università degli studi di padova facoltà di scienze della formazione

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA
FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE
CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN
COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO
Relazione finale
Evoluzione del Terzo settore in Italia:
scenario generale e il caso specifico di Jardin de los Niňos Onlus
Relatore
Prof.ssa Maria Castiglioni
Laureanda
Cappellari Ilaria
Anno Accademico 2006 – 2007
Ai miei genitori
2
INDICE
Introduzione
pag. 5
Prima Parte: Analisi del Terzo settore in Italia
1.1 La crisi del welfare state
pag. 8
1.2 Breve storia del Terzo settore in Italia
pag. 9
1.3 Il Terzo settore: non è mercato non è Stato: cos’è?
pag. 11
1.4 Una rassegna delle denominazioni ricorrenti
pag. 14
1.5 Caratteristiche strutturali e cultura specifica del Terzo settore
pag. 18
1.6 Il Terzo settore in numeri
pag. 20
1.7 Il Terzo settore e la globalizzazione
pag. 22
Seconda Parte: Cambiamenti in atto nelle organizzazioni del Terzo settore
2.1 Essere volontari ieri e oggi cosa vuol dire
pag. 27
2.2 Il volontariato internazionale
pag. 31
2.3 La capacità di costruire reti
pag. 32
2.4 Terzo settore: un nuovo bacino occupazionale?
pag. 34
2.4.1. Professione Fundraiser: una nuova possibilità
pag. 3 6
occupazionale
2.5 Gli obblighi verso i donatori
pag. 37
2.6 Parola d’ordine: rinnovamento
pag. 40
2.7 L’importanza della comunicazione sociale
pag. 41
Terza Parte: Sotto la lente: l’Associazione Jardin de los Niňos Onlus
3.1 Onlus. Cosa vuol dire?
pag. 46
3.2 L’Associazione Jardin de los Niňos Onlus
pag. 47
3.3 La struttura
pag. 50
3.4 Le risorse
pag. 51
3.5 Cambiamenti in atto paralleli a quelli nazionali
pag. 55
Bibliografia
pag. 58
Allegati
pag. 60
3
4
«Capì questo: che le associazioni rendono l’uomo
più forte e mettono in risalto le doti migliori delle
singole persone e danno la gioia che raramente si
ha restando per proprio conto, di vedere quanta
gente c’è onesta, brava e capace e per cui vale la
pena di volere cose buone - mentre vivendo per
proprio conto capita più spesso il contrario, di
vedere l’altra faccia della gente, quella per cui
bisogna tener sempre la mano alla guardia della
spada».
(Italo Calvino, Il Barone Rampante)
Introduzione
Durante l’esperienza di stage svolto presso l’Associazione Jardin de los Niňos
ho ricevuto parecchi input che mi hanno fatto riflettere sulle dinamiche che il Terzo
settore genera. Il desiderio di approfondire la materia nasce in primo luogo proprio
dalla curiosità e dalla mia poca conoscenza teorica verso questo particolare settore;
secondariamente perché durante lo stage ho sviluppato un certo interesse per
questo settore.
Scrivendo questa relazione finale, ho constatato come molti concetti studiati
durante gli anni universitari siano ritornati utili; dall’economia, al diritto, alla
sociologia, all’antropologia, alla geografia sociale…e nel processo di stesura ho
avuto la sensazione di “tirare le fila” conclusive di questo percorso triennale.
Paradossalmente con una materia che però non è mai stata trattata a lezione!
Mi è parso infatti insolito che nel Corso di Laurea di Cooperazione allo
Sviluppo frequentato in questi anni, non siano mai state dedicate delle ore di lezione
al fenomeno del Terzo settore, soprattutto alla luce del profondo legame con la
cooperazione internazionale e del fatto che rappresenta un canale di inserimento
occupazionale per molti neolaureati interessati al mondo della cooperazione allo
sviluppo.
Questo elaborato vuole essere una ricostruzione dell’analisi teorica del Terzo
settore in Italia, ma anche un‘ analisi di un caso specifico che per molti aspetti segue
gli stessi trend nazionali di cambiamento delle organizzazioni facenti parte del Terzo
settore.
L’idea quindi è nata dall’esperienza di tirocinio, poi ho iniziato a documentarmi,
ho letto molte riviste, soprattutto il giornale per eccellenza del Terzo settore, ovvero
Vita. Dopo aver studiato alcuni libri specifici, ho chiesto una consulenza finale al
5
Centro Servizi Volontariato della Provincia di Padova in merito ad alcuni dubbi che
avevo su alcune nozioni e per avere dei dati di ricerche svolte da loro nel territorio.
L’attenzione che ho rivolto al mondo delle organizzazioni del Terzo settore è
dovuta a molte ragioni: il loro significativo peso economico, la buona capacità di
creare occupazione, la consistente presenza nella produzione di beni e servizi
cruciali per la qualità della vita delle nostre società, la capacità di produrre coesione
sociale e di dare risposte importanti alle aspettative individuali delle persone, per
garantire una convivenza civile e ricca, appunto, di qualità.
La materia è stata affascinante, soprattutto la parte dedicata al volontariato,
poiché rappresenta una cultura in controtendenza rispetto all’efficientismo e
all’utilitarismo dominanti nella gestione del tempo di oggi. La gratuità dei volontari è
una nobiltà a molti ancora ignota perché è amore senza tornaconto e mette in
discussione le fondamenta della società “dell’acquisto e della vendita”.
Nella prima parte di questo lavoro si analizza il Terzo settore in generale;
viene introdotto il sistema del welfare state, accennando alla sua crisi, poi si analizza
brevemente lo sviluppo storico in Italia, dal dibattito teorico sulle diverse terminologie
in uso, alla descrizione dei valori accomunanti. Vengono inoltre riportati alcuni dati
sullo stato attuale del Terzo settore italiano ed infine si discute come il Terzo settore
rinsalda i legami sociali persi con l’avvento della globalizzazione.
Nella seconda parte vengono analizzate le nuove dinamiche che stanno
avvenendo nelle organizzazioni del Terzo settore: i cambiamenti subiti da chi
desidera diventare volontario, l’aprirsi verso altre realtà e operare in rete per la
stessa mission, le nuove possibilità occupazionali che offre il settore, il cambiamento
degli obblighi verso i donatori, il difficile rinnovamento generazionale e la centralità
che oggi ha la comunicazione sociale.
Infine l’ultima parte si focalizza sull’associazione Jardin de los Niňos Onlus,
ricostruendo le dinamiche di cambiamento in atto all’interno dell’associazione, che in
linea generale sono parallele a quelle di tutto il Terzo settore.
6
Prima parte:
Analisi del Terzo settore in Italia
7
1.1 La crisi del welfare state
Lo stato sociale si afferma, nei paesi democratici a economia capitalistica
dell'Occidente, a partire dal secondo dopoguerra, ed è legato ai processi di
modernizzazione sociale. Il periodo denominato anche “l'età d'oro del welfare” va dal
1950 al 1980, è stato caratterizzato dall’estensione universale dei diritti sociali, da
una dinamica demografica contenuta e da un intenso sviluppo economico.
L’Occidente era caratterizzato da alcune trasformazioni: un aumento delle spese
pubbliche di protezione sociale da parte degli Stati, un miglioramento delle condizioni
economiche delle società e una crescente responsabilizzazione delle persone e dello
Stato, che avevano portato una diffusione capillare del benessere. Un benessere, cui
garante era lo Stato, il cui obiettivo primario era la soddisfazione
dei bisogni
fondamentali di tutti i cittadini.
Ma ad un certo punto, nei primi anni ’90 in tutti i paesi europei, questa grande
“macchina protettrice” si ferma, e le garanzie sociali risultano essere non più
sostenibili e il welfare state non è più capace di far fronte alla domanda dei servizi
contando solo sulle proprie risorse. Le cause di questa incapacità dello Stato
assistenziale sono molteplici e dipendono in larga parte dalle trasformazioni che
stavano avvenendo nelle società: l’allungamento della vita e quindi i nuovi bisogni
delle classi più anziane, le nuove evoluzioni dei rapporti familiari che producono
situazioni di esclusione e povertà, la partecipazione femminile al mercato del lavoro,
ed infine il passaggio da un economia prevalentemente industriale, ad un’economia
dei servizi, del terziario. Non da meno i contenimenti della spesa pubblica sia per
rispettare i parametri dell’Unione Europea che per far fronte all’elevato debito
pubblico accumulato negli anni precedenti. Davanti a tutti questi cambiamenti che
originano nuovi bisogni, gli Stati risultano essere difettosi e incapaci di gestire la
situazione.
8
1.2 Breve storia del Terzo settore in Italia
La storia del Terzo settore è rintracciabile nelle difficoltà affrontate dall’Italia
post-unitaria. La partecipazione associativa e le forme di mutua assistenza erano
presenti in Italia già dal 1800.
Innanzitutto la storia documenta una situazione ideologicamente marcata e
geograficamente disuguale delle organizzazioni della società civile nei primi decenni
dello stato unitario.
Tab. 1.1 La strutturazione della società civile in Italia nei primi decenni dopo l’Unità.
Soci e Società di mutuo soccorso per aree geografiche nel 1873 e nel 1895.
1873
1895
Area
Società
Soci
Società
Soci
Nord
686
134.380
3.722
597.443
Centro
289
62.237
1.343
214.469
Sud e
171
22.205
1.522
182.201
Totale
1.146
218.822
6.587
994.183
Isole
Osservando la tabella 1.11 che riporta i dati relativi alle società di mutuo
soccorso nel 1873 e nel 1895, si notano, anche se si tratta di dati parziali, alcune
caratteristiche, come la rapida crescita della densità associativa verso la fine del
secolo, che mantiene tuttavia invariata la frattura tra Nord e Sud. Tale squilibrio
territoriale dipendeva da due fattori: uno economico e l’altro politico-culturale. Infatti
elevati reticoli di organizzazioni della società civile erano presenti nelle regioni del
triangolo industriale, e in regioni come il Veneto, l’Emilia e la Toscana dovuti ad
orientamenti valoriali specifici (cattolici e socialisti). Il retaggio di questa dinamicità è
stata una ricca dotazione infrastrutturale di organizzazioni di volontariato, sportive e
ricreative, che accompagnata dallo sviluppo economico, fa di queste regioni un’area
1
Dati desunti e rielaborati da C. Triglia, Grandi partiti e piccole imprese, Bologna, Il Mulino, 1986
9
tra le più ricche d’Europa e con un’elevata qualità di vita. Una nota ricerca di Robert
Putnam ha argomentato quanto l’elevato Capitale Sociale delle regioni del Centro
Nord sia debitore della fase di sviluppo dell’associazionismo a cavallo tra il XIX e il
XX secolo2.
Fino al 1970 in Italia lo sviluppo storico delle organizzazioni di società civile
era basato fortemente su una regolamentazione pubblica, nell’insieme poco attenta
ai processi e ai risultati, che le considerava generalmente come sostitutive
dell’intervento pubblico; questo ha comportato per diverso tempo una mancanza di
professionalizzazione del settore, da un lato, e un’estromissione degli esponenti dello
stesso nelle politiche attive e di sviluppo sociale, dall’altro.
Negli anni ’80 in alcuni settori di attività come sanità, educazione e soprattutto
formazione professionale, le organizzazioni del Terzo settore operavano in stretta
connessione con il sistema pubblico di fornitura di servizi, rappresentato dal sistema
sanitario nazionale o dal sistema scolastico pubblico. Di conseguenza, esse
dipendevano in maniera massiccia dai finanziamenti di origine pubblica, e i loro
servizi non si distinguevano molto da quelli forniti dalla pubblica amministrazione.
Nell'ambiente e nella tutela dei diritti umani e civili, invece, rappresentavano
spesso il solo giocatore in campo.3
Negli anni ’90 inizia la fase del riconoscimento giuridico e istituzionale degli
enti del Terzo settore. Non bisogna comunque dimenticare che in questo periodo si
verifica una vera e propria esplosione dei problemi nei sistemi di welfare in tutta
Europa che stimola riflessioni e porta significativi provvedimenti. Rilevanti diventano
in Italia le leggi promulgate in questi anni: la legge sulle ONG 49/1987, la Legge
quadro del volontariato 266/1991 e la legge delle cooperative sociali 381/1991.
Dagli anni ’90 il Terzo settore è sempre più strutturato e copre spazi più ampi
nella vita pubblica. Questo è dovuto in parte a una esigenza di contenimento dei
costi pubblici nel rispetto dei trattati europei. Il Terzo settore infatti è intervenuto per
colmare quelle lacune nelle aree in cui lo Stato aveva operato dei tagli. In secondo
luogo l’espandersi del Terzo settore è dovuto ad una accresciuta consapevolezza
della società civile della possibilità di auto-organizzarsi per dare immediate risposte
2
3
Putnam R., Le tradizioni civiche delle regioni italiane, Milano, Mondatori, 1993
Comunian M., Il lavoro nel terzo settore. Uno sguardo alla realtà italiana, veneta e padovana, 2002.
10
ai bisogni sociali emergenti del territorio (dando così concretezza al principio di
sussidiarietà).
Dopo la crisi politica del 1992-94 gli equilibri si sono rovesciati: le
organizzazioni del Terzo settore non solo diventano autonome, ma godono di un più
elevato sostegno rispetto alle organizzazioni politiche. Nella persistente diffidenza
che separa il «Palazzo» dalla « Piazza»4 nell’Italia di questi anni, le organizzazioni
del Terzo settore raccolgono i più elevati livelli di fiducia.
In questi anni quindi il mondo del Terzo settore ha iniziato un vero e proprio
percorso di sviluppo sostenuto da motivazioni di solidarietà umana e sociale. Queste
organizzazioni hanno cercato, in chiave assistenziale, di offrire risposte concrete ad
aspetti del disagio sociale poco coperti da servizio Pubblico. Nell’ultimo ventennio il
volontariato ha sostenuto costantemente la propria crescita sia sul piano della
presenza sul territorio, sempre più radicata e capillare, sia sotto il profilo dell’efficacia
della propria azione, tradottasi progressivamente in progetto.
Dal 1997 in poi i passi più importanti sono stati numerosi: vengono approvate
molte leggi regionali sulla cooperazione sociale, nel 1997 nasce il Forum
Permanente del Terzo Settore, si costituiscono poi i Forum Regionali, viene emanato
il disegno legislativo 460 che regolamenta le ONLUS (si veda il paragrafo 3.1), nel
1999 nasce la prima esperienza di Banca Etica Popolare ad azionariato popolare e
vengono promosse manifestazioni fieristiche nazionali dedicate interamente al Terzo
Settore5.
1.3. Il Terzo settore: non è mercato, non è Stato, cos’è?
I modelli di trasformazione del welfare state sono molti, tra cui spicca la
creazione di un mix (welfare mix) tra i 3 principali soggetti in campo: Stato, mercato e
terzo sistema, dove il senso che è proprio delle organizzazioni solidali diviene l’anello
propulsivo delle trasformazioni. Più esattamente, il welfare mix indica una situazione
in cui la produzione di servizi sociali e di interesse collettivo è garantita da una
4
5
Guicciardini F., Ricordi, Firenze, Sansoni 1951.
Due appuntamenti nazionali importanti sono la Fiera della Solidarietà Civitas a Padova e Terra Futura a Firenze.
11
pluralità di soggetti istituzionali (pubblica amministrazione, organizzazioni non profit e
imprese for profit), con ruoli parzialmente sovrapposti e in parte diversi dove, di
norma, la pubblica amministrazione svolge il compito principale, ma non
necessariamente esclusivo, di finanziatore, e le imprese e le organizzazioni private
svolgono soprattutto quello di produttori. In Italia si è anche usata l'espressione di
welfare municipale.
È ormai acquisito che il superamento del modello statalista di welfare
presuppone che si disponga di una specifica tipologia di mercati: i mercati di qualità
sociale6, come ormai vengono denominati nella più recente letteratura. In essi, le
risorse che lo Stato decide di destinare al welfare vengono utilizzate per interventi di
promozione e sostegno della domanda di servizi sociali, trasformando così in
effettiva una domanda che altrimenti resterebbe solo virtuale. Corollario di tale
trasformazione è la valorizzazione del Terzo settore come soggetto pienamente
partecipe nella realizzazione di politiche di welfare all'interno delle quali non è più il
solo livello istituzionale che decide dove e quando intervenire, ma le linee guida degli
interventi sono decise secondo un approccio partecipativo.7
Dall'inizio degli anni novanta si sono avuti vari interventi legislativi che hanno
riconosciuto al Terzo settore il ruolo di partner istituzionale del settore pubblico nella
realizzazione di politiche di sostegno sociale. Tra le suddette norme vanno ricordate
quelle che regolano la possibilità di delegare a soggetti di natura privata l'erogazione
di servizi pubblici (legge 142 del 1990), la legge sulle organizzazioni di volontariato
(legge 266 del 1991) e sulle cooperative sociali (legge 381 del 1991), con le
rispettive applicazioni a livello regionale e provinciale. È da rilevare che in molti testi
legislativi si parla di Terzo settore come se questo sia stato chiaramente definito non
solo per quanto riguarda l’attività da svolgere, ma anche per i soggetti che possono
appartenere ad esso. Uno degli ultimi esempi si ha con la legge 328/2000- Legge
quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, la
quale dedica tutto un articolo (il 5°) al ruolo del Terzo settore, senza mai dire però
cosa si intende per terzo settore e quali siano gli organismi ad esso appartenenti.
6
7
Zamagni S.
Carrocci, Il welfare futuro: manuale critico del terzo settore, Roma, 1999.
12
Una interpretazione a lungo dominante identifica nei fallimenti dello Stato e del
mercato la causa principale dell’irrompere del Terzo settore sulla scena sociale per
realizzare un soddisfacente livello di benessere sociale. Secondo questa prospettiva,
la dinamica societaria resta irreversibilmente inscritta all’interno del binomio Statomercato e il Terzo settore rappresenta una tra le diverse modalità possibili per
compensare le defaillances dell’uno e dell’altro. Ormai celebre l’interpretazione di
Rifkin8 per cui al Terzo settore spetterebbe il compito di settore spugna. Ma il Terzo
settore può emergere come forma sociale autonoma se il contesto societario si
orienta alla costruzione di un welfare plurale, civile e societario. Il Terzo settore viene
così a configurarsi come un attore strategico, accanto allo Stato, al mercato, alla
famiglia e alle reti informali, per la realizzazione di politiche di effettivo benessere
personale e sociale.
Come sostiene il prof. Stefano Zamagni9, l’immagine più azzeccata per il
Terzo Settore italiano è quella del bivio: continuare sulla via, fino ad oggi in
prevalenza battuta , dell’advocacy e della ridistribuzione, oppure intraprendere con
decisione la via dell’imprenditorialità sociale e civile, cioè la via della produzione di
capitale sociale. Restare ancorati alla prima alternativa significherebbe per il Terzo
settore: mantenere un rapporto privilegiato con le pubbliche amministrazioni e legare
la gran parte dei propri finanziamenti a strumenti quali la convenzione e il tributo.
Scegliere la seconda alternativa, significherebbe: intervenire da protagonista
autonomo nella realizzazione pratica della welfare society in sostituzione dell’ormai
obsoleto welfare state e contribuire alla costruzione di un modello di ordine sociale
nel quale la società civile giunga finalmente a occupare gli spazi che le sono propri e
le appartengono, dal momento che il modello Stato-mercato è esaurito. Zamagni qui
fa riferimento all’impresa sociale (l. 118/2005). Ovvero quell’impresa che, pur con
tutte le caratteristiche di un’impresa tradizionale, non ha come obiettivi primari gli
scopi tipici dell’impresa, ma l’interesse generale della comunità alla promozione
umana e all’integrazione sociale dei cittadini. La manifestazione più evidente e
diffusa di impresa sociale si riconosce nelle cooperative di solidarietà sociale, ma
non solo: essa infatti starebbe ad indicare tipologie organizzative diverse sia sotto il
8
9
Rifkin J., La fine del lavoro, Baldini e Castaldi, Milano 1995.
Fondazione Lanza, Etica per le professioni , Anno VII, 3/2005.
13
profilo delle forme societarie ( anche associazioni, fondazioni…), sia del servizio reso
alla collettività (servizi ambientali, socio assistenziali, inserimento lavorativo, tutela
patrimonio artistico…). Essa si differenzia dagli altri soggetti del Terzo settore per la
prevalenza del lavoro remunerato su quello prestato gratuitamente.
Dal punto di vista socio-politico del Terzo Settore nelle nostre società
contemporanee ci sono due posizioni opposte. Da un lato c’è la posizione del
compassionate conservatorism (conservatorismo compassionevole), secondo cui
l’attenzione nei confronti di chi resta indietro va ricondotta nel sentimento morale
della compassione e il non profit viene chiamato in causa per alleviare gli effetti e
non per incidere sulle cause generatrici degli stessi. Dall’altro c’è la preoccupazione
dei neo-statalisti che le azioni del Terzo settore, se troppo diffuse e prese sul serio,
possano alla lunga spiazzare l’azione politica e quindi ritardare la piena realizzazione
della cittadinanza democratica attiva, la quale sola assicurerebbe il rispetto
dell’individuo.
È possibile pensare alle organizzazioni del Terzo settore non più come solo
strumenti per colmare le carenze del welfare state, ma come un agire, il cui senso è
contribuire a cambiare il modo d’essere delle istituzioni sia politiche che economiche.
La sua missione specifica e fondamentale è quella di costituire la forza trainante per
la propagazione, nelle sfere sia politica sia economica, della cultura della fraternità.
Se invece il Terzo settore si accontenterà di svolgere un mero compito di tappabuchi
e di supplenza dello Stato, allora sarà difficile che esso possa evitare un declino. 10
1.4 Una rassegna critica delle denominazioni ricorrenti
Il Terzo settore soffre ed è offuscato dall’ancora potente modello duale StatoMercato che domina in maniera più preponderante nelle nostre immagini della
società moderna . Si sa ben poco perfino degli aspetti fondamentali di questo settore:
il suo scopo generale, l’ampiezza della struttura interna, l’occupazione, le spese, le
fonti di sostegno finanziarie, ecc.
10
Fondazione Lanza (a cura), Etica e non profit, 2005
14
Addirittura stenta a trovare un suo “nome proprio” ed identificarlo è
un’operazione piuttosto difficile. Ciò è dovuto soprattutto dal fatto che è mancata, e
manca tuttora, una disciplina civilistica specifica che gli dia una univoca identità
giuridica ed economica. Nel linguaggio giuridico ed economico si usano una
molteplicità di termini: terza dimensione, terzo sistema, privato sociale, terzo settore,
ente
non
commerciale,
organizzazione
non
profit,
ONLUS.
La
comunità
internazionale invece usa: voluntary sector, charitable sector, économie sociale, ecc.
L’espressione Terzo settore è di derivazione anglosassone (third sector) e
non appartiene al nostro contesto culturale poiché compare alla fine degli anni ‘80. Al
termine “terzo” vengono dati i significati di:
- « altro da » rispetto alle imprese private e alla pubblica
amministrazione;
- come ordinazione numerica, ovvero successivo al primo settore
economico costituito dal mondo della P.A. e al secondo costituito dal
mondo dell’impresa.
“Settore” in economia indica un insieme di imprese che svolgono le medesime
attività, mentre l’operatività del Terzo settore spazia dalla sanità all’assistenza
sociale, dalla cultura alla tutela dei diritti civili, dallo sport alla cooperazione
internazionale. Questa espressione è fuorviante, perchè essa veicola l’idea di
qualcosa di residuale, di qualcosa che viene dopo che gli altri due settori hanno fatto
il loro gioco. Il fatto di essere connotato in base a ciò che non è, piuttosto che ad
attributi positivi può essere fonte di fraintendimenti. Da qui l’interpretazione
minimalista del terzo settore come “croce rossa sociale”
11
che riunisce coloro che gli
altri due settori tendono ad escludere, oppure a non tutelare. Dal punto di vista
terminologico invece, per i non esperti nel campo, la dicitura “terzo settore” può
essere confusa e identificata con il terzo settore economico della produzione: quello
dei servizi. Ultimo limite che lo studioso Ascoli12 esplicita, è che settore dovrebbe
essere utilizzato ad un livello molto alto di astrazione in quanto l’individuazione della
sua composizione rimanda ad aspetti soggettivi e contiene forti connotazioni etiche.
11
12
Mastantuono A., Alla ricerca del terzo settore, i quaderni de “il Melograno”
Ascoli U., Il welfare futuro: manuale critico del terzo settore, Cartocci editore, Roma.
15
La denominazione Ente non commerciale ha un significato invece
strettamente fiscale. Il concetto di commercialità in linea di principio sottintende
l’esistenza di un rapporto di prestazione/controprestazione. In tale qualificazione
rientrano sia gli enti pubblici, che gli enti non profit; si deduce quindi che questa
espressione fa riferimento all’attività svolta e non alla finalità perseguita.
Ente/organizzazione non profit deriva dall’inglese not for profit organization
e indica la caratteristica distintiva ed esclusiva nel fatto che le organizzazioni non
hanno finalità di profitto e che non prevedono la distribuzione degli utili. In altre
parole, il profitto è solo strumentale per il conseguimento delle finalità sociali e
l’eventuale surplus che dovesse risultare dallo svolgimento della loro attività non può
essere distribuito ai membri dell’organizzazione. Tuttavia, questa espressione è
inadeguata perché la mera non distribuzione degli utili a fine esercizio è, di per sé, né
necessaria, né sufficiente ad identificare la natura propria delle organizzazioni di cui
stiamo parlando. L’espressione Organizzazione senza fine di lucro, analizzata dal
punto di vista giuridico risulta essere ambigua , perché esistono due forme di lucro: il
lucro “oggettivo, cioè la realizzazione di un guadagno, a prescindere dalla
destinazione dei proventi, e il lucro “soggettivo”, da intendersi come la distribuzione
del guadagno tra i soci.
Infine, economia sociale nasce nei paesi francofoni negli anni ottanta e
identifica le organizzazioni cooperative, mutualistiche e di non profit. Questa dizione
evidenzia primariamente la connotazione sociale delle attività offerte, mentre resta in
ombra quella economica. In Italia viene chiamata economia civile.
È necessario ricordare una corrente di pensiero di studiosi delle scienze
sociali, che accomuna Stato, Mercato e Terzo settore in un’unica sfera d’azione
sociale, chiamata “settore formale” e definendo invece “settore informale” una
quarta sfera che comprende le relazioni tra i gruppi primari, ovvero tra la coppia, la
famiglia, amici, parenti e vicinato. Sulla base di questa divisione la società produce e
scambia quattro tipi di beni: beni pubblici (prodotti dallo Stato), beni privati (dal
mercato), beni relazionali collettivi (prodotti dal privato sociale) e beni relazionali
primari (prodotti dalle reti primarie).
Il Terzo settore in dettaglio è composto da una pluralità di organizzazioni,
differenziate rispetto la loro struttura, le loro finalità e le attività. In linea generale il
16
Terzo settore assume un aspetto specifico e non sembra omologabile al panorama
internazionale. Mentre in altri paesi occidentali sembra preminente l’indirizzo non
lucrativo delle attività svolte e resta invece in secondo piano il carattere solidaristico
dell’azione sociale, nel nostro Paese il Terzo settore si sostanzia in larga misura
attorno all’aspetto solidaristico. Di seguito, con scopo orientativo, viene riportato un
elenco delle molteplici forme che compongono il Terzo settore in Italia:
- Associazioni riconosciute;
- Associazioni non riconosciute;
- Organizzazioni di volontariato (ODV);
- Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale (ONLUS),
- Organizzazioni Non Governative (ONG);
- Associazioni di Promozione Sociale (APS);
- Cooperative sociali;
- Fondazioni;
- IPAB privatizzate (Istituzioni di pubblica assistenza e beneficenza9
- Comitati;
- Enti ecclesiastici cattolici e di religiosi di altre confessioni;
- Istituti di patronato.
Facendo riferimento al Libro bianco del Terzo Settore si desidera chiudere
questa rassegna con una definizione che gli autori, Cartocci e Maconi13, formulano:
“Le organizzazioni del Terzo settore sono istituti che svolgono una o più attività per il
perseguimento di una missione socialmente rilevante (ispirata a determinati valori e
esplicitata nello statuto) nei confronti di una determinata comunità di riferimento, e che
destinano integralmente le risorse (materiali e immateriali) a propria disposizione nonché gli
eventuali avanzi gestionali, alla realizzazione diretta o indiretta di tale missione.”
Da questa definizione si desumono i caratteri “decisivi” che sono sempre
presenti in tutte le organizzazioni del Terzo settore in Italia, in quanto necessari per
identificarle. Infatti le organizzazioni del Terzo settore perseguono finalità
13
Cartocci, Maconi, Libro bianco del Terzo settore, il Mulino. 2006 (pag. 28)
17
socialmente rilevanti, nascono da motivazioni ideali, hanno una missione statutaria
che ispira l’attività, non hanno interessi proprietari e hanno natura privata.
1.5 Caratteristiche strutturali e cultura specifica del Terzo settore
Se per un’identificazione univoca del Terzo settore ci sono ancora delle
difficoltà e divergenze fra i vari esperti in materia, sembra esserci invece un totale
consenso sull’elencazione delle caratteristiche che devono avere le organizzazioni
per appartenere al Terzo settore. I fattori accomunanti e distintivi del Terzo settore
sono i seguenti:
1) comprende un complesso di formazioni sociali che hanno al
proprio interno elementi comunitari (cioè legami di appartenenza
dei soggetti delle organizzazioni), e societari (riguardanti gli
aspetti strutturali e formali propri delle organizzazioni). Ciò
significa che l’organizzazione deve essere formalmente costituita,
quindi deve godere di una certa stabilità e durata nel tempo, di
organi di governo e gestione, di norme e ruoli, e di un certo grado
di visibilità sociale. Devono offrire garanzie di democraticità e di
trasparenza.
2) Le organizzazioni che lo compongono non devono far parte
dell’apparato amministrativo pubblico (enti, istituzioni, agenzie,
organizzazioni), devono quindi essere di natura privata.
3) È prevista l’assenza di una finalità lucrativa. Il decreto 460/1997
esplicita chiaramente il divieto di distribuire i profitti tra i soci. Ciò
non vieta di ottenere un utile di esercizio dallo svolgimento delle
attività, ma semplicemente richiede che tale plus valore sia
interamente reinvestito al fine di migliorare la propria capacità di
perseguire la mission. Risulta importante chiarire che l’esclusione
del lucro rappresenta un mezzo dell’azione svolta dalle
organizzazioni, e non il fine, che è costituito dalla “pubblica
utilità”. Le azioni del terzo settore
18
si definiscono outcome,
piuttosto che output, identificando con il primo termine il risultato
ottenuto con riferimento alle relazioni con le persone e con il
secondo
il
prodotto
erogato
che
non
necessariamente
corrisponde anche all’avvio di una dinamica relazionale. Le
organizzazioni
possono
avvalersi
però
di
collaboratori
e
dipendenti retribuiti per mansioni specializzate che i volontari non
sono in grado di svolgere. (v. parte 2^, paragrafo 2.4)
4) Le attività delle organizzazioni devono produrre benefici esterni,
quindi avere ricadute positive dal punto di vista sociale e
pubblico, cioè della comunità di riferimento.
Oltre a queste caratteristiche strutturali, il Terzo settore si fonda su una
cultura specifica, i cui valori lo contraddistinguono nettamente dallo Stato e dal
Mercato. Tale cultura è riconducibile ai valori della gratuità, della reciprocità, della
fiducia e della solidarietà. La gratuità indica la natura della partecipazione dei
soggetti; la reciprocità va intesa come l’elemento che evidenzia la dimensione di
equità sia tra i soggetti impegnati nelle organizzazioni, sia tra chi offre la prestazione
e chi la riceve, allargando quindi le relazioni; la fiducia è un tratto qualificante e
fondamentale delle relazioni che si attivano nelle organizzazioni del Terzo settore.
Nelle varie associazioni, si instaurano relazioni personali tra estranei ma che grazie
ad una profonda fiducia, pongono le loro energie insieme per una finalità
solidaristica. La solidarietà, etimologicamente identifica l’esistenza di un legame
solido, inteso come ricerca di connessione. È un agire insieme, attivando circoli
virtuosi di relazioni pro-sociali. Si ritiene infine opportuno menzionare anche la
sussidiarietà, in quanto, soprattutto in questi ultimi tempi, essa viene citata in molti
provvedimenti legislativi che chiamano in causa il Terzo settore come elemento
primario per l’applicazione del relativo principio. Recepito nell'ordinamento italiano
con l'art. 118 della Costituzione, il principio di sussidiarietà stabilisce che le attività
amministrative devono essere svolte dall'entità territoriale amministrativa più vicina ai
cittadini (i comuni), e che può essere delegata ai livelli amministrativi territoriali
superiori (province, città metropolitane, regioni, Stato) solo se questi possono
rendere il servizio in maniera più efficace ed efficiente. Si parla di sussidiarietà
19
verticale quando i bisogni dei cittadini sono soddisfatti dall'azione degli enti
amministrativi pubblici, e di sussidiarietà orizzontale quando tali bisogni sono
soddisfatti dai cittadini stessi, magari in forma associata e\o volontaristica.
Lo stile di intervento specifico del Terzo settore si connota in modo peculiare
secondo una prospettiva di personalizzazione. Al centro dell’azione di erogazione
di un dato servizio da parte di una Organizzazione facente parte del Terzo Settore,
c’è la Persona, con i propri bisogni specifici e personali. Il riferimento alla persona e
alla necessità di rispondere in maniera personalizzata alle esigenze di questa,
rimane come fattore distintivo del Terzo settore, soprattutto delle organizzazioni di
volontariato; tuttavia, bisogna rilevare il rischio del cosiddetto burn out, ovvero
sovraccarico e “logoramento” a cui sono esposti i singoli volontari e gli eventuali
dipendenti.
1.6 Il Terzo settore in numeri
In Italia, dal punto di vista statistico, il Terzo Settore è stato analizzato per la
prima volta in modo sistematico dall’ISTAT, attraverso il primo Censimento delle
istituzioni e imprese non profit, attive al 31 dicembre 1999. Nel complesso, i dati
rilevati mettono in luce che le istituzioni del Terzo settore si configurano come un
insieme molto diversificato. Si parla di una realtà costituita da una maggioranza di
unità di dimensioni molto esigue, a volte domiciliate presso famiglie, comuni,
ospedali o altri enti. Contemporaneamente però, in misura minore, coesistono anche
istituzioni di dimensioni molto grandi, con un numero considerevole di addetti, con
bilanci consistenti e con una struttura organizzativa complessa.
Vediamo, in estrema sintesi, alcuni dati interessanti per avere un quadro della
situazione attuale. Secondo il primo Censimento ISTAT sul non profit, risultano attive
più di 221.000 istituzioni non profit. La distribuzione di questi enti non è tuttavia
uniforme sul territorio nazionale. La maggiore concentrazione viene rilevata al Nord
(51,1%) e al Centro (21,2%). Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana sono
le regioni con la maggiore percentuale, sul totale, di istituzioni non profit con
rispettivamente il 14,1%, il 9,5%, l’8,7% e l’8,1%. In media le istituzioni non profit
20
sono “giovani”, essendo costituite dopo il 1990 per il 55,2% dei casi. Dal punto di
vista del settore di attività prevalente (tabella 1.2), le organizzazioni risultano
appartenere quasi del tutto al settore dei servizi. All’interno di esso, la
concentrazione maggiore si registra nel settore della cultura, sport e ricreazione,
seguito dall’assistenza sociale e dalle relazioni sindacali.
Tab. 1.2 Settori di attività prevalente delle organizzazioni non profit (Istat 2001)
Settori di attività prevalente
Percentuali sul totale
Cultura, sport e ricreazione
63,41
Istruzione e ricerca
5,26
Sanità
4,37
Assistenza sociale
8,74
Ambiente
1,48
Sviluppo economico e coesione sociale
1,96
Tutela dei diritti e attività politica
3,09
Filantropia e promozione del volontariato
0,56
Cooperazione e solidarietà internazionale
0,65
Religione
2,67
Relazioni sindacali
7,07
Altre attività
0,75
La forma giuridica preferenziale è l'associazione non riconosciuta, meno
numerose risultano essere le fondazioni e le cooperative.
Il censimento ISTAT rilevava che, nel complesso, considerando anche il
volontariato, il settore coinvolgeva circa 4 milioni di persone, così suddivise: 3,2
milioni di volontari, 536.000 dipendenti, 80.000 addetti con contratto di collaborazione
coordinata e continuativa, 18 mila lavoratori distaccati, 96.000 religiosi e 28.000
obiettori. In termini relativi i dipendenti del Terzo settore ammontano nel 1999 al
21
3,2% del totale degli occupati italiani. L'analisi della composizione per genere delle
persone coinvolte fa emergere la netta prevalenza femminile tra i lavoratori
dipendenti, con una percentuale pari a 62,5% che sale a 80,3% per quelli a part-time.
Nelle altre tipologie prevale invece la presenza maschile: in particolare, tra i volontari
gli uomini sono il 65,5% 14.
1.8 Il Terzo settore e la globalizzazione
L’avvento della globalizzazione ha contribuito all’espansione in qualsiasi
settore della tecnologia informatica, favorendo la formazione di relazioni virtuali e
alimentando di conseguenza l’insicurezza e “la solitudine del cittadino globale”15. Il
Terzo settore si colloca in maniera dirompente, ripristinando le relazioni tra le
persone e i luoghi e aiutando a dare voce alle persone più deboli.
Nella società odierna, in cui si assiste all’aumento del disagio e delle
emarginazioni, frutto sia della logica spontanea del mercato senza regole, ma anche
della scarsità di tessuto sociale, l’antidoto va cercato nella produzione di un altro tipo
di beni, quelli di cui il Terzo settore è il generatore: i beni relazionali. Il legame
sociale ( e di conseguenza la fiducia) è una risorsa sempre più scarsa nella nostra
società, ed è un bisogno che non può essere soddisfatto ricorrendo alla categoria dei
diritti, sia pure di cittadinanza. I beni collettivi prodotti da questo settore dinamico
ampliano il raggio dei legami comunitari oltre le micro-relazioni primarie, familiari e
locali. Inoltre, le associazioni che compongono il Terzo Settore contribuiscono a
costruire sistemi di relazioni fra soggetti, rendendo l’uomo più forte, e mettendo in
risalto le doti migliori delle singole persone, dando gioia che raramente si ha
restando per conto proprio.
Affrontare i problemi sociali in termini di relazione umana vuol dire passare da
una “cittadinanza passiva” ad “un agire la cittadinanza in prima persona”
(Mastantuono A.). Ossia una cittadinanza fatta di diritti e doveri, non delegata,
inserita nel locale, in un contesto reticolare. Il Terzo settore va a formare uno spazio
14
15
Orioli A., (a cura di) Lavorare nel non profit, Il Sole 24 Ore, Milano, 1999.
Baumann Z., La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000.
22
innovativo, condiviso, capace di superare la dinamica del semplice self-interest. Esso
infatti ha come fondamento lo spirito della socialità, in sociologia chiamato lo spirito
del per-altri, in cui le relazioni utilitaristiche vengono meno.
Questo particolare settore quindi fugge dalla logica sia statale che privata del
profitto e i mezzi e gli obiettivi sono diversi. Il Terzo settore diventa così l’attore del
cambiamento, passando da una risposta ai bisogni standardizzata, a quella di una
risposta personalizzata agli stessi. È l’inizio di un nuovo modo di concepire la
società, una società civile in cui il cittadino vive il valore della località, e il valore del
decentramento, come forma democratica di gestire il potere dal basso con una sorta
di democrazia partecipata. In altre parole al Terzo settore compete un ruolo
importante nel far aumentare dal basso quel senso di fratellanza e di solidarietà fra
sconosciuti che è la caratteristica peculiare del processo di costruzione della
nazione.
23
24
Seconda parte:
Cambiamenti in atto nelle organizzazioni del Terzo settore
25
In questa seconda parte verranno analizzate le principali trasformazioni che
stanno interessando il Terzo settore italiano, distinguendo da un lato i processi
endogeni, che sorgono all’interno del settore, dall’altro le dinamiche esterne che lo
influenzano e condizionano.
Dal punto di vista interno del settore, in Italia, si possono riscontrare i seguenti trend:
a. persistenza delle medie e medio-piccole dimensioni delle organizzazioni.
Questo è un tratto distintivo del Terzo settore italiano.
b. diversificazione crescente. Sia rispetto alla pluralità di ambiti di intervento, sia
riguardo la diffusione territoriale, con consistenti differenziazioni tra regioni
geografiche. (le regioni del Mezzogiorno sono fortemente penalizzate).
c. aumento delle organizzazioni ad elevata professionalità. L’evoluzione del
settore ha visto l’incremento della componente professionale, con le sue
ricadute occupazionali. Tuttavia, le organizzazioni più dotate di personale
professionalizzato sono ancora in netta minoranza rispetto alla grande arena
di piccole organizzazioni di tipo prevalentemente volontario.
d. tendenza a connettersi in rete. C’è una crescente necessità di creare forme di
cooperazione con altri soggetti del non profit, ma anche con il mondo delle
istituzioni pubbliche.
Quando invece si parla di dinamiche esterne si fa riferimento per lo più alla
molteplicità dei bisogni degli utenti delle organizzazioni e in secondo luogo alle
trasformazioni in atto nel quadro normativo e regolativo. In questa sede il focus di
analisi saranno i trend interni al Terzo Settore.
26
2.1 Essere volontari ieri e oggi cosa vuol dire
«Europa, pace mondiale, libertà di religione, ma cosa posso fare io da solo?
Posso dare qualche contributo personale?
Io vi rispondo:
“Si, tu da solo puoi mettere qualche cosa in movimento;
perchè ogni buona risoluzione,
ogni pronta assunzione di un compito comincia sempre
nell’uomo singolo”».
Giovanni Paolo II al Giubileo del 2000 ai giovani
La realtà del volontariato è sempre stata presente nel nostro Paese, ancora
prima dell’unità nazionale. Infatti di fronte alle grandi emergenze sociali i cittadini si
sono sempre organizzati nel tentare di rispondere concretamente ai bisogni presenti
sul territorio. Un esempio sono le tante libere realizzazioni di carità attivate dalla
Chiesa Italiana a favore della popolazione più povera in periodi storici di assoluta
mancanza dello Stato.
Il volontariato moderno degli ultimi 30 anni rinasce all’interno del significativo
processo di trasformazione di tutte le società. I fattori che hanno contribuito a questa
trasformazione si possono individuare: nei movimenti del ’68 che hanno contribuito
ad accrescere il protagonismo e la partecipazione della cittadinanza attiva, nel
decentramento regionale del 1972 che fa diventare il territorio l’arena di decisioni tra i
cittadini e gli enti locali, nella crisi dello Stato assistenziale, nella disponibilità del
tempo libero da parte delle persone che subiscono cambiamenti di abitudini
(scolarizzazione, pensionamenti…), ed infine nel rinnovamento della Chiesa, sancito
dal Concilio Vaticano II che si apre al dialogo con il mondo.
Fino agli anni ’80 il volontariato italiano ha testimoniato un servizio di tipo
assistenzialistico sanando situazioni negative e arginando il dolore. Con poca
preparazione, forse, ma con grande generosità, i volontari hanno spesso supplito alle
carenze dei servizi sociali esistenti.
Dagli anni ’90 il volontariato sta vivendo una passaggio da una fase in cui
prevaleva l'istintività a quella in cui è prevista una formazione continua, quasi a
delineare
una
"professione".
Si
è
affacciata
una
visione
promozionale,
comprendendo che il volontario non è un eroe solitario o l’attore in un’azione privata,
ma un cittadino che compie una chiara scelta di testimonianza ribadendo il diritto-
27
dovere sociale della giustizia. Ha compreso inoltre che i maggiori problemi di povertà
e di disagio non possono essere risolti sostituendosi alle istituzioni, ma ponendosi
accanto a esse, collaborando affinché si assumano le loro responsabilità.
Attualmente il volontariato oltre ad indirizzare il suo servizio a chi ne ha
bisogno, opera contemporaneamente per l’intera società. In altri termini propone
un’azione socio politica. Il volontario è un cittadino che, cosciente delle proprie doti,
possibilità e limiti acquista le competenze non solo per rimediare ai disservizi dello
Stato o per supplire le carenze di servizi sociali, ma per promuovere i diritti di
cittadinanza attiva e solidale di cui parlano la Costituzione16 e le leggi.
Dunque, i volontari non sono semplici samaritani, ma fattori di cambiamento:
individuando le cause del disagio, proponendo itinerari per il miglioramento,
assicurando la normalizzazione delle relazioni tra le persone. Si impegnano per
rimuovere le cause delle disuguaglianze economiche, culturali, sociali, religiose e
politiche e concorrono all’allargamento, tutela e fruizione dei beni comuni. La qualità
umana del legame è uno dei valori fondamentali del volontariato e la centralità della
persona è un aspetto caratterizzante. Il volontario fa del dono l’essenza stessa del
proprio essere. E una società, ha bisogno di legami quanto di beni. Utile in questo
contesto riportare un’affermazione di Godbout: « L'uomo è in primo luogo un essere
di relazione e non un essere di produzione.»17
Come sancisce la Carta dei Valori del Volontariato18 ai punti cinque e sette, il
volontario non si ferma all’opera di denuncia ma avanza proposte e progetti
coinvolgendo quanto più possibile la popolazione nella costruzione di una società più
vivibile. Egli è inoltre scuola di solidarietà in quanto concorre alla formazione
dell’uomo solidale e di cittadini responsabili. Propone di farsi carico, ciascuno per le
proprie competenze, tanto dei problemi locali quanto di quelli globali e, attraverso la
partecipazione, porta un contributo al cambiamento sociale. In tal modo il
volontariato produce legami, beni relazionali, rapporti fiduciari e cooperazione tra
soggetti e organizzazioni concorrendo ad accrescere e valorizzare il capitale sociale
16
Art. 2 della Costituzione italiana: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come
singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri
inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.”
17
Godbout J., Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri 2002
18
Sezione Carta dei Valori, www.fivol.it . La Carta dei Valori è stata proposta inizialmente da Fivol e dal Gruppo
Abele. È stata successivamente integrata, discussa e condivisa tramite l’apporto di diverse organizzazioni di
volontariato, ed è stata presentata a Roma il 4 dicembre 2001 in occasione della conclusione dell’Anno
internazionale del Volontario.
28
del contesto in cui opera. Si riscopre poi l’amicizia, che di per sé è una componente
naturale del volontariato, perché all’interno delle associazioni nascono e crescono
rapporti straordinari.
Per Carlo Borzaga, uno dei massimi esperti del settore, il volontariato è come
uno Stato Nascente; è da questo che nasce l’idea di un impegno imprenditoriale a
finalità sociale. Storicamente rappresenta la presa d’atto, da parte della società civile,
che esistevano una serie di bisogni e di problemi a cui nessuno dava risposte. Sulla
base di una fortissima carica ideale se ne fece carico, in forma del tutto volontaria.
Così facendo si è avviato, fino ad arrivare ad una struttura organizzata. Per attuare il
principio di sussidiarietà pubblico – privato sancito dall’art. 118 della Costituzione,
bisogna organizzarsi, sia come singoli, ma soprattutto in forma associata, allo scopo
di perseguire finalità di interesse generale, attraverso la libera e volontaria messa a
disposizione del proprio tempo. Naturalmente c’è chi sostiene e chi è contrario a
questa visione. Un semplice esempio: Da un lato Borzaga, uno dei massimi esperti
del campo,19 ritiene che l’evoluzione naturale del volontariato tradizionale sia proprio
l’impresa sociale; dal lato opposto invece risulta essere la posizione del ministro della
solidarietà sociale. Infatti, Ferrero ha ribadito alla Conferenza di Napoli nell’aprile
scorso, che il volontariato e la collaborazione retribuita sono due cose totalmente
distinte.
Meritevole di citazione per l’originalità, l’interpretazione di Aldo Bonomi, che
vede il volontario come una figura tra il militante e il militare “come una di quelle
figure forti del Novecento”, perché ciò che lo contraddistingue è la voglia di cambiare
attivamente il mondo e di non subirlo. 20
C’è speranza ed impegno nel far sì che queste persone dotate di mente e
anche di cuore crescano per continuare ad allargare il numero di giovani che
possano concorrere in questo modo a migliorare se stessi e la società in cui vivono.
Il volontariato oggi vive una crisi che è frutto del suo successo: esso infatti è
percepito come un protagonista indispensabile del welfare, senza il quale certi
interventi sociali non esisterebbero. Ed in certa misura il volontario diventa
dipendente dal settore pubblico perché ormai le organizzazioni di volontariato che
hanno sottoscritto accordi di collaborazione con i Comuni sono molte. Se nel 1996
19
20
Vita, non profit magazine, anno 14 num. 13
Bonomi A., La comunità maledetta – Viaggio nella coscienza di un luogo, Edizioni di Comunità, 2002
29
l’entrata pubblica di finanziamento toccava il 25% delle ODV, oggi, nel 2007, tale
quota ha superato il 50%.21
Il volontariato si è istituzionalizzato e l’impressione è che abbia perso
l’innovazione. Pare che l’istituzionalizzazione abbia condotto a puntare sull’essere
mediano. Tralasciando la capacità di provocare la comunità, di interpellarla,
stimolarla. Per alcuni esperti del settore pare abbiano contribuito il riconoscimento
giuridico e la ricerca di finanziamenti, che non hanno svolto la funzione positiva che
avrebbero potuto avere. In altre parole, il rischio sempre incombente è che i
finanziamenti, anche se motivati, ricadano a pioggia e finiscano con il sottrarre
motivazioni e stimoli. Così ci si ritrova ad avere un volontariato oggettivamente più
debole, privo di un progetto politico, non più capace di esprimere significati
socialmente simbolici. Capace sì di coagularsi, ma per fare qualcosa e non per
essere.22
Infine il volontario dovrebbe essere oggetto di cura da parte delle istituzioni,
visto il ruolo strategico che possiede. Al contrario, le norme in vigore non prevedono
forme di promozione del fenomeno, assumendo di fatto, che l’offerta di lavoro
volontario sia una variabile indipendente, in grado di mantenersi sempre a un livello
costante nel tempo. Gli esperti segnalano la necessità di interventi specifici che
incentivino la libera partecipazione dei cittadini alle associazioni di volontariato.
La legge che disciplina il mondo del volontariato è la legge quadro 266/1991.
Tale titolo però è quantomeno impreciso, in quanto essa non disciplina tutto il
volontariato, come il titolo lascerebbe intendere, ma soltanto le organizzazioni di
volontariato, come viene poi affermato al secondo comma dell’articolo 1. Nel luglio
2007 è stato presentato al Senato il disegno di legge per riformare la legge 266 sul
volontariato, da Tiziano Treu e la senatrice Marina Magistrelli. È una legge
promozionale,
che
introduce
il registro
nazionale
del volontariato, alcune
agevolazioni fiscali, soluzioni di flessibilità per i volontari che operano all'interno delle
organizzazioni, con l’obiettivo di rafforzarne il ruolo, salvaguardandone i caratteri
distintivi.
I volontari che operano individualmente o in qualsiasi tipo di organizzazione e
istituzione, con diversa frequenza, sono stimati attualmente in Italia in oltre 4 milioni e
21
22
Vita, non profit magazine, anno 14, num. 14
Dotti J., presid. Consorzio Cgm
30
rappresentano l’8% della popolazione (ISTAT 2001) Molti di meno, i volontari che
operano fornendo il loro apporto con continuità nelle organizzazioni, che sono circa 1
milione.
A livello nazionale la composizione dei volontari per sesso appare equamente
distribuita, e per quel che riguarda la distribuzione per età dei volontari italiani, è
caratterizzata da una notevole concentrazione in corrispondenza della fascia di età
compresa tra i 30 e i 54 anni. Il 54% del totale dei volontari lavora e la maggior parte
risulta essere diplomato23. Difatti la scolarizzazione, che è stata una delle cause della
crescita del volontariato, ha portato ad un aumento del senso di responsabilità degli
individui verso la società e ad una crescente necessità di partecipazione sociopolitica. Da segnalare come la presenza di immigrati nelle organizzazioni di
volontariato, anche per le seconde generazioni, è statisticamente irrilevante; gli
immigrati per il volontariato italiano restano nella platea dei beneficiari.
2.2 Il volontariato internazionale
Anche il volontariato internazionale merita alcune riflessioni. Le oltre 120
organizzazioni non governative in Italia sono, negli ultimi anni, assediate dai
curriculum di aspiranti partenti per un periodo di volontariato. Anche se l’alone di
eroismo e misticismo che circondava i volontari che partivano un tempo è sfumato, le
difficoltà a partire non sono diminuite.
Infatti il volontario internazionale è innanzitutto una persona preparata
professionalmente, con soprattutto delle elevate capacità organizzative e gestionali,
e ovviamente con un’ottima conoscenza della lingua parlata nel Paese di
destinazione. Per alcune ONG, le motivazioni personali alla partenza contano ancora
moltissimo (per fortuna), come è fondamentale la capacità della persona di
testimoniare solidarietà con la popolazione locale, vivere accanto alla gente, e fare
da "ponte" tra due culture diverse. Il volontariato internazionale condivide con il resto
del volontariato l’impegno di solidarietà, e si differenzia per essere un investimento
23
ISTAT, Le organizzazioni di volontariato in Italia, Roma, 1997. Essa è limitata alle ODV iscritte ai registri
regionali. La rilevazione FIVOL 1995 invece, che prende in considerazione anche le organizzazioni non iscritte ai
registri, registra una maggioranza di volontariato femminile, presente soprattutto in gruppi che non sono registrati
e che sono impegnati in attività socio-assistenziali.
31
integrale, spendibile in un definito periodo della vita, di lunghezza variabile e non
affiancato, come nel caso nazionale, alla normale professione. Con il termine
“volontariato internazionale” si fa riferimento sia ad esperienze estive brevi in paesi
del Sud del Mondo, sia al volontariato internazionale regolato dall’unica e sola legge
sulla cooperazione allo sviluppo, 49/1987. Per rientrare nei termini di tale legge, il
volontariato internazionale richiede un minimo di due anni impegnati in una missione
internazionale. Ovviamente tale legge non vincola il desiderio di avere un’esperienza
di minor tempo; in questo caso ci si accorda con l’ente ospitante.
Importantissima è la collaborazione dei volontari internazionali con l’ente con
cui sono partiti, che spesso, finito il periodo all’estero, li coinvolge in attività di
educazione allo sviluppo e all’interculturalità nelle scuole o in convegni, allo scopo di
sensibilizzare le persone del territorio locale.
Interessante è l’interpretazione di Bonomi: «Figura emblematica della nostra
epoca, il volontario, che non scambia e non produce merci, ma realizza valore di
legame, grazie alla sua capacità di "mettersi in mezzo" fra locale e globale, fra
istituzionale e Terzo settore, rappresenta il tassello fondamentale da cui occorre
ripartire per costruire tracce di comunità a contatto con il territorio»24. Il “volontario
generale” (sia internazionale che locale) nel suo agire silenzioso e nascosto,
ricostruisce l’identità di una comunità, perchè consapevole che le sorti di ogni luogo
dipendono sempre più dalle relazioni (Bonomi le definisce reti lunghe). In altri termini,
parte dai bisogni del territorio, degli ultimi, utilizza le risorse umanitarie che ci sono e
produce forme di inclusione dando voce a chi non ce l’ha.
2.3 La capacità di costruire reti
Nel Terzo settore, si osserva il fenomeno importante di tessere relazioni,
ricercando sinergie e collegamenti tra i vari attori della società per esercitare un ruolo
politico nel contesto in cui le organizzazioni operano. Ciò si traduce nella
consapevolezza di vivere e lavorare all’interno di un più complesso sistema e nella
capacità di liberarsi da una logica di autoreferenzialità e unilateralità. Oggi più che
24
Si veda nota n. 17.
32
mai, il Terzo settore si è accorto della necessità di lavorare per un modello
mutualistico, dove ci sarà spazio per nuove alleanze e nuove progettualità.
È nel territorio che le organizzazioni del Terzo settore incontrano alleati; gli
interlocutori privilegiati, per ovvi motivi di condivisione delle stesse logiche, sono le
organizzazioni simili. Ma anche gli enti pubblici, e le imprese profit.
Cooperare e instaurare relazioni positive con altri soggetti del terzo settore,
vuol dire far crescere i progetti e i desideri, condividere un progetto politico di
solidarietà, favorire le sinergie per aprire le menti e la capacità progettuale,
rafforzarsi e sostenersi a vicenda, promuovere il volontariato, e non ultimo fornire
valore aggiunto alla società nel suo complesso.
Quanto più le organizzazioni di terzo settore sono in grado di individuare le
potenziali sinergie virtuose tra i diversi soggetti sociali, tanto più esse diventano abili
nel valorizzare il capitale sociale, prodotto nei vari ambiti. Il capitale sociale, concetto
multidimensionale e intangibile, consta di relazioni fiduciarie reciproche. Attraverso la
fiducia, si saldano in nodi delle reti relazionali, e quindi dalla quantità di fiducia
dipende l’estensione dei reticoli sociali. .
Si registra una crescente diffusione dei network di enti di Terzo settore: sono
sempre più numerose le organizzazioni di volontariato che fanno riferimento a reti
nazionali. Esistono livelli superiori interassociativi, ed un esempio è dato dalla
Conferenza dei Presidenti delle organizzazioni di volontariato ed il Forum
Permanente del Terzo settore25 che coordina una parte considerevole del settore. Da
non confondere quest’ultimo, con i Centri di Servizio di Volontariato (CSV) che
invece sono unità stanziate in quasi ogni provincia italiana, con il compito di
coordinare e promuovere le organizzazioni di volontariato del territorio.
La costruzione di reti e partnership comportano un rilevante interscambio con
le logiche che contraddistinguono l’impresa profit che agisce sul mercato. Queste
collaborazioni, dal punto di vista economico aziendale permettono di individuare i
seguenti trend:
-
da parte delle imprese si sviluppano atteggiamenti di corporate
social responsibility che le portano ad agire con le organizzazioni di
25
Il Forum Permanente del Terzo Settore nasce nel 1997 come primo organismo di rappresentanza delle
principali organizzazioni nazionali di tale settore. Esso rappresenta oltre 100 organizzazioni.
33
Terzo settore secondo il modello di partnership di medio - lungo
periodo e quindi dello scambio reciproco.
-
Si registra una forte crescita del fenomeno delle fondazioni di
impresa, e che adottano inoltre una logica di finanziamento del
progetto in se, e non più dell’ente in toto. Si pensi al corporate
philantropy che si sta diffondendo anche nel nostro paese. Alla base
di tale modello c’è il “principio di restituzione”: l’impresa “restituisce”
alla società una parte del profitto conseguito, perché quest’ultimo è
stato ottenuto anche grazie a ciò che la società ha potuto offrire
all’impresa.
-
Nei consigli di amministrazione degli enti non profit aumenta la
presenza di membri con esperienza nel mondo dell’impresa.
-
Aumenta infine la quota di organizzazioni che producono bilanci di
esercizio strutturati, nonché bilanci di missione.
-
la responsabilità dell’impresa for profit si allarga abbandonando la
tutela esclusiva dell’azionista per occuparsi di ambiente, di diritti dei
lavoratori etc. per divenire “responsabilità sociale” in senso pieno.
Questo è un fenomeno importante, grazie al quale si instaurano relazioni e
legami di reciprocità, in cui ciascuno (l’ente non profit e l’impresa profit) apprende
culture e metodi di organizzazione diversi dalla propria, che possono dar vita ad una
dinamica di ibridazione che può condurre ad un arricchimento e all’assunzione di stili
innovativi per entrambi. 26
2.4 Terzo settore: un nuovo bacino occupazionale?
Le potenzialità di occupazione nel Terzo settore sono in costante crescita, sia
a livello quantitativo, sia a livello qualitativo; sempre più è sentita la necessità di
professionalizzazione, con la conseguente richiesta di figure specializzate. In questo
nuovo e innovativo bacino di impiego infatti, la richiesta di professionalità fino a
qualche anno fa non esisteva. All’interno del Terzo Settore è decisamente importante
26
Cartocci e Macone, Libro bianco sul terzo settore, il Mulino 2006.
34
la presenza del volontariato, ma le iniziative e le attività sono sempre più complesse
e strutturate e coprono spazi sempre più ampi, diventando sempre più rilevante la
presenza di operatori e di consulenti specializzati: necessitano quindi figure con
competenze definite e strutturate, non basate unicamente sulla buona volontà.
Dagli anni ‘90 l'attenzione alle potenzialità occupazionali è aumentata,
destando l'interesse tra gli addetti ai lavori che si sono accorti della molteplicità di
soggetti diversificati che si collocavano all’interno del settore. La diversificazione sta
nelle particolari capacità di fare welfare, ossia di progettare e produrre servizi di
pubblica utilità. In linea generale, le organizzazioni di volontariato puro possono
definirsi di welfare “semplice”, ovvero non sono in grado di fornire quelle prestazioni
continuative e professionalizzate che implicano strutture, capitali, professionalità
aggiornate e servizi resi in modo continuativo (sono comunque centrali nel sistema di
protezione sociale). Quelle di welfare “strutturato”,che dispongono di dipendenti
professionisti retribuiti, sono le imprese sociali, ossia, le associazioni più organizzate,
le cooperative sociali e gli enti di cooperazione internazionale.
Le fondazioni e le cooperative sociali si avvalgono più frequentemente di
lavoratori dipendenti, mentre associazioni, riconosciute e non, e comitati, si
avvalgono di dipendenti per quote inferiori ed è molto più ampio il ricorso al
volontariato. I volontari sono molto presenti in attività filantropiche e nella promozione
stessa del volontariato, nell'ambiente, nella cultura, sport e ricreazione, nella tutela
dei diritti, nell'attività politica e nella solidarietà internazionale.
Il fattore determinante per coloro che si inseriscono come lavoratori nel settore
è una forte motivazione personale, legata spesso a precedenti esperienze di
associazionismo, determinanti per la spinta altruistica e valoriale che possiede la
persona interessata. Ciò che viene preso in grande considerazione sono le
motivazioni, le caratteristiche personali e l'esperienza nel settore, che spesso sono
svincolati dai titoli di studio e non da meno influisce anche la segnalazione da parte
di qualche altra organizzazione già operante nel settore.
Gli impiegati nel Terzo settore sono stati definiti “ lavoratori qualitativamente
diversi”: si tratta infatti di professioni che richiedono relazioni sociali e confronti
reciproci diversi da quelle del mondo profit. Altre caratteristiche del lavoro nel Terzo
settore si possono elencare in costante formazione continua, alta flessibilità,
35
approccio multidisciplinare, capacità di lavorare in team e capacità di alternanza di
ruoli.
La
maggioranza
degli
occupati
nel
Terzo
settore
lo
ha
scelto
consapevolmente, pur essendo in possesso di una preparazione professionale
sufficiente per orientare la ricerca del lavoro verso altre occupazioni, oppure
lasciando una precedente occupazione che garantiva, in molti casi, redditi più alti27.
Dal punto di vista della soddisfazione di lavoratori, alcune ricerche28 hanno rilevato
valori elevati, e generalmente superiori rispetto a quelli degli occupati in imprese
private. Inoltre ad un elevato livello di soddisfazione corrisponde anche una maggior
fedeltà all’organizzazione.
Degno di citazione è un fenomeno osservato nelle organizzazioni che si
avvalgono di personale retribuito, ed è legato all’intensità del personale. Si è notato
che la qualità percepita dagli utenti o destinatari dei servizi risente del modo in cui il
personale opera e si rapporta agli altri. Ne consegue che la capacità delle
organizzazioni non profit di raggiungere la propria mission dipende per molti versi dal
rendimento e dall’impegno di singole persone che dispongono di un alto grado di
capacità di coinvolgimento. Da qui consegue il fatto dell’importanza nel momento del
reclutamento e gestione delle risorse umane.
2.4.1 Professione fund raiser: nuova possibilità occupazionale nel non profit
Merita alcune righe una nuova figura professionale emergente nelle
organizzazioni non profit, ovvero il fund raiser. Egli non chiede denaro ai ricchi per
darlo ai poveri, alla Robin Hood, ma piuttosto è un motivatore e dispensatore di
significato. Negli Stati Uniti lo chiamano un venditore di opportunità, dove le
donazioni dei privati superano l’1,7% del PIL e i professionisti della raccolta fondi
hanno un albo con 20mila iscritti. In Gran Bretagna 1800, mentre in Italia siamo fermi
a 150, anche se stando ai numeri degli iscritti ai corsi pare essere una figura in
ascesa.
27
M. Comunian, Il lavoro nel terzo settore, uno sguardo alla realtà italiana veneta e padovana, 2001.
Borzaga C., Capitale umano e qualità del lavoro nei servizi sociali, Fondazione Italiana per il Volontariato,
Roma, 1994 .
28
36
Il lavoro del fund raiser è innanzitutto coinvolgere il potenziale donatore, farlo
sentire utile per la società. Per questo le qualità umane necessarie per svolgere al
meglio tale mestiere sono le capacità di ascolto, la curiosità, e la voglia di costruire
ponti fra profit e non profit. Significa promuovere una partecipazione consapevole
della società civile ai bisogni della comunità, rifiutando un facile approccio emotivo o
una concezione “residualista” della responsabilità che il privato può avere rispetto al
benessere della collettività.
Ciò che necessita di apprendere questa nuova figura sono a tutti gli effetti
delle chiavi di lettura della società per entrare in contatto con “mercati” emergenti
come ad esempio quello delle imprese, orientate a una vera e propria logica di
investimento sociale, e quello delle fondazioni, caratterizzato dall’avanzare di una
filantropia strategica che non si muove più solo a livello locale e nazionale, ma in un
orizzonte globalizzato.
Il dato significativo da considerare, dal punto di vista delle ricadute
occupazionali, è che gli ambiti del fund raising interessano settori sempre più ampi
del nostro vivere sociale. Per capirlo basta seguire gli scenari attuali del welfare,
quali la sanità, l’assistenza, la cultura, l’università, per scoprire come il fund raising
sia una parola chiave invocata dai soggetti pubblici, come ospedali, musei,
biblioteche e dagli stessi enti locali. Oltre alla “prevedibile” necessità di aumentare le
entrate delle casse, molte organizzazioni chiedono aiuto per riallacciare nuove forme
di coinvolgimento, di adesione e appartenenza attorno alle loro dimensioni. Desidero
in conclusione a questo paragrafo riportare un pensiero di una studentessa
frequentante il Master della Scuola di Fund Raising, che colpisce particolarmente e
che, riassume al meglio cosa vuol dire fund raising: "Io voglio fare la fundraiser per
far coincidere il mio cervello con il mio cuore, perchè voglio che i miei pensieri
nutrano le mie passioni e perchè le mie capacità possano servire i miei valori morali".
2.5 Gli obblighi verso i donatori
La continua sollecitazione alla donazione esercitata da parte delle ONLUS
verso i privati cittadini ha fatto emergere una grande sensibilità dei donatori italiani.
37
In Italia si sono moltiplicati in questi ultimi dieci anni tecniche e strumenti di
marketing, comunicazione e fund raising29 rivolti verso nuovi mercati della raccolta
fondi che richiedono modalità di coinvolgimento sempre più personalizzate. Alla
figura del fund raiser quindi, non spetta un’attività meramente strumentale al
reperimento di risorse finanziarie. Egli è contemporaneamente dotato di una
specifica professionalità e padronanza di strumenti e di una sensibilità verso valori
etici condivisi.
Il fund raising moderno coinvolge nuovi attori, che sono i cittadini, le aziende,
le fondazioni familiari e bancarie e le istituzioni pubbliche. Questi nuovi soggetti si
sentono partecipi e corresponsabili nel sostenere cause sociali nell’ottica del
cambiamento, per uno sviluppo sociale sostenibile, non solo della comunità locale,
ma anche della più grande comunità globale.
Totale donazioni nel 2003:
3,7 mld euro
da reddito
2,6 mld euro
da patrimonio (testamenti)
1,1 mld euro
Previsioni
Donazioni nel 2020
8 mld euro
Donazioni 2050
14,4 mld euro
(Dati: Istituto di Ricerca Sociale, 2003)
Totale entrate del Terzo Settore
37,7 mld euro
Fonti di finanziamento in Italia (%)
Private
64,0
Pubbliche
36,0 (fonte: ISTAT, 2001)
29
Il fundraising, dal verbo inglese "to raise" ha il senso di: far crescere, coltivare, ossia di sviluppare i fondi
necessari a sostenere una azione senza finalità di lucro. Non solo fondi finanziari, ma si riferisce anche ad
aumentare le relazioni. Henry Rosso, fondatore della prima scuola di fuindraising al mondo negli Stati Uniti,
sosteneva che il fundraising è “l'arte di insegnare alle persone la gioia di donare”.
38
I donatori in Italia sono 25 milioni e l’ammontare medio annuo di una
donazione è tra i 50 e i 100 €
Nonostante il notevole numero totale delle entrate del mondo del Terzo
settore, bisogna tener presente che in Italia è una realtà sfaccettata e poliedrica,
caratterizzata dalla presenza di “molti piccoli-bassi bilanci”. Le organizzazioni di
volontariato sono quelle a registrare bilanci più bassi con
un’entrata minore di
15.000 euro l’anno.
La maggioranza dei finanziamenti continuativi proviene dal cittadino comune,
che è anche colui che deve pretendere alcuni diritti rispetto alle organizzazioni verso
cui dona. Un primo passo nell’enunciazione dei principi generali della raccolta fondi e
dei diritti del donatore è stato fatto alla fine degli anni ’90 con la stesura della Carta
della Donazione: un vero e proprio codice di autoregolamentazione per le
organizzazioni del Terzo settore che effettuano raccolte fondi, con l’obiettivo di
garantire ai cittadini donatori la massima trasparenza sullo scopo della raccolta e
sull’effettiva destinazione della donazione.
Un diritto fondamentale del donatore è
il “diritto di informazione” sulle
modalità di utilizzo e sui risultati ottenuti grazie alle donazioni ricevute da quest’
ultimo. Con il passare del tempo, nel mondo delle organizzazioni non profit, si sta
profondamente radicando la cultura dell’importanza di una rendicontazione
trasparente e puntuale sull’utilizzo dei fondi raccolti e sui risultati grazie ad essi
ottenuti. Uno strumento fondamentale per le associazioni a questo proposito è il
Bilancio, attraverso il quale viene rendicontata la gestione dei fondi raccolti.
Altro importante aspetto che non si può dimenticare al fine di costruire e
consolidare un rapporto di fiducia con il donatore è quello del riconoscimento della
donazione. Infatti uno dei principi base è quello di ringraziare chi sceglie di sostenere
l’organizzazione, con le forme e le modalità più diverse. Il donatore non è un numero
matricola come spesso si ritrova ad essere nei servizi pubblici statali, in questo
contesto si instaurano delle relazioni personali e da perfetto sconosciuto diventa un
sostenitore fedele. Comunicare con il donatore quindi, è il miglior strumento per
39
mantenere un rapporto duraturo. La gratitudine è uno strumento sempre potente e
coinvolgente che crea un legame profondo tra l’organizzazione e il donatore.
Comunicare, coinvolgere e ringraziare, ecco in conclusione i 3 obblighi
principali verso i donatori.
2.6 Parola d’ordine: rinnovamento
Crescono il numero di associazioni ma non quello dei volontari. Questa
tendenza si traduce in difficoltà organizzative e operative, ma il problema del
ricambio generazionale va affrontato in maniera incisiva. La presenza dei giovani è
fondamentale e sta alle associazioni saperli accogliere e inserire in modo elastico.
L’Osservatorio nazionale per il volontariato30 ha redatto un dossier di studio
sui volontari giovani in occasione della conferenza svoltasi a Napoli quest’anno sul
volontariato. Viene affermato che un ragazzo su sette fra i 15 e i 29 anni è impegnato
in attività solidali. Ma è stato messo in rilevo come i settori che attraggono di più fra i
giovani oggi sono il volontariato in protezione civile e quello di advocacy impegnato
nella promozione dei diritti in ambito locale. Il nodo cruciale però è la partecipazione
o meno dei giovani nei processi decisionali e nell’elaborazione dei progetti all’interno
delle organizzazioni
Da segnalare l’età dei legali rappresentanti delle organizzazioni di volontariato.
I dati presentati dall’ISTAT sono inequivocabili: il 61,5% dei presidenti ha 50 anni o
più e la maggior parte di questi (33,7%) ha oltre 60 anni. Situazioni simile anche nelle
leadership delle cooperative sociali: il 48% ha oltre 60 anni, il 70,3% più di 50 anni,
solo il 6,7 ha meno di 39 anni. Ciò che se ne può trarre è che non solo nelle
organizzazioni si assiste in generale a un ricambio generazionale vischioso, ma
anche l’alimentazione del sistema, probabilmente, risente del fatto che la platea dei
volontari non cresce nella misura richiesta dal fiorire di organizzazioni nuove,
soprattutto tra i più giovani.
30
L’Osservatorio nazionale per il Volontariato (art. 12 Legge n. 266 del 1991) è presieduto dal Ministro della
Solidarietà Sociale. È composto da dieci rappresentanti delle organizzazioni e delle federazioni di volontariato
operanti in almeno sei regioni, da due esperti e da tre rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente
rappresentative.
40
Le organizzazioni di volontariato per esempio, assorbono meno di un tempo il
dinamismo delle nuove generazioni e ciò avviene per una serie di motivi derivanti da
un lato dalle condizioni di vita dei giovani (lungo tirocinio alla vita professionale,
precarizzazione del lavoro) e dall’altro all’incapacità delle organizzazioni di
promuovere la partecipazione giovanile. Le organizzazioni dovrebbero attivare delle
politiche di reclutamento volte alla promozione del volontariato e alla valorizzazione
dei giovani all’interno delle associazioni.31 I ragazzi giovani pongono energie dove
possono esprimere e vivere valori, avere relazioni e acquisire competenze. Oltre ai
volontari, occorre puntare alla formazione di una classe dirigente giovane, capace di
confrontarsi con i pionieri ormai anziani delle organizzazioni. E questo dipende molto
dalla capacità di questi ultimi di porre fiducia nelle capacità dei giovani; dipende dal
mettersi per entrambi in condizioni aperte e flessibili
Infine le organizzazioni per incentivare la presenza dei giovani all’interno della
loro struttura dovrebbero dare maggiore importanza al Servizio Civile volontario. I
dati dicono che in sei anni sono oltre 150mila i giovani che hanno usufruito di questa
possibilità e nel 2006 le candidature sono state elevatissime. Questa è
un’opportunità per le organizzazioni di avere del personale giovane e motivato, e per
i ragazzi che lo svolgono significa una vera e propria esperienza sia di vita che di
lavoro. Infatti il Servizio Civile si delinea come un’esperienza educativa e formativa
importante, che dà la possibilità di attivare processi di cittadinanza attiva, e spesso
rappresenta successivamente al servizio, un’opportunità di inserimento lavorativo, o
“nella peggiore delle ipotesi” rimane comunque una esperienza spendibile nel corso
della vita lavorativa.
2.7 L’importanza della comunicazione sociale
Cresce, anche se lentamente, dentro il mondo del Terzo settore, la
consapevolezza di dover investire con competenza e incisività nella comunicazione.
Da tempo le associazioni di volontariato laiche o cattoliche hanno considerato la
comunicazione un’attività residuale destinata per lo più a fungere da bollettino per i
31
Dal documento di sintesi del Forum del Terzo Settore redatto in previsione della Conferenza di Napoli sul
volontariato 2007.
41
benefattori. Per le organizzazioni che sostenevano progetti nel Sud del Mondo la
convinzione di fondo era che, tutto sommato, le «azioni compiute parlassero da sè»
e sprecare energie e risorse nella comunicazione in fondo sottraeva energie preziose
ai progetti sostenuti. L’informazione che si faceva era di nicchia, che spesso non
superava la cerchia ristrettissima dei “soliti noti”. Ma poi nacque l’esigenza di non
solo far sapere cosa si stava facendo in terre lontane, ma anche di far emergere in
Italia una nuova consapevolezza sulle cause delle condizioni di povertà dei Paesi del
Sud del Mondo. Oltre quindi a comunicare i risultati dei progetti, si inizia a
sensibilizzare su temi come lo sviluppo, la pace, la solidarietà.
Fare comunicazione sociale significa porsi come obiettivo principale di
sensibilizzare il pubblico rispetto ad un determinato problema o situazione al fine di
trovare delle modalità per agire su di esso e migliorarlo. L’attivazione di processi
comunicativi, per una organizzazione del Terzo settore, è finalizzata all’instaurazione
di legami sociali, di partnership e di fiducia. E nel Terzo settore la comunicazione è
fondamentale, intrinseca alle attività che le organizzazioni svolgono. Utile è riportare
la radice originale della parola comunicare, ossia: mettere in comune, condividere,
tenere insieme. L’accento cade quindi non soltanto sul prodotto (il messaggio), bensì
sul processo comunicativo,sulla relazione, cui il Terzo settore risulta essere principe.
Oltre all’obiettivo di sensibilizzare le persone su un particolare tema, la
comunicazione sociale è volta ad attività di fund raising, cioè al reperimento di risorse
finanziarie, e people raising, cioè al reperimento di nuovi volontari e sostenitori. Una
buona comunicazione diventa dunque strategica per progettare insieme il futuro e
allargare la base delle risorse, sia umane che economiche.
È sufficiente dare un rapido sguardo ai quotidiani nazionali o ai palinsesti delle
principali emittenti tv per constatare che il soggetto Terzo settore è scarsamente
rappresentato. In genere nella grande arena della comunicazione pubblica sono
sempre presenti alcuni temi sociali legati specialmente alla vulnerabilità e
all’emarginazione sociale portati alla ribalta a causa di eventi di cronaca. Ma risultano
essere notizie “mordi e fuggi”. Per avere un reale approfondimento dei temi, le
associazioni dovrebbero auto proporsi alla stampa come fonti preferenziali per poter
42
approfondire certi temi, perché oltre a una competenza in materia, possono proporre
testimonianze e punti di vista nuovi e significativi32.
Per le organizzazioni del Terzo settore esiste una comunicazione esterna
all’associazione ed una comunicazione interna. Di seguito una rapida descrizione.
La comunicazione verso l’esterno diventa fondamentale per il mondo del
Terzo settore proprio perché esso è fondato sull’aggregazione, dove quest’ultima è
intesa come consenso intorno ad un progetto sociale e/o civile. Grazie alla tecnologia
le associazioni possono avvalersi di un importante e strategico strumento di
comunicazione verso l’esterno, ovvero il sito web. L’importante è che esso non sia la
versione elettronica della brochure promozionale. Non deve essere una vetrina
dell’associazione per poter dire “anche noi siamo in internet” ma deve esprimere la
vitalità dell’associazione; ospitando così testimonianze dei volontari, approfondimenti
e forum, al fine di costituire lo spazio adatto per costruire legami sociali.
Storico
strumento
di
comunicazione
esterna
è
la
rivista
cartacea.
Normalmente il giornalino dell’associazione nasce dopo qualche anno di attività
dell’ente. In una prima veste editoriale di solito si tratta di un bollettino interno, con
l’obiettivo di trasmettere ai propri soci la rendicontazione dell’utilizzo dei fondi. Con il
tempo però risulta essere insufficiente perché si apre un mondo di rapporti da curare
e cresce l’esigenza di avere un ruolo culturale e politico aperto. Di conseguenza il
bollettino iniziale diventa un giornalino, con più pagine, con una doppia strategia
comunicativa rivolgendosi sia all’interno dell’organizzazione, per rinforzare la scelta
degli aderenti; sia all’esterno per ampliare la base del consenso. Se è troppo costoso
pubblicare e distribuire un giornale cartaceo, esso può essere veicolato anche via
web tramite la newsletter, strumento efficace che non comporta nessuna spesa.
Anche la comunicazione interna all’associazione risulta essere preziosa e si
traduce nel lavoro che quotidianamente si pratica, avendo relazioni interpersonali. Le
relazioni si costruiscono nel tempo con pazienza e costanza. Si mantengono poi con
una pratica quotidiana fatta di cura, sollecitazione e cortesia. Strumenti di
32
Volterrani A. (a cura di), Raccontare il volontariato, Quaderno CESVOT N. 29 - marzo/2006
43
comunicazione interna, che fanno incontrare e dialogare tra loro volontari, soci e
dipendenti, favorendo l’attivazione di processi di socializzazione e instaurazione di
fiducia, sono le frequenti riunioni (in gruppi ristretti), le assemblee( aperte a tutti)e gli
eventi socializzanti interni (feste, gite, cene...). Come per la comunicazione esterna,
anche dal punto di vista interno l’uso della newsletter occupa un posto speciale,
perché strumento d’eccellenza per la diffusione delle informazioni sullo stato e sulle
attività dell’associazione.
44
Terza parte:
Sotto la lente l’Associazione Jardin de los Niňos Onlus
45
3.1 Onlus. Cosa vuol dire?
Il
problema
definitorio
del
Terzo
Settore
è
stato
in
parte
risolto
dall’introduzione del decreto legislativo 460/1997 che ha introdotto una nuova figura
giuridica, vale a dire le ONLUS (organizzazioni non lucrative di utilità sociale),una
categoria speciale di enti non commerciali, ritenuta meritevole di particolari vantaggi
fiscali. La normativa libera il Terzo settore da quell’opacità di cui era caratterizzato e
fornisce una prima elencazione di tutti quei settori dove è possibile la presenza delle
ONLUS e, quali sono i soggetti che possono possedere tali caratteristiche:
1.
i soggetti inclusi sono le associazioni, i comitati, le fondazioni, le
società cooperative, gli enti privati con o senza personalità giuridica. Sono
considerate automaticamente ONLUS di diritto: le ODV iscritte negli appositi
registri, le ONG riconosciute idonee di cui alla legge 49/1987, le cooperative
sociali di cui alla legge 381/1991, gli enti ecclesiastici delle confessioni
religiose e le APS riconosciute qualora svolgano attività di solidarietà sociale
in uno dei settori di attività acquistano lo status di ONLUS automaticamente.
2.
i settori di attività in cui le organizzazioni devono operare sono
specificati in: assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria, la beneficenza,
l’istruzione, la formazione, lo sport dilettantistico, la tutela e la valorizzazione
dell’ambiente, la promozione della cultura e dell’arte, la tutela dei diritti civili ed
enti di ricerca di particolare interesse sociale.
3.
le condizioni per lo svolgimento dell’attività, che devono essere
indicate espressamente negli statuti, riguardano l’esclusivo perseguimento di
finalità di solidarietà sociale, il divieto di svolgere altre attività se non quelle
direttamente connesse, il divieto di distribuzione degli utili o avanzi di
gestione. Non ultimo, le ONLUS devono redigere il bilancio, o il rendiconto
gestionale.
L’obiettivo complessivo del decreto legislativo 460/1997 è stato quello di
definire con maggiore esattezza i requisiti e i compiti del cosiddetto Terzo Settore, e
di contribuire a favorirne lo sviluppo attraverso tutta una serie di agevolazioni fiscali,
e di semplificazioni contabili.
46
3.2 L’ Associazione Jardin de los Niňos Onlus33
Jardin de los Niños Onlus è un’associazione indipendente e senza fini di lucro,
che lavora a tutela dell’infanzia e delle popolazioni più povere del Sud del Mondo,
realizzando progetti di cooperazione internazionale, soprattutto nell’area latinoamericana.
Nata nel settembre 1986 a Dolo (VE) concentra i primi anni di attività nel
reperimento di fondi a sostegno dei progetti di sviluppo nelle zone dove opera lo
storico partner Jardin de los Niños Argentina. Ovvero una ONG fondata da un italoargentino, Emilio Marchi, desaparecido sopravvissuto al regime militare. Nel 1998,
alla luce della nuova normativa, l’associazione acquisisce lo status di ONLUS, sotto la
denominazione di Jardin de los Niños - ONLUS e ribadisce nello statuto la sua
mission e la volontà di “promuovere progetti umanitari, educativi e sociali orientati
prevalentemente all’infanzia e alle persone emarginate e oppresse” (art. 2 Statuto).
Nata su valori di amicizia e solidarietà verso i più deboli, l’associazione nel 1999 ha
allargato la sua azione anche ad altri Paesi (Brasile, Ecuador, Rwanda e Perù)
sempre nel rispetto dei suoi principi ispiratori.
A partire dal 2000, la crescente volontà di incidere maggiormente sul contesto
italiano determina il progressivo aumento delle risorse investite per attività di
sensibilizzazione, incentivazione del volontariato e creazione di reti sul territorio.
A riconferma del valore e dell’efficacia del suo operato, Jardin de los Niños
Onlus è stata finalista dell'edizione 2007 del Premio Takunda, organizzato dalla ONG
Cesvi, con l'obiettivo di premiare le iniziative che sostengono l'autosviluppo
attraverso sfide innovative e il protagonismo dei beneficiari.
La visione: un futuro in cui la giustizia economica e sociale siano una realtà,
nel Nord come nel Sud del mondo.
La missione: Jardin de los Niños Onlus combatte a fianco delle comunità più
povere del mondo per migliorare le condizioni di vita dei bambini e degli emarginati,
puntando sullo sviluppo della persona umana e dando un’opportunità di cambiare a
chi vive in condizioni di degrado e abbandono.
33
V. Allegato n. 1 per consultare i risultati raggiunti da 20 anni di operato di Jardin del los Niňos nel Sud del
Mondo.
47
La strategia di cooperazione internazionale di Jardin de los Niňos si basa sul
sostegno dall’Italia di progetti di partners locali in ambito umanitario, educativo e
sociale, dando priorità agli interventi che mirano ad attivare processi di sviluppo
capaci di stimolare la partecipazione della popolazione, unica garanzia di un reale
sviluppo sostenibile, pur non precludendo l’appoggio ad interventi di primo soccorso
in situazioni di emergenza. Jardin de los Niňos si distingue da molte altre
associazioni del settore per un approccio non assistenzialista, persuasa che ogni
azione di emergenza non seguita da un'attenta e profonda opera di sviluppo
partecipativo contribuisca solo a creare dipendenza dagli aiuti umanitari, non
consentendo alle persone di crescere nella propria dignità. La partecipazione verso
cui si tende è quella, ovviamente, dell'individuo, ma anche della sua comunità
d'appartenenza, puntando al rafforzamento e alla creazione, laddove siano del tutto
assenti, di legami di solidarietà e di mutuo aiuto, fondamentali per il miglioramento
della stessa vita individuale e unica garanzia di un reale sviluppo sostenibile.
Oltre al sostegno dei progetti in loco, l’Associazione è attiva nel territorio locale
italiano con progetti di sensibilizzazione che, come è esplicitato nel logo stesso34,
mirano alla costruzione di una coscienza planetaria. Ciò vuol dire contribuire al
superamento del grave divario economico tra il Nord e il Sud del mondo,
impegnandosi sul territorio nazionale con azioni di sensibilizzazione e stimolo alla
presa di coscienza su temi quali: povertà, giustizia sociale, violazione dei diritti
umani. Questo impegno si traduce a livello pratico in: redazione della rivista
quadrimestrale con testate di approfondimento sulla difesa dei diritti umani, cura del
sito web che ospita riflessioni e dossier tematici, organizzazione di conferenze ed
incontri pubblici, preparazione di incontri di sensibilizzazione e formazione al
volontariato internazionale, progettazione di corsi di educazione alla pace in network
con altre associazioni e attuazione di questi nelle scuole del territorio, organizzazione
di viaggi di turismo responsabile in Argentina, che propongono la visita di
associazioni argentine operanti nel campo della difesa dei diritti umani e la
conoscenza diretta degli interventi sostenuti dall’associazione nelle baraccopoli della
città di Posadas.
34
Il pay off del logo è rappresentato da cooperazione internazionale per una coscienza planetaria.
48
Si ritiene interessante elencare alcuni numeri significativi riguardo all’attività di
sensibilizzazione:
sono
più
di
3.000
gli
studenti
coinvolti
in
attività
di
sensibilizzazione, circa 60 le persone che hanno visitato i progetti finanziati in
Argentina negli ultimi tre anni, 1.500 le copie di ciascun numero della rivista
quadrimestrale “El Niňo” inviate gratuitamente a sostenitori e simpatizzanti.
Come esplicitato dall’articolo 2 dello statuto, l’Associazione si basa sui
principi di:
- fratellanza, solidarietà, giustizia e responsabilità verso le popolazioni e le fasce
sociali più deboli di tutto il mondo;
- centralità dello sviluppo della persona umana, considerata sia come singolo che
come parte di una comunità;
- equità nella distribuzione delle risorse umane, economiche e culturali tra tutti gli
abitanti della terra;
- rispetto dei valori di ciascun popolo;
- nonviolenza nella risoluzione dei conflitti.
Gli obiettivi futuri, condivisi dai soci e dai membri del Consiglio direttivo
risultano essere:
- continuare a sostenere il processo già in corso verso la totale autonomia delle zone
di operatività dello storico partner argentino;
- riconfermare l’apertura al finanziamento di interventi di altri partners, purché siano
referenti affidabili e propongano progetti a lungo termine e sostenibili
- rafforzare le attività di sensibilizzazione sulla situazione dell’Argentina e, più in
generale, dei Paesi del Sud del Mondo, nonché sulle tematiche riguardanti i Diritti
Umani e lo squilibrio tra il Nord e il Sud
- accrescere il radicamento e la visibilità dell'associazione sul territorio, ampliando la
rete di partnership e collaborazioni con realtà che condividono le stesse finalità.
49
3.3 La struttura
SOCI
TESORIERE
CONSIGLIO
DIRETTIVO
STAFF ESECUTIVO
REVISORI
DEI CONTI
VOLONTARI
Gli organi direttivi formali interni all’associazione Jardin de los Niňos e comuni
a moltissime altre associazioni sono innanzitutto l’Assemblea dei Soci la quale si
riunisce generalmente una volta all’anno ed è composta dai soci dell’associazione.
Essa delibera sul bilancio consultivo, sugli indirizzi generali dell’associazione, sulle
modifiche dello statuto e su tutto quello che le è demandato da statuto. Inoltre,
nomina i membri del Consiglio Direttivo che dura in carica tre anni. Il Consiglio si
riunisce tutte le volte che il Presidente o i suoi membri ritengano necessario e in ogni
riunione viene redatto un verbale sottoscritto dal segretario e dal presidente.
Le attività di Jardin de los Niños vengono svolte principalmente attraverso il
lavoro volontario e non retribuito di un numeroso e fedele gruppo di soci e volontari, il
cui supporto è fondamentale per la sensibilizzazione, la promozione sul territorio e la
raccolta fondi.
Dal punto di vista dei soggetti coinvolti, Jardin de los Niňos prevede 5 livelli di
partecipazione: il primo riguarda una ristretta schiera di soggetti che assumono
responsabilità di tipo direttivo implicanti generalmente una partecipazione assidua
alla vita associativa. Tali soggetti sono i membri del Consiglio direttivo, i quali
vengono eletti dall’Assemblea dei Soci e ricoprono la carica gratuitamente.
50
Il secondo livello riguarda il gruppo di volontari (più o meno 20 persone), che
pur essendosi progressivamente ampliato e consolidato nel tempo, costituisce oggi il
nucleo portante dell’organizzazione a cui viene riconosciuta una funzione gestionale
decisiva; il terzo livello, invece, comprende la grande massa di volontari (circa 40)
impegnati esclusivamente nella gestione operativa delle attività; il quarto include i
soci-sostenitori (150 persone circa) che contribuiscono finanziariamente alle attività e
intervengono nei momenti collettivi di maggior pregnanza simbolica. Il quinto livello
infine è rappresentato dai circa 800 donatori privati che sostengono finanziariamente
i progetti dell’Associazione (per un totale di 176.000 euro raccolti nel 2006).
Presso la sede italiana ci sono un dipendente e due collaboratori retribuiti che
si occupano distintamente delle aree di sensibilizzazione e progettazione, di fund
raising, e di comunicazione. Da tre anni l’associazione può contare su un referente
dei progetti stabilmente operante in Argentina.
3.4 Le risorse
La principale risorsa nell’associazione Jardin de los Niňos è quella umana;
accanto ad essa però, non meno importante si trova la risorsa finanziaria, grazie alla
quale è possibile, oltre a soddisfare la missione dell’organizzazione, sostenere i costi
di gestione della stessa.
Con il termine risorse umane, oltre alla figura del volontario si comprende
anche quella del dipendente retribuito e quella dell’eventuale tirocinante. Tra
volontari e dipendenti c’è una stretta sinergia: i primi immettono la carica
motivazionale e l’attenzione relazionale al fine di garantire lo svolgimento delle
attività, mentre i secondi vi portano la competenza e la continuità necessarie a
rendere queste attività permanenti ed efficaci. Il reclutamento del gruppo di volontari
avviene tramite eventi promozionali (feste, fiere,…) durante i quali molti giovani si
avvicinano all’associazione con il desiderio di praticare del semplice volontariato,
molti altri invece si avvicinano perché sono già interessati per motivi di studio o
lavoro al settore della cooperazione allo sviluppo, altri desiderano praticare un
periodo di volontariato internazionale.
51
Jardin de los Niňos mantiene un ottimo equilibrio dal punto di vista
generazionale: nonostante sia caratterizzata da una storia abbastanza lunga rispetto
alle associazioni in Veneto35 (ricorre quest’anno il ventennale dalla sua costituzione),
è composta da individui giovani. L’età media dei dipendenti è di 26 anni, quella del
gruppo dei volontari (sia del nucleo portante che di quello più numeroso) è di poco
meno di 30 anni; in entrambi i casi, tali età sono inferiori all’età media dei volontari
italiani, che si calcola essere ricompresa nella fascia 30-54 anni. L’età media del
donatore invece risulta essere piuttosto alta, dato riconducibile al fatto che in origine
la maggior parte dei donatori erano legati ai fondatori dell’associazione, ormai
anziani, da rapporti di conoscenza personale. Analogamente a quanto accade a
livello nazionale, l’età media del Consiglio direttivo risulta invece essere ancora alta,
intorno ai 50 anni. È da ricordare però la presenza di 2 giovani nella fascia d’età 2535 anni Una delle sfide che i nuovi giovani di J.d.N. dovranno affrontare sarà riuscire
a fidelizzare nuovi sostenitori, mantenendo al contempo saldi i rapporti con i donatori
“vecchi”.
Le principali risorse finanziarie, quindi fonti di finanziamento di Jardin de los
Niňos derivano da:
contributi privati divisi in:
- adozioni di solidarietà
- donazioni per progetti specifici
- contributi privati generici
- offerte oggettistica
- quote sociali
settore pubblico tramite bandi indetti da enti pubblici (in particolare, dalla
Regione Veneto)
Il finanziamento privato costituisce la fonte di entrate caratteristica e
prevalente (86,3% sul totale dei finanziamenti) dell’associazione. La forma delle
adozioni di solidarietà si riferisce al sostegno, tramite 20euro mensili, della comunità
35
Dalla rilevazione FIVOL 1997, l’ anzianità media in Veneto delle associazioni del Terzo settore è di 13,8 anni.
52
destinataria di tutti gli interventi realizzati da Jardin de los Niňos in Argentina36. Con
le adozioni l’associazione è nata e da esse continua a trarre linfa vitale. Osservando
la composizione dei donatori privati, si può notare come l’associazione sia ben
radicata nel territorio: il 55% dei donatori infatti vivono nella provincia di Padova, il
17,4% nella provincia di Venezia . Da segnalare il 9,9% dei donatori residenti o
domiciliati nella provincia di Belluno.
Oltre alla adozione di solidarietà si può sostenere l’associazione tramite il
sostegno di un progetto specifico (consultabili tutti nel sito www.jardin.it alla sezione
progetti). Spesso questa formula non è scelta dai singoli individui, bensì da altri attori
quali fondazioni e imprese commerciali.
Le entrate provenienti dalle “offerte oggettistica” sono ricavi derivanti dallo
svolgimento di attività commerciali marginali in occasione di fiere e mercatini, le quali
devono comunque rimanere un settore secondario dell’associazione e devono
essere completamente reinvestiti nell’associazione stessa, altrimenti l’associazione
verrebbe a perdere quelle caratteristiche di fondo che le hanno consentito di veder
riconosciuto lo status di “non lucrativa”.
Il finanziamento proveniente dalle quote associative (15euro annuali) dei
membri dell’associazione, rappresenta una forma piuttosto tradizionale, che non
richiede l’utilizzo di tecniche e meccanismi gestionali particolarmente sofisticati.
Le altre entrate (13,7% del totale) derivano invece dall’ente pubblico: alcuni
dei progetti realizzati, infatti, hanno ottenuto dei contributi a bando da parte della
Regione Veneto ma tale canale di finanziamento, per sua stessa natura, non offre
garanzie di costanza nel tempo. Ogni anno Jardin de los Niňos presenta alla
Regione degli specifici progetti nell’ambito del Bando per la Cooperazione decentrata
allo sviluppo (ex legge regionale n. 55 del 16 dicembre 1999).
36
J.d.N. ha ormai da anni intrapreso la via dell’adozione dell’intera comunità e non del singolo bambino per 3
semplici motivi: per una questione di etica, non ci sarebbe un criterio equo per scegliere i bambini da privilegiare
con un’adozione personale; per una questione di efficacia, agendo su tutto il mondo che è intorno al bambino per
un reale risultato di sviluppo; per una questione di onestà perché nei territori di confine della città di Posadas
sarebbe impossibile garantire di seguire la vita di un singolo bambino che dall’oggi al domani potrebbe emigrare.
53
Per l’anno 2007 Jardin de los Niňos prevede di concorrere, come di consueto,
al bando annuale e inoltre di sottoporre, per la prima volta, alla Regione un progetto
da assumere in via diretta in partnership con altri enti pubblici proponenti.
Di seguito una tabella 3.1 con i dati economici del 2006 di Jardin de los Niňos
Onlus, la tab. 3.2 con le cifre dei contributi privati riferite all’anno 2006, e
successivamente il grafico 3.3 che dimostra in termini relativi come sono stati
utilizzati tali proventi.
Tab. 3.1 Dati economici 2006
USCITE
PROVENTI
Uscite per progetti
- Argentina
- Perù
- Rwanda
Totale uscite per progetti
Spese di gestione
Spese per sensibilizzazione e
promozione
TOTALE ONERI
€ 115.028
€ 2.014
€ 5.000
€ 122.042
€ 25.793
€ 19.830
€ 167.665
Proventi per progetti
- da privati
- da enti pubblici
Altri proventi
Totale PROVENTI
AVANZO DI GESTIONE
Tab. 3.2 Tipologia proventi privati raccolti nel 2006
TIPOLOGIA PROVENTI PRIVATI
Adozioni di solidarietà
Contributi privati per
progetti specifici
Contributi privati generici
Offerte oggettistica
Totale contributi privati
€ 138.162
€ 7.307
€ 15.919
€ 1.987
€ 163.375
54
€ 163.375
€ 7.800
€ 4.849
€ 176.024
€ 8.359
Grafico 3.3 Utilizzo delle risorse finanziarie nel 2006
UTILIZZO DELLE RISORSE
11,8%
15,4%
72,8%
contributi ai progetti
spese di gestione
spese per sensibilizzazione e promozione
Si desidera far notare che al grafico 3.3, nonostante la voce “Spese per
sensibilizzazione e promozione sia separata da quella di “ Contributi ai progetti”,
essa rientri ugualmente nei progetti previsti per attuare la missione dell’associazione.
La voce “Contributi ai progetti” fa riferimento ai progetti di cooperazione
internazionale in Argentina e nel Resto del Mondo, che ricomprendono comunque
capitoli di spesa necessari per la realizzazione dei progetti (si pensi ad esempio alle
risorse umane).
3.5 Cambiamenti in atto paralleli a quelli nazionali
Jardin de los Niňos attualmente è in una fase di passaggio (oramai giunta
quasi al termine), da una condizione di associazione gestita da un gruppo di amici,
finanziata esclusivamente dalle donazioni private di amici e parenti del gruppo
fondatore, ad un’associazione con più attività, finanziata da soggetti di natura
giuridica diversa, gestita da dipendenti professionisti nel campo e caratterizzata da
un elevato numero di volontari giovani. Nonostante questo notevole sviluppo, i
principi fondanti non sono cambiati, e anzi, ogni qualvolta si discute di un nuovo
progetto da intraprendere, si presta molta attenzione alla coerenza con i principi
dettati dallo statuto.
55
Sono varie le cause di questo cambiamento: da un lato l’avvicinarsi di molti
giovani all’associazione che portano con sé nuove idee e un rinnovato spirito
d’azione, dall’altro un aumento dei donatori e quindi una accresciuta necessità di
risposta da parte dell’associazione, il naturale momento del cambio generazionale e
la volontà di ampliare progetti realizzati e benefici prodotti sulla popolazione.
Dal 2000 moltissimi giovani hanno preso contatti con Jardin, alcuni sono partiti
come volontari in Argentina, altri hanno supportato le attività sul territorio nazionale;
tuttavia, anche chi ha fatto l’esperienza all’estero ha mantenuto dopo il rientro uno
stretto rapporto con l’associazione, portando la propria testimonianza nell’ambito di
incontri pubblici, soprattutto nelle scuole. Da notare che se da un lato l’associazione
premia la buona volontà dei giovani che desiderano partire per un periodo di
volontariato internazionale, dall’altro lato fissa però dei necessari pre-requisiti che i
partenti devono soddisfare, pre-requisiti che vengono concordati con gli operatori
argentini.
L’aumento dei sostenitori dell’associazione ha chiaramente comportato un
impegno maggiore nella gestione dei contatti, nel comunicare i ringraziamenti e non
da meno nel rendicontare l’utilizzo delle donazioni attraverso il giornalino
quadrimestrale.
Il processo di professionalizzazione ha investito anche l’associazione, infatti
quest’anno il personale retribuito dall’associazione è arrivato a quota tre persone. Da
segnalare come gli ultimi 2 collaboratori assunti si occupano rispettivamente dell’area
Comunicazione e Fund raising, ovvero attività che fino a qualche anno fa
nell’associazione risultavano essere marginali, se non addirittura inesistenti.
L’assunzione di nuovo personale ha implicato un aumento delle spese di
gestione interne all’associazione. Inizialmente, tale prospettiva è stata fonte di
attente riflessioni, perplessità da parte di alcuni membri del Consiglio direttivo e
prolungate discussioni; tuttavia, alla fine è prevalsa l’opinione secondo cui la
possibilità di disporre di personale esperto è di importanza vitale per l’associazione;
esso rappresenta una risorsa umana preziosissima, un investimento in capitale
umano grazie al quale l’associazione crescerà, sia in termini di dimensioni e
radicamento in Italia, sia (e soprattutto) in termini di progetti realizzati e dei
conseguenti benefici prodotti.
56
Si ritiene ottimo il rapporto che Jardin de los Niňos sta mantenendo con le
istituzioni pubbliche. Consapevole delle differenze di settore e di logiche,
l’associazione si apre comunque al dialogo e alla collaborazione con gli enti pubblici,
differenziandosi da altre organizzazioni che invece con diffidenza chiudono le porte
al settore pubblico.
Infine, saggiamente, Jardin de los Niños è convinta che le dinamiche di
concorrenza e competizione tra enti del Terzo settore mossi dalle medesime finalità
siano deleterie ed è perciò impegnata a rafforzare ed ampliare la rete di
collaborazioni attivata negli anni sul territorio nazionale con varie realtà dello stesso
settore.
57
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
Agenzia per le Onlus, Libro verde della Agenzia per le Onlus, Ottobre 2006
Alecci E. Colasio A. Lion A., Tra identità e solidarietà, Tamari Montagna
Edizioni, 1995 (pp. 7 – 42)
Cartocci R. e Maconi F., Libro bianco sul Terzo Settore, Il Mulino, 2006.
Carrocci, Il Welfare futuro: manuale del terzo settore, Roma, 1999.
COMMUNITAS, Volontari. Rapporto sul volontariato italiano in trasformazione,
VITA Altra idea 2007
Comunian M., Tesina di approfondimento: Il lavoro nel terzo settore. Uno
sguardo alla realtà italiana, veneta e padovana, 2002.
Cristaldi L., VIS, Lavorare nella cooperazione internazionale, Cittadini del
Mondo, SEI, Torino 2004
Fondazione Lanza, Etica per le professioni – Etica e non profit, DCI Padova
2005 (pp. 3-71)
Frisanco R., Il volontariato nel Veneto, Rilevazione FIVOL 2001
Pesavento M., Professionisti nel non profit, Terra ferma, 2004.
Poli A., Alla ricerca del terzo settore, I quaderni de “Il Melograno” num.5.
Putnam R., Le tradizioni civiche delle regioni italiane, Milano, Mondatori, 1993.
Rifkin J., La fine del lavoro, Baldini e Castaldi, Milano, 1995.
Schiavon A. e Di Censi L., Impegno e territorio, censimento delle forme di
impegno e solidarietà nel territorio della provincia di Padova, Collana Elementi
2007
Solito L., Luoghi comuni. Comunicare il servizio sociale, Liguori, Napoli 2002
Volterrani A. (a cura di), Raccontare il volontariato, Quaderno CESVOT N. 29
- marzo/2006
www.agenziaentrate.it
www.agenziaperleonlus.it
www.csvpadova.org
www.forumterzosettore.it
58
www.jardin.it
www.noprofit.org
www.quinonprofit.it
www.regione.veneto.it
www.terzacomunicazione.org
www.vita.it
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Allegato 1: risultati di Jardin de los Niňos onlus nel Mondo
I RISULTATI RAGGIUNTI DOPO 20 ANNI DA JARDIN DE LOS NIŇOS ONLUS
In Argentina
MATERNITÀ, INFANZIA E FAMIGLIA
realizzazione di un CENTRO DI ACCOGLIENZA PER RAGAZZE MADRI
(“Hogar S. Francisco”) che fornisce sostegno psicologico, cure di prima
assistenza e supporto al ricongiungimento familiare (ove possibile ed
opportuno) sotto il coordinamento di un'assistente sociale
- 276 BAMBINI NATI ad oggi
- circa 600 MAMME E FIGLI ospitati ed assistiti
realizzazione di 3 ASILI NIDO E SCUOLE MATERNE per provvedere ai bisogni
alimentari, materiali e educativi dei bambini tra 3 mesi e 6 anni e sgravare le
famiglie dalla presenza dei figli in modo da permettere, in particolare alle
donne, di dedicarsi ad un'attività lavorativa
- oltre 420 BAMBINI iscritti ogni anno
realizzazione di un CENTRO DI ACCOGLIENZA PER ANZIANI INDIGENTI
- oltre 100 ANZIANI partecipano alle attività del Centro e usufruiscono del
servizio mensa
realizzazione di un CENTRO RICREATIVO PER GIOVANI E ADOLESCENTI
DI STRADA
- oltre 40 RAGAZZI al giorno hanno la possibilità di partecipare alle attività
FORMAZIONE
realizzazione del CENTRO DI FORMAZIONE “SAN JORGE”, ora “MINO
BELLABONA” (2.000 mq di area) per soddisfare le esigenze di istruzione e
formazione delle fasce adolescenziali in cerca di occupazione
- 11 CORSI PROFESSIONALI attivati
- 100 DIPLOMATI all'anno nelle scuole laboratorio
- 150 ALUNNI della facoltà di Trabajo Social hanno svolto il loro tirocinio in
strutture, programmi, progetti della Ong
- 495 ALUNNI iscritti ai corsi ogni anno
- 30 LAUREATI all’anno nel Diploma Universitario di “Analista di Sistema”
erogazione di 450 BORSE DI STUDIO per conto dell’Università di Posadas
60
MIGLIORAMENTO DELL’HABITAT
oltre 500 ABITAZIONI in MURATURA costruite fino al 2006, in cui vivono
4000 PERSONE, prima abitanti in baracche
costruzione della RETE FOGNARIA
costruzione della RETE DI CANALIZZAZIONE DELL’ACQUA POTABILE
ASFALTATURA delle principali vie di comunicazione dei quartieri
a partire dal 2007, costruzione di ulteriori 360 UNITÀ ABITATIVE a beneficio di
oltre 2.500 PERSONE
SALUTE E NUTRIZIONE
costruzione di 2 POLIAMBULATORI MEDICI
- oltre 35.000 PRESTAZIONI ALL'ANNO EROGATE, pur operando con
mezzi limitati e in condizioni igieniche precarie
avviamento di 4 PANIFICI NON PROFIT per fornire, all’indomani della crisi
alimentare (2001-2002), pane a prezzo di costo agli abitanti delle baraccopoli
- 450 kg di pane prodotti quotidianamente in ciascun panificio per un totale
di oltre UNA TONNELLATA DI PANE al giorno
- circa 12.000 ACQUIRENTI al giorno, 360.000 al mese
Attualmente, i panifici propongono prezzi inferiori a quelli di mercato e
producono circa 750 kg di pane al giorno
100 famiglie per un totale di 800 BENEFICIARI del PROGRAMMA DI
AUTOCONSUMO (realizzazione di orti e allevamento di animali da cortile)
5 MENSE gestite direttamente da Jardin de los Niňos Ong e 6 MENSE esterne
a cui fornisce gli alimenti giornalmente
- Oltre 1000 PERSONE AL GIORNO ricevono due pasti quotidiani
SVILUPPO DELL’IMPRENDITORIA LOCALE
Oltre 700 MICRO-IMPRESE sono state avviate grazie ai fondi erogati
nell’ambito del PROGRAMMA DI MICROCREDITO per un totale di 500.000
pesos (pari a € 125.000) di capitale prestato, con un tasso di restituzione del
99,5%
61
i 4 PANIFICI COMUNITARI hanno raggiunto l’autosufficienza e si sono
costituiti in COOPERATIVA, assumendo direttamente la responsabilità di
gestione dell’attività
la COOPERATIVA DI FALEGNAMERIA SAN JORGE, costituita da EXALLIEVI DELL’OMONIMO CENTRO DI FORMAZIONE realizzato dalla Ong, è
prossima al raggiungimento della totale autonomia
IMPIEGO DI PERSONALE LOCALE
oltre 1.000 PERSONE LOCALI hanno prestato la propria attività lavorativa per
l’Ong dalla sua nascita
Attualmente, circa 90 PERSONE LOCALI sono stipendiate da Jardin de los
Niños Ong
48 DOCENTI stipendiati dalla Provincia di Misiones occupati negli asili e nelle
scuole-laboratorio dell’Ong
8 ASSISTENTI SOCIALI occupati nell’Ong
Oltre 140 DISOCCUPATI sono stati impiegati fino ad oggi dall’Ong grazie al
contributo del programma nazionale
SVILUPPO DI UNA RETE DI CO-FINANZIATORI E/O PARTNER:
di carattere internazionale:
- UNDP-United Nation Development Programme
di carattere europeo:
- Comunità Economica Europea (CEE), oggi UE
di rilievo regionale (in Argentina):
- FONCAP- Fondo para el Capital Social
- Governo della Provincia di Misiones
- Istituto provinciale per lo sviluppo abitativo
- Ministero della Pubblica Istruzione, Ministero delle Politiche Sociali, Ministero
delle Infrastrutture, Ministero della Salute, Ministero del Lavoro e Ministero
degli Interni della Provincia di Misiones
- Segreteria per lo Sviluppo Sociale
- Unità Provinciale di Coordinazione per l’Emergenza
- Università Nazionale di Misiones
sul territorio nazionale italiano :
- A.P.I.B.I.M.I. (Trento)
- Associazione Mondo Giusto (Lecco)
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-
Caritas Antoniana (Padova)
Caritas Italiana
COCIM (Consorzio di Ong composto da Cospe, Iscos, Mlal, Progetto Mondo)
Regione Veneto
Unione delle Famiglie Trentine nel Mondo
Nel resto del mondo
216 CASE IN MURATURA costruite a Ruhengeri (Rwanda) a beneficio di
1.260 SENZA TETTO
88 RAGAZZE DI STRADA ospitate nel centro di accoglienza di Ruhengeri
(Rwanda), dove seguono un percorso di formazione professionale e di
reintegrazione socio familiare
36 BAMBINI LAVORATORI hanno frequentato l’anno scolastico 2006 presso
la scuola NASSAE (Lima - Perù)
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Ringraziamenti
Un grazie alla mia cara mamma che sempre mi è stata vicino, ai nonni, che
poter condividere questo momento così importante li rende felici, e vedere i loro
occhi brillare mi emozionano. Un grazie ai cugini, cugine, zii.. insomma, tutta la
grande Famiglia che sempre è stata un punto fermo della mia vita.
Grazie agli amici, a Vale anche se sempre distante ma vicino con il cuore, a
Paola, Alba, amiche rare e preziose,Ilaria e Georgia per gli abbracci, i consigli sulla
tesi e per avermi insegnato parecchie cose.. grazie a tutti gli amici di Jardin ..tanti per
nominarli tutti.
Grazie ad Andrea, compagno fedele di questo percorso universitario, a tutti gli
amici dell’unversità, a M.elena, Valeria, Francy, Stefano,Enrico cabernet …a tutti.
E a tutti gli amici della piazza.. grazie, perchè ho capito che la vita non è fatta
solo di studio.. ☺
Un grazie alla vita che finora mi ha rivelato bellissime sorprese!
e…grazie a tutti quelli che non ho nominato..
Ilaria
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