IL LAVORO D`ÉQUIPE: COLLABORAZIONE E GESTIONE DEL

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IL LAVORO D`ÉQUIPE: COLLABORAZIONE E GESTIONE DEL
IL LAVORO D’ÉQUIPE:
COLLABORAZIONE E GESTIONE DEL CONFLITTO
PROJECT WORK realizzato nell’ambito del progetto
“Assistente alla persona (Addetto all’assistenza personale)”
Cod. Prog. POR2011IIBR501
P.O. PUGLIA FSE 2007-2013 - Avviso Pubblico PROV. BR 05/2011
IL LAVORO D’ÉQUIPE: COLLABORAZIONE E GESTIONE DEL CONFLITTO
Ø CARONE CLARA
Ø CARLUCCIO ANTONELLA
Ø CONVERTINI ROSSELLA
Ø DENITTO TERESA
Ø GIARDINO VINCENZA
Ø PIZZILEO IRMA
Ø SIGNORILE ANNA
Ø SOLIMEO CARMELA
INDICE
v Definizione di gruppo
pag.1
v Dinamica di gruppo
pag.4
v Capacità di stare in èquipe
pag.8
v L’ èquipe sanitaria
pag.10
v Gestione del conflitto di gruppo
pag.13
v La leadership
pag.18
v Lo stress emotivo
pag.20
v Lo stress lavorativo
pag.20
COME SI FORMANO I GRUPPI?
I gruppi sociali spontanei si formano più facilmente fra persone che condividono
valori, opinioni e atteggiamenti, perché tra queste è più facile l'interazione.
Condividere idee e orientamenti permette, infatti, di conversare senza che sorgano
particolari conflitti e di esprimersi senza il timore di essere contraddetti.
I gruppi si formano intorno a filosofie politiche, a partiti, a organizzazioni etiniche e
religiose o in base a fattori come il genere, l'età o l'intelligenza. Quindi, anche se un
detto comune sostiene che "gli opposti si incontrano" e cioè che le persone con
diversi atteggiamenti sono complementari, l'evidenza empirica in merito alla
formazione dei gruppi tende a non confermare questo luogo comune.
Nel tempo, anche i gruppi di lavoro possono avere le stesse caratteristiche dei gruppi
sociali. Mentre all'inizio del processo di team building le opinioni, i valori, e gli
orientamenti
possono
socializzazione possono
non
essere
avere
corrispondenti,
un'influenza
rilevante
col
tempo
nello
i processi
sviluppo
di
di
tale
corrispondenza.
Le organizzazioni che impiegano processi intensi di socializzazione, cercano di
sviluppare nelle persone quei fattori indispensabili alla formazione dei gruppi.
Si pensi ai corsi di formazione per i neoassunti sulle tematiche del team
management o all'enfasi istituzionale che viene data, nei contesti militari, al ruolo del
gruppo per la soddisfazione dei bisogni di sicurezza e appartenenza.
Interessi e obiettivi
Avere obiettivi comuni che richiedono cooperazione, è uno stimolo molto forte alla
formazione di un gruppo. La scelta del criterio di divisione del lavoro per funzioni
(commerciale, marketing, produzione, amministrazione, manutenzione, ecc.) rafforza
nelle persone che lavorano nelle singole funzioni alcuni orientamenti cognitivi,
atteggiamenti e opinioni, facilitando il lavoro di gruppo all'interno delle funzioni
stesse.
Ciò può comunque far nascere dei problemi quando si costituiscono gruppi di lavoro
interfunzionali, specie se la differenziazione cognitiva e comportamentale tra i
membri
del
gruppo
è
molto
elevata.
Certi obiettivi richiedono l'esercizio coordinato e cooperativo di un'attività fisica (un
gruppo è certamente più indicato di un singolo per spostare oggetti pesanti o
voluminosi), mentre altri di un'attività intellettuale, come nei club degli scacchi o nei
circoli ricreativi in genere.
Alcuni gruppi, inoltre, si formano con l'obiettivo di conoscere altre persone con
cui confrontare le proprie idee, le proprie esperienze passate e fare nuovi progetti.
Gli interessi e gli obiettivi comuni che danno vita a nuovi gruppi possono essere
anche funzionali al soddisfacimento di un bisogno emotivo. Molte persone traggono
sicurezza e senso di protezione dall'appartenenza a un gruppo e ciò spiega la
nascita di un gruppo al presentarsi di minacce o di pressioni.
L'appartenenza a un gruppo, infine, soddisfa i bisogni di stima, nel senso che i
rinforzi positivi provenienti dagli altri membri possono far sentire una persona
accettata, competente e orgogliosa di appartenere a quel gruppo.
Un gruppo è un insieme di due o più individui che interagiscono e dipendono gli uni
dagli
altri
per
il
raggiungimento
di
un
obiettivo
comune.
Il gruppo esiste quando questi individui si definiscono come membri e quando la sua
esistenza è riconosciuta da almeno un altro individuo.
Le persone su un autobus o in una sala d'attesa medica non costituiscono un
gruppo, a meno che non interagiscano abbastanza a lungo da influenzarsi a vicenda.
Ma se così non è, la semplice prossimità fisica configura al più un'aggregazione.
Al cinema, ad esempio, si ha coscienza degli altri spettatori, anche se l'interazione e
l'influena sono minime rispetto a un gruppo propriamente detto.
Il team è una forma particolare di gruppo che, solitamente, ha dei compiti e delle
attività definite, ruoli determinati e alto impegno da parte dei suoi membri.
Perché si formano i gruppi?
Prima di analizzare le condizioni di efficacia del lavoro di gruppo, occorre considerare
i fattori che determinano la formazione dei gruppi stessi, che sono numerosi e
differenti tra loro.
Può accadere, infatti, che si desideri intensamente far parte di un gruppo e di essere
anche disposti a stanziare una somma di denrao, come nel caso di un circolo velico
o tennistico, o a sottoporsi a test fisici o psicologici.
Nel contesto di lavoro, invece, ci si può trovare inseriti in un gruppo in modo non
volontario come, ad esempio, in alcune riunioni di sviluppo prodotto, o nei comitati di
coordinamento.
L'appartenenza al gruppo dipende spesso dal ruolo e dalla posizione ricoperta, più
che dalla volontà e dai desideri personali.I fattori che determinano la formazione dei
gruppi sono molteplici e includono sia le caratteristiche delle persone che elementi
situazionali.
I fattori che determinano la formazione dei gruppi
I fattori che fanno in modo che si faccia del buon team building appartengono a
quattro aree differenti:
Caratteristiche personali:
•
condivisione di valori, atteggiamenti e credenze
•
bisogni di sicurezza
•
bisogni di affiliazione
Potenziale di influenza:
•
potere negoziale
•
influenza reciproca
•
opportunità di team leadership
Interessi e obiettivi:
•
attività fisica che richiede cooperazione
•
confronto intellettuale
•
protezione
•
attenzione e amicizia
Opportunità di interazione :
•
prossimità fisica
•
previsione di interazioni future
Anna Signorile
LA DINAMICA DI GRUPPO
Gruppi e dinamica di gruppo
Il concetto di dinamica di gruppo è introdotto in psicologia da Kurt Lewin per indicare
le relazioni che interessano un gruppo e che ne influenzano lo sviluppo e la condotta.
Studioso appartenente, almeno all’origine, alla corrente di pensiero che si richiama al
teoria della Gestalt, ipotizza che il sistema delle relazioni e delle comunicazioni che
caratterizza un gruppo possa essere considerato come una sorta di "campo", dove le
forze si distribuiscono e si concentrano non casualmente per seguire andamenti
legati ad equilibri e a tensioni connesse alla vita associativa.
All’interno di un gruppo, o fra sottogruppi, si stabiliscono legami soggetti a un
cambiamento che derivano da una interferenza fra le condizioni individuali,
caratteristiche di ciascun partecipante, e quelle gruppali, dovute alle interazioni
sociali e alle percezioni interpersonali.
La dinamica di gruppo si propone quindi di analizzare l’andamento delle relazioni
gruppali; la sua struttura e il suo fluire.
Nonostante i contributi offerti da diversi autori, dopo Lewin, abbiano reso molto più
complesso il problema e abbiano introdotto principi interpretativi talora anche molto
distanti fra loro: come quello sociometrico e quello psicoanalitico, ad esempio,
possiamo dire che sia possibile evidenziare una serie di caratteri comuni che sono
ritrovabili all’interno di ogni gruppo.
1. Senso di radicamento o appartenenza.
Si tratta del sentimento connesso al sentirsi appartenente a un gruppo; condividere
questo regime di appartenenza con gli altri, sentirsi bene accettato e nello stesso
tempo accettare l’altro proprio in virtù di un radicamento comune. L’appartenenza
dipende da alcuni fattori principali come l’identificazione e cioè la scoperta di una
comune base ideologica che sta a monte dei comportamenti e dei "credo" dei
membri. Questa base ideologica può essere legata a vere e proprie filosofie di vita,
credenze religiose, idee politiche.
Un altro importante fattore di radicamento è l’omogeneità a cui tende il gruppo, dal
punto di vista esteriore e comportamentale. Non necessariamente questo porta a
vestire delle divise, ma le scelte relative agli abiti, alle acconciature dei capelli, o alla
scelta di alcuni dettagli (Gadget), così come l’utilizzo di un gergo linguistico speciale
può costituire un modello di riferimento sulla base del quale stimare l’appartenenza a
un gruppo.
I comportamenti e gli atteggiamenti dei gruppi giovanili ci offrono esempi molto chiari
di questo.
2. L’interdipendenza.
L’appartenere a un gruppo determina una interdipendenza fra elementi soggettivi ed
elementi intersoggettivi, elementi cioè che appartengono alla intimità di ogni individuo
ed altri appresi invece a contatto con il gruppo. Le motivazioni, i comportamenti, gli
atteggiamenti e le modalità relazionali assumono connotazioni tali da rendere
interdipendente in senso dinamico il rapporto individuo-gruppo.
Possiamo sostenere che la personalità sia in parte costruita sulla base di questa
trama relazionale e gruppale. Ogni soggetto appare perciò - da un simile punto di
vista - inserito in diversi contesti gruppali, come la famiglia, la scuola, altre comunità,
che finiscono con il concorrere a formare la personalità e a orientarla in direzioni
condivise a vari livelli.
A. Bauleo identifica ben quattro livelli disposti in una struttura di tipo capillare, che si
sfoglia dall’interno all’esterno.
Esiste un primo nucleo fondamentale della personalità, improntato in senso
strettamente soggettivo, che rappresenta la matrice psico-biologica individuale su cui
si stratificano via via i livelli gruppali superiori.
Ma si tratta di una parte, benché importante, della struttura della personalità. Una
parte sulla quale gli psicologi hanno storicamente concentrato la loro attenzione,
mettendo in luce gli aspetti che riguardano la dimensione della soggettività. La
psicologia ha da sempre manifestato, e ancora manifesta, una intrinseca vocazione a
proporsi come la scienza dell’individuale, dell’intimo, del segreto proprio al singolo.
Per tale motivo solo recentemente si sono adeguatamente analizzati i fattori sociali
che contribuiscono alla formazione della individualità e a caratterizzarla in senso
personale e gruppale.
Alla fine dell’Ottocento autori come Théodule Ribot avevano già avuto modo di
osservare quanto l’organizzazione della personalità fosse lontana dal presentare
sempre e in ogni occasione una unica sfaccettatura. La personalità assumeva le
sembianze di qualcosa di sfumato, scontornato, miscibile e riconducibile a diversi
aspetti dell’io. O addirittura poteva assumere molte e diverse caratteristiche a
seconda dei contesti di vita del soggetto. La personalità non dipenderebbe da un Io
forte e strutturato, ma da una sorta di federazione di "io" minimali, coordinati e diretti,
volta per volta, da quello che nella situazione risulta essere il più congeniale.
Si tratta quindi di personalità "multiple", da cui Ribot deriva una sorta di teoria del
"federalismo dell’io".
Nel suo volume "Le malattie della personalità" descrive addirittura soggetti con
cinquanta e più diverse personalità.
Ma si tratta evidentemente di una ipotesi molto lontana da quella prospettata da A.
Bauleo, che non parla di personalità multiple, bensì di una personalità umana, a cui
si collegano condotte, atteggiamenti, tratti del carattere, che appartengono al
concorso di fattori individuali, interpersonali e sociali.
Il primo livello gruppale che identifica alla base della personalità di ogni individuo è la
famiglia. Indubbiamente la realtà familiare contribuisce notevolmente al definirsi dei
modelli comportamentali, ma è anche profondamente influente nella determinazione
dei fattori emozionali, affettivi e relazionali.
Nella famiglia ogni persona ha costruito le basi della propria individuazione e
pertanto è abbastanza logico pensare che aspetti della gruppalità familiare
appartengano ad ogni soggetto, assimilati ai tratti più intimamente individuali, così da
formare un tutt’uno unico e irripetibile, ma nello stesso tempo espressione di una
gruppalità interiorizzata.
Il secondo livello è rappresentato invece dalle diverse comunità frequentate
dall’individuo e dalla sua famiglia. Si tratta di entità gruppali rispetto alle quali vale il
senso dell’appartenenza, per cui si manifestano i principi già illustrati in precedenza
di una identificazione e di una omogeneità di gruppo. L’idea che anche il radicamento
socio-culturale a più piccoli o medi gruppi sociali come ad esempio le compagnie
degli amici, il gruppo dei colleghi di lavoro, le comunità religiose, i gruppi politici,
possa dare un contributo decisivo alla formazione della personalità è certamente più
recente e dimostra come siano importanti anche i fattori interpersonali nella
determinazione delle caratteristiche individuali di ognuno di noi.
Il terzo livello corrisponde infine alla società nel senso più largo del termine, con le
variabili ad essa connesse, relative alla organizzazione più generale della cultura e
delle norme sociali di ogni popolo.
Anche questo aspetto non deve essere trascurato in quanto l’appartenenza a una
struttura sociale condiziona in parte la formazione della personalità, così come ha
dimostrato con grande acume e chiarezza Talcott Parsons.
Infatti, ottenendo tutto ciò si può pensare di lavorare in èquipe.
Solimeo Maria Immacolata
CAPACITA’ DI STARE IN EQUIPE
Per lavorare in equipe non è necessario essere amici, anzi potrebbe creare rigidità, e
scarsa oggettività
Di valutazione. Fondamentale nel lavoro in gruppo è la capacità di condivisione di
solidarietà , di sussidiarietà, di organizzazione. Fondamentale è avere stima
reciproca, nell’ accettazione della variabilità
Motivazionale dei colleghi, dove l’aiuto reciproco e la sincerità dei rapporti né fanno
da padrone.
Tutto ciò contribuisce a creare un ambiente con un clima favorevole dove operare.
Il proprio ego, quando si lavora in gruppo, deve essere molto da parte, in quanto non
si ha la necessità
Del consenso altrui. Ognun componente deve maturare la consapevolezza, che la
vera dimostrazione
Di capacità ed intelligenza, sta nel relazionarsi insieme nel lavoro, senza sfiducia né
insoddisfazione.
In ogni comunità possono nascere problemi di potere a livello verticale ed
orizzontale.
E’ evidente che vivere con intenzionale concordia, vivere positivamente tra il gruppo,
non è un buon ingrediente del nostro lavoro, ma la sostanza.
Più importante del fare è l’essere: chi “siamo con” come ci poniamo.
Per esperienza diretta, quando si lavora con gruppi misti, per età, patologie ecc.
bisogna capire quello che
A loro piace o sanno fare e organizzarsi per proporre e stimolare.
Mi sono accorta che il tempo per queste persone , è scandito anche nell’attesa
continua che qualcuno vada
A trovarli, ricevere una telefonata, che comunque qualcuno abbia un pensiero per
loro.
Gestire tutto ciò diventa a volte problematico, perché s’ incappa in musi lunghi,
ripicche, malumori.
Quindi mai abbassare la guardia, mantenere un atteggiamento d’equità,per quanto
uno possa.
A maggior ragione quando si tartta di lavorare in èquipe sanitaria.
Pizzileo Irma
IL LAVORO IN ÈQUIPE SANITARIA
Ciascun gruppo vive sia come gruppo primario che secondario
Gruppo di lavoro è una unità organizzativa con dimensioni ridotte e autonomia
gestionale
ed operativa che adotta un metodo di lavoro che prevede un obiettivo operativo,
persone
con scopi e bisogni interdipendenti e coordinamento della loro azione
L’èquipe sanitaria dovrebbe essere il più possibile un gruppo primario
Le èquipe debbono essere il più complete possibili, cioè composte da tutte le
professionalità necessarie e/o richieste dall’ambito in cui si sta operando, con i ruoli
che devono essere ben definiti e chiari.
Ogni operatore mette a disposizione degli altri il proprio stile personale, formato da
culture ed
esperienze del tutto individuali.
Lavorare in èquipe significa che non è una sola figura professionale che si occupa
del
paziente,né
che
molte
figure
si
occupano
del
paziente,
ma
ognuna
indipendentemente
dall’altra in maniera separata.
Il lavoro d’equipe significa che la cura viene effettuata da un “gruppo integrato”, da
persone,
cioè, che lavorano in modo armonico tra di loro in continua correlazione fatta di
confronto,
scambio, pareri ecc..
1. Rispettare l’altro riconoscendogli dei valori.
2. Riconoscere i propri limiti e sapere che l’altro può aiutarci ad operare meglio
3. Riconoscere la propria precarietà e sostituibilità (Tutti sono utili e nessuno
indispensabile)
4. Apprezzare il lavoro degli altri
5. Saper apprezzare e comprendere
6. Esprimere il proprio parere liberamente
7. Essere disponibili ad accettare le varie opinioni
8. Essere disponibili alla comunicazione, alla collaborazione
9. Avere autocontrollo
10. Porsi sempre con atteggiamento di problem – solving.
In pratica, ciascun gruppo vive
sia come un gruppo primario che come un gruppo
secondario .
L’equipe sanitaria dovrebbe essere il più possibile un gruppo primario.
ale obiettivo è ancora più rilevante se si considera l’attività sanitaria in termini di STRESS
LAVORATIVO.
Carluccio Antonella
LAVORO DI GRUPPO: COLLABORAZIONE E GESTIONE DEL CONFLITTO.
Che cos’è un Gruppo? Un insieme di persone, è la risposta più semplice che ci viene
di dare a questa domanda. Se riflettiamo ulteriormente potremo dire che, poiché ogni
persona è un individuo con un proprio carattere ed una propria storia, un Gruppo è
un insieme di diverse caratteristiche individuali. Ma cosa succede quando individui
diversi stanno insieme, cioè compongono un Gruppo? Per rispondere a questa
domanda dobbiamo chiedere aiuto alle teorie formulate dagli psicologi del “sociale”
e dagli psicologi “dell’individuale”. La convergenza tematica di queste teorie porta
alla concezione biologica che considera un’organizzazione come organismo
complesso, il cui funzionamento può essere paragonato a quello di qualsivoglia
essere vivente. Sulla base di questa considerazione possiamo dire che, così come
ogni essere vivente può soffrire di diverse disfunzioni organiche e funzionali nelle
parti che lo compongono, anche l’insieme Gruppo può avere uguale sorte! Possiamo
fare ancora un passo avanti, seguendo questo ragionamento, e possiamo dire,
usando le parole di Kurt Lewin (1890-1947), che “ Una totalità, lungi dall’essere la
somma delle parti che contiene, le condiziona, nel senso che all’interno di una totalità
una sua parte è qualcosa d’altro rispetto alla stessa parte isolata o inserita in un’Altra
totalità”. È questo uno degli assunti della Gestalt, la psicologia della forma, di cui
Lewin è stato un caposcuola. Riformulata con altre parole, per la Gestalt, l’Insieme
non è la somma aritmetica delle singole parti/individualità, ma diventa un organismo
la cui somma/valore è superiore alla somma stessa. Ogni individuo ha apportato
all’interno dell’Insieme Gruppo un valore aggiunto! A questo punto è necessario fare
una precisazione, nella nostra vita ognuno di noi appartiene a diversi Gruppi; basti
pensare a noi stessi nel Gruppo degli amici, nel Gruppo dei colleghi di lavoro, nel
Gruppo degli “amici del cane” o “degli alcolisti anonimi” e così via dicendo. La
differente posizione all’interno dei Gruppi ci consente di distinguere i Gruppi, in
Gruppi formali (quelli di lavoro) e Gruppi informali (quelli amicali). Quello che a noi
interessa in questa sede e di cui stiamo parlando è il Gruppo Formale (di lavoro).
All’interno di un Gruppo Formale troveremo un Leader e dei seguaci. Il Leader può
essere a sua volta Formale cioè investito di una carica istituzionale, oppure
Informale, cioè privo di carica istituzionale, ma ugualmente riconosciuto come Capo
dagli altri colleghi. Se il Leader Informale agisce positivamente allo scopo di
conseguire i fini-obbiettivi istituzionali la sua influenza sul Gruppo è positiva, nel caso
contrario, se crea conflitti e confusione nei ruoli, sarà negativa. Comunemente si
incontrano tre forme di Leadership: L’Autoritaria, che funziona in situazioni
d’emergenza; la Democratica/partecipativa lunga e dispendiosa, basata su una
continua analisi dei problemi e delle soluzioni che il Leader propone al Gruppo; la
Permissiva, che quasi sempre non è funzionale all’organizzazione. Le doti di un
Leader si possono riassumere nel seguente elenco: Conoscenza; Autorevolezza;
Imparzialità; Umiltà (riconoscere i propri limiti); Comunicazione efficace; Capacità di
coinvolgere gli altri; Delega; Riservatezza; Difesa, quando è necessario, di chi è
attaccato ingiustamente; Mediazione. Un elenco di doti, come si può vedere molto
articolato. C’è una differenza che va precisata tra Gruppo di lavoro e Lavoro di
Gruppo. Il Gruppo di lavoro è l’insieme di persone impegnate ad integrarsi tra loro
per raggiungere uno scopo comune attraverso un sistema di regole condivise e con
ruoli reciproci ed interdipendenti. In poche parole, ciò che io faccio serve anche a te
per fare bene a tua volta il tuo lavoro, se io sbaglio o lo faccio male, ti metto nelle
condizioni di sbagliare a tua volta o di fare male ciò che devi fare. Per fare questo è
necessario che tra i componenti del Gruppo ci sia la Fiducia, la continua
negoziazione di ruoli, di obbiettivi, di metodi e di condivisione delle decisioni e dei
risultati. I vantaggi sono dati dalla possibilità di scambio di esperienze,
dall’arricchimento delle competenze, e dal pervenire a decisioni che proprio perché
condivise, saranno sostenute ed applicate. Gli svantaggi sono rappresentati dagli
atteggiamenti conservatori (di chiusura) e conseguenti meccanismi di difesa. Il
Lavoro di Gruppo è invece, il Metodo di lavoro che comprende la pianificazione del
compito il suo svolgimento e la gestione delle relazioni tra i membri. Per questo
scopo è fondamentale la figura del Leader. Fin qui, brevemente, abbiamo delineato il
Gruppo ed alcune dinamiche con cui esso agisce; ora prendiamo in considerazione
un'altra dinamica che è connaturata all’azione di un Gruppo: Il Conflitto! Abbiamo
detto all’inizio di questa descrizione sintetica che ogni individuo ha il suo
carattere/personalità, ora, senza approfondire questi termini, proviamo a pensare
come ognuno di noi, nella vita quotidiana, quando entra in contatto con altri individui,
possa avere situazioni di Conflitto. Esempio: io sono disordinata nel riporre gli
attrezzi o il materiale di lavoro e le mie colleghe invece sono ordinate; questo mio
comportamento può causare dapprima fastidio, poi se permane, può causare ostilità
nei miei confronti, ma ciò che più è grave, può causare disservizio, ritardo,
incompiutezza del compito che il Gruppo di cui faccio parte dovrebbe portare a
termine. Questo è un esempio risibile di conflitto, poichè facilmente individuabile e se
vogliamo risolvibile. Pensiamo invece se i conflitti sono di altra natura e più difficili da
individuare. Si può dire esemplificando,
che esistono tipi di conflitto: Emotivi; di
Interessi; di Dati. Il conflitto Emotivo è causato dai sentimenti di una determinata
relazione e può essere definito come un’antipatia tra le persone coinvolte. Questa
antipatia/conflitto magari è scaturita dopo una discussione su alcune situazioni. Esso
degenera perché le persone in questione non chiariscono i loro rispettivi punti di
vista, sia perché si sentono minacciati dall’altra persona, sia per paura/vergogna di
dire la propria, perché l’interlocutore, non essendo d’accordo, potrebbe infuriarsi e
rifiutare completamente quella persona. Il conflitto di Interessi si innesca quando le
persone coinvolte hanno interessi diversi e contrastanti e, pertanto, tali interessi
possono essere soddisfatti solo a discapito dell’uno sull’altro. Le cause principali di
questo tipo di conflitto sono: una o entrambe le parti hanno intenzioni che
nascondono all’altro; le parti non sono state completamente oneste nelle richieste
avanzate o nell’esprimere i propri bisogni e uno dei due si è sentito tradito dall’altro.
Per mettere in crisi una relazione e far nascere un conflitto d’interessi, non è
necessario che ci sia una frode o una menzogna, basta una verità non detta o una
mezza verità. Infine, il conflitto di Dati, detto anche di fraintendimento, lo abbiamo
quando le parti coinvolte in un disguido del lavoro, non solo non hanno un comune
punto di vista, ma in aggiunta hanno informazioni parziali o travisate. Qui entra in
campo la Comunicazione. Una comunicazione può non essere efficace se ci sono
elementi di disturbo o non si dà importanza all’ascolto. L’ascolto è la capacità che
dovremmo avere di comprendere una prospettiva diversa dalla nostra, di considerare
le caratteristiche dell’Altro ed il suo ruolo. Ascoltare significa essere consapevoli di
ciò che abbiamo sentito, recepire bene l’informazione che ci è stata fornita, ed infine
organizzare l’informazione in modo tale che ci sia utile. Il Conflitto di Dati può essere
risolto semplicemente ridescrivendo l’oggetto di una conversazione e ripetendo le
informazioni date in precedenza. Detto in poche parole: accertati che hai capito ciò
che ti è stato detto o che l’altro abbia capito ciò che tu hai detto! I Conflitti, inoltre,
possono essere dichiarati o nascosti. Quelli nascosti lo sono a causa di svariati
fattori, come l’esclusione di alcune parti, per legittimità o per timore delle
conseguenze che potrebbero derivare. Quelli dichiarati a loro volta possono essere
costruttivi o distruttivi. I Distruttivi sono determinati da fattori come: clima di relazione
chiuso/freddo: attacchi personali; comunicazione poco assertiva; egoismo e
attenzione incentrata solo su stessi; competizione tra le parti. I conflitti costruttivi,
invece, sono determinati da: cooperazione tra le persone e anche tra gruppi;
attenzione e rispetto verso l’altro; clima di relazione aperto; comunicazione assertiva;
ascolto e attenzione. I conflitti costruttivi consentono di perfezionare l’empatia, di
riconoscere, accettare ed apprezzare che le differenze sono delle risorse e non dei
problemi e di potenziare e sviluppare l’abilità per usare svariate strategie. Si compie
infatti, spesso, l’errore di pensare di poter eliminare un conflitto, ma ciò non è
possibile, in quanto esso ha radici nella relazione con gli altri. Lì dove invece
dobbiamo intervenire è nelle modalità attraverso le quali decidiamo di affrontare i vari
conflitti. La modalità regina nella gestione dei conflitti è la Mediazione. Attraverso la
Mediazione si cerca di ristabilire il dialogo tra le parti per poter raggiungere un
obbiettivo concreto che soddisfi tutte le parti. Non a caso l’etimologia della parola
dialogo vuol dire parlare in due (dia-logos), spesso invece ci riduciamo a praticare
dei Monologhi (mono-logos; parlare da solo) e nei monologhi, come si sa, non è
previsto l’ascolto, se non quello di se stessi. In un processo di mediazione è
importante che ci sia la figura del mediatore che dia l’avvio alla comunicazione, al
dialogo; che ci siano le parti coinvolte, e che ognuno sia libero di decidere se voglia
essere presente al processo di mediazione per poter arrivare successivamente alla
composizione/mediazione del conflitto. Il processo di mediazione essenzialmente si
compone di tre fasi: fase preliminare; colloquio; fase di attuazione. Nella fase
preliminare il mediatore riunisce le parti per fare il punto della situazione, raccogliere
le informazioni necessarie e capire come iniziare a procedere. Una sorta di premediazione. La fase successiva, il colloquio, lo possiamo suddividere in diverse fasi :
introduzione che si svolge in luogo neutro dove con toni molto tranquilli si elencano le
regole necessarie per la buona riuscita della mediazione; una buona regola, per
esempio, è quella di parlare senza sovrapporsi e evitando le polemiche; la fase dei
punti di vista delle parti, in cui vengono esposti, per l’appunto, i punti di vista delle
parti, viene promosso un ascolto attivo e qui il mediatore svolge un intervento di
chiarimento (dirada la nebbia). Si passa a fare delle domande per verificare la
comprensione del problema, successivamente alle risposte della controparte il
mediatore cerca di capire le affinità e le differenze delle diverse versioni. Il passaggio
successivo è il chiarimento del conflitto, parlare di ciò che è rilevante per il conflitto
senza tralasciare nessun aspetto, qui il mediatore aiuta le parti a chiarire il conflitto
cercando di spostare la comunicazione sempre più verso il contatto diretto tra le
parti. Siamo arrivati alla composizione del problema in cui si cerca di raccogliere e
sviluppare le possibili soluzioni del problema stesso per poi passare all’accordo,
dove, le parti si mettono d’accordo su come andare avanti. Infine si arriva alla fase di
attuazione, dove le parti verificano ed eventualmente modificano l’accordo. È
necessario infatti che le parti si ritrovino per chiarire se l’accordo ha realmente risolto
il problema e se è necessaria un’ulteriore trattativa. Ricapitolando! Il Conflitto non va
mai evitato, ma deve essere aggirato, gestito e trasformato in risorsa, affinchè possa
diventare momento di confronto costruttivo. In precedenza abbiamo detto che i
conflitti sono inevitabili per cui è fondamentale non evitarli, ma riuscire a riconoscerli
e soprattutto riconoscere le loro origini psico-sociologiche. Uno dei modi per gestire i
conflitti e trasformarli in risorse è tenere in conto la gerarchia dei bisogni degli esseri
umani, e che alcuni studiosi hanno codificato. Una di queste codifiche è la scala dei
bisogni di Maslow, detta anche piramide di Maslow che, raffigurata proprio come una
piramide, ha alla base il bisogno primario-fisiologico, poi, procedendo verso l’alto, il
bisogno di sicurezza, il bisogno di appartenenza e amore, il bisogno del contatto
sociale,
il
bisogno
dell’autostima,
ed
in
cima,
al
vertice,
il
bisogno
dell’autorealizzazione. Una rielaborazione della scala di Maslow è la scala gerarchica
dei bisogni di un progetto, elaborata da McConnel. La scala è molto simile a quella di
Maslow ed è particolarmente indicata per la gestione dei conflitti da parte di un
manager di progetto all’interno delle aziende. In questa scala i bisogni primari sono la
sopravvivenza sia della squadra sia del progetto, la sicurezza è il raggiungimento del
traguardo della carriera, il senso di appartenenza è riferito al gruppo di lavoro ed alla
sua dinamicità, l’autostima è la fiducia ed il credere nel proprio progetto,
l’autorealizzazione, infine, è lo sviluppo professionale. Mi permetto di aggiungere, in
chiusura, alcune considerazioni personali, certamente non dotte, ma frutto appunto di
esperienza diretta sull’argomento. Nel corso di tanti anni di lavoro, svolto nei ruoli più
diversi, operaia, cuoca, assistente di anziani, sempre, e dico sempre, mi è capitato di
dover gestire situazioni di conflitto. Quando mi è successo non sapevo chi fosse
Maslow, né McConnel, non conoscevo il metodo, non conoscevo la teoria; ma in
maniera istintiva ho sempre applicato ai miei conflitti con gli altri le regole della mia
coscienza e del comportamento onesto e corretto. Quando ho capito che stavo per
entrare in conflitto o c’ero già dentro, ho sempre affrontato con calma il problema con
l’altra persona ed ho cercato di capire, ascoltare, fare autocritica dove necessaria,
trovare
un
punto
d’incontro
che
non
sfavorisse
nessuno
ma
nemmeno
avvantaggiasse qualcuno in maniera spropositata, insomma ho mediato, e non
sapevo nemmeno che quella mediazione fosse oggetto di studio da parte di tante
persone. Cosa voglio dire? Voglio dire che le persone, tutte le persone, hanno,
secondo me, una capacità di interazione con gli altri che spesso perdono per i più
svariati motivi e che un certo modello di società non aiuta a ritrovare, ma se si
ascolta la parte più profonda di noi stessi, è molto facile da far emergere la parte
migliore di noi stessi.
Non a caso si diventa leader di un gruppo.
Denitto Teresa
LEADERSHIP
Il concetto di leadership, si fonda, sul‘ interazione in un gruppo del leader con i suoi
collaboratori.
Riterremo quindi la leadership una relazione , dove il leader è colui che si interpone
con i propri
Seguaci imponendo, la strategia da seguire.
Il leader quindi, all’interno di un gruppo occupa la posizione più alta proponendo idee
ed attività
Influenzandone i membri modificandone i loro comportamenti
Lo scopo è seguire propositi e principi atti al raggiungimento degli obbiettivi
prefissati.
Leadership come l’iniziazione di una struttura , con questa affermazione si vuole
intendere
Che la funzione di leader è indispensabile per l’avvio e il mantenimento di una
struttura .
La leadership può essere sia formale che informale.
La prima viene imposta dall’ esterno , mentre la seconda è derivante dall’interno del
gruppo.
Non esiste il concetto di leadership senza l’abilità nel comunicare le proprie idee
Il vero leader è orientato alle persone condividendo è motivando le sue scelte.
Anche perché senza una vera motivazione si può andare incontro ad uno stress
emotivo.
EMOTIONAL STRESS RECOVERY AND MANAGEMENT
Sistemi per la gestione e il recupero dello stress emotivo nella leadership
Lo stress emotivo è diverso dallo stress fisico. Uno stress fisico non
necessariamente provoca stress emotivo (es: hobby sportivi), mentre uno stress
emotivo al contrario ha ripercussioni sul piano fisico. Lo stress emotivo può essere
gestito tramite diverse tecniche. Alcune delle principali sulle quali verte il training
riguardano le capacità di schermatura (shielding), autoprotezione e rimodulazione
delle esperienze:
1. limitando l’ingresso di stressors (evitare di esporsi ad eventi stressanti
riduzione dello stress incoming),
2. aumentando la capacità di espulsione, far fuoriuscire lo stress (aumentare la
capacità di far uscire lo stress, bruciare lo stress),
3. incrementando la resilienza psicorganismica verso lo stress (aumento della
potenza del sistema psicofisico)
4. rimodulazione: cambiare il modo con cui percepiamo la realtà, osservare i lati
positivi (psicologia positiva), decondizionarsi.
A seconda della resilienza psicorganismica, lo stress si distingue in eustress (stress
che provoca crescita) o distress (stress che l’organismo non riesce a gestire, stress
che distrugge). Quando manca la capacità di espulsione e/o si riduce la resilienza, o
manca la rimodulazione, l’individuo tende a gestire lo stress con la via della fuga, con
un progressivo ritiro da attività e impegni. Quando aumentano le consapevolezze su
come espellere lo stress emotivo, e quando aumenta la resilienza psicorganismica, e
la capacità di rimodulazione, l’individuo diventa sempre più padrone di sè, aperto a
nuove sfide e esperienze.
Giardino Vincenza
L’uomo che parlava con le carte da gioco
Durante tutta la vita si possono incontrare tante persone normali e specificare
normali è determinante, per capire un percorso che mi sono ritrovata a percorrere
ingenuamente, senza nessuna conoscenza in materia di disabilità.
Ogni volta le persone possono darti emozioni, sensazioni e reazioni che coinvolgono
l’aspetto emotivo e psicologico della nostra persona, identificando nell’altro le nostre
paure i nostri dubbi i nostri scheletri nell’armadio.
Quando la gente vede lavorare delle persone nel sociale le ritiene solo delle
operatrici del fare, non si rendono conto di tutto il percorso formativo che bisogna
affrontare per arrivare ad essere preparati ad affrontare il più duro degli impegni:
aiutare l’altro nei suoi bisogni.
Facile parlare di bisogni primari. che vanno dall’aiuto nelle mansioni domestiche alla
pulizia degli ambienti e a quella personale, i bisogni si differenziano da individuo ad
individuo e quindi, è come se ogni persona fosse un nuovo file da aprire con cura,
per scoprirci dentro tutta una nuova storia.
Quindi anche noi dobbiamo resettarci ogni volta e trovare il modo migliore di
confrontarci con l’altro, per capire noi stesse ed essere in grado di mantenerci
professionali e competenti, senza caricarci addosso le problematiche che ci
circondano e che potrebbero schiacciarci, sotto il peso della nostra coscienza, che
ogni volta potrebbe tornare a torturarci per i nostri insuccessi.
Mi piace raccontare di un tale che non parlava con nessuno, che riusciva ad
esprimersi solo con la penna, mettendo nero su bianco dei pensieri strani, che però
se letti da operatori che lo conoscevano avevano un senso, perché la sua vita e il
suo passato erano pieni di strani personaggi, che svolgevano un ruolo determinante
nell’espressione triste e silenziosa di quest’uomo.
Un giorno mi sono accorta che parlava da solo, ho cercato di coinvolgerlo in una
discussione, ma quasi subito ho capito che lui stava discutendo con le carte da
gioco, proprio perché erano anni che non li rivedeva, ogni figura era un parente o un
amico che aveva avuto in passato.
A suo modo riusciva a trovare pace nel confrontarsi, si congratulava e si innervosiva,
con ogni figura e nel suo viso potevi scorgere momenti di gioia e tristezza, per questo
era sempre vincente quando ti sfidava a giocare con le stesse carte.
Era convinto che potesse sempre vincere, proprio perché le carte parlando con lui gli
davano la dritta e lo facevano sentire “grande” anche nel bleffare con me, ma
soprattutto alla sua vita.
Sono state belle partite quelle giocate insieme, il braccio di ferro era continuo,
nell’entrare ed uscire dalla sua mente dal suo gioco dalla sua vita, per diventare una
presenza costante sulla quale avrebbe potuto contare, più che sui suoi amici
immaginari.
Oggi ripenso con affetto all’uomo che parlava con le carte, perché è lui che è rimasto
indelebile nella mia mente, che mi ha fatto capire in maniera semplice ma efficace,
che la normalità è un concetto così labile, che ognuno di noi può considerarsi un po’
folle e, che vista da fuori la disabilità non è solo un mostro da evitare, ma la favola
meravigliosa che è la vita.
Signorile Annamaria