legislatore è più volte intervenuto – soprattutto per esigenze di gettito – con il fine di limitarne gli effetti. Il modello che ne è scaturito, pertanto, è il risultato di più interventi riformatori che hanno interessato tanto le disposizioni di carattere generale, quali l’art. 12 della legge n. 904/1977, come alcune specifiche norme di cui al d.p.r. n. 601/1973. © Cesi Multimedia 19 Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative 2.2 Il regime fiscale delle società cooperative: le norme di carattere generale di Andrea Dili La principale norma tributaria di carattere agevolativo comune alla generalità delle società cooperative è senza dubbio contenuta nell’art. 12 della legge n. 904/1977. Essa dispone che «fermo restando quanto disposto dal Titolo III del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, e successive modificazioni ed integrazioni, non concorrono a formare la base imponibile delle società cooperative e dei loro consorzi le somme destinate alle riserve indivisibili, a condizione che sia esclusa la possibilità di distribuirle tra i soci sotto qualsiasi forma, sia durante la vita dell’ente che all’atto del suo scioglimento». In estrema sintesi, prima dei vari interventi riformatori, tale disposizione consentiva di non assoggettare a imposta la quota parte di utile di esercizio che l’assemblea dei soci deliberava di destinare a riserva indivisibile3. Fatte queste premesse, è utile precisare che il concetto di somme destinate a riserve indivisibili attiene necessariamente ad un risultato di bilancio, del quale l’assemblea dei soci può liberamente disporre. Pertanto, qualora l’assemblea deliberasse di accantonare parte dell’utile d’esercizio a riserva indivisibile, tale somma deve essere indicata tra le variazioni in diminuzione del reddito, al fine di determinare l’imponibile da assoggettare a tassazione in sede di dichiarazione dei redditi annuale. Di conseguenza, tale previsione normativa, riferendosi solamente ad una ben individuata parte del reddito dell’esercizio (quota dell’utile netto destinata a riserva indivisibile), potrebbe non essere sufficiente a determinare il mancato assoggettamento ad imposta dell’intero reddito prodotto. Non sarebbe sufficiente, infatti, nei casi in cui, per effetto delle variazioni in aumento ed in diminuzione effettuate ai sensi dell’art. 83 del TUIR, si realizzasse una differenza positiva tra il reddito dell’esercizio, individuato per effetto dell’applicazione delle norme fiscali, e l’utile di esercizio prodotto ed accantonato a riserva indivisibile. Analoghe riflessioni possono essere sviluppate in merito all’applicazione delle altre norme agevolative contenute nella legge n. 59/1992 e parimenti riferite alla generalità delle società cooperative: esse, infatti, contemplano la possibilità di rendere non imponibili ulteriori destinazioni dell’utile netto di esercizio. In particolare, come già evidenziato, non sono sottoposte a tassazione ai fini IRES tanto la quota parte di utile destinato ad aumento gratuito del capitale sociale, nei limiti sopra enunciati (art. 7, comma 3), come i versamenti delle quote di utile destinate ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione (art. 11, comma 9). ------------------------------------------3 In merito occorre evidenziare che il primo comma dell’art. 3 della legge 18 febbraio 1999 n. 28, interpretazione autentica dell’art. 12 legge n. 904/77, chiarisce che «l’utilizzazione delle riserve a copertura di perdite è consentita e non comporta la decadenza dai benefici fiscali, sempre che non si dia luogo a distribuzione di utili fino a quando le riserve non siano state ricostituite». 20 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative L’ulteriore norma di carattere generale dettata a favore delle società cooperative, ovvero il comma 10 dell’art. 21 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, è una disposizione che mira alla razionale applicazione delle altre norme agevolative: concepita, infatti, in un momento storico in cui gli enti cooperativi avevano la possibilità di rendere non imponibile l’intera quota di utile destinata a riserva indivisibile, essa nasceva con il fine di evitare il perverso effetto “imposte su imposte” dovuto all’utilizzo dell’art. 12 della legge n. 904/1977. In estrema sintesi tale norma stabiliva la deducibilità delle imposte sui redditi calcolate sulle variazioni fiscali effettuate ai sensi delle disposizioni del TUIR sul reddito d’impresa. Come accennato, il regime fiscale attualmente in vigore è il risultato di una serie di interventi del legislatore che a partire dal 2002 e fino al 2011 hanno profondamente modificato l’applicazione delle disposizioni sopra esposte. La tecnica legislativa utilizzata non ha comportato il varo di norme innovative, puntando piuttosto su interventi che andassero a restringere il campo di applicazione delle disposizioni dettate fin dagli anni settanta e, per questo, rendendone spesso complicata la pacifica interpretazione. Non essendo questa la sede per ripercorrere l’excursus storico sul regime tributario IRES degli enti cooperativi si cercherà di fornire al lettore un quadro sul regime fiscale attualmente vigente. A ben vedere il regime tributario delle cooperative a mutualità prevalente è oggi delineato dal comma 1 dell’art. 6 del d.l. 15 aprile 2002, n. 63 e dal comma 460 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, così come successivamente modificati4. Entrambe le norme dispongono una parziale disapplicazione dell’art. 12 della legge n. 904/1977, ovvero limitano la possibilità di rendere non imponibile la quota parte di utili netti destinati a riserve non divisibili. In estrema sintesi, dunque, le regole generali di imposizione sulle società cooperative a mutualità prevalente prevedono che l’agevolazione prevista dall’art. 12 non possa comunque trovare applicazione: 1) su una quota pari al 10% dell’utile netto annuale destinata a riserva minima obbligatoria5; 2) su un’ulteriore quota dell’utile netto annuale pari al: - «20 per cento per le cooperative agricole e loro consorzi di cui al decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228, e per le cooperative della piccola pesca e loro consorzi»; - «65 per cento per le cooperative di consumo e loro consorzi»; ------------------------------------------4 Le modifiche sono state operate: dall’art. 82, comma 28, del d.l. 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008, n. 133; dall’art. 2 commi 36-bis e 36-ter del d.l. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011, n. 148. 5 Si ricorda che secondo quanto disposto dall’art. 2545-quater, comma 1 c.c. deve essere destinato a riserva minima obbligatoria almeno il 30% degli utili netti annuali. Di conseguenza tale limitazione (il 10% del 30% degli utili netti) sarà pari al 3% degli utili netti annuali. © Cesi Multimedia 21 Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative - « 40 per cento per le altre cooperative e loro consorzi». Per quanto riguarda le cooperative sociali, tuttavia, in virtù del dispositivo del comma 463 della legge n. 311/20046, i limiti appena evidenziati operano soltanto sul 10% dell’utile netto annuale destinato a riserva minima obbligatoria. È opportuno chiarire che sebbene le limitazioni introdotte dal legislatore fiscale facciano letteralmente riferimento a una mera parziale disapplicazione degli effetti dell’art. 12 della legge n. 904/1977, l’Agenzia delle Entrate ha più volte ribadito come esse debbano essere intese in senso più ampio, comprendendovi anche le disposizioni di cui agli artt. 7 e 11 della legge n. 59/1992. In altre parole l’utilizzo delle agevolazioni fiscali che prevedono esclusioni o deducibilità dal reddito imponibile sarà possibile soltanto dopo aver assicurato a imposizione IRES: il 3% degli utili netti delle cooperative sociali; il 23% degli utili netti delle cooperative agricole e della piccola pesca; il 68% degli utili netti delle cooperative di consumo; il 43% degli utili netti delle altre cooperative. Le società cooperative, dunque, determineranno la base imponibile IRES secondo le seguenti regole generali: una quota minima degli utili netti annuali deve comunque essere sottoposta a tassazione secondo i limiti visti sopra; sulla restante quota degli utili netti annuali possono essere fatte valere le agevolazioni previste dalla legge (articolo 12 della legge n. 904/1977, articolo 7 ed articolo 11, nono comma della legge n. 59/1992); il delta delle variazioni fiscali in aumento e diminuzione concorre alla formazione della base imponibile; in virtù dell’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate sull’applicabilità della disposizione ex comma 10 dell’art. 21 della legge n. 449/1997, rimane deducibile una quota di IRES proporzionale alla quota di utile netto non imponibile. La seguente tabella riepiloga il regime tributario IRES delle società cooperative con riferimento all’applicazione delle norme fiscali di carattere generale: COOPERATIVE A MUTUALITÀ PREVALENTE SOCIALI AGRICOLE / PICCOLA PESCA CONSUMO ALTRE QUOTA UTILE IMPONIBILE QUOTA UTILE NON IMPONIBILE 3% 97% RECUPERO VARIAZIONE IN AUMENTO PER IRES 97% 23% 77% 77% 68% 43% 32% 57% 32% 57% ------------------------------------------6 Tale norma dispone che «Le previsioni di cui ai commi da 460 a 462 non si applicano alle cooperative sociali e loro consorzi di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381». 22 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Prima di sviluppare alcuni casi pratici di calcolo dell’IRES di una società cooperativa, occorre evidenziare che le norme che sono state esposte operano soltanto nei limiti in cui l’assemblea che approva il bilancio di esercizio delibera di destinare quota parte degli utili a riserva indivisibile, fondo mutualistico7 e rivalutazione gratuita del capitale sociale ex art. 7 legge n. 59/1992. Ad esempio, una cooperativa di produzione e lavoro potrà trovarsi nelle seguenti situazioni: CASO 1 DESTINAZIONE UTILE NETTO RISERVA LEGALE FONDO MUTUALISTICO RISERVE INDIVISIBILI TOTALE 30% 3% 67% QUOTA UTILE IMPONIBILE 3% QUOTA UTILE NON IMPONIBILE 27% 40% 30% 43% 57% QUOTA UTILE IMPONIBILE 3% 0 0 40% 17% 60% QUOTA UTILE NON IMPONIBILE 27% 3% 10% 0 0 40% CASO 2 DESTINAZIONE UTILE NETTO RISERVA LEGALE FONDO MUTUALISTICO RISERVE INDIVISIBILI DIVIDENDI RISERVE DIVISIBILI TOTALE 30% 3% 10% 40% 17% Gli stessi casi possono essere sviluppati mediante la seguente simulazione, che mostra i passaggi per procedere al calcolo dell’IRES: Cooperativa di produzione e lavoro Utile ante imposte = 1.500 IRAP = 500 Utile ante IRES = 1.500 – 500 = 1.000 Variazioni in aumento per costi non deducibili (esclusa IRAP) = 470 CASO 1 Destinazione utile: riserva legale 30% ------------------------------------------7 Si noti che la destinazione obbligatoria a riserva legale (30%) deve considerarsi quale destinazione a riserva indivisibile e che, parimenti, è obbligatoria anche la destinazione di una quota pari al 3% degli utili netti annuali ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione. © Cesi Multimedia 23 Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative fondo mutualistico 3% riserve indivisibili 67% Calcolo IRES: risultato ante IRES variazione in aumento per IRAP variazione in aumento per costi non deducibili variazione in diminuzione per accantonamento a riserva legale variazione in diminuzione per accantonamento a fondi mutualistici e a riserve indivisibili imponibile IRES stimato imposta (IRES) utile netto Modello Unico: utile netto variazione in aumento per IRES variazione in aumento per IRAP variazione in aumento per costi non deducibili variazione in diminuzione per accantonamento a riserva legale variazione in diminuzione per accantonamento a fondi mutualistici e a riserve indivisibili variazione in diminuzione per imposte sui redditi (art. 21, comma 10, legge n. 449/1997) reddito imponibile imposta (IRES) (27% di 1.000) 1.000 +500 +470 - 270 (30% di 1.000) - 300 (1.400 x 27,5%) (1.000- 385) 1.400 385 615 (27% di 615) 615 + 385 +500 +470 - 166,05 (30% di 615) - 184,50 (57% di 385)8 - 219,45 (1.400 x 27,5%) 1.400 385 CASO 2 Destinazione utile: riserva legale 30% fondo mutualistico 3% riserve indivisibili 10% dividendi 40% riserve divisibili 17% ------------------------------------------8 Come indicato nelle pagine precedenti, la variazione in diminuzione operata ai sensi dell’art. 21, comma 10 della legge n. 449/1997 «dovrà essere proporzionale alla quota di utili non tassata, calcolata sulla base del rapporto tra l’utile escluso da tassazione e l’utile complessivo». Nel caso in esame, tale rapporto è pari al 57% (350,55/615). 24 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Calcolo IRES: risultato ante IRES variazione in aumento per IRAP variazione in aumento per costi non deducibili variazione in diminuzione per accantonamento a riserva legale variazione in diminuzione per accantonamento a fondi mutualistici e a riserve indivisibili imponibile IRES stimato imposta (IRES) utile netto Modello Unico: utile netto variazione in aumento per IRES variazione in aumento per IRAP variazione in aumento per costi non deducibili variazione in diminuzione per accantonamento a riserva legale variazione in diminuzione per accantonamento a fondi mutualistici e a riserve indivisibili variazione in diminuzione per imposte sui redditi (art. 21, comma 10, legge n. 449/1997) reddito imponibile imposta (IRES) (27% di 1.000) 1.000 +500 +470 - 270 (13% di 1.000) - 130 1.570 431,75 568,25 (1.570 x 27,5%) (1.000- 431,75) 568,25 + 431,75 +500 +470 (27% di 568,25) - 153,43 (13% di 568,25) - 73,87 (40% di 431,75) - 172,70 (1.570 x 27,5%) 1.570 431,75 2.3 Il regime fiscale nelle società cooperative a mutualità prevalente di Sebastiano Di Diego e Giorgio Gentili Come accennato, nell’ambito delle cooperative a mutualità prevalente, il regime fiscale non è univoco ma tende a differenziarsi a seconda delle caratteristiche della cooperativa. In particolare, possono essere individuate regole specifiche per ognuna delle seguenti tipologie di cooperativa: cooperative agricole (e loro consorzi) di cui al d.lgs. n. 228/2001; cooperative agricole di cui all’art. 10 del d.p.r. n. 601/73; cooperative della piccola pesca (e loro consorzi); cooperative di lavoro di cui all’art. 11 del d.p.r. n. 601/73; cooperative sociali; cooperative di consumo; cooperative in genere, diverse dalle precedenti. © Cesi Multimedia 25 Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Per facilitare la nostra esposizione iniziamo da queste ultime riprendendo alcuni concetti descritti nei paragrafi precedenti. Le regole applicabili a questa categoria residuale possono essere così sintetizzate: inapplicabilità dell’art. 12 della legge n. 904/1977: - alla quota del 10% degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria; - alla ulteriore quota del 40% degli utili netti annuali; esenzione da imposte e deducibilità del 3% dell’utile destinato ai fondi mutualistici. Riguardo a quest’ultima agevolazione, tuttavia, riteniamo che la sua applicazione non possa determinare la tassazione di una quota dell’utile inferiore al 43%; a questa conclusione deve giungersi considerando il precedente orientamento dell’Agenzia delle Entrate, espresso nella circolare n. 34/E del 15 luglio 2005, che nonostante il mutato quadro normativo deve ritenersi ancora attuale. Il reddito imponibile ai fini IRES risulterà quindi formato: dalla parte di utile che residua dopo avere escluso la quota non tassabile (normalmente il 43% dell’utile); dalle variazioni nette (es. per costi indeducibili) effettuate in dichiarazione dei redditi. Nel calcolare quest’ultima componente bisogna ricordare che, ai sensi dell’art. 21, comma 10, legge n. 449/1997, non concorre comunque alla formazione del reddito imponibile l’IRES riferibile alle variazioni in aumento e in diminuzione effettuate in dichiarazione dei redditi, diverse da quelle riconosciute dalle leggi speciali per la cooperazione. Tale previsione, applicabile soltanto in presenza di un utile o un maggior utile da destinare a riserva indivisibile, rende possibile l’effettuazione di una variazione in diminuzione in dichiarazione dei redditi corrispondente alla variazione in aumento operata con riferimento alle imposte contabilizzate. In particolare, secondo quanto precisato dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 34/E in esame, la variazione in diminuzione deve essere effettuata limitatamente all’IRES proporzionale alla parte di utile non tassabile (ossia non assoggettata ad imposizione). Di regola, quindi, per le cooperative in genere, considerato che l’utile che concorre a tassazione è soltanto il 43%, la variazione in diminuzione sarà pari al 57% dell’IRES. Sulla base delle considerazioni sopra effettuate, il reddito imponibile ai fini dell’IRES può essere determinato agevolmente utilizzando lo schema riportato nella tavola seguente. 26 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Come per il regime transitorio, anche con il nuovo regime, la determinazione dell’IRES dovuta presuppone la risoluzione di un’equazione matematica. Tale equazione sulla scorta delle considerazione indicate precedentemente dovrà essere formulata nella maniera seguente: Reddito Imponibile = Utile Netto + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) (*) – Utile Netto × 57% – IRES × 57% dove: Utile Netto = Utile Lordo (**) – IRES Sostituendo nell’equazione l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue: Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – (Utile Lordo – IRES) × 0,57 – IRES × 0,57 = Utile Lordo + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – Utile Lordo × 0,57 = Utile Lordo × (1 – 0,57) + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) = Utile Lordo × 0,43 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) Considerando ora che: IRES = Reddito Imponibile × 0,275 © Cesi Multimedia 27 Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che: IRES = [(Utile Lordo × 0,43 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)] × 0,275 = Utile Lordo × 0,11825 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,275 Le ipotesi alla base dell’equazione sono quelle standard (devoluzione del 3% ai fondi mutualistici + accantonamento a riserva indivisibile = almeno il 57% dell’utile civilistico), che permettono di sfruttare al massimo le norme agevolative, minimizzando il carico fiscale. (*) Le “Variaz. aum.” e le “Variaz. dimin.” corrispondono alle variazioni operate in sede di mod. UNICO SC con esclusione di quelle connesse all’applicazione delle disposizioni relative alle società cooperative. Nell’ambito di tali variazioni non sono pertanto comprese: – la variazione in aumento per l’IRES; – le variazioni in diminuzione per l’IRES (nella misura del 57%), per l’accantonamento a riserva legale e a riserva indivisibile, nonché per la destinazione dell’utile al fondo mutualistico. (**) L’Utile Lordo corrispondente all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP. 2.4 Regimi fiscali inerenti particolari categorie di cooperative di Sebastiano Di Diego e Giorgio Gentili 2.4.1 Cooperative agricole e della piccola pesca Cooperative agricole di cui al d.lgs. n. 228/2001 Sono da ricomprendere, in questa categoria: le società cooperative che svolgono le seguenti attività: a) coltivazione del fondo, del bosco ovvero allevamento di animali ed, eventualmente, attività agricole connesse di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli propri e, in misura non prevalente, anche di prodotti acquisiti da terzi; b) fornitura, prevalentemente ai soci, di beni e servizi per l’agricoltura9; le cooperative forestali che forniscono in via principale servizi nel settore selvicolturale di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 227/2001. Per queste cooperative valgono le seguenti regole: inapplicabilità dell’art.12 della legge n. 904/1977: - alla quota del 10% degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria; - alla ulteriore quota del 20% degli utili netti annuali; esenzione da imposte e deducibilità del 3% dell’utile destinato ai fondi mutualisitici. ------------------------------------------9 Non consideriamo in questa sede, pur rientrando nell’ambito di applicazione del d.lgs. n. 228/2001, le cooperative di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti agricoli prevalentemente prodotti da soci. 28 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Il reddito imponibile ai fini IRES risulta quindi formato: dalla parte di utile che residua dopo avere escluso la quota non tassabile; dalle variazioni nette effettuate in dichiarazione dei redditi. Anche in questo caso occorrerà tener conto delle precisazioni contenute nella c.m. n. 34/E, che, come per le cooperative in generale: individua una quota minima di utile (oggi il 23%) comunque soggetta a tassazione; ammette l’effettuazione di una variazione in diminuzione riferita all’IRES, pari di regola al 77%. © Cesi Multimedia 29 Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Come per le cooperative in genere, anche in questo caso il calcolo dell’IRES richiederà la risoluzione di equazione matematica, così impostata: Reddito Imponibile = Utile Netto + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) (*) – Utile Netto × 77% – IRES × 77% dove: Utile Netto = Utile Lordo (**) – IRES Sostituendo nella predetta formula l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue: Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – (Utile Lordo – IRES) × 0,77 – IRES × 0,77 = Utile Lordo + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – Utile Lordo × 0,77 = Utile Lordo × (1 – 0,77) + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) = Utile Lordo × 0,77 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) Considerando ora che: IRES = Reddito Imponibile x 0,275 Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che: IRES = [(Utile Lordo × 0,23 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)] × 0,275 = Utile Lordo × 0,06325 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,275 Le ipotesi alla base dell’equazione sono quelle standard (devoluzione del 3% ai fondi mutualistici + accantonamento a riserva indivisibile = almeno il 77% dell’utile civilistico), che permettono di sfruttare al massimo le norme agevolative, minimizzando il carico fiscale. (*) Le “Variaz. aum.” e le “Variaz. dimin.” corrispondono alle variazioni operate in sede di mod. UNICO SC con esclusione di quelle connesse all’applicazione delle disposizioni relative alle società cooperative. Nell’ambito di tali variazioni non sono pertanto comprese: – la variazione in aumento per l’IRES; – le variazioni in diminuzione per l’IRES (nella misura del 77%), per l’accantonamento a riserva legale e a riserva indivisibile, nonché per la destinazione dell’utile al fondo mutualistico. (**) L’Utile Lordo corrisponde all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP. Cooperative agricole di cui all’art. 10 del d.p.r. n. 601/1973 Rientrano in questa categoria le società cooperative che svolgono le seguenti attività: allevamento di animali con mangimi ottenuti per almeno un quarto dai terreni dei soci; manipolazione, conservazione, valorizzazione, trasformazione e alienazione, di prodotti agricoli e zootecnici e di animali conferiti prevalentemente dai soci. Per queste cooperative viene esclusa l’applicabilità dell’agevolazione contenuta nell’art. 10 del d.p.r. n. 601/1973 “limitatamente alla lettera a) del comma 1” e quindi “per la quota del 20% degli utili netti annuali”; ne consegue pertanto la tassazione del 20% dell’utile. Nessun impatto ha, invece, la limitazione di cui all’art. 6, comma 1, del d.l. n. 63/2002, che sancisce l’inapplicabilità dell’art. 12 al 10% dell’accantonamento obbligatorio a riserva legale. 30 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Le cooperative in esame, infatti, possono ottenere l’agevolazione di questa quota dell’utile civilistico usufruendo dell’art. 10 del d.p.r. n. 601/1973, relativamente al quale, come detto, opera unicamente l’inapplicabilità al 20% dell’utile. L’agevolazione di cui all’art. 10, inoltre, si applica al reddito imponibile e non al risultato civilistico, per cui nessun rilievo assume l’accantonamento o meno a riserva indivisibile; ne deriva quindi che essa rende esenti: l’80% dell’utile civilistico, anche qualora venga destinato alla remunerazione del capitale ovvero alla costituzione di riserve dividibili a favore dei soci finanziatori10; le riprese fiscali nette operate in sede di dichiarazione. Ai fini della determinazione dell’IRES dovuta, l’equazione da considerare sarà la seguente: Reddito Imponibile = Utile Netto – Utile Netto × 80% dove: Utile Netto = Utile Lordo (*) – IRES Sostituendo nella predetta formula l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue: Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES – Utile Lordo × 0,80 + IRES × 0,80 = 0,20 × Utile Lordo – 0,20 × IRES Considerando ora che: IRES = Reddito Imponibile × 0,275 Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che: IRES = [0,20 × Utile Lordo – 0,20 × IRES] × 0,275 IRES + 0,055 IRES = 0,055 × Utile Lordo IRES = 0,055 × Utile Lordo/1,055 = 0,0652133 × Utile Lordo (*) L’Utile Lordo corrisponde all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP. ------------------------------------------10 Questa conclusione che ci pare pacifica, non sembra però venga condivisa dalla c.m. 34/E, la quale afferma, a nostro avviso troppo frettolosamente che: “resta fermo che, qualora la delibera di destinazione dell’utile preveda la distribuzione ai soci di un importo superiore alle predette quote del 20 (...) per cento, tale maggiore importo dovrà essere assoggettato ad imposizione fiscale, non trovando applicazione la norma di cui al citato art. 12”. © Cesi Multimedia 31 Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Cooperative della piccola pesca Sono considerate cooperative della piccola pesca quelle che esercitano professionalmente la pesca marittima con l’impiego esclusivo di navi assegnate alle categorie 3 e 4 di cui all’art. 8 del d.p.r. n. 1639/1968 o la pesca in acque interne. Per tali cooperative, la determinazione del reddito imponibile soggiace alle seguenti regole: esenzione da imposte e deducibilità del 3% dell’utile destinato ai fondi mutualistici; inapplicabilità delle agevolazioni di cui all’art. 12 della legge n. 904/1977 e all’art. 10 del d.p.r. n. 601/1973 “per la quota del 20% degli utili netti annuali”. Ne deriva, quindi, un regime fiscale del tutto analogo a quelle delle cooperative agricole di cui all’art. 10 del d.p.r. n. 601/1973, analizzato nel paragrafo precedente. 2.4.2 Cooperative di produzione e lavoro Le cooperative di lavoro sono quelle che si avvalgono nello svolgimento della loro attività delle prestazioni lavorative dei soci. Il regime fiscale delineato per tali cooperative coincide in larga parte con quello previsto per le cooperative in genere. L’unico elemento di differenziazione consiste nella possibilità di continuare ad applicare l’agevolazione contenuta nell’art. 11 del d.p.r. n. 32 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative 601/1973 “limitatamente al reddito imponibile derivante dall’indeducibilità dell’imposta regionale sulle attività produttive”. Ne deriva, quindi, la possibilità di considerare esente ovvero di assoggettare ad aliquota IRES ridotta alla metà, il reddito imponibile generato dalla ripresa fiscale dell’IRAP, a seconda del valore assunto dal seguente indice: ammontare delle retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci/ ammontare complessivo di tutti gli altri costi tranne quelli relativi alle materie prime e sussidiarie. In particolare, tale quota del reddito imponibile sarà esente qualora il valore dovesse essere pari almeno al 50%; tassato con aliquota ridotta alla metà qualora, invece, il valore dovesse essere inferiore al 50% ma non al 25%. © Cesi Multimedia 33 Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Ai fini della determinazione dell’IRES dovuta, l’equazione da considerare è la stessa prevista per le cooperative in genere, con l’avvertenza che tra le variazioni in aumento non va considerata l’IRAP, se l’indice previsto dall’art. 10 del d.p.r. n. 601/1973 è pari almeno al 50%; va considerata la metà dell’IRAP, se tale indice è inferiore al 50% ma non al 25%. IRES = Utile Lordo × 0,11825 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,275 Tra le variazioni in aumento non va considerata l’IRAP, se il rapporto tra l’ammontare delle retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci e l’ammontare complessivo di tutti gli altri costi tranne quelli relativi alle materie prime e sussidiarie è pari almeno al 50%; va considerata la metà dell’IRAP, se tale rapporto è inferiore al 50% ma non al 25%. 2.4.3 Cooperative sociali Il regime fiscale delle cooperative sociali, a seguito delle novità introdotte dalla Manovra di Ferragosto (legge n. 148/2011), risulta piuttosto articolato. Anche nei confronti di queste cooperative, infatti, trova applicazione la c.d. limitazione generale che consiste nell’inapplicabilità dell’art. 12 della legge n. 904/1977 “alla quota del 10% degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria”. Non sono state invece previste limitazioni speciali; come in passato le previsioni di cui ai commi da 460 a 462 continuano a non applicarsi alle cooperative sociali e loro consorzi di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381. Ne consegue la possibilità di continuare a detassare integralmente il reddito imponibile, nel caso in cui la cooperativa rispetti la condizione di cui all’art. 11 del d.p.r. n. 601/1973. Nello specifico i casi che si possono verificare nella realtà sono tre e a ciascuno di essi si ricollega uno specifico trattamento fiscale: cooperativa sociale che si trova nella seguente condizione (Caso 1): retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci che prestano la loro opera con carattere di continuità superiore o uguale al 50% dell’ammontare complessivo di tutti gli altri costi tranne quelli relativi alle materie prime e sussidiarie; cooperativa sociale che si trova nella seguente condizione (Caso 2): retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci che prestano la loro opera con carattere di continuità inferiore al 50% ma non al 25% dell’ammontare complessivo degli altri costi tranne quelli relativi alle materie prime e sussidiarie; cooperativa sociale che si trova nella seguente condizione (Caso 3): retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci che prestano la loro opera con carattere di continuità inferiore al 25% dell’ammontare complessivo degli altri costi tranne quelli relativi alle materie prime e sussidiarie. 34 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Nel Caso 1, lo schema di riferimento per la determinazione dell’IRES è il seguente: Nel Caso 2, l’IRES verrà calcolata applicando l’aliquota ridotta alla metà in base all’art. 11 del d.p.r. n. 601/1973 al reddito imponibile calcolato sulla base del seguente schema. Nello specifico il calcolo dell’IRES richiederà la risoluzione di equazione matematica, così impostata: © Cesi Multimedia 35 Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Reddito Imponibile = Utile Netto + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) (*) – Utile Netto × 90% – IRES × 90% dove: Utile Netto = Utile Lordo (**) – IRES Sostituendo nella predetta formula l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue: Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – (Utile Lordo – IRES) × 0,90 – IRES × 0,90 = Utile Lordo + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – Utile Lordo × 0,90 = Utile Lordo × 10 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) = Utile Lordo × 0,10 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) Considerando ora che: IRES = Reddito Imponibile × (27,5%/2) Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che: IRES = [(Utile Lordo × 0,10 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)] × 0,1375 = Utile Lordo × 0,01375 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,1375 Le ipotesi alla base dell’equazione sono quelle standard (devoluzione del 3% ai fondi mutualistici + accantonamento a riserva indivisibile = almeno il 90% dell’utile civilistico), che permettono di sfruttare al massimo le norme agevolative, minimizzando il carico fiscale. (*) Le “Variaz. aum.” e le “Variaz. dimin.” corrispondono alle variazioni operate in sede di mod. UNICO SC con esclusione di quelle connesse all’applicazione delle disposizioni relative alle società cooperative. Nell’ambito di tali variazioni non sono pertanto comprese: – la variazione in aumento per l’IRES; – le variazioni in diminuzione per l’IRES (nella misura del 90%), per l’accantonamento a riserva legale e a riserva indivisibile, nonché per la destinazione dell’utile al fondo mutualistico. (**) L’Utile Lordo corrisponde all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP. Nel Caso 3, infine, il calcolo dell’IRES è analogo al caso precedente; l’unica differenza è l’utilizzo dell’aliquota ordinaria IRES. Nello specifico il calcolo dell’IRES richiederà la risoluzione di equazione matematica, così impostata: Reddito Imponibile = Utile Netto + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) (*) – Utile Netto × 90% – IRES × 90% dove: Utile Netto = Utile Lordo (**) – IRES Sostituendo nella predetta formula l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue: Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – (Utile Lordo – IRES) × 0,90 – IRES × 0,90 = Utile Lordo + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – Utile Lordo × 0,90 = Utile Lordo × 10 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) = Utile Lordo × 0,10 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) Considerando ora che IRES = Reddito Imponibile × (27,5%) Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che: IRES = [(Utile Lordo × 0,10 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)] × 0,275 = Utile Lordo × 0,0275 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,275 Le ipotesi alla base dell’equazione sono quelle standard (devoluzione del 3% ai fondi mutualistici + accantonamento a riserva indivisibile = almeno il 90% dell’utile civilistico), che permettono di sfruttare al massimo le norme agevolative, minimizzando il carico fiscale. (*) Le “Variaz. aum.” e le “Variaz. dimin.” corrispondono alle variazioni operate in sede di mod. 36 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative UNICO SC con esclusione di quelle connesse all’applicazione delle disposizioni relative alle società cooperative. Nell’ambito di tali variazioni non sono pertanto comprese: – la variazione in aumento per l’IRES; – le variazioni in diminuzione per l’IRES (nella misura del 90%), per l’accantonamento a riserva legale e a riserva indivisibile, nonché per la destinazione dell’utile al fondo mutualistico. (**) L’Utile Lordo corrisponde all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP. 2.4.4 Banche di credito cooperativo Le Banche di credito cooperativo hanno tipicamente lo scopo di favorire i soci nelle operazioni e nei servizi di banca, perseguendo il miglioramento delle condizioni morali, culturali ed economiche degli stessi e promuovendo lo sviluppo della cooperazione e l’educazione al risparmio e alla previdenza. Da un punto di vista fiscale le regole che occorre tenere a mente per determinare l’IRES sono le seguenti: inapplicabilità dell’art. 12 della legge n. 904/1977: - alla quota del 10% degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria (considerato che l’accantonamento a riserva legale è pari al 70% dell’utile è quindi tassato il 7% dell’utile); - alla ulteriore quota del 40% degli utili netti annuali; esenzione da imposte e deducibilità del 3% dell’utile destinato ai fondi mutualistici. Reddito Imponibile = Utile Netto + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) (*) – Utile Netto × 53% – IRES × 53% dove: Utile Netto = Utile Lordo (**) – IRES Sostituendo nella predetta formula l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue: Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – (Utile Lordo – IRES) × 0,53 – IRES × 0,53 = Utile Lordo + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – Utile Lordo × 0,53 = Utile Lordo × (1 – 0,53) + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) = Utile Lordo × 0,47 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) Considerando ora che: IRES = Reddito Imponibile × 0,275 Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che: IRES = [(Utile Lordo × 0,47+ (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)] × 0,275 = Utile Lordo × 0,12925+ (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,275 (*) Le “Variaz. aum.” e le “Variaz. dimin.” corrispondono alle variazioni operate in sede di mod. UNICO SC con esclusione di quelle connesse all’applicazione delle disposizioni relative alle società cooperative. Nell’ambito di tali variazioni non sono pertanto comprese: – la variazione in aumento per l’IRES; – le variazioni in diminuzione per l’IRES (nella misura del 53%), per l’accantonamento a riserva legale e a riserva indivisibile, nonché per la destinazione dell’utile al fondo mutualistico. (**) L’Utile Lordo corrisponde all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP. © Cesi Multimedia 37 Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative 2.4.5 Cooperative di consumo Le cooperative di consumo forniscono beni a favore dei soci consumatori; da un punto di vista fiscale sono destinatarie delle seguenti norme: inapplicabilità dell’art. 12 della legge n. 904/1977: - alla quota del 10% degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria; - alla ulteriore quota del 65% degli utili netti annuali; esenzione da imposte e deducibilità del 3% dell’utile destinato ai fondi mutualistici. 38 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Reddito Imponibile = Utile Netto + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) (*) – Utile Netto × 32% – IRES × 32% dove: Utile Netto = Utile Lordo (**) – IRES Sostituendo nella predetta formula l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue: Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – (Utile Lordo – IRES) × 0,32 – IRES × 0,32 = Utile Lordo + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – Utile Lordo × 0,32 = Utile Lordo × (1 – 0,32) + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) = Utile Lordo × 0,68 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) Considerando ora che: IRES = Reddito Imponibile × 0,275 Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che: IRES = [(Utile Lordo × 0,68+ (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) ] × 0,275 = Utile Lordo × 0,187 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,275 Le ipotesi alla base dell’equazione sono quelle standard (devoluzione del 3% ai fondi mutualistici + accantonamento a riserva indivisibile = almeno il 32% dell’utile civilistico), che permettono di sfruttare al massimo le norme agevolative, minimizzando il carico fiscale. (*) Le “Variaz. aum.” e le “Variaz. dimin.” corrispondono alle variazioni operate in sede di mod. UNICO SC con esclusione di quelle connesse all’applicazione delle disposizioni relative alle società cooperative. Nell’ambito di tali variazioni non sono pertanto comprese: – la variazione in aumento per l’IRES; – le variazioni in diminuzione per l’IRES (nella misura del 32%), per l’accantonamento a riserva legale e a riserva indivisibile, nonché per la destinazione dell’utile al fondo mutualistico. (**) L’Utile Lordo corrisponde all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP. 2.4.6 Cooperative a mutualità non prevalente Le cooperative diverse si differenziano da quelle a mutualità prevalente e rappresentano “un modello residuale”, che, a ben vedere, comprende due varianti: quello della cooperativa che oltre a non prevedere la prevalenza non prevede nemmeno le clausole di non lucratività; quello della cooperativa che non presenti uno solo dei due requisiti richiesti per la appartenenza alla categoria privilegiata. Il regime fiscale di tali cooperative è delineato dal comma 464 e, a ben vedere, diversamente dalle aspettative, non risulta eccessivamente penalizzante. Viene, infatti, previsto che “A decorrere dall’esercizio in corso al 31 dicembre 2004, in deroga all’art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212, per le società cooperative e loro consorzi diverse da quelle a mutualità prevalente l’applicabilità dell’art. 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904, è limitata alla quota del 30% degli utili netti annuali, a condizione che tale quota sia destinata ad una riserva indivisibile prevista dallo statuto”. Tale norma tuttavia va coordinata con la novità introdotta all’art. 2, comma 36-ter, della Manovra di Ferragosto, che stabilisce per la generalità delle cooperative l’impossibilità © Cesi Multimedia 39 Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative di applicare l’art. 12 della legge 16 dicembre 1977, n. 904 alla quota del 10% degli utili netti annuali destinati alla riserva minima obbligatoria11. Ne deriva, quindi, considerando l’ulteriore esenzione del 3% da riconoscersi anche alle cooperative a mutualità non prevalente12, la possibilità di sottrarre a tassazione il 30% dell’utile civilistico. L’equazione per il calcolo dell’IRES avrà il seguente contenuto: Reddito Imponibile = Utile Netto + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) (*) – Utile Netto × 30% – IRES × 30% dove: Utile Netto = Utile Lordo (**) – IRES Sostituendo nella equazione l’Utile Netto con “Utile Lordo – IRES”, si ottiene quanto segue: Reddito Imponibile = Utile Lordo – IRES + IRES + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – (Utile Lordo – IRES) × 0,30 – IRES × 0,30 = Utile Lordo + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) – Utile Lordo × 0,30 = Utile Lordo × (1 – 0,30) + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) = Utile Lordo × 0,70 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) Considerando ora che: IRES = Reddito Imponibile × 0,275 Sostituendo il Reddito Imponibile con quanto sopra determinato, si verifica che: IRES = [(Utile Lordo × 0,70 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.)] × 0,275 = Utile Lordo × 0,1925 + (Variaz. aum. – Variaz. dimin.) × 0,275 ------------------------------------------11 Si ricorda che in base alla precedente formulazione l’intero accantonamento a riserva legale obbligatoria non rilevava ai fini IRES. 12 Cfr. c.m. n. 34/E, che però esclude per queste cooperative l’applicabilità dell’agevolazione di cui all’art. 7 della legge n. 59/1992. 40 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Le ipotesi alla base dell’equazione sono quelle standard (devoluzione del 3% ai fondi mutualistici e indivisibilità della riserva legale), che permettono di sfruttare al massimo le norme agevolative, minimizzando il carico fiscale. (*) Le “Variaz. aum.” e le “Variaz. dimin.” corrispondono alle variazioni operate in sede di mod. UNICO SC con esclusione di quelle connesse all’applicazione delle disposizioni relative alle società cooperative. Nell’ambito di tali variazioni non sono pertanto comprese: – la variazione in aumento per l’IRES; – le variazioni in diminuzione per l’IRES (nella misura del 30%), per l’accantonamento a riserva legale indivisibile, nonché per la destinazione dell’utile al fondo mutualistico. (**) L’Utile Lordo corrisponde all’utile civilistico prima delle imposte sul reddito al netto dell’IRAP. 2.5 Il riporto delle perdite fiscali di Andrea Dili La panoramica sul regime fiscale IRES delle società cooperative si conclude con un intervento dedicato alla riportabilità delle perdite fiscali, fermo restando che le problematiche connesse all’applicazione degli studi di settore verranno trattate in un apposito approfondimento. Per quanto attiene al regime di riporto delle perdite fiscali, il sistema attualmente vigente prevede accanto ad una regola di carattere generale alcune limitazioni che riguardano tutte quelle attività che fruiscono di regimi di parziale o totale detassazione del reddito ovvero di un regime di esenzione dell’utile. Come noto, le società cooperative possono rientrare in entrambe le fattispecie, anche se – come vedremo – l’effettiva applicabilità di tali limitazioni agli enti cooperativi attiene soltanto alla seconda delle due. In estrema sintesi, la regola generale relativa al riporto delle perdite viene stabilita dal primo periodo del primo comma dell’art. 84 del TUIR laddove viene stabilito che «la perdita di un periodo d’imposta, determinata con le stesse norme valevoli per la determinazione del reddito, può essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta successivi, in misura non superiore all’ottanta per cento del reddito imponibile di ciascuno di essi». In altre parole, le perdite fiscali possono essere utilizzate per abbattere il reddito imponibile di un soggetto IRES nel limite dell’80% del reddito stesso. Una prima eccezione a tale regola viene disposta dal secondo comma dello stesso articolo 84: in buona sostanza, le perdite realizzate nei primi tre periodi d’imposta dalla data di costituzione possono essere computate in diminuzione dell’intero reddito dei periodi d’imposta successivi, a condizione che si riferiscano ad una nuova attività produttiva. Fatte queste premesse, si osserva come il legislatore fiscale sia intervenuto sul regime della riportabilità delle perdite fissando, per alcuni soggetti, delle regole decisamente più sfavorevoli, con l’obiettivo di realizzare un criterio di simmetria tra imponibilità del risultato positivo e deducibilità del risultato negativo. © Cesi Multimedia 41 Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative In tal senso possiamo rilevare tre fattispecie, che in passato hanno suscitato proprio in relazione all’applicabilità alle società cooperative vari dubbi interpretativi. Ci si riferisce: al terzo periodo del primo comma dell’art. 84 che dispone che la perdita fiscale deve essere diminuita dei proventi esenti – diversi da quelli Pex – per la parte che eccede i componenti negativi non dedotti ai sensi del comma 5 dell’art. 109 del TUIR. In merito all’applicabilità di tale limitazione alle società cooperative, la circolare Agenzia delle Entrate 9 luglio 2003 n. 37/E ha avuto modo di precisare come essa non possa trovare applicazione «in presenza di componenti di reddito d’impresa non imponibili per ragioni di ordine sostanziale o esenti in applicazione delle disposizioni agevolative di cui agli articoli 10 e 11 del d.p.r. n. 601 del 1973»; al secondo periodo del primo comma dell’art. 83 del TUIR che in presenza di attività che generano redditi integralmente o parzialmente esenti da imposta prevede che le perdite fiscali assumano la medesima rilevanza dei risultati positivi. La dottrina ha dibattuto intensamente sull’applicabilità di tale norma alle società cooperative, dove la presenza di redditi esenti può verificarsi a causa dell’applicazione delle seguenti norme: ˗ art. 10 del d.p.r. n. 601/1973, per le cooperative agricole e per le cooperative della piccola pesca; ˗ art. 11, primo comma, primo periodo del d.p.r. n. 601/1973, per le cooperative di produzione e lavoro e per le cooperative sociali. A ben vedere, tuttavia, la risoluzione Agenzia delle Entrate 13 dicembre 2010 n. 129/E ha chiarito come anche tale disposizione non possa trovare applicazione nei confronti delle società cooperative13; al secondo periodo del primo comma dell’art. 84 del TUIR che dispone che «per i soggetti che fruiscono di un regime di esenzione dell’utile la perdita è riportabile per l’ammontare che eccede l’utile che non ha concorso alla formazione del reddito negli esercizi precedenti». Tale norma non presenta particolari problemi interpretativi e sembra proprio pensata per essere applicata alle cooperative. La relazione tecnica alla legge Finanziaria 2007, precisa, infatti, che «la norma stabilisce altresì un limite al riporto al futuro della perdita di esercizio (a riduzione dei futuri redditi di esercizio fino al quinto) nei confronti delle coo- ------------------------------------------13 A supporto di tale tesi l’Agenzia delle Entrate sostiene che le esenzioni previste dagli artt. 10 e 11 del d.p.r. n. 601/1973 a differenza di quelle richiamate nella relazione tecnica al disegno di legge finanziaria 2007, che aveva introdotto una prima analoga formulazione della norma, «non si basano su una percentuale prestabilita di esenzione dal reddito, ma sono calcolate in fase di determinazione della base imponibile prendendo a riferimento valori quali gli utili netti annuali accantonati ovvero l’IRAP computata tra le variazioni in aumento. Ciò importa che l’incidenza del beneficio fiscale sul reddito della società cooperativa, in questi casi, non è individuato da una percentuale fissa, ma è oggetto di variazione nei diversi periodi di imposta. In altri termini, in assenza di una percentuale prestabilita che consenta di determinare l’ammontare di reddito esente, non è individuabile nel periodo d’imposta in cui è realizzata una perdita fiscale la “misura in cui assumerebbero rilevanza i risultati positivi”». 42 © Cesi Multimedia Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative perative a mutualità prevalente, in considerazione del fatto che una quota dell’utile civilistico (ex art. 12 legge n. 904/77) può essere imputata a riserva indivisibile in esenzione di imposta e che una altra quota è destinata – in sospensione di imposta – a riserva obbligatoria». L’applicazione della norma da un punto di vista operativo è relativamente semplice: dalle perdite fiscali devono essere sottratte le quote di utili netti che, nei precedenti esercizi, non hanno concorso in base all’art. 12, legge n. 904/1977 (o ad analoghe agevolazioni) alla formazione del reddito. In altre parole, occorrerà predisporre una sorta di “basket” dove allocare la quota parte di utile che non ha concorso alla formazione del reddito imponibile, da cui attingere al verificarsi di perdite fiscali per determinare la quota di queste ultime riportabile negli esercizi futuri. La seguente simulazione chiarisce le modalità applicative della norma14: ESERCIZIO 2013 Utile netto Riserva legale (30%) Contributo 3% fondi mutualistici Riserva indivisibile ex art. 12 legge n. 904/1977 (37%) Quota comunque sottoposta a tassazione Basket (quota parte di utile che non ha concorso alla formazione del reddito imponibile) ESERCIZIO 2014 Utile netto Riserva legale (30%) Contributo 3% fondi mutualistici Riserva indivisibile ex art. 12 legge n. 904/1977 (37%) Quota comunque sottoposta a tassazione Quota parte di utile che non ha concorso alla formazione del reddito imponibile Totale Basket ESERCIZIO 2015 Perdita fiscale Perdita fiscale riportabile 1.000 300 30 670 43% di 1.000 = 430 57% di 1.000 = 570 500 150 15 335 43% di 500 = 215 57% di 500 = 285 570 + 285 = 855 2.000 2.000 – 855 = 1.145 ------------------------------------------14 Il riferimento è ad una cooperativa ex art. 1, comma 460, lettera b) della legge 30 dicembre 2004, n. 311. © Cesi Multimedia 43 Capitolo 2 – Il regime fiscale delle società cooperative Per le società cooperative, dunque, la disciplina del riporto delle perdite attualmente vigente può essere riassunta dalla seguente tabella: FATTISPECIE Redditi esenti Utili esenti 44 RIPORTO DELLE PERDITE FISCALI: SOCIETÀ COOPERATIVE DISCIPLINA NORMA DI DISPOSIZIONI FISCALI RIPORTABILITÀ RIFERIMENTO “AGEVOLATIVE” DELLE PERDITE In caso di attività che Art. 10 d.p.r. n. fruiscono di regimi di 601/1973 (cooperative parziale o totale deArt. 83, primo agricole e cooperative tassazione del reddi- comma, sedella piccola pesca); to, le relative perdite condo periodo art. 11, primo comma, fiscali assumono rile- d.p.r. 22 diprimo periodo d.p.r. n. vanza nella stessa cembre 1986, 601/1973 (cooperative misura in cui assun. 917. di produzione e lavoro merebbero rilevanza i e cooperative sociali). risultati positivi. Per i soggetti che fruiscono di un regime di esenzione Art. 84, primo Art. 12 legge n. dell’utile la perdita è comma, se904/1977; art. 7, riportabile per condo periodo comma 3, legge n. l’ammontare che ecd.p.r. 22 di59/1992; art. 11, cede l’utile che non cembre 1986, comma 9, legge n. ha concorso alla forn. 917. 59/1992. mazione del reddito negli esercizi precedenti. APPLICABILITÀ ALLE SOCIETÀ COOPERATIVE no si © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Approfondimenti 3. Approfondimenti 3.1 La società cooperativa per la risoluzione della crisi: workers buy out di Mirko Simone A mio padre, Angelo Simone, grande uomo e grande cooperatore 3.1.1 Cos’è il WBO Le operazioni di WBO rientrano nell’ampio genus delle operazioni straordinarie di corporate reorganization note nel gergo comune con la locuzione di Merger & Acquisition. Workers buy out significa “acquisizione da parte dei dipendenti” e si sostanzia in una serie di operazioni, di tipo societario e finanziario, finalizzate all’acquisizione di una azienda da parte dei suoi “lavoratori”. Quindi il WBO è quell’operazione che trasforma i dipendenti di un’impresa, mediante la formazione di una cooperativa, nei proprietari della stessa. Nella particolare fase di vita di una azienda in cui si impongono decisioni circa l’avvicendamento nella proprietà o la prosecuzione dell’attività in considerazione della crisi in cui la stessa versa, con ripercussioni in entrambi i casi pesanti sulle maestranze, l’operazione di WBO “cooperativo” rappresenta una soluzione che riesce, se opportunamente gestita e meditata, a realizzare l’ottima composizione degli interessi di tutti gli stakeholders in campo. L’operazione di WBO “cooperativo” (in fase di crisi) differisce dallo schema tipo delle altre fattispecie di operazione di Buy Out note alla letteratura aziendale (c.d. leveraged buy out – management buy out), in quanto i promotori (dipendenti) costituiscono una NewCoop ed ottengono risorse finanziarie (non solo a titolo di capitale di debito), non per acquisire le azioni (controllo) della Target Company e poi essere in quest’ultima incorporata (c.d. fusione inversa), ma per rilevare dalla Target Company il ramo d’azienda o l’intera azienda ed integrarla in un processo di riorganizzazioneristrutturazione all’interno della NewCoop (la Target Company segue il suo destino). In un grave periodo di crisi, come quello attuale, sono sempre di più i casi in cui gli ex dipendenti dell’azienda in crisi, per non perdere il lavoro, si organizzano in forma cooperativa al fine di rilevare l’azienda, apportando il TFR e la eventuale indennità di mobilità. Spesso in Italia l’operazione di WBO viene attuata quando l’azienda è in piena crisi, ormai al collasso e quindi sull’orlo del fallimento. © Cesi Multimedia 45 Capitolo 3 – Approfondimenti Ci sono state diverse esperienze per lo più nate dalle ceneri di aziende ormai al collasso. Sembrerebbe, pertanto, che il vero motore di queste iniziative sia la crisi. Il problema, però, è che queste cooperative nascono come risposta alla situazione di crisi, ma operano in un mercato in crisi. Questo fa sì che lo stesso fattore che le ha portate alla luce ne può determinare il fallimento. La NewCoop potrà continuare a sopravvivere solo se alla base ci sono fattori cardine quale la motivazione e determinazione dei soci lavoratori, la solidità, la capacità manageriale e soprattutto il mercato. Il WBO potrebbe essere un valido strumento, non solo per superare i periodi di crisi aziendali, ma anche per risolvere un grave problema che affligge le PMI italiane: la successione e l’avvicendamento generazionale. In questi casi, cioè quando un imprenditore per raggiunti limiti d’età o per qualsiasi altro motivo passa la mano e non ci sono figli che possono – o vogliono – subentrare alla testa dell’azienda, l’intervento dei dipendenti, oltre a mettere a frutto esperienza maturata sul campo e salvare maestranze che altrimenti andrebbero perdute, potrebbe essere la migliore via d’uscita. 3.1.2 Come funziona il WBO: le fasi tecniche Le fasi salienti dell’operazione di WBO possono riassumersi in cinque punti: i dipendenti, soggetti promotori, hanno l’obiettivo di acquisire il patrimonio della società bersaglio (Target Company), cioè l’azienda stessa in cui lavorano; i dipendenti costituiscono una nuova società, la NewCoop, versando le quote del capitale sociale (che possono provenire anche dall’anticipo della indennità di mobilità o dal Tfr); gli “investitori istituzionali (fondi mutualistici, finanziarie cooperative)” partecipano al capitale di rischio della NewCoop in qualità di soci finanziatori/sovventori; la NewCoop ottiene un ulteriore flusso monetario a titolo di capitale di debito dal mondo bancario o dagli “investitori istituzionali”, sfruttando l’effetto leva derivante dalla significativa capitalizzazione conseguita; la NewCoop acquisisce il ramo o l’intera azienda dalla Target Company. 46 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Approfondimenti I lavoratori, pertanto, dopo aver trovato un accordo sindacale, costituiscono la Newco. Dopo questa operazione sarà quindi necessario recuperare il capitale adeguato per far ripartire la nuova azienda con un nuovo management ed una nuova attività da portare avanti. Si rivolgono all’eventuale curatore fallimentare o liquidatore al fine di acquisire o affittare l’azienda o ramo d’azienda in crisi. Tale operazione può sembrare molto rischiosa e difficile, ma grazie anche ad alcuni strumenti si sta diffondendo sempre di più. Uno degli strumenti più importanti è la diffusione dei Fondi Mutualistici, nati con la legge n. 59/1992, che sostengono la “promozione e lo sviluppo della cooperazione, dando vita ad un circuito virtuoso in grado di sviluppare la forma cooperativa con risorse generate al suo interno”. Tali fondi mutualistici partecipano al capitale delle cooperative accanto alle risorse proprie dell’impresa. In Italia ci sono stati casi importanti di WBO quali la RI-MAFLOW di Trezzano sul Naviglio (MI), la GRESLAB di Scandiano o la FENIX PHARMA di Roma. Queste esperienze dimostrano come spesso può essere più sicuro gestire direttamente il proprio lavoro, piuttosto che affidare ad altri il proprio destino lavorativo e sperare che questi non sia così affamato di profitto da distruggere la propria vita. Il modello cooperativo si adatta particolarmente bene alle nuove imprese (NEWCO) che in genere sono piccole e medie imprese ed inoltre, tale forma, è meno onerosa da gestire rispetto ad altre forme di società di capitali. La società cooperativa, infatti, per le obbligazioni sociali risponde unicamente con il suo patrimonio (art. 2518 c.c.), i soci godono, dunque, di una responsabilità limitata corrispondente a quella dei soci di s.p.a. o s.r.l.. Essa è un’organizzazione democratica, in cui tutti i soci hanno la facoltà di partecipare attivamente alla vita societaria vigendo il principio di “una testa un voto”, secondo cui ogni socio ha diritto ad uno ed un © Cesi Multimedia 47 Capitolo 3 – Approfondimenti solo voto in assemblea qualunque sia il valore della sua quota o il numero delle azioni possedute (art. 2538 c.c.). Essere una cooperativa, però, non significa essere una Comune; significa comunque avere una stratificazione dei livelli, delle funzioni e delle responsabilità, ognuno in base alle competenze che ha sviluppato durante la propria vita e carriera lavorativa. Significa inoltre condividere uno spirito ed un modo di discutere e collaborare perfettamente democratico che non si riscontrano in altri contesti. Non bisogna pensare che il valore aggiunto provenga dalla forma giuridica della società cooperativa; il valore aggiunto è dato dalla società cooperativa inserita in un ambito più ampio che è quello del movimento cooperativo. L’elemento distintivo delle società cooperative rispetto a tutti gli altri tipi di società non risiede tanto nella struttura organizzativa, quanto nello scopo economico perseguito, ossia lo scopo mutualistico che si distingue da quello lucrativo. Lo scopo mutualistico delle cooperative consiste in una reciprocità di prestazioni tra società e soci (la c.d. gestione di servizio) che è assente dallo scopo delle società ordinarie. Mentre infatti le società ordinarie debbono conseguire (lucro oggettivo) e ripartire (lucro soggettivo) utili patrimoniali derivanti dall’esercizio di una attività economica con il mercato, le cooperative debbono, invece, svolgere la loro attività direttamente per i propri soci e a condizioni di favore rispetto a quelle praticate sul mercato. Lo scopo prevalente dell’attività di impresa delle società cooperative di lavoro consiste “nel fornire occasioni di lavoro direttamente ai membri dell’organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che si otterrebbero sul mercato”. Queste imprese ad alta intensità di lavoro (c.d. cooperative di produzione e lavoro) possono reggere in alcuni settori perché il loro obiettivo, lo scopo mutualistico, non è la massimizzazione del profitto del capitale investito, ma è una redditività del capitale investito che si misura in un posto di lavoro sicuro, in uno stipendio certo e in reddito da reinvestire in innovazione e miglioramento dell’azienda. Anche i soci delle cooperative perseguono fini patrimoniali attraverso l’impresa. Essi, tuttavia, alla più elevata remunerazione del capitale investito, sostituiscono piuttosto la soddisfazione di un preesistente “bisogno economico”. Il vantaggio mutualistico che i soci conseguono attraverso distinti e diversi rapporti economici instaurati con la cooperativa (lavoro, consumo, ecc.) è commisurato all’entità di tali rapporti e del tutto svincolato dalla partecipazione al capitale. Lo scopo mutualistico, pertanto, consiste nella gestione di un servizio in favore dei soci, i quali sono i destinatari elettivi, ma non esclusivi, dei beni o dei servizi messi a disposizione dalla cooperativa, a condizioni più favorevoli di quelle di mercato, in conseguenza dell’eliminazione, nel processo di produzione e distribuzione, dell’intermediazione di altri imprenditori. La cooperazione mette le persone al centro del modello d’impresa, prima che il profitto. Questi valori di fondo distinguono le cooperative dalle altre forme d’impresa. 48 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Approfondimenti 3.1.3 Gli strumenti per attuare il WBO Abbiamo visto come in Italia il workers buy out sia un fondamentale strumento di risposta ad una situazione di crisi. A supporto di tale operazione ci sono alcuni strumenti legislativi che rendono più semplice un WBO: legge 27 febbraio 1985, n. 49 – legge Marcora; legge 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, comma 5; d.l. 23 dicembre 2013, n. 145, art. 11, coordinato con la legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9. La legge del 27 Febbraio 1985, n. 49, o legge Marcora, promuove la costituzione di cooperative da parte di lavoratori licenziati, cassaintegrati o dipendenti di aziende in crisi o sottoposte a procedure concorsuali attraverso un fondo di rotazione per il finanziamento di progetti formulati da società cooperative, nonché un fondo speciale per gli interventi a salvaguardia dei livelli di occupazione, tramite l’assunzione di opportune iniziative imprenditoriali in forma cooperativa da parte di ben determinate categorie di lavoratori. La legge n. 49/1985 (“Provvedimenti per il credito alla cooperazione e misure urgenti a salvaguardia dei livelli di occupazione”) favorisce la creazione di nuovi strumenti per il finanziamento delle imprese cooperative. I destinatari diretti del contributo non sono le società cooperative, quanto piuttosto le società finanziarie che, successivamente, utilizzano tali somme per realizzare le finalità previste dalla stessa legge. Queste possono ricevere un contributo non eccedente il triplo del capitale sociale conferito dai soci lavoratori (tale capitale sociale poteva anche essere quello relativo alla cessione dei crediti per stipendi o per tfr maturati). Tali società finanziarie sono società cooperative il cui capitale è detenuto, in larga misura, dal Ministero dello sviluppo economico, che concedono finanziamenti alle società cooperative e pertanto svolgono una rilevante funzione di sostegno alle operazioni di workers buy out. L’intervento delle società finanziarie è, inoltre, volto ad assicurare lo sviluppo economico delle società cooperative e la creazione di nuova occupazione, finanziando operazioni di start-up, sviluppo, consolidamento e riposizionamento delle imprese costituite in forma cooperativa. Nel 1986 è stata fondata la società finanziaria, Cooperazione Finanza Industriale (oggi ancora esistente come Cooperazione, finanza e impresa, C.F.I.), proprio per gestire il fondo rotativo Marcora, su iniziativa delle tre maggiori Centrali Cooperative di quel tempo. La nuova legge Marcora, ossia la legge del 3 marzo 2001, n. 57, ha disposto che, oltre alle cooperative di produzione e lavoro neo costituite, possono usufruire degli interventi previsti dalla legge n. 49, anche le cooperative già esistenti, al fine di realizzare progetti di crescita e sviluppo, e le cooperative sociali. © Cesi Multimedia 49 Capitolo 3 – Approfondimenti Rispetto alla normativa previgente, la legge n. 57 va oltre l’obiettivo della salvaguardia dell’occupazione di chi è stato espulso dall’attività lavorativa, favorendo anche la patrimonializzazione delle aziende costituite sotto forma di cooperativa. La sottocapitalizzazione, infatti, è uno degli aspetti cronici che caratterizzano le società cooperative, penalizzandole anche nell’attribuzione del giudizio di rating da parte degli istituti di credito. L’azienda poco capitalizzata è, infatti, sempre interpretata come un’azienda a struttura “debole”. La nuova normativa è una risposta all’esigenza di consentire alle cooperative, da sempre afflitte da “nanismo finanziario” o da “sottocapitalizzazione”, di acquisire capitali di rischio nella misura necessaria a far fronte alle necessità di liquidità o d’investimento, richieste in modo sempre più pressante dal mercato. La legge 23 luglio 1991, n. 223, art. 7, comma 5, consente, ai dipendenti di un’impresa in crisi, di mettersi in proprio e di richiedere all’INPS l’anticipazione dell’indennità di mobilità al fine di costituire una cooperativa. L’art. 7, comma 5, legge n. 223/1991 afferma: “I lavoratori in mobilità che ne facciano richiesta per intraprendere un’attività autonoma o per associarsi in cooperativa in conformità alle norme vigenti possono ottenere la corresponsione anticipata dell’indennità nelle misure indicate nei commi 1 e 2, detraendone il numero di mensilità già godute”. Possono farne richiesta, i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, quelli che hanno contratto a tempo indeterminato e un’anzianità aziendale minima di 12 mesi, di cui almeno 6 di lavoro effettivamente prestato. I lavoratori in mobilità che intendono costituire una cooperativa, per rilevare un ramo di impresa o per svolgere una nuova attività imprenditoriale, possono chiedere e ricevere una somma a titolo di anticipazione con i criteri stabiliti e versarla a titolo di capitale sociale; essi investono l’anticipo in cooperativa al fine poi di rilevare l’azienda in crisi. Il d.l. 23 dicembre 2013, n. 145 (articolo 11, comma 2) coordinato con la legge di conversione 21 febbraio 2014, n. 9, rubricato “Misure per favorire la risoluzione di crisi aziendali e difendere l’occupazione” sancisce che nel caso di affitto o di vendita di aziende, rami d’azienda o complessi di beni e contratti di imprese sottoposte a fallimento, concordato preventivo, amministrazione straordinaria o liquidazione coatta amministrativa, hanno diritto di prelazione per l’affitto o per l’acquisto le società cooperative costituite da lavoratori dipendenti dell’impresa sottoposta alla procedura. Al comma 3, il medesimo articolo, stabilisce inoltre che l’atto di aggiudicazione dell’affitto o della vendita a tali società cooperative costituisce titolo ai fini della corresponsione anticipata dell’indennità di mobilità, nel caso in cui la cooperativa sia costituita da lavoratori in mobilità che ne abbiano fatto richiesta ai sensi dell’articolo 7, comma 5, della legge 23 luglio 1991, n. 223. Le somme corrisposte a titolo di anticipazione dell’indennità di mobilità sono cumulabili con la corresponsione dei contributi a fondo perduto, ex articolo 17 della legge 27 febbraio 1985, n. 49, erogati dal fondo speciale per gli interventi a salvaguardia dei livelli di occupazione in favore delle cooperative che abbiano effettuato la sottoscrizione di ca50 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Approfondimenti pitale nella misura almeno uguale ai predetti contributi. Tale contributo a fondo perduto non può, però, eccedere di tre volte l’ammontare del capitale sottoscritto da ciascuna cooperativa. La norma che si è appena commentata fa riferimento soltanto alle imprese che hanno più di quindici dipendenti, i quali, in caso di chiusura dell’attività, possono fruire del trattamento economico scaturente dall’indennità di mobilità. Inoltre la legge 21 febbraio 2014, n. 9 ha integrato il d.l., stabilendo che l’atto di aggiudicazione dell’affitto o della vendita a tali società cooperative può costituire titolo anche per richiedere la liquidazione delle mensilità non ancora percepite, per quei lavoratori aventi diritto all’Assicurazione sociale per l’impiego (ASpI), che si sono costituiti in forma cooperativa (art. 2, comma 19, legge 28 giugno 2012, n. 92). 3.1.4 Il contesto necessario per il successo del WBO Affinché l’operazione di WBO si traduca in una esperienza di successo è necessario, in primo luogo, conoscere a fondo le dinamiche dell’azienda: per questo motivo, il workers buy-out è applicato prevalentemente nelle piccole imprese. Inoltre, è necessario che coesistano quattro requisiti fondamentali: 1) un chiaro accordo coi sindacati; 2) un accordo tra proprietà, creditori e liquidatore; 3) un buon rapporto continuo con i clienti; 4) ruolo chiave del professionista che dovrà “accompagnare” i dipendenti/soci in ogni fase del processo: dall’analisi dei punti di forza e delle criticità dell’azienda in crisi, alla redazione del business plan, del progetto industriale, piano finanziario per valutare il fabbisogno finanziario del nuovo soggetto, alla predisposizione degli strumenti per gestire e governare la newco da un punto di vista economico, patrimoniale, finanziario oltre che amministrativo, contabile e fiscale (budget, controllo di gestione, consuntivi, flussi di cassa, gestione di tesoreria ecc.). È necessario, chiaramente, fare un accurato studio e valutazione del mercato accompagnato da un business plan credibile e cercare di partire con un vantaggio competitivo per fronteggiare il mercato o, in alternativa, avere la capacità di diversificare su una nuova area strategica d’affari. Bisognerà, inoltre, cercare di mantenere il portafoglio lavori acquisito. La motivazione dei dipendenti è determinante per il buon risultato dell’operazione. Sicuramente non tutti i lavoratori della vecchia impresa aderiranno all’operazione: solo quelli più motivati porteranno avanti il progetto attuando così una selezione naturale. Accettano i lavoratori più decisi che riescono a sostenere all’inizio dei sacrifici ed il rischio d’impresa, impegnando capitale proprio (il trattamento di fine rapporto o l’indennità di mobilità o risparmi personali). Indispensabile è il sostegno finanziario dei Fondi mutualistici e di altri soci sovventori e finanziatori. © Cesi Multimedia 51 Capitolo 3 – Approfondimenti Sarà importante, anche, recuperare i rapporti con i vecchi clienti e fornitori oltre a crearne di nuovi con gli enti locali del territorio al fine di costituire una rete di relazioni ed alleanze per sostenere il complesso processo. Solo valorizzando l’intraprendenza e l’autoimprenditorialità si possono salvare posti di lavoro. I workers buy-out degli anni Novanta sono nati da crisi prevalentemente aziendali, da crisi settoriali, da problemi di trasmissione d’impresa per cui il problema si risolveva ripristinando l’efficienza mediante la riduzione del personale, l’abbattimento dei costi, il basso costo dei mezzi produttivi, l’elevata capitalizzazione. Il contesto attuale è ben diverso perché nasce da una crisi sistemica. Per la Newco è essenziale riuscire ad inserirsi nel mercato, cercare di essere innovativa ed avere idee attraenti. Oggi lo scenario è più duro ma ciò non toglie che l’operazione di WBO può essere una valida alternativa alla soluzione della crisi. 3.2 Lo sviluppo socio-economico del territorio attraverso lo strumento cooperativo: le cooperative di comunità di Bianca D’Agostinis Il momento di profonda crisi economica e finanziaria che attraversa il nostro paese, e che comporta una stagnazione delle iniziative imprenditoriali, evidenzia i limiti del modello di sviluppo capitalistico e può trovare soluzione nell’implementazione dell’agire in forma cooperativa. L’azienda cooperativa è strumento fondamentale di sviluppo del capitale sociale (Putnam, 1993), da intendersi quale insieme di relazioni tra agenti economici grazie alle quali l’attività produttiva è facilitata (Percoco, 2012). Esso può essere distinto in capitale sociale primario e capitale sociale secondario: il primo fa riferimento alle relazioni che si instaurano in reti familiari, di vicinato, di amicizia e di conoscenza, in cui si opera con criteri del tutto informali ed è prevalentemente caratterizzato dalla fiducia; il secondo si inserisce nella dimensione dell’aiuto reciproco e si riflette nei rapporti sociali che si generano tra soggetti appartenenti alla stessa comunità territoriale, i quali possono organizzarsi in aziende cooperative. Le relazioni sociali, caratterizzate da scambi che creano esternalità positive, prodotte e fruite dai partecipanti ad uno specifico contesto sociale, sono insite nelle aggregazioni di una comunità in cui gli individui attivano reti di tipo fiduciario e collaborativo. L’agire collettivo per il bene comune, fine primario delle cooperative, crea interazioni sociali che influenzano significativamente l’economia e il benessere degli agenti componenti il sistema di riferimento. Le aziende cooperative consentono l’emersione del valore sociale dell’agire comune, conseguito attraverso la trasformazione dei valori individuali e degli interessi particolari in valori collettivi. Gli obiettivi prefissati dall’azienda cooperativa si sostanziano nel perseguimento di uno sviluppo sostenibile e questo si può raggiun- 52 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Approfondimenti gere solo a condizione di promuovere una cultura del consenso, inteso quale condivisione di obiettivi e azioni tra azienda e stakeholders (soci, lavoratori, consumatori, fornitori, comunità), al fine di attivare il circolo virtuoso “sostenibilità-soddisfazione-fiduciaattrattività-valore”. Ne deriva che lo sviluppo civile raggiunto da una società di uno specifico territorio dipende dalla capacità dei suoi componenti di costruire relazioni durature e basate sulla reciprocità. È stato, infatti, ipotizzato e provato (Banfield, 2000) che la carenza di spirito cooperativo e di fiducia generalizzata sia alla base dell’assenza di sviluppo e dell’arretratezza economica e sociale di un territorio e che il capitale sociale sia virtualmente legato alla crescita economica, soprattutto con riferimento a contesti locali (Trigilia, 2005; Glaeser, Redlick, 2009). Le cooperative possono essere concepite quali principali strumenti di un possibile sviluppo della società, in quanto caratterizzate da rilevanza economica e finalità diverse rispetto alla massimizzazione del profitto (Percoco, 2012). Nelle cooperative la dimensione imprenditoriale si associa a quella sociale, legata a valori del passato attualizzati attraverso una logica moderna, che non mira a una politica di conservazione ma a una crescita progressiva. L’aggregazione di individui in cooperativa deve riuscire a conciliare principi economici da una parte, non potendo estrapolare del tutto la dimensione mutualistica da quella del mercato, e valoriali dall’altra, come la socialità e la solidarietà. Valori che permettono di incidere sul fabbisogno di benessere individuale e collettivo. Qualsiasi impresa raggiunge la condizione di perdurabilità, necessaria per creare ricchezza (Di Cagno, Adamo, Giaccari, 2011), se riesce a conciliare il raggiungimento degli equilibri aziendali e, al contempo, a dare risposte alle plurime istanze sociali che in essa confluiscono (Giaccari, Fasiello, 2013). La cooperativa è l’azienda che più delle altre può riuscire a trovare un punto di equilibrio tra il momento economico e quello sociale, tra l’esigenza di raggiungere condizioni di economicità e quella di garantire sviluppo sociale e culturale per l’intera comunità di riferimento. Mutualità e scopo di lucro non sono, quindi, concetti antitetici ma possono coesistere nella stessa organizzazione, tanto capitalistica quanto cooperativa. La peculiarità delle cooperative è da ricercarsi nel primario fine economico, che non è la remunerazione del capitale investito da parte dei soci ma la più conveniente valorizzazione del lavoro apportato o il vantaggio indiretto che deriva dall’incremento del reddito dovuto alla riduzione delle spese di scambi di acquisto. Invero, diverse possono essere le tipologie di cooperative e molteplici gli obiettivi cui esse tendono, definiti in funzione degli interessi espressi da coloro che ne costituiscono la base sociale (Tamagnini, 1954), seppur tutti concretizzati nel contributo alla crescita socio-economica della collettività (Catturi, 1970). Le differenze tra le aziende capitalistiche e quelle cooperative, quindi, sono da ricercarsi in caratteristiche strutturali piuttosto che funzionali: nella “porta aperta”, nella democrazia decisionale (“una testa un voto”), nella formazione dei cooperatori, nel fatto che il capitale non è il core dell’organizzazione, data la sua limitata remunerazione, e che il profitto è distribuito sulla base dell’attività svolta all’interno della cooperativa, in termini © Cesi Multimedia 53 Capitolo 3 – Approfondimenti di lavoro e di spese per i consumi. In altre parole, il socio cooperatore ricerca un vantaggio che è determinato dall’esito degli scambi che realizza con l’azienda e l’attesa della remunerazione del capitale ha un ruolo ad esso subordinato. La riflessione sulla partecipazione delle società cooperative al dinamico e virtuoso processo di crescita del territorio in cui operano ha consentito la concettualizzazione di una particolare forma di manifestazione di attività economica nel complesso universo delle aziende cooperative: la cooperativa di comunità. Essa è un’organizzazione di individui appartenenti ad una stessa comunità locale che si riuniscono al fine di sopperire a carenze pubbliche, di soddisfare specifici bisogni e di creare dinamismo occupazionale, nel pieno rispetto del principio mutualistico. La peculiarità delle cooperative di comunità è data dal fatto che gli utili realizzati non sono distribuiti tra i soci ma impiegati nell’autofinanziamento dell’azienda e nella realizzazione di opere che migliorano il benessere sociale e arricchiscono il circuito economico delle piccole realtà locali, valorizzandone le risorse materiali e immateriali. Si tratta della creazione di imprese che affiancano allo spirito imprenditoriale un interesse generale per la comunità locale condiviso da tutti coloro che nell’azienda operano. Questi ultimi sviluppano modelli organizzativi e gestionali che favoriscono la partecipazione di tutti i membri nelle scelte che riguardano il soddisfacimento dei bisogni economici, sociali e culturali dei soci/utenti. I nobili obiettivi che si prefiggono le cooperative di comunità, come la creazione di posti di lavoro, la conservazione di patrimoni storici, artistici e culturali, la valorizzazione di settori produttivi tradizionali e l’apertura verso quelli innovativi, evidenziano la capacità di poter assolvere alcuni compiti della pubblica amministrazione, cogliendo l’opportunità di contribuire direttamente alla riforma dello stato sociale. Le cooperative, facendo leva su valori quali l’eticità e la cooperazione, possono promuovere forme associative che consentano di intervenire nei settori di gestione e produzione di beni pubblici, dell’assistenza e dei servizi sociali, a costi di gran lunga più bassi di quelli dello Stato (Pearce, 1993; Kingma, 1997). La cooperazione può fornire, dunque, il suo contributo alla risoluzione di problemi insiti nel contesto sociale e a cui lo Stato o il mercato non riescono a dare soddisfacenti risposte. Le cooperative di comunità nascono dall’impulso al rinnovamento e al miglioramento che ha investito il settore pubblico e che riguarda il superamento della vecchia amministrazione, fortemente burocratizzata, attraverso il diffondersi di cultura manageriale incentrata sull’efficienza e sull’efficacia dell’azione pubblica. Il superamento della crisi del modello di welfare-state tradizionale, che ha portato a una situazione di declino economico e demografico, potrebbe realizzarsi attraverso l’inclusione dei cittadini nella gestione di servizi di interesse generale, al fine di raggiungere il miglioramento del modello stesso, con benefici non solo economici ma anche, e soprattutto, sociali. Certamente il tema della partecipazione civica, centrato sull’apertura ai cittadini dei processi di definizione delle politiche pubbliche, prosegue senza soluzione di continuità in quello della co-produzione (Bartocci, Picciaia, 2013), spostando l’attenzione sui processi tecnici di generazione e distribuzione di servizi e prevedendo meccanismi di inclusione, non necessariamente esclusiva, degli utenti. Un filone di studi che da diversi 54 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Approfondimenti anni riscuote particolare interesse tra gli studiosi (Bovaird, 2007; Brandsen, Pestoff, Verschuere, 2012; Osborne, McLaughlin, 2004; Pestoff, 2009; Pillitu, 2008; Storlazzi, 2006), infatti, è quello della co-production, intesa come insieme di attività in cui i cittadini, in forma individuale o in forma organizzativa strutturata, collaborano con la pubblica amministrazione nella gestione di servizi pubblici. Esso nasce dall’acquisita consapevolezza che l’inclusione dei cittadini in forma singola realizza gradi di partecipazione più bassi rispetto a quelli raggiungibili mediante il loro coinvolgimento in forma organizzata. Tale fenomeno, nella realtà, si è ulteriormente allargato andando oltre le public utilities e raggiungendo settori produttivi sia tradizionali sia innovativi. Le politiche di sviluppo che partono dal basso prevedono la partecipazione dei membri di una realtà territoriale a organizzazioni economiche, al fine di diventare protagonisti attivi della comunità, fornire risposte a comuni necessità e realizzare così un potenziamento bottom up del progresso civile. Il vantaggio della co-produzione deriva dal fatto che i cittadini sono tra loro accomunati non solo da esigenze similari e dalla capacità di riuscire a identificare con precisione i bisogni espressi o, a volte, latenti ma soprattutto dal forte senso di appartenenza a un territorio, caratterizzato da accentuate e riconosciute specificità. Promuovere l’auto-organizzazione dei cittadini al fine di soddisfare i loro bisogni e sensibilizzarli verso una cultura ambientale, sociale ed etica, orientata a un utilizzo responsabile delle risorse naturali, vuol dire diffondere la condivisione dell’interesse alla salvaguardia del territorio e alla sua crescita e miglioramento infrastrutturale. Il concetto di comunità insito nelle organizzazioni aziendali, in cui l’uomo opera insieme ad altri uomini per raggiungere un fine comune, implica quello di consapevolezza, da parte di ciascun partecipante, di appartenere alla comunità, nel senso di svolgere una funzione che si integra e si armonizza con quella degli altri componenti (Cassandro, 1978). La comunità aziendale, quindi, funziona su principi di cooperazione, collaborazione e solidarietà dei componenti, portati a svolgere il proprio ruolo sotto l’imperativo della coscienza morale. Tale comunità si allarga così a quella più ampia di cui fa parte che è la comunità sociale; ogni membro della comunità, adempiendo i compiti a esso assegnati all’interno dell’azienda, assolve contemporaneamente anche a quelli di appartenente alla comunità sociale in cui è inserita la specifica comunità aziendale. Le relazioni contribuiscono a creare una cooperazione sentita tra tutti coloro che partecipano alla vita dell’azienda, che tende a realizzare così il concetto ideale di comunità. Le cooperative di comunità, quindi, coinvolgendo l’intera collettività, rappresentano non solo un mezzo di produzione economica ma anche strumento di integrazione sociale. Esse nascono in aree a forte identità territoriale e in settori di attività anche molto diversi tra loro ma tutti strategici per l’economia locale. Si tratta di settori tradizionali, quali l’agricoltura, l’artigianato, il turismo, ma anche molto innovativi come le energie rinnovabili, le tecnologie. La forte integrazione e identificazione delle cooperative di comunità con il territorio in cui operano implica un rapporto di apertura e di significativi reciproci scambi, vincoli e opportunità, entro i quali ricercare le condizioni di un adeguato e duraturo sviluppo della propria gestione. © Cesi Multimedia 55 Capitolo 3 – Approfondimenti Le cooperative di comunità non hanno ancora un inquadramento giuridico1 e non possono essere identificate in una specifica categoria né in una definita dimensione ma possono manifestarsi in tutte le tipologie di cooperative che la dottrina aziendalista considera (Tessitore, 1968; Zan, 1982; Matacena, 1990; Vermiglio, 1990; Mazzoleni, 1996; Costa, 2004), con la particolare caratteristica di creare condizioni di vantaggio per l’intera e ben individuata comunità in cui esse operano (Fasiello, 2012). Le cooperative di comunità possono essere cooperative di utenza, sociali, agricole, di lavoro, miste ma tutte accomunate dall’essere costituite da cittadini della stessa area territoriale. Le finalità delle cooperative di comunità sono da ricercare nelle caratteristiche dei territori locali e si manifestano in benefici diretti e indiretti alla collettività. Alcune cooperative sorgono per colmare la scarsità o addirittura la mancanza di servizi basilari di aree svantaggiate, come servizi socio-sanitari, scuole, farmacie, servizi commerciali, servizi di comunicazione; altre sono create per valorizzare le risorse del territorio, cercando, quindi, di incrementare il turismo, il recupero e la conservazione del patrimonio storico, culturale e ambientale, il mantenimento e la diffusione di tradizioni culturali, il ripopolamento di piccole aree; altre, ancora, si prefiggono lo scopo di sopperire al problema della disoccupazione, fornendo lavoro a persone disagiate o semplicemente a coloro che vogliano operare non solo per se stessi ma anche per gli altri. Si tratta di attività strategiche che consentono la valorizzazione e il miglioramento del contesto territoriale. In esse il cittadino diventa protagonista sia dal punto di vista organizzativo, partecipando attivamente all’attività della cooperativa, sia dal punto di vista della destinazione dei beni/servizi, atti a soddisfare i bisogni, e delle risorse, impiegate in nuovi investimenti per la realizzazione di progetti a beneficio dell’intera comunità. Un particolare settore di diffusione delle cooperative di comunità è quello del turismo, in cui una determinata comunità si aggrega con l’obiettivo di qualificare e arricchire l’accoglienza del territorio, attraverso la diffusione di cultura locale e la messa a sistema di esperienze, competenze e testimonianze dei mestieri, delle tradizioni, della gastronomia, delle produzioni artigianali. Nello sviluppo di servizi turistici sono coinvolti tutti i cittadini, concentrati a potenziare la promozione turistica e culturale e, di conseguenza, a rendere il proprio territorio accogliente sia per i visitatori sia per i suoi stessi abitanti. L’attività consiste nella realizzazione di percorsi enogastronomici, culturali ed ecoambientali, finalizzati alla creazione di collaborazioni tra diversi attori del territorio, quali cantine, fattorie, agriturismi, guide turistiche, artisti, critici d’arte, ristoratori, albergatori. Attraverso la cooperativa, quindi, si esplicita la volontà di preservare e valorizzare l’identità culturale di piccoli territori. ------------------------------------------1 Il Consiglio Regionale della Sardegna, nel marzo 2013, ha presentato un progetto di legge per la promozione, il sostegno e lo sviluppo delle cooperative di comunità nella Regione. 56 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Approfondimenti Dal punto di vista prettamente operativo, le cooperative di comunità consentono una raccolta di capitale a basso costo2 e favoriscono una maggiore tutela degli interessi degli utenti, data la coincidenza con gli interessi dell’organizzazione, in cui gran parte degli stakeholders sono coinvolti. Inoltre, consentono una maggiore flessibilità organizzativa e gestionale delle attività di produzione di beni e servizi e l’introduzione di incentivi per incrementare l’efficacia del management, in maniera più semplice di quanto avvenga nel settore strettamente pubblico. L’importanza della co-produzione dei cittadini si riscontra nella capacità di modulare l’attività produttiva sulla base delle esigenze e delle richieste di chi fa parte della stessa azienda, ciò garantendo la qualità dei prodotti/servizi e la creazione di maggiore responsabilità civica (Mari, 1994). Lo statuto della cooperativa deve contemplare la funzione sociale avente l’obiettivo di produrre un benessere socio-economico generale attraverso lo sviluppo di relazioni tra i membri, i non soci ed eventuali istituti di collaborazione esterni. Ciò può realizzarsi se l’operato della cooperativa si fonda su una solida base mutualistica, se l’impresa adotta concretamente il principio della porta aperta ed è, quindi, propensa al continuo ingresso di nuovi soci, se è governata in modo democratico e condiviso. Il coinvolgimento dei membri è riflesso anche nel consiglio di amministrazione, la cui composizione è generalmente rappresentata da soci cooperatori. La scelta degli amministratori è un momento topico della vita della cooperativa di comunità, poiché essi rivestono un ruolo importante per accrescere la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini. Il management promuove l’educazione alla solidarietà, fornendo opportunità e risorse all’interno di un quadro progettuale incentrato su un modello di governance aperta, in cui gli stessi membri possono contribuire al processo di sviluppo. Il punto di forza delle cooperative, che coinvolgono tutti o la maggior parte dei cittadini, è la condivisione di valori, obiettivi, esperienze, responsabilità, fiducia reciproca e leadership riconosciuta. Con la promozione di tali principi, le cooperative di comunità possono dare soluzioni condivise ai problemi sociali e raggiungere efficienti risultati per il miglioramento della qualità della vita e lo sviluppo dell’occupazione, diventando protagoniste del futuro delle piccole comunità locali. La significatività del fenomeno rappresentato dalle cooperative di comunità è ravvisabile, inoltre, nella capacità di promuovere e realizzare reti con altre cooperative di località affini o del tutto differenti, che consentono di risaltare le tipicità di un territorio. È necessario avere la capacità di comprendere ciò che i territori offrono, esaltarne le potenzialità e allo stesso tempo coltivare relazioni continue superando i confini territoriali, al fine di migliorare le proprie organizzazioni e replicare esperienze di successo già realizzate. L’importante ruolo socio-economico che le cooperative di comunità possono ricoprire all’interno di una realtà locale trova riscontro nel progetto “cooperative di comunità” ------------------------------------------2 Difficilmente le cooperative operano in settori ad alta intensità di capitale poiché trovano difficoltà a recuperare risorse di prestito, data l’espressione di un potere di controllo distribuito a favore della pluralità dei soci. © Cesi Multimedia 57 Capitolo 3 – Approfondimenti promosso da Legacoop a fine 2010 (Legacoop, 2011)3. Si tratta di un progetto di sviluppo sostenibile, attraverso il quale si possono realizzare iniziative collettive pensate dai cittadini, fondate sulla loro competenza e partecipazione nell’elaborazione delle idee e delle decisioni. Ciò a vantaggio della comunità, considerata nella collettività dei soggetti che appartengono all’aggregazione aziendale e di quelli che ne sono solo utenti o beneficiari. Il progetto muove dall’esigenza di sviluppare nuove espressioni della mutualità votate alla conservazione e alla valorizzazione delle tradizioni e delle risorse naturali, sociali e culturali presenti sui territori. Le cooperative di comunità, infatti, possono rappresentare uno strumento originale e innovativo per valorizzare le grandi potenzialità di piccoli territori e offrire risposte concrete agli abitanti dei borghi d’Italia. Il progetto ha lo scopo di mantenere vitali le tante comunità locali a rischio deperimento se non addirittura a rischio estinzione. Le cooperative di comunità, essendo un fenomeno recente, non sono prive di elementi di criticità, primo fra tutti la mancanza negli operatori di cultura manageriale e di competenze organizzative e operative. Non bisogna dimenticare, infatti, che le cooperative di comunità aggregano in sé l’organizzazione aziendale, che come tale deve perseguire l’economicità e la perdurabilità nel tempo, condizioni essenziali per la produzione di valore, e la finalità mutualistica, che consente di produrre utilità per coloro che partecipano alla stessa azienda. Al fine di verificare la capacità delle cooperative di comunità di raggiungere gli obiettivi per i quali sono state istituite, è, quindi, necessaria una continua attenzione agli aspetti organizzativi, gestionali e sociali e all’informativa aziendale, che dovrebbe andare al di là di quella obbligatoria per legge e dare contezza della produzione di ricchezza per la collettività, in termini di benessere sociale oltre che economico (Vermiglio, 2000; Viviani, 2000). Gli strumenti di comunicazione dovrebbero, quindi, consentire di misurare e rappresentare il “reddito sociale” prodotto dall’azienda, ossia le remunerazioni qualitative e qualitative di tutti coloro che in essa direttamente o indirettamente operano. Possiamo concludere che le cooperative di comunità sono iniziative che ben si configurano in un quadro di politiche di welfare, incentrate non solo su una logica ammini- ------------------------------------------3 In Italia diverse sono le iniziative cooperative che possono essere definite “cooperative di comunità”, a titolo di esempio: la cooperativa sociale L’Innesto ONLUS, con sede a Gaverina Terme (Bergamo), ha l’obiettivo di salvaguardare il territorio e ripristinare il bene ambientale della valle Cavallina; la cooperativa sociale Il Miglio, con sede a Miglierina (Catanzaro), ha l’obiettivo di contrastare lo spopolamento del comune e delle zone limitrofe; la cooperativa I Briganti di Cerreto, con sede a Collagna (Reggio Emilia), punta alla promozione del turismo e alla sostenibilità ambientale; la Rete Imprese Cooperative Ambientali in Abruzzo, che raggruppa tutte le organizzazioni mutualistiche che operano nella riserva naturale regionale del Lago di Penne ed è sensibile alle problematiche sociali in quanto coinvolge nelle sue attività numerosi volontari e collaboratori delle fasce a rischio, occupati nella gestione di aree protette, nella commercializzazione di prodotti agricoli, nei settori di ristorazione e turismo; la Cooperativa di Comunità di Melpignano, con sede a Melpignano (Lecce), nata per la diffusione di energie rinnovabili attraverso la realizzazione e gestione di impianti fotovoltaici sui tetti dei privati. 58 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Approfondimenti strativa di risposta alle necessità del territorio locale ma anche sulla valorizzazione della dimensione relazionale. Solo quest’ultima, infatti, consente di attivare reti di collaborazione che possano culminare nella costruzione di soluzioni condivise per uno sviluppo locale, al fine di migliorare le plurime dimensioni della qualità di vita per la comunità. Le cooperative di comunità hanno, quindi, una funzione di coesione all’interno del contesto cittadino, in quanto rafforzano le relazioni e consolidano l’impegno civico, attraverso la diffusione di capitale sociale, ossia di fiducia che consente di cooperare in termini di reciprocità. Non bisogna però mai perdere di vista l’aspetto aziendale delle cooperative, che richiedono una conduzione razionale e improntata imprescindibilmente a principi di corretta gestione economica. Bibliografia BANFIELD E.C. (1958), The moral Basis of a Backward Society, Glencoe, The Free Press; BARTOCCI L., PICCIAIA F. (2013), “Le “non profit utilities” tra Stato e mercato: l’esperienza della cooperativa di comunità di Melpignano”, Azienda Pubblica. Teorie ed esperienze di management, n. 3; BOVAIRD T. (2007), “Beyond engagement and partecipation: user and community coproduction of public services”, Public Administration Review, 67 (5); BRANDSEN T., PESTOFF V., VERSCHUERE B. (2012), “Co-production as a maturing concept”, in Pestoff V., Brandsen T., Verschuere B. (a cura di), New public governance, the third sector and co-production, London, Routledge; CASSANDRO P.E. (1978), “Sul concetto di impresa come ‘comunità’”, Rassegna Economica, Napoli, n. 1; CATTURI G. (1970), Impresa, profitto e obiettivi alternativi al profitto, Stamperia Universitaria di Siena; COSTA A. (2004), L’azienda cooperativa alla luce delle novità introdotte dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, Bari, Cacucci; DI CAGNO N., ADAMO S., GIACCARI F. (2011), Lineamenti di Economia Aziendale, Bari, Cacucci; FASIELLO R. (2012), “Le imprese di comunità (c.d. Community-Based Enterprise) quale strumento di sviluppo economico-territoriale”, Economia, Azienda e Sviluppo, n. 2; GIACCARI F., FASIELLO R. (2013), “La produzione economica in forma cooperativa: le cooperative di comunità”, in Guido G., Massari S., Lo sviluppo sostenibile. Ambiente, Risorse, Innovazione, Qualità. Scritti in memoria di Michela Specchiarello, Milano, Franco Angeli; GLAESER E.L., REDLICK C. (2009), Social Capital and Urban Growt, Harvard University, mimeo; KINGMA R. (1997), “Public Goods Theories of the Non Profit Sector: Weisbrod Revidited”, Voluntas, n. 8 (2); LEGACOOP (2011), Guida alle cooperative di comunità, Lecce, Officina Cantelmo Società Cooperativa; © Cesi Multimedia 59 Capitolo 3 – Approfondimenti MARI L.M. (1994), Impresa Cooperativa. Mutualità e bilancio sociale, Torino, Giappichelli; MATACENA A. (1990), Impresa cooperativa – Obiettivi finalizzanti, risultati gestionali e bilancio di esercizio, Bologna, Clueb; MAZZOLENI M. 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Quali le traiettorie di partecipazione innovativa?”, Azienda Pubblica, 19 (4); TAMAGNINI G. (1954), “Funzione della Cooperativa Agraria”, Rivista di Politica Agraria, n. 2; TESSITORE A. (1968), Il concetto di impresa cooperativa in economia d’azienda, Verona, Libreria Universitaria Editrice; TRIGILIA C. (2005), Sviluppo locale, Bari, Laterza; VERMIGLIO F. (1990), Considerazioni economico-aziendali sull’impresa cooperativa. natura e caratteristiche strutturali, Istituto di Economia Aziendale dell’Università di Messina; VERMIGLIO F. (2000), “Bilancio sociale cooperativo. Il cantiere aperto del bilancio sociale”, Rivista della cooperazione, n. 1–2; VIVIANI M. (2000), “Bilancio sociale cooperativo. Operazione e bilancio sociale: suggerimenti per una paternità consapevole”, Rivista della cooperazione, n. 1–2; ZAN L. (1982), La cooperazione in Italia, Bari, De Donato. 60 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Approfondimenti 3.3 Cooperative e studi di settore di Salvatore Giordano Gli studi di settore applicati alle cooperative hanno da sempre creato qualche difficoltà agli operatori del settore ed ai commercialisti che li seguono. Infatti il concetto di mutualità, a differenza di quello legato al lucro tipico delle altre società di capitali, non è tenuta in debita considerazione ai fini dell’accertamento e ciò – spesso – comporta delle situazioni al limite del paradosso che riguardano il mondo cooperativistico. Attraverso il presente intervento cercheremo di chiarire gli indirizzi dell’Agenzia delle Entrate in merito agli studi di settore applicati alle società cooperative, in modo da tracciare il quadro di tutte le variabili da monitorare per scongiurare il pericolo di accertamento attraverso tale strumento. Da ultimo, l’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 23/2013 ha fornito indicazioni e chiarimenti relativamente all’applicazione degli studi di settore per il periodo d’imposta 2012 ed inoltre ha evidenziato alcuni aspetti rilevanti per le cooperative4. Di particolare interesse è il chiarimento relativo alla fruibilità della causa di inapplicabilità degli studi nei confronti di cooperative e consorzi di imprese che operano nel settore degli appalti di lavori, servizi, forniture in campo edile costituite appositamente per raggiungere i requisiti minimi di idoneità tecnica e finanziaria, necessari ai fini della partecipazione alle gare di appalto. In taluni casi – osserva l’Agenzia – il consorzio o la cooperativa, una volta aggiudicati i lavori, assegna i medesimi alle imprese consorziate/socie, fornendo così alle stesse la possibilità di accedere alla realizzazione di opere complesse che, altrimenti, non sarebbero in grado di compiere. Di solito, dal punto di vista contrattuale, i soci o consorziati che eseguono i lavori fatturano le prestazioni alla cooperativa o consorzio, il quale, a sua volta, emette fattura nei confronti del committente, soggetto pubblico o privato. Per l’Agenzia delle Entrate quando ricorre tale situazione, le cooperative o i consorzi non possono beneficiare della causa di inapplicabilità degli studi di settore poiché – come avremo modo di sottolineare - l’elemento determinante ai fini della sussistenza della stessa è la presenza di attività svolte esclusivamente a favore dei soci. Ed infatti, andando più indietro nel tempo, la circolare ministeriale n. 23 del 22 giugno 2006 già affermava, fra le altre cause di inapplicabilità, che gli studi non si applicano: a) nei confronti delle società cooperative, società consortili e consorzi che operano esclusivamente a favore delle imprese socie o associate; b) nei confronti delle società cooperative costituite da utenti non imprenditori che operano esclusivamente a favore degli utenti stessi. Tra le società cooperative, società consortili e consorzi che operano esclusivamente a favore delle imprese socie o associate possono rientrare, ad esempio, le cooperative di ------------------------------------------4 Fonte: Eutekne – Autore: Paola Rivetti © Cesi Multimedia 61 Capitolo 3 – Approfondimenti acquisti collettivi in agricoltura, le cooperative di vendita ai soci di macchine agricole, i consorzi cooperativi di servizi quali i servizi amministrativi, servizi tecnici o di consulenza, i consorzi di cooperative sociali. Invece tra le società cooperative costituite da utenti non imprenditori che operano esclusivamente a favore degli utenti stessi possono rientrare, ad esempio, le cooperative edilizie di abitazione o le cooperative di consumo che effettuano vendite esclusivamente a favore di soci non imprenditori. Inoltre anche la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 14 novembre 2007, n. 330/E è concorde relativamente a tale interpretazione. In tale documento di prassi l’Agenzia delle Entrate, infatti, rispondendo all’interpello afferma che l’art. 2 del decreto 30 marzo 1999, individua le categorie di contribuenti alle quali non si applicano gli studi di settore e dispone l’inapplicabilità degli studi nei casi segnalati precedentemente. Inoltre l’Agenzia afferma anche che nella circolare del Ministero delle Finanze del 21 maggio 1999 n. 110/E, punto 6.5, è stato chiarito che “Le cause di inapplicabilità di cui ai punti 3 e 4 fanno riferimento alle cooperative di imprese e quelle di utenti che non operano per conto terzi e che non seguono le ordinarie regole di mercato. Tali cause di inapplicabilità operano in presenza di attività svolte esclusivamente a favore dei soci o associati o degli utenti. In caso di attività svolte in via non esclusiva, in sede di contraddittorio con il contribuente, qualora ricorrano le condizioni previste dall’art. 14 del decreto del presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, gli uffici terranno conto, comunque, che tali cooperative operano in situazioni di mercato influenzate dal perseguimento di fini mutualistici che possono incidere in maniera rilevante sui ricavi conseguiti”. Pertanto, alla luce delle circolari sopra citate, si evince che soltanto le cooperative che svolgono attività rivolte esclusivamente a favore dei soci, o associati, o utenti, sono escluse dall’applicabilità degli studi di settore. Le cooperative che invocano la clausola di inapplicabilità non sono tenute alla compilazione dello studio di settore ma, salvo esclusioni specifiche, sono tenute alla compilazione del modello dei parametri di impresa e degli indicatori di normalità economica (INE). 3.3.1 Azione di accertamento A seguito dell’art. 6 del decreto 28 dicembre 2012 è a regime la disposizione che prevede che nei confronti delle cooperative a mutualità prevalente di cui all’art. 2512 del codice civile, i risultati degli studi di settore di cui all’art. 62-bis del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, non possono essere utilizzati per l’azione di accertamento da studi di settore. Pertanto, nei confronti delle cooperative a mutualità prevalente di cui all’art. 2512 del codice civile, i risultati degli studi di settore non possono essere utilizzati per l’azione di 62 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Approfondimenti accertamento da studi di settore per i periodi d’imposta in corso al 31.12.20105, al 31 dicembre 20116, al 31 dicembre 2012 e successivi. Le cooperative a mutualità prevalente dovranno comunque continuare a compilare il modello dello studio di settore. Alla luce di tale norma, dunque, i risultati degli studi di settore potranno essere utilizzati esclusivamente per la selezione delle posizioni soggettive da sottoporre a controllo con le ordinarie metodologie e non rileveranno altresì ai fini dell’applicazione dell’art. 10, comma 4-bis della legge 8 maggio 1998, n. 146 (rettifiche da parte dell’Ufficio sulla base di presunzioni semplici). 3.3.2 Il problema dei ristorni L’imputazione dei ristorni, in sede di applicazione degli studi di settore, costituisce un problema assai rilevante in quanto gli stessi influenzano la determinazione dei ricavi presunti puntuali. Su tale tema, la dottrina è concorde nell’escludere il valore dei ristorni dal calcolo dei ricavi presunti dagli studi di settore, mentre l’Agenzia delle Entrate è intervenuta, in tema di ristorni, con una nota del 4 agosto 2008, in risposta ad una Centrale Cooperativa. Tale nota, sinteticamente, argomenta che i ristorni: sia se deliberati come destinazione dell’utile di esercizio delle cooperative, sia se imputati direttamente a conto economico, non devono avere alcun effetto sui risultati degli studi di settore e dei parametri; devono essere inefficaci a stimare i ricavi presunti della gestione caratteristica delle imprese cooperative. La stessa nota, tuttavia, precisa che i ristorni devono essere evidenziati tra i costi, nel rigo F23 del modello Studi di settore. L’allocazione in tale rigo incide nella verifica della coerenza. In tale caso: «sia nell’apposita sezione di GERICO denominata “note aggiuntive”, sia nell’eventuale fase del contraddittorio, il contribuente avrà la possibilità comunque di giustificare detta situazione». 3.3.3 Agevolazioni fiscali La presenza di agevolazioni fiscali in capo alla cooperativa, sia riferite alla quota detassata dell’utile di esercizio sia alla quota esente di reddito d’impresa, determinano - in sede di compilazione degli studi di settore - per un’esigenza di quadratura tra il reddito indicato nel modello degli studi di settore e il quadro del reddito d’impresa, l’emergere di costi “fittizi” che inevitabilmente influiscono sulla formula di calcolo dei ricavi di ------------------------------------------5 6 Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 16 marzo 2011. Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 28 dicembre 2011. © Cesi Multimedia 63 Capitolo 3 – Approfondimenti Ge.ri.co. Anche in tale ipotesi, al pari di quanto indicato per i ristorni, è necessario segnalare la situazione all’interno del quadro annotazioni. Le principali agevolazioni fiscali che devono essere segnalate, se significative e se determinano incongruità, sono: quota detassata degli utili destinati a riserva indivisibile di cui alla legge n. 904/1977; quota del 3% dell’utile destinata a fondi mutualistici; reddito esente di cui agli art. 10 e 11 del d.p.r. n. 601/1973; rivalutazione delle quote e delle azioni ai sensi dell’art. 7 legge n. 59/1992. 3.3.4 Cause di inapplicabilità La disciplina prevede che gli studi di settore non si applicano in presenza di ben individuate cause di inapplicabilità. In particolare le cause di inapplicabilità, così come riferito precedentemente hanno sempre interessato le cooperative: che operano esclusivamente a favore delle imprese socie o associate; che operano esclusivamente a favore degli utenti stessi. Per la verità, a partire dagli studi applicabili dal periodo d’imposta 2000, i decreti di approvazione hanno individuato un’altra causa di inapplicabilità per le società cooperative che in qualsiasi forma esercitano l’attività di trasporto con taxi e noleggio di auto con autista. In relazione alle cause di inapplicabilità degli studi di settore per le cooperative, come visto, l’unico chiarimento ufficiale emanato in tutti questi anni è rappresentato dalla C.M. 21 maggio 1999, n. 110/E, par. 6.5. In pratica, secondo l’Agenzia, le cause di inapplicabilità sono valide solo per le cooperative ed i consorzi che operano esclusivamente nei confronti dei propri soci, mentre per le cooperative che operano anche nei confronti di terzi si applicano normalmente gli studi di settore, seppur tenendo conto “che tali cooperative operano in situazioni di mercato influenzate dal perseguimento di fini mutualistici“. L’eventuale inapplicabilità dello studio di settore alla cooperativa comporta anche l’esonero per la cooperativa dall’obbligo di presentare eventuali questionari obbligatori ai fini della predisposizione o revisione periodica degli studi di settore, come chiarito nel comunicato stampa del 7 dicembre 2006. Dunque, il problema riguarda l’individuazione delle cooperative interessate all’inapplicabilità, tenendo presente che le disposizioni fanno espresso riferimento alle cooperative che operano “esclusivamente” a favore dei propri soci, senza precisare cosa effettivamente si debba intendere con la locuzione “operano esclusivamente a favore dei soci”. Dalla formulazione letterale della norma sembra però che debba farsi discendere l’applicazione della causa solo alle cooperative per le quali lo scambio mutualistico con i propri soci dia luogo a ricavi per cessioni o prestazioni. Solo in tal senso, infatti, la locuzione acquista un suo preciso senso, che manca, invece, in tutte le altre situazioni 64 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Approfondimenti (ad esempio: cooperative di produzione e lavoro) in cui le cooperative effettuano prestazioni o cessioni a favore di terzi soggetti. Concorrono a consolidare tale interpretazione la citata C.M. n. 110/E del 1999 dove è più volte detto ed è meglio chiarito che deve trattarsi di cooperative che svolgono attività a favore dei soci, cioè che operano nei confronti dei soci, in condizioni di mercato diverse da quelle ritenute ordinarie, con la conseguenza, quindi, che il termine attività non può che riferirsi ad un facere a favore di qualcuno, il che dà sicuramente luogo a ricavi. Inoltre, quando il legislatore ha inteso estendere la causa di inapplicabilità anche alle cooperative che non svolgono attività nei confronti dei soci, lo ha fatto in modo esplicito, come nel caso delle cooperative di tassisti o di noleggio auto con autista. Infine, nei documenti dell’Agenzia delle Entrate non si fa minimamente cenno alla possibilità di estendere la causa di inapplicabilità alla cooperativa che utilizzi esclusivamente il lavoro o i conferimenti dei soci, il che conferma che per attività svolta a favore dei soci dovrebbe intendersi solo quella attività che può dar luogo a ricavi. In definitiva si ritiene che la predetta causa di inapplicabilità vale per le cooperative che svolgono attività da cui scaturiscono cessioni o prestazioni di servizi, esclusivamente a favore dei propri soci, quali possono essere, come già sottolineato, i gruppi di acquisto chiusi, gli spacci che vendono solo a soci non imprenditori, le cooperative edilizie, ecc., ivi compresi tutti i consorzi che operano esclusivamente a favore dei propri soci che siano cooperative. 3.3.5 Cooperative a mutualità prevalente La realtà delle cooperative vede la prevalenza di soggetti che operano anche nei confronti di terzi non soci. Per esse risultano, quindi, non operanti le predette clausole di inapplicabilità ma è valida solo l’avvertenza che di tale situazione gli uffici devono tenerne conto. In effetti, le cause di inapplicabilità, come si è visto in precedenza, valgono solo per le cooperative che operano esclusivamente a favore dei soci, il che non sempre si verifica nelle cooperative a mutualità prevalente nelle quali, come è noto, gli scambi mutualistici fra soci e cooperative devono essere superiori al 50% del valore complessivo di riferimento (ma non pari al 100%), come previsto nell’art. 2513 c.c. e dal decreto del Ministero delle attività produttive 30 dicembre 2005. Pertanto, ben può verificarsi il caso di una cooperativa cui spetti la qualifica di cooperativa a mutualità prevalente, in quanto effettua cessioni o prestazioni a favore dei soci in misura superiore al 50% dei ricavi, ma che ne effettua anche a vantaggio dei terzi. Quindi in tali situazioni, fino all’esercizio 2009, si presentano tutti i problemi concernenti le cause che originano la non congruità (con accertamento automatico) in quanto la cooperativa è comunque obbligata agli studi di settore e potrebbe risultare non congrua per effetto appunto della prevalenza, cioè dal fatto d’aver operato, per più del © Cesi Multimedia 65 Capitolo 3 – Approfondimenti 50%, a favore di soci cui ridistribuisce, in misura proporzionale e sotto forma di ristorno, il beneficio economico realizzato con la partecipazione dei soci. Fino all’esercizio 2009, nelle società cooperative a c.d. mutualità prevalente gli uffici dovranno verificare, ai fini dell’applicabilità degli studi di settore, la sussistenza dei requisiti di mutualità prevalente. Dal 2010 tale verifica servirà per selezionare le posizioni da controllare al di là dello studio stesso. La prevalenza, ai sensi dell’art. 26 del decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato, è rispettata quando la cooperativa: svolge la propria attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni e servizi; si avvale prevalentemente, nello svolgimento della propria attività, delle prestazioni lavorative dei soci; si avvale prevalentemente, nello svolgimento della propria attività, degli apporti di beni e servizi da parte dei soci e, in tutti questi casi, rispetta i parametri quantitativi (> 50%) di attività rivolte nei confronti dei soci. Inoltre, la cooperativa a mutualità prevalente deve possedere uno statuto contenente le clausole inderogabili previste dall’art. 2514 c.c., ossia: 1) divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato; 2) divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi; 3) divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori; 4) obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell’intero patrimonio sociale, dedotto soltanto il capitale sociale e i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici. Verificata la sussistenza dei requisiti sopra menzionati, nell’applicazione degli studi di settore alle società cooperative a mutualità prevalente fino all’anno 2009, si dovrà tener conto delle particolari “situazioni di mercato influenzate dal perseguimento di fini mutualistici che possono incidere in maniera anche rilevante sui ricavi conseguiti”. In sostanza vi era – anche prima dell’inutilizzabilità dello studio per un accertamento automatico - l’indicazione agli uffici locali di adeguare, in sede di contraddittorio, gli elementi di riferimento per la determinazione dei ricavi alla particolare attività svolta. Pertanto le particolari situazioni locali, la tipologia di attività, la determinazione del requisito della mutualità, deve essere valutata di volta in volta, dagli uffici nei quali è ubicata la società cooperativa. Per converso, l’individuazione di criteri rigidi ed univoci da utilizzare in sede di contraddittorio da parte degli uffici dell’Agenzia delle Entrate, potrebbe impedire il reale adeguamento dei ricavi alle situazioni di mercato in cui la società cooperativa si trova a svolgere la propria attività e contrasterebbe per gli anni precedenti al 2010 con la inutilizzabilità automatica dello studio di settore per l’azione di accertamento. 66 © Cesi Multimedia Capitolo 3 – Approfondimenti 3.3.6 Applicabilità dei parametri Come sopra ampiamente motivato, l’attività svolta dalla cooperativa a mutualità prevalente non segue le ordinarie regole economiche, per cui pare evidente che la non congruità potrebbe emergere con molta probabilità anche a seguito di una eventuale applicazione dei parametri contabili. Al riguardo, non va sottaciuta la circostanza che anche i parametri, analogamente agli studi di settore, risultano elaborati sulla base di dati che considerano una ordinaria gestione, influenzata, quindi, da logiche speculative che mancano nella gran parte delle cooperative. Anche in tale eventualità, si presenteranno tutti i problemi visti a proposito degli studi di settore in relazione alle diverse situazioni di non raggiungimento della congruità e, pertanto, l’inutilizzazione dell’azione di accertamento da studi di settore dovrà essere estesa anche all’applicazione dei parametri. © Cesi Multimedia 67 Parte II Gli enti non profit Introduzione Introduzione di Andrea Liparata La presente parte della pubblicazione che accompagna i lavori del 52° Congresso dell’UNGDCEC tratta, con singoli interventi, talune delle tematiche di maggiore interesse del comparto non profit. Al riguardo, una premessa di qualificazione e distinzione è doverosa, il comparto non lucrativo attiene a quell’insieme di enti caratterizzati dal perseguimento di scopi ideali, che pertanto si differenziano sia dall’imprenditore puro, operante in forma individuale o societaria, sia dal comparto mutualistico delle cooperative o dei consorzi. L’appartenenza alla categoria del non profit impone, sia in fase di costituzione, sia per tutta la durata, la verifica e il monitoraggio del fine ultimo perseguito, che dovrà essere ideale e/o solidaristico. Il fine di un ente non lucrativo, non può mai essere l’arricchimento economico e/o il perseguimento dell’utile di qualsivoglia stakeholder interno o esterno all’operatore non commerciale. Il significato profondo di fine non lucrativo pone gli enti non profit completamente al di fuori delle normali logiche e dinamiche di gestione delle aziende commerciali. Il risultato economico, il costo dei fattori impiegati, l’efficacia e l’efficienza, devono essere di volta in volta interpretati in relazione alla finalità perseguita. L’unica problematica che l’ente non lucrativo deve risolvere in termini economici, è il reperimento delle risorse per la propria esistenza, a nulla rilevando il raggiungimento di avanzi di bilancio, che in casi estremi potrebbero essere il segnale di un’incompleta adesione al fine ideale perseguito. Le peculiarità del mondo non profit, fanno emergere i limiti di un approccio di regolamentazione tributaria e di misurazione costruito secondo i criteri tipici del comparto lucrativo. Si pensi semplicemente all’applicazione di strumenti quali gli studi di settore, già discutibili nel mondo commerciale, con riferimento ad entità che svolgono solo marginalmente attività lucrative e senza alcun interesse per la massimizzazione del profitto. L’obbligatorietà di sistemi di rendicontazione periodica economico finanziaria, a poco servono in un contesto in cui il risultato di esercizio non assume importanza e il ricorso al credito bancario è estremamente raro. Gli stakeholder di un’associazione ambientalista non sono interessati a sapere quanti utili sono realizzati in un determinato esercizio, bensì quanti ettari di foresta vengono preservati o quante nuove riserve marine sono state istituite. La questione tributaria ha veramente poco significato, chiedere imposte agli enti non lucrativi, in alcuni casi determina un aggravio su soggettività che operano in ambiti dai quali lo stesso comparto Pubblico si è dovuto ritirare, per insufficienza di risorse eco- © Cesi Multimedia 71 Introduzione nomiche e conseguente crisi del welfare state. In altri termini, l’imposizione sul non profit sembra violare il principio di sussidiarietà tra Pubblico e Privato. Rispetto al non profit lo Stato nella sua forma di regolatore, dovrebbe preoccuparsi esclusivamente dell’individuazione degli ambiti di interesse sociale nei quali riconoscere la più totale detassazione e semplificazione amministrativa, proprio perché, chi correttamente opera nel comparto non lucrativo, di fatto svolge delle attività che diversamente graverebbero sulla collettività o comunque sulla qualità del vivere civile. La legislazione del non profit, compresa quella diretta al controllo e alla repressione dei fenomeni di elusione ed evasione, non dovrebbe concentrarsi nella ricerca di materia imponibile, un euro prelevato dal non profit, è spesso una risorsa sottratta ad un soggetto svantaggiato. Diversamente, la legislazione dovrebbe fornire strumenti di analisi in grado di far emergere la natura effettiva dell’ente. Far pagare l’IRES o l’IVA al bar di un’associazione che permette lo svolgimento di attività sportive dilettantistiche in un territorio difficile, non ha senso. Analogamente, far pagare imposte sulle proprietà immobiliari a chi ha come scopo la beneficenza non ha significato. Sono tutte sconfitte del sistema tributario, sia per il gettito modesto che ne deriva, sia e soprattutto per il messaggio punitivo che riceve chi opera senza finalità di lucro. Per quanto attiene all’apporto che il dottore commercialista può fornire al mondo del non profit, nei diversi ruoli di consulente o componente di organi di controllo, vi è la tradizionale necessità, sentita da moltissimi sodalizi, di avere un supporto nell’affrontare le numerose problematiche amministrative e tributarie. Tuttavia il compito del dottore commercialista, per le aree normative di propria competenza, deve essere più ampio e finalizzato a supportare la gestione dell’ente favorendo il rispetto della legalità a sostegno del fine ideale perseguito. Infatti, la varietà del mondo non profit impone necessariamente che l’assistenza all’ente non lucrativo si accompagni ad una approfondita conoscenza dello scopo ideale perseguito. 72 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro 4. L’impresa sociale tra passato, presente e futuro di Francesco Capogrossi Guarna 4.1 Introduzione L’attuale dibattito sul tema dell’economia sociale, sia a livello nazionale che in ambito europeo, scaturisce dalla necessità di superare gli effetti negativi della grave crisi economica e finanziaria in atto attraverso soluzioni e modelli imprenditoriali alternativi e innovativi rispetto a quelli tradizionali. Di conseguenza le inefficienze del mercato1 e il sostanziale fallimento del “fare impresa” attraverso sistemi organizzativi finalizzati soltanto al profitto e al soddisfacimento di interessi proprietari pone al centro dell’attenzione un nuovo e più efficace modo di tutelare i cittadini per un benessere collettivo. La Commissione Europea, con la “Social Business Initiative”2, ha voluto collocare l’impresa sociale al centro dell’ecosistema, dell’innovazione sociale e dell’economia in genere3, volendo contribuire alla creazione di un ambiente favorevole per lo sviluppo del business sociale. Secondo la stessa S.B.I. in Europa le imprese sociali hanno differenti forme legali ma, in ogni caso, hanno caratteristiche comuni. Si tratta dunque di operatori nell’economia sociale il cui obiettivo principale è quello di avere un impatto sociale piuttosto che realizzare un profitto per la proprietà o gli azionisti. Tale impresa opera fornendo beni e servizi per il mercato in modo imprenditoriale e innovativo e utilizza i propri profitti principalmente per raggiungere gli obiettivi sociali prefissati. È gestita in modo aperto e responsabile e, in particolare, coinvolge i lavoratori, i consumatori e le parti interessate ai risultati della sua attività. ------------------------------------------1 C.d. contract failure (A. Zoppini, in H.Hansman, La proprietà dell’impresa, ed. Il Mulino, 2005). Si veda il sito http://ec.europa.eu/internal_market/social_business/index_en. htm. La Commissione Europea ha costituito un gruppo di esperti dei vari paesi UE (GECES) per 6 anni (2012–2017), che viene consultato circa l’opportunità, lo sviluppo, la creazione e l’attuazione di tutte le azioni menzionate nel SBI, o l’ulteriore sviluppo dell’imprenditorialità sociale e dell’economia sociale. Per l’Italia partecipa la Direzione generale per il Terzo settore e le formazioni sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che ha costituito un gruppo nazionale di supporto. 3 Valgano in tal senso le conclusioni della conferenza europea tenuta il 16–17 gennaio 2014 a Strasburgo dal titolo “Social Enterpreneurs: have your say” (http://ec.europa.eu/internal_market/conferences/2014/01162 social-entrepreneurs/declaration/index_en. htm). © Cesi Multimedia 73 Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro Appare quindi prioritario, secondo i più recenti indirizzi, sviluppare e rafforzare il ruolo delle imprese sociali prevedendo, ad esempio, forme giuridiche più adeguate e meglio regolamentate, anche attraverso incentivi di tipo finanziario e fiscale ovvero aprendo alla possibilità di distribuire in modo limitato utili per la remunerazione del capitale investito e creare meccanismi di governance più efficaci. La creazione di valore, pertanto, oggi più che in passato, dovrebbe trovare il suo fondamento imprenditoriale in attività realizzate esclusivamente per fini di utilità sociale4, sia attraverso la produzione e lo scambio di beni e di servizi nei settori della sanità, dell’istruzione, dell’ambiente e della cultura sia con l’inserimento di lavoratori “svantaggiati” sotto profili diversi, anche ad esempio in termini di disagio occupazionale5. 4.2 L’esperienza italiana nel privato sociale e la cooperazione Nel campo del welfare e del sociale l’esperienza italiana ha dimostrato, in oltre un ventennio, di saper rispondere a queste specifiche esigenze, sempre crescenti, attraverso soggetti – in genere senza scopo di lucro – rientranti nel c.d. “terzo settore”6 e qualificabili come istituzioni, di natura privata, che si collocano tra lo Stato e il Mercato ma non sono riconducibili né all’uno né all’altro settore7. I diversi modelli e le differenti logiche di funzionamento di questi organismi identificano, poi, il non profit come espressione della società civile (c.d. sussidiarietà orizzontale), come semplice supporto alle amministrazioni pubbliche (c.d. sussidiarietà verticale) ovvero quale espressione del settore for profit (c.d. corporate philantropy). Il comparto, tuttavia, è stato disciplinato e regolamentato nel tempo da un numero eccessivo di norme, anche a carattere speciale, che hanno introdotto qualifiche, settori di attività e modalità di intervento spesso similari8. ------------------------------------------4 Per la nozione di “fini di pubblica utilità” e quella di “utilità sociale” si richiama l’Atto di indirizzo emanato il 26/10/2006 dalla ex Agenzia per il Terzo Settore (soppressa dall’art. 8 comma 23 del d.l. n. 16 del 2/3/2012 conv. legge n. 44/2012 le cui funzioni sono state attribuite al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali – Dir. Gen. Terzo Settore e Formazioni sociali). 5 Si richiamano in proposito alcuni progetti sperimentali che riguardano lo sviluppo di imprese sociali come forme di riconversione di aziende profit in crisi e/o strumenti per la ripresa del mercato del lavoro definite “rescue company” o “save company” (Fiorentini G., 2010). Si veda anche “Impresa sociale & innovazione sociale. Imprenditorialità nel terzo settore e nell’economia sociale: il modello IS&IS”, di F.Calò, G.Fiorentini, Franco Angeli (2013). 6 Anche qualificato come economia civile, privato sociale o settore non profit. 7 Secondo l’ultimo Censimento delle istituzioni non profit per il 2011 effettuato dall’Istat (dati pubblicati a novembre 2013) appartengono al settore 301.191 organizzazioni operanti in forme e ambiti diversi (+28% rispetto al 2001) di cui 11.264 costituite in forma di cooperativa sociale ex legge n. 381/1991 (+98,5% rispetto al 2001). 8 Si pensi ad esempio alle organizzazioni di volontariato (legge 11 agosto 1991, n. 266 e art. 30, comma 5, d.l. 29 novembre 2008 n. 185 conv. nella legge 29 gennaio 2009 n. 2), alle cooperative sociali (legge 8 novembre 1991, n. 381), alla promozione sociale (art. 3, comma 6, legge 25 agosto 1991, n. 287 e legge 7 dicembre 2000, n. 383) e alle ONLUS (qualifica soltanto “fiscale” ex art. 10 e seguenti del d.lgs. 4 dicembre 1997 in vigore dall’1 gennaio 1998). 74 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro Ma le prime, e durature, esperienze imprenditoriali con obiettivi sociali sono state quelle previste dalla legge 8 novembre 1991 n. 381 sulle cooperative sociali, figure peraltro richiamate dalla stessa Costituzione (art. 45). Tali soggetti hanno dimostrato di operare con efficacia ed in continua crescita9 con lo scopo di perseguire l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale di cittadini attraverso: a) la gestione di servizi socio-sanitari ed educativi; b) lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi – finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Secondo il Rapporto Unioncamere su “Cooperazione, non profit e imprenditoria sociale”10 “le modalità di funzionamento, gli obiettivi e la strutturazione del fenomeno coope- rativo hanno subito profonde trasformazioni negli anni, pur senza intaccare i principi di origine: mutualità e solidarietà”. Tuttavia anche all’interno dello schema cooperativo sociale il legislatore ha dovuto operare alcune “forzature” estendendo il concetto di mutualità fuori dal perimetro dei propri soci ed oltre la compagine sociale. Si è così affiancato alla definizione di “mutualità interna” quella di “mutualità esterna” attraverso la quale l’azione è diretta non solo agli associati ma anche ad altri soggetti esterni all’organizzazione che condividono gli interessi da perseguire a cura della cooperativa stessa11. Il modello cooperativo, quindi, inserito nel libro V del codice civile sulle società e disciplinato per la parte “sociale” da una legge speciale, si è sempre basato sui seguenti elementi principali: organizzazione proprietaria fondata su princìpi democratici priva di interessi egoistici; finalità mutualistica e limitato scopo di lucro soggettivo strumentale; propensione all’attività sociale verso l’esterno anche con l’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati. 4.3 L’impresa sociale: inquadramento normativo e motivi di insuccesso L’impresa sociale12 è stata recepita nel nostro ordinamento con la legge 13 maggio 2005, n. 118 con cui si delegava il Governo ad adottare uno o più decreti legislativi re- ------------------------------------------9 Secondo il 1° Rapporto Euricse su “La cooperazione in Italia” (novembre 2011) le cooperative attive al 31/12/2008 erano pari a 57.640 e le cooperative sociali pari a 13.938 (superiori al Censimento Istat 2011). 10 “Unioncamere-Si.Camera, Cooperazione, non profit e imprenditoria sociale: economia e lavoro, gennaio 2014”. 11 Studio n. 429–2006/C su “L’impresa sociale - Prime riflessioni sul d.lgs. 24 marzo 2006, n. 155” – Consiglio Nazionale del Notariato (giugno-luglio 2006). 12 Si tratta in sostanza di una “qualifica” che può essere, in via facoltativa, acquisita da qualunque organismo privato. Le cooperative sociali e i loro consorzi di cui alla legge n. 381/1991 sono imprese sociali ex lege © Cesi Multimedia 75 Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro canti una disciplina organica, ad integrazione delle norme dell’ordinamento civile, relativa alle “imprese sociali”. Il successivo d.lgs. 24 marzo 2006 n. 15513, in vigore dal 12 maggio 2006, ha individuato e disciplinato i requisiti soggettivi e oggettivi prevedendo l’acquisizione di tale qualifica da parte di qualunque “organizzazione privata” (in forma societaria, cooperativa, consortile ovvero rientrante tra gli enti del “terzo settore”) che eserciti, in via stabile e principale, un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale. Completano l’iter normativo i decreti attuativi del Ministro dello sviluppo economico e del Ministro della Solidarietà sociale, approvati il 24 gennaio 2008 (in GU dell’11 aprile 2008 n. 86), rendendo quindi operativa la disciplina di cui al d.lgs. n. 155/2006 sull’impresa sociale regolamentando i seguenti aspetti: 1. art. 2 comma 3: definizione di ricavi e computo della percentuale del 70% per cento dei ricavi complessivi dell’impresa; 2. art. 5 comma 5: definizione degli atti da depositare al Registro delle Imprese; 3. art. 10 comma 2: linee guida per la redazione del bilancio sociale; 4. art. 13 comma 2: linee guida per le operazioni di trasformazione, fusione, scissione e cessione d’azienda. Nonostante i punti di forza del modello di impresa sociale, consistenti in flessibilità, attenzione agli aspetti relazionali e motivazionali, sviluppo del capitale umano, dimensione fortemente localistica e organizzazione “multistakeholder”14, la sua disciplina non ha incontrato ampi consensi come dimostra il fatto che il numero di questa “nuova” forma imprenditoriale è rimasto molto esiguo. In proposito si richiama il Rapporto Unioncamere su “Cooperazione, non profit e imprenditoria sociale; economia e lavoro”15, secondo cui le imprese sociali qualificate come tali ai sensi del d.lgs. 24 marzo 2006 n. 155, iscritte e registrate al 14 gennaio 2014 nell’apposita sezione del Registro Imprese, sono pari a 76816. Numeri, questi, troppo esigui che non consentono di dare un giudizio positivo alla normativa italiana in materia, rimasta pressoché inattuata se posta a confronto con il ------------------------------------------sempreché rispettino le previsioni dell’art. 10 comma 2 (bilancio sociale) e art. 12 (coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari delle attività) del d.lgs. n. 155/2006. 13 In GU n. 97 del 27 aprile 2006. 14 Borzaga C., Fazzi L. (2008). 15 Pubblicato a gennaio 2014. 16 Secondo il documento su “L’Impresa sociale in Italia. Pluralità dei modelli e contributo alla ripresa. Rapporto Iris Network” a cura di Venturi P. e Zandonai F. (2012) in collaborazione con Unioncamere, edizioni altraeconomia (2012), le imprese sociali costituite ex d.lgs. n. 155/2006 ed iscritte nell’apposita sezione erano al 2011 pari a 365, le altre imprese con la sola dicitura “impresa sociale” pari a 404, mentre le cooperative sociali ex legge n. 381/1981 erano in numero di 11.808. Il potenziale di imprenditorialità sociale, tuttavia, secondo il documento, arriva per altre organizzazioni non profit a 22.468 unità e addirittura per le imprese for profit operanti nei settori ex d.lgs. n. 155/2006 ad un totale di 85.445. 76 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro settore della cooperazione sociale, comportando quindi la necessità di una sua riformulazione se non di una vera e propria riforma. Le principali cause che hanno rallentato il potenziale successo della norma sulle imprese sociali possono essere così individuate: tardività nella pubblicazione dei decreti ministeriali attuativi avvenuta soltanto nel corso del 2008; scarsa omogeneità e compatibilità tra la norma sull’impresa sociale e quelle già previste per le altre forme organizzative che possono assumerne la predetta qualifica (tra cui quelle in materia di società e di enti non lucrativi17); assenza di qualunque agevolazione di natura fiscale (imposte sul reddito, Iva, altre imposte18), sia per la mancanza di un sistema di tassazione di favore per le finalità dell’attività d’impresa svolta sia per la carenza di incentivi nei confronti dei terzi che ne promuovono lo sviluppo (ad es. detrazioni, deduzioni a seguito di contributi, finanziamenti, erogazioni, liberalità, ecc..); assenza di forme di remunerazione del capitale investito (per l’assoluto divieto di lucro soggettivo e la non distribuzione dei profitti neanche in forme indirette), con la conseguente scarsa capacità di poter attrarre risorse finanziarie per la creazione e lo sviluppo delle attività imprenditoriali a valenza sociale; recente “concorrenza” della normativa sulle start-up innovative19, in forma di società di capitali, anche cooperativa, nonché quelle c.d. a vocazione sociale operanti in via esclusiva nei settori indicati dall’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 155/2006 sull’impresa sociale; previsione di vincoli nella governance aziendale che privano gli enti in forma societaria di quelle caratteristiche tipiche di tali istituti capitalistici (ad es. il divieto di distribuzione degli utili, il principio di non discrezionalità nell’ammissione ed esclusione dei soci e l’obbligo di forme di coinvolgimento nelle decisioni dell’impresa dei lavoratori e dei destinatari dell’attività20). ------------------------------------------17 Ad es. derivante dalla contemporanea qualifica di impresa sociale che esercita in via stabile e organizzata un’attività economica e quella, non compatibile sotto il profilo tributario, di ente non commerciale rientrante nella nozione dell’art. 73, comma 1, lett. c) del d.p.r. n. 917/1986 e soggetto a perdita di status ex art. 149 del d.p.r. n. 917/1986. 18 Valgono in realtà i singoli trattamenti tributari agevolati previsti dalle altre norme di settore per particolari soggetti operanti in settori sociali (es. cooperative, ONLUS, volontariato, promozione sociale, ecc..). 19 Sono quelle aventi oggetto sociale esclusivo o prevalente lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione dei prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico ai sensi del d.l. 18 ottobre 2012 n. 179 conv. nella legge 17 dicembre 2012 n. 221. 20 Il riferimento per tali vincoli è agli articoli 3, 9, 12 e 14 del d.lgs. n. 155/2006. Si veda su tali punti “Impresa sociale, Quaderno n. 2” (aprile 2012) a cura della Commissione “Analisi normativa, enti non lucrativi e impresa sociale” del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. © Cesi Multimedia 77 Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro 4.4 Principali elementi qualificanti dell’impresa sociale Si evidenziano di seguito i requisiti di maggior interesse ai fini di tale qualifica21. 4.4.1 Nozione e forme giuridiche Possono acquisire la qualifica di impresa sociale, ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 155/2006, tutte le organizzazioni private22, che esercitano in via stabile (ex art. 2082 del codice civile) e “principale” un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi di utilità sociale (indicati nell’art. 2), diretta a realizzare finalità di interesse generale, e che hanno specifici requisiti. Rientrano tra le predette organizzazioni: 1. gli enti di cui al Libro I del codice civile, tra cui: 1.1. associazioni (riconosciute e non) – artt.14, 36 c.c. 1.2. fondazioni – art. 14 c.c. 1.3. comitati (riconosciuti e non) – artt.14, 39 c.c. 2. gli enti di cui al Libro V del codice civile, tra cui: 2.1. società di persone – artt. 2291–2324 c.c. 2.2. società di capitali – artt. 2325–2483 c.c. 2.3. cooperative artt. 2511–2548 c.c. 2.4. consorzi artt. 2602–2615–ter c.c. Sono invece esclusi dalla possibilità di acquisire la qualifica di impresa sociale i seguenti soggetti: le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 16523; le organizzazioni i cui atti costitutivi limitino, anche indirettamente, l’erogazione dei beni e dei servizi in favore dei soli soci, associati o partecipanti24; ------------------------------------------21 Si veda il “Quaderno n. 1, Impresa sociale, Lineamenti tecnico-operativi” – CNDCEC e IRDCEC (giugno 2009). 22 Il riferimento molto ampio e generico a “tutte le organizzazioni private” - oltre a questioni di coordinamento normativo come già sottolineato in precedenza - potrebbe porre dubbi interpretativi sulla riconducibilità o meno a tale categoria di forme soggettive particolari (ad es. si veda quanto precisato sui “trust” per la qualifica di ONLUS dall’Atto di indirizzo della ex Agenzia del Terzo Settore del 25/05/2011 e dalla Circolare Agenzia Entrate n. 38/E dell’1 agosto 2011 – Par.3). 23 In materia di ONLUS l’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 38/E dell’1 agosto 2011 ha ritenuto possibile per gli enti “esclusi” dalle ONLUS (enti pubblici e società commerciali) costituire o partecipare ad ONLUS ai sensi dell’art. 10 comma 10 del d.lgs. n. 460/1997, con ciò superando il suo precedente e contrario orientamento (cfr. Risoluzione n. 164/E del 28 dicembre 2004 e Circolare n. 59 del 31 ottobre 2007). Dello stesso avviso anche la Cassazione con Sentenza n. 11148 del 10 maggio 2013. Ciò è possibile anche in presenza di una loro influenza dominante nelle determinazioni della ONLUS e una prevalenza numerica dei soci. 24 Differentemente da quanto previsto per le ONLUS ai sensi dell’art. 10 comma 3 del d.lgs. n. 460/1997 secondo cui le finalità solidaristiche si intendono realizzate anche quando tra i beneficiari vi siano – ancorché 78 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro gli enti ecclesiastici e gli enti delle confessioni religiose con cui lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, per le attività non ricomprese in quelle indicate per l’impresa sociale25. La scelta del legislatore, a differenza di altre normative di settore (ad es. ONLUS) è stata quella di amplificare l’autonomia privata nell’acquisizione della qualifica di impresa sociale, ammettendo soggetti giuridicamente anche molto differenti. Ma tra le cause che hanno limitato il successo della norma in commento devono ricordarsi, ancora una volta, quelle legate alla verifica in concreto dell’applicazione di limiti e condizioni nei diversi modelli organizzativi e gestionali che, ad esempio, incontrano trattamenti fiscali profondamente difformi26. Occorre quindi rendere più omogenea e compatibile la normativa per le varie forme organizzative prevedendo ad esempio due sezioni o livelli: 1) sezione enti societari; 2) se- zione altri enti. Ogni riferimento normativo (limiti e deroghe comprese), pertanto, potrebbe essere ancorato a ciascuna sezione secondo le sue specifiche. Alcuni commentatori, al contrario, considerano essenziale (quale unica soluzione percorribile per il futuro) ricomprendere nella qualifica di impresa sociale solo strutture societarie (società di capitali), visto lo svolgimento di attività “con metodo economico” (come ad es. previsto per le start up innovative ex d.l. n. 179/2012). Sotto il profilo agevolativo e fiscale, poi, potrebbero essere introdotte ipotesi diverse tra cui: quelle già previste per le start up innovative ex d.l. n. 179/2012, quali ad es.: 1. accesso agevolazioni per l’assunzione di personale ex art. 27-bis, in materia di lavoro ex art. 28, ecc…; 2. incentivi all’investimento agevolato su capitale e fondi investiti ex art. 29, comma 1, d.l. n. 179/2012 (ad es. detrazioni fiscali 19%-25% IRPEF; 20% IRES - cfr. d.m. 30 gennaio 2014, in G.U. n. 66 del 20 marzo 2014), fino a un tetto massimo; 3. raccolta di capitali tramite portali on line (art. 30) come ad es. il crowdfunding; ------------------------------------------in via esclusiva - i propri soci, associati o partecipanti, nonché degli altri soggetti indicati alla lettera a) comma 6, se questi si trovano nelle condizioni di svantaggio di cui alla lett. a) comma 2. 25 Tali enti, similarmente, possono acquisire la qualifica di ONLUS “parziaria” o “parziale” ex art. 10 comma 9 d.lgs. n. 460/1997. Appare tuttavia preferibile escludere gli enti ecclesiastici, per le oggettive e complesse difficoltà nella distinzione delle attività e degli obblighi conseguenti, anche se l’art. 1 comma 3 del d.lgs. n. 155/2006 indica l’adozione di un regolamento e di scritture contabili separate. 26 Basti pensare al regime degli enti associativi ex art. 148 comma 3 del d.p.r. n. 917/86 che “decommercializza” molti “ricavi” dell’attività svolta ovvero quello agevolato delle cooperative ex art. 12 legge n. 904/1977 e art. 11 d.p.r. n. 601/1973 rispetto al sistema di tassazione previsto per una società di capitali (art. 51 d.p.r. n. 917/1986) ovvero quello delle ONLUS che esclude dalla commercialità i proventi delle attività istituzionali e rende non imponibili quelli delle attività connesse (art. 150 commi 1 e 2 d.p.r. n. 917/1986). © Cesi Multimedia 79 Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro esclusione dalle norme sulle società di comodo e/o da quelle per le imprese in perdita sistemica; crediti d’imposta “variabili” specie per i primi anni di attività (poi in forma più ridotta); esenzioni e/o riduzioni Iva (similarmente all’imposta ridotta al 4% sulle prestazioni socio sanitarie e assistenziali di cooperative). 4.4.2 Elementi statutari Ai fini della costituzione di una impresa sociale questa deve avvenire per atto pubblico ai sensi dell’art. 5 del d.lgs. n. 155/2006, a prescindere dalla forma giuridica adottata, dovendo esplicitare il “carattere sociale dell’impresa” e indicando27: l’oggetto sociale nelle attività di utilità sociale (art. 2); l’assenza del fine di lucro (art. 3); nella denominazione l’uso della locuzione “impresa sociale”28 (art. 7); i requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza (art. 8 comma 3); le modalità di ammissione ed esclusione dei soci e la disciplina del rapporto sociale secondo il principio di non discriminazione, compatibilmente con la forma giuridica dell’ente (art. 9)29; la nomina di uno o più sindaci, che vigilano sull’osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile, in caso di superamento di due dei limiti indicati nell’art. 2435-bis comma 1 c.c. ridotti della metà30; forme di coinvolgimento dei lavoratori e dei destinatari delle attività, da intendersi per tale qualsiasi meccanismo, inclusa l’informazione, la consultazione o la partecipazione, mediante il quale lavoratori e destinatari possono esercitare un’influenza sulle decisioni da adottare nell’ambito dell’impresa, almeno per le le questioni che incidano sulle condizioni di lavoro e sulla qualità dei beni e dei servizi prodotti o scambiati (art. 12)31; ------------------------------------------27 Per un approfondimento valga lo Studio n. 429–2006/C del Consiglio Nazionale del Notariato (giugnoluglio 2006). 28 Tale obbligo è escluso per gli enti ecclesiastici. L’uso della locuzione di impresa sociale o di altre parole che traggano in inganno i terzi è vietato (non vengono tuttavia previste sanzioni specifiche come ad es. per le ONLUS ad opera dell’art. 28 comma 1 lett. c) chi contravviene al disposto dell’art. 27, è punito con la sanzione amministrativa da euro309,87 a euro3.098,74). 29 Ciò necessita l’intervento dell’assemblea per i provvedimenti di diniego di iscrizione dei soci ovvero della loro esclusione ai sensi dell’art. 9 comma 2. 30 I limiti per la redazione del bilancio in forma abbreviata sono: 1) totale dell’attivo dello stato patrimoniale: 4.400.000 euro; 2) ricavi delle vendite e delle prestazioni: 8.800.000 euro; 3) dipendenti occupati in media durante l’esercizio: 50 unità. 31 Ciò può avvenire anche in regolamenti aziendali o accordi specifici. 80 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro l’obbligo di devoluzione del patrimonio residuo in caso di cessazione (ad eccezione per le cooperative) ad altri enti non profit (ONLUS, associazioni, comitati, fondazioni ed enti ecclesiastici) secondo le norme statutarie. Avuto riguardo agli obblighi di iscrizione presso la sezione speciale del Registro delle Imprese, il decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 24 gennaio 2008 ne ha definito, ai sensi dell’art. 5 comma 2 del d.lgs. n. 155/2006, le procedure per il deposito degli atti e documenti da depositare tra cui: a) l’atto costitutivo, lo statuto e ogni successiva modificazione; b) un documento che rappresenti la situazione patrimoniale ed economica dell’impresa; c) il bilancio sociale (art. 10 comma 2) redatto secondo apposite linee guida; d) i documenti di cui sopra in forma consolidata per i gruppi di imprese sociali, oltre all’accordo di partecipazione e ogni sua modifica; e) ogni altro atto o documento previsto dalla normativa vigente. Il deposito dei documenti avviene entro trenta giorni dal verificarsi dell’evento. In tema di contabilità e bilancio, ai sensi dell’art. 10 del d.lgs. n. 155/2006, le imprese sociali devono tenere le scritture contabili quali il libro giornale, il libro inventari, nonché redigere approvare e depositare nel registro delle imprese un documento con la situazione patrimoniale ed economica e redigere e depositare il bilancio sociale. Il DM sugli atti del registro delle imprese precisa altresì, all’art. 2 comma 1, che il documento economico-patrimoniale e quello consolidato debbano essere redatti secondo gli schemi di bilancio di esercizio predisposti dalla ex Agenzia per il Terzo Settore. Si tratta in particolare delle “Linee guida e schemi per la redazione del bilancio di esercizio e del bilancio consolidato delle imprese sociali” (febbraio 2010). Nelle linee guida vengono richiamati gli obblighi del codice civile per la redazione di bilancio ove si tratti di imprese sociali aventi la forma degli enti “societari” di cui al libro V del codice civile a cui si applicano: per le società per azioni, gli artt. 2423 c.c. e ss.; per le società in accomandita per azioni, in forza del rinvio contenuto nell’art. 2454 c.c., le norme relative alle s.p.a.; per le società a responsabilità limitata, in forza del rinvio contenuto nell’art. 2478-bis c.c., gli art. 2423 c.c. e ss., salvo quanto disposto dall’art. 2435-bis c.c.; per le società cooperative, in forza del rinvio contenuto nell’art. 2519 c.c. e in quanto compatibili le norme relative alle s.p.a.; per i consorzi, l’art. 2615-bis che rinvia per la redazione della situazione patrimoniale alle norme relative al bilancio di esercizio delle s.p.a.; per le società di persone, in assenza di obblighi civilistici sulla struttura del bilancio, l’art. 2423 c.c. e ss., in quanto applicabili. © Cesi Multimedia 81 Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro Gli enti di cui al libro I del codice civile (associazioni, fondazioni, comitati e altri enti di carattere privato) sono invece tenuti a redigere il bilancio di esercizio secondo le linee guida e gli schemi ivi illustrati32. Il dettato letterale dell’art. 2 comma 1 lett. b) del d.m. sul registro imprese, richiamato anche in materia di scritture contabili dall’art. 10 comma 1 del d.lgs. n. 155/2006, non sembra riferirsi anche alla situazione finanziaria ma solo a quella economicopatrimoniale33. Tuttavia il riferimento agli “schemi di bilancio di esercizio” sembra propendere per una più ampia ipotesi di documenti consuntivi che – anche alla luce delle linee guida e gli altri atti di indirizzo in materia contabile – siano composti da una situazione patrimoniale, economica e finanziaria. Peraltro è da sottolineare che l’unico riferimento chiaro alla componente finanziaria è previsto dal decreto del Ministro della Solidarietà sociale del 24 febbraio 2008 (emanato ai sensi dell’art. 10 comma 2 del d.lgs. n. 155/2006), che individua le linee guida per la redazione del bilancio sociale obbligatorio per le attività svolte da parte di organizzazioni che esercitano l’impresa sociale. Nel punto 1.2.5. – Sezione D – infatti l’esame della situazione finanziaria prevede i seguenti elementi: analisi entrate e proventi nel rispetto del 70% dei ricavi; analisi uscite e oneri; indicazione delle spese in funzione degli obiettivi dell’impresa; analisi dei fondi disponibili; vincolati e di dotazione; analisi delle entrate e dei costi dell’attività di raccolta fondi. 4.4.3 Attività “principale” L’art. 2 comma 3 del d.lgs. n. 155/2006 considera “attività principale” quella per la quale i relativi “ricavi” sono superiori al 70% dei ricavi complessivi dell’ente. Sul punto il decreto del Ministro dello Sviluppo Economico del 24 gennaio 2008 ha definito i criteri quantitativi e temporali per il computo della percentuale del 70% dei ricavi complessivi dell’impresa sociale. In particolare viene chiarito che debbono intendersi ricavi: 1. tutti i proventi che concorrono positivamente alla realizzazione del risultato gestionale dell’esercizio contabile di riferimento, se l’ente adotta principi di contabilità per competenza; ------------------------------------------32 Per completezza si richiama altresì il Principio contabile n. 1 (Tavolo tecnico ex Agenzia Terzo settore, CNDCEC, OIC - maggio 2011). 33 La situazione finanziaria è obbligatoria ad es. per le ONLUS ai sensi dell’art. 20-bis del d.p.r. n. 600/1973 nonché per alcune tipologie di enti non profit che svolgono attività ad es. di raccolta pubblica di fondi ovvero rientrano tra gli enti associativi ai sensi dell’art. 148 comma 8 lett. d) del TUIR per i quali l’obbligo di rendicontazione è economico-finanziario. 82 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro 2. tutte le entrate temporalmente riferibili all’anno di riferimento, se l’ente adotta principi di contabilità per cassa34. In entrambi i casi ciò deve essere considerato compatibilmente con i vincoli di legge in materia di contabilità35. Il provvedimento, poi, considera, ai fini della richiamata percentuale nel rapporto tra i ricavi dell’attività sociale e quelli complessivi che al numeratore debbano essere riportati soltanto i ricavi come definiti dall’art. 1 del d.m. direttamente generati dalle attività svolte nei settori obbligatori36. Sono invece, in ogni caso, esclusi dal rapporto in questione – sia al numeratore che al denominatore – i ricavi (non tipici) relativi a: 1. proventi o rendite finanziarie o immobiliari; 2. plusvalenze di tipo finanziario o patrimoniale; 3. sopravvenienze attive; 4. contratti o convenzioni con società o enti controllati o controllanti della medesima organizzazione. L’elemento da utilizzarsi per l’inserimento, al fine del corretto computo percentuale, di ricavi non chiaramente attribuibili ad un determinato settore di attività, è riferito al numero degli addetti impiegati per ciascuna attività37. Tutte le informazioni di cui sopra (rapporto percentuale di ricavi, particolari ricavi al di fuori dell’attività tipica, l’attribuzione con il numero di addetti), debbono essere pubblicate unitamente ai dati di bilancio anche all’interno del bilancio sociale. In caso di mancato rispetto delle condizioni citate l’ente stesso deve effettuare una segnalazione al Ministero della solidarietà sociale e al Registro delle imprese. 4.4.4 Fine di utilità sociale Il fine centrale dell’impresa sociale, ai sensi dell’art. 2, è quello di produrre e scambiare beni e servizi di utilità sociale nei seguenti settori: a) assistenza sociale (legge 8 novembre 2000 n. 328 sul sistema integrato di interventi e servizi sociali); ------------------------------------------34 Secondo il Principio contabile n. 1 (Tavolo tecnico ex Agenzia Terzo settore, CNDCEC, OIC - maggio 2011) i bilanci degli enti non profit dovrebbero, anche laddove non siano presenti norme cogenti, essere redatti secondo il principio della competenza economica in quanto più adatti a fornire informazioni in merito al reale stato di salute dell’ente, con riferimento alla situazione patrimoniale-finanziaria ed a quella economica. E’ tuttavia consentito agli enti di minori dimensioni, intesi come quelli con ricavi e proventi inferiori ad € 250 mila (cfr. ex Agenzia per le ONLUS, “Linee guida e schemi per la redazione dei bilanci di esercizio degli enti non profit”, par. 1.3). 35 E’ ovviamente il caso degli organismi a carattere societario che non possono ad es. adottare criteri di imputazione contabile per cassa, salvo deroghe specifiche. Per il futuro è auspicabile prevedere quale criterio contabile soltanto quello di competenza escludendo quello di cassa per omogeneità di valori ed effetti (es. anche fiscali). 36 Art. 2 d.lgs. n. 155/2006. 37 Non appare chiaro il termine “addetto”, se debba riferirsi a lavoratori dipendenti o assimilati, a volontari, a lavoratori autonomi, o ad altre forme lavorative. © Cesi Multimedia 83 Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro b) assistenza sanitaria (d.p.c.m. 29 novembre 2001 sui “livelli essenziali di assistenza”) c) assistenza sociosanitaria (d.p.c.m. 14 febbraio 200138); d) educazione, istruzione e formazione (legge 28 marzo 2003 n. 53 sui livelli essenziali di prestazioni di istruzione e formazione professionale39); e) tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (legge 15 dicembre 2004 n. 308 recante delega in materia ambientale ad esclusione delle attività di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi); f) valorizzazione del patrimonio culturale (d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42, modificato dal d.lgs. 24 marzo 2006 n. 156 in tema di “codice dei beni culturali”); g) turismo sociale (art. 7 comma 10 legge 29 marzo 2001 n. 135)40; h) formazione universitaria e post universitaria; i) ricerca ed erogazione di servizi culturali41; j) formazione extra-scolastica finalizzata alla prevenzione della dispersione scolastica ed al successo scolastico e formativo; k) servizi strumentali alle imprese sociali resi da enti composti in misura superiore al 70% da organizzazioni che esercitano un’impresa sociale. Con riferimento alla necessità di allargare gli ambiti di intervento si riportano gli ulteriori settori di interesse sociale che sono stati inseriti in alcune proposte di riforma42: 1. commercio equo e solidale; 2. servizi al lavoro finalizzati all’inserimento lavorativo di lavoratori svantaggiati di cui all’articolo 2, numero 18), del regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008; 3. alloggio sociale; 4. erogazione di microcredito da parte dei soggetti iscritti all’elenco di cui all’articolo 111 del d.lgs. n. 385/1993 che svolgano in modo prevalente questa attività. L’erogazione di microcredito si considera prevalente quando risulti che ------------------------------------------38 In attuazione dell’art. 3-septies del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 502. Nulla viene precisato in relazione alle condizioni e modalità di svolgimento dei servizi, ad es. se accreditati o contrattualizzati con lo Stato, le Regioni e gli enti locali. 39 Non viene richiamata la legge 10 marzo 2000 n. 62 sul sistema nazionale di istruzione in merito alle “scuole paritarie” identificate come “istituzioni scolastiche non statali”. Rientra nell’ambito didattico anche l’Istruzione e formazione professionale (IEFP) e gli Istituti Universitari. 40 Si segnala che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 80 del 5 aprile 2012, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 9 del d.lgs. 23 maggio 2011 n. 79 (Codice della normativa statale in tema di ordinamento e mercato del turismo, a norma dell’art. 14 della legge 28 novembre 2005, n. 246), statuendo che tale norma, contenente una classificazione e una disciplina delle strutture ricettive alberghiere e paralberghiere, accentra in capo allo Stato compiti e funzioni la cui disciplina era stata rimessa alle Regioni e alle Province autonome che finisce per alterare il riparto di competenze tra Stato e Regioni nella suddetta materia. 41 La definizione dei “servizi culturali” risulta troppo ampia e generica e di difficile inquadramento. 42 Si veda la proposta presentata con un emendamento il 23 gennaio 2014 da Luigi Bobba nel collegato alla legge di stabilità “Destinazione Italia” – definito non ammissibile – (cfr. Il Sole 24 Ore del 12/2/2014). L’ampliamento dei settori era già stato richiesto in un precedente emendamento nel giugno 2012. 84 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro almeno il 70% degli impieghi dell’organizzazione esaminata sia destinato a microfinanziamenti, così come definiti dal medesimo articolo 11 del d.lgs. n. 385/93. E’ previsto, inoltre, all’art. 2 comma 2 che, indipendentemente dai settori di attività, possono acquisire la qualifica di impresa sociale le organizzazioni che esercitano attività d’impresa al fine dell’inserimento lavorativo di soggetti che siano: a) lavoratori svantaggiati43 b) lavoratori disabili44 e che rappresentino almeno il 30% dei lavoratori impiegati a qualunque titolo nell’impresa (comma 4). Sono previste peraltro particolari tutele ai lavoratori dall’art. 14 (lavoro nell’impresa sociale) riguardanti: il trattamento economico non inferiore a quello dei CCNL (comma 1); la possibilità di prestare attività di volontariato nei limiti del 50% dei lavoratori a qualunque titolo impiegati45; 4.4.5 Assenza dello scopo di lucro e divieto di distribuzione L’art. 3 del d.lgs. n. 155/2006 impone il vincolo dell’assenza dello scopo di lucro, da intendersi in senso soggettivo46 (e non oggettivo, essendo l’attività economica e commerciale elemento qualificante dell’impresa sociale). Il comma 1 in particolare prevede l’obbligo di destinare gli utili e gli avanzi della gestione allo svolgimento dell’attività tipica statutaria ovvero per incrementare il patrimonio. L’assenza dello scopo di lucro viene poi confermata con il comma 2 con il divieto di distribuire, anche in via indiretta, utili e avanzi della gestione, comunque denominati, nonché fondi e riserve (o capitali) in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori. A tal fine si considerano distribuzione indiretta di utili le ipotesi, da considerarsi tassative ex lege – di cui all’art. 3 comma 2 d.lgs. n. 155/2006 – quali la corresponsione di: 1. compensi agli amministratori superiori a quelli in imprese operanti in medesimi settori e condizioni, salvo comprovate esigenze di acquisire specifiche competenze entro il limite del 20%; ------------------------------------------43 Art. 2, par. 1, lett. f), pti i), ix) e x), del regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione, 5 dicembre 2002, della Commissione relativo all’applicazione degli artt. 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore dell’occupazione. Possono a questi aggiungersi anche quelli di cui all’articolo 1 del decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali del 20/3/2013, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 153 del 2 luglio 2013. 44 Art. 2, par. 1, lett. g) del citato regolamento (CE) n. 2204/2002. 45 Si applicano gli artt.2,4, 17 della legge n. 266/1991 sul volontariato, anche se non sono chiari i limiti, i contenuti e le condizioni di simili attività (note sono le questioni riguardanti ad es. il trattamento fiscale dei rimborsi spese, quelli contributivi, assicurativi, di tutela negli ambienti di lavoro, ecc..). 46 Secondo il principio del c.d. “non distribution costraint”. © Cesi Multimedia 85 Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro 2. retribuzioni o compensi a dipendenti o lavoratori autonomi superiori a quelli dei contratti collettivi per le medesime qualifiche salvo comprovate esigenze per specifiche professionalità (improprio è il riferimento ai c.c.n.l. per i lavoratori autonomi); 3. remunerazione di strumenti finanziari diversi da azioni o quote superiori di cinque punti al tasso ufficiale di riferimento47. Tra le ipotesi controverse circa la distribuzione in “forme indirette” vi è quella delle destinazioni effettuate in favore di un altro ente appartenente alla medesima e unitaria struttura ovvero svolgente la stessa attività meritevole o altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa. Il MEF – Dipartimento Finanze –48 ha affrontato la questione in materia di IMU richiamando alcune eccezioni al divieto con riferimento alle seguenti fattispecie: 1. il caso in cui la distribuzione sia prevista dalla legge; 2. il caso in cui la distribuzione avvenga in favore di un ente che: 2.1 appartenga alla medesima e unitaria struttura; 2.2 svolga la stessa attività meritevole; 2.3 svolga altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigente. Viene precisato dunque che l’ente, per non configurare ipotesi distributive non consentite dalla legge, possa destinare i suoi utili, avanzi o riserve di patrimonio ad altri enti operanti esattamente nello stesso settore49 nonché ad enti operanti in almeno una delle “altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigen- te”. Altra questione “dubbia” riguarda il caso di cessione della quota di partecipazione nell’impresa sociale – evidentemente in forma societaria – e se questa, in caso di plusvalenza, venga considerata o meno una forma di distribuzione di utili o di patrimonio. Secondo alcuna dottrina il divieto distributivo influirebbe sulla liquidazione della quota di partecipazione al capitale sociale in caso di recesso del socio potendo cedere la quota, per il rispetto dell’art. 3, al solo valore nominale e non quello incrementato del valore patrimoniale acquisito. Rimane quindi un problema relativo alla c.d. exit strategy circa il valore di cessione che, tuttavia, potrebbe trovare una giustificazione in termini di corporate social responsability rendendo appetibile un “valore di mercato” della stessa impresa sociale50. Ciò pertanto legherebbe l’aumento della quota ad elementi non tipicamente economici o fi- ------------------------------------------47 Si veda il Provv. BCE che ha fissato il TUR alla data del 13 novembre 2013 pari allo 0,25%. Risoluzione n. 3/DF del 4/3/2013 in materia di esenzione IMU degli immobili utilizzati dagli enti non commerciali di cui all’art. 7 comma 1, lett. i) del d.lgs. n. 504/1992 e al d.m. n. 200 del 19 novembre 2012. 49 Almeno in via prevalente o principale se non esclusiva. 50 Si veda “Forme innovative di filantropia nel panorama italiano: “venture philanthropy”, Antonio Cuonzo, in Diritto e pratica delle società, n. 9 settembre 2009, Il Sole 24 Ore 48 86 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro nanziari trattandosi di un libero apprezzamento del mercato basato sulla CSR (Corporate Social Responsibility) dell’impresa. Il rispetto tassativo della non distribuzione appare essenziale sia in termini formali (previsioni quindi da inserire negli atti costitutivi e statuti) sia sostanziali (adeguandosi in concreto all’obbligo). In caso di inadempienza la sanzione più grave è quella della perdita di qualifica di impresa sociale, con tutte le conseguenze del caso ivi compresa la devoluzione del patrimonio residuo ex art. 13 del d.lgs. n. 155/2006. Infatti, in caso di accertata violazione delle norme il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, assunte le opportune informazioni, può diffidare, ai sensi dell’art. 16 comma 3, gli organi direttivi dell’impresa sociale a regolarizzare i comportamenti illegittimi entro un termine congruo, decorso il quale vengono applicate le sanzioni del comma 4 con cui si dispone la perdita della status. Tali previsioni richiamano quelle già formulate da altre normative analoghe, come per le ONLUS ex art. 10 comma 6 d.lgs. n. 460/1997. Tuttavia, le casistiche ivi disciplinate hanno fatto emergere in passato questioni interpretative che hanno dato luogo a numerosi interpelli fiscali disapplicativi da parte dell’Agenzia delle Entrate51. Occorrerebbe quindi per il futuro precisare più chiaramente, ed in modo ben definito, il perimetro applicativo dei divieti ai fini della indiretta distribuzione, anche per evitare infruttuosi contenziosi. Inoltre appare opportuno prevedere, come suggerito da molti, forme di distribuzione di utili per incrementare l’appeal della qualifica di impresa sociale e poter attrarre adeguate risorse finanziarie e capitali per gli investimenti nelle attività sociali. Le ipotesi proposte sono le seguenti: 1. destinare una quota degli utili ad aumento gratuito di capitale sociale nei limiti delle variazioni dell’indice Istat dei prezzi al consumo per operai e impiegati per il periodo corrispondente a quello dell’esercizio sociale in cui gli utili sono stati prodotti52; 2. possibilità di destinare utili per la sola impresa sociale costituita nelle forme societarie del libro V del c.c. prevedendo per la distribuzione di dividendi ai soci una quota non superiore al 50% degli utili e avanzi di gestione. Non possono in ogni caso essere distribuiti dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale versato53; ------------------------------------------51 Si vedano la circolare Ministero delle Finanze n. 168 del 26 giugno 1998, la circolare Agenzia Entrate n. 59 del 31 ottobre 2007 e le risoluzioni Agenzia Entrate n. 294/E del 10 settembre 2002, n. 9 del 25 gennaio 2007, n. 38/E del 17 maggio 2010. 52 Proposta presentata con un emendamento il 23 gennaio 2014 da Luigi Bobba nel collegato alla legge di stabilità “Destinazione Italia” – dichiarata non ammissibile. 53 Si tratta di un meccanismo analogo a quello previsto per le cooperative a mutualità prevalente ex art. 2514 comma 1 c.c. Si veda “Impresa sociale: che fare?”, di Roberto Randazzo e Giuseppe Taffari in Cooperative & Enti non profit n. 6/2013 – Wolters Kluwer. © Cesi Multimedia 87 Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro Ulteriori previsioni potrebbero interessare ad es. la possibilità di disciplinare “patrimoni destinati ad uno specifico affare”, quote con diritti patrimoniali e amministrativi diversi e l’emissione e remunerazione di strumenti finanziari. In proposito si richiama l’art. 29 del d.lgs. n. 460/1997 – rimasto inattuato – che aveva previsto la possibilità di emettere titoli denominati “di solidarietà” i cui fondi raccolti, oggetto di gestione separata, fossero destinati al finanziamento delle ONLUS, riconoscendo come costo fiscalmente deducibile dal reddito d’impresa la differenza tra il tasso effettivamente praticato ed il tasso di riferimento determinato con decreto del Ministro del Tesoro e delle Finanze. 4.4.6 Struttura proprietaria e gruppi d’imprese La disciplina della struttura proprietaria di una impresa sociale ex art. 4 del d.lgs. n. 155/2006 richiama, in via analogica ed in quanto compatibile, le norme in materia di direzione e coordinamento previste dal titolo V, libro I, del codice civile (artt. 2497 e seguenti c.c.) e quelle dell’art. 2545-septies c.c. (gruppo cooperativo paritetico). In particolare il sistema di governance è il seguente: il soggetto che, per previsioni statutarie o per altre ragioni, ha la facoltà di nominare la maggioranza degli organi di amministrazione si considera esercitare, in ogni caso, attività di direzione e controllo (comma 1); non possono esercitare tale attività di direzione e coordinamento e controllo le imprese private con finalità lucrative e le amministrazioni pubbliche dell’art. 1 comma 2 d.lgs. n. 165/2001 (comma 3)54; non possono rivestire cariche sociali soggetti nominati dalle imprese private e dagli enti pubblici (art. 8 comma 2) né può essere riservata la nomina della maggioranza dei componenti delle cariche sociali a soggetti esterni alla organizzazione che esercita l’impresa sociale in forma di “ente associativo”, salvo quanto specificamente previsto per ogni tipo di ente dalle norme (art. 8 comma 1). Anche per tali requisiti è richiesta la verifica di quanto previsto per ogni tipo di ente dalle norme legali e statutarie compatibilmente con la sua natura, trattandosi di soggetti aventi forme giuridiche molto diverse. In ambito solidaristico (ONLUS) si segnalano, a fini di completezza, i contrastanti pareri sulla questione del “controllo” e dell’”influenza dominante” da parte dell’Agenzia delle Entrate55, che richiedeva la verifica del “ruolo” che tali soggetti ricoprivano all’interno dell’organizzazione, e quello della ex Agenzia per il Terzo settore56 secondo cui: ------------------------------------------54 In caso di decisione assunta con il voto favorevole o l’influenza determinante di tali soggetti esclusi l’atto è annullabile e può essere impugnato entro 180 giorni ai sensi del codice civile (comma 4). 55 Si vedano la Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate del 28 dicembre 2004 n. 164/E e la circolare del 31 ottobre 2007 n. 59. 56 La ex Agenzia per il Terzo Settore aveva approvato un primo Atto di indirizzo in data 23 novembre 2004 (delibera n. 516) ed uno il 4 ottobre 2010 in relazione alla partecipazione nella ONLUS di “soggetti esclusi” (enti pubblici e società commerciali) in qualità di soci e/o fondatori. 88 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro la nozione di “influenza dominante”, ai sensi del codice civile57, comporta oggettive difficoltà per la individuazione delle ipotesi applicabili agli enti senza scopo di lucro (“non societari”). Tali riferimenti, infatti, interessano società per azioni nelle quali è presente un capitale azionario e la cui titolarità maggioritaria di quote può effettivamente attribuire poteri e diritti, anche patrimoniali, sulle determinazioni del soggetto controllato58; la questione della presenza prevalente e maggioritaria dei soci formati dagli enti esclusi, secondo cui la ONLUS perderebbe la sua autonomia “giuridicotributaria” divenendo “ente strumentale” dell’ente escluso. Ciò, infatti, risulta in contrasto non soltanto con le disposizioni dell’art. 10 del d.lgs. n. 460/1997 ma anche alla sua stessa ratio come emerge dalla Relazione illustrativa59. Infine si sottolinea che l’Agenzia delle Entrate con la Circolare n. 38/E dell’1 agosto 2011 ha ritenuto ammissibile per una ONLUS la detenzione di una partecipazione in una impresa sociale di cui al d.lgs. n. 155/2006, essendo le rispettive normative di settore compatibili tra loro. Tale partecipazione, pertanto, non altera la natura solidaristica della ONLUS né comporta l’elusione circa il divieto di distribuzione di utili. 4.4.7 Responsabilità patrimoniale L’art. 6 comma 1 indica che “salvo quanto disposto in tema di responsabilità limitata per le diverse forme giuridiche previste dal libro V del c.c.”, nelle organizzazioni che esercitano l’impresa sociale con “patrimonio” (e non “capitale”) superiore a € 20 mila delle obbligazioni risponde solo l’organizzazione stessa (questo varrebbe soltanto per le altre forme organizzative – che, peraltro, possono far valere le previsioni del d.p.r. n. 361/2000 in caso di riconoscimento di personalità giuridica – discriminandole con le società di capitali ad es. le srl e le srl semplificate ex d.l. n. 76/2013). Se questo si riduce di oltre un terzo delle obbligazioni risponde personalmente e solidalmente chi ha agito in nome e per conto dell’impresa anche se potrebbe proporsi, in caso di modifiche alla normativa, una deroga come previsto per le start up innovative con una riduzione del capitale “posticipata” al secondo esercizio successivo (art. 26 comma 1 d.l. n. 179/2012). ------------------------------------------57 Il richiamo è all’art. 2359 codice civile in materia di “controllo”. La trasposizione in ambito non profit di tali previsioni creano distorsioni applicative e iniquità di trattamento, secondo l’ex Agenzia per il Terzo Settore. Si vedano in proposito la sentenza n. 446/1993 della Corte Costituzionale e la decisione del Consiglio di Stato sez. V del 22 agosto 2003 n. 4748, sempre con riguardo alla influenza dominante laddove soggetti pubblici detenevano la maggioranza delle quote azionarie. 59 La Relazione illustrativa al d.lgs. n. 460/1997 evidenziava come l’esclusione degli enti pubblici dalle ONLUS deriva dalla “necessità di favorire la crescita ed il consolidamento di un terzo settore che operi autonomamente rispetto ai canali di allocazione diretta delle risorse pubbliche”. E ciò è altresì dimostrato, nell’ultimo decennio, dalla costituzione di enti privati da parte di soggetti pubblici al fine di ridurre l’utilizzo delle risorse pubbliche, attingendo al “privato sociale”. 58 © Cesi Multimedia 89 Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro 4.4.8 Organo e forme di controllo Sull’impresa sociale l’art. 11 del d.lgs. n. 155/2006 disciplina gli “organi di controllo”60 prevedendo che: ove non sia diversamente stabilito dalla legge, gli atti costitutivi devono prevedere, nel caso del superamento di due dei limiti indicati nel primo comma dell’art. 2435-bis del codice civile ridotti della metà, la nomina di uno o più sindaci, che vigilano sull’osservanza della legge e dello statuto e sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile; i sindaci esercitano anche compiti di monitoraggio dell’osservanza delle finalità sociali da parte dell’impresa, avuto particolare riguardo alle disposizioni di cui agli articoli 2, 3, 4, 6, 8, 9, 10, 12 e 14 del d.lgs. n. 155/2006. Del monitoraggio deve essere data risultanza in sede di redazione del bilancio sociale di cui all’art. 10, comma 2; i sindaci possono in qualsiasi momento procedere ad atti di ispezione e di controllo; a tale fine, possono chiedere agli amministratori notizie, anche con riferimento ai gruppi di imprese sociali, sull’andamento delle operazioni o su determinati affari; nel caso in cui l’impresa sociale superi per due esercizi consecutivi due dei limiti indicati nel primo comma dell’articolo 2435-bis del codice civile, il controllo contabile è esercitato da uno o più revisori contabili iscritti nel registro istituito presso il Ministero della giustizia61 o dai sindaci. Nel caso in cui il controllo contabile sia esercitato dai sindaci, essi devono essere iscritti all’albo dei revisori contabili iscritti nel registro istituito presso il Ministero competente. Pertanto, laddove una società di capitali gestisca un’impresa sociale, valgono tutte le norme previste dal codice civile e dal d.lgs. n. 39/2010 in materia di collegio sindacale e revisione legale dei conti secondo le diverse specifiche, ove applicabili e compatibili per le diverse configurazioni assunte (in particolare ad es. spa, srl, cooperative). L’indicazione dell’art. 11 comma 1 del d.lgs. n. 155/2006 “ove non sia diversamente stabilito dalla legge” pone invece, nuovamente, questioni di dubbia interpretazione e di applicazione in concreto, specie per quelle forme giuridiche per le quali non sussiste un vero e proprio obbligo da parte di un organo di controllo62. ------------------------------------------60 Il CNDCEC ha emanato i seguenti atti di indirizzo in materia di controllo negli enti non profit: 1. Raccomandazione n. 5/2003, sistemi e le procedure di controllo per gli ENP anche con riguardo ai soggetti ed alle aree sottoposte a verifica; 2. documento del 16 febbraio 2011 sul controllo indipendente negli enti non profit e il contributo professionale del dottore commercialista e dell’esperto contabile. 61 Ora revisori legali dei conti ai sensi del d.lgs. n. 39/2010 iscritti presso il Ministero dell’Economia e Finanze. 62 Ad es. solo per le ONLUS l’art. 25 comma 5 del d.lgs. n. 460/1997 prevede l’obbligo di allegare al bilancio una relazione di controllo sottoscritta da uno o più revisori (ora revisori legali dei conti ex d.lgs. n. 39/2010) iscritti qualora i proventi totali superino per due anni consecutivi € 1.032.913,80 (limite fisso). In altri casi, pur mancando espresse disposizioni normative, si richiamano le indicazioni di prassi e della giurisprudenza come 90 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro 4.4.9 Operazioni straordinarie La finalità principale posta dall’art. 13 del d.lgs. n. 155/2006 in caso di operazioni di trasformazione, fusione, scissione e cessione d’azienda è quella di preservare l’assenza dello scopo di lucro ed il perseguimento delle finalità di interesse generale. Nessuna questione si pone invece in relazione ai profili di “tutela fiscale” poiché l’impresa sociale non gode, di alcuna agevolazione tributaria. Elemento di ulteriore valutazione in caso di scioglimento o cessazione, al contrario, deve riguardare proprio quegli enti (ad es. gli enti non commerciali associativi ex art. 148 del d.p.r. n. 917/1986 o le ONLUS art. 10 d.lgs. n. 460/1997) che hanno fruito di regimi particolari. In tale ultima ipotesi si ricorda che laddove l’ente prosegua l’attività – non con qualifica di ONLUS – sarà tenuto a devolvere il patrimonio limitatamente all’incremento patrimoniale realizzato nei periodi d’imposta in cui questi aveva usufruito della predetta qualifica qualora l’avesse assunta successivamente alla prima costituzione dell’ente medesimo (ad es. prima ente non commerciale e poi ONLUS). La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 59/E del 31 ottobre 2007 ha chiarito inoltre l’obbligo di allegare alla richiesta di parere sulla devoluzione del patrimonio alla ex Agenzia per il Terzo Settore ex art. 10 comma 1 lett. f) d.lgs. n. 460/1997, una documentazione rappresentativa della situazione patrimoniale dell’ente redatta ai sensi dell’art. 20-bis comma 1 lett. a) del d.p.r. n. 600/1973 alla data in cui l’ente ha acquisito la qualifica di ONLUS, nonché la stessa rappresentativa della situazione alla data in cui tale qualifica è venuta meno63. Con riferimento all’impresa sociale l’art. 13 comma 3 prevede inoltre, fatta eccezione per le cooperative, l’obbligo di devoluzione del patrimonio residuo in caso di cessazione ad altre entità non lucrative (ONLUS, associazioni, i comitati, fondazioni, enti ecclesiastici) secondo le norme statutarie. In tale ambito occorrerebbe, per il futuro, specificare meglio le finalità degli enti beneficiari (analoghe, di interesse generale, di utilità sociale) semplicemente e genericamente identificati dalla norma. Appare altresì importante verificare le caratteristiche degli enti destinatari e se questi, ad esempio, operi nello stesso o analogo settore ovvero in una delle attività di utilità sociale dell’art. 2 del d.lgs. n. 155/2006. ------------------------------------------nel caso di enti (associazioni o fondazioni) per il riconoscimento di personalità giuridica ex d.p.r. n. 361/2000 (si veda la Circolare del Ministero dell’Interno 23 febbraio 2001 n. M/5501/30 e il Consiglio di Stato sez. I, sentenza del 6 dicembre 1995). 63 Si veda l’iter per la richiesta di parere devolutivo e il Regolamento per ONLUS ed enti non commerciali su: http://www.lavoro.gov.it/AreaSociale/AgenziaTerzoSettore/Documenti/Pages/default.aspx. © Cesi Multimedia 91 Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro Anche la devoluzione del patrimonio residuo (come per le ONLUS o per altri enti non profit64) dovrebbe essere sottoposta ad una rigida procedura di controllo da parte dell’amministrazione competente65. In merito alle operazioni straordinarie è stato emanato il decreto del Ministro della Solidarietà Sociale del 24 gennaio 2008, ai sensi dell’art. 13 comma 2 del d.lgs. n. 155/2006, individuando in apposito allegato le linee guida concernenti le modalità cui devono attenersi le imprese sociali. La definizione in esame interessa più aspetti procedurali che non sostanziali, rinviando di fatto alle disposizioni, a seconda dei casi, di cui agli articoli dal 2498 al 2506-quater del codice civile, avendo riguardo alla particolare natura dell’organizzazione che esercita l’impresa sociale. Per le operazioni straordinarie occorre preventivamente che gli amministratori (punto 1 del d.m.) notifichino con atto scritto con data certa66 al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali l’intenzione di procedere ad una delle richiamate operazioni allegando apposita documentazione per una valutazione di conformità, come di seguito: 1. situazione patrimoniale67 di ciascuno degli enti coinvolti nell’operazione, a data non anteriore di oltre 120 giorni da quella di convocazione dell’assemblea straordinaria in caso di trasformazione68 ovvero, in caso di fusione o scissione, rispetto al giorno in cui il progetto viene depositato nelle sedi dei soggetti coinvolti69. In caso di cessione d’azienda la data non deve essere anteriore a quella in cui avviene la cessione; 2. relazione degli amministratori con le ragioni dell’operazione, la prevedibile evoluzione della gestione, i miglioramenti per l’impatto sul tessuto sociale di riferimento, le modalità con cui il soggetto finale garantirà il rispetto dell’assenza del fine di lucro. In caso di cessione d’azienda le ulteriori informazioni riguardano le modalità con cui il cessionario intenda rispettare le “finalità di interesse generale”70, i criteri di valutazione d’azienda e la determinazione del prezzo. ------------------------------------------64 La cui competenza al parere devolutivo è ora del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Dir. Gen. Terzo Settore e formazioni sociali. 65 Valgano in particolare le funzioni, anche ispettive, del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali per il rispetto delle disposizioni sull’impresa sociale e, in caso di mancata ottemperanza, di disporre della perdita di qualifica di impresa sociale (art. 16 comma 3 e 4). 66 Almeno 90 giorni prima della convocazione assembleare chiamata a deliberare sull’operazione di trasformazione, fusione o scissione. 67 Da redigersi secondo gli schemi dell’ex Agenzia per il Terzo Settore, e comunque costituita dallo stato patrimoniale (ponendo in evidenza le attività e passività relative all’attività economica svolta ai fini di utilità sociale), dal rendiconto gestione (o conto economico) e dalla nota integrativa. 68 Per delibere entro sei mesi dalla chiusura dell’ultimo bilancio la situazione patrimoniale può sostituirsi con il bilancio stesso. 69 Ove il bilancio sia stato chiuso non oltre sei mesi prima del giorno di deposito del progetto di fusione o scissione la situazione patrimoniale può sostituirsi con il bilancio stesso. 70 Tale termine sembra discostarsi da quello di “utilità sociale” dell’art. 2 del d.lgs. n. 155/2006 in base ad una attività svolta in specifici settori. 92 © Cesi Multimedia Capitolo 4 – L’impresa sociale tra passato, presente e futuro L’autorizzazione del Ministero si intende concessa trascorsi novanta giorni dalla ricezione della notificazione. Da ultimo, in merito alle procedure concorsuali previste in caso di insolvenza, le imprese sociali sono assoggettate ex art. 15 del d.lgs. n. 155/2006 alla sola liquidazione coatta amministrativa, di cui al regio decreto 16 marzo 1942 n. 267 (legge fallimentare), articoli 194 e seguenti. Sarebbe opportuno, per il futuro, verificare anche le altre ipotesi di gestione della crisi e di applicazione o meno delle procedure concorsuali. Le start up innovative ex d.l. n. 179/2012 ad esempio prevedono la procedura per la crisi da sovraindebitamento ai sensi della legge 27 gennaio 2012 n. 3. 4.5. Conclusioni Alla luce dell’analisi svolta sull’impresa sociale secondo le previsioni del d.lgs. n. 155/2006 deve concludersi come tale “qualifica” – o meglio tale “forma” – debba rinnovarsi, anche molto velocemente. Il ridotto consenso incontrato in quasi un decennio (considerata l’esiguità del numero di imprese sociali iscritte), e l’evoluzione delle “necessità sociali” di welfare aumentate, anche in ambito europeo, dalla grave crisi economica e finanziaria in atto, obbliga tutti gli attori ad uno sforzo di intervento più mirato che trovi soluzioni e modelli imprenditoriali alternativi e innovativi rispetto a quelli tradizionali. Molte sono, infatti, le criticità emerse dall’esame della normativa (e dei d.m. attuativi), tra cui si segnalano ancora una volta: l’assenza di agevolazioni di natura fiscale e di tassazione per le finalità e gli effetti sociali prodotti dall’impresa; la carenza di incentivi nei conferimenti di capitale e/o patrimonio da parte dei soggetti che ne promuovono lo sviluppo; l’impossibilità di prevedere forme di remunerazione del capitale investito (per l’assoluto divieto di lucro soggettivo) senza poter attrarre risorse finanziarie; la perdurante difficile compatibilità ed omogeneità tra norme – anche molto diverse – che disciplinano soggetti con caratteristiche talvolta opposte ovvero contrastanti (come quelle per le società di capitali rispetto agli enti non profit, ad es. associativi). Occorre quindi intervenire tempestivamente per una sostanziale rivisitazione del d.lgs. n. 155/2006 che accolga gli indirizzi da più parti richiamati al fine di poter realizzare in concreto quei risultati di “utilità sociale” previsti con la norma originaria, ma oggi divenuti indifferibili. © Cesi Multimedia 93 Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici 5. La tassazione degli enti ecclesiastici tra normativa pattizia ed agevolazioni fiscali degli enti del terzo settore di Antonio Fiorilli 5.1 Natura dell’ente ecclesiastico e riconoscimento della personalità giuridica agli effetti civili La natura ecclesiastica di un ente è collegata all’appartenenza ad un ordinamento confessionale separato ed autonomo dall’ordinamento statale. La Carta Costituzionale tutela la libera espressione del sentimento religioso in forma individuale ed associata (artt. 2, 3 e 19), riconosce l’autonomia e la parità di trattamento delle confessioni religiose (art. 8) e definisce le modalità per regolamentare i rapporti dello Stato con la Chiesa Cattolica e le altre confessioni tramite patti, accordi ed intese (artt. 7 e 8). La tutela degli enti confessionali è rafforzata dal divieto espresso di imporre tributi speciali in base al carattere ecclesiastico di un ente ovvero del fine di religione o di culto perseguito (art. 20)1. L’ente ecclesiastico può chiedere il riconoscimento della personalità giuridica agli effetti civili, acquisendo in questo modo la qualifica di “ente ecclesiastico civilmente riconosciuto”. Nella realtà confessionale cattolica, tale qualifica è attribuita secondo la procedura fissata dalla legge 20 maggio 1985, n. 2222. La qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto è presente anche nelle leggi di ratifica delle Intese3, siglate dalle Autorità delle confessioni religiose diverse da quella cattolica, seppure con l’assenza del carattere “ecclesiastico” (enti ebraici) ovvero con la specifica aggettivazione della confessione di appartenenza (ente ecclesiastico avventista, luterano, buddhista, induista, etc.). Un accenno preliminare deve essere riservato all’iter di riconoscimento della personalità giuridica, in quanto le agevolazioni fiscali più significative spettano agli enti riconosciuti. Occorre precisare, innanzi tutto, che solo gli enti costituiti o approvati dall’Autorità ecclesiastica (cattolica) che hanno fine di religione e di culto possono acquisire tale qualifica. L’art. 2 della legge 20 maggio 1985, n. 222, stabilisce che gli enti ------------------------------------------1 L’art. 20 della Costituzione stabilisce che il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di un’associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività. 2 La legge riporta le disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi. 3 Il testo delle intese è disponibile in http://www.governo.it/Presidenza/USRI/confessioni/intese_indice.html. © Cesi Multimedia 95 Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici che fanno parte della costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi ed i seminari, perseguono uno scopo di religione e di culto; mentre le persone giuridiche canoniche differenti da quelle appena indicate, le fondazioni e in genere gli altri enti ecclesiastici non riconosciuti come persone giuridiche nell’ordinamento della Chiesa, possono perseguire i suddetti fini, ma tale finalità deve essere di volta in volta accertata dall’Amministrazione in conformità all’art. 16 della stessa legge e, per ottenere il riconoscimento, lo stesso fine deve essere un elemento costitutivo ed essenziale dell’ente, anche se connesso a finalità di carattere caritativo previste dal diritto canonico. Ai fini dell’accertamento dello scopo, l’art. 16 della legge n. 222/1985 separa: le attività di religione o di culto (in senso stretto), ossia quelle dirette all’esercizio del culto ed alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana [lett. a) dell’art. 16]; le “attività diverse” da quelle di religione e di culto, ossia l’assistenza e la beneficenza, l’istruzione, l’educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali ovvero a scopo di lucro [lett. b) della art. 16]. L’indicazione delle attività commerciali alla fine della lett. b) individua una fattispecie di chiusura – assieme alle attività aventi “scopo di lucro” – per le attività che non possono essere orientate ex lege ad uno scopo “costitutivo ed essenziale” di religione. Resta fermo, quindi, che la suddivisione delle attività serve ad accertare il perseguimento di uno scopo di religione e di culto ai fini del riconoscimento della personalità giuridica agli effetti civili, mentre la stessa distinzione non può essere meccanicamente utilizzata per individuare le attività e gli enti meritevoli di benefici fiscali, né per orientare le modalità di tassazione degli stessi enti. E’ importante precisare, per completezza, che la competenza all’Autorità confessionale permane oltre il momento di riconoscimento agli effetti civili degli enti in esame ed è regolata dalla normativa indicata di seguito: ogni mutamento sostanziale nel fine, nella destinazione dei beni e nel modo di esistenza di un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto acquista efficacia civile mediante riconoscimento con decreto del Presidente della Repubblica, udito il parere del Consiglio di Stato (art. 19 legge n. 222/1985); la soppressione degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti e la loro estinzione per altre cause hanno efficacia civile mediante l’iscrizione nel registro delle persone giuridiche del provvedimento dell’autorità ecclesiastica competente che sopprime l’ente o ne dichiara l’avvenuta estinzione (art. 20 legge n. 222/1985). 96 © Cesi Multimedia Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici 5.2 Cenni sui principi riguardanti il regime di tassazione degli enti ecclesiastici Per comprendere il regime tributario degli enti ecclesiastici e delle attività da loro esercitate, occorre fare riferimento al punto 3 dell’art. 7 dell’Accordo di Villa Madama del 18 febbraio 1984 tra la Repubblica Italiana e la Santa Sede (ratificato con legge n. 121/1985), nel quale il principio di equiparazione dei fini di religione e di culto ai fini di beneficenza e di istruzione, stabilito dall’art. 29 lett. h) del Concordato Lateranense, viene suddiviso nella equiparazione degli enti e delle attività, come di seguito indicato: 1° comma: agli effetti tributari gli enti ecclesiastici aventi fine di religione o di culto, come pure le attività dirette a tali scopi, sono equiparati a quelli aventi fine di beneficenza o di istruzione; 2° comma: le attività “diverse” da quelle di religione e di culto, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette, nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti, alle leggi dello stato concernenti tali attività ed al regime tributario previsto per le medesime4. L’art. 15 legge n. 222/85 ribadisce che gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti possono svolgere attività diverse da quelle di religione o di culto, alle condizioni previste dall’articolo 7, n. 3, secondo comma, dell’Accordo del 18 febbraio 1984. I principi adottati per disciplinare la materia tributaria degli enti ecclesiastici della Chieda cattolica (parrocchie, diocesi, istituti religiosi, etc.) sono stati recepiti, in tutto o in parte, nelle altre Intese. Dalla lettura combinata dei principi appena indicati e dalla separazione delle attività di cui all’art. 16, legge n. 222/1985 si segnala la possibilità che venga attribuita impropriamente alla normativa di cui alla legge n. 222/1985 una funzione “dispositiva” in sede tributaria, come accaduto nella risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 91/E/2005 illustrata al successivo § 5.3.1. Tale normativa non stabilisce affatto che le attività di religione e di culto siano le uniche a poter beneficiare di un regime tributario agevolato oppure che la natura commerciale determini di per sé il venir meno di un’agevolazione fiscale, perché la legge n. 222/1985 non si occupa della materia fiscale, ma rinvia al punto 3 dell’art 7 dell’Accordo. Quindi, se la modalità commerciale costituisce la modalità di esercizio di talune attività di utilità sociale (assistenza, istruzione etc.) con l’attribuzione di benefici di natura fiscale, gli enti ecclesiastici hanno diritto al medesimo trattamento tributario previsto per le medesime attività svolte da enti “laici” proprio in forza di quanto disposto in sede pattizia dal 2° comma del punto 3 dell’art. 7 sopra indicato. Resta fermo che la tassazione dell’ente deve seguire le regole di individuazione ------------------------------------------4 L’art. 8 del d.p.r. 13 febbraio 1987 n. 33, stabilisce al riguardo che “l’ente ecclesiastico che svolge attività per le quali sia prescritta dalle leggi tributarie la tenuta delle scritture contabili, deve osservare le norme circa tali scritture relative alle specifiche attività esercitate”. © Cesi Multimedia 97 Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici della soggettività passiva stabilite dalle singole leggi d’imposta5, salvo poi individuare le fattispecie in cui il fine di religione e di culto, per il tramite del regime di equiparazione degli enti e delle attività, può determinare l’attenuazione dell’imposizione. Sullo sfondo resta il principio di non discriminazione del soggetto (passivo) in base alla connotazione ecclesiastica e/o lato sensu religiosa di cui all’art. 20 Cost. citato in apertura, evitando cioè che l’elemento religioso possa costituire un indice di capacità contributiva per innestare un prelievo, specifico o aggiuntivo, di natura fiscale oppure un elemento per negare un’agevolazione prevista per gli altri enti civili. 5.2.1 La specificità degli enti di tipo associativo Un ente di origine confessionale può accedere al regime fiscale agevolato previsto per gli enti di tipo associativo, come accade per le associazioni privati di fedeli di cui all’art. 10 legge n. 222/1985, purché tale ente osservi i requisiti fissati dalla specifica normativa (ad es. legge n. 398/1991). Nel mondo associativo, la finalità religiosa viene considerata alla stessa stregua di altre finalità di utilità sociale meritevoli di sostegno, come dimostra la possibilità degli enti di tipo associativo aventi scopo di religione di accedere alle agevolazioni previste per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi di cui all’art. 148 d.p.r. n. 917/1986 ed all’art. 4 d.p.r. n. 633/1972. Occorre segnalare, però, che l’obbligo di adeguamento dello statuto imposto dalla normativa appena indicata – segnatamente l’introduzione di clausole per garantire l’intrasmissibilità della quota associativa, l’effettività del rapporto associativo su base democratica e la destinazione/impiego degli avanzi di gestione o del patrimonio in coerenza con il perseguimento dello scopo meritevole – pur non creando particolari problemi per le realtà associative, può costituire un punto critico per gli enti ecclesiastici, come si vedrà meglio nel paragrafo successivo. 5.2.2. La tutela dell’identità confessionale per gli enti ecclesiastici L’inserimento obbligatorio di clausole statutarie per esigenze di tutela fiscale può determinare un contrasto con la tutela pattizia della fisionomia/struttura/autonomia confessionale dell’Ente. Tale contrasto emerge per l’assenza di uno statuto degli enti ecclesiastici risalenti nel tempo e, più in generale, per effetto dello specifico principio di “rispetto della struttura” degli stessi enti indicato nel 2° comma del punto 3 dell’art. 7 dell’Accordo del 1984 ed in alcune Intese (nelle intese si riporta il “rispetto dell’autonomia”). Tale principio è fissato in una normativa di rango primario (leggi di ratifica, leggi di esecuzione e leggi di approvazione) che beneficia di una tutela “rafforzata” dall’iter di formazione definito dalla Costituzione e lo stesso principio non può esse- ------------------------------------------5 Per questo motivo, la titolarità di redditi determina la soggettività passiva IRES, l’esercizio di un’attività commerciale comporta l’applicazione dell’IVA (e dell’IRAP), come pure la semplice erogazione di retribuzioni fa scattare la tassazione IRAP. 98 © Cesi Multimedia Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici re derogato unilateralmente né dal legislatore statale, né tanto meno dall’Amministrazione. La soluzione di tale criticità è stata individuata nella redazione di un regolamento ad hoc riguardante le modalità di esercizio delle specifiche attività interessate dal regime “di favore”, senza toccare l’integrità del “tipo” ente. E’ questo il caso delle ONLUS (c.d. “parziali”) e della recente normativa di esenzione IMU, ricollegabile all’esenzione ICI di cui all’art. 7, co. 1, lett. i) d.lgs. n. 504/1992, come integrata dall’art. 91-bis d.l. n. 1/2012 e dal d.m. Economia e finanze n. 200/2012. In questi casi, le clausole riportate nel regolamento si occupano degli aspetti oggettivi di natura patrimoniale/economica, mentre non possono incidere sui rapporti, anche gerarchici, tra i componenti dell’ente, sui rapporti con le Autorità confessionali e sulle riserve di competenza delle stesse Autorità in materia di mutamento o di estinzione degli enti stessi6. 5.3 Le agevolazioni fiscali Le agevolazioni fiscali più significative per gli enti ecclesiastici sono costituite dalla riduzione a metà dell’aliquota IRES e dall’esenzione IMU (già ICI), nonché dalle agevolazioni previste per le imposte sui trasferimenti. 5.3.1 La riduzione a metà dell’aliquota IRES ex art. 6, comma 1, lett. c), d.p.r. n. 601/1973 Gli enti ecclesiastici sono classificabili nella categoria degli enti non commerciali in base agli stessi criteri fissati per la generalità degli enti non commerciali, con la differenza che gli enti riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili non sono assoggettati alla verifica dei criteri di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 149, d.p.r. n. 917/1986, per stabilire la perdita della qualifica di ente non commerciale7. L’art. 6, d.p.r. 29 settembre 1973, n. 601, stabilisce la riduzione a metà dell’IRES per gli enti il cui fine è equiparato per legge ai fini di beneficenza o di istruzione. Secondo quanto stabilito dal comma 2 dello stesso articolo, tale agevolazione è fruibile esclusivamente dagli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, regolarmente iscritti nel Registro delle Persone giuridiche tenuto presso la Prefettura competente in base alla sede legale dell’Ente. L’ambito di applicazione di tale agevolazione è stato affrontato in una pronuncia dell’Agenzia delle Entrate (ris. 19 Luglio 2005, n. 91/E). L’Agenzia ha negato l’applicazione della riduzione IRES in presenza di un’attività di tipo ospedaliero svolta ------------------------------------------6 Resta tuttavia aperta la riflessione sul conflitto di tale regolamentazione unilaterale con il rispetto della struttura degli Enti nella fase di utilizzo lato sensu del loro patrimonio. 7 L’art. 144, comma 5, d.p.r. n. 917/1986 stabilisce una deduzione dall’IRES per gli enti religiosi di cui all’articolo 26 della legge 20 maggio 1985, n. 222, che esercitano attività commerciali, in relazione all’opera prestata in via continuativa dai loro membri. © Cesi Multimedia 99 Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici da un ente ecclesiastico in regime prevalentemente di convenzione pubblica. Pur richiamando integralmente la normativa pattizia, l’Agenzia supera il dato letterale costituito dal riferimento esclusivo dell’agevolazione al soggetto beneficiario e riprende l’iter logico giuridico delle sentenze 29 marzo 1990, n. 2573 e 15 febbraio 1995, n. 1633, della Corte di Cassazione che restringono l’ambito applicativo della stessa agevolazione. In dettaglio, l’Agenzia fa leva sull’assenza di una strumentalità immediata e diretta tra l’attività (commerciale) ed il fine di religione per negare l’agevolazione, ma finisce per attribuire la stessa agevolazione ad attività (di assistenza spirituale) fiscalmente improduttive di reddito, negando in questo modo i presupposti stessi di assoggettamento al tributo8. Le conclusioni dell’Agenzia non sono state seguite dalla più recente giurisprudenza di merito che ha nuovamente affermato la natura soggettiva dell’agevolazione per un ente ecclesiastico titolare di redditi fondiari ed esercente attività ricettiva di utilità sociale (pensionato per studentesse), precisando che “non avrebbe altrimenti senso la previsione di un regime agevolativo che non troverebbe applicazione per mancanza di soggetti rientranti nella norma stessa”9. 5.3.2 L’esenzione IMU dei fabbricati degli enti ecclesiastici Le fattispecie di esenzione IMU degli immobili utilizzati dagli enti non commerciali sono state recepite (invero non integralmente) dalla normativa in materia di ICI per effetto del rinvio dell’art. 13 d.l. n. 201/2011 all’art. 9 d.lgs. n. 23/2001 e da questo all’art. 7, d.lgs. n. 504/1992. Resta ferma l’esenzione IMU dei luoghi di culto e delle zone extraterritoriali individuate nel Trattato Lateranense, mentre le criticità riguardanti la compatibilità con il diritto comunitario dell’esenzione IMU dei fabbricati adibiti all’esercizio di attività (commerciali) di utilità sociale sono state superate con l’introduzione dell’art 91bis d.l. n. 1/2012, conv. dalla legge n. 27/2012 e del successivo decreto del Ministero dell’Economia e delle finanze 19 novembre 2012, n. 200, recanti la disciplina del nuovo requisito di esercizio delle attività meritevoli con “modalità non commerciali”10. ------------------------------------------8 L’Agenzia precisa che “l’assistenza agli infermi […] si concreta tanto in un’assistenza spirituale, rientrante come tale tra le attività di religione e culto (in particolare, cura delle anime) quanto in un’assistenza corporale, esercitata nelle forme di vera e propria attività sanitaria, come tale oggettivamente commerciale, inquadrabile tra le attività “diverse”. Per quest’ultima peraltro, non è dato riscontrare un nesso di strumentalità diretta ed immediata con il fine di religione e culto che il legislatore ha inteso tutelare”. 9 CTP Torino, 28 novembre 2012, n. 205/8/12. 10 Le fattispecie di esenzione IMU che riguardano prevalentemente gli enti di origine confessionale sono contenute in differenti lettere dell’art. 7 d.lgs. n. 504/1992 riportate di seguito: lett. d) - i fabbricati destinati esclusivamente all’esercizio del culto, purché compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della Costituzione, e le loro pertinenze; lett. e)- i fabbricati di proprietà della Santa Sede indicati negli articoli 13, 14, 15 e 16 del Trattato lateranense, sottoscritto l’11 febbraio 1929 e reso esecutivo con legge 27 maggio 1929, n. 810; lett. i) - gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ri- 100 © Cesi Multimedia Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici La modalità “non commerciale” viene individuata, per ciascuna delle attività indicate nella predetta lett. i), mediante la combinazione di specifici requisiti qualitativi (accreditamento, convenzionamento, contrattualizzazione, parità, etc.) e l’analisi di determinati parametri quantitativi dei corrispettivi praticati, laddove tale analisi viene attuata anche mediante il confronto con la media dei prezzi praticati nel mercato di riferimento (restano escluse da tale confronto le attività didattiche). Detti requisiti consentono di verificare l’effettiva funzione sussidiaria di tali attività rispetto all’offerta di servizi della stessa natura nel settore pubblico e permettono di escludere l’esenzione qualora emerga una potenziale lesione della libera concorrenza con altri operatori economici presenti nel mercato di riferimento. Rispetto all’ICI, è stata aggiunta la possibilità di proporzionare l’imponibilità IMU di una determinata unità immobiliare adibita promiscuamente ad attività meritevoli e non meritevoli, secondo tre criteri: prioritariamente la superficie e, in via sussidiaria, il numero dei soggetti beneficiari delle prestazioni “meritevoli” ed il tempo effettivo di svolgimento delle medesime prestazioni. Particolare attenzione merita l’apertura (interpretativa) contenuta nella risoluzione del Ministero delle finanze n. 4/DF del 4 marzo 2013, riguardante la possibilità di non escludere l’esenzione IMU alle unità immobiliari concesse in comodato ad altri enti non commerciali per lo svolgimento diretto delle attività indicate nella stessa lett. i) dell’art. 7 d.lgs. n. 504/92, superando un orientamento restrittivo della Corte di Cassazione in materia di ICI. Come accennato in precedenza, il Ministero dell’Economia e delle finanze (R.M. 3 dicembre 2012, n. 1/DF) ha chiarito che gli enti ecclesiastici sono tenuti alla redazione di un apposito regolamento, recante i requisiti stabiliti dall’art. 3 d.m. 200/2012 indicati di seguito: il divieto di distribuire, anche in modo indiretto, utili e avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’ente, in favore di amministratori, soci, partecipanti, lavoratori o collaboratori, a meno che la destinazione o la distribuzione non siano imposte per legge, ovvero siano effettuate a favore di enti che per legge, statuto o regolamento, fanno parte della medesima e unitaria struttura e svolgono la stessa attività ovvero altre attività istituzionali direttamente e specificamente previste dalla normativa vigente; l’obbligo di reinvestire gli eventuali utili e avanzi di gestione esclusivamente per lo sviluppo delle attività funzionali al perseguimento dello scopo istituzionale di solidarietà sociale; l’obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente non commerciale in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altro ente non commerciale che svolga un’analoga attività istituzionale, salvo diversa destinazione imposta dalla legge. ------------------------------------------cerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222. © Cesi Multimedia 101 Capitolo 5 – La tassazione degli enti ecclesiastici Nella risoluzione n. 3/DF del 4 marzo 2013, lo stesso Ministero ha precisato che: l’obbligo di devoluzione del proprio patrimonio ad un altro ente non commerciale che svolga un’attività istituzionale analoga deve essere inteso nel senso che deve trattarsi di un’attività affine od omogenea o di sostegno all’attività istituzionale dell’ente in scioglimento; il termine di adeguamento dello statuto, fissato al 31 dicembre 2012 dal d.m. 200 del 2012, non deve considerarsi perentorio. Al momento di chiusura del presente elaborato, si resta in attesa dell’approvazione del nuovo modello di dichiarazione IMU degli enti non commerciali con il quale dovranno essere comunicati i dati delle unità immobiliari ed i parametri necessari per le ipotesi di imponibilità/esenzione, anche parziale. Dopo il rinvio fissato nella risoluzione del Ministero dell’Economia e delle finanze n. 1/DF dell’11 gennaio 2013, la legge n. 147/2013 (art. 1, comma 719) ha fissato l’obbligo di trasmettere i dati in via telematica anche con riferimento ai dati relativi ai periodi d’imposta 2012 e 2013. 5.3.3 Le agevolazioni nelle imposte sui trasferimenti Per quanto riguarda l’imposta di registro, è venuta meno l’agevolazione sui trasferimenti a titolo oneroso degli immobili dichiarati di interesse culturale di cui al d.lgs. n. 42/2004. Al tempo stesso, il comma 737 della legge n. 147/2013 stabilisce che agli atti pubblici formati e alle scritture private autenticate a decorrere dal 1° gennaio 2014 – nonché alle scritture private non autenticate presentate per la registrazione dalla medesima data – aventi ad oggetto trasferimenti gratuiti di beni di qualsiasi natura, effettuati nell’ambito di operazioni di riorganizzazione tra enti appartenenti per legge, regolamento o statuto alla medesima struttura organizzativa politica, sindacale, di categoria, religiosa, assistenziale o culturale, si applicano, se dovute, le imposte di registro, ipotecaria e catastale nella misura fissa di 200 euro cadauna. Per quanto riguarda le imposte sulle successioni e sulle donazioni, occorre richiamare il regime di equiparazione degli enti e delle attività di cui al punto 3 dell’art. 7 dell’Accordo del 1984, per applicare le fattispecie di esenzione di cui all’art. 3 d.lgs. n. 346/1990. Il comma 1 dell’art. 3 appena citato stabilisce che non sono soggetti all’imposta i trasferimenti gratuiti a favore dello Stato, delle Regioni, delle Province e dei Comuni, né quelli a favore di enti pubblici e di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute, che hanno come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità. Al tempo stesso, i trasferimenti a favore di enti pubblici e di fondazioni o di associazioni legalmente riconosciute, diversi da quelle appena indicati, non sono soggetti all’imposta se sono stati disposti per le finalità sopra indicate. In questi casi, tuttavia, il beneficiario deve dimostrare, entro cinque anni dall’accettazione dell’eredità o della donazione o dall’acquisto del legato, di avere impiegato i beni o i diritti ricevuti, ovvero la somma ricavata dalla loro alienazione, per il conseguimento delle finalità indicate dal testatore o dal donante. 102 © Cesi Multimedia Capitolo 6 – La raccolta fondi 6. La raccolta fondi di Valentina Papa 6.1 Premessa Le organizzazioni non profit si confrontano continuamente con la necessità di raccogliere fondi per finanziare le proprie attività. Molto spesso, dopo un periodo iniziale in cui è prevalente il finanziamento da parte dei fondatori e dei volontari, l’ente è solitamente caratterizzato da un calo nelle adesioni e, conseguentemente, da una contrazione delle entrate. In questo contesto, si rende necessaria la ricerca di risorse tali da avere un flusso di entrate costanti e durature, che possa portare al raggiungimento di un equilibrio finanziario volto ad assicurare la realizzazione degli obiettivi istituzionali. Per poter definire le modalità di finanziamento, l’ente deve in primo luogo evidenziare quelli che sono gli obiettivi primari. Una volta stabiliti gli obiettivi, dovrà procedere alla quantificazione delle risorse necessarie al raggiungimento degli stessi, valutando le risorse già presenti e quelle da reperire. E’ in quest’ottica che l’organizzazione non profit dovrà porre in essere una serie di attività finalizzate al reperimento delle risorse utili al perseguimento di ciascun obiettivo prefissato. Tali attività vengono comunemente definite raccolta fondi o “fund-raising”1. Le fonti di finanziamento possono essere classificate con riferimento alla provenienza dei fondi stessi, distinguendo se si tratta di fonti pubbliche o private. Nei finanziamenti pubblici è lo Stato che, attraverso canali diretti o meno, eroga le somme all’organizzazione. Tali finanziamenti sono volti ad un’attività generica svolta dall’ente oppure ad un singolo progetto e possono essere durevoli nel tempo oppure limitati a seconda delle decisioni dello Stato stesso. Per quanto concerne i finanziamenti privati, possono derivare a titolo esemplificativo dall’attività svolta dai volontari, da finanziamenti delle imprese, dalle quote di iscrizione, dalle donazioni e dalle liberalità di vario genere. L’Agenzia per il terzo settore, soppressa dall’art. 8 comma 23 del d.l. n. 16/20122, ha redatto il documento denominato “Linee guida per la raccolta dei fondi”, con l’obiettivo di creare un insieme di indicazioni organiche che rappresentino un punto di riferimento per gli enti che decidono di effettuare le raccolte di fondi e si rivolgono a tut- ------------------------------------------1 Il fund raising è una espressione inglese traducibile semplicemente in raccolta fondi. “To raise” significa far crescere, coltivare, sorgere, ossia di sviluppare i fondi necessari a sostenere un’azione senza finalità di lucro. 2 L’Agenzia per il terzo settore, originariamente denominata Agenzia per le ONLUS, è stata soppressa dall’art. 8 comma 23 del d.l. n. 16/2012, convertito in legge n. 44/2012. I compiti e le funzioni dell’Agenzia del terzo settore sono stati trasferiti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e, più precisamente, alla Direzione Generale per il terzo settore e le formazioni sociali. © Cesi Multimedia 103 Capitolo 6 – La raccolta fondi te le organizzazioni indipendentemente dalla loro forma giuridica, attività o missione3. Lo scopo di questo documento è quello di tutelare tutti i soggetti interessati dalle raccolte fondi, sottolineando i principi basilari di trasparenza, rendicontazione e accessibilità. Il documento è suddiviso in tre parti: Linee guida: è la parte principale del documento che contiene i principi essenziali da rispettare durante le raccolte di fondi, al fine di tutelare il donatore, il destinatario della donazione e l’organizzazione stessa; Allegato n. 1 – Comportamenti, tecniche e strumenti per le buone prassi nella raccolta dei fondi: analizza i principali strumenti utilizzati dagli enti non profit per raccogliere i fondi. L’allegato 1 è da considerarsi in evoluzione, avendo già subito una modifica rispetto a quello redatto nel 20104; Allegato n. 2 – I profili fiscali delle erogazioni liberali: sono riportate due tabelle riepilogative delle norme che conferiscono agevolazioni fiscali, con riferimento ai beneficiari delle stesse. Ai fini fiscali, la norma di riferimento per la raccolta di fondi è rappresentata dall’art. 143, comma 3 del d.p.r. n. 917/1986. Tale disposizione sottrae dall’imposizione IRES i fondi ottenuti dagli enti non lucrativi a seguito di raccolte pubbliche effettuate occasionalmente, anche mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori, in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione. In aggiunta, con la previsione dell’art. 2, comma 2 del d.lgs. n. 460/1997, è stata disposta l’esclusione per le raccolte pubbliche di fondi dall’imposta sul valore aggiunto e altresì l’esenzione da ogni altro tributo erariale e locale. Le agevolazioni fiscali sono riconosciute esclusivamente se vengono rispettati alcuni elementi. In particolare, per finalità prettamente antielusiva, deve trattarsi di iniziative ------------------------------------------3 Cit. Linee guida per la raccolta di fondi, Agenzia per il terzo settore, 2011: “A partire dal 2007, l’Agenzia per il terzo settore ha avviato un percorso di riflessione e di analisi volto a produrre un quadro coerente di principi e di orientamenti su aree di intervento ritenute strategiche per la promozione del terzo settore, attraverso l’emanazione di specifiche linee guida. Questi indirizzi, che non hanno carattere vincolante, agiscono sulla sfera della moral suasion ed essendo finalizzati a favorire la trasparenza, l’efficienza, l’efficacia e la qualità nell’attività degli enti, rappresentano un corpo di riferimenti per tutti coloro che operano nell’ambito del terzo settore. Il DPCM n.329/2001, successivamente modificato con DPCM n. 51/2011, che regolamenta le attribuzioni e i poteri assegnati all’Agenzia per il terzo settore, comprende all’art. 3 la “vigilanza sull’attività di sostegno a distanza, di raccolta di fondi e di sollecitazione della fede pubblica, allo scopo di assicurare la tutela da abusi e le pari opportunità di accesso ai mezzi di finanziamento”. Il tema della raccolta fondi e delle tutele connesse rappresenta infatti uno degli ambiti maggiormente considerati dagli enti non profit e dalla cittadinanza, in quanto la trasparenza delle azioni collegate e la certezza della destinazione dei fondi raccolti sono percepiti come fattori di affidabilità e credibilità per la valorizzazione e il sostegno del terzo settore e della società civile nel suo insieme.” 4 Gli aggiornamenti dell’edizione del 2011 si riferiscono all’inserimento di schede relative alla raccolta pubblica di fondi, all’aggiornamento della scheda riferita agli SMS solidali e all’attività di telemarketing. Con riferimento a quest’ultima modifica, è da imputarsi all’entrata in funzione del Registro pubblico delle opposizioni 104 © Cesi Multimedia Capitolo 6 – La raccolta fondi occasionali svolte in concomitanza di celebrazioni o campagne di sensibilizzazione ed i beni ceduti devono avere un valore modico. Per occasionalità si fa riferimento, generalmente, a una media di due eventi l’anno5, parametro non tassativo ma che, comunque, risulta essere uno strumento utile per escludere, ad esempio, la possibilità di organizzare raccolte fondi con cadenza mensile. Infatti, dal punto di vista lessicale, il termine occasionale si contrappone ad abituale; pertanto, si potrebbe dedurre che l’assenza del carattere di abitualità dovrebbe essere sufficiente per ottenere le agevolazioni fiscali. Tuttavia, la circolare ministeriale n. 124/E del 12 maggio 1998 al punto 2 definisce quelle che sono le previsioni normative in materia di raccolte fondi, senza dare una definizione dettagliata del concetto stesso. Altro principio fondamentale è che i fondi raccolti durante gli eventi organizzati dagli enti non profit non devono avere natura di corrispettivo, cioè non devono rappresentare un mero rapporto di scambio. E’ per questo motivo che il legislatore ha precisato che i beni offerti devono avere un valore modico, incentivando così i potenziali donatori. In ultimo, è da sottolineare che le raccolte devono essere aperte al pubblico, cioè devono avvenire in occasione di manifestazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione. 6.2 Modalità di svolgimento delle raccolte di fondi I tradizionali strumenti di raccolta di fondi possono essere suddivisi sostanzialmente in due tipologie a seconda che utilizzino mezzi di contatto personali o impersonali. Semplificando, ci troveremo di fronte al direct marketing, al telemarketing o al mailing quando il contatto con i potenziali donatori avviene con mezzi personali. Di contro, nel caso di manifestazioni, propaganda o pubbliche relazioni, il contatto si instaura con mezzi impersonali. Il documento dell’Agenzia per il terzo settore individua tra i principali strumenti utilizzati dagli enti non profit per la raccolta dei fondi i seguenti: direct mail, telemarketing, face to face, eventi, eventi di piazza, salvadanai, imprese for profit, grandi donatori, lasciti testamentari, SMS solidali e donazioni on line tramite il sito web dell’organizzazione. Di seguito, verranno analizzati alcuni di questi strumenti di raccolta ed in particolare: il direct mail, il telemarketing e le imprese for profit. ------------------------------------------5 Il parametro di due eventi l’anno è stato introdotto per le manifestazioni organizzate dalle ASD che si avvalgono del regime fiscale forfetario previsto dalla legge n. 398/1991 e, più precisamente, dalla disposizione dell’art. 25, legge n. 133/1999. © Cesi Multimedia 105 Capitolo 6 – La raccolta fondi 6.2.1 Il direct mail E’ definito direct mail6 qualsiasi tipo di materiale cartaceo finalizzato alla raccolta fondi divulgato attraverso il servizio postale, come ad esempio lettere personalizzate e non personalizzate, questionari o materiali promozionali fra cui depliant, brochure o flyer. Il direct mail rappresenta uno fra gli strumenti di raccolta più diffusi per il finanziamento degli enti non profit pur avendo un investimento iniziale particolarmente elevato. Pertanto, è fondamentale utilizzare valide liste di indirizzi dei potenziali donatori che si intendono contattare. A tal proposito, le organizzazioni che inviano materiale postale a indirizzi specifici, devono assicurarsi che le banche dati di cui si servono per effettuare le spedizioni siano aggiornate solo con i soggetti che, in precedenza, hanno espressamente fornito il consenso all’invio di materiale informativo e che successivamente non lo abbiano revocato. Al riguardo, la legge n. 106/2011, di conversione del d.l. n. 70/2010, ha esteso l’ambito di operatività dell’art. 130, comma 3-bis del d.lgs. n. 196/2003, modificato dall’art. 6, comma 2, lettera a) del d.l. n. 70/2010, prevedendo la possibilità per gli operatori di “direct mail” di utilizzare i dati personali dei soli soggetti che non abbiano richiesto l’inclusione nel Registro pubblico delle opposizioni 7, per l’invio di materiale informativo cartaceo. 6.2.2 Il telemarketing Con il termine telemarketing si definisce un’attività di marketing svolta telefonicamente, che permette di instaurare un rapporto diretto ed interattivo con il donatore potenziale. Lo sviluppo del contatto telefonico rivolto ad un target interno o esterno all’ente, ha lo scopo di raccogliere adesioni e, di conseguenza, fondi o altre forme di sostegno ai progetti dell’organizzazione stessa. Tuttavia, questo tipo di fund-raising, vista la sua natura, può essere considerato particolarmente invasivo e inopportuno e, pertanto, potrebbe creare qualche problema con i donatori potenziali. Per questo motivo, il telemarketing può essere uno strumento estremamente utile per contattare soggetti già acquisiti e con i quali è già stato instaurato un rapporto. Come per il direct mail, anche per il telemarketing devono essere rispettate le previsioni normative in materia di Registro pubblico delle opposizioni. ------------------------------------------6 Il direct mail è una espressione inglese traducibile semplicemente in contatto postale. Cit. Linee guida per la raccolta di fondi, Agenzia per il terzo settore, 2011: “Il Registro pubblico delle opposizioni è stato istituito con Decreto del Presidente della Repubblica n. 178 del 7 settembre 2010, attuativo dell’art. 20 bis della legge n.166/2009, che ha modificato il regime di gestione degli elenchi pubblici telefonici su cui è possibile esercitare attività di telemarketing. La costituzione e la gestione del Registro, entrato in funzione il 31 gennaio 2011, è stata affidata dal Ministero dello Sviluppo Economico - Dipartimento per le Comunicazioni alla Fondazione Ugo Bordoni. La vigilanza e il controllo sulla tenuta del Registro e sul trattamento dei dati sono attribuiti al Garante per la Privacy, ai sensi dell’articolo 130, comma 3 quater del Codice Privacy.” 7 106 © Cesi Multimedia Capitolo 6 – La raccolta fondi Il telemarketing può essere suddiviso in inbound e outbound. Il telemarketing inbound o in entrata è caratterizzato dalla gestione dei contatti telefonici provenienti dall’esterno. Tali contatti vengono raccolti dall’ente mediante l’invio preventivo di materiali informativi e promozionali, dalla diffusione di recapiti telefonici o dalla divulgazione di informazioni attraverso diversi mezzi di comunicazione, come ad esempio internet, TV o stampa. Per telemarketing outbound o in uscita si intende la gestione dei contatti mirati a pubblici esterni e/o interni all’organizzazione stessa. Per pubblici interni si intendono i soci o i sostenitori i cui dati sono già presenti negli archivi dell’ente, o persone che hanno espressamente dato il consenso al trattamento dei propri dati personali e che, conseguentemente, possono essere contattati telefonicamente, pur nel rispetto della normativa in materia di privacy. Di contro, nei pubblici esterni si includono tutti coloro che hanno dato il consenso all’inserimento dei propri dati negli elenchi telefonici pubblici, non richiedendo l’inclusione nel Registro pubblico delle opposizioni. 6.2.3 Imprese for profit La raccolta di fondi effettuata da parte di imprese for profit può portare agli enti non profit molti vantaggi, ma deve essere effettuata attraverso un’attenta valutazione ed una gestione efficacie. In questo contesto, è fondamentale effettuare una scelta strategica dell’impresa, senza limitarsi esclusivamente ad una mera operazione di marketing promozionale. Al fine di ottenere una valutazione corretta degli interessi e degli obiettivi da perseguire, le organizzazioni dovrebbero sviluppare ricerche conoscitive sulle imprese for profit che intendono contattare. La metodologia più efficace consiste nello stilare un elenco degli elementi principali da considerare durante la fase di valutazione dell’impresa for profit e degli effetti che possono scaturire dalla collaborazione che si andrà ad instaurare. Nelle Linee guida per la raccolta di fondi, l’Agenzia per il terzo settore ha individuato alcuni degli elementi da considerare; a titolo esemplificativo avremo: tipologia di impresa for profit: devono essere analizzati tutti gli elementi identificativi dell’impresa, a partire dalla composizione societaria ed ogni altra informazione anagrafica utile per effettuare una valutazione efficace; ragioni dell’intervento: devono essere analizzate le motivazioni che spingono l’azienda ad effettuare le donazioni o ad avviare altre forme di collaborazione con l’organizzazione non profit; principio di coerenza: deve essere valutata la coerenza dei valori, dei principi e dei comportamenti dell’impresa for profit e delle società che, eventualmente, la compongono o la controllano, in relazione a quelli dell’ente for profit; impressione del pubblico: di fondamentale importanza è la percezione che il pubblico ha del marchio e dell’impresa for profit stessa. Se l’impressione del pubblico fosse negativa, l’ente rischierebbe di avere effetti peggiorativi invece di migliorare la propria immagine; © Cesi Multimedia 107 Capitolo 6 – La raccolta fondi valore aggiunto: deve essere valutato se la collaborazione fra l’organizzazione non profit e l’impresa for profit determinerà un incremento di valore o, al contrario, se possa danneggiare la reputazione dell’ente non profit; aspettative ed obiettivi: devono essere adeguatamente bilanciati gli obiettivi e le aspettative dell’ente non profit con quelli dell’impresa for profit. Il rapporto con un’impresa for profit può essere caratterizzato da diversi tipi di collaborazioni. Fra queste troviamo, ad esempio, le erogazioni liberali, le donazioni di beni e servizi, volontariato d’impresa, realizzazione di sponsorizzazioni o cause related marketing. Il fenomeno del cause related marketing, conosciuto anche con l’acronimo CRM, nasce negli Stati Uniti e può essere definito come uno sforzo da parte di un’impresa di contribuire alla realizzazione di obiettivi propri delle organizzazioni non profit, incrementando di contro i propri introiti. Pertanto, si tratta di un’azione di marketing in cui le organizzazioni non profit e le imprese for profit formano una partnership per promuovere un’immagine o un servizio, traendone beneficio entrambe. Nel CRM la donazione è subordinata alla transazione, cioè al ricevimento di un bene in cambio di denaro8. L’obiettivo è stato quello di creare una forma di pubblicità rivolta ai “consumatori-cittadini” e non ai “consumatori-clienti”, che valorizzi il marchio o il prodotto di una impresa for profit, destinando una parte delle risorse al finanziamento di un’iniziativa di solidarietà sociale o ad un progetto di interesse collettivo. I rapporti che si instaurano fra le imprese for profit e le organizzazioni non profit rientranti nell’attività di CRM possono essere considerati come sponsorizzazioni “solidali”9, cioè attività volte a diffondere un messaggio attraverso il collegamento di un marchio o del nome dell’impresa for profit con un determinato evento. Un esempio di questo tipo di attività è rappresentato dal caso di “BNL e Comitato Telethon Fondazione ONLUS”. Tornando alla sponsorizzazione solidale, è opportuno sottolineare che l’Amministrazione finanziaria, con la R.M. n. 137/E del 2000, sembrerebbe orientata verso un’integrale deducibilità degli oneri sostenuti dalle imprese durante le campagne di CRM come costi di pubblicità. Secondo le disposizioni dell’art. 109, d.p.r. n. 917/1986, per essere deducili, occorre che i predetti costi abbiano, oltre al requisito della competenza, della certezza e della determinabilità, anche quello dell’inerenza all’attività di “impresa for profit”. Per inerenza degli oneri si intende la loro idoneità a promuovere un incremento di ricavi. In quest’ottica, l’Amministrazione finanziaria, pur confermando l’orientamento posto con ------------------------------------------8 Cit. Linee guida per la raccolta di fondi, Agenzia per il terzo settore, 2011 Per sponsorizzazione si intende un contratto atipico in base al quale un soggetto detto sponsee si obbliga ad associare ad un evento il marchio o il nome di un altro soggetto detto sponsor in cambio di un corrispettivo, traendo beneficio e migliorando la propria immagine verso il pubblico. 9 108 © Cesi Multimedia Capitolo 6 – La raccolta fondi la risoluzione 137/E, potrebbe ritenere indeducibile una parte dei costi ove ravvisi che questi siano eccessivi rispetto al complesso dei ricavi. 6.3 L’obbligatorietà del rendiconto per la raccolta fondi La redazione del rendiconto per la raccolta di fondi è sancito dall’art. 20 comma 2 d.p.r. n. 600/1973, modificato dall’art. 8 comma 1 del d.lgs. n. 460/199710. In ottemperanza ai principi di chiarezza e trasparenza, è previsto l’obbligo per le organizzazioni non profit di redigere un apposito rendiconto dal quale si evincano le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o compagne di sensibilizzazione. Lo stesso è da considerarsi aggiuntivo rispetto a quello annuale. Inoltre, tale rendiconto deve essere accompagnato da una relazione illustrativa delle spese e delle entrate relative all’evento, come stabilito dall’art. 20 comma 2 d.p.r. n. 600/1973. Attraverso questa relazione deve essere specificato l’importo dei fondi raccolti risultanti dalla documentazione attestante ogni singolo versamento e le somme effettivamente sostenute per lo svolgimento dell’attività di raccolta. Con la circolare n. 59 del 31 ottobre 2007, l’Agenzia delle Entrate ha specificato che i costi relativi alla raccolta non devono risultare eccessivi, in modo tale che, una volta decurtati dai fondi raccolti, residui una quota rilevante da destinare alle finalità solidaristiche11. Il rendiconto deve essere redatto entro quattro mesi dalla data di chiusura dell’esercizio per ciascuna delle raccolte fondi effettuate dall’ente. La redazione di uno specifico ren- ------------------------------------------10 L’art. 8 comma 1 del d.lgs. n. 460/1997 dispone che “Nell’articolo 20 decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973,n. 600, riguardante le scritture contabili degli enti non commerciali, dopo il primo comma, sono aggiunti, in fine, i seguenti: “Indipendentemente alla redazione del rendiconto annuale economico e finanziario, gli enti non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi devono redigere, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, un apposito e separato rendiconto tenuto e conservato ai sensi dell’articolo 22, dal quale devono risultare, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione indicate nell’articolo 108, comma 2-bis, lettera a), testo unico delle imposte sui redditi (n.d.a. L’art. 108 del TUIR è stato modificato dal d.lgs. del 12/12/2003 n. 344, che ne ha variato la numerazione sostituendolo con l’art. 143), approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917”. 11 Cit. circolare n. 59 del 31 ottobre 2007, l’Agenzia delle Entrate: “…Occorre pertanto, individuare e quantificare un rapporto tra i fondi raccolti e la loro destinazione, prevedendo che i costi totali, sia amministrativi sia per l’attività di raccolta fondi, debbano essere contenuti entro limiti ragionevoli e tali da assicurare che, dedotti tali costi, residui, comunque, una certa quota di fondi da destinare ai progetti e alle attività per cui la stessa campagna è stata attivata. A tale proposito, si ritiene che i fondi raccolti debbano essere destinati per la maggior parte del loro ammontare a finanziare i progetti e l’attività per cui la raccolta fondi è stata attivata. I fondi raccolti, in sostanza, non devono essere utilizzati dall’ente per autofinanziarsi a scapito delle finalità solidaristiche che il legislatore fiscale ha inteso incentivare. Per agevolare l’attività di accertamento da parte degli organi preposti alla vigilanza sulla raccolta fondi, le organizzazioni interessate avranno cura di specificare nella relazione illustrativa che accompagna il rendiconto l’importo dei fondi raccolti risultante dalla documentazione attestante i singoli versamenti, nonché le somme effettivamente destinate alle attività e ai progetti, dettagliatamente descritti, per i quali la raccolta fondi è stata attivata.” © Cesi Multimedia 109 Capitolo 6 – La raccolta fondi diconto per ogni attività di raccolta è necessaria per salvaguardare il principio di “pubblica fede”, dimostrando che i fondi sono stati impiegati nelle cause per cui erano stati raccolti. Poiché lo scopo è quello di illustrare le operazioni finanziarie in entrata ed in uscita, il rendiconto assume natura finanziaria. Tale struttura appare idonea a fornire dimostrazione sia dell’entità dei fonti raccolti, sia degli impieghi effettuati. Di seguito, uno schema esemplificativo di come può essere strutturato un rendiconto per la raccolta di fondi. ENTRATE - Da soggetti privati - Da società - Da enti pubblici - Donazioni e/o offerte - …. …. …. TOTALE ENTRATE (A) USCITE - Acquisti di beni di valore modico - Spese per acquisto volantini - Spese per acquisto stampati - Spese per promozione dell’evento di raccolta - Rimborsi spese a volontari - Spese per noleggio attrezzature (es. sedie o tavoli) - …. …. …. TOTALE USCITE (B) RISULTATO DELLA RACCOLTA (A-B) 110 Importo © Cesi Multimedia Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014 7. Il 5 per mille nel 2014 di Lorenzo Portento Puntuale come ogni anno torna anche nel 2014 il 5 per mille. La legge di stabilità (articolo 1, comma 1051, della legge 27 dicembre 2013 n. 147) ha confermato per questo anno la facoltà di destinare una parte dell’imposta sul reddito per le persone fisiche, pari al 5 per mille, a sostegno delle stesse finalità e secondo le modalità analoghe a quelle applicate negli anni precedenti; il limite massimo di spesa è stabilito in 400 milioni di euro1. Attraverso il meccanismo infatti il contribuente ha la facoltà di devolvere una quota dell’Irpef a soggetti operanti in settori di riconosciuto interesse pubblico e svolgenti attività eticamente e socialmente meritorie. La misura è stata introdotta per la prima volta con la legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria per il 2006) ed è stata nuovamente proposta per le annualità successive, ininterrottamente dal 2006 ad oggi. I settori a sostegno della cui attività può essere destinato il beneficio del 5 per mille dell’Irpef sono2: i) il volontariato di cui è competente la Direzione Generale per il terzo settore e le formazioni sociali del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali; ii) la ricerca scientifica ed universitaria di cui è competente il MIUR; iii) la ricerca sanitaria di cui è competente il Ministero della Salute; iv) le politiche sociali perseguite dai Comuni di cui è competente il Ministero dell’Interno; v) le attività sportive a carattere dilettantistico riconosciute dal Coni competente la Presidenza del Consiglio dei Ministri con il supporto del Coni, salvo per gli anni 2006 e 2007; il finanziamento delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, a decorrere solo dall’anno finanziario 20123, di cui è competente il Ministero per i Beni e le Attività Culturali. ------------------------------------------1 Per gli anni precedenti, la base normativa dell’istituto è stata: anno 2006, legge n. 266/2005, senza previsione di limite di spesa; anno 2007, legge n. 297/2006, d.l. n. 159/2007 conv. in legge n. 222/2007, legge n. 211/2007, per uno stanziamento finale di 467 milioni di euro; anno 2008, legge n. 244/2007, d.l. n. 248/2007 conv. in legge n. 31/2008, per uno stanziamento finale di 405 milioni; anno 2009, d.l. n.112/2008 conv. in legge n. 133/2008, per uno stanziamento finale di 385 milioni; anno 2010, legge n. 191/2009, d.l. n. 225/2010 conv. in legge n. 10/2011 per uno stanziamento di 483 milioni; anno 2011, legge n. 220/2010 per uno stanziamento di 300 milioni; anno 2012, legge n. 183/2011, d.l. n. 95/2012 conv. in legge n. 135/2012 per 395 milioni. 2 Già previste dal d.p.c.m. 23 aprile 2010, prorogate con l’art.33, comma 11, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (legge di stabilità 2012) su cui l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti con la circolare n. 10/E del 20 marzo 2012, e prorogate per l’esercizio finanziario 2013 con l’art. 23, comma 2, del d.l. 6 luglio 2012, n. 95 convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 su cui l’Agenzia delle Entrate ha fornito chiarimenti con la circolare n. 6/E del 21 marzo 2013. 3 Introdotto ex articolo 23, comma 46, d.l. 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni dalla legge 15 luglio 2011, n. 111. © Cesi Multimedia 111 Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014 Per gli enti del volontariato e le associazioni sportive dilettantistiche è l’Agenzia delle Entrate ad acquisire la domanda di iscrizione, mentre a curare e gestire gli adempimenti degli altri soggetti sono le altre amministrazioni di competenza. Non è prevista la predisposizione di appositi elenchi per il finanziamento delle attività di tutela dei beni culturali e paesaggistici, la cui ripartizione spetta al Ministero, mentre nel caso di scelta delle attività sociali svolte dai Comuni il contribuente può esprimere la propria scelta solo per quello di residenza. E’ da rilevare come in tutti questi anni l’interesse nei confronti del 5 per mille da parte dei cittadini è in costante aumento. Infatti, il numero complessivo di coloro che hanno optato per una scelta è passata dai 13 milioni, nel 2006, a quasi i 17 milioni nel 20114. Nonostante il successo però, il 5 per mille non è ancora entrato a far parte del sistema legislativo italiano, e la sua esistenza negli anni è dipesa dalla reiterazione annuale di leggi, quali la legge finanziaria, la legge di stabilità ed altre disposizioni di bilancio, che rimandano ad un d.p.c.m. di natura non regolamentare per la restante disciplina dell’istituto. Il quadro risulta di conseguenza complesso ed inefficiente. Ad esprimere un giudizio estremamente negativo sulla gestione del 5 per mille è la Corte dei Conti, in una recente relazione inviata al Parlamento e alle principali amministrazioni dello Stato, nella quale descrive il quadro normativo “confuso ed inadeguato al possibile nuovo ruolo istituzionale del privato sociale”. Con la Delibera n. 14 dello scorso 23 dicembre 20135 la Corte denuncia infatti una disciplina instabile e frammentaria, a carattere provvisorio e subordinato ogni anno ad un espressa previsione legislativa con conseguenti inefficienze ed inutili appesantimenti burocratici; rileva inoltre come la pluralità di amministrazioni coinvolte, lo scarso coordinamento tra loro e le elevate disfunzioni interne, rappresentino un ulteriore causa di incertezza sulla disponibilità delle risorse, sui ritardi nei pagamenti, e sull’efficacia, scarsa, nella verifica del possesso dei requisiti nei soggetti ammessi al beneficio. 7.1 Sostegno del volontariato e delle attività sportive dilettantistiche, soggetti ammessi al beneficio Gli enti del volontariato e le associazioni sportive dilettantistiche, per poter essere tra i soggetti beneficiari del 5 per mille, devono presentare domanda di ammissione secondo le regole introdotte annualmente con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Tra gli enti del “volontariato” sono ricompresi tutti i soggetti privati operanti senza fine di lucro in settori a rilevanza sociale, elencati all’articolo 1, comma 1, lettera a), del d.p.c.m. 23 aprile 2010, e precisamente la tipologia comprende6: ------------------------------------------4 Fonte: elaborazione della Corte dei Conti su dati dell’Agenzia delle Entrate. Delib. N. 14/2013/G “Destinazione e gestione del 5 per mille dell’Irpef”. 6 Cosi come da ultimo specificato nella circ.n. 6/E del 21 marzo 2013. 5 112 © Cesi Multimedia Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014 le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, ONLUS ordinarie (art. 10 del decreto legislativo 4 dicembre 1997, n. 460), iscritte nell’Anagrafe presso la DRE competente; gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese e le associazioni di Promozione Sociale le cui finalità assistenziali sono riconosciute dal Ministero dell’Interno, iscritti nell’Anagrafe delle ONLUS in quanto ONLUS parziali, cioè limitatamente alle attività svolte nell’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale nei settori di attività elencati all’articolo 10, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 460/97; le organizzazioni di volontariato, ex legge n. 266/1991, iscritte nei registri regionali e delle provincie autonome; le cooperative sociali, ex legge n. 381/1991, iscritte all’Albo nazionale delle società cooperative presso il Ministero dello Sviluppo economico, nonché i consorzi di cooperative con la base sociale formata per il cento per cento dalle stesse cooperative sociali; le organizzazioni non governative riconosciute idonee ex legge n. 49/1986, iscritte presso il Ministero degli Affari Esteri; le associazioni di promozione sociale iscritte nei registri nazionale, regionali e provinciali previsti dall’art. 7, commi 1, 2, 3 e 4, della legge 7 dicembre 2000, n. 383; le associazioni e fondazioni che operano senza finalità di lucro nei settori indicati dall’art. 10, comma 1, lettera a) del d.lgs. 4 dicembre 1997, n. 4607. L’ammissione ai benefici degli organismi del volontariato è esclusa per quelli con personalità giuridica di diritto pubblico (es. la Croce Rossa italiana). Le associazioni sportive dilettantistiche8 che possono partecipare al riparto del 5 per mille sono quelle riconosciute ai fini sportivi dal Comitato olimpico nazionale italiano, che svolgono una rilevante attività sociale. In particolare le associazioni in cui è presente il settore giovanile e che siano affiliate a una Federazione sportiva nazionale o a una disciplina sportiva associata o a un Ente di promozione sportiva riconosciuti dal Coni. Inoltre le associazioni devono svolgere prevalentemente una delle seguenti attività: i) avviamento e formazione allo sport dei giovani di età inferiore a 18 anni; ii) avviamento alla pratica sportiva in favore di persone di età non inferiore a 60 anni; iii) avviamento alla pratica sportiva nei confronti di soggetti svantaggiati in ragione delle condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari. ------------------------------------------7 Le circolari 56/E del 10 dicembre 2010 e 6/E del 21 marzo 2013 sottolineano i requisiti formali e sostanziali richiesti. 8 Prima del 2009, le associazioni sportive dilettantistiche furono inserite tra i destinatari del 5 per mille dal d.l. n. 159/2007 conv. in legge n. 222/2007, a valere, retroattivamente sugli esercizi finanziari 2006 e 2007, e dal d.l. n. 248/2007, conv. in legge n. 31/2008, per l’esercizio 2008, unicamente con il possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal Coni ai sensi del d.l. n. 136/2004 conv. in legge n. 186/2004 e artt.7 e 90 della legge n. 289/2002. © Cesi Multimedia 113 Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014 L’Agenzia delle Entrate precisa con circolare n. 6/E del 21 marzo 2013, che la tipologia di appartenenza deve essere espressamente indicata nella Sezione I del modello di domanda e l’iscrizione nell’Anagrafe delle ONLUS ovvero negli appositi elenchi, albi e registri, compreso il registro delle persone giuridiche, deve sussistere fin dal momento della presentazione della domanda. 7.2 Adempimenti degli enti del volontariato e delle associazioni sportive dilettantistiche I soggetti beneficiari del 5 per mille dell’Irpef per partecipare al riparto del 5 per mille debbono procedere all’iscrizione in via telematica nell’apposito elenco tenuto dall’Agenzia delle Entrate. Vengono dunque applicate anche per l’esercizio finanziario 2014 gli stessi termini già stabiliti negli scorsi anni con i necessari aggiornamenti. Tale iscrizione dovrà essere effettuata inviando la relativa domanda, a pena di decadenza esclusivamente in via telematica, utilizzando modello e software specifici. La domanda va trasmessa entro il 07 maggio 2014 direttamente dai soggetti interessati, se abilitati ai servizi Entratel o Fisconline, oppure tramite gli intermediari abilitati a Entratel. Sono tenuti a presentare la domanda anche coloro che l’hanno inviata gli anni precedenti. All’atto dell’iscrizione il sistema rilascia una ricevuta che attesta l’avvenuta ricezione e riepiloga i dati della domanda. Entro il 14 maggio l’Agenzia delle Entrate pubblica sul suo sito internet l’elenco provvisorio dei beneficiari distinti per tipologia; in caso di errori nei dati, il legale rappresentante dell’ente può, entro il 20 maggio, chiederne la correzione alla DRE di competenza territoriale utilizzando i modelli di variazione AA7/10 oppure AA5/6 se non titolari di partita IVA. Corretti gli eventuali errori, l’Agenzia provvederà a pubblicare la versione definitiva degli elenchi. Successivamente all’iscrizione i legali rappresentanti degli enti del volontariato regolarmente iscritti negli elenchi devono spedire entro il 30 giugno di ogni anno, tramite raccomandata con ricevuta di ritorno oppure tramite posta elettronica certificata, alla direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate nel cui ambito si trova il domicilio fiscale dell’ente, una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà9 ai sensi dell’articolo 45 del d.p.r. n. 445 del 2000, che attesta la persistenza dei requisiti che danno diritto all’iscrizione. ------------------------------------------9 Il modello di dichiarazione sostitutiva è pubblicato sul sito dell’Agenzia delle Entrate oltre ad essere disponibile nel software di iscrizione telematica precompilato in alcuni campi con le informazioni presenti nella domanda di iscrizione. 114 © Cesi Multimedia Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014 I legali rappresentanti delle associazioni sportive dilettantistiche iscritte in elenco devono spedire la dichiarazione entro gli stessi termini all’Ufficio del Coni nel cui ambito territoriale si trova la sede legale dell’associazione interessata10. Alla dichiarazione deve essere sempre allegata la fotocopia non autenticata di un documento di identità del sottoscrittore, anche se il legale rappresentate dell’ente non è cambiato rispetto al precedente anno. Il mancato rispetto del termine e la mancata allegazione del documento di identità alla dichiarazione sostitutiva costituiscono causa di decadenza dal beneficio. Tabella di sintesi 7 maggio 2014 20 maggio 2014 27 maggio 2014 30 giugno 2014 30 settembre 2014 Termine ultimo per l’iscrizione negli elenchi dei beneficiari Termine per la presentazione di istanze per correggere errori nella iscrizione agli elenchi Pubblicazione elenco aggiornato con le correzioni degli enti iscritti Termine per l’invio della dichiarazione sostitutiva di atto notorio Termine per la regolarizzazione delle domande di iscrizione o successive integrazioni documentali (c.d. “remissione in bonis”) 7.3 Regolarizzazione delle omissioni con la “remisione in bonis” A decorrere dall’esercizio finanziario 201211, possono partecipare al riparto delle quote del 5 per mille gli enti che pur non avendo assolto in tutto o in parte, entro i termini di scadenza, agli adempimenti richiesti per l’ammissione al contributo, abbiano i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento, presentino le domande di iscrizione e provvedano alle successive integrazioni documentali, compresa la dichiarazione sostitutiva di atto notorio, entro il 30 settembre di ogni anno con le stesse modalità con cui doveva essere effettuata originariamente la domanda, versando contestualmente una sanzione di importo pari a 258 euro. I requisiti sostanziali richiesti per l’accesso al beneficio devono essere comunque posseduti alla data di scadenza della presentazione della domanda di iscrizione 12. ------------------------------------------10 “Il ruolo del CONI, a partire dal 2009, è circoscritto all’acquisizione delle dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà relative alla persistenza dei requisiti idonei al 5 per mille, alla verifica della loro veridicità ed alla conseguente elaborazione degli elenchi degli ammessi, esclusi e decaduti da inviare all’Agenzia delle Entrate per i successivi adempimenti. All’erogazione delle somme spettanti a ciascun soggetto provvede poi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio sport” (nota n. 1200/13 del 10 aprile 2013 del Coni). 11 Cosi previsto dall’articolo 2 comma 2, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16 convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012 n. 44; circolare n. 10/E del 20 marzo 2012 e circolare 38/E del 28 settembre 2012. 12 Per gli enti del volontariato e per le associazioni sportive dilettantistiche devono essere posseduti entro il 7 maggio. © Cesi Multimedia 115 Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014 La sanzione deve essere versata con il Modello F24, indicando il codice tributo [8115]13. E’ esclusa la possibilità di compensare l’importo della sanzione con crediti eventualmente disponibili e non può essere oggetto di ravvedimento. 7.4 Dalla pubblicazione degli elenchi al pagamento: iter Concluse le attività amministrative di controllo, una volta validati dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, l’Agenzia delle Entrate provvederà a pubblicare gli elenchi degli enti ammessi tra i soggetti beneficiari del 5 per mille dell’Irpef con l’indicazione delle scelte e degli importi. Per quanto riguarda le associazioni sportive dilettantistiche è il Coni a trasmettere all’AdE gli elenchi degli enti ammessi al beneficio. È possibile comunicare le coordinate del proprio conto corrente bancario o postale ai fini dell’accreditamento della quota spettante presso l’ufficio territoriale dell’Agenzia delle Entrate con apposito modello oppure attraverso il sito internet per i contribuenti abilitati al servizio fisconline. Il Ministero procede direttamente al pagamento dei soggetti beneficiari di somme superiori ai 500.000 euro mentre l’AdE provvede al pagamento delle somme ai soggetti beneficiari di somme inferiori; i soggetti beneficiari che non comunicano le proprie coordinate, ovvero che non dispongono di un conto corrente, vengono pagati con modalità alternative direttamente dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali14 (per esempio liquidazione con rimessa diretta al LR); in caso di variazione il codice IBAN va comunicato esclusivamente alla sede territoriale dell’AdE. Nell’ipotesi in cui prima dell’erogazione delle somme il soggetto abbia cessato la propria attività o non svolga più le attività che hanno costituito il presupposto per l’accesso al beneficio15, le somme attribuite non dovranno essere erogate. Laddove, invece, siano state già erogate, ma il soggetto, prima dell’erogazione delle somme, risulti aver cessato l’attività o non svolgere più l’attività che da diritto al beneficio, l’amministrazione competente dovrà procedere al recupero degli importi erogati. 7.5 La rendicontazione E’ affidata all’Amministrazione erogatrice del contributo il compito di vigilare sulla effettiva destinazione dei fondi ricevuti. L’obbligo di rendicontazione delle somme è stato introdotto per la prima volta dalla legge Finanziaria 2008 (legge 24 dicembre 2007, n. 244, art. 3, comma 6). Anche per il 2014 è previsto l’obbligo, per gli enti e i soggetti destinatari delle somme del 5 per mille, di redigere un apposito rendiconto utilizzando ------------------------------------------13 Codice tributo istituito con ris. n. 46/E dell’11 maggio 2012. Gli enti che non hanno il conto corrente bancario o postale devono comunicare al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il nome del legale rappresentante, i dati anagrafici, l’indirizzo e il CF, oltre ai dati anagrafici dell’ente beneficiario. Il pagamento avverrà solo successivamente ai pagamenti effettuati dall’Agenzia e dopo che la stessa invierà gli elenchi cosiddetti NO IBAN. 15 Vedi il d.p.c.m. 23 aprile 2010 e circ. n. 56/E del 10 dicembre 2010. 14 116 © Cesi Multimedia Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014 il modulo reso disponibile sui siti istituzionali dei Ministeri competenti, corredato da una relazione illustrativa, “nel quale sarà rappresentato in modo chiaro e trasparente l’effettivo impiego delle somme percepite per le finalità cui sono destinate”16. La redazione di questo documento è obbligatoria e nel caso non venga redatto nei tempi e nelle modalità fissate dalle amministrazioni erogatrici delle somme, la legge prevede il recupero della somma erogata. Ogni amministrazione competente per le diverse tipologie di soggetti ammessi al beneficio stabilisce le linee guida e i modelli da utilizzare ai fini della rendicontazione17. Per i soggetti percettori di quote del 5 per mille che rientrano nel settore di competenza del Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, indicati con l’espressione enti del volontariato18, lo stesso Ministero ha pubblicato sul suo sito, per la prima volta il 7 dicembre 2010, le “linee guida per la predisposizione del rendiconto circa la destinazione delle quote del 5 per mille dell’Irpef” accompagnate da un modello fac-simile di rendiconto. Le linee guida ed il modello sono state rinnovate lo scorso 17 luglio 2013. Quest’ultime in particolare presentano alcune novità: Accantonamento: è possibile accantonare in tutto o in parte l’importo percepito, fermo restando che l’Ente beneficiario deve specificare nella relazione allegata le finalità dell’accantonamento effettuato ed allegare oltre alla documentazione relativa al futuro utilizzo anche il verbale del CdA in cui viene deliberato l’accantonamento. E’ obbligatorio spendere tutte le somme accantonate e rinviare il modello di rendiconto entro 24 mesi dalla percezione del contributo. Risorse umane: nel caso in cui i compensi per il personale superano il 50% dell’importo percepito è obbligatorio allegare copia delle buste paga del personale imputato fino alla concorrenza dell’importo rendicontato. Nel caso di erogazioni liberali ad altri enti, anche esteri, è obbligatorio allegare copia del bonifico effettuato. Inoltre il Ministero attraverso le FAQ19 ha precisato: ------------------------------------------16 Art. 12 d.p.c.m. 23 aprile 2010. Le Associazioni sportive dilettantistiche possono adottare il modello previsto per gli altri enti del volontariato ma devono evidenziare le attività di interesse sociale effettivamente svolte. A partire dall’erogazione delle somme relative all’anno finanziario 2008 risulta competente l’ufficio per lo sport istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Informazioni al seguente link http://www.sportgoverno.it/percorsi/5-permille.aspx; il Ministero della Salute, competente sui fondi erogati alla ricerca sanitaria, ha reso note le modalità di rendicontazione nel mese di dicembre 2010, la rendicontazione è obbligatoria dal 2008, facoltativa per il 2007; informazioni al seguente link http://www.salute.gov.it/ricercaSanitaria/paginaMenuRicercaSanitaria.jsp?menu=cinque&lingua=italiano. Il MIUR, competente per i fondi destinati alla ricerca scientifica e università, ha reso noto un modello di rendiconto il 23 febbraio 2011, informazioni al seguente link http://cinquepermille.miur.it/TermineIscrizione.aspx. 18 Per ragioni di carattere organizzativo le associazioni sportive dilettantistiche sono state ricomprese solo per le annualità 2006 e 2007, ai fini dell’obbligo della rendicontazione, nel settore “enti del volontariato”. 19 Pubblicate sul sito del Ministero del Lavoro e delle PS insieme alle linee guida. 17 © Cesi Multimedia 117 Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014 è possibile rendicontare le spese sostenute prima del pagamento a partire dalla pubblicazione dell’elenco definitivo20; è possibile la cessione del credito dopo la pubblicazione dell’elenco definitivo in cui l’Ente risulta ammesso al contributo. La data da cui occorre rendicontare le spese decorre comunque dall’avvenuta pubblicazione dell’elenco definitivo; il contributo del 5 per mille non può essere devoluto, infatti precisa che non si ha diritto qualora prima dell’erogazione del contributo risulti aver cessato l’attività o non svolga più l’attività che dà diritto al beneficio; è possibile rimborsare con il contributo del 5 per mille le spese anticipate dai soci con fondi infruttiferi ove si tratti di un programma di investimento strutturale e le spese siano state destinate esclusivamente alle finalità di utilità sociale dell’ente. Va prodotta una relazione illustrativa alla quale si dovrà fare riferimento negli anni successivi; non è possibile presentare rendiconti cumulativi di vari anni (per esempio nel caso in cui siano pervenuti in rapida successione). L’ente nel redigere il rendiconto dovrà obbligatoriamente predisporre una relazione descrittiva per illustrare nel dettaglio la destinazione della quota ricevuta e gli interventi realizzati, indicandone il costo per ciascuna delle principali voci di spesa. Al modello deve essere allegata fotocopia del documento di identità del legale rappresentante firmatario. La rendicontazione è obbligatoria per tutti gli enti che hanno ricevuto il 5 per mille. Gli enti che hanno ricevuto un importo superiore o uguale a 15.000 euro per il 2008, 20.000 euro per gli anni successivi, devono anche inviare il modello di rendiconto e gli allegati al Ministero LPS unicamente tramite raccomandata a/R. Il rendiconto deve essere redatto (e deliberato) entro 12 mesi dal ricevimento delle somme; ai fini del calcolo del termine, si fa riferimento al mese di accreditamento dell’importo. Per chi è obbligato a trasmettere il rendiconto, l’invio deve essere realizzato entro i 30 giorni successivi al compimento dell’anno di riscossione e della conseguente redazione del rendiconto. Sono ammesse tutte le spese (per l’attività istituzionale ordinaria dell’ente o per progetto). Solo dall’anno 2010 le somme non potranno essere utilizzate per la copertura dei costi delle campagne pubblicitarie sul 5 per mille. In alternativa al rendiconto predisposto dal Ministero del Lavoro l’obbligo di rendicontazione è assolto se il beneficiario redige un bilancio sociale. Qualora il bilancio sociale sia pubblicato sul sito dell’Ente dovrà essere inviata la sola comunicazione dell’avvenuta pubblicazione sul sito e la delibera dell’organo competente di approvazione dello stesso; qualora invece il bilancio sociale non sia pubblicato sul sito dell’Ente dovrà essere trasmesso al Ministero PLS allegando la delibera dell’organo competente di approvazione dello stesso, con le tempistiche previste per la trasmissione del rendiconto. ------------------------------------------20 Elenco pubblicato sul sito dell’Agenzia delle Entrate già validato dal Ministero del Lavoro e delle PS. 118 © Cesi Multimedia Capitolo 7 – Il 5 per mille nel 2014 Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali si riserva la facoltà di chiedere la trasmissione del rendiconto e di eventuali allegati ai soggetti beneficiari tenuti al solo obbligo di redazione del rendiconto (per importo inferiore ad euro 15.000,00 per l’anno 2008; inferiore ad euro 20.000,00 per le annualità successive); acquisire ulteriore documentazione da parte dei soggetti tenuti all’invio del rendiconto e degli eventuali allegati; compiere ispezioni sulla documentazione contabile in oggetto presso la sede dell’organizzazione in cui sia conservata. I contributi erogati sono soggetti a recupero nei seguenti casi21: qualora la erogazione delle somme sia stata determinata sulla base di dichiarazioni mendaci o basate su false attestazioni anche documentali; qualora le somme erogate non siano state oggetto di rendicontazione; qualora gli enti che hanno percepito contributi di importo pari o superiore a 20.000 euro non inviino il rendiconto e la relazione; qualora, a seguito di controlli l’ente beneficiario sia risultato non in possesso dei requisiti che danno titolo all’ammissione al beneficio; qualora l’ente, dopo l’erogazione delle somme allo stesso destinate, risulti, invece, aver cessato l’attività o non svolgere più l’attività che da’ diritto al beneficio, prima dell’erogazione delle somme medesime; qualora gli enti che hanno percepito contributi di importo inferiore a 20.000 euro non ottemperino alla richiesta di trasmettere, ai fini del controllo, il rendiconto, la relazione illustrativa e la ulteriore documentazione eventualmente richiesta. ------------------------------------------21 Art. 13, d.p.c.m. 23 aprile 2010 © Cesi Multimedia 119 Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit 8. I rendiconti degli enti non profit. Normativa e prassi nella redazione degli schemi di Bilancio di Ilenia Errico 8.1 La rendicontazione prevista dal codice civile e dalla prassi tributaria Il bilancio di esercizio per gli enti non profit1 rappresenta un importante strumento, finalizzato a mostrare gli aspetti finanziari – patrimoniali ed il risultato economico del periodo; per mezzo del quale l’ente può soddisfare le esigenze conoscitive dei propri stakeholders. La normativa del codice civile in materia di rendicontazione per gli enti non profit prevede scarsi adempimenti obbligatori e fornisce una distinzione tra enti dotati di personalità giuridica e non. In particolare per gli enti non profit dotati di personalità giuridica, l’art. 20 c.c. pone a carico degli amministratori l’obbligo di convocare l’assemblea delle associazioni una volta l’anno per l’approvazione del bilancio. Il successivo art. 21 c.c. esclude gli amministratori dal diritto di voto nelle deliberazioni assembleari di approvazione del bilancio. Ancor meno disciplinati sono gli aspetti di rendicontazione per gli enti non profit privi di personalità giuridica. In particolare, l’art. 36 c.c. stabilisce che l’ordinamento interno e l’amministrazione sono regolati dagli accordi degli associati, lasciando quest’ultimi liberi nel definire le linee guida per la redazione e l’approvazione dei rendiconti. Alla scarna disciplina civilistica si contrappone una pluralità di leggi speciali di settore. In linea generale, le normative in materia di organizzazioni di volontariato (legge n. 266/1991), in materia di promozione sociale (legge n. 383/2000), in materia di enti sportivi dilettantistici (legge n. 209/2002) e quella in materia di ONLUS (legge n. ------------------------------------------1 L’espressione Enti non profit riassume differenti tipi di soggetti che svolgono attività caratterizzate da rilevanza ideale e sociale, senza finalità di lucro. A livello giuridico, rientrano tra gli enti non profit i seguenti soggetti: associazioni riconosciute (art. 14 e ss. c.c.); fondazioni riconosciute (art. 14 e ss. c.c.); associazioni non riconosciute (art. 36 e ss. c.c.); comitati (art. 39 e ss. c.c.); fondazioni e associazioni bancarie (d.lgs. n. 356/1990 e legge n. 461/1998; d.lgs. n. 153/1999); organizzazioni di volontariato (legge n. 266/1991); cooperative sociali (legge n. 381/1991); associazioni sportive (legge n. 398/1991); organizzazioni non governative (art. 28 legge n. 49/1987); enti di promozione sociale (art. 3 comma 6 legge n. 287/1991); enti lirici (d.lgs. n. 367/1996); centri di formazione professionale (legge n. 845/1978); istituti di patronato (legge n. 152/2001); associazioni di promozione sociale (legge n. 383/2000); imprese sociali (d.lgs. n. 155/2006 e dd.mm. del 24 gennaio 2008). Sotto il profilo tributario gli enti non profit possono configurarsi come enti non commerciali o enti commerciali. Gli enti non commerciali che soddisfano le condizioni di cui all’art. 10 e ss. del d.lgs. n. 460/1997, assumono la posizione fiscale di ONLUS. © Cesi Multimedia 121 Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit 460/1997), prevedono obblighi generici di redazione del bilancio senza dare indicazioni significative in merito a contenuti e struttura. La redazione del bilancio mira ad assolvere prevalentemente funzioni informative e tributarie. In particolare, il sistema informativo – contabile fornisce garanzie riguardo ad una corretta gestione e ad un corretto impiego delle risorse nel perseguimento delle finalità istituzionali. In relazione all’ambito tributario, l’art. 20 comma 2 d.p.r. n. 600/1973 stabilisce che, indipendentemente dalla redazione del rendiconto annuale economico e finanziario, gli enti non commerciali che effettuano raccolte pubbliche di fondi devono redigere, entro 4 mesi dalla chiusura dell’esercizio, un apposito e separato rendiconto dal quale devono risultare, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione indicate nell’art. 143, comma 3, lett. a), d.p.r. n. 917/1986. La redazione del documento in questione non risulta obbligatoria qualora l’ente non abbia esercitato alcuna raccolta occasionale pubblica di fondi. A tal proposito l’Agenzia delle Entrate, con la r.m. del 16 dicembre 2011, n. 126/E, richiamando i contenuti della c.m. del 12 maggio 1998, n. 124/E, precisa, per gli enti non commerciali, la redazione di due rendiconti: un rendiconto annuale economico e finanziario; un rendiconto specifico per gli enti non commerciali che effettuano occasionali raccolte pubbliche di fondi. Dunque, per l’Agenzia delle Entrate il rendiconto economico – finanziario annuale è sempre obbligatorio, indipendentemente dalle modalità gestionali e organizzative dell’ente ed a prescindere dalla qualificazione dell’attività svolta. In aggiunta, tale documento contabile, permette agli organi di controllo di verificare, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo, le modalità operative, la struttura organizzativa dell’ente e la corretta qualifica fiscale. Per quanto riguarda le ONLUS, la disciplina prevista dall’art. 20-bis, d.p.r. n. 600/1973 impone la redazione di un apposito documento che rappresenti la situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell’organizzazione, nel termine di quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio annuale, distinguendo le attività direttamente connesse da quelle istituzionali. Il comma 3 del predetto art. 20-bis prevede la sostituzione del documento contabile con un rendiconto delle entrate e delle spese complessive in presenza di attività istituzionali e connesse con proventi non superiori ad euro 51.645,69. Infine, il comma 5 dispone, per le ONLUS con proventi superiori per due anni consecutivi ad euro 1.032.913,80, l’obbligo di allegare al bilancio una relazione di controllo sottoscritta da uno o più revisori iscritti nel registro dei revisori legali. 122 © Cesi Multimedia Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit 8.2 Modalità di redazione e contenuti dei rendiconti degli enti non profit Le modalità di redazione ed i contenuti dei rendiconti degli enti non profit vengono delineati nell’atto di indirizzo dell’Agenzia per le ONLUS2 dell’11 febbraio 2009 e nei principi contabili emessi dal tavolo tecnico congiunto Agenzia per le ONLUS, Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e Organismo Italiano di Contabilità. L’atto di indirizzo dell’Agenzia per le ONLUS definisce le linee guida e gli schemi per la redazione dei bilanci di esercizio ed elenca i seguenti documenti: a. Stato patrimoniale b. Rendiconto gestionale c. Nota integrativa d. Relazione di missione Inoltre, fornisce una importante semplificazione per i cosiddetti enti minori, soggetti con proventi e ricavi annui inferiori a 250.000 euro. Per tali enti viene prevista la possibilità di redigere un rendiconto finanziario più semplice, secondo criteri di cassa, anziché mediante la contabilizzazione per competenza. Al predetto rendiconto dovrà essere allegato un prospetto sintetico delle attività patrimoniali in essere alla data di bilancio (Rendiconto degli incassi, dei pagamenti e situazione patrimoniale). Il principio contabile n. 13, predilige il principio della competenza economica nella redazione del bilancio in quanto più adatto nel fornire informazioni in merito al reale stato di salute dell’ente. Ciò nonostante, ritiene ammissibile, nel rispetto dei vari postulati, l’utilizzo da parte degli enti minori di un sistema di rilevazione basato sulle entrate e sulle uscite di cassa. L’Agenzia per le ONLUS prevede la redazione dello schema di Stato patrimoniale secondo quanto disposto per le società di capitali dall’art. 2424 c.c., con alcune modifiche che tengano conto delle peculiarità che contraddistinguono la struttura del patrimonio degli enti non profit. Le principali differenze rispetto allo schema di stato patrimoniale delle imprese commerciali sono: l’assenza di riferimenti a società controllanti, in quanto per gli enti non profit vige il carattere di autogoverno; la struttura delle poste ideali del patrimonio netto, che evidenzia: ˗ il fondo di dotazione iniziale; ------------------------------------------2 L’art. 8, comma 23, d.l. n. 16/2012 ha soppresso l’Agenzia per le ONLUS, trasferendo le sue funzioni e compiti al Ministero del lavoro e delle politiche sociali dalla data di entrata in vigore del predetto d.l. 3 Principio contenente il “Quadro sistematico per la preparazione e la presentazione del bilancio degli enti non profit” approvato nel mese di maggio 2011, rappresenta l’insieme di norme di carattere generale che governano la redazione del bilancio, delineando prima le assunzioni contabili e successivamente i postulati del bilancio ed i principi di redazione. Tale documento ha trovato applicazione per i periodi contabili chiusi dopo il 31 dicembre 2011, anche se il Tavolo tecnico ne ha raccomandato l’immediata applicazione. © Cesi Multimedia 123 Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit ˗ il patrimonio libero, costituito dal risultato gestionale dell’esercizio in corso e degli esercizi precedenti, nonché dalle riserve statutarie libere; ˗ il patrimonio vincolato, composto da fondi vincolati per scelte di terzi donatori o degli organi dell’ente, nonché dalle riserve statutarie vincolate. Nello schema di Stato patrimoniale proposto dall’Agenzia per le ONLUS non viene prevista la separazione del patrimonio destinato all’attività istituzionale da quello destinato all’attività accessoria, in quanto tale distinzione assumerebbe rilievo solamente per fini fiscali e non civilistici. Il Rendiconto gestionale a proventi/ricavi e costi/oneri fornisce informazioni sulle modalità di acquisizione e di impiego delle risorse nel periodo, con riferimento alle seguenti aree gestionali: attività tipica o di istituto: attività istituzionale svolta dall’ente non profit in linea con le indicazioni statutarie; attività promozionale e di raccolta fondi: attività volta all’ottenimento di risorse finanziarie necessarie alla realizzazione dei fini istituzionali; attività accessoria: attività diversa da quella istituzionale ma complementare alla stessa in grado di garantire all’ente non profit le risorse per perseguire le finalità istituzionali; attività di gestione finanziaria e patrimoniale: attività strumentali all’attività istituzionale; attività di supporto generale: attività di direzione e conduzione dell’ente diretta a garantire il permanere delle condizioni organizzative di base assicurandone la continuità. I valori di periodo vengono comparati con gli stessi valori del periodo precedente e le eventuali variazioni nei criteri di valutazione o rappresentazione dovranno confluire nella Nota integrativa a garanzia di una più completa informazione. Il Rendiconto gestionale proposto dall’Agenzia per le ONLUS rappresenta i valori a sezioni contrapposte, una classificazione dei proventi in base alla loro origine ed una classificazione degli oneri ripartiti per aree gestionali. Dal punto di vista operativo, possono emergere complicazioni circa la corretta ripartizione dei componenti economici promiscui appartenenti a diverse aree gestionali. L’Agenzia non prevede una metodologia da seguire in merito a tale suddivisione; tuttavia, per una maggiore informazione ribadisce l’importanza di riportare in Nota integrativa i criteri scelti. Per gli enti che svolgono una rilevante attività produttiva tipica (gestioni ospedaliere, assistenziali, scolastiche, di ricerca, immobiliari, ecc.), il Rendiconto gestionale può essere integrato con un Conto economico in forma scalare secondo lo schema di cui all’art. 2425 c.c., atto a rappresentare costi e ricavi di ciascuna delle specifiche attività. Per gli enti non profit può risultare di utile supporto, la stesura da parte dell’organo amministrativo dell’ente di una prima nota dettagliata che distingua le entrate e le uscite istituzionali e non, secondo lo schema di seguito illustrato. 124 © Cesi Multimedia Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit CASSA Istituzionale Data Descrizione Commerciale Promiscuo 01/01/2014 Fondo dotazione iniziale Istituzionale 02/01/2014 Spese attrib.ne CF Istituzionale 03/01/2014 Quota associativa Istituzionale 05/01/2014 Locazione sala Commerciale … 31/01/2014 Saldo finale Entrate Uscite BANCA Saldo Entrate Uscite Saldo 200 0 0 0 0 100 0 0 200 100 0 0 0 0 50 500 0 0 0 0 0 0 50 550 200 100 100 550 0 550 Nella Nota integrativa dovranno essere riportati gli specifici contenuti elencati nelle linee guida dell’Agenzia per le ONLUS. Gli enti non profit con ricavi e proventi inferiori a 250.000 euro annui sono esonerati dalla redazione della Nota integrativa; in alternativa, possono redigerla secondo uno schema ridotto e semplificato. Ultimo documento che accompagna il bilancio è la Relazione di missione con la quale gli amministratori espongono e commentano le attività svolte nell’esercizio, oltreché le prospettive sociali. In particolare, la Relazione di missione deve fornire informazioni rispetto ai seguenti ambiti: missione e identità dell’ente; attività istituzionali, volte al perseguimento diretto della missione; attività strumentali, rispetto al perseguimento della missione istituzionale (ad esempio: attività di raccolta fondi e di promozione istituzionale). Per ciascuno dei tre ambiti occorre effettuare una dettagliata rendicontazione in relazione alle dimensioni dell’ente. Le linee guida dell’Agenzia per le ONLUS forniscono indicazioni di carattere generale, da adattare in base alle esigenze dell’ente e dei suoi interlocutori. 8.3 La contabilizzazione delle liberalità Molto spesso nella redazione del bilancio degli enti non profit, possono emergere problematiche riguardo la corretta contabilizzazione delle liberalità. A tal proposito è intervenuto il principio contabile n. 2, il quale traccia le linee guida da seguire nel processo di iscrizione e valutazione delle liberalità nel bilancio di esercizio degli enti non profit. Tale principio parte dal presupposto che l’ente non profit utilizzi un sistema contabile articolato sulla competenza economica, ma definisce anche disposizioni tecniche per gli enti che adottano un sistema di rilevazione per flussi di cassa. Le liberalità sono quegli atti caratterizzati dai seguenti presupposti: l’arricchimento del beneficiario con corrispondente riduzione di ricchezza da parte di chi compie l’atto e lo spirito di liberalità (inteso come atto di generosità effettuato in mancanza di alcuna forma di costrizione). Esempi di liberalità sono le donazioni monetarie e in natura, i legati ed i contributi erogati da terzi. © Cesi Multimedia 125 Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit Le liberalità non monetarie sono iscritte in sede di rilevazione iniziale al fair value; i beni immobili, in caso di non reperibilità del fair value, vengono iscritti al valore catastale. A riguardo, l’atto di indirizzo dell’Agenzia per le ONLUS afferma che le valutazioni dei beni immobili non sono rilevanti per la vita dell’ente date le sue caratteristiche e finalità istituzionali. Tuttavia, sottolinea come un’adeguata stima consenta di fungere meglio da “memoria” delle acquisizioni e delle donazioni ricevute nel tempo. Molto spesso gli enti iscrivono in bilancio le donazioni ricevute di beni immobili al valore simbolico di 1,00 euro, ma ciò potrebbe falsare l’informazione ricevuta dai terzi circa il reale valore del patrimonio netto. In linea generale, le liberalità ricevute richiedono l’iscrizione dell’elemento nell’attivo dello Stato patrimoniale nell’esercizio in cui sono ricevute o in quello in cui si acquisisce il diritto a riceverle, in contropartita richiedono l’imputazione di un provento da attività tipica nel Rendiconto della gestione. Il trattamento contabile delle liberalità varia a seconda che si tratti di liberalità vincolate o meno. In particolare, le liberalità non vincolate sono imputate al Rendiconto gestionale e girate al conto patrimonio netto in sede di destinazione dell’avanzo economico, qualora vengano destinate dagli amministratori o dagli associati ad un progetto specifico. Il trattamento contabile delle liberalità vincolate, “assoggettate per volontà del donatore o, comunque, di un terzo esterno, a una serie di restrizioni, di vincoli che ne limitano l’utilizzo in modo temporaneo o permanente”, è distinto come segue: 1. liberalità vincolate rappresentate da beni immobili destinati ad incrementare durevolmente il valore dell’ente non profit (come ad esempio gli immobili di valore artistico, storici o di pregio). Sono iscritte nell’attivo dello Stato patrimoniale ed hanno come contropartita un provento; poi, in sede di destinazione dell’avanzo economico, un eguale importo è imputato nel passivo dello Stato patrimoniale alla voce Fondi vincolati destinati da terzi. Qualora il bene ricevuto in donazione sia soggetto ad ammortamento, l’ente non profit, contestualmente all’imputazione della quota di ammortamento nel Rendiconto di gestione, gira un uguale importo del Fondo vincolato alla voce Patrimonio libero del passivo. 2. liberalità vincolate rappresentate da beni immobili destinati all’utilizzo strumentale al perseguimento del fine istituzionale (come ad esempio le autovetture e gli immobili destinati ad attività operative). Sono iscritte nell’attivo dello Stato patrimoniale con contropartita un provento di competenza dell’esercizio. 3. liberalità vincolate rappresentate da beni immobili destinati alla reperibilità di risorse da impiegare nell’attività istituzionale (come ad esempio immobili destinati a locazione). Sono contabilizzate in conformità alle liberalità di cui al precedente punto 2. Inoltre, qualora se ne ravvedano le condizioni, i beni aventi utilità pluriennale vengono sottoposti all’ordinario processo di ammortamento, che consente di far concorrere nei diversi esercizi di utilizzo del bene la corrispondete quota di costo. 126 © Cesi Multimedia Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit L’atto di indirizzo dell’Agenzia per le ONLUS pone in risalto, anche ai fini gestionali, la rilevanza del tema degli ammortamenti dei beni materiali, considerando anche la funzione di autofinanziamento della gestione riconducibile a tali componenti. Pertanto, il problema della corretta determinazione degli ammortamenti non si pone per tutti i beni pluriennali materiali, ma solo per alcuni. Infatti, l’Agenzia per le ONLUS considera gli ammortamenti necessari per gli immobili strumentali, allorché vi sia produzione di servizi a cui gli immobili stessi concorrono e vi sia un effettivo deperimento economico del bene stesso; non ha, invece, la medesima valenza con riferimento a immobili da reddito o da altri beni non strumentali. Come noto, gli enti non profit che utilizzano un sistema di rilevazione articolato sui movimenti di cassa, rilevano esclusivamente le liberalità monetarie nel momento in cui affluiscono all’ente. Di seguito si fornisce un esempio volto ad evidenziare la differente rappresentazione nel Rendiconto gestionale delle liberalità non monetarie ricevute da un ente che si avvale di un sistema di rilevazione per competenza rispetto ad un ente che utilizza un sistema per flussi di cassa. Supponiamo una Fondazione universitaria impegnata in attività di ricerca e studio nel campo medico che riceve da un associato, in data 1° gennaio dell’esercizio n, a titolo di liberalità non vincolata, un apparecchio tecnologico utile per le sue attività di ricerca. Il valore di tale bene mobile è stimato a 20.000 euro e la quota di ammortamento è pari ad euro 1.000. Gli oneri derivanti da attività tipica sostenuti e di competenza dell’esercizio sono pari ad euro 2.000, così ripartiti: euro 500 acquisti vari ed euro 1.500 servizi. Nel caso di un sistema di rilevazione per competenza economica l’apparecchiatura ricevuta in donazione viene rilevata nell’esercizio in cui la Fondazione universitaria la riceve o in quello in cui ne acquisisce il diritto. Il Rendiconto della gestione è, per semplicità, il seguente: Oneri Proventi e Ricavi 1) Oneri da attività tipiche: 1.1) Acquisti 1.2) Servizi 1.5) Ammortamenti Totale oneri Risultato gestionale positivo © Cesi Multimedia 1) Proventi e ricavi da attività tipiche 500 1.500 1.000 3.000 17.000 1.3) Da soci e associati 20.000 Totale proventi e ricavi 20.000 127 Capitolo 8 – I rendiconti degli enti non profit Lo Stato patrimoniale è, per semplicità, il seguente: Attivo Passivo B) Immobilizzazioni II – Immobilizzazioni materiali: 3) Altri beni A) Patrimonio netto 20.000 III – Patrimonio libero 1) Risultato gestionale esercizio in corso 17.000 B) Fondi ammortamento 2) Altri 1.000 D) Debiti 4) Debiti verso fornitori di cui esigibili entro l’esercizio successivo Totale Attivo 20.000 Totale Passivo 2.000 20.000 Nel caso di un sistema di rilevazione per flussi di cassa le liberalità non monetarie non rilevano al fine della contabilità della Fondazione, in quanto non comportano entrate di cassa. Pertanto, non trovano collocazione nel Rendiconto della gestione il quale assumerà la seguente struttura: Oneri Proventi e Ricavi 1) Oneri da attività tipiche: 1) Proventi e ricavi da attività tipiche 1.1) Acquisti 1.2) Servizi 500 1.500 Totale oneri 2.000 Totale proventi e ricavi Risultato gestionale negativo 0 0 2.000 Dal confronto dei due diversi sistemi di rilevazione è opportuno evidenziare che, a differenza del sistema per flussi di cassa, quello basato sulla competenza economica richiede la quadratura dei conti tra Stato patrimoniale e Rendiconto gestionale. In aggiunta, analizzando i due schemi di Rendiconto emerge come un sistema di rilevazione basato sui flussi di cassa tende a deviare il risultato gestionale dell’ente rispetto ad un più corretto sistema di rilevazione basato sulla competenza economica. Tuttavia, al fine di ovviare ad eventuali distorsioni di informazione, il principio contabile n. 2 stabilisce per gli enti che utilizzano un sistema di rilevazione articolato sulle entrate e sulle uscite di cassa, che le liberalità non monetarie vengano esposte nel prospetto della Situazione attività e passività al termine dell’anno. Questo ultimo prospetto contribuisce ad illustrare in modo chiaro ed esaustivo la situazione patrimoniale – finanziaria dell’ente non profit. 128 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit 9. Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit tra imponibilità e problematiche amministrative di Andrea Liparata 9.1 Premessa Lo svolgimento di attività nel settore della somministrazione di alimenti e bevande, da parte di entità non lucrative, impone la considerazione di aspetti di normativa generale, oltreché il rispetto di specifici adempimenti tributari e di procedure amministrative. La gestione di piccole attività di somministrazione presso circoli e soggetti assimilati, costituisce, probabilmente, la più semplice tra le opportunità di svolgimento di attività commerciali marginali, dirette al sostentamento dei fini istituzionali. Le principali difficoltà che si riscontrano nelle diverse fasi connesse con l’impostazione e la successiva gestione delle attività di somministrazione, sono riconducibili, alla sovrapposizione di normative stabilite per diverse soggettività del non profit, ad una diffusa dottrina non tecnica, spesso non coerente con il dettato normativo e ad una giurisprudenza in taluni casi incerta, circa il corretto inquadramento amministrativo tributario delle attività di somministrazione. Il rischio, almeno con riferimento ai sodalizi di minori dimensioni, è quello di un adeguamento solo parziale alle disposizioni vigenti, con esiti in presenza di controlli, ormai estremamente frequenti, dirompenti in termini sanzionatori, di maggiore imponibile accertato e di eventuale perdita di qualifica non commerciale ai sensi dell’art.149 del d.p.r. n. 917/1986. 9.2 Aspetti civilistici e di non imponibilità Uno dei principali fraintendimenti che molti gestori di entità non lucrative commettono è quello di considerare la somministrazione di alimenti e bevande nei confronti degli associati come non commerciale e conseguentemente non rilevante ai fini IRES e IVA. Nei fatti è vero l’esatto contrario, la somministrazione assume a fini tributari quasi sempre natura commerciale, fatte salve poche e specifiche deroghe, dettagliatamente individuate dal legislatore. Tuttavia, prima di soffermarsi nell’esame degli aspetti tributari è opportuno un breve cenno circa gli elementi indipendenti e spesso trascurati della qualificazione civilistica. In proposito, senza scendere eccessivamente nel dettaglio, è bene © Cesi Multimedia 129 Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit ricordare che secondo il codice civile1 è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. Pertanto, lo svolgimento di attività somministrative a carattere preponderante, anche nei casi in cui si caratterizzi per l’irrilevanza commerciale a fini tributari, a fini civilistici attribuisce all’ente non lucrativo natura di imprenditore con tutte le conseguenze del caso, compreso il potenziale assoggettamento a procedura fallimentare2. Passando ad esaminare gli aspetti di natura più spiccatamente tributaria occorre evidenziare che, seppure secondo presupposti parzialmente diversi, esiste un’ampia omogeneità di qualificazione tra la disciplina IRES e IVA. Infatti, evidenziando una prima fattispecie di non imponibilità, gli artt.148 comma 5) del TUIR (in ambito IRES) e 4 comma 6) del d.p.r. n. 633/1972 (in ambito IVA) prevedono la non commercialità delle somministrazioni di alimenti e bevande, anche verso corrispettivi specifici, quando effettuate da associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all’art.3, comma 6, lett. e), della legge n. 287/19913, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’Interno, purché nel contemporaneo rispetto delle seguenti condizioni: 1) effettuazione presso le sedi in cui è svolta l’attività istituzionale mediante bar ed esercizi similari; 2) attività somministrative strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali; 3) effettuazione nei confronti di soci associati e partecipanti4. Un’ulteriore fattispecie in cui è possibile riscontare i profili della non imponibilità IRES e IVA, si rileva quando la somministrazione è svolta in ambito e quale strumento di realizzazione di manifestazioni occasionali di raccolte pubbliche di fondi5. Anche in questa circostanza i vincoli per l’eventuale attività somministrativa sono numerosi e direttamente riconducibili alla natura dell’evento di raccolta fondi, che impone il rispetto dei requisiti dell’occasionalità, della concomitanza con celebrazioni o campagne di sensibilizzazione, del valore modico per le offerte di beni6 nei confronti dei sovventori7. ------------------------------------------1 Art. 2082 c.c. Cass., sez. I civile, sent. n. 8374 del 20 giugno 2000. 3 La semplice qualificazione di associazione di promozione sociale ai sensi della L.n.383/2000 non costituisce un requisito soggettivo. sufficiente per usufruire del beneficio tributario della non imponibilità delle attività somministrative . 4 Medesimi soggetti indicati al comma 3) dell’art.148 del TUIR. 5 Art. 2 del d.lgs. n. 460/1997. 6 L’art. 25 della legge n. 133/1999, si veda anche circ. min. Finanze n. 43/E dell’8 marzo 2000, consente agli enti sportivi dilettantistici che optano per l’applicazione del regime previsto dalla legge n. 398/1991, di conseguire nel limite di due eventi per anno e nell’ammontare massimo di euro 51.645,69, proventi esenti IRES per attività commerciali connesse agli scopi istituzionali. Pertanto, laddove la somministrazione fosse qualificabile provento commerciale connesso, nei limiti indicati dall’art.25 della legge n. 133/1999, si ha una non imponibilità IRES, ma una probabile rilevanza IVA (salvo eccepire la mancanza di abitualità), in quanto nessuna norma espressamente prevede l’esclusione da detto secondo tributo. 2 130 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit In aggiunta, si possono ipotizzare fattispecie di non imponibilità parziali (limitate alla sola IRES e non anche all’IVA) in presenza di ONLUS, laddove l’attività somministrativa sia configurabile come direttamente connessa all’istituzionale e quindi possa beneficiare della normativa di esenzione prevista dall’art.150 del TUIR. Al di fuori della pressoché esaustiva elencazione di fattispecie di non imponibilità riportata, la somministrazione di alimenti e bevande per un ente non lucrativo assume i caratteri di attività commerciale e come tale è produttiva di proventi rilevanti ai fini IRES e IVA. 1 2 3 4 PRINCIPALI IPOTESI DI NON IMPONIBILITÀ DELLA SOMMINISTRAZIONE DI ALIMENTI E BEVANDE Soggetto Requisiti di non imponibilità Associazioni di promozione sociale ri˗ somministrazione presso le sedi in cui si svolge l’attività istituzionale, da bar e esercizi sicompresse tra gli enti di cui all’art. 3 comma 6) della legge n. 287/1991, con milari; finalità assistenziali riconosciute dal Mi- ˗ somministrazione strettamente complementanistero dell’Interno re alle attività di diretta attuazione degli scopi istituzionali; ˗ effettuazione della somministrazione nei confronti di soci, associati e partecipanti. Tutti gli enti non commerciali ˗ In ambito di raccolte occasionali di fondi, nel rispetto dei requisiti di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 460/1997. Enti sportivi dilettantistici in opzione ˗ Nell’ambito degli eventi di cui all’art.25 com398/1991 (limitatamente all’IRES) ma 2) della legge n. 133/1999. ONLUS (limitatamente all’IRES) ˗ In presenza di riconducibilità ad attività direttamente connesse alle istituzionali consentite. 9.3 Il regolamento per le semplificazioni amministrative Nell’ambito del d.p.r. n. 235/2001 vengono disciplinate diverse fattispecie di semplificazione applicabili agli enti associativi e volte a consentire lo svolgimento di attività di somministrazione. Tuttavia, per quanto di interesse in questa sede, devono richiamarsi i contenuti dell’art. 2 del predetto regolamento. Tale norma, per precise tipologie soggettive, subordina la possibilità di svolgere le attività di somministrazione al ricorrere di due semplici presupposti, l’ottenimento dell’autorizzazione sanitaria, la presentazione di una dichiarazione di inizio attività. Nel dettaglio, la normativa amministrativa, si com- ------------------------------------------7 L’art. 20 del d.p.r. n. 600/1973 impone che in presenza di raccolte occasionali di fondi sia redatto, entro quattro mesi dalla chiusura dell’esercizio, un apposito e separato rendiconto tenuto e conservato ai sensi dell’art. 22 del d.p.r. n. 600/1973, dal quale devono risultare, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, le entrate e le spese relative a ciascuna delle celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione realizzate. © Cesi Multimedia 131 Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit bina con quella tributaria in materia di IRES, in quanto individua quali potenziali destinatari delle semplificazioni, gli enti associativi fiscalmente agevolati. Pertanto, le soggettività interessate dalle norme di semplificazione, sono da ricondurre alle seguenti tipologie: 1) associazioni politiche; 2) associazioni sindacali e di categoria; 3) associazioni religiose; 4) associazioni assistenziali; 5) associazioni culturali; 6) associazioni sportive dilettantistiche8; 7) associazioni di promozione sociale9; 8) associazioni di formazione extra-scolastica della persona. La norma amministrativa, richiede che le predette soggettività, siano adeguate alla normativa fiscale10, e pertanto abbiano provveduto, in fase costitutiva, all’inserimento delle specifiche clausole statutarie di legge, tese a garantire l’effettiva natura associativa e non lucrativa dell’ente. Quali ulteriori elementi qualificativi sono richiesti al circolo, l’adesione ad un ente o organizzazione nazionale le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’interno e lo svolgimento diretto delle attività di somministrazione nei confronti degli associati. 9.4 L’iter procedurale per poter somministrare L’ente associativo in possesso dei requisiti soggettivi e di aderenza sinteticamente richiamati, può svolgere attività di somministrazione, a seguito della presentazione di una semplice denuncia nei confronti dell’autorità amministrativa comunale (S.C.I.A.), completa delle seguenti indicazioni: l’ente nazionale con finalità assistenziali al quale aderisce; il tipo di attività di somministrazione; l’ubicazione e la superficie dei locali adibiti alla somministrazione; che l’associazione si trovi nelle condizioni previste per essere considerata ente fiscalmente agevolato secondo la disciplina del TUIR; che il locale, ove è esercitata la somministrazione, sia conforme alle norme e prescrizioni in materia edilizia, igienico-sanitaria e ai criteri di sicurezza stabiliti dal Ministero dell’interno e, in particolare, di essere in possesso delle prescritte autorizzazioni in materia; ------------------------------------------8 I requisiti di qualificazione sono contenuti nell’art. 90 della legge n. 289/2000. I requisiti di qualificazione sono contenuti nella legge n. 383/2000. 10 Art.148 comma 3 del d.p.r. n. 917/1986. 9 132 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit l’allegazione in copia semplice, non autenticata, dell’atto costitutivo o dello statuto. Le semplificazioni stabilite che prevedono l’impiego della S.C.I.A., valgono esclusivamente per gli avvii di attività di somministrazione da parte di circoli in precedenza soggetti alla semplice dichiarazione di inizio attività. Pertanto, rimangono escluse dalla semplificazione in parola, quelle casistiche non riconducibili alla definizione fin qui sinteticamente descritta. Più in dettaglio, sembrano restare escluse dall’agevolazione amministrativa, tra le altre, le seguenti casistiche: enti privi di natura associativa (ad es. comitati, fondazioni ecc.); enti non riconducibili alle tipologie soggettive contenute nell’art.148 comma 3) del d.p.r. n. 917/1981; enti che non svolgono l’attività di somministrazione direttamente, ovvero non risultano affiliati alle organizzazioni nazionali aventi le finalità riconosciute dal ministero degli interni; enti che non svolgono le attività di somministrazione nei confronti di soci e soggetti a questi assimilati. Definita, la platea dei potenziali beneficiari della S.C.I.A., appare opportuno soffermarsi sinteticamente ad illustrare le caratteristiche della semplificazione in parola. In proposito, è lo stesso Ministero dello Sviluppo Economico, nella richiamata circolare n. 3637/2010, che chiarisce le caratteristiche generali di semplificazione. Anzitutto, la S.C.I.A. interviene in presenza di qualunque atto di autorizzazione, licenza concessione non costitutiva, permesso o nulla osta comunque denominato, il cui rilascio sia subordinato esclusivamente all’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a carattere generale e non sia connesso ad alcun genere di contingentamento. Alla segnalazione, ricorrendone i presupposti di legge, si devono aggiungere le specifiche dichiarazioni sostitutive dell’interessato, come pure le eventuali attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati e le dichiarazioni di conformità attestanti la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge. L’elemento di particolare interesse, è che l’attività oggetto di S.C.I.A., nel caso in esame l’esercizio della somministrazione nell’ambito del circolo, può iniziare dal giorno della presentazione della segnalazione. Ovviamente, all’Amministrazione sono comunque attribuiti poteri di controllo rispetto all’attività oggetto di segnalazione. Trascorsi i termini per i controlli, il provvedimento di autorizzazione deve considerarsi consolidato e l’amministrazione può intervenire esclusivamente, ricorrendo all’istituto dell’autotutela11, ovvero mediante procedure di interdizione per il riscontro di dichiarazioni sostitutive false, ovvero per pericolo di danni12, che non possano essere risolti mediante l’adeguamento dell’attività alla normativa vigente. ------------------------------------------11 Di cui agli artt. 21-quinquies e 21-octies della legge n. 241/1990. Si tratta del pericolo per danni al patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale. 12 © Cesi Multimedia 133 Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit 9.5 La somministrazione nei confronti degli associati Un elemento di discrimine fondamentale, per la configurazione del diritto all’ottenimento della possibilità di somministrazione, mediante semplice presentazione della S.C.I.A., discende dalla concreta effettuazione delle attività nei confronti degli associati. In proposito, è opportuno precisare e ribadire, quanto stabilito dalla giurisprudenza in materia. Al riguardo, si ricorda quanto precisato nell’ambito della sentenza del TAR del Lazio n. 2970 del 21 aprile 2005. In tale intervento, il giudice amministrativo, si sofferma a valutare le diverse circostanze che legittimano la revoca dell’autorizzazione alla somministrazione, approfondendo gli aspetti idonei a verificare la qualificazione di pubblico esercizio in capo ad un ente non commerciale, considerando al riguardo, l’eventualità di una legittima somministrazione anche nei confronti di soggetti non soci. In particolare, per l’ipotesi di revoca in caso di abuso legato ad effettuazione di somministrazione nei confronti di un pubblico indiscriminato, il TAR afferma che la semplice estensione dei servizi di somministrazione nei confronti di altri soggetti invitati dai soci, non costituisce, di per sé, un elemento sufficiente per integrare la trasformazione del circolo stesso in pubblico esercizio, essendo in tal caso necessario che alle modalità di acquisizione delle iscrizioni al circolo privato secondo criteri molto ampi, si accompagni l’immediata fruibilità del servizio di somministrazione di alimenti e bevande. Infatti, secondo il TAR, possono usufruire dei servizi di un circolo privato i seguenti soggetti: 1) coloro che sono in possesso della tessera sociale del circolo stesso; 2) coloro che sono muniti della tessera di appartenenza all’associazione nazionale di categoria o di quella di altri circoli locali aderenti alla stessa; 3) coloro che, trovandosi in fase di ammissione al circolo, sono dotati di tessera provvisoria in quanto registrati all’ingresso del locale per la domanda di tesseramento; 4) coloro che non soci, siano occasionalmente presenti all’interno del circolo in quanto invitati dai soci e dagli stessi accompagnati. Pertanto, il TAR conclude affermando che la trasformazione in pubblico esercizio di un circolo e la conseguente legittimità della revoca dell’autorizzazione alla somministrazione, sono possibili solo nel caso in cui l’accesso sia consentito ad un’indistinta generalità di persone, le quali possano usufruire dei servizi in seguito ad ammissione, che può avvenire a richiesta e dietro pagamento di un canone annuo di importo minimo. In altri termini, si ha revoca quando il circolo privato, si qualifica tale da un punto di vista formale, al solo fine di eludere le limitazioni poste dalla legge e dai regolamenti locali. 9.6 Il collegamento tra normativa tributaria e amministrativa Sempre in tema di somministrazione da parte di circoli, di tutto interesse, sono le considerazioni contenute nella sentenza del T.A.R. del Lazio n. 9013 depositata il 18 ottobre 2013, che coinvolge Roma Capitale e un circolo che effettuava attività di sommini- 134 © Cesi Multimedia Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit strazione e di esecuzioni musicali, conclusasi con la condanna del sodalizio. La vicenda trae origine da un accesso della polizia municipale presso i locali di un circolo, a seguito del quale gli agenti della polizia locale accertavano che sotto la parvenza di un’associazione culturale era di fatto svolta una somministrazione al pubblico di alimenti e bevande di cui all’art. 3 della legge n. 287/1991, congiuntamente all’effettuazione di esecuzioni musicali senza il possesso delle necessarie autorizzazioni amministrative, del nulla osta impatto acustico e dei requisiti professionali. In aggiunta, la polizia municipale accertava che l’attività di esecuzioni musicali svolta all’interno del locale, arrecava disturbo alla quiete pubblica ed al riposo delle persone. Infatti, al momento del sopralluogo, il locale era in attività con diversi avventori che stazionavamo all’esterno e che venivano qualificati come clienti dallo stesso Presidente del circolo e dalla persona addetta al tesseramento. All’interno della sede associativa si trovavano diversi avventori intenti a consumare bevande e ad ascoltare musica. Il tesseramento avveniva ad opera di una persona la quale rilasciava le tessere al momento dell’ingresso degli avventori, contestualmente i nominativi venivano trascritti nel libro soci e su un verbale di assemblea retrodatando il momento di acquisizione della qualifica di associato. La polizia municipale osservava l’assenza di attività socio culturale, come pure l’inesistenza di aree o spazi dedicati ad attività diverse da quelle di somministrazione e ascolto della musica. Dall’esame delle tessere risultava che erano nella quasi totalità dei casi rilasciate la sera stessa, senza alcuna formalità. A seguito del verbale della polizia municipale l’Ente Locale ordinava la cessazione delle attività di somministrazione nei confronti del pubblico e la sospensione per trenta giorni di quelle nei confronti degli associati. L’associazione culturale, nel contenzioso instaurato, difendeva la legittimità del proprio operato evidenziando che per statuto il sodalizio svolge attività culturale e ricreativa senza fini di lucro, che aveva scopo istituzionale di carattere culturale e che pertanto le attività contestate erano perfettamente in linea con l’oggetto associativo. In aggiunta l’associazione in quanto affiliata ad un ente avente finalità assistenziali riconosciute dal Ministero dell’Interno, riteneva di non essere destinataria, per le attività di somministrazione, della disciplina autorizzativa indicata dalla legge n. 287/1991, normativa riferibile esclusivamente ai pubblici esercizi commerciali. I Giudici Amministrativi non hanno accolto le deduzioni del circolo, concludendo per l’inapplicabilità, al caso in esame, della disciplina agevolativa in materia di somministrazioni effettuate da associazioni di cui al d.p.r. n. 235/2001. Dalle motivazioni del Giudice Amministrativo è opportuno riportare alcune interessanti precisazioni. Anzitutto viene preliminarmente osservato che la disciplina dei circoli privati deve essere letta in parallelo con la regolamentazione fiscale, del T.U.I.R. Tale elemento è particolarmente significativo poiché, trattandosi di soggetti non profit, l’assenza di finalità di lucro non può che essere risolta a livello di imposizione fiscale. Conseguentemente, a seguito del rinvio alla disciplina fiscale effettuato dall’art. 2, comma 1 del d.p.r. n. 235 del 2001, la somministrazione di alimenti e bevande deve avvenire a favore degli associati nei locali dove si svolge l’attività associativa. © Cesi Multimedia 135 Capitolo 9 – Somministrazione di alimenti e bevande negli enti non profit In aggiunta, sempre in applicazione del d.p.r. n. 235/2001 è consentito agli enti locali di effettuare controlli ed ispezioni. Nel dettaglio il potere di ispezione attribuito dalla legge all’Ente Locale consente di controllare quanto segue: l’elenco dei soci; che le persone presenti nella sede sociale siano tutte regolarmente iscritte, ossia in regola con il pagamento dell’iscrizione annuale; che i presenti cui è destinata la somministrazione siano tutti regolarmente associati; gli indici funzionali all’accertamento dell’eventuale trasformazione dell’attività in una a fine di lucro; la presenza di intrattenimenti danzanti e, quindi, l’esistenza delle autorizzazioni di legge; l’agibilità dei locali rispetto a tali spettacoli. Di tutto interesse, sono le indicazioni fornite dal T.A.R. per la verifica della natura commerciale dell’ente non lucrativo. In proposito, il Giudice Amministrativo annovera tra gli indici di commercialità il pagamento del biglietto, il rilascio senza formalità della tessera di socio, la pubblicità delle iniziative svolte nel locale, la dimensione del locale, la presenza di un evidente fine imprenditoriale, l’elevato numero di persone, l’assenza di spazi e/o aree destinati alle attività strettamente culturali. Quanto invece agli elementi che qualificano un circolo privato quale pubblico esercizio, questi si ritengono riscontrati quando l’accesso è consentito ad un’indistinta generalità di persone, anche quando tali persone possano fruire dei servizi di somministrazione solo in seguito ad ammissione, ad esempio mediante il pagamento di un canone annuo minimo. La facilità di ammissione, configura la presenza di un pubblico esercizio che si qualifica come circolo privato al solo fine di eludere le limitazioni imposte dalla legge all’apertura di esercizi per la somministrazione al pubblico. Da ultimo, dalle osservazioni del Giudice Amministrativo emerge l’importanza delle procedure stabilite nello statuto e nei regolamenti dell’associazione che disciplinano le modalità per l’acquisizione della qualificazione di associato. Infatti, solo la dimostrabilità da parte dell’associazione, del rispetto dei percorsi di associazione stabiliti negli accordi degli associati, in termini di presentazione della domanda, esame della stessa e successiva delibera di ammissione, pongono al riparo da contestazioni circa l’effettività della qualifica di socio per i soggetti che accedono presso la sede sociale. 136 © Cesi Multimedia