Il sogno - Biblioteca Anonima Narratori
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Il sogno - Biblioteca Anonima Narratori
Il sogno Torino 2012 Capitolo I Nella seconda metà del XX° Secolo, la Electronic Data Machines era l'industria di computer più importante del mondo, e l'EDM 9000, al termine degli anni settanta, costituiva il suo gioiello più esclusivo, alla portata soltanto delle più grandi aziende. In Italia lo possedevano alcune industrie siderurgiche, poche banche e assicurazioni, alcune aziende manufatturiere del comparto auto e una manciata di Enti pubblici. Era un pomeriggio assolato del mese di maggio; oltre le ampie finestre l'orizzonte si perdeva sul mare scuro delle chiome degli olivi. Gualtiero, dopo un'ultimo sguardo alla campagna circostante, discese fischiettando la rampa di scale che sprofondava nel ventre dell'edificio, e, dopo la porta a vetri e il corridoio illuminato dai neon, si ritrovò nel gelo dell'aria condizionata. Il 9000 della Direzione Generale ronfava come un grosso gatto addormentato, accovacciato nel centro della sala. Le luci della nera console lampeggiavano, ritmate da un invisibile software annidato, da qualche parte, nella memoria centrale del computer. Il 9000, congiuntamente alle sue unità periferiche, occupava l'intero seminterrato della palazzina uffici dello stabilimento siderurgico Siderint di Taranto. Quando si affacciò nella sala riunioni, i colleghi, seduti ai lati di un lungo tavolo di cristallo, stavano discutendo tra loro animatamente a proposito di una nuova procedura richiesta urgentemente dalla Direzione Marketing. Janni, che, come lui, faceva parte dell'ufficio tecnico, gli fece cenno di affrettarsi. Gli altri interruppero l'esposizione in corso per salutare il nuovo arrivato. Riconobbe Carlo, con la pipa in bocca, Elio, con le gote già arrossate dal caldo, Ciccio, con gli occhiali sollevati sulla fronte. La parete di fronte era ricoperta da grandi fogli pinzati, lungo un bordo di sughero, ricoperti da una sequenza fitta di diagrammi. A un tratto, il ronzio del computer mutò d'intensità, trasformandosi in un lamentoso richiamo di allarme. Gli uomini si guardarono con aria interrogativa, poi i loro occhi furono calamitati da un rosso pulsante che lampeggiava con insistenza. Attorno tutto sembrava regolare, ma la sirena continuava a farsi sentire. Poi, improvvisamente, i colori cominciarono a schiarirsi ed in breve la visione sparì. Il suono assunse il tono familiare del trillo del telefono. Gualtiero brancolò in cerca d'aria e di luce. Aprì gli occhi nel letto accanto a sua moglie Elisa che dormiva. Si domandò chi potesse essere, nel cuore della notte. -Notte? - brontolò, tendendo la mano verso l'orologio: segnava le sette. Era ormai mattina, ma ancora presto per ricevere telefonate. -Sarà mia madre che non sta bene - pensò, ciabattando verso il telefono. -Pronto, chi parla? - chiese, con la voce afona che faticava a salire dalla gola. Dalla cornetta giungeva un lontano ronzio. -Parli più forte, per favore, non sento! - balbettò all'ignoto interlocutore. Gli rispose il silenzio. Rimise a posto il ricevitore e tornò a letto. Sperò di riprendere il sogno interrotto, ma la mente in subbuglio ritornava agli anni, ormai lontani, del suo lavoro a Taranto. Gli sarebbe piaciuto tornare indietro nel tempo. Rivedeva i suoi amici giovani e allegri. Purtroppo tre di loro non c'erano più. Ricordò il dolore provato quando aveva appreso che in pochi anni, uno dopo l'altro: Janni per primo e poi Elio e successivamente Carlo erano morti tutti, prima di compiere quarant'anni. Chiuse gli occhi, continuando a pensare chi potesse essere al telefono, poi, concludendo che qualcuno aveva sbagliato numero, pian piano, scivolò nel dormiveglia. Improvvisamente, il telefono ricominciò a trillare. Sua moglie questa volta si agitò. -Resta nel letto, vado io - la rassicurò. -Prontoo! Chi parla? - esclamò deciso. Una voce, lontana, rispose: -Ciao! Sono Ciccio, ti ricordi di me? Gualtiero, scusa se ti disturbo a quest'ora, ho dimenticato che dove sono io siamo due ore avanti. Ho avuto il tuo numero da un amico comune e mi è venuto il desiderio di parlarti, mi perdoni? -Certo che ti perdono - rispose, ormai completamente sveglio -sono felice anch'io di sentirti. Non ci crederai, ma poco fa eri nei miei sogni. C'eravate tu, Janni, Elio e Carlo. Hai saputo che sono tutti morti giovani? -Si, e per me è stato uno chock tremendo, è accaduto mi sembra alla fine degli anni ottanta. Cos'è che hai sognato? -Eravamo nell'acciaieria, attorno a un tavolo a studiare un nuovo software. Ma dimmi, tu che fai? Dove sei? La voce lontana divenne più fioca: gli sembrò di capire che fosse con qualcuno che conosceva. Poi la comunicazione s'interruppe. Riattaccò, sperando che l'altro richiamasse. A primavera Elisa per l'ennesima volta spronò suo marito a farsi visitare. A suo dire era peggiorato, la sua voce diventava sempre più spesso afona. L'otorino l'osservò con aria distratta, calò un sondino nel suo naso, scosse più volte la testa, poi sentenziò: -Riflusso gastrico. Scrisse una ricetta, intascò duecento euro e disse di richiamarlo, se mai ne avesse avuto bisogno. Gualtiero pensò che avrebbe fatto bene a risparmiare quei soldi. Ringraziò il professionista, lesse la ricetta e si accorse che il medico portava lo stesso cognome del suo amico Ciccio. Chiese se per caso lo conoscesse. -Certo - rispose l'otorino -era mio zio, lavorava nel campo dei computer e morì, ancora giovane, alla fine del secolo scorso. Si sentii sprofondare: -Anche lui morto, ma allora chi era al telefono? - pensò, con un brivido di terrore. A casa cercò conferme dalla moglie che però giurò di non aver udito nulla. -Te lo sarai sognato - concluse annoiata. Cercò di convincersi che Elisa avesse ragione. Restava però il fatto che tutti i suoi amici di lavoro dell'epoca erano prematuramente morti giovani. Una strana coincidenza, decise di saperne di più. Un giorno, al bar, rispose al saluto di un uomo con un berretto a quadri. Lo guardò più attentamente e Gualtiero riconobbe il vecchio direttore della filiale EDM di Torino che tante volte gli aveva procurato lavoro. Indossava il vecchio loden di allora, e tra i denti stringeva il solito sigaro consumato. Rievocarono quei tempi lontani e i sistemisti, suoi dipendenti, che in tante occasioni avevano lavorato con lui. Alcuni, disse, erano deceduti da molti anni, ancora giovani, anche loro come i suoi amici, e concluse: -Gli anni passano per tutti e la morte fa parte della vita. Gualtiero insistette per sapere se fosse a conoscenza di altri tecnici morti prematuramente, tra i dipendenti italiani della EDM di quell'epoca. Rispose di non essersi mai posto il problema. Per saperne di più avrebbe dovuto incontrare qualcuno del personale. Gli consigliò di cercare la signora Maria Proietti, a quel tempo responsabile del recruitement. Lei di sicuro sapeva, avendo a che fare con le statistiche del turn-over. L'altro annotò il telefono della signora, salutò il direttore, che insistette per essere tenuto al corrente. Prese il suo biglietto da visita, che recitava: Domenico Baldi ex EDM. Incontrò la signora Maria a Milano, nel bar di fronte alla vecchia direzione della Multinazionale. La signora doveva avere più di settant'anni, con le labbra sottili pesantemente colorate. Poggiò sul tavolo la tazzina macchiata del suo rossetto, si guardò attorno, poi sospirando ricordò quante volte era stata in quel bar. -Qui ci siamo passati tutti, anche il dottor Ugo Passerini, il direttore generale, ci mangiava spesso... e mi offriva il caffé. Tornando a noi, non le posso essere granché utile perché non ho conservato nulla di quel periodo, e le statistiche che consultavo venivano preparate da una mia giovane collaboratrice, se la ricorda? La Lory, che era molto brava e anche tanto carina. L'avevo presa in stage e poi l'assunsi e la tenni con me. Si era laureata proprio in scienze statistiche. Posso darle il suo indirizzo, sperando che abiti ancora lì, il telefono non lo ricordo. Magari, la trova su qualche social-network, che oggi vanno tanto di moda tra i giovani. Poi mi raccontò dei suoi gatti e del cagnolino che riempivano la sua vita. Trovò Loredana su Face-book. Ammirò le sue foto. In bikini, al mare, faceva ancora un figurone. Era nata nel millenovecentocinquantasette e si dichiarava “impegnata”. Poco più che cinquantenne, osservò Gualtiero interessato: Una volta, le donne di quell'età non avrebbero mai solleticato i suoi appetiti erotici. Ma ora... l'avanzare degli anni doveva aver modificato i suoi gusti, rifletteva tra sé e sé. I cinquanta, infatti, lui l'aveva superati da un bel po'. Gli rispose subito; scriveva che era felice che l'avesse cercata, diceva di ricordarsi di lui, d'essere interessata all'indagine che stava seguendo ed era lieta di incontrarlo. Si dettero appuntamento in un bar famoso di Corso Vittorio a Milano. Arrivò vestita, come si dice oggi, street-wear, sportiva ma elegante. I capelli corti brizzolati e gli occhi verdi, magra e non tanto alta. Quando la vide gli sembrò ancora più attraente che in fotografia. -Ciao! Ma sei proprio una bomba sexy, le foto su Face-book non ti rendono giustizia! Sono felice di rivederti. -Grazie, anch'io. Ma non ti allargare troppo con i complimenti, sono ormai una donna di mezz'età che cerca di non perdere i pezzi, allora cosa hai scoperto a proposito delle macchine EDM? Aveva portato con sé alcuni tabulati con il turn-over dei dipendenti italiani della EDM dell'inizio degli anni ottanta. Evidenziati in rosso, gli mostrò le uscite dall'azienda dei tecnici di quel periodo. Erano numeri elevati. Commentò che le uscite si riferivano per lo più a dimissioni, molto numerose in quel tempo di forte penuria di personale qualificato, che era fonte di contesa tra aziende. Non si poteva però escludere che alcune di esse potessero essere causate anche da decessi. Ma non c'era modo di appurarlo, in quanto il tabulato non faceva differenze. Gli unici che avrebbero potuto distinguere erano gli addetti alle pratiche INAIL o INPS che però lei non conosceva. La Società inoltre, alcuni anni or sono, era stata venduta e l'azienda che l'aveva rilevata, aveva spostato la direzione a Parigi. In Italia erano rimaste soltanto alcune filiali commerciali. Secondo lei, i decessi non erano riconducibili però alla EDM, ma più facilmente all'acciaieria, già tristemente nota a causa dei tanti morti sul lavoro e dei danni ambientali procurati dall'inquinamento. Loredana promise la sua collaborazione. Sull'argomento avrebbe voluto saperne di più e nel caso scriverci un articolo. Decisero di iniziare l'indagine dalla Direzione di Genova, ubicata in centro città. A Genova pioveva e tirava un forte vento. Loredana arrivò a Brignole puntuale con l'espresso proveniente da Milano. Indossava un impermeabile chiaro, stretto in vita, e copriva i capelli con un foulard di seta. Si abbracciarono, felici di ritrovarsi insieme, e subito si rifugiarono nel vicino caffé. Erano attesi fra un'ora dal direttore del personale dell'azienda siderurgica che da tempo aveva rilevato la vecchia Siderint. Il palazzo degli uffici era ancora imponente come lo ricordava, di nuovo c'era soltanto la targa di bronzo, bella lucida, e le guardie della sicurezza, tutti giovani robusti che indossavano divise sconosciute. Riconobbe la segretaria del capo, e anche lei lo riconobbe. -Dottore, che piacere, torna a lavorare con noi? -Purtroppo no, mi piacerebbe, specialmente se potessi tornare indietro di una decina di anni. -Farebbe piacere anche a me - disse lei, socchiudendo gli occhi ricorda, quanti mi corteggiavano? Scommetto che allora anche lei s'era fatto qualche pensiero... Bene! Altri tempi, sa che tra pochi mesi andrò in pensione? -Ma come? Non avevano abolito le baby pensioni? - rispose lui sornione. -Sempre spiritoso lei, altro che baby, fortunatamente mi tengo ancora bene. Venga che l'accompagno, la signora è sua moglie? Salirono a piedi l'ampio scalone di marmo. Il direttore li attendeva al primo piano; li fece accomodare e pregò la Mariuccia, come familiarmente la chiamava lui, di portare acqua e caffé. Poi, seduti su comodi divani, il direttore chiese cosa avesse potuto fare per loro. -Stiamo scrivendo un articolo su un argomento oramai abusato, quello dell'inquinamento ambientale da parte dell'industria - esordì Gualtiero, lasciando intendere di essere schierato più a favore del progresso che non dalla parte degli ambientalisti, sognatori di un ritorno all'età delle caverne. -Lo sa che la nostra era è quella che offre all'uomo il migliore tenore di vita di cui abbia mai goduto sulla Terra, e questi quattro cretini, che schiamazzano a causa di qualche pesce morto avvelenato, vorrebbero tornare a mangiare pane duro e arare la terra, ma io ce li manderei subito a calci nel sedere, a lavorare con la zappa! Poi chiamò un'impiegata che tornò con alcuni tabulati. -Vedono, è riportato chiaramente, i nostri incidenti sul lavoro sono inferiori alla media nazionale e i nostri impianti in regola con le emissioni consentite, e in costante miglioramento. La diossina da molti anni è pressoché assente per merito dei nuovi filtri. Io posseggo però solo statistiche consolidate, di gruppo. I dati specifici sono presso i singoli stabilimenti. Si lasciarono con la promessa che gli avrebbero fatto leggere l'articolo in anteprima. Gualtiero chiese il permesso di incontrare il direttore dell'acciaieria di Taranto, dove aveva lavorato per pochi anni, nel centro di calcolo. Il direttore dette la sua autorizzazione e promise di organizzar loro un incontro. Pranzarono insieme in un vicolo da dove si scorgeva uno scorcio di mare, un locale che un tempo Gualtiero frequentava, quando passava da Genova. Ordinarono trenette con il pesto e stoccafisso con patate. Loredana mangiò con appetito e trovò tutto buono. Parlarono a ruota libera, e tra di loro, poco a poco, si istaurò un piacevole clima di complicità, si sentivano un po' in vacanza; le mani, come d'incanto, cominciarono ad avvicinarsi e a sfiorarsi, attirate da un filo invisibile. Si guardarono, lei aveva il viso attraente, le labbra morbide, e uno sguardo che gli penetrava nell'anima. Si avviarono, stretti a braccetto, verso la stazione. Lei era allegra e su di giri, forse anche grazie all'ottimo vino Pigato che avevamo bevuto. Stringendole il braccio, Gualtiero si offrì di accompagnarla a Milano, lei tornò seria, corrugò la fronte, e un po' tesa disse: -Meglio di no, tu sei sposato e io ho una relazione con un brav'uomo, sai come vanno a finire queste cose? Ti ringrazio. Lui la guardò deluso. Lei fece spallucce, poi sorrise e, un po' più rilassata, riprese: -Però se vai a Taranto potrei venirci anch'io, e là... con il sole e il mare, chi sa? Gli schioccò un bacio su una gota e salì svelta sul treno. Trascorsero il mese di agosto nella loro casa al mare. Elisa era annoiata. -Andiamo sempre negli stessi posti, mai una cosa diversa, mai un bel viaggio, sei diventato un vecchio abitudinario; io vorrei vedere Petra, una mia amica mi ha detto che è bellissima - si lamentava una sera sua moglie. -Beh, non vorrai andarci d'estate, là in agosto farà cinquanta gradi, potremmo partire a gennaio, se ti va - rispose il marito. Lei cambiò subito d'umore. -Che bello, amore, allora è deciso! A settembre arrivò una telefonata da Genova, con la quale la segretaria del gran capo avvisò che dall'ufficio del personale della Siderint di Taranto attendevano una sua visita. Chiamò Loredana per concordare una data. Partirono da Linate e dopo un'ora atterrarono a Bari. Un pullman li scaricò nel centro di Taranto. Il cielo era grigio, l'aria sapeva di zolfo, e il caldo afoso. All'orizzonte le ciminiere scaricavano nell'aria un fumo giallino. Raggiunsero l'albergo e, dopo una doccia rinfrescante, si avviarono lungo il corso principale in direzione del ponte girevole. Il mare era calmo, grigio come il cielo. Alcuni gabbiani lanciavano grida stridule. A terra, pochi piccioni malaticci becchettavano, forse cicche, sugli scogli. Il ponte era aperto e una nave militare, anch'essa di colore grigio, si avvicinava velocemente, suonando a tratti la sirena; rallentò, sollevando una spuma verdastra, superò il ponte e poi, lentamente, proseguì lungo lo stretto canale in direzione del Mar Piccolo. La coppia, invece, si affrettò verso il ristorante dove una volta, con i colleghi di lavoro, Gualtiero era assiduo cliente. Il locale era ancora come lo ricordava, e anche i tavoli erano coperti con le tovaglie rosse di una volta; i camerieri però tutti sconosciuti. Il cibo era buono, come allora: spaghetti con le cozze, frutti di mare crudi, pesce alla griglia, vino bianco di Martina Franca. Più tardi passeggiavano, tenendosi per mano, e, quando il sole si inabbissò nel mare, lei lasciò che lui le cingesse i fianchi. Poi, la mano di Gualtiero, spinta da vita propria, cominciò, pian piano, a risalire lungo il suo corpo fino a ghermirle il seno. Si guardarono negli occhi e subito, spinti dal desiderio, si baciarono; lei gli cercò la lingua e lui avvertì i suoi capezzoli diventare turgidi, allora, senza parlare, s'incamminarono verso l'albergo. Alla reception presero due chiavi, ma ne usarono una soltanto, quella di lei. Si spogliarono in fretta, lui la strinse tra le braccia e la trascinò sul letto. Lory era percorsa da brividi come se avesse freddo, la sua pelle era incredibilmente bianca e morbida, si lamentava con voce da bambina, Gualtiero la strinse a sé, lei era bagnata ed eccitata: -Sì, così, ancora... - ripeteva, inarcando la schiena e stringendo le cosce attorno ai suoi fianchi, poi fu scossa da un lungo orgasmo e anche l'uomo si rilassò. Il sole del mattino li colse ancora abbracciati. Alle undici varcarono l'ingresso della palazzina uffici. Il direttore avrà avuto una quarantina d'anni, di bassa statura, era vestito di blu, con pochi capelli e accento pugliese. -Lo stabilimento - diceva con voce chioccia -è da anni sotto inchiesta della magistratura, il giudice, se volesse, potrebbe farci chiudere anche subito, non lo fa soltanto perché rimarrebbero a casa più di diecimila operai. Qui oramai si va avanti con i ricatti. La gente è divisa tra ambientalisti che ci vorrebbero mandare via e i lavoratori che non hanno alternative. Il Prefetto, che teme tumulti, ha messo praticamente la città in stato d'assedio. I tafferugli sono ormai all'ordine del giorno. Gli animi esacerbati. Basterebbe un niente per far scoppiare una rivolta. Il direttore non sapeva però nulla dei vecchi computer e di chi ci aveva lavorato. Promise di farci avere per il giorno successivo le statistiche relative al personale del CED di quegli anni. Ringraziarono e se ne andarono alla ricerca di un ristorante dove si potesse mangiare pesce in riva al mare. Davanti all'università sostavano diverse camionette della polizia, e attorno agenti in assetto anti-sommossa, caschi integrali di colore oliva, scudi trasparenti, tute nere imbottite per attutire i colpi e in mano, minacciosi, lunghi manganelli. Si fermarono incuriositi. Improvvisamente iniziò una sassaiola. Gli agenti si riparavano con gli scudi, poi, da una via laterale, sbucarono dei giovani vocianti. I poliziotti si posero sulla difensiva. I ragazzi sbandieravano stendardi con slogan ambientalisti, mentre una donna con un megafono esortava alla protesta pacifica, e a non rispondere alle provocazioni. I poliziotti, intanto, come antichi legionari romani, si erano schierati in quadrato, con gli scudi alzati, serrando i ranghi. Affascinati, i nostri amici seguivano lo spettacolo, quando all'improvviso, al trillo prolungato di un fischietto, gli agenti di polizia scattarono in avanti, caricando i giovani che indietreggiarono, dandosi alla fuga. Nella confusione, si trovarono in un vicolo dove tutti fuggivano; si accodarono agli studenti; la donna che aveva parlato al megafono correva accanto a loro, si guardarono, e lei fece loro cenno di seguirla. Cambiarono direzione un paio di volte, poi sostarono trafelati in un viottolo che costeggiava il Mar Piccolo. -Chi siete? - chiese la donna -lo sapete che è pericoloso fermarsi a curiosare? Potevate trovarvi in mezzo alla carica della polizia e sarebbero stati dolori. -Siamo giornalisti - rispose Gualtiero -stiamo scrivendo un articolo sull'inquinamento e sulle morti causate dall'acciaieria. -Giornalisti? Di quale testata? - chiese la donna interessata. -Siamo della Rai, ma in veste strettamente riservata, stiamo cercando informazioni su alcune morti sospette. -Alcune morti? Ma a Taranto ci sono state migliaia di vittime a causa degli incidenti sul lavoro, delle malattie professionali e dell'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo - rispose la donna senza fermarsi. -Senta - disse Gualtiero, fissandola affascinato, mentre lei, con i capelli arruffati e il seno ancora in tumulto, lo scrutava con sguardo fiero perché non andiamo a sederci in una trattoria sul mare a mangiare qualcosa insieme, mentre parliamo senza correre? Lei lo guardò incuriosità, poi disse: -Perché no? La corsa mi ha giusto fatto venire fame, e, visto che paga la Rai, ne approfitto per riprendermi un po' dei soldi che mi rubate con il canone, e sicuramente potremo parlare più comodi. Più tardi, in riva al mare, chiacchieravano, seduti sotto il pergolato di una trattoria di proprietà di amici della loro ospite. Lei si chiamava Maria Tina, insegnava filosofia del diritto nella locale facoltà di giurisprudenza e, da qualche tempo, era diventata anche presidente di una associazione ambientalista che aveva la propria sede nel popolare quartiere Tamburi, proprio a due passi dallo stabilimento. -Perché non venite domani pomeriggio a trovarmi in sede? - disse, mentre si allontanavano verso il centro città -vi posso mostrare statistiche e fotografie eloquenti sui danni causati dall'acciaieria. -Va bene - rispose lui, interessato più a rivedere la donna che non a leggere numeri sull'inquinamento -a che ora ci vediamo? - chiese, mentre continuava a osservarla. Lei era mora, con occhi espressivi di un colore indefinito che virava sul viola. Aveva seni appuntiti, fianchi morbidi e lunghe gambe affusolate, che, come calamite, attiravano la sua attenzione. Loredana, che avvertiva il suo interesse per la donna, parlò poco, e in albergo preferì salire in camera sua, scusandosi che, a causa della stanchezza, preferiva dormire da sola. Capitolo II Il mattino successivo, varcarono di nuovo l'ingresso dell'acciaieria. Il direttore aveva lasciato alcuni tabulati che la segretaria compunta consegnò loro. Più tardi, seduti in un bar, dopo caffé e brioche, cercavano di interpretare le file di numeri, stampate da qualche oscuro dipendente. Si soffermarono sulla pagina riguardante l'ufficio Elaborazione Dati, più comunemente noto come il CED. Il foglio riportava i decessi avvenuti, nell'arco temporale indicato, tra i dipendenti di ciascun settore aziendale, con esclusione però dei cosiddetti consulenti, tra cui lui aveva militato, i lavoratori dipendenti da ditte esterne, che rappresentavano, la quasi totalità degli specialisti del software. I pochi decessi riguardavano, inspiegabilmente, soltanto impiegati addetti al computer centrale EDM serie 9000, della contabilità. La scoperta lo riportò al punto di partenza dell'inchiesta, la morte sembrava prediligere i tecnici impegnati sui computer della nota multinazionale, malgrado questi fossero alloggiati negli uffici eleganti della Direzione, rispetto ai colleghi, che utilizzavano invece macchine istallate lungo le linee di produzione. Decisero di cercare riscontri presso le società di consulenza che fornivano softwaristi ai CED delle grandi aziende. Nel pomeriggio si recarono da Maria Tina. Lei li accolse sorridente, fece loro visitare i pochi locali della sede, di proprietà della parrocchia, offerti dal parroco del quartiere, che era un loro sostenitore. Indossava jeans aderenti e una camicia a quadretti sbottonata che lasciava intravvedere la pancia piatta e l'ombelico trapassato da un piercing; sembrava molto più giovane dell'età che Gualtiero immaginava dovesse avere. Si arrampicò, su di una scala, fino a raggiungere gli scaffali più alti della biblioteca, dove erano allineati libri e faldoni contenenti resoconti e fotografie, e si mise a sfogliare, poi, discese la scala, con movenze feline. Lui l'osservava incantato, non riuscendo a distogliere gli occhi dalle evoluzioni del suo fondo schiena, finché, toccato l'ultimo gradino, lei si girò e, con un salto leggero, raggiunse il pavimento. -Hai visto quanti libri abbiamo? - disse lei sorridendo -ti ho messo in una cartellina i dati sull'inquinamento dell'aria, rilevati dal nostro osservatorio nel corso di un ventennio, e anche delle foto, che troverai pinzate sul centro o nel margine delle pagine. -Grazie - rispose Gualtiero, tendendo la mano; lei continuò a guardarlo, poi, stringendogliela, proseguì: -Domani abbiamo una riunione del consiglio, parteciperanno almeno un centinaio di persone, perché non venite anche voi, così potrete ascoltare e porre domande agli interessati? All'ora convenuta, Loredana era ancora in camera sua, al telefono rispose di sentirsi stanca, all'Associazione sarebbe dovuto andare da solo . Non insistette, le disse di riposare, la salutò e si allontanò, in cuor suo felice di rivedere Maria Tina da solo. La sede dell'Associazione era all'interno di un fabbricato proprio al di là della rete di protezione dell'acciaieria. Dalle finestre della sala si potevano osservare i mezzi in movimento all'interno dello stabilimento e le fiammate dell'altoforno che si levavano quando veniva colato l'acciaio. La sala era al primo piano, aveva finestre sui due lati, somigliava a un'aula di scuola. Alcune file di seggiole erano allineate lungo i lati lunghi, a fronteggiare un tavolo con tre seggiole sul lato corto. La sala si riempì in fretta, sedettero rumoreggiando una cinquantina di persone, in maggioranza studenti universitarti. Maria Tina reclamò il silenzio, poi fece un resoconto dei dieci anni dell'Associazione. Raccontò delle iniziative intraprese nell'ultimo anno e dei risultati ottenuti. Parlò dei nuovi filtri adottati dallo stabilimento contro la diossina e dei pericoli connessi al loro smaltimento. Nel dibattito che ne seguì intervennero alcuni studenti e anche due abitanti del quartiere, per lamentare il degrado e la polvere onnipresente. -Non possiamo stendere i panni - lamentava una signora -i balconi sono sempre sporchi di fuliggine. -E quella polvere la respiriamo ogni giorno - accusò una ragazza. Poi, a mezzo giorno, quando finalmente la riunione si avviava verso la conclusione, e Gualtiero cominciava ad accarezzare l'idea di poter rimanere da solo con la prof. e magari andarci a pranzo, si udì un forte rumore, e nella sala si levò un fumo acre. -Un incendio - gridò qualcuno e tutti si precipitarono verso l'ingresso. Trovarono invece ad accoglierli un cordone di poliziotti, in assetto anti sommossa che, immediatamente, cominciarono a colpire con gli sfollagenti. La folla cercò inutilmente scampo, e in breve, furono tutti stipati e ammanettati dentro un autobus che, dopo un breve tragitto, li scaricò nel cortile della caserma. Gli agenti, a spintoni e colpi di sfollagente, li divisero in due gruppi, i giovani da una parte e i pochi anziani, tra cui Gualtiero, dall'altra. Arrivò un uomo in borghese accompagnato da una giovane ispettrice in divisa, con scarponi, cinturone e pistola d'ordinanza, lui avrà avuto una sessantina di anni, ancora giovanile e in forma fisica; lei era mora, sui quarant'anni, fisico atletico, gambe muscolose, un bel viso con il naso troppo pronunciato e bocca sensuale. L'uomo, con accento siciliano, si presentò come il vice questore Antonio Musumeci e la donna, disse, era l'ispettrice capo dottoressa Rosa Mannino, poi ordinò alle guardie di condurre il gruppo dei giovani nel vicino garage, e gli anziani nell'edificio per l'identificazione. Gualtiero si ritrovò rinchiuso in una stanzetta del piano terra, dove, insieme agli altri ottuagenari, attese ore, in fila davanti all'unico gabinetto, senza mangiare né bere, prima di essere identificati e poi, all'imbrunire, allontanati in malo modo e in tutta fretta, da una porta secondaria. Dei ragazzi e della loro insegnante, rinchiusi nel garage, non se ne seppe più nulla. Gualtiero domandò alla guardia, che spingeva il gruppo lungo un corridoio, se anche gli altri fossero stati liberati, l'agente lo guardò torvo. -A nonné, cos'è che vuoi? Finire con i froci e le lesbiche, oppure tornartene a casa? Se preferisci rimanere a far loro compagnia, con un bel manganello infilato nel culo, ti accontento subito. Non mi fare incazzare che finisci male!- e, così dicendo, gli sferrò un colpo di sfollagente sulle spalle e uno nello stomaco. Annaspò alla ricerca d'aria, e si ritrovò fuori della caserma, insieme alla decina degli altri compagni di sventura, che si dileguarono, senza una parola, nell'ombra del tramonto. Lory l'osservava preoccupata, aveva un aspetto terribile. Lo portò subito in camera sua, lo aiutò a spogliarsi, e a fare la doccia, spalmò un po' di crema sulle ecchimosi più evidenti, lo aiutò a coricarsi, e, infine, gli chiese di raccontarle cosa gli era successo, stringendolo a sé con aria materna. -Allora, ti è passata la cotta? - domandò lei con aria sorniona - le manganellate che hai ricevuto sono bastate a cancellarti la voglia oppure te ne occorrono ancora delle altre? Lui la guardò con una smorfia di dolore per impietosirla. Si baciarono, si accorse d'avere male anche alla mandibola, lei lo chiamò: “povero caro” mentre con la mano cercava di rianimare la sua virilità; Gualtiero sentiva male da per tutto, storse la bocca, in un sorriso riconoscente, e, mentre cercava di ricordare gli avvenimenti, si addormentò. A Torino, incaricò subito un amico avvocato di informarsi sulla sorte dei giovani arrestati a Taranto, e cosa si potesse fare per aiutarli. Il professionista lo rassicurò, disse che si sarebbe informato subito in tribunale. Qualche giorno dopo, lo chiamò per dirgli che gli allievi e la loro insegnante erano stati liberati, dopo una ramanzina salutare. Si sentiva triste e continuava a pensare a Maria Tina; la chiamò più volte senza successo, il telefono era occupato oppure staccato e anche quello dell'Associazione non rispondeva; decise, in fine, di lasciar perdere e di dimenticarla, cercò di convincersi che la sua era stata una ridicola infatuazione senile e che lei, con buona probabilità, stava ora ridendo di lui tra le braccia di qualche giovanotto nerboruto. Elisa, vedendolo uscire dalla doccia, l'osservò allarmata, chiese spiegazione dei lividi che aveva sulla pelle, che nel frattempo si erano fatti giallini. Rispose, minimizzando, che era scivolato sugli scogli di Taranto, lei non ci credette, ma ritenne opportuno non insistere. La settimana successiva, Gualtiero tornò a Milano. Abbracciò Loredana, che l'attendeva davanti alla stazione Centrale. -Pensi ancora a lei? - chiese, fissandolo negli occhi. -Non più di tanto - rispose lui, aggrottando la fronte. Lei si fece seria. -Non ci credo, ma va bene lo stesso, ti passerà. E, insieme, raggiunsero a piedi la Torre Velasca dove erano ubicati gli uffici della General Data, una importante azienda di software per la quale, tanti anni prima, aveva lavorato. Varcarono la soglia dell'ufficio del dottor Mario Lombardi, il figlio di Antonio, quello che era stato il titolare ai suoi tempi. Mario raccontò che suo padre era morto anni prima e che, da giovane, aveva anche il genitore lavorato con gli EDM 9000. Gli parlarono dei loro dubbi e lui promise il suo aiuto. Disse di non sapere molto dei vecchi computer oltre ai racconti di suo padre. Poi si ricordò di un anziano sistemista che, saltuariamente, lavorava ancora con loro. Chiese notizie alla segretaria che rispose che Federico quel giorno era proprio lì in laboratorio. Poco dopo, erano tutti seduti nel salottino. Filippo avrà avuto una settantina di anni ben portati, era magro e stempiato con i capelli neri, tinti da poco. Ricordò quando i computer leggevano le schede, poi passò ai nastri magnetici e, quando finalmente parlò degli EDM 9000 era trascorsa più di un'ora; disse, con aria ispirata, che erano state gran belle macchine. Innovative in tutto, specializzate in trasmissione dei dati, in tempi in cui Internet era di là da venire. Avevano soltanto un difetto, scaldavano troppo, non potevano lavorare più di quattro ore di fila; per tale motivo, le aziende che necessitavano di prestazioni continuative optavano per una configurazione duale, due elaboratori collegati tra loro che si avvicendavano. Poi, un bel giorno, arrivarono i 9010 che, benché più potenti e veloci, non si surriscaldavano, erano costruiti con nuove tecnologie derivate dalla spazio, ed erano raffreddati ad aria. Disse poi che anche lui aveva conosciuto colleghi, che erano deceduti prematuramente, che avevano lavorato sui 9000, ma anche su altre macchine. Ricordò che i 9000 restarono sul mercato per una decina di anni, e in quel periodo era piuttosto raro che un tecnico di computer lavorasse esclusivamente su una stessa macchina per troppo tempo, con il rischio di diventare obsoleto. Soltanto nella Pubblica Amministrazione o nelle Banche esisteva, forse, una tale fedeltà al proprio posto di lavoro. Mario allora promise di farci preparare un riepilogo dei decessi, in quel periodo, con precedenti lavorativi su EDM 9000, suddivisi per settori lavorativi. Poi, insistette per portarli a pranzo, Gualtiero lo ringraziò declinando l'invito, preferiva rimanere solo con Loredana. Mangiarono in un ristorante poco frequentato a quell'ora. Si guardavano negli occhi, poi lei sospirò: -Non possiamo andare da me e nemmeno da te, in albergo a quest'ora, senza bagagli, mi deprime. Forse è meglio così, restiamo buoni amici, e, se ci capita un'altra trasferta... chi sa? L'uomo non sapeva cosa rispondere, era contrariato ma anche eccitato dalla sua vicinanza. Le prese la mano e lei rispose alla stretta. Sedettero su una panchina ai giardinetti, come studenti delle medie, e sotto un platano si baciarono, mentre lui le cercava i seni; rimasero così per circa un'ora, poi Loredana si ricordò che si era fatto tardi. In treno, Gualtiero rimuginava su dove avesse potuto portare l'amante. Escludendo alberghi, locande e case di amici, prese in considerazione la soluzione residence. A casa cercò su Internet; i prezzi di Milano erano però proibitivi, non avrebbe mai potuto affrontare una spesa simile all'insaputa di sua moglie, e anche nei paesi limitrofi non c'era nulla di economico; a un certo punto lo colpì l'annuncio di un residence che recitava: “A pochi minuti di treno nella tranquilla città di Novara...” -Ecco la soluzione, a venti minuti di treno da Milano e un'ora da Torino, un bel monolocale con vista San Gaudenzio! - pensò, e subito iniziò le ricerche. Più tardi, a cena, Elisa chiese al marito se intendeva continuare a interessarsi dei colleghi defunti. Alla sua risposta affermativa, lei sbottò dicendo che la sua era diventata un'ossessione e che avrebbe fatto bene a farsi curare. Lui la guardò e, come se la vedesse per la prima volta, si rese conto del trascorrere del tempo. La donna che osservava non era l'Elisa che aveva sposato, era un'altra persona, una sconosciuta di mezz'età, una donna, a modo suo, ancora attraente che i capelli grigi rendevano più interessante, sembrava una matura professoressa, Maria Tina fra venti anni, pensò con una fitta al cuore, evocando il suo nome. -La prossima volta che andrai a Milano ci verrò anch'io, voglio proprio sentire cosa si dice sull'argomento - concluse lei. Sperò che si sarebbe dimenticata presto della promessa e non si curò eccessivamente della potenziale minaccia. Sulla posta elettronica trovò una proposta di un'immobiliare di Novara che offriva in affitto un monolocale, carino e ben arredato, con vista su un parco e sul campanile dell'Antonelli. Il prezzo era decisamente conveniente, trecento euro al mese. Gualtiero lo fermò subito, con la segreta speranza di poterlo utilizzare un giorno anche con la sua tanto sospirata Maria Tina; e, immediatamente, preso da nostalgia, la chiamò. Rispose, inaspettatamente la sua voce vellutata, che l'invitava a lasciare un messaggio in segreteria. -Chiamami, ti prego! Ho tanta voglia di sentirti, se puoi telefonami, altrimenti scrivimi sulla mia e-mail - singhiozzò nell'apparecchio senza ritegno. Dopo un'ora di tragitto, il treno arrivò a Novara in perfetto orario. Gualtiero comprò un cabaret di ottimi pasticcini e tornò alla stazione in tempo per scorgere i viaggiatori, provenienti da Milano, scendere dal treno. Avvistò subito Loredana, elegante e bellissima, che si guardava attorno. Si abbracciarono stretti, e poi, con passo veloce, percorsero i pochi metri che li separavano dal loro nido d'amore; salirono rapidi le scale e, senza nemmeno guardarsi intorno, si gettarono sul letto. Più tardi, lei lodò la casa e la vista; gustarono i pasticcini bevendo il caffé. Poi, passeggiarono per la città, come una coppia di turisti in viaggio di nozze e, alla stazione, si baciarono, con la promessa di rivedersi presto. Novara divenne il loro segreto, lei prese l'abitudine di precedere il suo amante; arrivava di mattino presto, e quando a sua volta, lui varcava la soglia, trovava tutto pulito e Loredana nel letto che lo attendeva nel dormiveglia. In breve, lei prese in mano la conduzione della casa, rivelandosi in questo una fanatica dell'ordine e dell'igiene; fare le pulizie le piaceva e la rilassava. Dopo il suo passaggio tutto risplendeva, nel water ci si poteva anche mangiare, i vetri erano tersi e nel letto c'erano sempre lenzuola pulite e cuscini sbattuti a dovere. L'attività fisica la stimolava anche eroticamente, e, dopo una doccia, lei era di nuovo carica e pronta a ricominciare; poi, verso la mezza, cominciava a sentire fame; allora mangiavano i cibi che lei aveva preparato la mattina, oppure andavano al ristorante; poi passeggiavano per i giardini, se il tempo lo permetteva, e, in caso contrario, restavano in casa; alle sedici in punto riprendevano il treno per tornare alla vita di sempre. L'unico armadio della casa si riempì un po' alla volta di cose sue, biancheria, abiti, scarpe, mentre dell'uomo, in bagno, c'era il solo spazzolino dei denti. La vita di Gualtiero si sdoppiò, sei giorni, sulla terra, in veste di marito attempato al fianco di una moglie paziente e quasi materna, e un giorno in paradiso, di nuovo giovane e innamorato, impegnato in performance erotiche. Ciò malgrado, rimaneva, però, un angolino nella mente di Gualtiero, un cassetto segreto, che di tanto in tanto, di notte, sul treno, per la strada, improvvisamente s'apriva, liberando il fantasma di Maria Tina, e allora, appena possibile, le telefonava, ma sempre inutilmente. A gennaio, assieme alla moglie e una coppia di amici, partì per Petra. Ad Amman il traffico era caotico e il cielo azzurro. Alloggiarono in un hotel a cinque stelle che ne meritava non più di due. Faceva almeno quaranta gradi, ma l'aria era asciutta e il clima gradevole. Gli amici erano simpatici, Rosaria era stata compagna di scuola di Elisa e suo marito Carlo era un rappresentante di vernici con la parlantina sciolta. Visitarono l'anfiteatro romano e i castelli nel deserto. Quando imboccarono il budello scavato nella roccia, denominato il Siq, sembrò loro di essere tornati indietro di duemila anni, ai tempi del popolo nabateo che aveva scavato nella pietra quegli edifici mirabili. Attorno, alte cime di roccia rossa sembravano sentinelle a guardia di quei tesori. Salirono tutti gli ottocento gradini scavati nella pietra per visitare l'imponente monastero di Ad-Deir. Poi, nella città di Wadi Musa, Elisa e la sua amica si persero tra le decine di bancarelle che esponevano una moltitudine di prodotti artigianali. Tra gli acquisti c'era anche un regalo per Gualtiero, un copricapo da beduino del deserto che lo faceva somigliare a Lawrence D'Arabia nel famoso film. Infine, come Mosè, che dopo tanto girovagare nel deserto, scorse la terra promessa, avvistarono il mar Morto che, come uno specchio oscuro, si avvicinava trasportato dalla luce accecante. Poi, finalmente, si immersero nelle sue acque spesse, dove neanche una pietra riusciva a sprofondare. La settimana di vacanza fortunatamente finì in fretta e, archiviate le foto di viaggio, Gualtiero tornò a Novara. Aveva nevicato e l'arco alpino serrava l'orizzonte come un muro bianco. Si amarono come forsennati, s'attardarono nel letto fino all'ora di pranzo, poi, finalmente tacitati i sensi, Loredana preparò l'osso buco con il più rinomato riso carnaroli del posto. Gualtiero si sentiva di nuovo felice, in paradiso, tra le braccia del suo angelo custode. Lungo la via, mentre, con passo svelto, raggiungevano la stazione ferroviaria -Sai - raccontò Loredana, un po' affannata - alcuni giorni or sono, ho incontrato in un bar il signor Lombardi che mi ha detto di dirti d'aver già portato a buon punto la ricerca che aveva promesso. Infatti, qualche giorno successivo Gualtiero ricevette un'e-mail di Mario, dove gli confermava che, anche dalla sua indagine, risultava evidente che i decessi maggiormente sospetti riguardavano, incredibilmente, quasi sempre, persone che avevano avuto a che fare con i 9000, mentre non risultava nulla di strano tra coloro che avevano lavorato con altre serie di computer, compresi i 9010. Si addormentò, accanto a sua moglie, pensando cosa avesse potuto rendere il 9000 più pericoloso degli altri computer. Verso l'alba sognò Ciccio, era seduto davanti al nuovo 9010 della direzione di Taranto. -Hai visto la nuova meraviglia? - diceva lui, indicando la rossa console, è di color aragosta, velocissimo e più potente di quello di prima, non scalda mai ed è raffreddato ad aria, senti il rumore? -Perché - chiese Gualtiero -il 9000 com'era raffreddato? -Sai che non lo so - rispose pensoso -però non ricordo di aver mai sentito il rumore delle ventole, qualche volta emetteva un fischio e sbuffava del vapore biancastro... se proprio vuoi saperlo, chiedilo a qualche hardwarista smanettone, a Donato per esempio. Si svegliò accaldato contro Elisa che lo teneva stretto. Si sciolse cauto dall'abbraccio e se ne andò in bagno a riflettere: -Ecco chi sa come si raffreddavano i 9000, i tecnici dell' hardware, perché non ci ho pensato prima? Chiamò Mario. -Scusa, conosci qualche hardwarista che abbia lavorato sui 9000? Lui rispose di no, ma che avrebbe girato la domanda all'amico Filippo. Un giorno, che era a Novara, il trillo del telefono lo colse nel letto, mentre era impegnato in performance erotiche con Loredana. Era Filippo, disse che era in compagnia di un amico che sapeva tutto dell'hadware del 9000. Concordarono di vedersi nell'ufficio di Torre Velasca subito dopo pranzo. Più tardi, nella sala riunione della General Data, Mario fece portare acqua e caffé, mentre Filippo presentava un suo amico, Antonio, un ex tecnico della EDM. Il signor Antonio era bianco sia di capelli che di carnagione, rise ricordando che lui non poteva invecchiare, era così dalla nascita, era infatti nato albino. Disse che i 9000 erano raffreddati con un liquido speciale prodotto da una multinazionale americana della chimica, che era anche tra i principali produttori di gas per uso bellico e di napalm per bombe incendiarie. Ricordò che il liquido viaggiava dentro contenitori sigillati che soltanto il personale della ditta produttrice era autorizzato ad aprire per riempire il radiatore del computer. -Scusi - chiese Loredana -sa mica se l'azienda americana avesse uffici a Milano? -Sì - rispose Antonio -però fuori città, dalle parti di Legnano. Cercarono sulla guida del telefono ma della ditta non c'era nessuna traccia. L'uomo giurò che avrebbe rintracciato qualcuno di quelli che all'epoca rifornivano di liquido i CED dove lui lavorava. Si salutarono con la promessa di rivedersi presto. A casa, Gualtiero raccontò a Elisa che il 9000 era raffreddato con un liquido proveniente dall'America, mentre il suo successore 9010 si accontentava di una ventola per l'aria. Lei fece spallucce, sorrise e chiese cosa desiderasse per cena. -Una multinazionale che produceva napalm e gas nervini - insistette. -Pensi che il liquido di raffreddamento potesse contenere qualcosa di pericoloso? - domandò, questa volta interessata. -E' proprio quello che sospetto, anch'io potrei essere stato contaminato e l'abbassamento della voce un bel cancro alle corde vocali - disse melodrammatico, facendo però di nascosto, le corna. -All'ora ti prenoto subito una visita di controllo - concluse lei allarmata. Qualche giorno dopo chiamò Mario, avevano rintracciato un tecnico della ditta che riforniva i 9000 di liquido refrigerante. Per tutto il percorso, Loredana parlò infervorata di una “class action” che avrebbero potuto avviare contro la perfida multinazionale, come aveva visto fare in un film americano. -Faremo risarcire le famiglie delle vittime e noi diventeremo famosi aveva concluso, mentre il treno entrava in Centrale. Attorno al tavolo attendevano Mario, Antonio e un tipo pelato, con gli occhi spiritati, che si presentò come Giovanni Capitani; lui era un ex dipendente della Liquid-oil, l'azienda che distribuiva i refrigeranti, ormai chiusa da anni. Raccontò che il liquido fresco arrivava dagli USA dentro bomboloni di acciaio che venivano poi travasati in contenitori più piccoli, nel magazzino di Legnano, e questi, presso i CED clienti, svuotati nei radiatori dei 9000, e di nuovo riempiti con il liquido esausto, che, a Legnano, tornava, infine, nei bomboloni e poi, rispedito alla fabbrica americana. Lui lavorava come magazziniere, e, toccandosi la testa liscia, ripeteva di aver perso i capelli proprio per colpa di quel lavoro schifoso; riferì pure che molti colleghi, ai suoi tempi, lamentavano malattie della pelle e dell'apparato respiratorio, non aveva però avuto notizie di decessi sospetti. Gualtiero accennò all'amico avvocato della possibilità di una “class action” nei confronti della multinazionale americana. -Mio caro - gli rispose il professionista, sollevando gli occhi al cielo -chi ti ha consigliato la cosa? Sai che in Italia la class action è stata introdotta soltanto nel 2010 ed è assai complicata da esperire, ed è in vigore solamente per illeciti commessi a partire dalla seconda metà del 2009? Mi sembra che, nel nostro caso, siamo abbondantemente fuori tempo, e molti dei reati saranno ormai prescritti. Inoltre l'azione penale può essere esercitata solo da parte degli eventuali eredi delle vittime; e tu, fortunatamente, non sei ancora morto, quindi non credo che tu possa pretendere risarcimenti. -E se facciamo sapere alla multinazionale che stiamo indagando sul caso dei decessi misteriosi per redigere un bell'articolo per un importante giornale? - chiese all'avvocato Loredana. -Ci devo pensare... sai che non è una cattiva idea? Potremmo chiedere loro l'elenco dei componenti del liquido della morte, e vedere come reagiscono. Dovrò studiare meglio il da farsi, poi ne riparliamo - rispose l'avvocato con la fronte corrugata. Capitolo III Le giornate erano tornate di nuovo ad allungarsi e la primavera si avvertiva nell'aria. Alle spalle, Gualtiero si era lasciato un inverno trascorso troppo in fretta, vissuto alternando normalità e trasgressione, un giorno a Novara con Loredana e sei a Torino con sua moglie Elisa, che sembrava non sospettare nulla. Nel suo cuore, lo spazio riservato a Maria Tina si era, via via, ridotto, finché, una mattina, trovò una sua e-mail: Mio caro, scusa il lungo silenzio, in questi mesi ti ho pensato sempre ma non ho mai trovato il coraggio di scriverti o di telefonarti, perché mi sarebbe stato troppo doloroso raccontarti quel che mi era successo, e ancora adesso non mi sento pronta; però, se tu mi fossi accanto, forse, potrei trovare tra le tue braccia la forza per farlo. Perdonami se ti disturbo, ma sento che tu solo puoi aiutarmi. Un bacio forte dalla tua sfortunata Maria Tina. Rilesse più volte la missiva: “la mia Maria Tina... tra le mie braccia?” Ma era molto di più di quanto avesse mai avuto l'ardire di sognare, e cosa potesse esserle accaduto era del tutto secondario, gli salì prepotente la voglia d'incontrarla e, magari, di consolarla; controllò su quanto denaro poteva ancora contare, e le rispose che l'avrebbe raggiunta nel fine settimana. Escogitò una scusa con sua moglie e non disse nulla a Loredana. L'aereo atterrò in orario, e poco più tardi abbracciava Maria Tina. Lei era ancora più bella di quanto ricordasse. Indossava un vestitino corto di un rosa pallido, con la cintura che evidenziava la vita sottile e le gambe snelle, profumava di fresco e fiori di campo, aveva il viso deliziosamente imbronciato, e gli occhi cerchiati, tristi e gonfi di lacrime, e la sua allegria un lontano ricordo. Le domandò cosa le fosse successo, di confidarsi con lui, lei restituì l'abbraccio. -Forse più tardi - gli sussurrò nell'orecchio. Cenarono nel locale della sua amica. Tina mangiò poco e parlò ancora meno; lui la guardava ammaliato, colmo di desiderio e si sentiva a disagio nei suoi confronti; le chiese se preferisse tornare a casa e rimandare le spiegazioni al giorno successivo. Lei rispose di no. -Facciamo due passi in riva al mare, vuoi? - propose, alzandosi da tavola. Gualtiero pagò il conto e si avviarono. La notte era calda e la luna illuminava i loro passi. Sedettero su una panchina fronte mare; una nave lontana lanciava il suo lamentoso richiamo. Lei stringeva la sua mano; restarono così in silenzio a guardare le luci sulla costa, poi, con voce flebile, prese a parlare: -Il mio incubo ha un nome e un cognome, si chiama Rosa Mannino. -E chi è? - domandò. -E' l'ispettrice di polizia. -Ah sì, mi ricordo, cosa ti ha fatto? - chiese turbato. -Non trovo il coraggio - si lamentò, stringendosi di più sulla sua spalla ma devo farmi forza, devo parlare se voglio liberarmi dell'ossessione che mi pesa sull'anima e non mi dà tregua. -E allora, coraggio, raccontami cosa ti è successo, sfogati che ti farà bene! - la esortò. -Quando entrammo nel garage - riprese lei, tirando su con il naso, ed evitando di guardarlo -i poliziotti ci ammanettarono e poi, a spintoni, divisero i maschi dalle femmine. Poi, noi fummo rinchiuse in un locale più piccolo, e dopo qualche minuto d'attesa, ci raggiunse l'ispettrice e una sua collega grassa che ci liberarono dalle manette. La poliziotta ci ordinò di spogliarci e di toglierci le scarpe perché dovevamo essere perquisite; ci disse di lasciare indosso i soli indumenti intimi. Accatastammo gli abiti su una seggiola, mentre le due donne infilavano dei guanti di lattice. Ci fecero allineare contro la parete e poi la Mannino ci ordinò di accovacciarci sul pavimento di cemento, come se dovessimo fare pipì, e, mentre tenevamo la posizione, l'altra, la poliziotta grassa, ci ammanettò, unendo i polsi alle caviglie, e ci fece inginocchiare. Eseguimmo con difficoltà e qualcuna perse l'equilibrio, finendo con il viso sul pavimento, suscitando l'ilarità delle due donne. Poi, l'ispettrice ci passò in rassegna, e a turno, afferandoci per i capelli, ci schiaffeggiò una decina di volte, e poi ci costrinse a leccare i suoi scarponi. Alla fine, non ancora appagata, disse alla collega che occorreva ammorbidirci, eravamo ancora troppo spavalde per i suoi gusti. E subito dopo, le due presero a percuoterci con lo sfollagente. La Mannino si accanì su di me colpendomi ripetutamente sui fianchi e sui glutei. Dopo un'oretta di trattamento, le due donne, ormai esauste e scarmigliate, dissero che era tempo di perquisirci, per vedere dove tenevamo la droga, perché tutte noi eravamo delle sporche puttane drogate e pure lesbiche. La poliziotta grassa abbassò a ciascuna di noi le mutande, scoprendoci i glutei; l'ispettrice, che continuava a picchiare con il manganello, chiese ad alta voce se per caso qualcuna di noi puttane fosse ancora vergine. All'invito rispose solo Carla, una ragazza del liceo che frequentava saltuariamente l'associazione, che lei lo era ancora, di usarle per favore riguardo. La Mannino sghignazzò: -Questa è proprio buona, una puttana vergine! - e, si chinò a osservare la ragazza, e poi, con cattiveria, le spinse il manganello nella vagina. Carla urlò, mentre l'ispettrice, rideva con la collega. -Altro che vergine, di qui ci potrebbe transitare un treno. Poi, tra lazzi, scherni, e commenti volgari, le due ci controllarono, una a una, con le mani guantate, e, infine, l'ispettrice mi si avvicinò. -Questa dovrebbe essere la capo banda, merita un'attenzione speciale, versa un po' d'olio per favore! Disse alla collega. Sentii qualcosa inumidire il solco delle natiche, poi un dolore fortissimo mi lacerò il cervello, e svenni. Quando tornai in me, ero ancora in ginocchio e qualcosa mi dilaniava l'ano. Eravamo rimaste sole nell'angusto locale. Le ore trascorrevano lente, le ragazze piangevano e si lamentavano, e, malgrado il dolore, io cercavo di rincuorarle; ma poi la Mannino e la sua tirapiedi tornarono, e l'ispettrice mi fu subito accanto. -Allora, prof, ti è piaciuta l'accoglienza? - disse la Mannino, scuotendo e premendo con forza il manganello, per farlo penetrare ancora di più. Le due tornarono ad accanirsi con lo sfollagente su tutte noi, colpendo, a caso, cosce, glutei, e fianchi. Trascorsa una mezz'ora, le due aguzzine inventarono un nuovo gioco, introdurre il randello nell'intestino di una ragazza e farlo leccare poi alla successiva, quando arrivò il mio turno, la solerte ispettrice scelse il più merdoso e mi costrinse, a colpi di sfollagente, a ingoiare le feci di qualcuna che, per la paura, doveva avere avuto problemi intestinali. -Terribile, non ho parole - disse Gualtiero turbato -dobbiamo denunciarla, andiamo subito dal giudice. -Sei matto, una ragazza che si era soltanto consultata con un avvocato è stata arrestata per spaccio di droga ed è ancora rinchiusa in attesa di giudizio, no, non voglio processi, io voglio vendicarmi. -Vendicarti? E come? - domandò l'uomo spaventato. -Ho studiato un piano, e tu mi devi aiutare. -Sei matta? Finiamo in galera e non usciamo più. -No se facciamo le cose per bene, ma ho bisogno di te. -Cosa posso fare? Non credo di essere il tipo adatto - disse lui guardandola. Lei aveva riacquistato lo sguardo fiero, e con occhi brillanti, continuò: -No tu sei perfetto, non sei di qui, nessuno ti conosce e a me serve soltanto che tu mi segua con la mia macchina, al resto penso io. La Mannino abita in un paesino sulla costa, l'aspettiamo dove è solita parcheggiare, io la tramortisco e guido la sua auto; tu mi segui con la mia, raggiungiamo una stradina poco frequentata, che dal mare sale sulla collina, con molte curve e strapiombi. E in uno di questi, lanciamo la sua macchina sulle rocce sottostanti. E dopo che l'ispettrice sarà volata all'inferno, tu mi porti via. -Va bene, hai ragione un essere così immondo non merita di vivere, ti aiuterò; però dobbiamo verificare bene il piano, dobbiamo stare attenti a non fare errori. Decisero di effettuare una ricognizione sui luoghi dell'azione. Giunsero a Chiatona, un paese sul mare vicino a Taranto, in quel periodo desolato; l'abitazione dell'ispettrice era isolata, in uno slargo, tra seconde case disabitate ed erbacce, in direzione della spiaggia. Controllarono minuziosamante la zona, poi ripresero la Statale Ionica in direzione di Metaponto; nei pressi del lido di Castellaneta, risalirono una strada poco frequentata che dal mare si arrampicava sulle Murge. Parcheggiarono su uno spiazzo aperto, da un lato, sulla campagna, e dall'altro su uno strapiombo, privo di guard rail. Sembrò loro il luogo giusto. Poi, tornando a Taranto, discussero sui particolari: trovare un tubo di ferro per stordirla, guanti di lattice, per non lasciare impronte, lei disse che avrebbe anche messo una parrucca. Il giorno successivo, nascosti da una siepe, attendendevano seduti in macchina. Quando arrivò, si guardarono intorno, non c'era nessuno, Tina infilò la parrucca, impugnò il tubo di ferro e si preparò a colpire, ma, in quel momento, soppraggiunse un'auto che si affiancò a quella della Mannino. Era il commissario Musumeci. I due si baciarono con passione, e, abbracciati, varcarono la porta della casa. -Sono amanti- bisbigliò Tina, irriconoscibile sotto la parrucca bionda. -E ora, cosa facciamo? - rispose l'altro, preoccupato. Circa un'ora dopo, Gualtiero fu scosso dal torpore che lo aveva colto. Era Tina, che, scuotendolo per un braccio, indicava la porta socchiusa e l'ispettrice sull'uscio, che, stretta dentro un accappatoio bianco, si guardava attorno; poi, dal nulla apparve il commissario, lei chiuse silenziosamente l'uscio, mentre l'altro, a bordo della sua auto, si allontanò rapidamente. Restarono seduti, nella penombra, a meditare in silenzio. Scendeva la sera, in giro non c'era anima viva; -Forse è meglio tornare domani - sussurrò Tina, togliendosi dal capo la parrucca, pronta per mettere in moto. Ma, proprio in quel momento, li raggiunse un suono lamentoso, e sullo spiazzo comparve un cane randagio, grosso e nero. Al richiamo, il portoncino tornò ad aprirsi e la Mannino, vestita di tutto punto, con le chiavi in mano si avvicinò alla sua auto. -Vieni Bobi, non mi sono dimenticata di te, ti ho comprato le crocchette che ti piacciono tanto - disse lei, aprendo la sua Panda. Tina, allora, silenziosa come una tigre, balzò fuori dall'auto e, aggirando la siepe, si avvicinò non vista all'ispettrice, che, china rovistava nel bagagliaio; la donna alzò la testa, e, per un attimo, poté osservare la figura femminile che la colpiva. Si accasciò senza un lamento, e Tina fu lesta a sostenerla. Gualtiero accorse in suo aiuto, il cane ringhiò, allontanandosi, mentre la coppia sistemava l'ispettrice in posizione seduta, con la cintura allacciata e lo schienale reclinato, come se riposasse; poi Tina avviò la macchina e lui la seguì con l'altra. Il tutto durò meno di cinque minuti. Percorsero un tratto di statale, Gualtiero guidava come ipnotizzato la Twingo di Tina, cercando di non perdere di vista l'altra macchina; la mente, per quanto si sforzasse, si rifiutava di pensare, il traffico era scarso e fortunatamente non c'erano in vista pattuglie della polizia. Poi, l'auto che lo precedeva rallentò e lampeggiò la freccia, l'imitò e nei pressi del paese, le due auto abbandonarono la statale, risalendo una stradina di campagna, fermandosi, infine, nello spazio convenuto. Lui parcheggiò sotto un olivo centenario, poi aiutò Tina a posizionare l'ispettrice in posizione corretta, sul sedile del guidatore. Gualtiero l'osservò: sembrava una bambola, aveva gli occhi aperti ma non vedeva, era pallida e un filo di sangue le rigava la fronte. Scrutarono attentamente la strada e i campi. Il silenzio era totale e in giro non si vedeva nessuno; allora, con forza, spinsero l'auto, con il motore ancora acceso, sul ciglio del burrone, e, dopo un'ultima sguardo ai dintorni, con una spallata la lasciarono rotolare di sotto. La Panda descrisse un arco e cadde di punta, centrò un pietrone, rimbalzò con rumore di ferraglia, rotolò più volte, e in fine, arando il terreno, si arrestò sul fondo, con le ruote all'insù. Loro due risalirono in fretta sulla Twingo e si allontanarono in direzione di Taranto. Lei guidava in silenzio, con gli occhi fissi sulla strada, lui era sconvolto, non riusciva a capacitarsi di aver veramente partecipato a un omicidio. Il terrore lo prese. -E se non fosse morta? - balbettò, rompendo il silenzio. -Impossibile, dev'essere morta già quando l'ho colpita, ho sentito d'averle spaccato la testa, e poi nessuno potrebbe sopravvivere a quel volo, mi dispiace invece che sia morta subito, senza soffrire - replicò lei cupa. -Vabbé, sarà morta, ma se per caso fosse sopravvissuta? - insistette lui. -Allora finiremo in galera - rispose Tina, contrariata. -Però non ci ha visti nessuno, come potrebbero accusarci? - pensò l'uomo ad alta voce. Si fermarono sotto un albero, dietro una palazzina giallina a tre piani. Salirono due rampe di scale, e, sul pianerottolo, una ragazza le volò tra le braccia, si baciarono sulla bocca con passione; poi, in cucina, Tina fece le presentazioni. -Lui è il mio amico di Torino di cui ti ho parlato, è più di un padre per me, lei è Niki, la mia fidanzata. Sbalordito, rispose meccanicamente: -Piacere! La ragazza avrà avuto vent'anni, era bionda ossigenata, con i capelli tagliati a spazzola, indossava una maglietta aderente, e jeans corti inguinali che le mettevano in evidenza le cosce levigate; aveva gli occhi verdi incorniciati da sopracciglie nere, era scalza, con le unghie laccate di viola. -Delle due chi farà il maschio? - pensò Gualtiero, stupidamente, mentre, seduto su di un divano, ascoltava Tina che raccontava all'amica i particolari dell'impresa, tenendola affettuosamente per mano. Più tardi Tina e la sua fidanzata lo accompagnarono all'aeroporto. Riuscì a prendere l'ultimo aereo per Milano, dormì profondamente per tutto il volo, e, poco prima di mezzanotte, era già a Novara a rimuginare tra sé sull'accaduto, con un misto di orrore e di eccitazione: -Sono diventato un assassino per lei... e poi... lei è omosessuale, anche a lei piacciono le donne, e io che mi ero fatto tutto un altro film, e infine, per la prima volta, mi ritrovo da solo nella casa che ho sempre diviso con Loredana. Si addormentò che cominciava ad albeggiare. Elisa gli chiese, con fare premuroso, notizie del viaggio, poi, si scusò che doveva andare dal parrucchiere. Gualtiero telefonò a Loredana, lei gli rimproverò di non essersi fatto vivo prima, e si accordarono per vedersi. La vita riprese a scorrere come se a Taranto non fosse accaduto nulla che avesse potuto riguardarlo, ma, la settimana successiva, fu richiamato bruscamente alla realtà. Dentro una busta, trovò, ripiegata, una pagina di un giornale locale, e, cerchiato in rosso, un articolo parlava di un grave incidente accorso alla nota ispettrice capo della Polizia di Stato di Taranto Rosa Mannino. La donna era uscita di strada per motivi ancora sconosciuti, forse un malore, e ora, era ricoverata, in stato di coma e in condizioni disperate, nel locale Ospedale Maggiore. La polizia, agli ordini del vice questore Musumeci, stava indagando a trecentosessanta gradi, senza escludere nessuna pista. Rilesse più volte il trafiletto e la nota a pié di pagina di Tina che suggeriva di non usare il telefono, né internet, che potevano essere sotto controllo. -Siamo fatti! - pensò disperato, poi cercò di calmarsi -la donna era in coma e forse non ne sarebbe più uscita, e poi perché avrebbero dovuto risalire a loro? -Qualcuno potrebbe averci visto - si rispose -ma era buio e non c'era nessuno in giro... E se ci fosse stata una vecchietta alla finestra? insistette per farsi del male -Basta, non voglio impazzire! Decise di non pensarci. -Sarà quello che sarà, al fato non si comanda, tutto è già scritto, possiamo soltanto sperare che sia un lieto fine. Elisa gli ricordò che c'era una busta per lui nella posta, rispose di averla già aperta, era una pubblicità. -Chi sa dove mi manderanno a scontare l'ergastolo - pensò, uscendo di casa. Loredana aveva preparato un eccezionale arrosto. -Perché non mi hai detto di essere stato qui senza di me? - chiese, mentre Gualtiero assaporava la carne dorata. Il boccone gli andò di traverso, bevve un po' di vino, poi rispose che non era vero, non c'era mai stato da solo. -Eppure qualcuno è stato qui, allora devi far cambiare la serratura, magari il proprietario ha una copia ed è venuto a curiosare. Poi preparò il caffé, lui desiderava qualcosa di forte da bere, magari una grappa. Nello stipetto adocchiò una bottiglia di vermuth. -Meglio di niente - pensò, sollevando la bottiglia. -Fermo, non bere! Lo gelò Loredana -nella bottiglia c'è dell'acido muriatico bello forte, per pulire i resti di calce e il bagno. -L'hai fatto apposta, hai deciso di ammazzarmi? - scherzò. -Ancora no, più avanti chissà? - rispose lei, mostrandogli la lingua. Pochi giorni dopo, chiamò l'avvocato per avvisarlo di aver ricevuto dalla ditta americana una risposta alla sua lettera in merito ai presunti danni provocati dal loro liquido, utilizzato dalla EDM, che avrebbe potuto leggere sulla sua e-mail, dove gli aveva girato la traduzione italiana. Gualtiero accese il computer e lesse: Egregio avvocato, E' sempre con piacere che rievochiamo gli anni pionieristici dei primi computer commerciali quando la EDM era l'azienda leader del mercato e noi fornitori, assieme a lei, ne condividevamo la gloria. Specialmente oggi che il progresso, grazie all'accelerazione impressa alla tecnologia proprio da quelle macchine, ha generato il mondo che conosciamo, della comunicazione di massa, dell'esplorazione dello spazio e della moderna medicina. Ma, come ogni medaglia cela alla luce l'altra metà, anche il progresso a volte nasconde insidie impreviste, e i nuovi prodotti possono, nel tempo, rivelarsi pericolosi. Però l'incertezza non può arrestare il progresso, semmai, essere di sprone a migliorare la sicurezza. Tornando al suo quesito, non posso darle una risposta in quanto non ci risultano pervenute lamentele sui lubrificanti di quel periodo. La ringraziamo comunque della segnalazione, e la invitiamo a comunicarci qualsiasi osservazione in merito; da parte nostra le promettiamo di tenerla aggiornata su ogni eventuale novità. Ringraziandola ancora della collaborazione, cogliamo l'occasione per inviarle i nostri più distinti saluti. Firmato..... Telefonò all'avvocato per commentare la lettera, che secondo lui non lasciava sperare nulla di buono. -Al contrario - rispose l'altro -è una risposta positiva, proprio il genere che confidavo di ricevere, sono aperti a una trattativa. -Se lo dici tu... ma io proprio non le vedo queste aperture - insistette l'altro dubbioso. -Fidati di me, vedrai che presto ci offriranno quattrini, ciao - e concluse la conversazione. Cercò, allora, su Internet notizie fresche della Mannino. Su un giornale locale trovò un trafiletto che informava il suo scarso pubblico sulle condizioni di salute dell'eroica ispettrice capo di polizia. La poveretta lottava ancora tra la vita e la morte, ma i medici erano ottimisti e speravano in un suo prossimo risveglio, purtroppo la donna aveva subito danni gravissimi alla spina dorsale, e, semmai si fosse risvegliata, l'attendevano anni di cure e riabilitazione, senza alcuna speranza di tornare a camminare. Gualtiero continuava a sperare, invece che non si risvegliasse più, e cercava di non pensarci. A Novara, insieme, ancora nel loro letto, Loredana dava ragione all'avvocato: -Ma certo! Se non avessero voluto lasciare dubbi sulle loro intenzioni, ci avrebbero inviato uno scritto più secco e formale, invece rispondono in tono quasi amichevole e un po' nostalgico, lasciando capire di voler preservare gli anni gloriosi dell'egemonia dell'EDM da qualsivoglia dubbio o macchia di peccato. Credo proprio che non desiderino che si parli di veleni e morti tragiche tra gli invidiati utilizzatori delle mitizzate macchine. -Il ragionamento non fa una piega... spero tu abbia ragione, un po' di soldi ci farebbero comodo, dài, facciamoci due passi e poi andiamo a festeggiare la buona notizia nel ristorantino in fondo al parco, quello che ti piace. Al dolce, ammirava il viso di Loredana, aveva la pelle perfetta e rare rughe sottolineavano il suo sorriso, gli venne ancora desiderio di lei. -E se ci mettessimo insieme? - propose l'uomo, perso nei suoi occhi. Lei lo fissò con affetto: -Rovineremmo tutto - rispose -noi stiamo bene così, perché perennemente in vacanza. La quotidianità ucciderebbe la favola bella. Tu hai una moglie che ti ama e ti sopporta, io convivo con una persona che mi vuole bene e che stimo. Lasciamo le cose come stanno e godiamoci l'attimo fuggente, anzi, se ci sbrighiamo ci facciamo un bis, a te va? Quando rincasò era sera ed Elisa era inquieta. -Quanto durerà ancora questa storia, questo inseguire fantasmi del passato senza costrutto? Io sono stufa. -Ma che dici, senza costrutto? Ho giusto incontrato l'avvocato, che conduce la trattativa, che mi ha assicurato che la multinazionale è in procinto di offrirci un bel gruzzolo, per chiudere la faccenda. -Hai visto l'avvocato? -Sì, te l'ho detto. -E dove? -Cos'è, un interrogatorio? Non ho nessuna voglia di starti a sentire, me ne vado a fare due passi - e uscì sbattendo la porta. Camminò nervoso sotto i portici illuminati, allontanò il pensiero fastidioso che Elisa sapesse di Loredana, poi pensò a Tina, ma ormai, dopo lo shock della rivelazione della sua omosessualità, lei aveva perso l'attrazione, fatta eccezione per una certa curiosità che continuava a solleticarlo, avrebbe voluto fare da terzo tra le due. Poi, gli tornò, invece, in mente la Mannino, un demonio con sembianze d'angelo, rammentò, con desiderio, il suo viso, le gambe sode e le sue mutandine bianche, che aveva intravisto, mentre, inerte e morbida, la sosteneva tra le sue braccia. Rincasò dopo un'ora, Elisa era tornata quella di sempre, sorridente e un po' distante, cenarono tranquilli e, poco dopo, lei lo lasciò davanti alla tv, lamentando di essere stanca e di avere mal di testa. Trascorse il fine settimana con Elisa e i suoi amici, con cui avevano viaggiato a Petra. La sera del sabato, erano a tavola in un noto ristorante, specializzato in piatti piemontesi. Rosaria era dimagrita e valorizzava il nuovo giro vita indossando un'ampia gonna, vagamente anni 50, Carlo, con la pelata più accentuata, snocciolava barzellette. A tavola si parlò di vacanze che avrebbero voluto trascorrere insieme, e, alla fine, brindarono al loro nuovo viaggio, a Merano e dintorni, una settimana in Tirolo. Il lunedì successivo, intorno alle undici, ricevette una telefonata da parte dell'avvocato che, con tono trionfale, annunciò che gli americani, per merito suo, offrivano ben cinquantamila euro per acquistare il suo silenzio. -Splendito! - rispose -e chiedere qualcosa in più, almeno per coprire la tua parcella? -Già fatto, i cinquantamila sono tutti tuoi - gridò l'altro soddisfatto. -Allora va bene, firmiamo e prendiamoci l'assegno! Gualtiero decise di rivelare la buona notizia a Loredana, il prossimo giovedì. Accese il computer e, con un po' di timore, si mise alla ricerca di notizie sull'ispettrice. Non trovò niente, scorse però un articolo che parlava dell'acciaieria, dell'inquinamento, e di tafferugli, prontamente sedati dalla polizia, causati da un presunto gruppo di anarchici ecologisti che avevano la loro base operativa nel popolare quartiere di Tamburi. Infine, lesse un trafiletto che lo lasciò di sasso: “Una nuova vittima della Statale della Morte, la professoressa Maria Tina Catapano, assistente del noto prof. dott. Lo Russo, titolare della cattedra universitaria di Filosofia del Diritto e noto avvocato patrocinante in Cassazione, ha perso la vita sulla Statale Ionica, uscendo di strada al km 38, si presume a causa di una fatale distrazione o per un colpo di sonno. I funerali si svolgeranno venerdì nella chiesa di San Domenico, al termine dell'autopsia di rito; la strada Ionica rafforza ancora una volta il suo triste primato di incidenti mortali su tutte le altre principali arterie del Meridione d'Italia....”. -Morta? - si domandò -come sarà successo? - meditò se telefonare alla sua amica Niki, poi scartò l'idea, così pure rinunciò a presenziare al funerale, decise infine di non fare nulla e si rassegnò al fato. Decise di disdire l'appuntamento. -Come mai non puoi venire? - domandò Loredana. -Perché ho avuto un lutto in famiglia, uno zio che non vedevo da anni, devo andare al funerale. Spostarono così l'appuntamento alla settimana successiva. Comprò dolce e champagne, scampanellò impaziente alla porta e, non ricevendo risposta, aprì con le sue chiavi. Lo accolse uno spaventato mugolio, si girò per capire da dove provenisse, e qualcosa gli piombò sulla testa, vide le stelle e la terra si fece molle. Quando rinvenne sentiva freddo, aprì cautamente un occhio e poi l'altro e allora lo vide, in piedi, le maniche della camicia rimboccate e la cravatta annodata al collo, il commissario Musumeci lo osservava dall'alto, con aria annoiata e braccia conserte. Dal divano, giungeva un ansimare continuo e lamentoso. -Ben arrivato, te la sei presa comoda! Non ti dispiace se, per ingannare l'attesa, mi sono intrattenuto un po' con la tua amica che, come puoi sentire, ancora geme di piacere. Gualtiero cercò di reagire, e solo allora si rese conto di essere nudo e immobilizzato. Era in ginocchio con le mani avvinte alle caviglie, la stessa posizione cui era stata obbligata Maria Tina. Il commissario, nel frattempo, si era avvicinato, stringendo tra le braccia un corpo nudo, che depose delicatamente sul pavimento. Era Loredana, con la bocca coperta da un vistoso nastro adesivo, anche lei immobilizzata secondo lo stesso rituale. -Quando sei arrivato, stavo giusto terminando un bel disegno sulla pelle bianca della tua amica, completo l'opera e mi occupo subito dopo di te. Ciò detto, il commissario raccattò dal pavimento un tubo di gomma lungo circa un metro, sfiorò con un dito le striature che solcavano la pelle della donna, che, soltanto ora, Gualtiero poté notare. -A me piace la simmetria, un lavoro ben fatto dev'essere preciso diceva tra sé il commissario, e, presa la mira, schioccò il tubo su una parte che, a suo parere, mancava ancora della giusta definizione. La donna si lamentava, e sobbalzava a ogni colpo. -Non bisogna mai farsi influenzare dalle grida, o dai pianti, ma badare soltanto al risultato. Guarda qui, sulle cosce, su una ci sono cinque righe parallele, sull'altra, tre che s'intersecano, bisogna correggere - disse colpendo con forza. -Lasciala stare - gridò Gualtiero -sei un porco, farai la fine della tua puttana! Musumeci interruppe il suo lavoro, staccò un lembo di nastro adesivo e, con precisione, gli tappò la bocca, e poi tornò a occuparsi di Loredana. -Rosetta era tutto per me - diceva lui, tra un colpo e l'altro -le avevo insegnato a diventare un bravo poliziotto, e a letto sapeva come farmi contento, ora non c'è più, è peggio che fosse morta, è diventata una povera invalida, tre fratture scomposte alla spina dorsale. Ho giurato di vendicarla. La tua amica lesbica ha già pagato e, ti assicuro, che avrebbe preferito non essere mai nata, e tra breve sarai tu a desiderarlo. Loredana non si lamentava più, la sua pelle color avorio, di cui menava vanto, era diventata giallina, con striature rosse e viola, il viso, invisibile, era reclinato sul pavimento, le spalle scosse dal pianto. Musumeci aveva l'aria stanca, e, gettato in terra il gommino, si raddrizzò, ruotando il capo più volte, poi, guardandosi intorno, si grattò in testa. -Ma in questa fottuta casa non c'è un wisky, un cognac? E lo spumante s'è pure rotto... Si voltò verso l'angolo cucina, aprì gli stipetti, e, dopo una rapida ricerca, vide la bottiglia. -Il vermuth è roba da fimmine - disse, sollevando il vetro scuro -ma è sempre meglio di niente. E tracannò un lungo sorso. Lanciò un urlo da bestia ferita, la bottiglia cadde sul pavimento, lui si attaccò al rubinetto, ma, anziché acqua, sembrò ingurgitare benzina, dalla sua bocca si sprigionò una vampata rovente, sembrava un drago dei fumetti, annaspò in direzione della porta, e si precipitò giù per le scale. Restarono soli, impossibilitati a muoversi e a comunicare; potevano soltanto guaire sperando che qualcuno, nelle vicinanze, potesse udirli, ma il palazzo sembrava deserto. Poi, improvvisamente, la porta d'ingresso ruotò silenziosa, ed Elisa, guardinga, si affacciò. Lo vide, impallidì e gli fu accanto, osservò, sorpresa, Loredana nuda accanto a lui, ebbe un moto di stizza, e, con violenza, gli strappò l'adesivo dalla bocca. Gualtiero sentì un male boia, e gli scappò un'imprecazione, mentre lei, intanto, liberava la bocca dell'altra. -Grazie - le disse -e ora prendi un coltello affilato nel cassetto della cucina, e liberaci dai lacci. -Il coltello te lo pianterei più volentieri nel cuore - disse lei, tagliando la fune che lo stringeva. Più tardi, spalmava, in silenzio, un po' di crema sulle ecchimosi gonfie di Loredana, che gemeva sotto il tocco delle sue mani. -Allora, mi raccontate cosa è successo? - domandò infine sua moglie -si può sapere chi vi ha conciati così? -Non lo so - rispose Loredana con un filo di voce -un uomo mi si è avvicinato sul pianerottolo chiedendomi qualcosa, poi, mi ha tramortita, legata, e violentata, e, infine, non contento, mi ha pure frustata, riducendomi in questo stato. Gridava che doveva vendicare una sua fidanzata, era completamente fuori di sé. Infine, si è tracannato una bottiglia di acido muriatico. -E ti sta bene! Dovresti sapere che fare l'amante è pericoloso, potevi anche finire peggio - disse con odio Elisa -e ora il pazzo dove sarà andato? -Per conto mio spero sia morto, avrà cercato di raggiungere una farmacia, un pronto soccorso. Però, tu hai ragione, scusami, la nostra è stata una follia, una fuga dalla realtà, una relazione che è durata anche troppo; per quanto mi riguarda, è finita, io torno a casa mia e ho voglia solo di dimenticare, ma tu, se ci riesci, perdonalo, lui ama solo te ansimò Loredana. Gualtiero guardò sua moglie, speranzoso, e decise di tenere segreti l'identità dell'uomo e gli avvenimenti di Taranto. -Lui ama solo se stesso - rispose Elisa -anche per me la storia è finita. Poi, rivolta verso di lui: -Sei un poveretto, mi fai pena, restatene qui a Novara e telefonami per venire a ritirare la tua roba - concluse, guardandolo con odio. Capitolo IV Gualtiero comprò il giornale e si sedette su di una panchina, accanto ad altri tizi anziani che leggevano assorti, forse per evitare indesiderate socializzazioni. Nella pagina della cronaca locale, un riquadro attirò subito la sua attenzione: “Misteriosa morte di un funzionario della Polizia di Stato. Il Vice Questore Rosario Musumeci in forza alla Questura di Taranto si è suicidato ingerendo una mortale dose di acido muriatico, presumibilmente, nella tarda mattinata di ieri. Sconosciuto il movente e il motivo che abbia spinto l'integerrimo servitore dello Stato a scegliere la nostra città per attuare il suo folle gesto. Il riconoscimento è stato possibile grazie ai documenti custoditi in una tasca dei pantaloni; non è stata invece rintracciata la giacca e la pistola d'ordinanza”. Gualtiero pensò di dare una mano alla risoluzione del caso. Non visto, lasciò, appallottolata, assieme alla pistola e alla bottiglia vuota dell'acido, la giacca di Musumeci, dietro lo schienale di una poltrona della sala d'aspetto della stazione ferroviaria. Elisa fu inflessibile, cambiò la serratura e non si fece impietosire dalle promesse di suo marito. Lasciò che ritirasse alcune cose, e gli augurò buona fortuna. Loredana, da parte sua, mantenne la promessa e non volle più vederlo. I giornali, in breve, non si occuparono più di Musumeci, della Mannino e tanto meno di Maria Tina. Sugli avvenimenti calò l'oblio, e anche Gualtiero decise di dimenticare. Cercò di adattarsi alla sua nuova dimensione di single: pasticciava in cucina, frequentava il supermercato, andava al cinema e, la sera, si addormentava davanti alla tele. Ma, con il passare del tempo, aumentava il suo senso di solitudine e il peso dei rimorsi. Gli mancavano Elisa e la sua casa. Improvvisamente, comprese che avrebbe dovuto fare qualcosa per non impazzire. Una mattina di sole, mentre nel parco gettava del mangime a un merlo con cui aveva stretto amicizia, e che ringraziava fischiettando, ebbe, a un tratto, una visione, gli sembrò di riconoscere Ciccio che gli veniva incontro, lungo un'aiuola fiorita. Lo guardò sbalordito e l'altro contraccambiò con aria interrogativa. -Buongiorno, ci conosciamo? - disse il sosia di Ciccio, quando gli fu vicino. -Buongiorno a lei, mi scusi, la fissavo perché somiglia molto a un mio vecchio amico - rispose. L'altro sorrise e si allontanò lungo il sentiero. Allora, come in un flash, gli tornarono in mente i colleghi di Taranto, Janni, Carlo, ed Elio, e gli venne voglia di avere notizie dei loro famigliari, assieme ai quali, con Elisa, avevamo condiviso tanti momenti lieti. Al telefono gli rispose la voce di un bambino che disse di attendere la nonna, poi, riconobbe il “pronto” di Antonia e anche lei lo riconobbe. Lo invitò a casa sua, nell'astigiano. Arrivò all'ora di pranzo. Gli venne incontro una signora rotondetta, con i capelli grigi naturali. La riconobbe soltanto perché sapeva di essere atteso, lei si era risposata con un medico veterinaio della zona, aveva due figli, il primo, quello di Janni, lavorava in America, mentre la seconda, figlia del veterinario, l'aveva resa una nonna felice. -E allora tu cosa mi racconti, dopo tutto questo tempo, Elisa sta bene? chiese lei, al termine del suo monologo, mentre portava in tavola una fumante pastasciutta. -Sì, lei sta bene, e anch'io. Lei insegna mentre io sono ormai in pensione, potremmo goderci la vecchiaia, però con Elisa, ultimamente ci sono state delle incomprensioni, confido di riuscire a riconquistarla. -Vecchiaia? Ma se sei più sexy che mai, non me la conti giusta, scommetto che hai qualcosa da farti perdonare, insisti con Elisa, sai come siamo fatte noi donne amiamo farci pregare. Poi, riferì di essere ancora in contatto con Maria ed Elena, le vedove di Carlo ed Elio, la prima si era ben accasata con un industriale del varesotto, mentre la seconda, rimasta sola, si barcamenava facendo le pulizie in casa di conoscenti, aiutata dalla figlia; disse, invece, di non avere notizie di Michela, la moglie di Ciccio che doveva essere ancora a Bergamo. Si lasciarono giurando di rimanere in contatto, le disse che avrebbe riferito a Elisa dell'incontro, e lei lo pregò di portarle i suoi saluti. Sull'elenco telefonico di Bergamo scovò un cugino di Michela che seppe dargli il suo recapito, lei abitava a Milano, risposata con un nobile, conte o marchese, pieno di soldi, che produceva vini costosi. Le telefonò, rispose una cameriera che, con leggero accento spagnolo, lo pregò di richiamare, in quanto la signora aveva lasciato detto di non esserci per nessuno. Lasciò il suo nome e numero di telefono. Chiamò quella sera stessa, lei era stranamente allegra e spigliata. -Scusami se non ho risposto alla tua telefonata - disse -mi ricordo di quella volta che mi portasti un grande mazzo di rose... ma sì che mi facevi il filo allora, non arrossire, ti prego, confesso che le ho gradite molto le tue rose... ma torniamo al presente, mio marito gradirebbe conoscerti, vorresti accettare il mio invito a cena, diciamo per il prossimo sabato? Gualtiero si presentò con un mazzo di fiori, la casa era ubicata in centro, in zona Duomo, in un palazzo d'epoca, la cameriera che aprì la porta, era una mulatta alta, snella, con il grembiulino e la crestina fra i capelli crespi; la seguì ammirando le sue gambe affusolate. Michela salutò come se si frequentassero da sempre. Lo abbracciò con entusiasmo, e, baciandolo sulle guance, gli si strinse addosso. Lui respirò il suo profumo, sapeva di gelsomini e tuberose, si guardarono, lei era bionda con i capelli corti, una bella donna sui cinquanta, portati benissimo, che, però, non somigliava per nulla alla Michela che ricordava, aveva il ventre piatto e spalle toniche, il viso era radioso e gli occhi verdi scintillavano maliziosi. Indossava un abito scollato che lasciava intravvedere il seno sodo. Il marito era un bell'uomo, alto e massiccio, con qualche anno in più di Gualtiero. Si presentò come Orso Maria, Marchese Gianola di Peyre, appartenente a un ramo cadetto della più nota casata, come ci tenne a precisare, e Peyre era una frazione nell'Oltrepò Pavese, dalle parti di Casteggio, dove produceva i suoi vini. A tavola, ci raggiunse il cuoco che ci descrisse i piatti che aveva preparato, consigliando l'abbinamento con i vini. La cena fu piacevole, il cibo ottimo, la conversazione brillante, e Michela deliziosamente provocante; Orso, che volle subito che si dessero del tu, sembrava bonario e protettivo. Il cuoco, a conclusione, portò una deliziosa mousse di frutti di bosco profumata al cointreau. Passarono in salotto per il caffé e, a seguire, fu servito un rhum eccezionale di oltre venti anni. Gualtiero si sentiva bene, euforico e in piena forma. Il Marchese si accese un sigaro cubano, poi, dopo un preambolo filosofico molto noioso, disse di essere un uomo di idee avanzate, di avere con Michela un rapporto di complicità speciale e che lui, quella sera, era il fortunato prescelto. Gualtiero lo fissò con aria interrogativa, non capiva cosa intendesse veramente. Michela seguiva distratta la converazione, si guardarono, e subito avvertì il suo piedino risalire lungo la sua coscia e infine premere tra le sue gambe. Orso, intanto, proseguiva: -Il mondo è bello perché è vario, ognuno ha le sue preferenze, non è necessario consumare un rapporto sessuale completo per soddisfare la propria voglia di piacere. Per quanto mi riguarda, il mio maggior godimento lo raggiungo nel vedere mia moglie costretta a soddisfare le voglie di un altro, io non intervengo, mi limito a guardare e, quando la cosa merita, mi masturbo. Stasera Michela ti ha scelto perché, dice, che una volta la desideravi e ora, dopo tanto tempo, puoi averla, com'è adesso, ma anche ricordandoti com'era. Gualtiero seguiva attento, chiedendosi se facesse sul serio. Lei si umettò le labbra sporgendo la lingua, mentre, con le dita del suo piedino, sollecitava il suo membro, ormai sull'attenti. -Per me sta bene - rispose Gualtiero emozionato -mi riterrei fortunato, però non vorrei deludervi, non mi sono mai esibito in locali porno... -I patti da rispettare sono due, discrezione, come è ovvio, e prestazioni non banali, devi essere capace di eccitarmi, per intenderci, nessuna posizione del missionario e, poi, arrivederci - concluse il marchese. Rispose di sì, che aveva capito. Si avviarono, Orso precedeva sua moglie, per un lungo corridoio illuminato da candelabri di cristallo; si strinsero in un ascensore cromato che salì di un piano, aprendo le porte all'interno di una camera spaziosa, arredata con un grande letto tondo al centro, e, nell'angolo, una doccia di cristallo, bidet e wc. Due ampie finestre erano oscurate con tende di seta blu fermate da pesanti cordoni di velluto. D'istinto, Gualtiero cominciò a imitare Musumeci, anche nell'accento siciliano. -Puttana! - ingiuriò la marchesa -spogliati che devo perquisirti, la roba l'avrai nascosta addosso. Lei s'immobilizzò e guardò il marito, che assentì con il capo, allontanandosi nell'angolo, dove sedette sul wc. Michela si sfilò lentamente il vestito, mentre l'altro raccoglieva i cordoni delle tende. Rimase in piedi, coprendosi i seni, un po' intimidita, con indosso soltanto un perizoma nero e le calze autoreggenti. -Togliti le scarpe e accucciati come se dovessi fare pipì - le ordinò. Lei eseguì in silenzio, mentre il marito seguiva attento i suoi movimenti. Lui si avvicinò e la immobilizzò, unendo i polsi alle caviglie, come aveva imparato a sue spese. Le accarezzò i seni, giocò un po' con i capezzoli eretti, era calda e bagnata, sfilò la sua cintura di cuoio, che sollevò in alto, con gesto teatrale, per la gioia del pubblico. Il marchese, eccitato, estrasse il suo nobile uccello, che, alla luce, si rivelò però drammaticamente indeguato alla sua mole e al lignaggio. Schioccò il primo colpo, lei sospirò dimenando i fianchi; Gualtiero prese la mira e con maggiore decisione iniziò a batterla sistematicamente, risalendo le cosce e i glutei. Lei urlava a ogni schiocco, allora Gualtiero le sollevò il viso e la schiaffeggiò, finché tacque, poi proseguì sulla schiena. Quando raggiunse le scapole si soffermò a controllare la simmetria dei lividi, respirò l'odore dolce che emanava la sua pelle accaldata, e subito l'erezione divenne insopportabile, eseguì qualche ritocco, poi, si volse verso il marchese, che con gli occhi sbarrati rigirava tra le mani il suo fagiolino. -Sì, Sì, bravo, ancora! - lo incitò Orso Maria. L'altro, allora, raccolta una bottiglia di champagne semivuota, la vuotò con un solo sorso, strappò il tanga di Michela, la cercò tra le cosce, lei ruotò le natiche e, mugolò, aumentando le sue secrezioni, impaziente di essere presa. Accovacciato dietro di lei, Gualtiero, invece, le cacciò il collo di vetro nella vagina e poi nell'ano. Orso Maria applaudiva, mentre Michela singhiozzava. -Non hai voluto fare l'amore, hai voluto soltanto umiliarmi, perché? E, mentre lei piagnucolava con il trucco sbavato, il marito se lo menava, beato. -Splendito, così mi piace, adesso sodomizzala, dàì fammi vedere, riempigli il buco alla troia - incitava il marito. Eseguì senza farsi pregare, e sprofondò nel budello elastico; lei sembrava impazzita, gridava e si contorceva, il marchese, seduto sul water, sudava, paonazzo. Alla fine vennero tutti insieme, con un unico grido liberatorio. Poi, Orso si accostò a sua moglie, offrendole in premio la sua virilità assopita, e mentre lei succhiava golosa, lui scorreva curioso il polpastrello sulla pelle arrossata della moglie, alla ricerca delle ecchimosi più pronunciate. Poi, finalmente, soddisfatto, la liberò dai lacci e si chinò a cercarle la bocca. L'ascensore li ricondusse al piano inferiore, dove si fermarono a bere un ultimo cognac, e, infine, si salutarono con la promessa di rivedersi presto. Gualtiero si allontanò nella notte, e, alla stazione, attese il primo treno per Novara, seduto nella sala d'aspetto, ripensando agli ultimi avvenimenti. Si sentiva un verme, del tutto simile alla Mannino e a Musumeci, e quindi, meritevole di fare la loro fine, anche se, a sua discolpa, si diceva d'aver agito su sollecitazione di persone adulte e consenzienti. Però, concludeva di non poter negare di averci trovato piacere, e di avere già voglia di riprovare. Finalmente arrivò il treno e, dopo un'ora, si infilò nel letto. Cadde in un sonno agitato, sognò Ciccio, era seduto vicino alla console del 9000. -Ciao, come stai? - gli chiese -stasera, ricordati, ci vediamo a cena a casa mia, Michela ha detto che vuole parlarti di qualcosa che mi sfugge, ultimamente è diventata strana. Ha organizzato con Elisa, cerchiamo di non fare tardi e non ti scordare di comprare il vino. Poi la vidi, era nuda, con la pelle arrossata dai colpi, con gli occhi chiusi, ripeteva: -Mi hai fatto male, ma è stato bello, ho goduto tanto... lo desideravo da sempre. Telefonò un po' timoroso; Elisa, invece, rispose, con voce tranquilla e quasi affettuosa, come se, tra loro, non fosse successo niente. Gli ricordò di mettere sul letto un coperta, perché la notte cominciava a fare fresco. Lui le raccontò di aver incontrato Michela e Antonia che le inviavano saluti, e di aver saputo che purtroppo Elena non se la passava bene dal punto di vista economico. -Sempre meglio di vivere con un marito puttaniere - rispose lei. Per rabbonirla, le disse, che avrebbe ricevuto cinquantamila euro da parte degli americani, e che con quei soldi potevano farsi un bel viaggio. -E' meglio che li conservi per la vecchiaia -gli rispose lei, secca -pagare medicine e badanti costa caro - poi proseguì -E non credo alla storia del matto, quello era un poliziotto di Taranto, perché ti cercava? E sono certa di averlo visto qui, sotto casa, ci sorvegliava. Non sono stupida, ti prego, dimmi la verità, oppure non cercarmi più. A Gallarate chiese informazioni a un prete, superò la zona industriale, proseguì per viottoli pieni di rovi, e finalmente si arrestò sullo sterrato polveroso di una cascina. Era una vecchia casa decrepita, sulla porta, una donna in jeans l'osservava con un bel sorriso. Si abbracciarono, lui riconobbe i suoi occhi neri, e il suo sorriso; lei l'invitò a entrare. Rievocarono gli anni di Taranto, gli parlò della malattia di Elio, di quanto s'erano amati e del suo desiderio di non risposarsi. -Sai in quanti mi hanno fatto la corte? ma io non ho voluto nessuno, avevo deciso altrimenti. Poi gli raccontò di sua figlia Eleonora, laureata in psicologia, che aveva cercato inutilmente lavoro, e ora, insieme, facevano le pulizie nelle abitazioni di amici e conoscenti. L'avrebbe incontrata a pranzo. Lo condusse a visitare la cascina, nella stalla allevava galline. Ne accarezzò una che le era corsa incontro. -Questa è Bianchina, non mi fa mai mancare il suo uovo. Per pranzo frittata con le verdure e risotto alla milanese - disse rientrando in casa. Poco dopo arrivò sua figlia, una bella ragazza di venticinque anni, alta, castana, con gli occhi della madre e il viso, un po' spigoloso di Elio. Si sedettero a tavola e la ragazza mangiò tutto con appetito. Lei parlava in continuazione e la mamma la osservava. -Mamma, da sola non ci voglio più andare a lavorare, c'è sempre qualche bavoso che mi importuna, pensa che oggi mi ha fatto proposte oscene addirittura il signor Vincenzo, che mi potrebbe essere bisnonno, non basta indossare la tuta e non truccarsi - si lamentava la ragazza. -Che ti ha detto? Che sei una bella ragazza, che magari vorrebbe toccarti? Fagli una risata e mandalo via! Quando sei da sola, non dare confidenza a nessuno, e rispondi educatamente. Non sei più una bambina e tua madre non può seguirti sempre. Sai quanti ci hanno provato con me? E a tutti ho risposto picche, ma con buone maniere - concluse la mamma. Gualtiero sorrideva al battibecco, le guardava, erano belle entrambe, e gli venne voglia di fare qualcosa per loro. In autostrada pensava a cosa fare per aiutarle, non voleva regalare soldi, che forse avrebbero rifiutato, e che sarebbero serviti a poco. Gli sovvenne, allora,un detto di Mao che recitava, più o meno: “al popolo non bisogna dare il pesce, ma canne da pesca e l'insegnamento per l'uso”. Allora gli venne l'idea: finanziare una società di servizi, di cui sarebbe stato socio e amministratore. Telefonò a Loredana, lei si fece pregare un po', poi si sciolse, lui le disse che voleva aiutare la vedova di uno degli amici di Taranto. -Ti prego, aiutami a ottenere l'appalto delle pulizie da parte della tua ditta. -Va bene - lei promise -farò il possibile. Lui, allora, le disse che desiderava rivederla. Lei, un po' dispiaciuta, rispose che preferiva di no; raccontò di essere rimasta anche lei da sola, il suo compagno non l'aveva perdonata, e lei aveva bisogno di dimenticare quello che era successo. Gualtiero chiamò, poi, il signor Mario della Data General, che gli rispose d'avere giusto bisogno di una nuova impresa di pulizia e quindi di farsi vedere al più presto. Il giorno successivo, Gualtiero incontrò il suo commercialista pregandolo di aprire in fretta una società a responsabilità limitata per la fornitura di servizi alle aziende, con ventimila euro di capitale sociale, denominata “DuE-service srl”, come Elena+Eleonora. E dopo una settimana, tornò da loro. A pranzo, trovò risotto accompagnato da lesso di gallina. Al caffé, spiegò che le sue intenzioni non erano caritatevoli, ma commerciali, lui metteva il capitale e in cambio avrebbe tenuto il 40% del valore dell'azienda e loro il restante 60%, sarebbero state assunte, con un regolare stipendio e, a fine anno, avrebbero diviso gli utili in proporzione. Accettarono con entusiasmo e, come buon'auspicio all'iniziativa, arrivò, qualche giorno successivo, il contratto con la General Data di Mario. Comprarono un furgone usato, un Renault Cangoo in buono stato, attrezzature e materiali, e la DuE poté iniziare la sua attività. Gualtiero era soddisfatto della buona azione che si stava rivelando anche un affare; telefonò a Loredana per informarla delle novità e pregarla di sponsorizzarli, lei, probabilmente per farsi perdonare, assicurò il suo appoggio. Festeggiarono in un ristorante. Elena indossava una gonna vaporosa, aveva i capelli neri raccolti in uno chignon, gli occhi le brillavano come una bambina. La figlia vestiva sportiva, era allegra, abbarbicata a un giovane moro, disse che si chiamava Luca ed era il suo ragazzo. Al caffé parlarono della loro ditta, Gualtiero disse che ne avrebbe curato la promozione commerciale. Raccontò del suo lavoro precedente, Direttore Marketing di un'azienda di software, avrebbe potuto così rispolverare le sue vecchie conoscenze. -E adesso di cosa ti occupi? - chiese Eleonora, e subito la mamma la rimproverò di essere inopportuna. -Ma no, non ho segreti. La mia ditta è stata venduta e i nuovi proprietari mi hanno dato il ben servito, e io, con i soldi della buonuscita e della liquidazione, avevo deciso di attendere, in ozio, l'arrivo della pensione. Stare senza far niente però, alla lunga, diventa noioso e così, per merito vostro, sono tornato a lavorare. -Va bene, a patto però che prenda anche tu un compenso - disse Elena. -Ma sì, mi remunererò a percentuale, diciamo il 5% sui lavori procurati, per voi va bene? Tornò così in attività. La mattina si recava a Milano, incontrava clienti, qualche volta pranzava con Elena, e, in poco tempo, aveva di nuovo un fitto carnet di appuntamenti. Firmò, in tempo record, parecchi contratti e la DuE-srl, per far fronte al lavoro crescente, comprò un secondo furgone, e dovette assumere altri operai, tra questi anche Luca, il fanciullo di Eleonora, vittima anche lui della crisi. A Capodammo, brindarono al nuovo anno e ai primi dividenti. Elena gli fece visitare la cascina ristrutturata, che cominciava a somigliare a una villa. Eleonora, invece, avvisò la mamma che, con il nuovo anno, sarebbe andata a vivere con il suo ragazzo. Poi a mezzanotte si baciarono tutti sotto il vischio, brindando con champagne. Elena era allegra, ballarono stretti, mentre lei si scusava di aver bevuto un po' troppo. Poi l'accompagnò nella sua stanza, l'ex fienile, che, disse, avrebbe potuto usare a suo piacimento, gli schioccò un bacio su una gota e si allontanò, augurandogli la buona notte. Il giorno quattro di gennaio, mentre era sotto la doccia, sentì trillare il telefono. Era Orso Maria, si scusò degli auguri tardivi e lo invitò a festeggiare la vigilia della befana nel suo castello di Peyre. -A Casteggio prendi per Sant'Anna, al bivio segui il cartello, e dopo cinque chilometri gira a destra, vedrai il castello illuminato - disse brevemente. Gualtiero arrivò intorno alle diciannove, il castello era un più modesto palazzotto di campagna dell'ottocento, in pietra, di due piani, con una larga scalinata, circondato da un bel parco, dove si rincorrevano due grossi cani. Michela lo salutò affettuosamente; Orso Maria, che sembrava felice, gli fece visitare il giardino, chiamò i due cani che li seguirono scodinzolanti. Entrarono nella scuderia, Orso gli indicò un calessino che, disse, era ancora come l'aveva lasciato suo padre, i cavalli però non c'erano più, e le mangiatoie vuote, però alla pareti erano ancora appesi finimenti di cuoio, fruste e frustini e, su di uno scaffale erano allineati due paia di stivali ancora lucidi; insieme, poi, tornarono al castello e Orso Maria lo accompagnò nella sua camera. -Cena alle ventuno - disse, chiudendo la porta. Gualtiero percorse un cigolante parquet, coperto da tappeti persiani, seguendo una sculettante cameriera e fece il suo ingresso nel salone. Michela gli sorrise, assisa su un seggiolone a capo tavola, indossava una costosa camicia di seta bianca, di taglio maschile lunga fino ai piedi, stretta in vita da una catena d'argento, e, sul capo, sfoggiava un diadema nobiliare; all'altra estremità, sedeva Orso Maria, vestito di scuro, che, al suo apparire, si levò, indicandogli il suo posto. Un cameriere portò in tavola, su un vassoio d'argento, una maestosa aragosta, e versò dello champagne, Gualtiero, però, seguendo una sua fantasia, decise diversamente. -Nobile signore - esordì -vi ringrazio dell'onore riservatomi, accogliendomi nella vostra magione, debbo, però, declinare il vostro brindisi, finché non sia fatta giustizia al vostro onore. -Orsù, coraggio, ditemi cosa vi tedia - intervenne Orso Maria, stando al gioco. -Haimé, ben triste è il mio dovere, debbo purtroppo riferirvi che vostra moglie, la qui presente madonna Michela, è stata vista copulare con lo stalliere deridendovi. Perdonatemi l'ardire, ma l'amicizia che mi lega a voi esige che vi usi la massima sincerità, anche quando sia spiacevole. -Sgualdrina - sbottò il marchese -già una volta abusaste della mia clemenza, è ormai tempo che paghiate per le vostre colpe. Sarà il nostro nobile amico Gualtiero a decidere la punizione. Orsù, amico mio, cosa comandi? -La fedigrafa sia condotta nel luogo dove ha commesso adulterio disse, ispirato -nella scuderia, sulla coperta della cavalla. Orso Maria serrò, con una mano, entrambi i polsi di sua moglie e, strattonandola, si avviò nel parco. Lui li seguiva a poca distanza, il marchese sembrava veramente in collera e Michela arrancava sui tacchi per tenergli dietro. Nella stalla riprese in mano la regia. Staccò una fune arrotolata, e ordinò alla donna di spogliarsi. Lei eseguì come in trance, senza attendere il consenso del marito che, nel frattempo, si era seduto su una sella in disuso. Michela, intanto, con indosso i soli indumenti intimi, le calze autoreggenti e il diadema sbilenco sulla testa, attendeva il verdetto in equilibrio sui tacchi. Le legò i polsi con un capo della corda ruvida, che girò attorno alla vita sottile per poi scivolare in mezzo alle gambe, sul pizzo nero delle mutandine. La corda tagliò in due le grandi labbra, e, umida di piacere, proseguì, lungo il solco delle natiche, unendosi intorno al bacino. La guardò, si perse nei suoi occhi incantati, e, con un solo gesto liberò i seni dal loro contenitore, strinse tra le dita i capezzoli turgidi, strappandole gemiti di piacere, poi, afferrando la corda come una maniglia, sollevò la donna da terra, deponendola, dopo breve tragitto, accanto al calesse. E, mentre Orso Maria si menava il passerotto, la sospinse tra le stanghe, allungò la corda della maniglia, avvolse due funi, ripetutamente, alla base delle singole mammelle, che divennero due palloncini che sembravano in procinto di esplodere, e infine le liberò le mani. -Troia, stringi bene le assi, che devi tirare il carretto!- ordinò con voce secca -i comandi sono semplici, le briglie, che ti serrano i seni, indicano la direzione di marcia, la corda tra le gambe funge da freno, e la frusta, per incitarti ad andare. Staccò dal muro una sferza da carrettiere, salì a cassetta e le schioccò un colpo nel mezzo delle scapole e uno sui glutei. Partì a razzo, il calesse era leggero e lei palestrata, con i muscoli in piena forma. Tirò la mammella di destra e lei ubbidiente, cambiò direzione, poi, giunti nei pressi del marchese, serrò il freno. Lei si fermò di botto, e con una mano cercò di alleviare la fune che la tagliava in due. -Orsù marchese salite anche voi, non temete, la cavalla è robusta e ci condurrà entrambi. Orso Maria prese posto, continuando a ruotare tra le mani il suo pistolino. Un preciso colpo centrò il destriero sulle cosce. Il calesse ripartì di gran carriera, Michela gemeva di dolore e, forse, anche di piacere. Imboccarono un viale, e, lavorando di redini, la costrinse a eseguire alcune evoluzioni. Dopo un po', la donna cominciò a dare segni di stanchezza, la incitò sui fianchi e sulla schiena, ma la velocità continuava a diminuire. Rientrarono nella stalla con lento passo. Michela era madida di sudore, la schiena, agitata dal respiro affannoso, era segnata da strisce violacee. -Perdio! - diceva il marchese tirandosi il budello -montala subito, vedi che la bestia è in calore! Liberò il suo sesso, che premeva impaziente, e trascinò Michela verso la sella abbandonata sul pavimento, dove sedette. Tirò a sé le briglie, e lei obbediente s'impalò sullo scettro e partì al trotto, trasformandosi da cavalcatura a cavaliere. -Aspetti Gualtiero, non si è mai vista una cavalla senza la coda - disse il marchese. E, prendendo una spazzola con un lungo manico, tirò a sé la corda del freno, che, penetrando tra le labbra della donna, gli tagliò alla base il membro. Gualtiero dolorante, rallentò, con le mani, i fianchi della donna, cercando di alleviare la stretta della fune, mentre il marchese si faceva strada nel solco delle natiche. Michela, dondolando i fianchi, accolse con un sospiro il cilindro di legno fino alle setole, e ripartì di gran carriera, agitando al vento il nuovo ornamento. Più tardi, il marchese aveva l'aria soddisfatta, Gualtiero si sentiva svuotato, Michela, invece, rossa in viso e ancora ansante, disse che avrebbe voluto fare un bagno. -Prendiamoci qualche minuto - suggerì Orso Maria -ho un leggero languore che vorrei saziare con un prelibato pranzetto, comincerei con champagne e aragosta, appuntamento a tavola tra venti minuti. La cameriera avvisò che la signora marchesa si scusava, ma, in preda a mal di testa, non avrebbe partecipato alla cena. Più tardi, nel letto, mentre meditava sulla serata, la porta si aprì lentamente, era Michela in camicia da notte. Si avvicinò al letto e si coricò al suo fianco. -Sei matta, se ci scopre tuo marito ci fa impalare! - sussurrò, Gualtiero preoccupato. -No, stai tranquillo, è lui che mi manda, desidera esprimerti la sua gratitudine facendoti uno, spero, gradito dono. Sai, mi hanno posseduta in tanti, ma sempre sotto il suo occhio vigile, è la prima volta che mi concede a qualcuno senza essere presente, è un grande onore, in te deve avere riconosciuto la sua anima nera. -E io lo ringrazio, sono felice di stare con te, anche se avrei preferito che fossi qui per tua scelta, e lui, non è forse la mia anima nera? La nostra è un'unione voluta dal destino. -E chi ti dice, invece, che non sia stato opportunamente ispirato? Dai, stringimi, fammi sentire il tuo desiderio. Più tardi, facendo colazione, Orso Maria volle regalargli il suo orologio. -Prendilo, ti prego, voglio che tu porti su di te qualcosa di mio, come io porterò per sempre qualcosa di te, ci tengo molto alla tua amicizia, ti chiamerò io. Capitolo V A Pasqua, Eleonora annunciò la data delle sue nozze, ad agosto, in coincidenza delle ferie. Elena cominciò i preparativi, e, nella lista degli invitati, volle includere Elisa; Gualtiero approvò la sua decisione, curioso di rivedere sua moglie. L'aveva spesso nei suoi pensieri, fantasticava su un loro riavvicinamento, ma senza provare un vero desiderio, per quanto si sforzasse. Sarebbe, invece, tornato volentieri a far visita a Michela, ma l'invito del marchese tardava ad arrivare. Guardò l'ora sul quadrante dell'orologio, regalatogli proprio da Orso Maria, e pensò di prendere l'iniziativa, ma l'idea non gli sembrò opportuna. Avrebbe, però, potuto invitarli al matrimonio, almeno. -Michela, Elena, Antonia, ed Elisa erano state amiche. Una rimpatriata tra vedove, se non ci fossi ancora io a guastare la festa - commentò tra sé, ironico. A maggio fu firmato un contratto vantaggioso con la EDM, e Loredana sembrava quasi più felice di Gualtiero. Festeggiarono in un locale di Via Durini, lei continuava a guardarlo con aria interrogativa. Lui le disse che le era grato e che ci teneva alla sua amicizia. -Solo amicizia? - domandò lei, con occhi languidi. -Lo sai che ti amo e ti desidero - rispose allora l'altro, prendendole la mano. -Ah... Così va meglio, anche tu mi piaci, lo sai? Ma non corriamo troppo, restiamo così, soltanto cari amici, vuoi? -Non mi lasci scelta, va bene, però ricordati che vorrei di più. -Anch'io, rimarrà il nostro segreto. Quella sera restò a dormire da Elena, e il giorno successivo, assieme, si recarono dal direttore acquisti della EDM. Lessero il capitolato ad alta voce, e concordarono l'inizio della fornitura, la settimana successiva, quattro ore al giorno. Avrebbero dovuto assumere un nuovo collaboratore, pensò. Nel primo pomeriggio tornarono nella cascina, il cielo era sereno, gli uccelli cinguettavano, ed erano soli. Elena si ricordò che bisognava accudire le galline, accarezzarono Bianchina, che era corsa loro incontro, raccolsero le uova e pulirono lo spiazzo. Poi, terminato il lavoro, s'inoltrarono in un sentiero di campagna, tenendosi per mano, e camminarono fino al tramonto. A cena mangiarono frittata con le erbette, e, più tardi, seduti sul divano, si trovarono a rivedere un vecchio film, una commedia musicale con Doris Day. E, fatalmente, attratti da un muto richiamo, si abbracciarono e si baciarono, come nel film. Trascorsero la notte insieme, lei era appassionata ed esigente, desiderosa di recuperare gli anni di solitudine, e, incuriosita dal suo desiderio, con un brivido, incoraggiò le pulsioni nascoste dell'uomo, e, con gli occhi chiusi, gli offerse i seni, dove lui affondò i denti. Si addormentarono soltanto all'alba. Gualtiero si sentiva bene, in pace con sé stesso, capì che Elena era la donna giusta che aveva atteso da sempre. La guardò dormire, la trovò bellissima, la strinse a sé, le cercò i seni martoriati, lei sospirò e si avvicinò di più. Si svegliarono tardi, affamati e innamorati. -E se questa fosse davvero l'occasione per voltare pagina, iniziare una nuova vita? - pensava tra sé Gualtiero. La settimana successiva si trasferì da lei. Era felice come non ricordava di essere mai stato. Della sua nuova esistenza gli piaceva tutto, anche vivere in campagna. In breve, cominciò ad aiutare nell'orto, nel pollaio, in cucina e, infine, un giorno sostituì Luca, ammalato, a lavare le scale di marmo della EDM. Trasformò il vecchio fienile in un ufficio attrezzato di tutto e il mattino, seduto alla sua scrivania, cercava nuovi clienti e coordinava le attività. Elena, invece, si alzava presto per andare al lavoro, lei aveva preferito continuare a fare le pulizie in casa di alcuni vecchi amici e clienti. I mesi trascorsero in fretta, finché arrivò il giorno delle nozze di Eleonora. Per prime giunsero Michela e Antonia, al braccio dei rispettivi mariti. Erano truccate ed elegantissime, la prima indossava un abito esclusivo, di un noto stilista, color rosa tenue, l'altra aveva un tailleur grigio perla; Elisa era invece in ritardo. Le amiche chiacchieravano spensierate tra di loro. Gli uomini, invece, ascoltavano i discorsi di Orso Maria, che raccontava di feudi e castelli, di vino e belle donne. Arrivarono, infine, gli sposi, giovani e belli, che distribuirono confetti e baci, poi sedettero a capo tavola. Elena aveva organizzato il ricevimento all'aperto, nel giardino antistante la casa, addobbato per l'occasione, con vasi di fiori, e un lungo tavolo di legno, protetto dal sole da quattro ombrelloni bianchi. Il clima era mite e l'aria appena mossa, Il cibo, preparato da un noto catering, ottimo. Al secondo brindisi, i commensali, prendendosi una pausa, si sparpagliarono nel giardino in gruppetti, a conversare e fumare. Orso Maria avvicinò Gualtiero, aspirando un grosso sigaro. -Ciao! E' un po' che non ci si vede, come stai? -Bene, grazie. Non dovevi essere tu a chiamare? -Sì, è vero, scusa. Sai, dopo quella volta a Peyre, sono cambiato, e lo devo a te, prima, forse per viltà, preferivo guardare, affidando ad altri il compito di soddisfare il mio piacere, poi, ho capito che era ora che mi assumessi le mie responsabilità. Così, facendomi coraggio, ho ripetuto, con Michela, il gioco del calessino, e, da allora, sono diventato l'artefice delle mie fantasie. Senti, ho un'idea, a fine cerimonia vieni con noi a Milano, e stasera, ti faccio vedere di cosa sono capace, che ne dici? disse con un sorriso complice. -Grazie, ti sono grato, ma preferisco di no. Ho deciso di cambiare vita, amo Elena e non mi va di fare nulla che possa dispiacerle - rispose Gualtiero, serio. -Ah... è così, bene! Auguri... se cambi idea sai dove trovarmi, sarai sempre il benvenuto. Mentre, al suono della marcia nuziale, i camerieri avanzavano con la torta, sopraggiunse Elisa vestita di un tono di blu petrolio. Era radiosa, sorrideva appesa al braccio di un tipo odioso, con i capelli ricci, che gonfiava la giacca con i muscoli palestrati, che lei presentava in giro come un suo giovane amico. Baciò gli sposi, consegnò loro, con noncuranza, un pacchetto avvolto in carta dorata, raccolse una fetta di torta da un cameriere impettito e, volgendosi in direzione delle amiche, squadrò Elena con un sorriso gelido, e poi, abbracciò Antonia e Michela. Gualtiero, che aveva assunto il colorito d'un cadavere, traballò e fu costretto ad appoggiarsi al muro per non cadere. L'apparizione di Elena al braccio di uno sconosciuto l'aveva sconvolto. Cercò di calmare il suo cuore che batteva come un tamburo, frenò la respirazione, e, facendosi forza, si unì al brindisi; vuotò un bicchiere, e poi subito un altro. Orso Maria, intanto, si era avvicinato al giovane sconosciuto, che beveva, solitario, un po' in disparte, scambiarono un saluto e, poco dopo, ridevano come vecchi amici. Poi, sotto braccio, il marchese lo pilotò da Michela, che si unì alla conversazione. Gualtiero, in subbuglio, osservava le mosse del marchese -Il lupo perde il pelo ma non il vizio - pensò tra sé, e, improvvisamente, fu colto da un conato di vomito che riuscì a stento a trattenere; si precipitò in un bagno, e si liberò lo stomaco, si rinfrescò il viso e si sentì subito meglio. Dalla finestra, cercò d'individuare Elisa nel parco. -Chi sarà il ganzo che l'accompagna? - si domandava, cercando tra gli invitati -da quanto tempo andrà avanti la tresca? Scrutò tra gli alberi, ma non la scorse; poi, in giardino, s'imbatté in Orso Maria e sua moglie, che conversavano amabilmente con lo sconosciuto, che rigirava tra le mani, ammirato, il biglietto da visita con lo stemma nobiliare. Gualtiero riuscì a cogliere le ultime parole: -Va bene! Telefonami domani..- e, scorgendo Gualtiero: -Ah sei tu, bella festa, non è vero? Ti presento un mio giovane amico, si chiama Tommaso. -Piacere! - disse l'uomo. -Piacere un corno! - ribatté Gualtiero stizzito -io sono il marito della donna che menavi al braccio, chi ti ha dato il permesso di accompagnarla? -Senta - rispose il giovane, guardandolo dritto negli occhi -non credo che la signora abbia bisogno di chiedere il permesso a un maleducato chicchessia, e adesso se ne vada. -No! Sei tu che te ne devi andare - rispose Gualtiero, fuori di sé, afferrandolo per il bavero della giacca. Un pugno si abbatté sul suo viso, cadde a terra, battendo la testa, e lì restò disteso. Michela, disperata, lo scosse e chiamò più volte, ma Gualtiero era sprofondato nel buio e nel silenzio, finché scorse una luce, che pian piano, cominciò a farsi strada; proveniva da un finestrone da cui si scorgeva un orizzonte di olivi argentati che digradavano verso il mare lucente. Discese la scala di marmo, illuminata dai neon, che conduceva nel salone, dove l'EDM 9000 attendeva paziente. Sentì invocare il suo nome, erano i suoi colleghi spazientiti dall'attesa, -Che fai? Sbrigati manchi solo tu. Gualtiero si affrettò lungo il corridoio, ma, improvvisamente, la voce grave di Ciccio s'ingentilì, e riconobbe il suono flautato di Michela, e, forse, anche la voce di Elisa. Aprì gli occhi, ma, abbagliato dalla luce, ricadde nel buio. Si risvegliò all'ospedale, sentiva un forte dolore alla mascella, si guardò in giro, scorse Elena, che, seduta, l'osservava, accennò un sorriso, ma gli rispose una fitta di dolore che lo ricacciò nell'incoscienza. Il medico che lo aveva in cura lo sottopose a una nuova serie di esami; infine concluse che era guarito, non c'erano complicazioni, e il trauma era ormai superato, però avvertì di aver rilevato un'alterazione nel sangue di origine sconosciuta, forse congenita, magari i postumi di un avvelenamento. Domandò se fosse stato in contatto con sostanze tossiche quali l'ammoniaca, il mercurio, l'arsenico, la diossina. Gualtiero rispose di no, e il giorno successivo fu dimesso. Elena lo accolse con un sorriso stanco, dietro una calma apparente s'intuiva una tensione sotterranea pronta a esplodere. Passarono i giorni, e Gualtiero ritornò in ottima forma, ma qualcosa tra loro si era irrimediabilmente guastato; a ogni sua richiesta d'intimità, Elena si negava, opponendo malori e stanchezza, oppure si coricava in anticipo e fingeva di dormire, al suo apparire. Quando gli sposi tornarono dal viaggio di nozze recavano una bella notizia: Eleonora era incinta di tre mesi. Elena accolse la novità con gioia, diventare nonna la entusiasmava. Gualtiero si preparò, con buona volontà, a lasciare al pargolo il giusto spazio nel cuore della sua compagna, sperando di non rimanerne troppo emarginato. Ma si illudeva, una sera, Elena, si fece trovare sveglia. -Senti, ma tu a lei ci pensi ancora? - gli domandò a bruciapelo, mentre lui apriva il letto. -Qualche volta può capitare - rispose titubante -scusa, lo so che ho rovinato la festa di matrimonio, ma non ho potuto evitare la lite con quel tipo, sono stato colto di sorpresa, mi sono lasciato andare. -Si, ho capito, ma a lei pensi ancora? - insistette Elena, alzando la voce. -Non litighiamo, ti prego, che vuoi sapere? Io sto qui con te, mica con lei! -Non mi basta! - esclamò, aumentando il volume -Voglio sapere se stai con me per ripiego o per amore - incalzò, dando sfogo al risentimento. -Ho capito! Vado a dormire in ufficio, così la pianti - rispose lui, stizzito. -Si, bravo, vai a dormire altrove, e domani trovati un altro albergo, qui non ti voglio più. Raccolte le sue cose, Gualtiero tornò a Novara, in un bilocale arredato in un palazzo del centro, senza ascensore, allo stesso prezzo del monolocale precedente. Tornò a fare il pendolare verso Milano, e riprese l'attività commerciale per la DuE. In cuor suo, però, continuava a pensare a Elisa, si torturava immaginando situazioni erotiche che la coinvolgevano assieme al suo ganzo. Distratto e svogliato, cominciò a trascurare il lavoro, e, infine, prese a spiarla. Quando il portone si chiuse dietro le sue spalle, Gualtiero era in agguato, già da un pezzo, nascosto dietro una colonna. La seguì lungo il tragitto familiare che da Piazza Bodoni conduceva al liceo dove Elisa insegnava, badando di non farsi vedere. Per precauzione, aveva conservato il giornale che aveva sfogliato in treno, che, ora, tornava utile per ripararsi fingendo di leggere, quando era costretto a sostare in qualche androne. Lei camminava con passo sicuro senza guardarsi in giro, si fermò in un bar e ne uscì dopo pochi minuti. Giunse, infine, alla scuola e sparì, inghiottita dentro uno scuro porticato. Gualtiero attese, girovagando per il centro, prese due volte il caffé, mangiò un toast, guardò l'ora e si precipitò davanti alla scuola. La vide subito, era con altre due insegnanti. All'altezza di via Pomba, salutate le colleghe, lei s'affrettò verso casa. Sostò in una panetteria e poi, scomparve dietro il portone. Lui restò a fissare la facciata del palazzo che fu casa sua, finché la vide dietro i vetri della finestra del soggiorno, che spalancò alla luce; ammirò, con un groppo alla gola, la perfezione del suo viso, illuminato dal sole, poi lei si ritirò. Alle diciassette in punto, da una via laterale, stringendo una cartella sotto il braccio, spuntò il giovane Tommaso, suonò al citofono e sparì dentro l'androne. Gualtiero, invaso dall'ira, pensò di sorprenderli in casa, di affrontarli nudi dentro il suo letto, ma, accantonò l'idea e preferì aspettare. Trascorsero due ore interminabili, poi il portone si aprì e il giovane uscì in strada, proprio mentre, dalla finestra dello studio, Elisa si sporgeva, chiamandolo. -Tommaso, dove hai la testa? Hai dimenticato la cartella, scommetto che l'hai fatto apposta per non studiare, aspetta che te la porto. -Grazie! Salgo io, non ti disturbare. -Nessun disturbo, scendo che devo fare delle compere. Subito dopo Elisa, consegnata la cartella, schioccò un bacio sulla guancia dell'uomo e si allontanò in direzione della Via Mazzini. Gualtiero le tenne dietro, celato nell'ombra, finché, all'ora di cena, decise di tornarsene a casa, per riprendere il pedinamento l'indomani. Quella notte dormì male, sognò sua moglie nuda che, in ginocchio, incitava il giovane a penetrarla, poi ebbe un incubo che subito dimenticò e si svegliò sudato. Si precipitò alla stazione giusto in tempo per prendere il treno per Torino. Trascorse così un mese. Elisa, alle otto del mattino, si recava puntualmente a scuola e, nel pomeriggio, due volte la settimana, riceveva in casa Tommaso, trattenendolo per due ore precise, dopo, lui usciva ed Elisa trascorreva il resto del tempo nel modo più innocente. L'aria si era fatta pungente e, dopo il tramonto, faceva ormai decisamente freddo. Attendere, immobile nell'oscurità, diventava sempre più arduo. Una sera, mentre batteva i denti seduto su di una panchina, Gualtiero rimuginava tra sé sull'inutilità del pedinamento. Ormai sapeva tutto delle abitudini di sua moglie che, se non ci fossero stati gli incontri con il gaglioffo, non avrebbero alimentato nessun sospetto. Decise, allora, che doveva coglierli sul fatto, doveva assolutamente sapere, togliersi il tarlo del sospetto, scoprire la verità, trovarli mentre compivano le loro sozze pratiche. E cominciò a immaginarsi la situazione, lei che gli apriva, stringendosi la vestaglia sul corpo sudato, scambiandolo per un postino, mentre l'amante, di là, impaziente, l'attendeva con il sesso ancora eretto. E più ci pensava e più gli montava la rabbia, sentiva freddo, batteva i piedi, si volse con un moto di stizza, e la vide. Elisa, in piedi, lo stava osservando chi sa da quando. Deglutì un groppo di saliva e gli mancò la voce, raschiò la gola, diventata secca. -Che ci fai qui? - riuscì a pronunciare. -Che ci fai tu? - rispose lei, aprendosi a un sorriso -fa freddo, vuoi ammalarti? Dài, saliamo in casa che ti scaldi e mangi una minestra calda. -E il tuo amante, quel tuo Tommaso? -Non essere ridicolo, non hai ancora capito che Tommaso è un mio allievo che si sta preparando agli esami di riparazione? Lui fa il calciatore, sai, è molto bravo, gioca in una squadra di serie C. Adesso, però, vorrebbe prendersi un diploma, e viene da me a ripassare matematica e fisica. Intirizzito dal freddo e confuso dalla rivelazione, la seguì in casa, nel tepore della cucina, lei aveva apparecchiato per due e stappato una bottiglia di vino, il suo dolcetto preferito. -E tu, stai sempre con Elena? - gli domandò, mentre lui cominciava a rilassarsi. -Ma che hai capito? Con Elena siamo soci, insieme abbiamo costituito una ditta di pulizie industriali, io cerco i clienti e lei, la figlia e gli altri puliscono. -Ma se abitate insieme? - insistette. -Non insieme, nella stessa cascina, mi ha offerto un locale ricavato da un vecchio fienile, che mi serve anche come ufficio. -Allora, non sei tenuto ad avvisarla, se stanotte ti fermi da me? -No e mi faresti felice, io qui, con te, ci resterei per sempre. Io ti amo, Elisa. -Anch'io, ma la colpa della separazione è solo tua. -Sì lo so, perdonami, ho sbagliato, però ho capito che amo solo te. Lei lo spogliò lentamente, e poi, nella doccia, lo insaponò con la sua spugna morbida, e, infine, nel tepore del letto, si amarono con passione, come ai tempi del loro fidanzamento, e, infine appagati, si addormentarono abbracciati. Gualtiero si sentiva in paradiso, al caldo, tra le braccia morbide di sua moglie, quando, improvvisamente, la sveglia squillò, ripiombandolo su questa terra. Si attardò nel letto, ascoltando i rumori familiari di Elisa che si preparava per andare al lavoro, finché lo raggiunse il profumo del caffé. Lei era già pronta per uscire. -Buongiorno amore, hai dormito bene? -In modo meraviglioso, credevo di essere in paradiso. -Senti, io oggi esco alla mezza, aspettami qui, domani è sabato, possiamo trascorrere il week end insieme, sempre se vuoi. -Non desidero altro, io preparo il pranzo. A Novara ci tornò la settimana successiva, lasciò la casa e si trasferì da Elisa, di nuovo a casa sua. Gualtiero continuò il suo lavoro per la DuE, senza più incontrare Elena, che evitava di farsi vedere, e, alle riunioni, si faceva rappresentare dalla figlia. Tra i dipendenti, si vociferava che fosse impegnata in opere di bene, in nome del defunto marito, mentre preparava il suo futuro di nonna. Con Eleonora e suo marito manteneva rapporti formali, anche se freddini. Alla EDM incontrò, un giorno, Loredana. Lei era allegra e spiritosa, raccontò alcuni aneddoti, parlò della EDM, lamentando che non fosse più quella d'una volta poi, improvvisamente, cambiando tono di voce: -Sono contenta, sai, che tu sia tornato da tua moglie, hai fatto bene, e lei, accogliendoti, ha dimostrato di essere intelligente e di avere cuore. Io mi vedo da un po' con un collega, ma niente di serio, solo sesso disse strizzando un occhio, e poi, fattasi seria, continuò: -Ma, quel tipo che ci aggredì a Novara, veramente tu non sai cosa volesse? -No, ed è meglio dimenticare, è morto, e non ne parliamo più. -E come faccio? Sono stata stuprata e seviziata, la notte ho gli incubi, e tu mi dici di non pensarci. Magari fosse possibile! Io voglio sapere il perché, voglio uscire dall'incubo. -Io non ti posso aiutare, dimentica! -Tu non vuoi capire, io porto ancora i segni sulla pelle ed ancora più profondi nell'anima, senti, o mi dici la verità o non mi cercare più, che forse è meglio! Elisa, invece, era felice d'aver recuperato il rapporto con suo marito, sembrava ringiovanita e anche la sua voglia di sesso era esplosa, la notte lo cercava appassionatamente, e a scuola, le colleghe l'osservavano con invidia. Gualtiero, da parte sua, non era mai stato meglio, amato e coccolato, si sentiva lusingato e, a suo modo, fortemente attratto da sua moglie. Elisa cambiò parrucchiere, e rinnovò gran parte del suo guardaroba, vestiti più sexy e nuova biancheria intima. A luglio, Elisa e la sua amica Rosaria si accordarono per fare una vacanza insieme: una crociera nel Mare del Nord. -Basta che non vada a finire come l'altra volta che avevamo organizzato per Merano - scherzò Rosaria. -Stai tranquilla, non ci saranno ripensamenti - concluse Elisa -avverti pure Carlo. Giusto all'ora di pranzo, l'aereo atterrò sulla pista di Amburgo. Gualtiero, Lisa e gli altri ebbero appena il tempo di addentare un panino caldo con wurstel e crauti prima di salire sull'autobus che li condusse nel porto di Kiel. Una nave norvegese, snella e con la prua rinforzata, adatta a navigare nelle gelide acque del Polo, li attendeva nella banchina. Poi, in serata, sbrigate le formalità d'imbarco, la nave prese il largo con destinazione Tromso, nell'estremo nord della Norvegia. Per quattro giorni i nostri amici non videro che mare e cielo, entrambi grigi, che si confondevano l'un l'altro, come se la nave avanzasse tra le nuvole. A bordo il tempo trascorreva piacevole tra pranzi a base di pesce, serate danzanti, al ritmo di fox-trot e notti cullate dal dondolio del mare. Un mattino, al risveglio, la nave era ferma, alla fonda davanti a un paesino di casette colorate di pescatori, con i tetti spioventi. Nel porto si dondolavano, tra le strida dei gabbiani, pescherecci pieni di reti e ferri rugginosi sporgenti: “attrezzi per la pesca ai gamberi” disse qualcuno. Il sole era basso e non tramontava mai. Nelle acque, un iceberg panciuto brillava ai fiochi raggi del sole. -Come faranno d'inverno, senza mai un filo di luce - cercava di pensare Gualtiero senza riuscirci, mentre seduto con sua moglie e gli amici attorno a un tavolo di un ristorantino all'interno del porto, osservava il blocco di ghiaccio. -Chi sa quanti anni avrà il ghiaccio di cui è fatto - pensò ad alta voce. -Non meno di trentamila - gli rispose Elisa, guardandolo -ma la sua vita in mare è ben più corta, non più di pochi mesi. Cos'hai? Sei triste? chiese un po' preoccupata. -Non è niente, è che non sono abituato a tanto grigiore, non farci caso. Il salmone è però ottimo e anche la birra. -E i gamberi anche di più - sorrise sua moglie. -A essere sinceri, preferivo i colori e il caldo del Mar Morto - rispose Gualtiero, pensieroso, e poi proseguì: -il ghiaccio è composto di acqua ancora più antica, e, similmente, anche noi siamo fatti di molecole preesistenti alla nostra venuta al mondo e che continueranno a esistere anche dopo di noi, senza serbare alcun ricordo del nostro passaggio. -Ah... oggi sei proprio di cattivo umore - gli rispose Rosaria allegra andiamo a farci un giro che ti passa, mi piacerebbe comprare un tappeto di pelle di renna. -Brr... che orrore, meglio un berretto di lana - commentò Elisa, alzandosi dalla seggiola. Nella notte la nave invertì la rotta e iniziò la sua discesa verso sud, fermandosi, strada facendo, a visitare i fiordi più famosi, dove sfilava tra alte pareti di roccia ammantate di neve da cui zampillavano cascate d'acqua, e in fondo, sui pianori, le case sgargianti dei pescatori supplivano alla mancanza di colori naturali. Un mattino, al largo delle isole Lofoten, mentre facevamo colazione, la voce degli altri commensali richiamò l'attenzione di Gualtiero. Sul mare, poco distante da loro, un gruppo di balene compariva e scompariva sul pelo dell'acqua, mentre, a turno, i cetacei soffiavano verso il cielo nuvole di di vapore. -Le balene - gridavano i passeggeri -là... soffia! Poi il branco, sollevando le code maestose in segno di saluto, s'immerse, allontanandosi verso il largo, lasciandosi dietro il loro respiro che si confondeva con quello del mare. Quella notte Gualtiero sognò Ciccio, erano entrambi sdraiati sulla sabbia calda, una nuvola celava il sole che tramontava, l'aria era immobile e i gabbiani tornavano ai nidi lanciandosi richiami, poi Ciccio interruppe il silenzio: -Andiamo che è tardi, Michela avrà già apparecchiato per la cena, vai a prendere Elisa, ci vediamo a casa mia tra un'ora. A colazione, mentre sostavano nel porto di Bergen, Gualtiero disse di essersi svegliato con il mal di testa; Elisa solerte gli offrì alcune gocce, ma il dolore non passò. Allora, sollecitato da sua moglie, Gualtiero si affacciò nella cabina del medico di bordo. L'ufficiale, in divisa, era alto e cordiale, lo fece sedere su un lettino, misurò la pressione e la temperatura, gli palpò il ventre, e, infine, gli prescrisse d'indossare sempre un berretto di lana. Al termine del viaggio, visitarono Arhus, una cittadina danese, e, il mattino successivo attraccarono nel porto di partenza; prima di notte erano già di ritorno nella loro casa di Torino. Al terzo trillo, Gualtiero rispose al telefono, era Michela. -Ciao! - sussurrò la sua voce flautata -ti ricordi che il prossimo quindici è il mio compleanno? Orso ti prega di partecipare alla festa. La sera saremo solo noi... Sai, ha arredato, per l'occasione, la nostra sala giochi di Milano in stile De Sade... Al solo pensiero mi viene male, ma se ci sarai tu... tutto sarà più piacevole. Allora verrai? -Ti ringrazio, credimi, mi piacerebbe proprio rivederti - rispose Gualtiero con un sospiro -ma non posso, sono tornato con mia moglie e non vorrei mai creare dissapori. -Ah, sei tornato con Elisa, non lo sapevo... ti capisco, fai bene. Orso sarà un po' dispiaciuto, ma è meglio così, credimi... buona fortuna! -Gualtiero era combattuto, tentato di richiamare, però si fece forza, deciso a scacciare le fantasie che come sirene lo tentavano. Un mattino, Gualtiero si svegliò con un feroce mal di testa; Elisa gli versò, prontamente, delle gocce, ma il dolore non passò. -Povero caro - lo canzonò, mentre beveva il rimedio -devi rassegnarti, non sei più un giovanottino, la notte devi riposarti di più, le altre cose vanno centellinate con il contagocce. Da allora, il mal di testa si era fatto, invece, via via, più frequente, diventando un compagno abituale, e le gocce necessarie per calmarlo sempre più numerose. Un giorno, un cliente, conversando al telefono, gli chiese se si fosse raffreddato, perché lo sentiva un po' rauco. Gualtiero tornò, allora, dal medico specialista che l'aveva visitato in passato. Il dottore calò il sondino nel naso, osservò a lungo la gola, poi prescrisse una gastroscopia. Sedato sul lettino, non avvertì il tubo, che gli era stato infilato nell'esofago. Sognò, per tutto il tempo, distese di olivi digradanti verso il mare, poi il medico parlò di ulcera e di un controllo istologico che bisognava fare su di un campione di tessuto gastrico, disse di stare tranquillo, che era tutto a posto e che la maggioranza della popolazione attiva soffriva dello stesso male. -E' colpa dello stress - sentenziò -dovremmo tornare a vivere in modo più naturale - disse, guardando in aria. -Naturale? - pensò Gualtiero -dovrei tornare in campagna con le galline, o cos'altro potrei fare? Superate le feste di fine anno e il freddo dell'inverno, con i primi tepori della primavera arrivò Sofia, la bimba di Eleonora, rendendo Elena finalmente nonna. A fine mese, i soci s'incontrarono per l'annuale approvazione del bilancio. Gualtiero si complimentò con la neo mamma, e le disse di volerle regalare, nel giorno del battesimo della neonata, le sue quote della ditta. Annunciò, inoltre, le sue dimissioni da Amministratore della società, che avrebbe, però, continuato a promuovere, anche se in maniera più sporadica. Eleonora, commossa, lo baciò su entrambe le guance, poi, i soci, all'unanimità, l'elessero Amministratrice al posto di Gualtiero. A giugno, il giorno del suo compleanno cadde di mercoledì. Elisa era già uscita, senza svegliarlo, lasciandogli sul tavolo della cucina un foglio con su disegnato un cuore e gli auguri di buon compleanno. Gualtiero pensò di comperare una torta e una bottiglia di champagne. Si vestì, si guardò nello specchio e si trovò vecchio e odioso, fece una smorfia al figuro che continuava a osservarlo con un ghigno. -Oggi non c'è proprio nulla da festeggiare - disse allo specchio -oggi potrebbe essere un buon giorno per morire. Uscì in strada e si diresse verso la pasticceria, il sole era accecante, pensò di tornare indietro a prendere gli occhiali scuri, o un cappello, o, meglio, entrambi. Trovò gli occhiali in camera da letto, li inforcò, e subito fu raggiunto da una fitta alla testa, un dolore diverso dal solito, una pulsazione alla tempia, che sembrava lo serrasse da dentro il cervello, a intervalli regolari. Prese il doppio delle gocce abituali e uscì di casa. Girò a destra in direzione della Stazione e, improvvisamente, si ritrovò a camminare per la Via D'Aquino, il corso principale di Taranto. Riconosceva le vetrine dei negozi, l'aria solforata e, all'orizzonte, la nuvola nera che sovrastava l'acciaieria. Varcò la soglia della pasticceria più famosa della città per ordinare la torta di compleanno. Alla cassa vide il suo amico Ciccio con la tazzina in mano. -Vuoi un caffé? - gli chiese l'amico sorridente. -Grazie, no, l'ho appena preso a casa - rispose Gualtiero. -Allora andiamo, siamo già in ritardo. Salutarono la guardia della palazzina uffici, che rispose con un cenno della mano, e scesero le scale. -Ciao a tutti, siamo arrivati, manca ancora qualcuno? -No, ci siamo tutti - risposero gli altri. -Allora mettiamoci al lavoro - esortò Ciccio. Sedettero attorno al tavolo di cristallo della sala riunioni. Riconobbe Carlo, con la pipa in bocca, Elio, con le gote già rosse per il caldo, Ciccio, accanto a lui, con gli occhiali sollevati sulla fronte. Janni sorrise ai nuovi venuti e riprese la descrizione del lavoro. -Vogliono un nuovo sistema di controllo di avanzamento della produzione, che leghi, in modo indissolubile e univoco, le informazioni contenute sui supporti magnetici con i prodotti fisici, bramme o nastri, in ogni momento in Direzione vogliono sapere dove si trovino i pezzi prodotti. I colleghi s'infervoravano e proponevano soluzioni. -Le bramme - diceva Janni -sono tutte uguali, differiscono soltanto per la composizione chimica, come si fa a non confonderle? Gualtiero ascoltava attento, si sentiva bene, non aveva più il mal di testa, la vicinanza degli amici gli dava sicurezza. L'EDM 9000 intanto srotolava chilometri di nastro magnetico che, appena letto, veniva riavvolto, con un singhiozzo, su una bobina, rinchiusa dentro un vuoto pneumatico. Ciccio l'osservava: -Sai che sono arrivate delle nuove unità a disco, chiamate dispack che si dice sostituiranno i nastri? -Ma no, che dici, i nastri ci saranno sempre, magari serviranno come archivi, altrimenti dove li mettono i milioni di dati da conservare? Elisa scrutava le lancette del suo orologio, sentendosi un po' in colpa. Aveva lasciato suo marito solo nel giorno del suo compleanno. -Dovrò farmi perdonare - pensò, arrossendo al pensiero erotico che le era affiorato nella mente. Quando, finalmente, la lezione finì, senza attendere le colleghe, si precipitò verso casa. Suonò impaziente ma nessuno le aprì. L'appartamento era deserto. Cominciò a preparare il pranzo, sicura che il marito sarebbe rientrato a momenti. Trascorse invece più di un'ora e Gualtiero non era ancora tornato. Preoccupata, pensò di chiamare gli ospedali vicini, ma nessuno, con il suo nome, quel giorno era stato ricoverato, e un presentimento le si faceva strada nella mente, sempre più forte. Una centralinista le domandò, infine, se lo scomparso recasse con sé un documento d'identità. -Perché, se non l'avesse cosa succederebbe? -Se non fosse in grado di dare le proprie generalità, sarebbe ricoverato come sconosciuto in attesa di identificazione, e catalogato in un registro a parte. Alle Molinette ce n'era uno, in stato di coma, ricoverato da poche ore. Si precipitò al pronto soccorso, la fecero attendere un'ora, poi, finalmente, arrivò un medico con il camice bianco che, con aria di circostanza, disse che lo sconosciuto era, nel frattempo, purtroppo, deceduto, ma sicuramente non poteva trattarsi di suo marito. L'accompagnò verso una barella, e scoprì il lenzuolo, apparve un viso terreo, Elisa l'osservò con timore, impallidì e si accasciò, tra le braccia del chirurgo. Al funerale le amiche erano tutte vestite di nero. Per l'occasione avevano indossato i loro abiti vedovili. Elena camminava accanto a Michela, e Antonia sosteneva Elisa, tenendole il braccio. -Perché? - diceva smarrita quest'ultima. -Coraggio! I nostri uomini non sono morti - sussurrò Antonia, trattenendo i singhiozzi -sono solo lontani, loro sono come ragazzi, felici attorno al loro giocattolo, faranno tardi come al solito, ma torneranno, vedrai, appena avranno finito.