MORTADELLA E WURSTEL docente Patrizia Cattaneo Riferimenti
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MORTADELLA E WURSTEL docente Patrizia Cattaneo Riferimenti
AGR - VET 20 -MORTADELLA E WURSTEL docente Patrizia Cattaneo Riferimenti bibliografici mortadella: Carlo Cantoni, La mortadella di Bologna, Eurocarni, 2 e 3 /88 www.mortadellabologna.com La mortadella: aspetti attuali tecnici della sua produzione di Carlo Cantoni e Patrizia Cattaneo (PREMIATA SALUMERIA ITALIANA , 2001, XIII, 2, 15-29 ) Cenni storici Fu Luigi Maria Mitelli a raffigurare per primo la mortadella in una incisione della seconda metà del '600. Diverse teorie (Ballarini, 2000) tentano di spiegare l'origine del termine "mortadella". Un'ipotesi è che derivi da mortada, cioè pallida, dal colore rosa pallido che la caratterizza. Ma le due ipotesi più attendibili, che peraltro si integrano, sono quella del mortatum e del myrtatum. Mortatum è il mortaio: giacché tale utensile non trita la carne, ma la sfilaccia rendendola poco conservabile, appare improbabile che venisse utilizzato per la carne, piuttosto per macinare le spezie (Cantoni, 1988). Myrtatum indica invece un insaccato di carne condito con bacche di mirto. Infatti alla carne tritata viene aggiunta una miscela aromatica sminuzzata, detta concia, in cui il mirto è elemento fondamentale per conferire profumo e aroma tipico. Nel lapidario di Bologna è conservata una stele funebre di epoca romana imperiale, in cui viene affiancata limmagine di un mortaio a quella dei maiali. La spiegazione di questo accostamento è, probabilmente, luso del mortaio per preparare un salume. Un prodotto nominato mortadella era già conosciuto ai tempi di Augusto e Tiberio (primo secolo dopo Cristo). D'altronde gli etruschi, primi abitanti della moderna città di Bologna, erano già esperti nella salagione della carne di maiale. Ne è testimonianza il fatto che, nei territori un tempo abitati dagli etruschi, si sono sviluppati altri tipi di mortadella (emiliana, umbra, abruzzese, romana). Nell'alto Medioevo la corporazione dei salaroli di Bologna aveva il privilegio di confezionare mortadelle e porvi il proprio sigillo, come risulta da uno statuto del 1242. Tra il 1350 e il 1355 Boccaccio cita il "mortadello" tra le pagine finali del Decamerone. La prima ricetta vera e propria della mortadella risale al 1600, ad opera di un agronomo bolognese, tale Vincenzo Tanara, nel trattato Economia del Signore in Villa. In questo trattato vi sono indicati tipo e quantità di spezie da utilizzare: cannella, chiodi di garofano, noce moscata, muschio, pepe in grani. Oltre al sale, Tanara include nella ricetta lo zucchero e il formaggio. Tanara inoltre specifica anche la dose di tessuto adiposo, tagliato in grossi dadi, in un terzo e in due terzi la dose del tessuto magro, proveniente da tagli pregiati (spalla o coscia) e trasformato in farcia tramite "taglienti pestature". Dopo l'insaccatura, la mortadella deve essere cotta, a temperatura moderata, in una stufa calda. Nel 1661 il cardinale Farnese a Roma emise un bando per la codificazione della produzione di mortadella. Forni, nel 1881, fornisce una più puntuale descrizione della ricetta (costituita dal 65% di carne magra e dal 35% di tessuto adiposo) e delle fasi di preparazione. Legislazione odierna Secondo il DPR 17 maggio 1988 n. 194 la mortadella rientra nella classe dei prodotti carnei sottoposti a trattamento termico incompleto, cioè sottoposti a un'esposizione al calore inferiore a tre minuti a 121,1°C, o a combinazioni tempo/temperatura equivalenti. Nel DPR il valore citato di tre minuti è un arrotondamento di 2,52 minuti: è il tempo necessario per ottenere, a 121,1°C, dodici riduzioni decimali delle spore di Clostridium botulinum. La mortadella è un prodotto del salumificio, non fermentato, macinato, insaccato e cotto (ma non affumicato), da consumarsi tal quale. Il DPR n. 194 è stato in seguito modificato dal DL n. 537 del 30 dicembre 1992, il quale ha però conservato gli articoli 6 e 7, l'articolo 12/2 e l'allegato C, che trattano, tra l'altro, del trattamento termico che i prodotti carnei conservati in contenitori non ermetici devono subire: "che abbia fatto salire la temperatura al centro della massa ad almeno 70°C". Altre modifiche, riguardanti gli allegati A, B, C, D del DL n. 537, sono apportate dal DM dell'11 luglio 1997: nel capitolo VIII dell'allegato B il trattamento termico minimo di tre minuti a 121,1°C è sostituito con un "trattamento termico in grado di distruggere o disattivare i germi patogeni e le loro spore". Per quanto riguarda gli additivi il DM n. 209 del 27 febbraio 1996 applicava anche alla mortadella le direttive della Comunità europea (le direttive n. 94/34/CE, n. 94/35/CE, n. 94/36/CE, n. 95/2/CE, n.95/72/CE). In seguito sono state apportate solo leggere modifiche, non sostanziali, alla direttiva n. 95/2/CE ad opera della direttiva n. 98/72/CE. A riconoscimento di una specifica richiesta dell'Italia, a tutela della qualità della mortadella tradizionale italiana, è stato accordato, con la decisione 292/97/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 dicembre 1996, il mantenimento della legislazione nazionale, relativa al divieto di utilizzazione nell'impiego degli additivi. Le categorie di additivi per le quali può essere mantenuto il divieto sono tutte eccetto i conservanti, gli antiossidanti, i regolatori di acidità, gli esaltatori di sapidità e i gas di imballaggio. Con la pubblicazione, sulla Gazzetta Ufficiale della Comunità Europea del 20 febbraio 1998, del regolamento CE 1549/98 è stata registrata la Mortadella di Bologna IGP. Il suddetto regolamento è stato poi pubblicato ad opera del Ministero delle Politiche Agrarie come decreto del 7 ottobre 1998. Il disciplinare di produzione, oltre a delimitare una zona geografica ben precisa per l'elaborazione (che comprende Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia, Veneto, provincia di Trento, Marche, Toscana, Lazio), stabilisce anche quali devono essere le materie prime e gli additivi. Il disciplinare limita l'uso degli zuccheri a quantità inferiori allo 0,5% e quello di nitriti (di sodio o di potassio) a 140 ppm. Il disciplinare infine stabilisce le linee guida per la lavorazione del prodotto e le caratteristiche finali (organolettiche, chimiche e chimico-fisiche). Un importante riconoscimento alla mortadella è giunto il 10 gennaio scorso dagli Usa: accordi veterinari Italia-Usa hanno portato le autorità americane a eliminare gli ostacoli che impedivano l'esportazione in Usa della mortadella (USDA-APHIS, 1982). Si sospettava, infatti, che la mortadella, come altri prodotti della salumeria, potesse fungere da veicolo per infezioni suine e soprattutto dei virus della peste suina classica e africana, della malattia vescicolare e dell'afta epizootica. Situazione del mercato della mortadella in Italia (dati Nielsen, fonte NRI, DG ’00) La quantità di mortadella prodotta sul mercato nel 1999 ammonta a 52.282,8 tonnellate, per un valore commerciale di 857.440,1 miliardi di lire. Delle tonnellate prodotte, il 79,9% è destinato al taglio mentre il rimanente 20,1% è destinato all'asporto. Il mercato risulta piuttosto concentrato, poiché le prime sei aziende leader del settore possiedono una quota del mercato pari al 51,4%. Caratteristiche della mortadella La mortadella è un salume cotto che si consuma a fette sottili. Può essere costituita: — da sola carne suina (puro suino); — da carne suina e carne bovina. La mortadella può essere addizionata o meno di proteine non carnee. La legge francese differenzia la mortadella di alta qualità dalle altre per: — l'assenza di cotenne, trippini e stomaci; — il contenuto di polvere di latte inferiore al 4% (contro un limite massimo del 6%); — il 76% massimo di umidità, il 40% massimo di lipidi, il rapporto collagene/proteine inferiore a 22%, il 3% massimo di zuccheri. In Italia non è presente una tale classificazione tra mortadella di alta qualità e di qualità inferiori. Una mortadella di buona qualità si distingue però sempre da una serie di parametri: a) indici organolettici: — aspetto al taglio: quadrettature bianche perlacee di tessuto adiposo non inferiori al 15% della massa totale, eventualmente unite a frazioni muscolari; le quadrettature devono essere distribuite uniformemente e devono essere aderenti all'impasto. Le sacche di grasso o di gelatina devono essere assenti e il velo di grasso deve essere contenuto; — colore rosso-rosa all'esterno, rosa vivo e uniforme all'interno; — struttura compatta, consistente alla masticazione, con un comportamento plastico; — aspetto superficiale liscio, lucido e vellutato, con segni di bruciatura superficiale assenti o scarsi; — granulometria uniforme e fine (impasto di 0,9-1,2 mm e lardelli di 1-2 cm di lato), ma assenza di sabbiosità; — odore delicatamente aromatico, intenso e gradevolissimo; sapore pieno, fragrante, ben definito e con una vena aromatica caratteristica; b) indici chimici (ancora oggi discussi): — proteine totali (percentuale di azoto per 6,24) non inferiori a 13%; — rapporto grasso/proteine massimo di 2,7; — rapporto acqua/proteine massimo di 4,00; — rapporto collagene/proteine massimo di 0,35. Altri parametri proposti sono: proteine non carnee, umidità, grasso, idrossiprolina, polifosfati, nitrati, nitriti. La qualità della mortadella dipende da: — qualità della materia prima, per quanto riguarda la composizione, le caratteristiche chimico-fisiche e le caratteristiche microbiologiche; — additivi utilizzati; — tecnologia di produzione; — confezionamento, stoccaggio e distribuzione del prodotto finito. Bisogna tenere a mente che trippini e frattaglie non squalificano il prodotto ma, in giusta dose, donano profumo e sapori particolari che la sola carne non può dare. Le cotenne tritate fini, allo stesso modo, migliorano la consistenza e donano lucentezza alla fetta. Stabilità Pur rientrando nei limiti di pH e di attività dell'acqua tipici dei prodotti deteriorabili previsti dal DM 16 dicembre 1993 (pH < 5,2 e aw < 0,95, oppure pH < 4,5 o aw < 0,91), la mortadella risulta stabile a temperatura ambiente (20°C) per il tempo necessario alla vendita in negozio; alla mortadella è applicata la dizione specifica di Shelf Stabile Product (SSP). Tutto ciò avviene nonostante: — un blando trattamento termico; — un modesto uso di nitriti; — pH compreso tra 5,6 e 6,2; — aw compresa tra 0,91 e 0,95; — NaCl in concentrazione del 3% circa (ma poiché non è trattenuto dalla parte grassa, la sua concentrazione effettiva è del 4%). La conservabilità è funzione delle caratteristiche chimiche e microbiologiche delle materie prime, delle modalità di cottura, dell'aw del prodotto finito, della temperatura di magazzinaggio e di conservazione del prodotto finito. Valore nutrizionale La perfezione raggiunta nella scelta delle materie prime e nelle tecniche di lavorazione permette oggi di produrre mortadelle particolarmente adatte alle attuali esigenze dei consumatori. Si sono raggiunti i seguenti obiettivi: — riduzione del contenuto energetico. Di fronte a circa 1.465 kJ (350 kilocalorie) per etto di una mortadella tradizionale, oggi si producono mortadelle che hanno circa 1.047 kJ per etto, e meno ancora; — riduzione del contenuto di colesterolo. Una buona mortadella ha circa 50-60 mg di colesterolo per etto, quindi lo stesso contenuto circa della carne bianca; — contenuto proteico di elevata qualità. Avviene attraverso opportune scelte delle carni e loro lavorazione in condizioni di temperatura controllata; — mantenimento del contenuto vitaminico naturale delle carni. Una buona mortadella, di cui sia stata tenuta sotto controllo la fase di cottura, contiene mediamente in un etto: vitamina B1 0,10 mg; vitamina B2 0,15 mg; nicotinamide 3,10 mg; La composizione chimica media della mortadella, per 100 g di parte edibile, è: protidi 12 g; lipidi 33 g; glicidi –; umidità 5,2 g; minerali 3 g, di cui: Ca 40 mg; P 160 mg; Fe 2 mg; K 200 mg; Mg 40 mg; Na 40 mg; Cl 920 mg; vitamina B1 0,10 mg; vitamina B2 0,15 mg; vitamina PP 3,10 mg Tecnologia di produzione della mortadella Ricevimento e stoccaggio delle materie prime più importanti La carne fresca giunge in tagli anatomici singolarmente congelati e appesi in binari aerei nella cella frigorifera dei camion. Non appena la carne fresca congelata viene scaricata dal camion di trasporto, subisce un controllo visivo: gli operatori sono tenuti a controllare che ogni singolo pezzo scaricato sia conforme agli standard di forma, dimensione, peso e colore concordati nel capitolato di acquisto e che risponda a determinati requisiti igienici. Si controlla inoltre la temperatura di trasporto. Se la carne risulta conforme, viene caricata su appositi carrelli e stoccata in un congelatore a -20°C. Tra le 24 e le 48 ore prima della lavorazione, la carne viene trasferita in una cella di condizionamento, dove raggiunge una temperatura tra -8°C e -10°C, temperatura alla quale essa verrà lavorata. Tale temperatura è un parametro critico. Una bassa temperatura, infatti, favorisce la fase di macinatura: il grasso presente non fonde e la carne risulta più consistente, in questo modo passa più facilmente anche attraverso le trafile più piccole. Inoltre una bassa temperatura migliora l'aspetto finale del prodotto: se, infatti, la carne viene lavorata a temperature più alte, a processo finito la mortadella assume una sgradevole colorazione giallobeige, dovuta a fenomeni ossidativi a carico dei pigmenti naturali, causati dall'innalzamento termico di qualche grado in fase di macinazione. Il grasso, che consiste in tessuto adiposo refrigerato, al momento dello scarico dal mezzo di trasporto, subisce lo stesso controllo visivo destinato alla carne fresca; se risulta conforme agli standard e ai requisiti stabiliti per la componente adiposa, esso viene trasportato in celle di refrigerazione, dove viene stoccato a 2°C o -3°C. Talvolta si può acquistare anche grasso fresco e congelarlo, per avere delle scorte di magazzino in caso di mancata consegna o di un aumento del prezzo sul mercato. Allestimento della ricetta Nel processo produttivo vero e proprio la prima operazione consiste nell'allestimento della ricetta. Questa è un'operazione fondamentale per evitare, nella fase di cottura, inconvenienti che, se non sono di origine microbica, sono dovuti proprio a una ricetta non equilibrata. Con quest'ultimo termine s'intende una ricetta tale da originare un impasto non stabile, che forma, ad esempio, durante la cottura, sacche di grasso o di gelatina, causa di un deprezzamento del prodotto, non più recuperabile. Le sacche di grasso, così come l'untuosità al taglio, sono causate non tanto dalla fusione dei lipidi (che per il suino ha inizio a 25-28°C), quanto piuttosto a una qualità scadente delle proteine che non riescono, tramite la loro coagulazione, a creare una membrana che li trattenga (Pedrielli et al., 1984). Le sacche di gelatina, invece, provengono dal collageno presente nei trippini (stomaci) e nelle cotenne: la capacità del collageno di solubilizzarsi in ambienti acquosi e, quindi, di gelatinizzare dipende da fattori quali l'età dell'animale e la provenienza del tessuto. La composizione della ricetta è altresì importante. Infatti essa influenza: a) il colore del prodotto finito: non essendo prevista l'aggiunta di coloranti nell'impasto della mortadella, il colore del prodotto finito è ottenuto da una sapiente miscelazione di carni rosse e carni chiare; b) le caratteristiche plastiche del prodotto finito: si interviene su questo parametro tenendo conto delle caratteristiche delle materie prime, ad esempio: aumentano la "croccantezza" la spalla di suino (perché è una carne dura) e il geretto (perché risulta particolarmente nervoso), la abbassano invece i triti, le cotenne e i trippini (ingredienti considerati "morbidi"). Da quanto esposto si delinea l'importanza, in questa fase del processo, della capacità e dell'esperienza personale del responsabile. Preparazione della farcia Dopo l'allestimento della ricetta si distinguono, per comodità di descrizione, tre linee produttive: la linea magro, la linea grasso e la linea unificata che tratta i semilavorati provenienti dalle due linee precedenti. a) Linea magro Essa tratta esclusivamente la parte magra della materia prima, principalmente: — la spalla di suino: la quantità percentuale nella ricetta aumenta nei prodotti di alta qualità. Per ricette di qualità inferiore o create ad hoc per l'industria può essere prevista anche una quota di carne bovina; — i triti di suino: la qualità è variabile. È giudicato di altissima qualità il trito di carnetta (molto magro, proviene dalla zona della tempia, dietro l'occhio), il trito di testa di prima e di seconda scelta. Di alta qualità è il trito di prosciutto. Di qualità inferiore è invece il trito di busto e di diaframma; — i trippini: provenienti da stomaci suini, demucosati e senza ghiandole; — l'emulsione di acqua e grasso semiduro: viene preparata miscelando grasso e acqua a 60°C (per favorire la formazione dell'emulsione) in un apposito cutter. Segue una raffinazione su setacci, per ottenere una migliore omogeneità di consistenza e di colore. L'emulsione fornisce all'impasto l'adatta quantità di grasso necessaria a renderlo morbido; eventualmente è anche usata come veicolo per zuccheri e sali aggiunti. Il grasso viene aggiunto in forma di emulsione, per evitare problemi di colamento e la formazione di sacche di grasso durante la cottura, e per evitare che la farcia risulti troppo pastosa. Le emulsioni sono utilizzate congelate, per evitare che si destabilizzino. Oltre all'emulsione a base di grasso (a cui si possono aggiungere dei caseinati, per abbassarne il costo), si possono usare emulsioni a base di magro (contenente suino magro, ghiaccio tritato, polifosfati, sale) o di cotenna (contenente cotenne in polvere, ghiaccio tritato, polifosfati, sale). Quest'ultima in particolare è ricca di collageno ed è instabile, ha basso costo ed è utilizzata per prodotti di bassa qualità. Gli ingredienti della ricetta vengono pesati uno ad uno, secondo le quantità previste. Le carni congelate, dopo aver raggiunto la temperatura ideale per la lavorazione, subiscono una premacinazione, chiamata in gergo "sgrossatura". Essa riduce le dimensioni dei pezzi con lo scopo di facilitare la successiva macinazione. È importante che in questa fase vengano evitati stress meccanici, come attriti tra lame e pareti della vasca. Questa operazione contribuisce a rendere più morbido l'impasto perché riduce la consistenza di tendini, nervi e legamenti presenti. È tuttavia un'operazione da tenere sotto controllo per i fenomeni di rammollimento, di perdita di colore e di moltiplicazione microbica, che possono verificarsi. Dopo la sgrossatura si aggiunge l'emulsione di acqua e grasso semiduro, ghiacciata. Segue un premiscelamento, allo scopo di alimentare la tritacarne con materia prima abbastanza omogenea e di amalgamare la carne all'emulsione. Si attua in una vasca di acciaio inox, fornita di pale. Una coclea serve a scaricare la vasca. A questo punto il semilavorato è trasferito, tramite un elevatore a nastro, nella sala della linea unificata, dove subisce una macinatura più fine, attraversando una serie di quattro trafile con fori di diametro decrescente. La tritacarne, detta in gergo "sterminio", ha un asse obliquo per facilitare il passaggio del semilavorato da una trafila all'altra. Si divide in una parte alta, dove si trovano due teste tritacarne (con trafile con fori di diametro pari a 14 mm, precedute da coltelli a quattro bracci), e in una parte bassa, dove si trovano altre due teste per la raffinazione. Le trafile presenti nella zona di raffinazione sono montate di seguito in questo modo: la carne parzialmente macinata incontra un coltello a cinque bracci e la seconda trafila; immediatamente a seguito incontra un coltello a sei bracci, la terza trafila, un ultimo coltello a sette bracci e infine l'ultima trafila, con fori di diametro pari a 0,7 mm. Quest'ultima trafila, dotata di un tubo centrale di scarico dove è convogliato tutto il materiale nervoso difficile da tritare, è particolarmente importante per evitare la sensazione di granulosità nel prodotto finito. La granulosità può essere dovuta a granuli di trippini o a cotenne che, macinate in un molino, possono essere utilizzate in polvere o reidratate. Le variabili di questa fase sono la composizione e la temperatura della miscela alimentata, il tipo e la sequenza degli organi di taglio. Durante la macinatura fine si ha un innalzamento di temperatura di 3-4°C; un eccessivo riscaldamento in questa fase crea un impasto di minor consistenza, la fusione del grasso e la formazione di un colore anomalo. Per quanto concerne il colore, alcuni studi (Pedrielli et al., 1998) hanno dimostrato che, indipendentemente dalla composizione della miscela, alimentando il tritacarne con componenti condizionati a temperature inferiori a -5°C, la percentuale di conversione dei pigmenti totali in nitrosopigmenti (reazione desiderata), tende ad aumentare per valori del rapporto tra velocità di taglio e velocità di alimentazione, compresi tra 2,4 e 4,1. Il prodotto finale, che prende il nome di trito magro, appare come una pasta di colore rosa. b) Linea grasso Essa si occupa della lavorazione della parte grassa della materia prima, cioè: — il grasso golare: esso viene ripulito dalle ghiandole della parotide e ha una venatura magra centrale. È considerato grasso di alta qualità. Nel prodotto finito è riconoscibile dalle striature magre che assumono un colore rosato. Nei prodotti di alta qualità è in percentuale maggiore sul grasso totale; — il lardo: esso proviene dalla parte dorsale del suino, è completamente privo di venature carnee. Al momento della lavorazione il grasso deve trovarsi a una temperatura il più vicino possibile a 0°C (e comunque compresa tra -2 e +4°C). Nel caso in cui la temperatura fosse di molto inferiore a 0°C il rischio sarebbe la rottura delle lame, mentre se la temperatura fosse superiore a 0°C la consistenza non solida del grasso potrebbe causare una cattiva cubettatura. Il grasso viene caricato su un nastro trasportatore e indirizzato verso la taglialardelli, dove viene cubettato in pezzi di 1 cmc circa. La taglialardelli è formata da due serie di lame, montate perpendicolarmente tra loro (a "castello") e da un coltello rotante finale. Dopo la cubettatura il grasso subisce un lavaggio, che prevede diverse fasi. La prima fase si compie per immersione in una coclea, con acqua a 45-50°C. La temperatura dell'acqua in questa operazione è un parametro critico: se fosse inferiore a 45°C, non sarebbe in grado di sciogliere né allontanare i grassi bassofondenti (il cosiddetto grasso molle). Questi, nel prodotto finito, sono la causa della formazione di sacche di grasso. Se invece la temperatura dell’acqua fosse superiore a 50°C, si rischierebbe di scottare il grasso che, a fine cottura, assumerebbe uno sgradevole colore bruno. Dopo la prima fase di lavaggio, segue una scolatura in cestelli con lo scopo di allontanare, insieme all’acqua di lavaggio, i grassi fusi. I cubetti di grasso sono sottoposti successivamente a un secondo lavaggio, per immersione, del tutto simile al precedente, e quindi vengono nuovamente scolati, questa volta in tamburo rotante. Il grasso a questo punto raggiunge una temperatura pari a circa 30°C: non viene raffreddato, ma subito lavorato, per evitare possibili moltiplicazioni microbiche. È trasferito poi, per caduta, nella sala della linea unificata, passando attraverso una griglia grossolana che serve a trattenere la parte fibrosa. Quest’ultima, allontanata a mano, viene scartata. Il grasso, cubettato e lavato, cade dentro a dei vagoncini che verranno poi sollevati e scaricati nella vasca di impastamento. Il prodotto finale di questa linea è chiamato grasso cubettato. c) Linea unificata Essa tratta i semilavorati ottenuti dalle due precedenti linee. Il trito magro viene impastato con il grasso cubettato, miscelato con sale, acqua, spezie o aromi e altri ingredienti, secondo la ricetta. Le spezie sono usate in miscela, detta concia, che viene preparata dall'azienda in un apposito laboratorio. La composizione è segreta per ogni ricetta. Le miscele contengono tra l'altro: pepe (macinato e in grani), noce moscata, mirto, coriandolo. In sostituzione delle spezie si possono usare gli aromi, disponibili sul mercato in polvere o in soluzione, supportati da sale o da zucchero. Gli ingredienti più tipicamente usati sono invece: — pistacchio: acquistato secco e solo al momento dell'uso inzuppato con acqua e sale; — caseinati: acquistati come caseinati di sodio in polvere. Essi vengono idratati, al momento del loro utilizzo, in un miscelatore apposito con acqua in modo da ottenere un liquido bianco, viscoso e leggermente schiumoso che viene pompato direttamente nell'impasto. La principale funzione dei caseinati è quella di rendere possibile l'amalgamazione dell'impasto e di legare l'acqua presente. Hanno inoltre la funzione di migliorare, dal punto di vista qualitativo e quantitativo, il contenuto proteico del prodotto finito, contenendone il prezzo. Si aggiungono solo in prodotti di media e bassa qualità (un esempio su tutti, le mortadelle destinate all'industria della pasta fresca ripiena), in quantità massima del 2% dell'impasto di carne come vuole il DM n. 393 del 18 maggio 1999 (modifica del DL n. 270 del 13 luglio 1989). I caseinati hanno un'elevata percentuale di perdita di peso, ma rispetto ad altri prodotti a base proteica (come gli isolati di soia) fanno sì che avvenga una minore contrazione nelle mortadelle durante la cottura (Hand et al., 1983); — leganti dell'acqua (in alternativa ai caseinati): sono svariati e impiegati a seconda della qualità del prodotto finito. Tra i più frequenti citiamo: isolati di soia, proteine plasmatiche (congelate o in polvere), cotenne in polvere, fibre vegetali (esempio: fibra di bambù). A questo punto del processo vengono aggiunti il sale e gli additivi, nitrati e nitriti, glutammato ed eventuali altri. La macchina impastatrice è composta da tre vasche di impastamento che lavorano in continuo: una in fase di carico, una in fase di impastamento e una in fase di scarico. Ciascuna vasca possiede due alberi coassiali, dotati di pale, che ruotano in senso convergente, lisciando l'impasto. L'impastamento dura, a seconda della ricetta, dai 15 ai 20 minuti, durante i quali si assiste a un lieve abbassamento di temperatura dell'ordine di 2-3°C, dovuto alla presenza del sale. Quando tutto il sale si è disciolto completamente, si aggiunge l'ascorbato in forma di soluzione acquosa e si impasta ancora per tre minuti. La parte rimasta aderente alla vasca di impastamento, dopo lo svuotamento, è detta resa d'impasto e viene riciclata in percentuali differenti a seconda della qualità della ricetta. Insaccamento Trascorsi i tre minuti, il semilavorato è pronto all’insacco: un nastro elevatore raccoglie l'impasto scaricato dalla vasca di impastamento e lo trasferisce in una vasca di alimentazione, dalla quale viene inviato al cornetto estrusore. L'insacco è la fase che richiede più operatori e condiziona l'intera durata del ciclo produttivo, in base ad essa si stila il programma di produzione giornaliero. L'operazione dell'insacco può avvenire in due modi, poiché questa zona operativa è componibile con diversi macchinari a seconda della necessità. Si può trovare: — un sistema manuale: la pasta viene espulsa a comando di un pedale, azionato da un operatore che ha il compito di riempire il budello con il semilavorato. Il sistema è costituito da un nastro trasportatore sul quale lavorano diversi operatori: uno che riempie il budello con il semilavorato, uno che chiude il budello con un laccio, due che fanno rotolare l'insaccato entro gabbie metalliche, che vengono allacciate e appese su bilancini. Le gabbie servono per evitare la rottura dei budelli a causa della dilatazione dell'impasto durante la cottura. Se il budello usato è quello naturale, l'insaccato viene legato a mano con dello spago e collocato sui bilancini. Questo sistema, che può comunque essere predisposto per un dosaggio automatico, è utilizzato per mortadelle di grosso calibro (esempio da 30 kg); — un sistema semiautomatico: il semilavorato è dosato automaticamente a intervalli regolari, necessari per fermare con due clip metalliche il budello (che è stato precedentemente avvolto attorno al cornetto estrusore e scorre spinto dal flusso del semilavorato). Escono così delle filze di mortadella a gruppi da cinque. Questo è un sistema utilizzato per i calibri piccoli. In questo caso non servono le gabbie metalliche perché il budello usato è abbastanza robusto da resistere alle espansioni dell'impasto. Le filze vengono disposte su alloggi metallici, montati sui bilancini. Il semilavorato viene insaccato in assenza di aria, mantenendo il cornetto estrusore immerso nella pasta già espulsa per evitare la formazione di bolle. I calibri e i pesi che si possono ottenere sono: — piccolo: 0,5-1 kg; — standard: 10-15 kg; — grande: 30-100 kg; — gigante: superiore a 100 kg. I budelli utilizzati per l'insacco possono essere naturali (vescica bovina) o artificiali (a base di cellulosa o costituiti da un doppio strato di cellophane). Questi ultimi devono essere rinvenuti in acqua per qualche minuto prima dell'uso. I budelli artificiali usati per i calibri più piccoli hanno una leggera colorazione arancio mattone, perché la mortadella di questo formato non riesce a sviluppare, in fase di cottura, la gradazione cromatica che il consumatore si aspetta. L’utilizzo della vescica bovina presenta i seguenti vantaggi: 1) dona aroma, gusto tipico e particolare; 2) è molto fine; 3) ha una buona traspirazione sia in fase di cottura sia in fase di raffreddamento. Gli svantaggi sono invece: 1) ha un calibro di diametro variabile e non standardizzabile; 2) l'asportazione della vescica in fase di macellazione del bovino è difficoltosa: spesso essa viene tagliata producendo così scarti e abbassamento delle rese; 3) non è adatta a calibri superiori a 17 o 18 kg. Dopo essere stato appeso (verticalmente o orizzontalmente, a seconda del calibro) tramite i bilancini sui binari aerei, l'insaccato viene trasportato nel corridoio dove si affacciano i forni. Qui viene pesato e caricato nel forno. A questo punto il semilavorato si trova a una temperatura inferiore a 0°C; se l'impasto è stato scaricato in vagoncini e ha compiuto una sosta prima dell'insacco, la sua temperatura può superare di qualche grado lo zero. Il trasferimento dei bilancini, così come il caricamento del forno, è manuale, per evitare che eventuali urti tra i bilancini provochino la rottura del budello che, quando è umido, risulta piuttosto fragile. Cottura I forni per la cottura sono camere piastrellate dove viene inviata aria calda (a convenzione forzata, a 8085°C) e secca. L'unica umidità presente è quella rilasciata dal prodotto. A inizio cottura l'umidità relativa del forno si aggira attorno al 13-14%, a fine cottura invece scende sino a 7-8%. L'umidità è un parametro importante perché influenza le reazioni di Maillard e quindi lo sviluppo del colore. A fronte dell'esigenza di liberare il prima possibile i forni, il tipo di profilo termico piatto non crea alcun problema purché l'impasto sia equilibrato. Si fissa la temperatura del forno, ad esempio a 87°C, e questa viene mantenuta, salvo lievi oscillazioni, per tutto il tempo necessario. In genere migliore è l'impasto dal punto di vista qualitativo, maggiore è la temperatura impiegabile nella stufa (fino a 95-100°C, per mortadelle di altissima qualità). Il tempo di cottura è funzione del calibro: si passa da cinque ore, per mortadelle di diametro pari a 4 cm, fino a ventuno ore, per mortadelle di diametro di 25 cm. Per legge la cottura non può terminare prima che il centro termicamente sfavorito (detto anche centro termico) non abbia raggiunto i 70°C (come in allegato C del DPR n. 194 del 17 maggio 1988). Il sistema di rilevazione della temperatura nel centro termico (chiamata temperatura a cuore) si basa su delle sonde collegate a un computer centrale che legge e registra i dati da esse rilevati. La sonda, che contiene una termocoppia, viene inserita manualmente nel punto centrale della mortadella, prima di trasferirla nel forno. Ogni forno è dotato di due sonde, ciascuna inserita in una mortadella. Le due mortadelle in cui saranno inserite le sonde si trovano nei punti precisi del forno ritenuti più freddi. Trascorso un certo lasso di tempo, che è funzione del calibro della mortadella, quando l’operatore rileva al monitor di controllo che la sonda ha misurato una temperatura di poco superiore ai 60°C, ci si accerta che la sonda abbia raggiunto il centro termico esatto, spostandola leggermente dal punto in cui era stata inizialmente inserita. Se spostando la sonda la temperatura si abbassa, significa, in questo caso, che non era stata correttamente posizionata; il centro termico del prodotto è quello che si trova alla temperatura più bassa rilevabile. La cottura viene interrotta quando la temperatura a cuore di entrambe le mortadelle di riferimento, in cui è stata inserita la sonda, supera la temperatura impostata prima dell'inizio della cottura (di solito non inferiore a 70°C). Prima di scaricare il forno si esegue comunque un controllo manuale della temperatura, inserendo la sonda in altre mortadelle. Raffreddamento Il semilavorato in uscita dal forno subisce un raffreddamento. L'operazione deve essere rapida, per evitare fenomeni di inacidimento che avvengono in maggior misura a temperature comprese tra 20° e 45°C. La prima fase di raffreddamento, detta raffreddamento ad acqua, si realizza in tunnel con aria espulsa da un frigodiffusore, alternata ad acqua, che viene spruzzata da ugelli a una temperatura di 15-16°C. L’acqua serve a reidratare la superficie che dopo la cottura appare raggrinzita. La durata di questa prima fase di raffreddamento oscilla tra una e due ore e mezza. La seconda fase di raffreddamento, detta raffreddamento ad aria, è condotta in celle con aria espulsa da un frigodiffusore. II raffreddamento è interrotto quando la temperatura a cuore, misurata da sonde inserite in mortadelle campione, raggiunge i 4-5°C. Operazioni finali Dalle celle di raffreddamento il prodotto finito viene trasferito a una zona di sosta, dove viene mantenuto a una temperatura non superiore a 10°C e con il 75% di umidità: questo valore di umidità produce un calo di peso, ma riduce il pericolo delle muffe. Il prodotto finito viene estratto dalle gabbie ed eventualmente liberato dall'allacciatura del budello. Ove previsto, il prodotto viene tagliato in due parti uguali. Le mortadelle vengono confezionate in sacchi termoretraibili, operando a 90°C con asportazione di aria per due o tre secondi. Segue la pesatura, l'incartamento e quindi l'etichettatura. Sull'etichetta è riportato il numero del lotto, la scadenza e il peso netto del prodotto. L'intero processo termina con la palettizzazione e lo stoccaggio dei prodotti finiti nell'apposito magazzino, a 4-5°C, sino alla spedizione. In media, dalla messa in lavorazione all'uscita dallo stabilimento, passano tre giorni. La temperatura di conservazione ideale del prodotto negli esercizi di vendita e prima del consumo è compresa tra 2 e 4°C. Problemi igienici della mortadella La buona stabilità della mortadella, come già accennato, proviene dal contributo di diversi trattamenti il cui scopo è l'inattivazione microbica, secondo la "teoria degli ostacoli". I trattamenti utilizzati sono i seguenti. Il trattamento termico Importanza della cottura ai fini industriali La cottura è un'operazione fondamentale nel processo di produzione della mortadella. Essa, tramite il trasporto di calore e di materia (acqua), influenza i parametri della temperatura e dell'umidità del prodotto. Per una buona cottura occorre tenere conto di diversi fattori, fra i quali di primaria importanza sono: — qualità e quantità delle specie di carni usate; — quantità di grasso, trippini e cotenna presenti; — pezzatura; — tipo d'involucro; — tipo e potenzialità della stufa in rapporto con i carichi immessi. Gli scopi principali della cottura sono: — distruzione delle forme microbiche vegetative. La cottura non varia la composizione chimica del prodotto e l'evaporazione superficiale dell'acqua non modifica sostanzialmente l'aw del prodotto. È solo l'innalzamento di temperatura a garantire la sicurezza del prodotto sia dal punto di vista igienico-sanitario, sia per quanto riguarda la sua shelf-life. La cottura attraversa una fase critica tra i 20 e i 45°C (Perlasca, 1987). A temperature inferiori a 20°C la riproduzione della flora batterica è lenta e diviene veloce a temperature comprese tra 20 e 45°C. Si deve perciò arrivare velocemente a 45°C, temperatura alla quale ha inizio una considerevole inattivazione microbica; — formazione e stabilizzazione del reticolo proteico. La parziale denaturazione proteica, dovuta all'innalzamento della temperatura, dona all'impasto la consistenza tipica; se la temperatura in fase di cottura supera i 72°C, per la natura stessa della carne suina il prodotto assume una consistenza gommosa-elastica; — formazione di sostanze colorate. Sono composti provenienti dalle reazioni d’imbrunimento di Maillard e da altre reazioni che avvengono in presenza dei nitriti. I nitriti, infatti, stabilizzano il colore: nella carne essi formano una miscela in equilibrio di nitriti, nitrati e ione nitroso; quest’ultimo si combina con la mioglobina a dare la nitrosomioglobina, un composto che diviene stabile al calore, dopo la denaturazione di parte della componente proteica. Il composto che si forma dalla nitrosomioglobina durante la cottura prende il nome di nitrosomiocromogeno; — disidratazione superficiale. L'evaporazione dell'acqua dagli strati superficiali crea una pellicola che dona alla mortadella il suo aspetto esteriore tipico. Se durante questa fase si ha un lieve raggrinzimento superficiale, si può recuperare l'aspetto voluto in fase di raffreddamento reidratando con acqua la superficie; — formazione di sostanze volatili. Donano al prodotto l'aroma caratteristico. Sono, ad esempio, acidi grassi volatili, peptidi a basso peso molecolare e composti generati da diazoreazioni alifatiche che avvengono tra amminoacidi liberi e ioni nitrosi; — rallentamento delle reazioni di deterioramento. I composti di Mallaird che si formano durante la cottura sono in grado, grazie al loro potere antiossidante, di inibire la degenerazione dei radicali liberi, rallentando così la formazione di composti di deterioramento (Spanier et al., 1990; Bailey, 1988). La pastorizzazione La cottura della mortadella equivale a un trattamento termico di pastorizzazione: distrugge le forme microbiche non sporigene ed enzimi termolabili, rendendo il prodotto conservabile, in condizioni particolari (precisi limiti di umidità e temperatura), per un tempo limitato. Indici di cottura: utilizzo dell'attività fosfatasica residua Caratteristiche degli indici di cottura L'indice di cottura è un parametro il cui valore è strettamente collegato al trattamento termico subito dal prodotto in cui viene misurato. È auspicabile che sia un parametro facile e veloce da misurare, in modo che, se il produttore rileva un valore dell'indice tale da mettere in discussione l'efficacia del trattamento termico effettuato, può intervenire bloccando il prodotto prima della sua immissione sul mercato. Tra gli indici di cottura proposti, quelli enzimatici sembrano essere i più affidabili (Cantoni e Frittoli, 1974). Se infatti il primo approccio è stato l'utilizzo della temperatura nel punto termicamente sfavorito (rilevato con apposite sonde), si è presto rilevato come questo valore non fosse una garanzia del grado di cottura. Infatti non è da sottovalutare il rischio di un errore nella misurazione, così come la diversità dei tempi impiegati a raggiungere tale temperatura in prodotti di pezzature differenti. Inaffidabile è anche la valutazione del solo parametro durata del trattamento termico a una data temperatura, poiché la trasmissione del calore è influenzata da vari fattori, sia tecnologici, sia intrinseci al prodotto stesso. Studio della relazione tra fosfatasi acida residua e temperatura raggiunta Gantner e Körmendy (1960) stabilirono che l'attività della fosfatasi acida nel muscolo del suino è inattivata tra 70 e 73°C. Successivamente gli stessi autori (Körmendy e Gantner, 1967; Gantner e Körmendy, 1968) misero a punto il metodo di dosaggio dell'attività enzimatica e ne determinarono l'attività residua in prodotti carnei, dopo un trattamento termico. Fu Lind (1965) che per primo tentò di correlare l'attività fosfatasica residua alla temperatura raggiunta durante la cottura. La relazione che trovò nei prosciutti cotti è: temperatura nel centro (°C) = 77,3985 — 5,7109 log (EF’) dove EF’ corrisponde all'attività fosfatasica espressa in micromoli di fenolo per kg di campione. Dalle prove condotte da Lind risulta che la probabilità che la temperatura trovata con l'applicazione della sua relazione sia inferiore di 1,07°C alla reale temperatura nel centro termico a fine cottura è del 5%. Cohen (1969) determinò l'attività fosfatasica residua in prosciutti in scatola utilizzando un impianto pilota e confermò l’applicabilità del test che rilevò grande accuratezza tra 59,4 e 70°C. Lind, a termine di anni di studi a riguardo, propose un metodo modificato, che fu poi accettato nel 1987 da USDA e inserito nel suo Guidebook (Lind, 1987). Lind usò per i sui esperimenti miscele carnee quattro volte più concentrate e ottenne attività fosfatasiche molto più basse di quelle riscontrate negli studi precedenti: la relazione tra enzima residuo e concentrazione di fenolo liberata non era più rispettata. Questo fu spiegato con la maggior quantità di fosfati (che oltre ad essere naturalmente presenti nella carne possono anche venire aggiunti artificialmente) che modifica l'equilibrio della reazione catalizzata dall'enzima. Körmendy e il suo gruppo di ricerca hanno apportato alcune modifiche nel metodo di Lind: — uso di miscele diluite: la concentrazione di fenolo rilasciata è così proporzionale al tempo di incubazione, poiché la reazione è lineare; — pH 5,4 anziché 6,4; 5,4 è il pH optimum per l’enzima; — substrato (disodiofenilfosfato) in concentrazione di 0,05 M; — cura nella preparazione dell'omogenato: la fosfatasi acida nella carne cotta è per lo più legata alle proteine denaturate, insolubili; — temperatura di incubazione di 37°C: non più 45°C perché a quest'ultima temperatura si rischia la spontanea idrolisi del substrato. Studio della fosfatasi acida come indice di cottura dei prodotti carnei Studi condotti sul latte (Griffiths, 1986) hanno dimostrato come, tra gli enzimi più resistenti al calore, ci fosse la fosfatasi acida. Infatti dai lavori compiuti da Griffiths risultano per la fosfatasi acida nel latte i valori riportati nella Tabella 1. Studi precedenti dello stesso autore avevano dimostrato che trattamenti termici di pastorizzazione (63°C per 30 minuti) riducevano di solo il 10-20% l’attività della fosfatasi acida e che per ottenere la completa inattivazione dell'enzima occorrevano trattamenti drastici (88°C per 30 minuti). Questi risultati hanno ulteriormente avvalorato l'ipotesi di poter utilizzare questo enzima come indicatore per trattamenti termici in prodotti di salumeria cotti, dove l'intero ciclo di cottura avviene tra 65 e 75°C (Marenghi e Consiglieri, 1990). La termoresistenza della fosfatasi acida nel mezzo carne è risultata essere inferiore a quella registrata nel mezzo latte, ma poiché il valore è tale da causare l'inattivazione dell'enzima a temperature vicine a quelle utilizzate nella cottura dei prodotti di salumeria, ciò è risultato un fatto a favore dell'applicazione ipotizzata. Utilità pratica del test della fosfatasi acida Stabilito che l'attività fosfatasica può essere considerata un indicatore del trattamento termico, il suo attributo "target" sarà l'inattivazione termica dello Str. faecalis D, con z = 10°C e EPT = 80 minuti. Si è scelto il valore di EPT pari a 80 minuti per considerazioni pratiche (Incze et al., 1999). È stato stabilito, attraverso la cottura del prosciutto cotto a una temperatura costante di 70°C per 80 minuti, in condizioni isoterme, che il residuo medio dell'attività della fosfatasi acida è di 628 micromoli di fenolo/kg di campione (Körmendy et al., 1992). Si può dire, semplificando, che questo valore di 628 micromoli di fenolo/kg di campione è il valore limite: se l'attività enzimatica di un prosciutto cotto è superiore a questo limite, significa che il prodotto non ha subito un trattamento termico sufficiente a soddisfare l'obiettivo igienico stabilito (EPT = 80 minuti per Str. faecalis D, a 70°C). Attualmente la quasi totalità dei lavori è limitata allo studio applicato al trattamento dei prosciutti cotti (specialmente in scatola). Altri indici di cottura proposti per i prodotti carnei La fosfatasi acida non è l'unico enzima proposto come indice di cottura per i prodotti carnei. Tra gli enzimi studiati sono presenti anche la fosfatasi alcalina, la perossidasi e la carbonilesterasi (Cantoni e Frittoli, 1974). L'attività della lattatodeidrogenasi diminuisce a partire da temperature di cottura comprese tra 65 e 68°C (Collins et al., 1991). ______________________________________________________________________________________ _________ MORTADELLA Difetti: ¾ Inverdimento: Ad anello, a concentrazione di O2 pari a 0.030 % Superficiale nei prodotti in busta: Dovuto a lattobacilli e produzione di H2O2 ¾ Rammollimento: a zone o diffusa Origine microbica per uso di mammelle e uteri e materiale scadente Con fenomeni fermentativo-putrefattivi Con processi proteolitici e lipolitici. Origine enzimatica per uso di pancreas e trippini non demucosati ¾ Inverdimento centrale: possibilità botulino Wurstel Riferimenti bibliografici wurstel: Carlo Cantoni e Simona d’Aubert. Eurocarni, 9, 10, 11/86 Carlo Cantoni, I wurstel moderni, Premiata Salumeria Italiana, 2001, XIII, 4, 14-21 www.milioni.com/salumi/dati/33.htm www.massmarket.it/wurstel.htm www.educazionealimentare.net/ Definizione: Salsicce il cui impasto è costituito da una miscela o farcia, contenente carne magra, grasso ed acqua, oltre a sale, zuccheri, spezie, aromatizzanti , additivi, finemente tritati ed emulsionati al punto da non potersi più distinguere visivamente la struttura dei vari componenti. L’impasto del wurstel è considerato un’emulsione carnea, ottenuta solubilizzando le proteine della carne con sale, acqua o ghiaccio, e sospendendo le particelle di grasso nella soluzione proteica. Le proteine miofibrillari, miosina, ricoprono le particelle di grasso intrappolandole ed impedendo la separazione delle due fasi. Carne: indicate carni a pH elevato per forte capacità legante. Carni tritate e congelate in pre-rigor e trattate in cutter senza scongelarle, Presalaggio di carni a pH normale o alto. Specie della carne: suino o altre specie, compreso volatili e selvaggina Involucro: naturale, a base di collagene, cellulosico o di materiale plastico Grasso: di buona qualità, grasso bianco, fresco consistente per carni essudative grasso più morbido e insaturo. I grassi presentano due tempi di fusione: una prima fusione, meno rilevante, tra 8 e 14°C, e una seconda tra 18° e 30 °C per i grassi di suino e tra 10 – 12°C e 22 – 28°C per il grasso bovino. Per avere impasti stabili la temperatura finale non dovrà superare i 14- 18°C. La temperatura influenza la distribuzione delle particelle di grasso e a sua volta la temperatura dipende dalla costituzione dell’impasto (viscosità, tessuto connettivo). Altri ingredienti e additivi L’eventuale cotenna deve essere già in purea e introdotta nel cutter come primo ingrediente. Il sale va aggiunto alla carne e così i nitrati e di nitriti. Caseinati, in soluzione o in gel, sono aggiunti dopo, poi gli zuccheri per non modificare la viscosità, infine gli ascorbati. La presenza di polifosfati causa l’aumento della frazione solubile (dal 25 al 30%) favorendo l’emulsionabilità, diminuisce la viscosità. Devono essere aggiunti ad incorporamento iniziato. Durante l’emulsionamento, che avviene in cutter ad alta velocità, il calore che si genera potrebbe far coagulare le proteine con conseguente separazione delle fasi, ma questo viene evitato con aggiunta di ghiaccio o acqua fredda, che facilita l’emulsione e rende più morbido l’impasto per l’insaccamento. Durante l’emulsionamento il collagene si imbibisce di notevoli quantità d’acqua. Aspetti dell’emulsionamento in cutter: 1° tempo: formazione della fase disperdente (rigonfiamento delle proteine e loro solubilizzazione): da colloide a gel. Distribuzione della fase dispersa (grasso) in modo eterogeneo con particelle di dimensioni diverse (T 0 – 6°C). 2° tempo: particelle di grasso di dimensioni uguali e omogeneamente distribuite e corretto legame tra le due fasi. Aumenta la densità dell’impasto, viene eliminata parte dell’aria. I polifosfati aumentano la stabilità del sistema. La durata del 1° tempo di cutteraggio dipende dalla qualità degli ingredienti e degli additivi, che possono modificare la capacità di rigonfiamento della carne. Se la velocità è troppo alta l’impasto incorpora aria, che tende a riunirsi e, se il cutteraggio è troppo prolungato, a liberarsi facendo aumentare la viscosità. Questo può essere evitato lavorando sotto vuoto, operazione che favorisce la formazione di MbNO e limita la degradazione dei grassi. Al termine del cutteraggio il colore da rosa pronunciato diventa rosa pallido. Segue l’insaccamento mediante una tramoggia in una insaccatrice-porzionatrice che forma i wurstel torcendo il budello (sintetico, a facile pelatura). Segue l’asciugatura o stufatura, durante la quale si formano MbNO, aroma, sapore. Poi l’affumicatura e infine la cottura a 75°C per 20-25 minuti o a 85 – 90 °C per pochi minuti. Infine la docciatura, il raffreddamento e la pelatura. SCHEMA DI LAVORAZIONE WURSTEL (fasi in cutter) → 2 nitrati – nitriti → 3 → 4 carne magra sale, spezie (polifosfati) → 1 ←(purea di cotenne) 5 ← caseinato, plasma 7 ← diluenti (ghiaccio, acqua) 8 ← soluzione gel proteico 6 temperatura + 6° / + 8°C 9 grasso → 10 antiossidanti → 11 zuccheri → ← emulsione grassa 12 temperatura + 12° / + 14°C SCHEMA DI LAVORAZIONE WURSTEL (fasi successive al cutter) • INSACCATURA e LEGATURA • ASCIUGATURA o STUFATURA (MbNO) • T 45° - 50°C U.R. 42 – 44 % T 60°C U.R. 38° - 40 % tempo 60’ AFFUMICATURA T 60°C • tempo 35’ U.R. 45 – 50 % tempo 1 h e 15’ U.R. 75° - 100 % tempo 20 – 25’ COTTURA T 74° - 76°C • RAFFREDDAMENTO • PELATURA • CONFEZIONAMENTO ________________________________________________________________________________ DIFETTI NEL PRODOTTO FINITO Dipendono dal rapporto carne/grasso, dal cutteraggio, dalla temperatura di cottura. 1. Mancata coesione dell’impasto e untuosità superficiale. Si ha per eccessivo emulsionamento con frazionamento dei globuli di grasso in particelle sempre più piccole, con aumento della superficie di grasso a tal punto che la soluzione proteica non riesce più a ricoprire le particelle di grasso; ciò causa la separazione delle fasi e l’untuosità superficiale. 2. Raggrinzimento della fase carnea: si ha per scarso contenuto di carne muscolare nella formula, con preponderanza di collagene, che al riscaldamento si retrae (di circa un terzo a 63,8°C) convertendosi in gelatina e separandosi dalla superficie del globulo di grasso. 3. Separazione della fase grassa: avviene in seguito a temperature troppo alte o a riscaldamento troppo rapido. Lo strato proteico che avvolge la superficie del globulo di grasso si coagula e si retrae, mentre il grasso interno si dilata, ciò causa rottura dell’involucro proteico e fuoriuscita del grasso