università degli studi di padova facoltà di scienze della formazione
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA TRIENNALE IN COOPERAZIONE ALLO SVILUPPO Relazione finale Evoluzione del Terzo settore in Italia: scenario generale e il caso specifico di Jardin de los Niňos Onlus Relatore Prof.ssa Maria Castiglioni Laureanda Cappellari Ilaria Anno Accademico 2006 – 2007 Ai miei genitori 2 INDICE Introduzione pag. 5 Prima Parte: Analisi del Terzo settore in Italia 1.1 La crisi del welfare state pag. 8 1.2 Breve storia del Terzo settore in Italia pag. 9 1.3 Il Terzo settore: non è mercato non è Stato: cos’è? pag. 11 1.4 Una rassegna delle denominazioni ricorrenti pag. 14 1.5 Caratteristiche strutturali e cultura specifica del Terzo settore pag. 18 1.6 Il Terzo settore in numeri pag. 20 1.7 Il Terzo settore e la globalizzazione pag. 22 Seconda Parte: Cambiamenti in atto nelle organizzazioni del Terzo settore 2.1 Essere volontari ieri e oggi cosa vuol dire pag. 27 2.2 Il volontariato internazionale pag. 31 2.3 La capacità di costruire reti pag. 32 2.4 Terzo settore: un nuovo bacino occupazionale? pag. 34 2.4.1. Professione Fundraiser: una nuova possibilità pag. 3 6 occupazionale 2.5 Gli obblighi verso i donatori pag. 37 2.6 Parola d’ordine: rinnovamento pag. 40 2.7 L’importanza della comunicazione sociale pag. 41 Terza Parte: Sotto la lente: l’Associazione Jardin de los Niňos Onlus 3.1 Onlus. Cosa vuol dire? pag. 46 3.2 L’Associazione Jardin de los Niňos Onlus pag. 47 3.3 La struttura pag. 50 3.4 Le risorse pag. 51 3.5 Cambiamenti in atto paralleli a quelli nazionali pag. 55 Bibliografia pag. 58 Allegati pag. 60 3 4 «Capì questo: che le associazioni rendono l’uomo più forte e mettono in risalto le doti migliori delle singole persone e danno la gioia che raramente si ha restando per proprio conto, di vedere quanta gente c’è onesta, brava e capace e per cui vale la pena di volere cose buone - mentre vivendo per proprio conto capita più spesso il contrario, di vedere l’altra faccia della gente, quella per cui bisogna tener sempre la mano alla guardia della spada». (Italo Calvino, Il Barone Rampante) Introduzione Durante l’esperienza di stage svolto presso l’Associazione Jardin de los Niňos ho ricevuto parecchi input che mi hanno fatto riflettere sulle dinamiche che il Terzo settore genera. Il desiderio di approfondire la materia nasce in primo luogo proprio dalla curiosità e dalla mia poca conoscenza teorica verso questo particolare settore; secondariamente perché durante lo stage ho sviluppato un certo interesse per questo settore. Scrivendo questa relazione finale, ho constatato come molti concetti studiati durante gli anni universitari siano ritornati utili; dall’economia, al diritto, alla sociologia, all’antropologia, alla geografia sociale…e nel processo di stesura ho avuto la sensazione di “tirare le fila” conclusive di questo percorso triennale. Paradossalmente con una materia che però non è mai stata trattata a lezione! Mi è parso infatti insolito che nel Corso di Laurea di Cooperazione allo Sviluppo frequentato in questi anni, non siano mai state dedicate delle ore di lezione al fenomeno del Terzo settore, soprattutto alla luce del profondo legame con la cooperazione internazionale e del fatto che rappresenta un canale di inserimento occupazionale per molti neolaureati interessati al mondo della cooperazione allo sviluppo. Questo elaborato vuole essere una ricostruzione dell’analisi teorica del Terzo settore in Italia, ma anche un‘ analisi di un caso specifico che per molti aspetti segue gli stessi trend nazionali di cambiamento delle organizzazioni facenti parte del Terzo settore. L’idea quindi è nata dall’esperienza di tirocinio, poi ho iniziato a documentarmi, ho letto molte riviste, soprattutto il giornale per eccellenza del Terzo settore, ovvero Vita. Dopo aver studiato alcuni libri specifici, ho chiesto una consulenza finale al 5 Centro Servizi Volontariato della Provincia di Padova in merito ad alcuni dubbi che avevo su alcune nozioni e per avere dei dati di ricerche svolte da loro nel territorio. L’attenzione che ho rivolto al mondo delle organizzazioni del Terzo settore è dovuta a molte ragioni: il loro significativo peso economico, la buona capacità di creare occupazione, la consistente presenza nella produzione di beni e servizi cruciali per la qualità della vita delle nostre società, la capacità di produrre coesione sociale e di dare risposte importanti alle aspettative individuali delle persone, per garantire una convivenza civile e ricca, appunto, di qualità. La materia è stata affascinante, soprattutto la parte dedicata al volontariato, poiché rappresenta una cultura in controtendenza rispetto all’efficientismo e all’utilitarismo dominanti nella gestione del tempo di oggi. La gratuità dei volontari è una nobiltà a molti ancora ignota perché è amore senza tornaconto e mette in discussione le fondamenta della società “dell’acquisto e della vendita”. Nella prima parte di questo lavoro si analizza il Terzo settore in generale; viene introdotto il sistema del welfare state, accennando alla sua crisi, poi si analizza brevemente lo sviluppo storico in Italia, dal dibattito teorico sulle diverse terminologie in uso, alla descrizione dei valori accomunanti. Vengono inoltre riportati alcuni dati sullo stato attuale del Terzo settore italiano ed infine si discute come il Terzo settore rinsalda i legami sociali persi con l’avvento della globalizzazione. Nella seconda parte vengono analizzate le nuove dinamiche che stanno avvenendo nelle organizzazioni del Terzo settore: i cambiamenti subiti da chi desidera diventare volontario, l’aprirsi verso altre realtà e operare in rete per la stessa mission, le nuove possibilità occupazionali che offre il settore, il cambiamento degli obblighi verso i donatori, il difficile rinnovamento generazionale e la centralità che oggi ha la comunicazione sociale. Infine l’ultima parte si focalizza sull’associazione Jardin de los Niňos Onlus, ricostruendo le dinamiche di cambiamento in atto all’interno dell’associazione, che in linea generale sono parallele a quelle di tutto il Terzo settore. 6 Prima parte: Analisi del Terzo settore in Italia 7 1.1 La crisi del welfare state Lo stato sociale si afferma, nei paesi democratici a economia capitalistica dell'Occidente, a partire dal secondo dopoguerra, ed è legato ai processi di modernizzazione sociale. Il periodo denominato anche “l'età d'oro del welfare” va dal 1950 al 1980, è stato caratterizzato dall’estensione universale dei diritti sociali, da una dinamica demografica contenuta e da un intenso sviluppo economico. L’Occidente era caratterizzato da alcune trasformazioni: un aumento delle spese pubbliche di protezione sociale da parte degli Stati, un miglioramento delle condizioni economiche delle società e una crescente responsabilizzazione delle persone e dello Stato, che avevano portato una diffusione capillare del benessere. Un benessere, cui garante era lo Stato, il cui obiettivo primario era la soddisfazione dei bisogni fondamentali di tutti i cittadini. Ma ad un certo punto, nei primi anni ’90 in tutti i paesi europei, questa grande “macchina protettrice” si ferma, e le garanzie sociali risultano essere non più sostenibili e il welfare state non è più capace di far fronte alla domanda dei servizi contando solo sulle proprie risorse. Le cause di questa incapacità dello Stato assistenziale sono molteplici e dipendono in larga parte dalle trasformazioni che stavano avvenendo nelle società: l’allungamento della vita e quindi i nuovi bisogni delle classi più anziane, le nuove evoluzioni dei rapporti familiari che producono situazioni di esclusione e povertà, la partecipazione femminile al mercato del lavoro, ed infine il passaggio da un economia prevalentemente industriale, ad un’economia dei servizi, del terziario. Non da meno i contenimenti della spesa pubblica sia per rispettare i parametri dell’Unione Europea che per far fronte all’elevato debito pubblico accumulato negli anni precedenti. Davanti a tutti questi cambiamenti che originano nuovi bisogni, gli Stati risultano essere difettosi e incapaci di gestire la situazione. 8 1.2 Breve storia del Terzo settore in Italia La storia del Terzo settore è rintracciabile nelle difficoltà affrontate dall’Italia post-unitaria. La partecipazione associativa e le forme di mutua assistenza erano presenti in Italia già dal 1800. Innanzitutto la storia documenta una situazione ideologicamente marcata e geograficamente disuguale delle organizzazioni della società civile nei primi decenni dello stato unitario. Tab. 1.1 La strutturazione della società civile in Italia nei primi decenni dopo l’Unità. Soci e Società di mutuo soccorso per aree geografiche nel 1873 e nel 1895. 1873 1895 Area Società Soci Società Soci Nord 686 134.380 3.722 597.443 Centro 289 62.237 1.343 214.469 Sud e 171 22.205 1.522 182.201 Totale 1.146 218.822 6.587 994.183 Isole Osservando la tabella 1.11 che riporta i dati relativi alle società di mutuo soccorso nel 1873 e nel 1895, si notano, anche se si tratta di dati parziali, alcune caratteristiche, come la rapida crescita della densità associativa verso la fine del secolo, che mantiene tuttavia invariata la frattura tra Nord e Sud. Tale squilibrio territoriale dipendeva da due fattori: uno economico e l’altro politico-culturale. Infatti elevati reticoli di organizzazioni della società civile erano presenti nelle regioni del triangolo industriale, e in regioni come il Veneto, l’Emilia e la Toscana dovuti ad orientamenti valoriali specifici (cattolici e socialisti). Il retaggio di questa dinamicità è stata una ricca dotazione infrastrutturale di organizzazioni di volontariato, sportive e ricreative, che accompagnata dallo sviluppo economico, fa di queste regioni un’area 1 Dati desunti e rielaborati da C. Triglia, Grandi partiti e piccole imprese, Bologna, Il Mulino, 1986 9 tra le più ricche d’Europa e con un’elevata qualità di vita. Una nota ricerca di Robert Putnam ha argomentato quanto l’elevato Capitale Sociale delle regioni del Centro Nord sia debitore della fase di sviluppo dell’associazionismo a cavallo tra il XIX e il XX secolo2. Fino al 1970 in Italia lo sviluppo storico delle organizzazioni di società civile era basato fortemente su una regolamentazione pubblica, nell’insieme poco attenta ai processi e ai risultati, che le considerava generalmente come sostitutive dell’intervento pubblico; questo ha comportato per diverso tempo una mancanza di professionalizzazione del settore, da un lato, e un’estromissione degli esponenti dello stesso nelle politiche attive e di sviluppo sociale, dall’altro. Negli anni ’80 in alcuni settori di attività come sanità, educazione e soprattutto formazione professionale, le organizzazioni del Terzo settore operavano in stretta connessione con il sistema pubblico di fornitura di servizi, rappresentato dal sistema sanitario nazionale o dal sistema scolastico pubblico. Di conseguenza, esse dipendevano in maniera massiccia dai finanziamenti di origine pubblica, e i loro servizi non si distinguevano molto da quelli forniti dalla pubblica amministrazione. Nell'ambiente e nella tutela dei diritti umani e civili, invece, rappresentavano spesso il solo giocatore in campo.3 Negli anni ’90 inizia la fase del riconoscimento giuridico e istituzionale degli enti del Terzo settore. Non bisogna comunque dimenticare che in questo periodo si verifica una vera e propria esplosione dei problemi nei sistemi di welfare in tutta Europa che stimola riflessioni e porta significativi provvedimenti. Rilevanti diventano in Italia le leggi promulgate in questi anni: la legge sulle ONG 49/1987, la Legge quadro del volontariato 266/1991 e la legge delle cooperative sociali 381/1991. Dagli anni ’90 il Terzo settore è sempre più strutturato e copre spazi più ampi nella vita pubblica. Questo è dovuto in parte a una esigenza di contenimento dei costi pubblici nel rispetto dei trattati europei. Il Terzo settore infatti è intervenuto per colmare quelle lacune nelle aree in cui lo Stato aveva operato dei tagli. In secondo luogo l’espandersi del Terzo settore è dovuto ad una accresciuta consapevolezza della società civile della possibilità di auto-organizzarsi per dare immediate risposte 2 3 Putnam R., Le tradizioni civiche delle regioni italiane, Milano, Mondatori, 1993 Comunian M., Il lavoro nel terzo settore. Uno sguardo alla realtà italiana, veneta e padovana, 2002. 10 ai bisogni sociali emergenti del territorio (dando così concretezza al principio di sussidiarietà). Dopo la crisi politica del 1992-94 gli equilibri si sono rovesciati: le organizzazioni del Terzo settore non solo diventano autonome, ma godono di un più elevato sostegno rispetto alle organizzazioni politiche. Nella persistente diffidenza che separa il «Palazzo» dalla « Piazza»4 nell’Italia di questi anni, le organizzazioni del Terzo settore raccolgono i più elevati livelli di fiducia. In questi anni quindi il mondo del Terzo settore ha iniziato un vero e proprio percorso di sviluppo sostenuto da motivazioni di solidarietà umana e sociale. Queste organizzazioni hanno cercato, in chiave assistenziale, di offrire risposte concrete ad aspetti del disagio sociale poco coperti da servizio Pubblico. Nell’ultimo ventennio il volontariato ha sostenuto costantemente la propria crescita sia sul piano della presenza sul territorio, sempre più radicata e capillare, sia sotto il profilo dell’efficacia della propria azione, tradottasi progressivamente in progetto. Dal 1997 in poi i passi più importanti sono stati numerosi: vengono approvate molte leggi regionali sulla cooperazione sociale, nel 1997 nasce il Forum Permanente del Terzo Settore, si costituiscono poi i Forum Regionali, viene emanato il disegno legislativo 460 che regolamenta le ONLUS (si veda il paragrafo 3.1), nel 1999 nasce la prima esperienza di Banca Etica Popolare ad azionariato popolare e vengono promosse manifestazioni fieristiche nazionali dedicate interamente al Terzo Settore5. 1.3. Il Terzo settore: non è mercato, non è Stato, cos’è? I modelli di trasformazione del welfare state sono molti, tra cui spicca la creazione di un mix (welfare mix) tra i 3 principali soggetti in campo: Stato, mercato e terzo sistema, dove il senso che è proprio delle organizzazioni solidali diviene l’anello propulsivo delle trasformazioni. Più esattamente, il welfare mix indica una situazione in cui la produzione di servizi sociali e di interesse collettivo è garantita da una 4 5 Guicciardini F., Ricordi, Firenze, Sansoni 1951. Due appuntamenti nazionali importanti sono la Fiera della Solidarietà Civitas a Padova e Terra Futura a Firenze. 11 pluralità di soggetti istituzionali (pubblica amministrazione, organizzazioni non profit e imprese for profit), con ruoli parzialmente sovrapposti e in parte diversi dove, di norma, la pubblica amministrazione svolge il compito principale, ma non necessariamente esclusivo, di finanziatore, e le imprese e le organizzazioni private svolgono soprattutto quello di produttori. In Italia si è anche usata l'espressione di welfare municipale. È ormai acquisito che il superamento del modello statalista di welfare presuppone che si disponga di una specifica tipologia di mercati: i mercati di qualità sociale6, come ormai vengono denominati nella più recente letteratura. In essi, le risorse che lo Stato decide di destinare al welfare vengono utilizzate per interventi di promozione e sostegno della domanda di servizi sociali, trasformando così in effettiva una domanda che altrimenti resterebbe solo virtuale. Corollario di tale trasformazione è la valorizzazione del Terzo settore come soggetto pienamente partecipe nella realizzazione di politiche di welfare all'interno delle quali non è più il solo livello istituzionale che decide dove e quando intervenire, ma le linee guida degli interventi sono decise secondo un approccio partecipativo.7 Dall'inizio degli anni novanta si sono avuti vari interventi legislativi che hanno riconosciuto al Terzo settore il ruolo di partner istituzionale del settore pubblico nella realizzazione di politiche di sostegno sociale. Tra le suddette norme vanno ricordate quelle che regolano la possibilità di delegare a soggetti di natura privata l'erogazione di servizi pubblici (legge 142 del 1990), la legge sulle organizzazioni di volontariato (legge 266 del 1991) e sulle cooperative sociali (legge 381 del 1991), con le rispettive applicazioni a livello regionale e provinciale. È da rilevare che in molti testi legislativi si parla di Terzo settore come se questo sia stato chiaramente definito non solo per quanto riguarda l’attività da svolgere, ma anche per i soggetti che possono appartenere ad esso. Uno degli ultimi esempi si ha con la legge 328/2000- Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, la quale dedica tutto un articolo (il 5°) al ruolo del Terzo settore, senza mai dire però cosa si intende per terzo settore e quali siano gli organismi ad esso appartenenti. 6 7 Zamagni S. Carrocci, Il welfare futuro: manuale critico del terzo settore, Roma, 1999. 12 Una interpretazione a lungo dominante identifica nei fallimenti dello Stato e del mercato la causa principale dell’irrompere del Terzo settore sulla scena sociale per realizzare un soddisfacente livello di benessere sociale. Secondo questa prospettiva, la dinamica societaria resta irreversibilmente inscritta all’interno del binomio Statomercato e il Terzo settore rappresenta una tra le diverse modalità possibili per compensare le defaillances dell’uno e dell’altro. Ormai celebre l’interpretazione di Rifkin8 per cui al Terzo settore spetterebbe il compito di settore spugna. Ma il Terzo settore può emergere come forma sociale autonoma se il contesto societario si orienta alla costruzione di un welfare plurale, civile e societario. Il Terzo settore viene così a configurarsi come un attore strategico, accanto allo Stato, al mercato, alla famiglia e alle reti informali, per la realizzazione di politiche di effettivo benessere personale e sociale. Come sostiene il prof. Stefano Zamagni9, l’immagine più azzeccata per il Terzo Settore italiano è quella del bivio: continuare sulla via, fino ad oggi in prevalenza battuta , dell’advocacy e della ridistribuzione, oppure intraprendere con decisione la via dell’imprenditorialità sociale e civile, cioè la via della produzione di capitale sociale. Restare ancorati alla prima alternativa significherebbe per il Terzo settore: mantenere un rapporto privilegiato con le pubbliche amministrazioni e legare la gran parte dei propri finanziamenti a strumenti quali la convenzione e il tributo. Scegliere la seconda alternativa, significherebbe: intervenire da protagonista autonomo nella realizzazione pratica della welfare society in sostituzione dell’ormai obsoleto welfare state e contribuire alla costruzione di un modello di ordine sociale nel quale la società civile giunga finalmente a occupare gli spazi che le sono propri e le appartengono, dal momento che il modello Stato-mercato è esaurito. Zamagni qui fa riferimento all’impresa sociale (l. 118/2005). Ovvero quell’impresa che, pur con tutte le caratteristiche di un’impresa tradizionale, non ha come obiettivi primari gli scopi tipici dell’impresa, ma l’interesse generale della comunità alla promozione umana e all’integrazione sociale dei cittadini. La manifestazione più evidente e diffusa di impresa sociale si riconosce nelle cooperative di solidarietà sociale, ma non solo: essa infatti starebbe ad indicare tipologie organizzative diverse sia sotto il 8 9 Rifkin J., La fine del lavoro, Baldini e Castaldi, Milano 1995. Fondazione Lanza, Etica per le professioni , Anno VII, 3/2005. 13 profilo delle forme societarie ( anche associazioni, fondazioni…), sia del servizio reso alla collettività (servizi ambientali, socio assistenziali, inserimento lavorativo, tutela patrimonio artistico…). Essa si differenzia dagli altri soggetti del Terzo settore per la prevalenza del lavoro remunerato su quello prestato gratuitamente. Dal punto di vista socio-politico del Terzo Settore nelle nostre società contemporanee ci sono due posizioni opposte. Da un lato c’è la posizione del compassionate conservatorism (conservatorismo compassionevole), secondo cui l’attenzione nei confronti di chi resta indietro va ricondotta nel sentimento morale della compassione e il non profit viene chiamato in causa per alleviare gli effetti e non per incidere sulle cause generatrici degli stessi. Dall’altro c’è la preoccupazione dei neo-statalisti che le azioni del Terzo settore, se troppo diffuse e prese sul serio, possano alla lunga spiazzare l’azione politica e quindi ritardare la piena realizzazione della cittadinanza democratica attiva, la quale sola assicurerebbe il rispetto dell’individuo. È possibile pensare alle organizzazioni del Terzo settore non più come solo strumenti per colmare le carenze del welfare state, ma come un agire, il cui senso è contribuire a cambiare il modo d’essere delle istituzioni sia politiche che economiche. La sua missione specifica e fondamentale è quella di costituire la forza trainante per la propagazione, nelle sfere sia politica sia economica, della cultura della fraternità. Se invece il Terzo settore si accontenterà di svolgere un mero compito di tappabuchi e di supplenza dello Stato, allora sarà difficile che esso possa evitare un declino. 10 1.4 Una rassegna critica delle denominazioni ricorrenti Il Terzo settore soffre ed è offuscato dall’ancora potente modello duale StatoMercato che domina in maniera più preponderante nelle nostre immagini della società moderna . Si sa ben poco perfino degli aspetti fondamentali di questo settore: il suo scopo generale, l’ampiezza della struttura interna, l’occupazione, le spese, le fonti di sostegno finanziarie, ecc. 10 Fondazione Lanza (a cura), Etica e non profit, 2005 14 Addirittura stenta a trovare un suo “nome proprio” ed identificarlo è un’operazione piuttosto difficile. Ciò è dovuto soprattutto dal fatto che è mancata, e manca tuttora, una disciplina civilistica specifica che gli dia una univoca identità giuridica ed economica. Nel linguaggio giuridico ed economico si usano una molteplicità di termini: terza dimensione, terzo sistema, privato sociale, terzo settore, ente non commerciale, organizzazione non profit, ONLUS. La comunità internazionale invece usa: voluntary sector, charitable sector, économie sociale, ecc. L’espressione Terzo settore è di derivazione anglosassone (third sector) e non appartiene al nostro contesto culturale poiché compare alla fine degli anni ‘80. Al termine “terzo” vengono dati i significati di: - « altro da » rispetto alle imprese private e alla pubblica amministrazione; - come ordinazione numerica, ovvero successivo al primo settore economico costituito dal mondo della P.A. e al secondo costituito dal mondo dell’impresa. “Settore” in economia indica un insieme di imprese che svolgono le medesime attività, mentre l’operatività del Terzo settore spazia dalla sanità all’assistenza sociale, dalla cultura alla tutela dei diritti civili, dallo sport alla cooperazione internazionale. Questa espressione è fuorviante, perchè essa veicola l’idea di qualcosa di residuale, di qualcosa che viene dopo che gli altri due settori hanno fatto il loro gioco. Il fatto di essere connotato in base a ciò che non è, piuttosto che ad attributi positivi può essere fonte di fraintendimenti. Da qui l’interpretazione minimalista del terzo settore come “croce rossa sociale” 11 che riunisce coloro che gli altri due settori tendono ad escludere, oppure a non tutelare. Dal punto di vista terminologico invece, per i non esperti nel campo, la dicitura “terzo settore” può essere confusa e identificata con il terzo settore economico della produzione: quello dei servizi. Ultimo limite che lo studioso Ascoli12 esplicita, è che settore dovrebbe essere utilizzato ad un livello molto alto di astrazione in quanto l’individuazione della sua composizione rimanda ad aspetti soggettivi e contiene forti connotazioni etiche. 11 12 Mastantuono A., Alla ricerca del terzo settore, i quaderni de “il Melograno” Ascoli U., Il welfare futuro: manuale critico del terzo settore, Cartocci editore, Roma. 15 La denominazione Ente non commerciale ha un significato invece strettamente fiscale. Il concetto di commercialità in linea di principio sottintende l’esistenza di un rapporto di prestazione/controprestazione. In tale qualificazione rientrano sia gli enti pubblici, che gli enti non profit; si deduce quindi che questa espressione fa riferimento all’attività svolta e non alla finalità perseguita. Ente/organizzazione non profit deriva dall’inglese not for profit organization e indica la caratteristica distintiva ed esclusiva nel fatto che le organizzazioni non hanno finalità di profitto e che non prevedono la distribuzione degli utili. In altre parole, il profitto è solo strumentale per il conseguimento delle finalità sociali e l’eventuale surplus che dovesse risultare dallo svolgimento della loro attività non può essere distribuito ai membri dell’organizzazione. Tuttavia, questa espressione è inadeguata perché la mera non distribuzione degli utili a fine esercizio è, di per sé, né necessaria, né sufficiente ad identificare la natura propria delle organizzazioni di cui stiamo parlando. L’espressione Organizzazione senza fine di lucro, analizzata dal punto di vista giuridico risulta essere ambigua , perché esistono due forme di lucro: il lucro “oggettivo, cioè la realizzazione di un guadagno, a prescindere dalla destinazione dei proventi, e il lucro “soggettivo”, da intendersi come la distribuzione del guadagno tra i soci. Infine, economia sociale nasce nei paesi francofoni negli anni ottanta e identifica le organizzazioni cooperative, mutualistiche e di non profit. Questa dizione evidenzia primariamente la connotazione sociale delle attività offerte, mentre resta in ombra quella economica. In Italia viene chiamata economia civile. È necessario ricordare una corrente di pensiero di studiosi delle scienze sociali, che accomuna Stato, Mercato e Terzo settore in un’unica sfera d’azione sociale, chiamata “settore formale” e definendo invece “settore informale” una quarta sfera che comprende le relazioni tra i gruppi primari, ovvero tra la coppia, la famiglia, amici, parenti e vicinato. Sulla base di questa divisione la società produce e scambia quattro tipi di beni: beni pubblici (prodotti dallo Stato), beni privati (dal mercato), beni relazionali collettivi (prodotti dal privato sociale) e beni relazionali primari (prodotti dalle reti primarie). Il Terzo settore in dettaglio è composto da una pluralità di organizzazioni, differenziate rispetto la loro struttura, le loro finalità e le attività. In linea generale il 16 Terzo settore assume un aspetto specifico e non sembra omologabile al panorama internazionale. Mentre in altri paesi occidentali sembra preminente l’indirizzo non lucrativo delle attività svolte e resta invece in secondo piano il carattere solidaristico dell’azione sociale, nel nostro Paese il Terzo settore si sostanzia in larga misura attorno all’aspetto solidaristico. Di seguito, con scopo orientativo, viene riportato un elenco delle molteplici forme che compongono il Terzo settore in Italia: - Associazioni riconosciute; - Associazioni non riconosciute; - Organizzazioni di volontariato (ODV); - Organizzazioni Non Lucrative di Utilità Sociale (ONLUS), - Organizzazioni Non Governative (ONG); - Associazioni di Promozione Sociale (APS); - Cooperative sociali; - Fondazioni; - IPAB privatizzate (Istituzioni di pubblica assistenza e beneficenza9 - Comitati; - Enti ecclesiastici cattolici e di religiosi di altre confessioni; - Istituti di patronato. Facendo riferimento al Libro bianco del Terzo Settore si desidera chiudere questa rassegna con una definizione che gli autori, Cartocci e Maconi13, formulano: “Le organizzazioni del Terzo settore sono istituti che svolgono una o più attività per il perseguimento di una missione socialmente rilevante (ispirata a determinati valori e esplicitata nello statuto) nei confronti di una determinata comunità di riferimento, e che destinano integralmente le risorse (materiali e immateriali) a propria disposizione nonché gli eventuali avanzi gestionali, alla realizzazione diretta o indiretta di tale missione.” Da questa definizione si desumono i caratteri “decisivi” che sono sempre presenti in tutte le organizzazioni del Terzo settore in Italia, in quanto necessari per identificarle. Infatti le organizzazioni del Terzo settore perseguono finalità 13 Cartocci, Maconi, Libro bianco del Terzo settore, il Mulino. 2006 (pag. 28) 17 socialmente rilevanti, nascono da motivazioni ideali, hanno una missione statutaria che ispira l’attività, non hanno interessi proprietari e hanno natura privata. 1.5 Caratteristiche strutturali e cultura specifica del Terzo settore Se per un’identificazione univoca del Terzo settore ci sono ancora delle difficoltà e divergenze fra i vari esperti in materia, sembra esserci invece un totale consenso sull’elencazione delle caratteristiche che devono avere le organizzazioni per appartenere al Terzo settore. I fattori accomunanti e distintivi del Terzo settore sono i seguenti: 1) comprende un complesso di formazioni sociali che hanno al proprio interno elementi comunitari (cioè legami di appartenenza dei soggetti delle organizzazioni), e societari (riguardanti gli aspetti strutturali e formali propri delle organizzazioni). Ciò significa che l’organizzazione deve essere formalmente costituita, quindi deve godere di una certa stabilità e durata nel tempo, di organi di governo e gestione, di norme e ruoli, e di un certo grado di visibilità sociale. Devono offrire garanzie di democraticità e di trasparenza. 2) Le organizzazioni che lo compongono non devono far parte dell’apparato amministrativo pubblico (enti, istituzioni, agenzie, organizzazioni), devono quindi essere di natura privata. 3) È prevista l’assenza di una finalità lucrativa. Il decreto 460/1997 esplicita chiaramente il divieto di distribuire i profitti tra i soci. Ciò non vieta di ottenere un utile di esercizio dallo svolgimento delle attività, ma semplicemente richiede che tale plus valore sia interamente reinvestito al fine di migliorare la propria capacità di perseguire la mission. Risulta importante chiarire che l’esclusione del lucro rappresenta un mezzo dell’azione svolta dalle organizzazioni, e non il fine, che è costituito dalla “pubblica utilità”. Le azioni del terzo settore 18 si definiscono outcome, piuttosto che output, identificando con il primo termine il risultato ottenuto con riferimento alle relazioni con le persone e con il secondo il prodotto erogato che non necessariamente corrisponde anche all’avvio di una dinamica relazionale. Le organizzazioni possono avvalersi però di collaboratori e dipendenti retribuiti per mansioni specializzate che i volontari non sono in grado di svolgere. (v. parte 2^, paragrafo 2.4) 4) Le attività delle organizzazioni devono produrre benefici esterni, quindi avere ricadute positive dal punto di vista sociale e pubblico, cioè della comunità di riferimento. Oltre a queste caratteristiche strutturali, il Terzo settore si fonda su una cultura specifica, i cui valori lo contraddistinguono nettamente dallo Stato e dal Mercato. Tale cultura è riconducibile ai valori della gratuità, della reciprocità, della fiducia e della solidarietà. La gratuità indica la natura della partecipazione dei soggetti; la reciprocità va intesa come l’elemento che evidenzia la dimensione di equità sia tra i soggetti impegnati nelle organizzazioni, sia tra chi offre la prestazione e chi la riceve, allargando quindi le relazioni; la fiducia è un tratto qualificante e fondamentale delle relazioni che si attivano nelle organizzazioni del Terzo settore. Nelle varie associazioni, si instaurano relazioni personali tra estranei ma che grazie ad una profonda fiducia, pongono le loro energie insieme per una finalità solidaristica. La solidarietà, etimologicamente identifica l’esistenza di un legame solido, inteso come ricerca di connessione. È un agire insieme, attivando circoli virtuosi di relazioni pro-sociali. Si ritiene infine opportuno menzionare anche la sussidiarietà, in quanto, soprattutto in questi ultimi tempi, essa viene citata in molti provvedimenti legislativi che chiamano in causa il Terzo settore come elemento primario per l’applicazione del relativo principio. Recepito nell'ordinamento italiano con l'art. 118 della Costituzione, il principio di sussidiarietà stabilisce che le attività amministrative devono essere svolte dall'entità territoriale amministrativa più vicina ai cittadini (i comuni), e che può essere delegata ai livelli amministrativi territoriali superiori (province, città metropolitane, regioni, Stato) solo se questi possono rendere il servizio in maniera più efficace ed efficiente. Si parla di sussidiarietà 19 verticale quando i bisogni dei cittadini sono soddisfatti dall'azione degli enti amministrativi pubblici, e di sussidiarietà orizzontale quando tali bisogni sono soddisfatti dai cittadini stessi, magari in forma associata e\o volontaristica. Lo stile di intervento specifico del Terzo settore si connota in modo peculiare secondo una prospettiva di personalizzazione. Al centro dell’azione di erogazione di un dato servizio da parte di una Organizzazione facente parte del Terzo Settore, c’è la Persona, con i propri bisogni specifici e personali. Il riferimento alla persona e alla necessità di rispondere in maniera personalizzata alle esigenze di questa, rimane come fattore distintivo del Terzo settore, soprattutto delle organizzazioni di volontariato; tuttavia, bisogna rilevare il rischio del cosiddetto burn out, ovvero sovraccarico e “logoramento” a cui sono esposti i singoli volontari e gli eventuali dipendenti. 1.6 Il Terzo settore in numeri In Italia, dal punto di vista statistico, il Terzo Settore è stato analizzato per la prima volta in modo sistematico dall’ISTAT, attraverso il primo Censimento delle istituzioni e imprese non profit, attive al 31 dicembre 1999. Nel complesso, i dati rilevati mettono in luce che le istituzioni del Terzo settore si configurano come un insieme molto diversificato. Si parla di una realtà costituita da una maggioranza di unità di dimensioni molto esigue, a volte domiciliate presso famiglie, comuni, ospedali o altri enti. Contemporaneamente però, in misura minore, coesistono anche istituzioni di dimensioni molto grandi, con un numero considerevole di addetti, con bilanci consistenti e con una struttura organizzativa complessa. Vediamo, in estrema sintesi, alcuni dati interessanti per avere un quadro della situazione attuale. Secondo il primo Censimento ISTAT sul non profit, risultano attive più di 221.000 istituzioni non profit. La distribuzione di questi enti non è tuttavia uniforme sul territorio nazionale. La maggiore concentrazione viene rilevata al Nord (51,1%) e al Centro (21,2%). Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana sono le regioni con la maggiore percentuale, sul totale, di istituzioni non profit con rispettivamente il 14,1%, il 9,5%, l’8,7% e l’8,1%. In media le istituzioni non profit 20 sono “giovani”, essendo costituite dopo il 1990 per il 55,2% dei casi. Dal punto di vista del settore di attività prevalente (tabella 1.2), le organizzazioni risultano appartenere quasi del tutto al settore dei servizi. All’interno di esso, la concentrazione maggiore si registra nel settore della cultura, sport e ricreazione, seguito dall’assistenza sociale e dalle relazioni sindacali. Tab. 1.2 Settori di attività prevalente delle organizzazioni non profit (Istat 2001) Settori di attività prevalente Percentuali sul totale Cultura, sport e ricreazione 63,41 Istruzione e ricerca 5,26 Sanità 4,37 Assistenza sociale 8,74 Ambiente 1,48 Sviluppo economico e coesione sociale 1,96 Tutela dei diritti e attività politica 3,09 Filantropia e promozione del volontariato 0,56 Cooperazione e solidarietà internazionale 0,65 Religione 2,67 Relazioni sindacali 7,07 Altre attività 0,75 La forma giuridica preferenziale è l'associazione non riconosciuta, meno numerose risultano essere le fondazioni e le cooperative. Il censimento ISTAT rilevava che, nel complesso, considerando anche il volontariato, il settore coinvolgeva circa 4 milioni di persone, così suddivise: 3,2 milioni di volontari, 536.000 dipendenti, 80.000 addetti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, 18 mila lavoratori distaccati, 96.000 religiosi e 28.000 obiettori. In termini relativi i dipendenti del Terzo settore ammontano nel 1999 al 21 3,2% del totale degli occupati italiani. L'analisi della composizione per genere delle persone coinvolte fa emergere la netta prevalenza femminile tra i lavoratori dipendenti, con una percentuale pari a 62,5% che sale a 80,3% per quelli a part-time. Nelle altre tipologie prevale invece la presenza maschile: in particolare, tra i volontari gli uomini sono il 65,5% 14. 1.8 Il Terzo settore e la globalizzazione L’avvento della globalizzazione ha contribuito all’espansione in qualsiasi settore della tecnologia informatica, favorendo la formazione di relazioni virtuali e alimentando di conseguenza l’insicurezza e “la solitudine del cittadino globale”15. Il Terzo settore si colloca in maniera dirompente, ripristinando le relazioni tra le persone e i luoghi e aiutando a dare voce alle persone più deboli. Nella società odierna, in cui si assiste all’aumento del disagio e delle emarginazioni, frutto sia della logica spontanea del mercato senza regole, ma anche della scarsità di tessuto sociale, l’antidoto va cercato nella produzione di un altro tipo di beni, quelli di cui il Terzo settore è il generatore: i beni relazionali. Il legame sociale ( e di conseguenza la fiducia) è una risorsa sempre più scarsa nella nostra società, ed è un bisogno che non può essere soddisfatto ricorrendo alla categoria dei diritti, sia pure di cittadinanza. I beni collettivi prodotti da questo settore dinamico ampliano il raggio dei legami comunitari oltre le micro-relazioni primarie, familiari e locali. Inoltre, le associazioni che compongono il Terzo Settore contribuiscono a costruire sistemi di relazioni fra soggetti, rendendo l’uomo più forte, e mettendo in risalto le doti migliori delle singole persone, dando gioia che raramente si ha restando per conto proprio. Affrontare i problemi sociali in termini di relazione umana vuol dire passare da una “cittadinanza passiva” ad “un agire la cittadinanza in prima persona” (Mastantuono A.). Ossia una cittadinanza fatta di diritti e doveri, non delegata, inserita nel locale, in un contesto reticolare. Il Terzo settore va a formare uno spazio 14 15 Orioli A., (a cura di) Lavorare nel non profit, Il Sole 24 Ore, Milano, 1999. Baumann Z., La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano 2000. 22 innovativo, condiviso, capace di superare la dinamica del semplice self-interest. Esso infatti ha come fondamento lo spirito della socialità, in sociologia chiamato lo spirito del per-altri, in cui le relazioni utilitaristiche vengono meno. Questo particolare settore quindi fugge dalla logica sia statale che privata del profitto e i mezzi e gli obiettivi sono diversi. Il Terzo settore diventa così l’attore del cambiamento, passando da una risposta ai bisogni standardizzata, a quella di una risposta personalizzata agli stessi. È l’inizio di un nuovo modo di concepire la società, una società civile in cui il cittadino vive il valore della località, e il valore del decentramento, come forma democratica di gestire il potere dal basso con una sorta di democrazia partecipata. In altre parole al Terzo settore compete un ruolo importante nel far aumentare dal basso quel senso di fratellanza e di solidarietà fra sconosciuti che è la caratteristica peculiare del processo di costruzione della nazione. 23 24 Seconda parte: Cambiamenti in atto nelle organizzazioni del Terzo settore 25 In questa seconda parte verranno analizzate le principali trasformazioni che stanno interessando il Terzo settore italiano, distinguendo da un lato i processi endogeni, che sorgono all’interno del settore, dall’altro le dinamiche esterne che lo influenzano e condizionano. Dal punto di vista interno del settore, in Italia, si possono riscontrare i seguenti trend: a. persistenza delle medie e medio-piccole dimensioni delle organizzazioni. Questo è un tratto distintivo del Terzo settore italiano. b. diversificazione crescente. Sia rispetto alla pluralità di ambiti di intervento, sia riguardo la diffusione territoriale, con consistenti differenziazioni tra regioni geografiche. (le regioni del Mezzogiorno sono fortemente penalizzate). c. aumento delle organizzazioni ad elevata professionalità. L’evoluzione del settore ha visto l’incremento della componente professionale, con le sue ricadute occupazionali. Tuttavia, le organizzazioni più dotate di personale professionalizzato sono ancora in netta minoranza rispetto alla grande arena di piccole organizzazioni di tipo prevalentemente volontario. d. tendenza a connettersi in rete. C’è una crescente necessità di creare forme di cooperazione con altri soggetti del non profit, ma anche con il mondo delle istituzioni pubbliche. Quando invece si parla di dinamiche esterne si fa riferimento per lo più alla molteplicità dei bisogni degli utenti delle organizzazioni e in secondo luogo alle trasformazioni in atto nel quadro normativo e regolativo. In questa sede il focus di analisi saranno i trend interni al Terzo Settore. 26 2.1 Essere volontari ieri e oggi cosa vuol dire «Europa, pace mondiale, libertà di religione, ma cosa posso fare io da solo? Posso dare qualche contributo personale? Io vi rispondo: “Si, tu da solo puoi mettere qualche cosa in movimento; perchè ogni buona risoluzione, ogni pronta assunzione di un compito comincia sempre nell’uomo singolo”». Giovanni Paolo II al Giubileo del 2000 ai giovani La realtà del volontariato è sempre stata presente nel nostro Paese, ancora prima dell’unità nazionale. Infatti di fronte alle grandi emergenze sociali i cittadini si sono sempre organizzati nel tentare di rispondere concretamente ai bisogni presenti sul territorio. Un esempio sono le tante libere realizzazioni di carità attivate dalla Chiesa Italiana a favore della popolazione più povera in periodi storici di assoluta mancanza dello Stato. Il volontariato moderno degli ultimi 30 anni rinasce all’interno del significativo processo di trasformazione di tutte le società. I fattori che hanno contribuito a questa trasformazione si possono individuare: nei movimenti del ’68 che hanno contribuito ad accrescere il protagonismo e la partecipazione della cittadinanza attiva, nel decentramento regionale del 1972 che fa diventare il territorio l’arena di decisioni tra i cittadini e gli enti locali, nella crisi dello Stato assistenziale, nella disponibilità del tempo libero da parte delle persone che subiscono cambiamenti di abitudini (scolarizzazione, pensionamenti…), ed infine nel rinnovamento della Chiesa, sancito dal Concilio Vaticano II che si apre al dialogo con il mondo. Fino agli anni ’80 il volontariato italiano ha testimoniato un servizio di tipo assistenzialistico sanando situazioni negative e arginando il dolore. Con poca preparazione, forse, ma con grande generosità, i volontari hanno spesso supplito alle carenze dei servizi sociali esistenti. Dagli anni ’90 il volontariato sta vivendo una passaggio da una fase in cui prevaleva l'istintività a quella in cui è prevista una formazione continua, quasi a delineare una "professione". Si è affacciata una visione promozionale, comprendendo che il volontario non è un eroe solitario o l’attore in un’azione privata, ma un cittadino che compie una chiara scelta di testimonianza ribadendo il diritto- 27 dovere sociale della giustizia. Ha compreso inoltre che i maggiori problemi di povertà e di disagio non possono essere risolti sostituendosi alle istituzioni, ma ponendosi accanto a esse, collaborando affinché si assumano le loro responsabilità. Attualmente il volontariato oltre ad indirizzare il suo servizio a chi ne ha bisogno, opera contemporaneamente per l’intera società. In altri termini propone un’azione socio politica. Il volontario è un cittadino che, cosciente delle proprie doti, possibilità e limiti acquista le competenze non solo per rimediare ai disservizi dello Stato o per supplire le carenze di servizi sociali, ma per promuovere i diritti di cittadinanza attiva e solidale di cui parlano la Costituzione16 e le leggi. Dunque, i volontari non sono semplici samaritani, ma fattori di cambiamento: individuando le cause del disagio, proponendo itinerari per il miglioramento, assicurando la normalizzazione delle relazioni tra le persone. Si impegnano per rimuovere le cause delle disuguaglianze economiche, culturali, sociali, religiose e politiche e concorrono all’allargamento, tutela e fruizione dei beni comuni. La qualità umana del legame è uno dei valori fondamentali del volontariato e la centralità della persona è un aspetto caratterizzante. Il volontario fa del dono l’essenza stessa del proprio essere. E una società, ha bisogno di legami quanto di beni. Utile in questo contesto riportare un’affermazione di Godbout: « L'uomo è in primo luogo un essere di relazione e non un essere di produzione.»17 Come sancisce la Carta dei Valori del Volontariato18 ai punti cinque e sette, il volontario non si ferma all’opera di denuncia ma avanza proposte e progetti coinvolgendo quanto più possibile la popolazione nella costruzione di una società più vivibile. Egli è inoltre scuola di solidarietà in quanto concorre alla formazione dell’uomo solidale e di cittadini responsabili. Propone di farsi carico, ciascuno per le proprie competenze, tanto dei problemi locali quanto di quelli globali e, attraverso la partecipazione, porta un contributo al cambiamento sociale. In tal modo il volontariato produce legami, beni relazionali, rapporti fiduciari e cooperazione tra soggetti e organizzazioni concorrendo ad accrescere e valorizzare il capitale sociale 16 Art. 2 della Costituzione italiana: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.” 17 Godbout J., Lo spirito del dono, Bollati Boringhieri 2002 18 Sezione Carta dei Valori, www.fivol.it . La Carta dei Valori è stata proposta inizialmente da Fivol e dal Gruppo Abele. È stata successivamente integrata, discussa e condivisa tramite l’apporto di diverse organizzazioni di volontariato, ed è stata presentata a Roma il 4 dicembre 2001 in occasione della conclusione dell’Anno internazionale del Volontario. 28 del contesto in cui opera. Si riscopre poi l’amicizia, che di per sé è una componente naturale del volontariato, perché all’interno delle associazioni nascono e crescono rapporti straordinari. Per Carlo Borzaga, uno dei massimi esperti del settore, il volontariato è come uno Stato Nascente; è da questo che nasce l’idea di un impegno imprenditoriale a finalità sociale. Storicamente rappresenta la presa d’atto, da parte della società civile, che esistevano una serie di bisogni e di problemi a cui nessuno dava risposte. Sulla base di una fortissima carica ideale se ne fece carico, in forma del tutto volontaria. Così facendo si è avviato, fino ad arrivare ad una struttura organizzata. Per attuare il principio di sussidiarietà pubblico – privato sancito dall’art. 118 della Costituzione, bisogna organizzarsi, sia come singoli, ma soprattutto in forma associata, allo scopo di perseguire finalità di interesse generale, attraverso la libera e volontaria messa a disposizione del proprio tempo. Naturalmente c’è chi sostiene e chi è contrario a questa visione. Un semplice esempio: Da un lato Borzaga, uno dei massimi esperti del campo,19 ritiene che l’evoluzione naturale del volontariato tradizionale sia proprio l’impresa sociale; dal lato opposto invece risulta essere la posizione del ministro della solidarietà sociale. Infatti, Ferrero ha ribadito alla Conferenza di Napoli nell’aprile scorso, che il volontariato e la collaborazione retribuita sono due cose totalmente distinte. Meritevole di citazione per l’originalità, l’interpretazione di Aldo Bonomi, che vede il volontario come una figura tra il militante e il militare “come una di quelle figure forti del Novecento”, perché ciò che lo contraddistingue è la voglia di cambiare attivamente il mondo e di non subirlo. 20 C’è speranza ed impegno nel far sì che queste persone dotate di mente e anche di cuore crescano per continuare ad allargare il numero di giovani che possano concorrere in questo modo a migliorare se stessi e la società in cui vivono. Il volontariato oggi vive una crisi che è frutto del suo successo: esso infatti è percepito come un protagonista indispensabile del welfare, senza il quale certi interventi sociali non esisterebbero. Ed in certa misura il volontario diventa dipendente dal settore pubblico perché ormai le organizzazioni di volontariato che hanno sottoscritto accordi di collaborazione con i Comuni sono molte. Se nel 1996 19 20 Vita, non profit magazine, anno 14 num. 13 Bonomi A., La comunità maledetta – Viaggio nella coscienza di un luogo, Edizioni di Comunità, 2002 29 l’entrata pubblica di finanziamento toccava il 25% delle ODV, oggi, nel 2007, tale quota ha superato il 50%.21 Il volontariato si è istituzionalizzato e l’impressione è che abbia perso l’innovazione. Pare che l’istituzionalizzazione abbia condotto a puntare sull’essere mediano. Tralasciando la capacità di provocare la comunità, di interpellarla, stimolarla. Per alcuni esperti del settore pare abbiano contribuito il riconoscimento giuridico e la ricerca di finanziamenti, che non hanno svolto la funzione positiva che avrebbero potuto avere. In altre parole, il rischio sempre incombente è che i finanziamenti, anche se motivati, ricadano a pioggia e finiscano con il sottrarre motivazioni e stimoli. Così ci si ritrova ad avere un volontariato oggettivamente più debole, privo di un progetto politico, non più capace di esprimere significati socialmente simbolici. Capace sì di coagularsi, ma per fare qualcosa e non per essere.22 Infine il volontario dovrebbe essere oggetto di cura da parte delle istituzioni, visto il ruolo strategico che possiede. Al contrario, le norme in vigore non prevedono forme di promozione del fenomeno, assumendo di fatto, che l’offerta di lavoro volontario sia una variabile indipendente, in grado di mantenersi sempre a un livello costante nel tempo. Gli esperti segnalano la necessità di interventi specifici che incentivino la libera partecipazione dei cittadini alle associazioni di volontariato. La legge che disciplina il mondo del volontariato è la legge quadro 266/1991. Tale titolo però è quantomeno impreciso, in quanto essa non disciplina tutto il volontariato, come il titolo lascerebbe intendere, ma soltanto le organizzazioni di volontariato, come viene poi affermato al secondo comma dell’articolo 1. Nel luglio 2007 è stato presentato al Senato il disegno di legge per riformare la legge 266 sul volontariato, da Tiziano Treu e la senatrice Marina Magistrelli. È una legge promozionale, che introduce il registro nazionale del volontariato, alcune agevolazioni fiscali, soluzioni di flessibilità per i volontari che operano all'interno delle organizzazioni, con l’obiettivo di rafforzarne il ruolo, salvaguardandone i caratteri distintivi. I volontari che operano individualmente o in qualsiasi tipo di organizzazione e istituzione, con diversa frequenza, sono stimati attualmente in Italia in oltre 4 milioni e 21 22 Vita, non profit magazine, anno 14, num. 14 Dotti J., presid. Consorzio Cgm 30 rappresentano l’8% della popolazione (ISTAT 2001) Molti di meno, i volontari che operano fornendo il loro apporto con continuità nelle organizzazioni, che sono circa 1 milione. A livello nazionale la composizione dei volontari per sesso appare equamente distribuita, e per quel che riguarda la distribuzione per età dei volontari italiani, è caratterizzata da una notevole concentrazione in corrispondenza della fascia di età compresa tra i 30 e i 54 anni. Il 54% del totale dei volontari lavora e la maggior parte risulta essere diplomato23. Difatti la scolarizzazione, che è stata una delle cause della crescita del volontariato, ha portato ad un aumento del senso di responsabilità degli individui verso la società e ad una crescente necessità di partecipazione sociopolitica. Da segnalare come la presenza di immigrati nelle organizzazioni di volontariato, anche per le seconde generazioni, è statisticamente irrilevante; gli immigrati per il volontariato italiano restano nella platea dei beneficiari. 2.2 Il volontariato internazionale Anche il volontariato internazionale merita alcune riflessioni. Le oltre 120 organizzazioni non governative in Italia sono, negli ultimi anni, assediate dai curriculum di aspiranti partenti per un periodo di volontariato. Anche se l’alone di eroismo e misticismo che circondava i volontari che partivano un tempo è sfumato, le difficoltà a partire non sono diminuite. Infatti il volontario internazionale è innanzitutto una persona preparata professionalmente, con soprattutto delle elevate capacità organizzative e gestionali, e ovviamente con un’ottima conoscenza della lingua parlata nel Paese di destinazione. Per alcune ONG, le motivazioni personali alla partenza contano ancora moltissimo (per fortuna), come è fondamentale la capacità della persona di testimoniare solidarietà con la popolazione locale, vivere accanto alla gente, e fare da "ponte" tra due culture diverse. Il volontariato internazionale condivide con il resto del volontariato l’impegno di solidarietà, e si differenzia per essere un investimento 23 ISTAT, Le organizzazioni di volontariato in Italia, Roma, 1997. Essa è limitata alle ODV iscritte ai registri regionali. La rilevazione FIVOL 1995 invece, che prende in considerazione anche le organizzazioni non iscritte ai registri, registra una maggioranza di volontariato femminile, presente soprattutto in gruppi che non sono registrati e che sono impegnati in attività socio-assistenziali. 31 integrale, spendibile in un definito periodo della vita, di lunghezza variabile e non affiancato, come nel caso nazionale, alla normale professione. Con il termine “volontariato internazionale” si fa riferimento sia ad esperienze estive brevi in paesi del Sud del Mondo, sia al volontariato internazionale regolato dall’unica e sola legge sulla cooperazione allo sviluppo, 49/1987. Per rientrare nei termini di tale legge, il volontariato internazionale richiede un minimo di due anni impegnati in una missione internazionale. Ovviamente tale legge non vincola il desiderio di avere un’esperienza di minor tempo; in questo caso ci si accorda con l’ente ospitante. Importantissima è la collaborazione dei volontari internazionali con l’ente con cui sono partiti, che spesso, finito il periodo all’estero, li coinvolge in attività di educazione allo sviluppo e all’interculturalità nelle scuole o in convegni, allo scopo di sensibilizzare le persone del territorio locale. Interessante è l’interpretazione di Bonomi: «Figura emblematica della nostra epoca, il volontario, che non scambia e non produce merci, ma realizza valore di legame, grazie alla sua capacità di "mettersi in mezzo" fra locale e globale, fra istituzionale e Terzo settore, rappresenta il tassello fondamentale da cui occorre ripartire per costruire tracce di comunità a contatto con il territorio»24. Il “volontario generale” (sia internazionale che locale) nel suo agire silenzioso e nascosto, ricostruisce l’identità di una comunità, perchè consapevole che le sorti di ogni luogo dipendono sempre più dalle relazioni (Bonomi le definisce reti lunghe). In altri termini, parte dai bisogni del territorio, degli ultimi, utilizza le risorse umanitarie che ci sono e produce forme di inclusione dando voce a chi non ce l’ha. 2.3 La capacità di costruire reti Nel Terzo settore, si osserva il fenomeno importante di tessere relazioni, ricercando sinergie e collegamenti tra i vari attori della società per esercitare un ruolo politico nel contesto in cui le organizzazioni operano. Ciò si traduce nella consapevolezza di vivere e lavorare all’interno di un più complesso sistema e nella capacità di liberarsi da una logica di autoreferenzialità e unilateralità. Oggi più che 24 Si veda nota n. 17. 32 mai, il Terzo settore si è accorto della necessità di lavorare per un modello mutualistico, dove ci sarà spazio per nuove alleanze e nuove progettualità. È nel territorio che le organizzazioni del Terzo settore incontrano alleati; gli interlocutori privilegiati, per ovvi motivi di condivisione delle stesse logiche, sono le organizzazioni simili. Ma anche gli enti pubblici, e le imprese profit. Cooperare e instaurare relazioni positive con altri soggetti del terzo settore, vuol dire far crescere i progetti e i desideri, condividere un progetto politico di solidarietà, favorire le sinergie per aprire le menti e la capacità progettuale, rafforzarsi e sostenersi a vicenda, promuovere il volontariato, e non ultimo fornire valore aggiunto alla società nel suo complesso. Quanto più le organizzazioni di terzo settore sono in grado di individuare le potenziali sinergie virtuose tra i diversi soggetti sociali, tanto più esse diventano abili nel valorizzare il capitale sociale, prodotto nei vari ambiti. Il capitale sociale, concetto multidimensionale e intangibile, consta di relazioni fiduciarie reciproche. Attraverso la fiducia, si saldano in nodi delle reti relazionali, e quindi dalla quantità di fiducia dipende l’estensione dei reticoli sociali. . Si registra una crescente diffusione dei network di enti di Terzo settore: sono sempre più numerose le organizzazioni di volontariato che fanno riferimento a reti nazionali. Esistono livelli superiori interassociativi, ed un esempio è dato dalla Conferenza dei Presidenti delle organizzazioni di volontariato ed il Forum Permanente del Terzo settore25 che coordina una parte considerevole del settore. Da non confondere quest’ultimo, con i Centri di Servizio di Volontariato (CSV) che invece sono unità stanziate in quasi ogni provincia italiana, con il compito di coordinare e promuovere le organizzazioni di volontariato del territorio. La costruzione di reti e partnership comportano un rilevante interscambio con le logiche che contraddistinguono l’impresa profit che agisce sul mercato. Queste collaborazioni, dal punto di vista economico aziendale permettono di individuare i seguenti trend: - da parte delle imprese si sviluppano atteggiamenti di corporate social responsibility che le portano ad agire con le organizzazioni di 25 Il Forum Permanente del Terzo Settore nasce nel 1997 come primo organismo di rappresentanza delle principali organizzazioni nazionali di tale settore. Esso rappresenta oltre 100 organizzazioni. 33 Terzo settore secondo il modello di partnership di medio - lungo periodo e quindi dello scambio reciproco. - Si registra una forte crescita del fenomeno delle fondazioni di impresa, e che adottano inoltre una logica di finanziamento del progetto in se, e non più dell’ente in toto. Si pensi al corporate philantropy che si sta diffondendo anche nel nostro paese. Alla base di tale modello c’è il “principio di restituzione”: l’impresa “restituisce” alla società una parte del profitto conseguito, perché quest’ultimo è stato ottenuto anche grazie a ciò che la società ha potuto offrire all’impresa. - Nei consigli di amministrazione degli enti non profit aumenta la presenza di membri con esperienza nel mondo dell’impresa. - Aumenta infine la quota di organizzazioni che producono bilanci di esercizio strutturati, nonché bilanci di missione. - la responsabilità dell’impresa for profit si allarga abbandonando la tutela esclusiva dell’azionista per occuparsi di ambiente, di diritti dei lavoratori etc. per divenire “responsabilità sociale” in senso pieno. Questo è un fenomeno importante, grazie al quale si instaurano relazioni e legami di reciprocità, in cui ciascuno (l’ente non profit e l’impresa profit) apprende culture e metodi di organizzazione diversi dalla propria, che possono dar vita ad una dinamica di ibridazione che può condurre ad un arricchimento e all’assunzione di stili innovativi per entrambi. 26 2.4 Terzo settore: un nuovo bacino occupazionale? Le potenzialità di occupazione nel Terzo settore sono in costante crescita, sia a livello quantitativo, sia a livello qualitativo; sempre più è sentita la necessità di professionalizzazione, con la conseguente richiesta di figure specializzate. In questo nuovo e innovativo bacino di impiego infatti, la richiesta di professionalità fino a qualche anno fa non esisteva. All’interno del Terzo Settore è decisamente importante 26 Cartocci e Macone, Libro bianco sul terzo settore, il Mulino 2006. 34 la presenza del volontariato, ma le iniziative e le attività sono sempre più complesse e strutturate e coprono spazi sempre più ampi, diventando sempre più rilevante la presenza di operatori e di consulenti specializzati: necessitano quindi figure con competenze definite e strutturate, non basate unicamente sulla buona volontà. Dagli anni ‘90 l'attenzione alle potenzialità occupazionali è aumentata, destando l'interesse tra gli addetti ai lavori che si sono accorti della molteplicità di soggetti diversificati che si collocavano all’interno del settore. La diversificazione sta nelle particolari capacità di fare welfare, ossia di progettare e produrre servizi di pubblica utilità. In linea generale, le organizzazioni di volontariato puro possono definirsi di welfare “semplice”, ovvero non sono in grado di fornire quelle prestazioni continuative e professionalizzate che implicano strutture, capitali, professionalità aggiornate e servizi resi in modo continuativo (sono comunque centrali nel sistema di protezione sociale). Quelle di welfare “strutturato”,che dispongono di dipendenti professionisti retribuiti, sono le imprese sociali, ossia, le associazioni più organizzate, le cooperative sociali e gli enti di cooperazione internazionale. Le fondazioni e le cooperative sociali si avvalgono più frequentemente di lavoratori dipendenti, mentre associazioni, riconosciute e non, e comitati, si avvalgono di dipendenti per quote inferiori ed è molto più ampio il ricorso al volontariato. I volontari sono molto presenti in attività filantropiche e nella promozione stessa del volontariato, nell'ambiente, nella cultura, sport e ricreazione, nella tutela dei diritti, nell'attività politica e nella solidarietà internazionale. Il fattore determinante per coloro che si inseriscono come lavoratori nel settore è una forte motivazione personale, legata spesso a precedenti esperienze di associazionismo, determinanti per la spinta altruistica e valoriale che possiede la persona interessata. Ciò che viene preso in grande considerazione sono le motivazioni, le caratteristiche personali e l'esperienza nel settore, che spesso sono svincolati dai titoli di studio e non da meno influisce anche la segnalazione da parte di qualche altra organizzazione già operante nel settore. Gli impiegati nel Terzo settore sono stati definiti “ lavoratori qualitativamente diversi”: si tratta infatti di professioni che richiedono relazioni sociali e confronti reciproci diversi da quelle del mondo profit. Altre caratteristiche del lavoro nel Terzo settore si possono elencare in costante formazione continua, alta flessibilità, 35 approccio multidisciplinare, capacità di lavorare in team e capacità di alternanza di ruoli. La maggioranza degli occupati nel Terzo settore lo ha scelto consapevolmente, pur essendo in possesso di una preparazione professionale sufficiente per orientare la ricerca del lavoro verso altre occupazioni, oppure lasciando una precedente occupazione che garantiva, in molti casi, redditi più alti27. Dal punto di vista della soddisfazione di lavoratori, alcune ricerche28 hanno rilevato valori elevati, e generalmente superiori rispetto a quelli degli occupati in imprese private. Inoltre ad un elevato livello di soddisfazione corrisponde anche una maggior fedeltà all’organizzazione. Degno di citazione è un fenomeno osservato nelle organizzazioni che si avvalgono di personale retribuito, ed è legato all’intensità del personale. Si è notato che la qualità percepita dagli utenti o destinatari dei servizi risente del modo in cui il personale opera e si rapporta agli altri. Ne consegue che la capacità delle organizzazioni non profit di raggiungere la propria mission dipende per molti versi dal rendimento e dall’impegno di singole persone che dispongono di un alto grado di capacità di coinvolgimento. Da qui consegue il fatto dell’importanza nel momento del reclutamento e gestione delle risorse umane. 2.4.1 Professione fund raiser: nuova possibilità occupazionale nel non profit Merita alcune righe una nuova figura professionale emergente nelle organizzazioni non profit, ovvero il fund raiser. Egli non chiede denaro ai ricchi per darlo ai poveri, alla Robin Hood, ma piuttosto è un motivatore e dispensatore di significato. Negli Stati Uniti lo chiamano un venditore di opportunità, dove le donazioni dei privati superano l’1,7% del PIL e i professionisti della raccolta fondi hanno un albo con 20mila iscritti. In Gran Bretagna 1800, mentre in Italia siamo fermi a 150, anche se stando ai numeri degli iscritti ai corsi pare essere una figura in ascesa. 27 M. Comunian, Il lavoro nel terzo settore, uno sguardo alla realtà italiana veneta e padovana, 2001. Borzaga C., Capitale umano e qualità del lavoro nei servizi sociali, Fondazione Italiana per il Volontariato, Roma, 1994 . 28 36 Il lavoro del fund raiser è innanzitutto coinvolgere il potenziale donatore, farlo sentire utile per la società. Per questo le qualità umane necessarie per svolgere al meglio tale mestiere sono le capacità di ascolto, la curiosità, e la voglia di costruire ponti fra profit e non profit. Significa promuovere una partecipazione consapevole della società civile ai bisogni della comunità, rifiutando un facile approccio emotivo o una concezione “residualista” della responsabilità che il privato può avere rispetto al benessere della collettività. Ciò che necessita di apprendere questa nuova figura sono a tutti gli effetti delle chiavi di lettura della società per entrare in contatto con “mercati” emergenti come ad esempio quello delle imprese, orientate a una vera e propria logica di investimento sociale, e quello delle fondazioni, caratterizzato dall’avanzare di una filantropia strategica che non si muove più solo a livello locale e nazionale, ma in un orizzonte globalizzato. Il dato significativo da considerare, dal punto di vista delle ricadute occupazionali, è che gli ambiti del fund raising interessano settori sempre più ampi del nostro vivere sociale. Per capirlo basta seguire gli scenari attuali del welfare, quali la sanità, l’assistenza, la cultura, l’università, per scoprire come il fund raising sia una parola chiave invocata dai soggetti pubblici, come ospedali, musei, biblioteche e dagli stessi enti locali. Oltre alla “prevedibile” necessità di aumentare le entrate delle casse, molte organizzazioni chiedono aiuto per riallacciare nuove forme di coinvolgimento, di adesione e appartenenza attorno alle loro dimensioni. Desidero in conclusione a questo paragrafo riportare un pensiero di una studentessa frequentante il Master della Scuola di Fund Raising, che colpisce particolarmente e che, riassume al meglio cosa vuol dire fund raising: "Io voglio fare la fundraiser per far coincidere il mio cervello con il mio cuore, perchè voglio che i miei pensieri nutrano le mie passioni e perchè le mie capacità possano servire i miei valori morali". 2.5 Gli obblighi verso i donatori La continua sollecitazione alla donazione esercitata da parte delle ONLUS verso i privati cittadini ha fatto emergere una grande sensibilità dei donatori italiani. 37 In Italia si sono moltiplicati in questi ultimi dieci anni tecniche e strumenti di marketing, comunicazione e fund raising29 rivolti verso nuovi mercati della raccolta fondi che richiedono modalità di coinvolgimento sempre più personalizzate. Alla figura del fund raiser quindi, non spetta un’attività meramente strumentale al reperimento di risorse finanziarie. Egli è contemporaneamente dotato di una specifica professionalità e padronanza di strumenti e di una sensibilità verso valori etici condivisi. Il fund raising moderno coinvolge nuovi attori, che sono i cittadini, le aziende, le fondazioni familiari e bancarie e le istituzioni pubbliche. Questi nuovi soggetti si sentono partecipi e corresponsabili nel sostenere cause sociali nell’ottica del cambiamento, per uno sviluppo sociale sostenibile, non solo della comunità locale, ma anche della più grande comunità globale. Totale donazioni nel 2003: 3,7 mld euro da reddito 2,6 mld euro da patrimonio (testamenti) 1,1 mld euro Previsioni Donazioni nel 2020 8 mld euro Donazioni 2050 14,4 mld euro (Dati: Istituto di Ricerca Sociale, 2003) Totale entrate del Terzo Settore 37,7 mld euro Fonti di finanziamento in Italia (%) Private 64,0 Pubbliche 36,0 (fonte: ISTAT, 2001) 29 Il fundraising, dal verbo inglese "to raise" ha il senso di: far crescere, coltivare, ossia di sviluppare i fondi necessari a sostenere una azione senza finalità di lucro. Non solo fondi finanziari, ma si riferisce anche ad aumentare le relazioni. Henry Rosso, fondatore della prima scuola di fuindraising al mondo negli Stati Uniti, sosteneva che il fundraising è “l'arte di insegnare alle persone la gioia di donare”. 38 I donatori in Italia sono 25 milioni e l’ammontare medio annuo di una donazione è tra i 50 e i 100 € Nonostante il notevole numero totale delle entrate del mondo del Terzo settore, bisogna tener presente che in Italia è una realtà sfaccettata e poliedrica, caratterizzata dalla presenza di “molti piccoli-bassi bilanci”. Le organizzazioni di volontariato sono quelle a registrare bilanci più bassi con un’entrata minore di 15.000 euro l’anno. La maggioranza dei finanziamenti continuativi proviene dal cittadino comune, che è anche colui che deve pretendere alcuni diritti rispetto alle organizzazioni verso cui dona. Un primo passo nell’enunciazione dei principi generali della raccolta fondi e dei diritti del donatore è stato fatto alla fine degli anni ’90 con la stesura della Carta della Donazione: un vero e proprio codice di autoregolamentazione per le organizzazioni del Terzo settore che effettuano raccolte fondi, con l’obiettivo di garantire ai cittadini donatori la massima trasparenza sullo scopo della raccolta e sull’effettiva destinazione della donazione. Un diritto fondamentale del donatore è il “diritto di informazione” sulle modalità di utilizzo e sui risultati ottenuti grazie alle donazioni ricevute da quest’ ultimo. Con il passare del tempo, nel mondo delle organizzazioni non profit, si sta profondamente radicando la cultura dell’importanza di una rendicontazione trasparente e puntuale sull’utilizzo dei fondi raccolti e sui risultati grazie ad essi ottenuti. Uno strumento fondamentale per le associazioni a questo proposito è il Bilancio, attraverso il quale viene rendicontata la gestione dei fondi raccolti. Altro importante aspetto che non si può dimenticare al fine di costruire e consolidare un rapporto di fiducia con il donatore è quello del riconoscimento della donazione. Infatti uno dei principi base è quello di ringraziare chi sceglie di sostenere l’organizzazione, con le forme e le modalità più diverse. Il donatore non è un numero matricola come spesso si ritrova ad essere nei servizi pubblici statali, in questo contesto si instaurano delle relazioni personali e da perfetto sconosciuto diventa un sostenitore fedele. Comunicare con il donatore quindi, è il miglior strumento per 39 mantenere un rapporto duraturo. La gratitudine è uno strumento sempre potente e coinvolgente che crea un legame profondo tra l’organizzazione e il donatore. Comunicare, coinvolgere e ringraziare, ecco in conclusione i 3 obblighi principali verso i donatori. 2.6 Parola d’ordine: rinnovamento Crescono il numero di associazioni ma non quello dei volontari. Questa tendenza si traduce in difficoltà organizzative e operative, ma il problema del ricambio generazionale va affrontato in maniera incisiva. La presenza dei giovani è fondamentale e sta alle associazioni saperli accogliere e inserire in modo elastico. L’Osservatorio nazionale per il volontariato30 ha redatto un dossier di studio sui volontari giovani in occasione della conferenza svoltasi a Napoli quest’anno sul volontariato. Viene affermato che un ragazzo su sette fra i 15 e i 29 anni è impegnato in attività solidali. Ma è stato messo in rilevo come i settori che attraggono di più fra i giovani oggi sono il volontariato in protezione civile e quello di advocacy impegnato nella promozione dei diritti in ambito locale. Il nodo cruciale però è la partecipazione o meno dei giovani nei processi decisionali e nell’elaborazione dei progetti all’interno delle organizzazioni Da segnalare l’età dei legali rappresentanti delle organizzazioni di volontariato. I dati presentati dall’ISTAT sono inequivocabili: il 61,5% dei presidenti ha 50 anni o più e la maggior parte di questi (33,7%) ha oltre 60 anni. Situazioni simile anche nelle leadership delle cooperative sociali: il 48% ha oltre 60 anni, il 70,3% più di 50 anni, solo il 6,7 ha meno di 39 anni. Ciò che se ne può trarre è che non solo nelle organizzazioni si assiste in generale a un ricambio generazionale vischioso, ma anche l’alimentazione del sistema, probabilmente, risente del fatto che la platea dei volontari non cresce nella misura richiesta dal fiorire di organizzazioni nuove, soprattutto tra i più giovani. 30 L’Osservatorio nazionale per il Volontariato (art. 12 Legge n. 266 del 1991) è presieduto dal Ministro della Solidarietà Sociale. È composto da dieci rappresentanti delle organizzazioni e delle federazioni di volontariato operanti in almeno sei regioni, da due esperti e da tre rappresentanti delle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. 40 Le organizzazioni di volontariato per esempio, assorbono meno di un tempo il dinamismo delle nuove generazioni e ciò avviene per una serie di motivi derivanti da un lato dalle condizioni di vita dei giovani (lungo tirocinio alla vita professionale, precarizzazione del lavoro) e dall’altro all’incapacità delle organizzazioni di promuovere la partecipazione giovanile. Le organizzazioni dovrebbero attivare delle politiche di reclutamento volte alla promozione del volontariato e alla valorizzazione dei giovani all’interno delle associazioni.31 I ragazzi giovani pongono energie dove possono esprimere e vivere valori, avere relazioni e acquisire competenze. Oltre ai volontari, occorre puntare alla formazione di una classe dirigente giovane, capace di confrontarsi con i pionieri ormai anziani delle organizzazioni. E questo dipende molto dalla capacità di questi ultimi di porre fiducia nelle capacità dei giovani; dipende dal mettersi per entrambi in condizioni aperte e flessibili Infine le organizzazioni per incentivare la presenza dei giovani all’interno della loro struttura dovrebbero dare maggiore importanza al Servizio Civile volontario. I dati dicono che in sei anni sono oltre 150mila i giovani che hanno usufruito di questa possibilità e nel 2006 le candidature sono state elevatissime. Questa è un’opportunità per le organizzazioni di avere del personale giovane e motivato, e per i ragazzi che lo svolgono significa una vera e propria esperienza sia di vita che di lavoro. Infatti il Servizio Civile si delinea come un’esperienza educativa e formativa importante, che dà la possibilità di attivare processi di cittadinanza attiva, e spesso rappresenta successivamente al servizio, un’opportunità di inserimento lavorativo, o “nella peggiore delle ipotesi” rimane comunque una esperienza spendibile nel corso della vita lavorativa. 2.7 L’importanza della comunicazione sociale Cresce, anche se lentamente, dentro il mondo del Terzo settore, la consapevolezza di dover investire con competenza e incisività nella comunicazione. Da tempo le associazioni di volontariato laiche o cattoliche hanno considerato la comunicazione un’attività residuale destinata per lo più a fungere da bollettino per i 31 Dal documento di sintesi del Forum del Terzo Settore redatto in previsione della Conferenza di Napoli sul volontariato 2007. 41 benefattori. Per le organizzazioni che sostenevano progetti nel Sud del Mondo la convinzione di fondo era che, tutto sommato, le «azioni compiute parlassero da sè» e sprecare energie e risorse nella comunicazione in fondo sottraeva energie preziose ai progetti sostenuti. L’informazione che si faceva era di nicchia, che spesso non superava la cerchia ristrettissima dei “soliti noti”. Ma poi nacque l’esigenza di non solo far sapere cosa si stava facendo in terre lontane, ma anche di far emergere in Italia una nuova consapevolezza sulle cause delle condizioni di povertà dei Paesi del Sud del Mondo. Oltre quindi a comunicare i risultati dei progetti, si inizia a sensibilizzare su temi come lo sviluppo, la pace, la solidarietà. Fare comunicazione sociale significa porsi come obiettivo principale di sensibilizzare il pubblico rispetto ad un determinato problema o situazione al fine di trovare delle modalità per agire su di esso e migliorarlo. L’attivazione di processi comunicativi, per una organizzazione del Terzo settore, è finalizzata all’instaurazione di legami sociali, di partnership e di fiducia. E nel Terzo settore la comunicazione è fondamentale, intrinseca alle attività che le organizzazioni svolgono. Utile è riportare la radice originale della parola comunicare, ossia: mettere in comune, condividere, tenere insieme. L’accento cade quindi non soltanto sul prodotto (il messaggio), bensì sul processo comunicativo,sulla relazione, cui il Terzo settore risulta essere principe. Oltre all’obiettivo di sensibilizzare le persone su un particolare tema, la comunicazione sociale è volta ad attività di fund raising, cioè al reperimento di risorse finanziarie, e people raising, cioè al reperimento di nuovi volontari e sostenitori. Una buona comunicazione diventa dunque strategica per progettare insieme il futuro e allargare la base delle risorse, sia umane che economiche. È sufficiente dare un rapido sguardo ai quotidiani nazionali o ai palinsesti delle principali emittenti tv per constatare che il soggetto Terzo settore è scarsamente rappresentato. In genere nella grande arena della comunicazione pubblica sono sempre presenti alcuni temi sociali legati specialmente alla vulnerabilità e all’emarginazione sociale portati alla ribalta a causa di eventi di cronaca. Ma risultano essere notizie “mordi e fuggi”. Per avere un reale approfondimento dei temi, le associazioni dovrebbero auto proporsi alla stampa come fonti preferenziali per poter 42 approfondire certi temi, perché oltre a una competenza in materia, possono proporre testimonianze e punti di vista nuovi e significativi32. Per le organizzazioni del Terzo settore esiste una comunicazione esterna all’associazione ed una comunicazione interna. Di seguito una rapida descrizione. La comunicazione verso l’esterno diventa fondamentale per il mondo del Terzo settore proprio perché esso è fondato sull’aggregazione, dove quest’ultima è intesa come consenso intorno ad un progetto sociale e/o civile. Grazie alla tecnologia le associazioni possono avvalersi di un importante e strategico strumento di comunicazione verso l’esterno, ovvero il sito web. L’importante è che esso non sia la versione elettronica della brochure promozionale. Non deve essere una vetrina dell’associazione per poter dire “anche noi siamo in internet” ma deve esprimere la vitalità dell’associazione; ospitando così testimonianze dei volontari, approfondimenti e forum, al fine di costituire lo spazio adatto per costruire legami sociali. Storico strumento di comunicazione esterna è la rivista cartacea. Normalmente il giornalino dell’associazione nasce dopo qualche anno di attività dell’ente. In una prima veste editoriale di solito si tratta di un bollettino interno, con l’obiettivo di trasmettere ai propri soci la rendicontazione dell’utilizzo dei fondi. Con il tempo però risulta essere insufficiente perché si apre un mondo di rapporti da curare e cresce l’esigenza di avere un ruolo culturale e politico aperto. Di conseguenza il bollettino iniziale diventa un giornalino, con più pagine, con una doppia strategia comunicativa rivolgendosi sia all’interno dell’organizzazione, per rinforzare la scelta degli aderenti; sia all’esterno per ampliare la base del consenso. Se è troppo costoso pubblicare e distribuire un giornale cartaceo, esso può essere veicolato anche via web tramite la newsletter, strumento efficace che non comporta nessuna spesa. Anche la comunicazione interna all’associazione risulta essere preziosa e si traduce nel lavoro che quotidianamente si pratica, avendo relazioni interpersonali. Le relazioni si costruiscono nel tempo con pazienza e costanza. Si mantengono poi con una pratica quotidiana fatta di cura, sollecitazione e cortesia. Strumenti di 32 Volterrani A. (a cura di), Raccontare il volontariato, Quaderno CESVOT N. 29 - marzo/2006 43 comunicazione interna, che fanno incontrare e dialogare tra loro volontari, soci e dipendenti, favorendo l’attivazione di processi di socializzazione e instaurazione di fiducia, sono le frequenti riunioni (in gruppi ristretti), le assemblee( aperte a tutti)e gli eventi socializzanti interni (feste, gite, cene...). Come per la comunicazione esterna, anche dal punto di vista interno l’uso della newsletter occupa un posto speciale, perché strumento d’eccellenza per la diffusione delle informazioni sullo stato e sulle attività dell’associazione. 44 Terza parte: Sotto la lente l’Associazione Jardin de los Niňos Onlus 45 3.1 Onlus. Cosa vuol dire? Il problema definitorio del Terzo Settore è stato in parte risolto dall’introduzione del decreto legislativo 460/1997 che ha introdotto una nuova figura giuridica, vale a dire le ONLUS (organizzazioni non lucrative di utilità sociale),una categoria speciale di enti non commerciali, ritenuta meritevole di particolari vantaggi fiscali. La normativa libera il Terzo settore da quell’opacità di cui era caratterizzato e fornisce una prima elencazione di tutti quei settori dove è possibile la presenza delle ONLUS e, quali sono i soggetti che possono possedere tali caratteristiche: 1. i soggetti inclusi sono le associazioni, i comitati, le fondazioni, le società cooperative, gli enti privati con o senza personalità giuridica. Sono considerate automaticamente ONLUS di diritto: le ODV iscritte negli appositi registri, le ONG riconosciute idonee di cui alla legge 49/1987, le cooperative sociali di cui alla legge 381/1991, gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose e le APS riconosciute qualora svolgano attività di solidarietà sociale in uno dei settori di attività acquistano lo status di ONLUS automaticamente. 2. i settori di attività in cui le organizzazioni devono operare sono specificati in: assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria, la beneficenza, l’istruzione, la formazione, lo sport dilettantistico, la tutela e la valorizzazione dell’ambiente, la promozione della cultura e dell’arte, la tutela dei diritti civili ed enti di ricerca di particolare interesse sociale. 3. le condizioni per lo svolgimento dell’attività, che devono essere indicate espressamente negli statuti, riguardano l’esclusivo perseguimento di finalità di solidarietà sociale, il divieto di svolgere altre attività se non quelle direttamente connesse, il divieto di distribuzione degli utili o avanzi di gestione. Non ultimo, le ONLUS devono redigere il bilancio, o il rendiconto gestionale. L’obiettivo complessivo del decreto legislativo 460/1997 è stato quello di definire con maggiore esattezza i requisiti e i compiti del cosiddetto Terzo Settore, e di contribuire a favorirne lo sviluppo attraverso tutta una serie di agevolazioni fiscali, e di semplificazioni contabili. 46 3.2 L’ Associazione Jardin de los Niňos Onlus33 Jardin de los Niños Onlus è un’associazione indipendente e senza fini di lucro, che lavora a tutela dell’infanzia e delle popolazioni più povere del Sud del Mondo, realizzando progetti di cooperazione internazionale, soprattutto nell’area latinoamericana. Nata nel settembre 1986 a Dolo (VE) concentra i primi anni di attività nel reperimento di fondi a sostegno dei progetti di sviluppo nelle zone dove opera lo storico partner Jardin de los Niños Argentina. Ovvero una ONG fondata da un italoargentino, Emilio Marchi, desaparecido sopravvissuto al regime militare. Nel 1998, alla luce della nuova normativa, l’associazione acquisisce lo status di ONLUS, sotto la denominazione di Jardin de los Niños - ONLUS e ribadisce nello statuto la sua mission e la volontà di “promuovere progetti umanitari, educativi e sociali orientati prevalentemente all’infanzia e alle persone emarginate e oppresse” (art. 2 Statuto). Nata su valori di amicizia e solidarietà verso i più deboli, l’associazione nel 1999 ha allargato la sua azione anche ad altri Paesi (Brasile, Ecuador, Rwanda e Perù) sempre nel rispetto dei suoi principi ispiratori. A partire dal 2000, la crescente volontà di incidere maggiormente sul contesto italiano determina il progressivo aumento delle risorse investite per attività di sensibilizzazione, incentivazione del volontariato e creazione di reti sul territorio. A riconferma del valore e dell’efficacia del suo operato, Jardin de los Niños Onlus è stata finalista dell'edizione 2007 del Premio Takunda, organizzato dalla ONG Cesvi, con l'obiettivo di premiare le iniziative che sostengono l'autosviluppo attraverso sfide innovative e il protagonismo dei beneficiari. La visione: un futuro in cui la giustizia economica e sociale siano una realtà, nel Nord come nel Sud del mondo. La missione: Jardin de los Niños Onlus combatte a fianco delle comunità più povere del mondo per migliorare le condizioni di vita dei bambini e degli emarginati, puntando sullo sviluppo della persona umana e dando un’opportunità di cambiare a chi vive in condizioni di degrado e abbandono. 33 V. Allegato n. 1 per consultare i risultati raggiunti da 20 anni di operato di Jardin del los Niňos nel Sud del Mondo. 47 La strategia di cooperazione internazionale di Jardin de los Niňos si basa sul sostegno dall’Italia di progetti di partners locali in ambito umanitario, educativo e sociale, dando priorità agli interventi che mirano ad attivare processi di sviluppo capaci di stimolare la partecipazione della popolazione, unica garanzia di un reale sviluppo sostenibile, pur non precludendo l’appoggio ad interventi di primo soccorso in situazioni di emergenza. Jardin de los Niňos si distingue da molte altre associazioni del settore per un approccio non assistenzialista, persuasa che ogni azione di emergenza non seguita da un'attenta e profonda opera di sviluppo partecipativo contribuisca solo a creare dipendenza dagli aiuti umanitari, non consentendo alle persone di crescere nella propria dignità. La partecipazione verso cui si tende è quella, ovviamente, dell'individuo, ma anche della sua comunità d'appartenenza, puntando al rafforzamento e alla creazione, laddove siano del tutto assenti, di legami di solidarietà e di mutuo aiuto, fondamentali per il miglioramento della stessa vita individuale e unica garanzia di un reale sviluppo sostenibile. Oltre al sostegno dei progetti in loco, l’Associazione è attiva nel territorio locale italiano con progetti di sensibilizzazione che, come è esplicitato nel logo stesso34, mirano alla costruzione di una coscienza planetaria. Ciò vuol dire contribuire al superamento del grave divario economico tra il Nord e il Sud del mondo, impegnandosi sul territorio nazionale con azioni di sensibilizzazione e stimolo alla presa di coscienza su temi quali: povertà, giustizia sociale, violazione dei diritti umani. Questo impegno si traduce a livello pratico in: redazione della rivista quadrimestrale con testate di approfondimento sulla difesa dei diritti umani, cura del sito web che ospita riflessioni e dossier tematici, organizzazione di conferenze ed incontri pubblici, preparazione di incontri di sensibilizzazione e formazione al volontariato internazionale, progettazione di corsi di educazione alla pace in network con altre associazioni e attuazione di questi nelle scuole del territorio, organizzazione di viaggi di turismo responsabile in Argentina, che propongono la visita di associazioni argentine operanti nel campo della difesa dei diritti umani e la conoscenza diretta degli interventi sostenuti dall’associazione nelle baraccopoli della città di Posadas. 34 Il pay off del logo è rappresentato da cooperazione internazionale per una coscienza planetaria. 48 Si ritiene interessante elencare alcuni numeri significativi riguardo all’attività di sensibilizzazione: sono più di 3.000 gli studenti coinvolti in attività di sensibilizzazione, circa 60 le persone che hanno visitato i progetti finanziati in Argentina negli ultimi tre anni, 1.500 le copie di ciascun numero della rivista quadrimestrale “El Niňo” inviate gratuitamente a sostenitori e simpatizzanti. Come esplicitato dall’articolo 2 dello statuto, l’Associazione si basa sui principi di: - fratellanza, solidarietà, giustizia e responsabilità verso le popolazioni e le fasce sociali più deboli di tutto il mondo; - centralità dello sviluppo della persona umana, considerata sia come singolo che come parte di una comunità; - equità nella distribuzione delle risorse umane, economiche e culturali tra tutti gli abitanti della terra; - rispetto dei valori di ciascun popolo; - nonviolenza nella risoluzione dei conflitti. Gli obiettivi futuri, condivisi dai soci e dai membri del Consiglio direttivo risultano essere: - continuare a sostenere il processo già in corso verso la totale autonomia delle zone di operatività dello storico partner argentino; - riconfermare l’apertura al finanziamento di interventi di altri partners, purché siano referenti affidabili e propongano progetti a lungo termine e sostenibili - rafforzare le attività di sensibilizzazione sulla situazione dell’Argentina e, più in generale, dei Paesi del Sud del Mondo, nonché sulle tematiche riguardanti i Diritti Umani e lo squilibrio tra il Nord e il Sud - accrescere il radicamento e la visibilità dell'associazione sul territorio, ampliando la rete di partnership e collaborazioni con realtà che condividono le stesse finalità. 49 3.3 La struttura SOCI TESORIERE CONSIGLIO DIRETTIVO STAFF ESECUTIVO REVISORI DEI CONTI VOLONTARI Gli organi direttivi formali interni all’associazione Jardin de los Niňos e comuni a moltissime altre associazioni sono innanzitutto l’Assemblea dei Soci la quale si riunisce generalmente una volta all’anno ed è composta dai soci dell’associazione. Essa delibera sul bilancio consultivo, sugli indirizzi generali dell’associazione, sulle modifiche dello statuto e su tutto quello che le è demandato da statuto. Inoltre, nomina i membri del Consiglio Direttivo che dura in carica tre anni. Il Consiglio si riunisce tutte le volte che il Presidente o i suoi membri ritengano necessario e in ogni riunione viene redatto un verbale sottoscritto dal segretario e dal presidente. Le attività di Jardin de los Niños vengono svolte principalmente attraverso il lavoro volontario e non retribuito di un numeroso e fedele gruppo di soci e volontari, il cui supporto è fondamentale per la sensibilizzazione, la promozione sul territorio e la raccolta fondi. Dal punto di vista dei soggetti coinvolti, Jardin de los Niňos prevede 5 livelli di partecipazione: il primo riguarda una ristretta schiera di soggetti che assumono responsabilità di tipo direttivo implicanti generalmente una partecipazione assidua alla vita associativa. Tali soggetti sono i membri del Consiglio direttivo, i quali vengono eletti dall’Assemblea dei Soci e ricoprono la carica gratuitamente. 50 Il secondo livello riguarda il gruppo di volontari (più o meno 20 persone), che pur essendosi progressivamente ampliato e consolidato nel tempo, costituisce oggi il nucleo portante dell’organizzazione a cui viene riconosciuta una funzione gestionale decisiva; il terzo livello, invece, comprende la grande massa di volontari (circa 40) impegnati esclusivamente nella gestione operativa delle attività; il quarto include i soci-sostenitori (150 persone circa) che contribuiscono finanziariamente alle attività e intervengono nei momenti collettivi di maggior pregnanza simbolica. Il quinto livello infine è rappresentato dai circa 800 donatori privati che sostengono finanziariamente i progetti dell’Associazione (per un totale di 176.000 euro raccolti nel 2006). Presso la sede italiana ci sono un dipendente e due collaboratori retribuiti che si occupano distintamente delle aree di sensibilizzazione e progettazione, di fund raising, e di comunicazione. Da tre anni l’associazione può contare su un referente dei progetti stabilmente operante in Argentina. 3.4 Le risorse La principale risorsa nell’associazione Jardin de los Niňos è quella umana; accanto ad essa però, non meno importante si trova la risorsa finanziaria, grazie alla quale è possibile, oltre a soddisfare la missione dell’organizzazione, sostenere i costi di gestione della stessa. Con il termine risorse umane, oltre alla figura del volontario si comprende anche quella del dipendente retribuito e quella dell’eventuale tirocinante. Tra volontari e dipendenti c’è una stretta sinergia: i primi immettono la carica motivazionale e l’attenzione relazionale al fine di garantire lo svolgimento delle attività, mentre i secondi vi portano la competenza e la continuità necessarie a rendere queste attività permanenti ed efficaci. Il reclutamento del gruppo di volontari avviene tramite eventi promozionali (feste, fiere,…) durante i quali molti giovani si avvicinano all’associazione con il desiderio di praticare del semplice volontariato, molti altri invece si avvicinano perché sono già interessati per motivi di studio o lavoro al settore della cooperazione allo sviluppo, altri desiderano praticare un periodo di volontariato internazionale. 51 Jardin de los Niňos mantiene un ottimo equilibrio dal punto di vista generazionale: nonostante sia caratterizzata da una storia abbastanza lunga rispetto alle associazioni in Veneto35 (ricorre quest’anno il ventennale dalla sua costituzione), è composta da individui giovani. L’età media dei dipendenti è di 26 anni, quella del gruppo dei volontari (sia del nucleo portante che di quello più numeroso) è di poco meno di 30 anni; in entrambi i casi, tali età sono inferiori all’età media dei volontari italiani, che si calcola essere ricompresa nella fascia 30-54 anni. L’età media del donatore invece risulta essere piuttosto alta, dato riconducibile al fatto che in origine la maggior parte dei donatori erano legati ai fondatori dell’associazione, ormai anziani, da rapporti di conoscenza personale. Analogamente a quanto accade a livello nazionale, l’età media del Consiglio direttivo risulta invece essere ancora alta, intorno ai 50 anni. È da ricordare però la presenza di 2 giovani nella fascia d’età 2535 anni Una delle sfide che i nuovi giovani di J.d.N. dovranno affrontare sarà riuscire a fidelizzare nuovi sostenitori, mantenendo al contempo saldi i rapporti con i donatori “vecchi”. Le principali risorse finanziarie, quindi fonti di finanziamento di Jardin de los Niňos derivano da: contributi privati divisi in: - adozioni di solidarietà - donazioni per progetti specifici - contributi privati generici - offerte oggettistica - quote sociali settore pubblico tramite bandi indetti da enti pubblici (in particolare, dalla Regione Veneto) Il finanziamento privato costituisce la fonte di entrate caratteristica e prevalente (86,3% sul totale dei finanziamenti) dell’associazione. La forma delle adozioni di solidarietà si riferisce al sostegno, tramite 20euro mensili, della comunità 35 Dalla rilevazione FIVOL 1997, l’ anzianità media in Veneto delle associazioni del Terzo settore è di 13,8 anni. 52 destinataria di tutti gli interventi realizzati da Jardin de los Niňos in Argentina36. Con le adozioni l’associazione è nata e da esse continua a trarre linfa vitale. Osservando la composizione dei donatori privati, si può notare come l’associazione sia ben radicata nel territorio: il 55% dei donatori infatti vivono nella provincia di Padova, il 17,4% nella provincia di Venezia . Da segnalare il 9,9% dei donatori residenti o domiciliati nella provincia di Belluno. Oltre alla adozione di solidarietà si può sostenere l’associazione tramite il sostegno di un progetto specifico (consultabili tutti nel sito www.jardin.it alla sezione progetti). Spesso questa formula non è scelta dai singoli individui, bensì da altri attori quali fondazioni e imprese commerciali. Le entrate provenienti dalle “offerte oggettistica” sono ricavi derivanti dallo svolgimento di attività commerciali marginali in occasione di fiere e mercatini, le quali devono comunque rimanere un settore secondario dell’associazione e devono essere completamente reinvestiti nell’associazione stessa, altrimenti l’associazione verrebbe a perdere quelle caratteristiche di fondo che le hanno consentito di veder riconosciuto lo status di “non lucrativa”. Il finanziamento proveniente dalle quote associative (15euro annuali) dei membri dell’associazione, rappresenta una forma piuttosto tradizionale, che non richiede l’utilizzo di tecniche e meccanismi gestionali particolarmente sofisticati. Le altre entrate (13,7% del totale) derivano invece dall’ente pubblico: alcuni dei progetti realizzati, infatti, hanno ottenuto dei contributi a bando da parte della Regione Veneto ma tale canale di finanziamento, per sua stessa natura, non offre garanzie di costanza nel tempo. Ogni anno Jardin de los Niňos presenta alla Regione degli specifici progetti nell’ambito del Bando per la Cooperazione decentrata allo sviluppo (ex legge regionale n. 55 del 16 dicembre 1999). 36 J.d.N. ha ormai da anni intrapreso la via dell’adozione dell’intera comunità e non del singolo bambino per 3 semplici motivi: per una questione di etica, non ci sarebbe un criterio equo per scegliere i bambini da privilegiare con un’adozione personale; per una questione di efficacia, agendo su tutto il mondo che è intorno al bambino per un reale risultato di sviluppo; per una questione di onestà perché nei territori di confine della città di Posadas sarebbe impossibile garantire di seguire la vita di un singolo bambino che dall’oggi al domani potrebbe emigrare. 53 Per l’anno 2007 Jardin de los Niňos prevede di concorrere, come di consueto, al bando annuale e inoltre di sottoporre, per la prima volta, alla Regione un progetto da assumere in via diretta in partnership con altri enti pubblici proponenti. Di seguito una tabella 3.1 con i dati economici del 2006 di Jardin de los Niňos Onlus, la tab. 3.2 con le cifre dei contributi privati riferite all’anno 2006, e successivamente il grafico 3.3 che dimostra in termini relativi come sono stati utilizzati tali proventi. Tab. 3.1 Dati economici 2006 USCITE PROVENTI Uscite per progetti - Argentina - Perù - Rwanda Totale uscite per progetti Spese di gestione Spese per sensibilizzazione e promozione TOTALE ONERI € 115.028 € 2.014 € 5.000 € 122.042 € 25.793 € 19.830 € 167.665 Proventi per progetti - da privati - da enti pubblici Altri proventi Totale PROVENTI AVANZO DI GESTIONE Tab. 3.2 Tipologia proventi privati raccolti nel 2006 TIPOLOGIA PROVENTI PRIVATI Adozioni di solidarietà Contributi privati per progetti specifici Contributi privati generici Offerte oggettistica Totale contributi privati € 138.162 € 7.307 € 15.919 € 1.987 € 163.375 54 € 163.375 € 7.800 € 4.849 € 176.024 € 8.359 Grafico 3.3 Utilizzo delle risorse finanziarie nel 2006 UTILIZZO DELLE RISORSE 11,8% 15,4% 72,8% contributi ai progetti spese di gestione spese per sensibilizzazione e promozione Si desidera far notare che al grafico 3.3, nonostante la voce “Spese per sensibilizzazione e promozione sia separata da quella di “ Contributi ai progetti”, essa rientri ugualmente nei progetti previsti per attuare la missione dell’associazione. La voce “Contributi ai progetti” fa riferimento ai progetti di cooperazione internazionale in Argentina e nel Resto del Mondo, che ricomprendono comunque capitoli di spesa necessari per la realizzazione dei progetti (si pensi ad esempio alle risorse umane). 3.5 Cambiamenti in atto paralleli a quelli nazionali Jardin de los Niňos attualmente è in una fase di passaggio (oramai giunta quasi al termine), da una condizione di associazione gestita da un gruppo di amici, finanziata esclusivamente dalle donazioni private di amici e parenti del gruppo fondatore, ad un’associazione con più attività, finanziata da soggetti di natura giuridica diversa, gestita da dipendenti professionisti nel campo e caratterizzata da un elevato numero di volontari giovani. Nonostante questo notevole sviluppo, i principi fondanti non sono cambiati, e anzi, ogni qualvolta si discute di un nuovo progetto da intraprendere, si presta molta attenzione alla coerenza con i principi dettati dallo statuto. 55 Sono varie le cause di questo cambiamento: da un lato l’avvicinarsi di molti giovani all’associazione che portano con sé nuove idee e un rinnovato spirito d’azione, dall’altro un aumento dei donatori e quindi una accresciuta necessità di risposta da parte dell’associazione, il naturale momento del cambio generazionale e la volontà di ampliare progetti realizzati e benefici prodotti sulla popolazione. Dal 2000 moltissimi giovani hanno preso contatti con Jardin, alcuni sono partiti come volontari in Argentina, altri hanno supportato le attività sul territorio nazionale; tuttavia, anche chi ha fatto l’esperienza all’estero ha mantenuto dopo il rientro uno stretto rapporto con l’associazione, portando la propria testimonianza nell’ambito di incontri pubblici, soprattutto nelle scuole. Da notare che se da un lato l’associazione premia la buona volontà dei giovani che desiderano partire per un periodo di volontariato internazionale, dall’altro lato fissa però dei necessari pre-requisiti che i partenti devono soddisfare, pre-requisiti che vengono concordati con gli operatori argentini. L’aumento dei sostenitori dell’associazione ha chiaramente comportato un impegno maggiore nella gestione dei contatti, nel comunicare i ringraziamenti e non da meno nel rendicontare l’utilizzo delle donazioni attraverso il giornalino quadrimestrale. Il processo di professionalizzazione ha investito anche l’associazione, infatti quest’anno il personale retribuito dall’associazione è arrivato a quota tre persone. Da segnalare come gli ultimi 2 collaboratori assunti si occupano rispettivamente dell’area Comunicazione e Fund raising, ovvero attività che fino a qualche anno fa nell’associazione risultavano essere marginali, se non addirittura inesistenti. L’assunzione di nuovo personale ha implicato un aumento delle spese di gestione interne all’associazione. Inizialmente, tale prospettiva è stata fonte di attente riflessioni, perplessità da parte di alcuni membri del Consiglio direttivo e prolungate discussioni; tuttavia, alla fine è prevalsa l’opinione secondo cui la possibilità di disporre di personale esperto è di importanza vitale per l’associazione; esso rappresenta una risorsa umana preziosissima, un investimento in capitale umano grazie al quale l’associazione crescerà, sia in termini di dimensioni e radicamento in Italia, sia (e soprattutto) in termini di progetti realizzati e dei conseguenti benefici prodotti. 56 Si ritiene ottimo il rapporto che Jardin de los Niňos sta mantenendo con le istituzioni pubbliche. Consapevole delle differenze di settore e di logiche, l’associazione si apre comunque al dialogo e alla collaborazione con gli enti pubblici, differenziandosi da altre organizzazioni che invece con diffidenza chiudono le porte al settore pubblico. Infine, saggiamente, Jardin de los Niños è convinta che le dinamiche di concorrenza e competizione tra enti del Terzo settore mossi dalle medesime finalità siano deleterie ed è perciò impegnata a rafforzare ed ampliare la rete di collaborazioni attivata negli anni sul territorio nazionale con varie realtà dello stesso settore. 57 BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA Agenzia per le Onlus, Libro verde della Agenzia per le Onlus, Ottobre 2006 Alecci E. Colasio A. Lion A., Tra identità e solidarietà, Tamari Montagna Edizioni, 1995 (pp. 7 – 42) Cartocci R. e Maconi F., Libro bianco sul Terzo Settore, Il Mulino, 2006. Carrocci, Il Welfare futuro: manuale del terzo settore, Roma, 1999. COMMUNITAS, Volontari. Rapporto sul volontariato italiano in trasformazione, VITA Altra idea 2007 Comunian M., Tesina di approfondimento: Il lavoro nel terzo settore. Uno sguardo alla realtà italiana, veneta e padovana, 2002. Cristaldi L., VIS, Lavorare nella cooperazione internazionale, Cittadini del Mondo, SEI, Torino 2004 Fondazione Lanza, Etica per le professioni – Etica e non profit, DCI Padova 2005 (pp. 3-71) Frisanco R., Il volontariato nel Veneto, Rilevazione FIVOL 2001 Pesavento M., Professionisti nel non profit, Terra ferma, 2004. Poli A., Alla ricerca del terzo settore, I quaderni de “Il Melograno” num.5. Putnam R., Le tradizioni civiche delle regioni italiane, Milano, Mondatori, 1993. Rifkin J., La fine del lavoro, Baldini e Castaldi, Milano, 1995. Schiavon A. e Di Censi L., Impegno e territorio, censimento delle forme di impegno e solidarietà nel territorio della provincia di Padova, Collana Elementi 2007 Solito L., Luoghi comuni. Comunicare il servizio sociale, Liguori, Napoli 2002 Volterrani A. (a cura di), Raccontare il volontariato, Quaderno CESVOT N. 29 - marzo/2006 www.agenziaentrate.it www.agenziaperleonlus.it www.csvpadova.org www.forumterzosettore.it 58 www.jardin.it www.noprofit.org www.quinonprofit.it www.regione.veneto.it www.terzacomunicazione.org www.vita.it 59 Allegato 1: risultati di Jardin de los Niňos onlus nel Mondo I RISULTATI RAGGIUNTI DOPO 20 ANNI DA JARDIN DE LOS NIŇOS ONLUS In Argentina MATERNITÀ, INFANZIA E FAMIGLIA realizzazione di un CENTRO DI ACCOGLIENZA PER RAGAZZE MADRI (“Hogar S. Francisco”) che fornisce sostegno psicologico, cure di prima assistenza e supporto al ricongiungimento familiare (ove possibile ed opportuno) sotto il coordinamento di un'assistente sociale - 276 BAMBINI NATI ad oggi - circa 600 MAMME E FIGLI ospitati ed assistiti realizzazione di 3 ASILI NIDO E SCUOLE MATERNE per provvedere ai bisogni alimentari, materiali e educativi dei bambini tra 3 mesi e 6 anni e sgravare le famiglie dalla presenza dei figli in modo da permettere, in particolare alle donne, di dedicarsi ad un'attività lavorativa - oltre 420 BAMBINI iscritti ogni anno realizzazione di un CENTRO DI ACCOGLIENZA PER ANZIANI INDIGENTI - oltre 100 ANZIANI partecipano alle attività del Centro e usufruiscono del servizio mensa realizzazione di un CENTRO RICREATIVO PER GIOVANI E ADOLESCENTI DI STRADA - oltre 40 RAGAZZI al giorno hanno la possibilità di partecipare alle attività FORMAZIONE realizzazione del CENTRO DI FORMAZIONE “SAN JORGE”, ora “MINO BELLABONA” (2.000 mq di area) per soddisfare le esigenze di istruzione e formazione delle fasce adolescenziali in cerca di occupazione - 11 CORSI PROFESSIONALI attivati - 100 DIPLOMATI all'anno nelle scuole laboratorio - 150 ALUNNI della facoltà di Trabajo Social hanno svolto il loro tirocinio in strutture, programmi, progetti della Ong - 495 ALUNNI iscritti ai corsi ogni anno - 30 LAUREATI all’anno nel Diploma Universitario di “Analista di Sistema” erogazione di 450 BORSE DI STUDIO per conto dell’Università di Posadas 60 MIGLIORAMENTO DELL’HABITAT oltre 500 ABITAZIONI in MURATURA costruite fino al 2006, in cui vivono 4000 PERSONE, prima abitanti in baracche costruzione della RETE FOGNARIA costruzione della RETE DI CANALIZZAZIONE DELL’ACQUA POTABILE ASFALTATURA delle principali vie di comunicazione dei quartieri a partire dal 2007, costruzione di ulteriori 360 UNITÀ ABITATIVE a beneficio di oltre 2.500 PERSONE SALUTE E NUTRIZIONE costruzione di 2 POLIAMBULATORI MEDICI - oltre 35.000 PRESTAZIONI ALL'ANNO EROGATE, pur operando con mezzi limitati e in condizioni igieniche precarie avviamento di 4 PANIFICI NON PROFIT per fornire, all’indomani della crisi alimentare (2001-2002), pane a prezzo di costo agli abitanti delle baraccopoli - 450 kg di pane prodotti quotidianamente in ciascun panificio per un totale di oltre UNA TONNELLATA DI PANE al giorno - circa 12.000 ACQUIRENTI al giorno, 360.000 al mese Attualmente, i panifici propongono prezzi inferiori a quelli di mercato e producono circa 750 kg di pane al giorno 100 famiglie per un totale di 800 BENEFICIARI del PROGRAMMA DI AUTOCONSUMO (realizzazione di orti e allevamento di animali da cortile) 5 MENSE gestite direttamente da Jardin de los Niňos Ong e 6 MENSE esterne a cui fornisce gli alimenti giornalmente - Oltre 1000 PERSONE AL GIORNO ricevono due pasti quotidiani SVILUPPO DELL’IMPRENDITORIA LOCALE Oltre 700 MICRO-IMPRESE sono state avviate grazie ai fondi erogati nell’ambito del PROGRAMMA DI MICROCREDITO per un totale di 500.000 pesos (pari a € 125.000) di capitale prestato, con un tasso di restituzione del 99,5% 61 i 4 PANIFICI COMUNITARI hanno raggiunto l’autosufficienza e si sono costituiti in COOPERATIVA, assumendo direttamente la responsabilità di gestione dell’attività la COOPERATIVA DI FALEGNAMERIA SAN JORGE, costituita da EXALLIEVI DELL’OMONIMO CENTRO DI FORMAZIONE realizzato dalla Ong, è prossima al raggiungimento della totale autonomia IMPIEGO DI PERSONALE LOCALE oltre 1.000 PERSONE LOCALI hanno prestato la propria attività lavorativa per l’Ong dalla sua nascita Attualmente, circa 90 PERSONE LOCALI sono stipendiate da Jardin de los Niños Ong 48 DOCENTI stipendiati dalla Provincia di Misiones occupati negli asili e nelle scuole-laboratorio dell’Ong 8 ASSISTENTI SOCIALI occupati nell’Ong Oltre 140 DISOCCUPATI sono stati impiegati fino ad oggi dall’Ong grazie al contributo del programma nazionale SVILUPPO DI UNA RETE DI CO-FINANZIATORI E/O PARTNER: di carattere internazionale: - UNDP-United Nation Development Programme di carattere europeo: - Comunità Economica Europea (CEE), oggi UE di rilievo regionale (in Argentina): - FONCAP- Fondo para el Capital Social - Governo della Provincia di Misiones - Istituto provinciale per lo sviluppo abitativo - Ministero della Pubblica Istruzione, Ministero delle Politiche Sociali, Ministero delle Infrastrutture, Ministero della Salute, Ministero del Lavoro e Ministero degli Interni della Provincia di Misiones - Segreteria per lo Sviluppo Sociale - Unità Provinciale di Coordinazione per l’Emergenza - Università Nazionale di Misiones sul territorio nazionale italiano : - A.P.I.B.I.M.I. (Trento) - Associazione Mondo Giusto (Lecco) 62 - Caritas Antoniana (Padova) Caritas Italiana COCIM (Consorzio di Ong composto da Cospe, Iscos, Mlal, Progetto Mondo) Regione Veneto Unione delle Famiglie Trentine nel Mondo Nel resto del mondo 216 CASE IN MURATURA costruite a Ruhengeri (Rwanda) a beneficio di 1.260 SENZA TETTO 88 RAGAZZE DI STRADA ospitate nel centro di accoglienza di Ruhengeri (Rwanda), dove seguono un percorso di formazione professionale e di reintegrazione socio familiare 36 BAMBINI LAVORATORI hanno frequentato l’anno scolastico 2006 presso la scuola NASSAE (Lima - Perù) 63 64 Ringraziamenti Un grazie alla mia cara mamma che sempre mi è stata vicino, ai nonni, che poter condividere questo momento così importante li rende felici, e vedere i loro occhi brillare mi emozionano. Un grazie ai cugini, cugine, zii.. insomma, tutta la grande Famiglia che sempre è stata un punto fermo della mia vita. Grazie agli amici, a Vale anche se sempre distante ma vicino con il cuore, a Paola, Alba, amiche rare e preziose,Ilaria e Georgia per gli abbracci, i consigli sulla tesi e per avermi insegnato parecchie cose.. grazie a tutti gli amici di Jardin ..tanti per nominarli tutti. Grazie ad Andrea, compagno fedele di questo percorso universitario, a tutti gli amici dell’unversità, a M.elena, Valeria, Francy, Stefano,Enrico cabernet …a tutti. E a tutti gli amici della piazza.. grazie, perchè ho capito che la vita non è fatta solo di studio.. ☺ Un grazie alla vita che finora mi ha rivelato bellissime sorprese! e…grazie a tutti quelli che non ho nominato.. Ilaria 65