Grazie! - Vicariatus Urbis
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Grazie! - Vicariatus Urbis
Poste Italiane S.p.A. Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1 comma 2 DCB - Roma 1-2/2009 Religione Scuola Città R I V I S TA PE R L A S C U O L A D E L L A D I O C E S I D I RO M A Grazie! Religione Scuola Città RIVISTA PER LA SCUOLA DELLA DIOCESI DI ROMA Anno XIII (2009) n. 1-2 Sommario EDITORIALE Filippo Morlacchi Grazie Don Manlio 3 di Giuseppe Forlai Il contributo di mons. Manlio Asta alla pastorale 6 Direttore responsabile Angelo Zema Direttore Filippo Morlacchi Consiglio di redazione Carmine Brienza - Giuseppe Iovino Alessandro Tarzia - Grazia Palma Testa Fotografie scolastica e all’IRC Manlio Asta IRC e catechesi. Un’esperienza italiana di distinzione e complementarità IdR romani Lettere e testimonianze S. E. mons. Lorenzo Loppa «Educare con speranza» 12 16 24 Rosario Aurelio - Pina Pinci Registrazione MEETING DEGLI IDR - 23-25 APRILE 2009 Tribunale di Roma Autorizzazione n. 137 del 11.04.1994 Vincenzo Annicchiarico Il Contributo dell’IRC all’educazione dei giovani Progetto grafico e impaginazione Studio PardiniApostoliMaggi www.pardiniapostolimaggi.it Stampa Tipolitografia Trullo S.r.l. Via Idrovore della Magliana, 173 00148 Roma Finito di stampare nel mese di giugno 2009 www.tipolitografiatrullo.it Contributo per le spese di stampa € 15,00 in c.c.p. n. 30214001 intestato a: Amministrazione Ufficio Catechistico Vicariato di Roma indicare la causale del versamento Editore Diocesi di Roma Direzione, redazione e amministrazione Piazza S. Giovanni in Laterano, 6/a 00184 ROMA tel. 06.69886178 [email protected] www.diocesidiroma.it/scuola Card. Angelo Bagnasco L’insegnamento della religione cattolica oggi in Italia. 31 35 Continuità ed innovazione nel quadro delle finalità della scuola Mariastella Gelmini L’IRC, una risorsa per la scuola italiana 44 TUTTA UN’ALTRA STORIA Federico Corrubolo Tutto Gesù minuto per minuto 48 RIPRESE & DETTAGLI Andrea Monda Amistad di S. Spielberg (1997) 51 LE OPERE E I GIORNI a cura della Redazione Le opere e i giorni a cura della Redazione Lettere per pensare 55 67 A CLASSI APERTE Massimiliano Ferragina Spezzettiamo… le nostre aspettative e Caterina Basile Metodi e strategie di verifica e valutazione 71 NOTIZIE LEGALI E SINDACALI Angelo Zappelli Tutti al voto (in ordine sparso) 77 DIARIO SCOLASTICO Giuseppe Forlai Diario scolastico 78 MATERIALI E DOCUMENTI Card. Agostino Vallini Card. Camillo Ruini Benedetto XVI Benedetto XVI Card. Angelo Bagnasco Educare con speranza L’educazione è diventata un paradosso? Discorso agli Idr italiani Discorso alla 59ª Assemblea CEI Prolusione alla 59ª Assemblea CEI 84 87 96 98 100 Editoriale G Grazie, don Manlio! Quel pomeriggio del 22 gennaio scorso ha preso anche me un po’ alla sprovvista. Mons. Asta – per me e per tanti altri semplicemente “don Manlio” – ha accolto la richiesta del card. Vallini e, dopo oltre 17 anni di servizio generoso e di dedizione assoluta al suo servizio, con libera e sofferta obbedienza ha lasciato l’ufficio scuola ed è diventato parroco. Quando, verso la conclusione dell’incontro nell’Aula Magna dell’Università Lateranense, sua Eminenza ha annunciato la nuova nomina di don Manlio a san Ponziano, l’assemblea degli IdR, radunata per la consegna della lettera «Educare con speranza», si è alzata tutta in piedi, scoppiando in un applauso intenso e… perplesso. Sì, perplesso: perché all’inizio – così almeno mi è parso – più di qualcuno si è chiesto: ma come farà a fare anche il parroco? A molti sembrava impossibile, infatti, che don Manlio potesse abbandonare l’incarico di direttore dell’ufficio scuola. Poi gradualmente il dubbio si è fatto consapevolezza, e la commozione di don Manlio ha dissolto le incertezze: ci sarebbe stato un avvicendamento. Sono passati alcuni mesi, e non posso far altro che ripetere quanto ho detto quella sera: non c’è condizione migliore che essere il secondo, quando il primo è bravo. Ormai tutta una serie di incombenze che lui aveva voluto condividere con me ricadono direttamente sulle mie spalle. Abbiamo lavorato bene insieme, credo davvero molto bene; per usare una metafora ciclistica, che a don Manlio piacerà di sicuro, abbiamo lavorato in perfetto tandem. Tutti e due pedalavamo, e di buona lena; a lui però, che conosceva molto meglio di me i percorsi dell’IRC a Roma e in Italia, spettava la responsabilità e l’onere di guidare. E insieme Grazie, don Manlio 3 abbiamo percorso un bellissimo tratto di cammino, scoprendo panorami per me nuovi e affascinanti, con salite faticose, discese in volata e piacevoli soste… Mi sono aggregato alla comitiva dell’ufficio – Pina, Grazia Palma, Alessandro, Giuseppe – con gioiosa naturalezza; fin da subito tutti e quattro mi hanno fatto sentire di casa, e l’indiscussa competenza di don Manlio ci ha fatto lavorare con chiara definizione dei compiti e sincera soddisfazione. Basta. Non voglio cedere alla nostalgia. I legami sinceri non si sciolgono per così poco, e don Manlio rimane per me non solo il maestro che mi ha insegnato praticamente tutto quello che conosco del mondo della scuola e dell’IRC, ma anche l’amico e il consigliere sul quale so di poter fare ancora affidamento, oltre che la figura di sacerdote “istituzionale” probabilmente più riuscita che io abbia conosciuto (sì: ho conosciuto parecchi preti santi che erano un po’ originali e carismatici; ma rappresentare l’istituzione e rimanere fino in fondo sacerdoti e uomini non è da tutti…). A lui va il mio sincero “grazie”, unito – lo sento – a quello di tantissimi IdR che hanno trovato in lui non solo un responsabile giusto, severo e autorevole, ma anche un padre dal cuore grande e un pastore sapiente. Grazie, don Manlio! *** 4 Il contributo e l’eredità di don Manlio alla chiesa di Roma è dunque il primo argomento di questo numero di RSC. Don Giuseppe Forlai ne ricostruisce il pensiero proprio a partire dagli editoriali di questa rivista, affinché la memoria del percorso compiuto non svanisca. Ma abbiamo poi aggiunto anche una sorta di “epistolario” ideale tra don Manlio e gli IdR romani: l’ultima lettera che il direttore dell’Ufficio scuola ha indirizzato a tutti loro e, come un dialogo immaginario, alcune testimonianze che delineano un frammento della sua figura. Questo fascicolo dedica ampio spazio anche al grande evento ecclesiale dello scorso 25 aprile: il Meeting degli IdR italiani con il Papa. Un breve resoconto dell’incontro si trova nelle pagine di “Diario scolastico” (p. 82); ma, quasi per render presenti anche i lettori che non hanno potuto partecipare, abbiamo voluto trascrivere una parte dei discorsi pronunciati in quell’occasione. Invito tutti in particolar modo alla lettura della relazione del card. Bagnasco (pp. 35-43), che ripercorre con lucidità meticolosa la storia dell’IRC in Italia, oltre – ovviamente – al discorso pronunciato dal Santo Padre in Aula Paolo VI (pp. 96-98). Mi sembra senza dubbio degna di nota anche la penetrante conferenza del card. Ruini sul «paradosso dell’educazione» (pp. 87-95): la Cei ha stabilito che gli orientamenti pastorali italiani per il decennio 2010-2020 si occupino della questione educativa, e il comitato per il Progetto Culturale, presieduto dal card. Ruini, ha iniziato da tempo a studiare questa tematica. Le altre rubriche proseguono come di consueto: la riflessione sul Gesù storico e il ruolo delle tradizioni orali (F. Corrubolo), il film Amistad (A. Monda), le strategia di verifica nella scuola primaria (Basile & Ferragina)… speriamo che tutto questo possa giovare agli IdR in cerca di aggiornamento professionale e di strumenti didattici. Prima di chiudere, una parola di gratitudine va a don Rino Zucchero, che ci ha fatto ridere e sorridere per qualche tempo con la rubrica “Insegnare IRC felici”, e soprattutto a Pasquale Troìa, che per tanti anni è stato collaboratore stabile di RSC, e che speriamo in futuro possa contribuire ancora, anche se più saltuariamente, alla rivista. Non mi resta che augurare a tutti gli IdR un’estate serena e riposante. Ci diamo appuntamento per sabato 5 settembre presso il santuario del Divino Amore: il card. Vallini presiederà l’eucaristia e ci spronerà a vivere un impegno sempre più generoso a servizio della scuola, degli alunni e della Chiesa. Filippo Morlacchi 5 Il contributo di mons. Manlio Asta alla pastorale scolastica e all’IRC di Giuseppe Forlai L’importanza di tali asserti è sottolineata e Mi è stato chiesto di riassumere in quest’arannunciata dallo stesso don Manlio nel suo ticolo il pensiero di Mons. Manlio Asta, diprimo editoriale del numero di settembrerettore dell’Ufficio Scuola dal 1991 fino al ottobre 1991 dell’allora Romaierre, ove nelfebbraio di quest’anno, sull’insegnamento dell’IRC utilizzando come fonte gli editoriale vesti di neo-Direttore dell’Ufficio mette li apparsi sulla rivista da subito le carte in per la scuola della tavola fissando i Diocesi di Roma punti della sua idea Don Giuseppe Forlai cerca di rintracciare (prima Romaierre e in dell’IRC: una comdel pensiero di don Manlio il “fil rouge” prensione della scuoseguito Religione sull’IRC a partire dagli editoriali da lui la come «comunità Scuola Città). Solitafirmati sulla rivista diocesana. Emergono, mente questi testi educante»; la confescome tratti distintivi, da un lato la necespresentano il contesionalità dell’IR; la sità di un solido ancoraggio dell’IdR alla nuto del fascicolo; persona dell’IdR conon di rado, però, vi me credente inserito comunità cristiana, dall’altro la scelta delsono toccati problee inviato dalla cola confessionalità come risorsa positiva e mi che riguardano la munità ecclesiale e non come limite all’azione educativa. ragion d’essere stessa figura professionaldell’IRC nella scuola mente qualificata italiana. Non si ha qui la pretesa della com(cfr Romaierre, 3/1993, pp. 25-35). pletezza, bensì quella più semplice di mettere a tema i punti salienti di un magistero a) L’appartenenza ecclesiale. L’insegnante che definirei ‘autorevole’ in quanto frutto di di RC non è un libero pensatore, ma un quasi diciotto anni di impegno nella pastoservitore di quella verità che ha ricevuto rale scolastica diocesana. attraverso un’esperienza di fede fondante e trasmissibile e gli studi teologici. LiEntriamo nel merito. Da una lettura trasverbertà e appartenenza debbono inconsale degli editoriali si evincono, a mio avvitrarsi nella persona dell’IdR senza schiso, alcuni punti chiave del pensiero di zofrenie, falsi antagonismi o imbarazMons. Asta, ovvero: zanti quanto parziali prese di posizione • l’importanza dell’appartenenza ecclesiale personali su alcune delle questioni più dell’IdR; calde. Il “noi” della fede che l’IdR dice • la comprensione dell’IRC come azione all’interno della sua comunità concreta ecclesiale; di appartenenza dovrebbe riflettersi sul • l’identità confessionale dell’insegnamen“noi” valoriale e culturale (mai neutrale!) to della religione come risorsa per la che l’insegnante manifesta ai suoi alunni scuola laica. presentando la religione cattolica: 6 Codex Sangallensis 341, foglio 40: Crocifissione con Maria e Giovanni (vedi p. 102). 7 quando dice ‘noi’ (e lo deve dire!) intende lui e la comunità cristiana che ha alle spalle. Questo schieramento di principio, questa mancanza di neutralità, ricordiamocelo, non è un handicap ma una preziosa risorsa educativa perché aiuta ogni alunno a mettersi in una situazione più vera e più libera e liberante davanti a insegnamento e insegnante (RSC, 2/1995, p. 2). Ciò non vuol dire che l’IdR si ponga rispetto al mondo della scuola in maniera frontale bensì che è in grado di far trasparire la non conflittualità tra scelte di fondo personali, aderenza al mondo degli studenti e rispetto delle regole scolastiche. Don Manlio suggerisce una tale integrazione lumeggiando una triplice fedeltà: Continuo, ed affermo che per un docente di religione la triplice fedeltà agli studenti, alla scuola e alla Chiesa non sarà neanche avvertita come onerosa proprio nella misura in cui egli saprà essere radicalmente fedele alla Chiesa e ai suoi molteplici modi di prendersi cura dell’uomo. Come ogni docente, l’insegnante di religione è un operatore culturale, e non può non preoccuparsi della pastorale della cultura (Romaierre, 1/1992, p. 2). b) L’IRC come azione ecclesiale. Altro asserto fondamentale per don Manlio è la necessità di contestualizzare l’insegnamento della religione cattolica nella cornice di una visione pastorale d’insieme. Tale contestualizzazione ha il duplice vantaggio di rafforzare l’appartenenza dell’insegnante e nel contempo di responsabilizzare la comunità ecclesiale sull’importanza del mondo della scuola. Ad una mentalità di nicchia, che delega la pastorale scolastica 8 ai soli organismi preposti, bisognerebbe offrire l’opportunità di pensare alla scuola e nella scuola come ambiente qualificato e qualificante per una seria pastorale della cultura. Così don Manlio, tra speranze e un pizzico di rammarico: Avvertire e vivere come impegno pastorale la presenza dei cristiani nella scuola non vuol dire affatto occupazione indebita di uno spazio altrui, ma vuol dire prendere a cuore, da parte dei credenti, il momento formativo e culturale dei nostri ragazzi e dei nostri giovani, offrendo un contributo specifico e altamente qualificato per la realizzazione degli obiettivi specifici della scuola. Il cammino è tutto da percorrere, giacché nelle parrocchie generalmente la preoccupazione per la scuola è scarsa e non ve ne è traccia sufficiente nella catechesi, nella predicazione, negli impegni concreti della comunità, nella pastorale giovanile (RSC, 2/2000, p. 3). Il compito di incoraggiare e promuovere, anche senza tentennamenti, la convergenza dei soggetti della pastorale è soprattutto demandato a chi è preposto alla custodia del fondamentale sguardo d’insieme: È compito di chi sovrintende ai vari progetti pastorali controllare che i molteplici interventi ecclesiali sugli stessi soggetti non si elidano a vicenda né si sovrappongano, e prestare attenzione perché i loro effetti si sommino tra di loro (siano complementari), portando il loro particolare contributo alla missione della Chiesa di evangelizzare (Romaierre, 2/1992, p. 2). Naturalmente, così ci sembra di capire, il riferimento ai “vari progetti” rimanda alla pasto- Aula Magna della PUL, 22 gennaio 2009: il card. Vallini presenta la Lettera sull’educazione e annuncia il nuovo ministero di don Manlio. rale giovanile parrocchiale e diocesana, alla catechesi e naturalmente alla pastorale scolastica. È tempo, sembra voler dire don Manlio (nel contesto della nota descrizione del rapporto IRC – catechesi come “distinti e complementari”), di porre l’attenzione sulla complementarietà senza dimenticare le legittime e doverose distinzioni. Una complementarietà che non è certo invito alla confusione metodologica e che andrebbe declinata in maniera più esistenziale come con-partecipazione della comunità tutta ad una responsabilità educativa ineludibile. c) La “C” dell’IR, ovvero: l’identità confessionale. È questo il cavallo di battaglia di don Manlio: vi ritorna spesso e con forza. Più che un tema tra i tre quest’ultimo sembra quasi la trama di fondo di un modo di intendere complessivamente la propria azione di direzione e coordinamento. La tesi di fondo è nota, oltre che confortata dall’esperienza: solo un insegnamento confessionale educa realmente; solo un insegnamento confessionale suscita l’interesse degli studenti. Ciò posto, è evidente che don Manlio non caldeggi un insegnamento della religione ridotto a mera “fenomenologia comparata”: Un IRC debole, diluito, assestato su posizioni neutrali o vagamente culturali e cognitiviste, tradirebbe la sua natura più autentica. Nessuna disciplina può essere proposta in questo modo senza tradire le finalità stesse della scuola (Romaierre, 2/1992, supplemento, p. 1). Limitarsi a fare una ‘storia delle religioni’ potrebbe condurre a presentare il cristianesimo come un relitto del passato, una serie di ‘ricordi di famiglia’ utili al massimo per consolidare – o viceversa per contestare – un’identità culturale sempre più appannata (RSC, 1/2006, pp. 6-7). 9 Don Manlio promette fedeltà al suo impegno pastorale davanti al cardinale Vicario durante la celebrazione di inizio ministero presso la parrocchia di San Ponziano. Una sottolineatura è necessaria: non solo un insegnamento della religione ‘neutrale’ non corrisponde alla stratificazione storico-culturale del nostro paese e alla presenza diffusa della comunità cristiana, ma non si porrebbe nemmeno in sintonia con le finalità stesse della scuola, che sono quelle di trasmettere delle conoscenze e competenze abilitanti ad un vivere la cittadinanza in maniera non astratta ma vitale. Insomma, un IR non confessionale non rispecchierebbe il vissuto sociale e non abiliterebbe, di conseguenza, ad interpretarlo. Un IR neutrale sarebbe legittimo solo in una società neutrale: ma quest’ultima non esiste, come non esistono insegnanti che prescindano dalla loro esperienza e da un seppur taciuto indirizzo di pensiero. La scuola, sembra chiedersi don Manlio, potrebbe permettersi una lacuna del genere? Naturalmente non viene qui postulata una confessionalità dell’IR chiusa e impenetrabile, bensì un modo di porgere il vissuto della comunità cattolica nella sua incidenza culturale e nella capacità di promuovere un’identità accogliente. Presente nella scuola laica, cioè aperta ai valori plurali sottesi al declinarsi della cittadinanza, l’IRC che don Manlio delinea può fare un vero servizio solo se si emancipa dalla vischiosità di un “meticciato culturale”, invero più gridato e propagandato da alcuni 10 che reale, fornendo criteri di valutazione e riscontri culturali radicati nella storia. Ci piace concludere con una citazione di don Manlio particolarmente simpatica e velata di un moderato ottimismo, in cui ci invita a non chiuderci in posizioni difensive o nel disfattismo, e a promuovere un insegnamento al contempo consapevole della sua particolarità e fedele al mondo della scuola: Chi mi conosce sa che ho contestato la moda di omologare l’IRC totalmente alle altre discipline scolastiche, ma anche che ho avuto sempre la preoccupazione di mostrare che esso doveva inserirsi pienamente nel progetto della scuola; ho considerato sciocca la posizione di chi rifiutava per l’IRC il compito di dover proporre in modo serio i valori del cattolicesimo… ma anche quella di chi prevedeva per l’IRC quasi un cammino indipendente e autonomo all’interno della scuola di tutti: in questo caso, si accetterebbe di stare in una sorta di riserva. E la storia ci insegna che nelle riserve indiane ci si sta in attesa di estinguersi (RSC, 4/2003, p. 3). Per ora la ‘riserva indiana’ è lontana. Sicuramente anche grazie a don Manlio. Codex Sangallensis 341, foglio 59, Natività (vedi p. 102). 11 IRC e catechesi. Un’esperienza italiana di distinzione e complementarità Manlio Asta Parlo di un’esperienza italiana, perché il rifecare mediante l’accesso alla cultura. Si tratta rimento sarà sopratdi una formula moltutto a documenti e to generica ed elastiRiproduciamo una sintesi schematica delinsegnamenti della ca, perché il concetto l’intervento pronunciato da mons. Manlio Diocesi di Roma. di cultura può camAsta il 4 maggio scorso presso la sede del Anche quando saranbiare nel tempo. È Consiglio Europeo a Strasburgo, in occasiono citati interventi indispensabile che ne della presentazione della ricerca “IR in del Papa, preciso che l’IRC faccia proprie Europa” (vedi p. 55). I delegati delle disi tratta di pronunle finalità della scuoverse conferenze episcopali, riuniti in asciamenti espressi in la, per evitare che sia semblea per presentare i risultati della riqualità di vescovo soltanto collocato ficerca ai rappresentanti del Consiglio, handiocesano: Giovanni sicamente nella scuono voluto approfondire i risultati del lavoPaolo II ha coniato la la, completamente ro svolto, avanzando alcune ipotesi per formula di «IRC diisolato dalle altre diuna migliore interazione tra insegnamento stinto e complemenscipline. Se l’IRC tare dalla catechesi» non riuscisse a entrascolastico e catechesi. Sono state presentate in un’allocuzione al re in dialogo con le le esperienze di Italia, Germania, Irlanda clero romano fatta in altre discipline scolae Polonia; mons. Asta ha focalizzato nella occasione di una trastiche, e fosse totalformula della “distinzione e complementadizionale udienza di mente autonomo, sarità” lo specifico dell’esperienza italiana, inizio Quaresima rebbe solo “ospitato” suggerendo anche alcune proposte operative (1981); Benedetto nella scuola, collocasviluppate a Roma e Milano. XVI ha usato l’eto in una sorta di spressione di «emergenza educativa» in un ghetto o di riserva indiana, in cui si è posti in attesa di scomparire. discorso al Convegno diocesano del 2007. La finalità della catechesi è quella di condurre alla mentalità di fede. E non si giunge alla 1. Alcune premesse: distinto e com- mentalità di fede, alla capacità di vedere al plementare, quindi né confuso né realtà come la vede Cristo, senza una robusta cultura. Anche la catechesi fa cultura, ma separato vuole interagire soprattutto con le altre attività ecclesiali (liturgia, preghiera, vita moraA) Per evitare la confusione, è necessario aver le) più che con le discipline scolastiche. chiaro qual è la finalità dell’IRC e della cateQualcuno ha detto che prima dell’accordo chesi; per l’IRC, la sua specificità deriva dal di revisione del Concordato del 1984 la suo inserimento nella scuola, con la inevitaconfusione tra IRC e catechesi era generalizbile necessità che deve far propria la carattezata, proprio perché vigeva la formula del ristica fondamentale della scuola, cioè edu12 1930 secondo cui l’IR è “fondamento e coronamento” dell’istruzione; faccio notare che il problema nasce da una idea di scuola che accetta e vuole la catechesi in ambito scolastico, più che di una difficoltà della Chiesa a tener distinta la catechesi. B) Per evitare la separazione, è necessario ricordare sempre che insegnare una religione è anche esercizio della libertà di religione; pertanto logicamente per la Chiesa l’IRC rientra nel ministero della Parola. Gli insegnanti di religione devono aver coscienza di essere operatori pastorali, professionisti impegnati a una triplice fedeltà nei confronti di chi si affida alla loro competenza: non solo gli studenti e la scuola, ma anche la Chiesa stessa. Sotto questo aspetto, la situazione italiana in cui la quasi totalità dei docenti di religione insegna solo religione, è particolarmente positiva. Va anche ricordato che l’IRC ha alle sue spalle non solo lo spessore scientifico delle discipline accademiche di riferimento, ma anche la comunità cristiana che cerca di vivere quanto lui insegna. Per l’IdR, vivere la comunione ecclesiale in modo pieno fa parte della sua professionalità. 2. Alcuni possibili modi di realizzare la complementarità tra IR e catechesi Un primo possibile modo è quello di affidare la complementarità al soggetto cui sia l’IRC che la catechesi si rivolgono. In effetti, nel discorso del 1981 Giovanni Paolo II sottolinea che identico è il soggetto e identico il contenuto oggettivo, pur con modalità differente. È il destinatario dell’IR e della catechesi che, con il suo lavoro personale, può far sì che l’IR sia una «qualificata premessa alla catechesi» o «una riflessione ulteriore sui contenuti di catechesi ormai acquisiti». Per questa forma di complementarità, grande attenzione deve essere rivolta ai documenti prescrittivi, e cioè – nell’esperienza italiana – ai programmi scolastici e ai catechismi nazionali. In questo contesto, voglio ricordare che nella stagione di attuazione del nuovo IRC dopo l’accordo del 1984, fu il medesimo organismo, l’Ufficio Catechistico Nazionale della CEI, a curare praticamente in contemporanea la redazione dei nuovi programmi di religione e la revisione dei catechismi nazionali. Direttore di quell’ufficio era mons. Cesare Nosiglia, ora Vescovo di Vicenza, il quale, come responsabile nella CEEE, ha dato buon impulso alla ricerca sull’IR in Europa. Un altro possibile e più stringente modo di realizzare la complementarità è il coordinamento tra catechisti e insegnanti di religione. Si tratta soprattutto di conoscere reciprocamente i rispettivi itinerari, per evitare le tensioni e le ripetizioni, ma anche per avvantaggiarsi dell’azione reciproca. Poiché gli insiemi non coincidono, dato che l’IRC normalmente riesce a raggiungere un numero maggiore di persone che la catechesi, e – almeno a Roma – l’IRC precede (può iniziare a tre anni, mentre la catechesi inizia nel migliore dei casi a sei anni, ma più spesso solo a otto), è più ampio in orario e prosegue anche quando la catechesi che si realizza nelle parrocchie coinvolge un numero esiguo di ragazzi, il criterio che in più di una occasione ho suggerito è quello di «valorizzare gli esiti dell’IRC nella catechesi», proprio perché la catechesi, più che concentrarsi sulla dimensione cognitiva, possa curare le dimensioni affettive (per il Signore), di abilitazione al culto, di vita cristiana. Anche in questo modo, si può contrastare il rischio del cognitivismo. L’attuale cardinale Vicario, Agostino Vallini, ha recentemente scritto una Lettera agli educatori scolastici, al cui interno ha invita13 I parenti di don Manlio alla S. Messa di ingresso a S. Ponziano (in primo piano, la mamma). to gli Insegnanti di religione ad «attivare collaborazioni con le comunità cristiane del territorio e con le parrocchie». Gli strumenti per facilitare questo coordinamento sono, nell’esperienza romana, l’invio ai parroci dell’elenco degli insegnanti di religione nelle scuole del territorio parrocchiale e la successiva organizzazione di riunioni comuni tra IdR e catechisti, proprio per divenire consapevoli di ciò che gli uni e gli altri realizzano con i loro ragazzi. In questo modo, la complementarità si realizza non solo nel soggetto, ma è anche presente intenzionalmente nel progetto pastorale dei fanciulli e dei ragazzi fatto dalle parrocchie. È possibile (ed alcuni già lo fanno) far sì che la complementarità tra IRC e catechesi diventi occasione per realizzare una vera alleanza educativa tra Chiesa e scuola. Si tratta di una possibilità aperta dalla “autonomia delle istituzioni scolastiche”, per cui le scuole non sono più un “instrumentum regni” del governo, né un ufficio periferico dello Stato, ma una indispensabile ed essenziale funzione di un territorio. In questo contesto, è quasi inevitabile che tra scuola e Chiesa si 14 realizzi una forma di necessaria collaborazione (il cui caso più evidente è proprio l’IRC); la consapevolezza che Chiesa e scuola sono al servizio della crescita umana e spirituale delle nuove generazioni può dar luogo a una vera integrazione tra iniziative ecclesiali e scolastiche. Alcune possibili figure di alleanza educativa tra scuola e Chiesa sono: - l’offerta di progetti da parte della chiesa locale alla scuola, perché siano inseriti nel c.d. POF (piano dell’offerta formativa); - il coinvolgimento delle parrocchie nell’elaborazione del progetto educativo della scuola; - la realizzazione di progetti pensati insieme da varie “agenzie educative” presenti in quel territorio (in alcune zone della diocesi di Milano, sono stati fatti dei «patti di corresponsabilità educativa», in cui sono coinvolte scuole e parrocchie, per prevenire il c.d. bullismo). In questi casi, la “alleanza” non è più tra IRC e catechesi, ma tra progetto educativo della scuola e progetto pastorale per le nuove generazioni della Chiesa locale. Codex Sangallensis 341, foglio 217: La Pentecoste (vedi p. 103). 15 Lettere e testimonianze Oltre 600 IdR erano presenti nell’Aula Magna della Pontificia Università Lateranense il 22 gennaio 2009, quando il card. Vicario Agostino Vallini ha consegnato alla Diocesi di Roma la Lettera Educare con speranza e ha comunicato la nomina di mons. Asta a parroco. Dopo oltre 17 anni di appassionato servizio, don Manlio ha lasciato l’incarico di Direttore dell’Ufficio per la Pastorale Scolastica e l’IRC per assumere una diversa responsabilità pastorale nella Chiesa di Roma; lo ha fatto con sincera obbedienza e manifesta commozione, come tutti i presenti ben ricordano. Riportiamo in primo luogo la lettera che egli stesso ha voluto inviare a tutti gli IdR di Roma come saluto e congedo: vi si legge tutto il suo affetto per gli insegnanti e per il mondo della scuola. La memoria è preziosa, perché consente di comprendere meglio la portata degli avvenimenti e di discernere il disegno, a volte misterioso, della Provvidenza. Seguono alcune brevi testimonianze, lettere, riflessioni più discorsive… tanti piccoli riflessi di un volto familiare. Li presentiamo ai lettori nella consapevolezza che nessun ritratto può esprimere pienamente la persona, ma che ognuno ne coglie un diverso profilo. Ad ogni insegnante di religione cattolica della Diocesi di Roma Roma, 22 gennaio 2009 Carissimi, questa è la mia ultima lettera come Direttore dell’Ufficio, perché ho accettato la richiesta del Cardinale Vicario di diventare il parroco di San Ponziano a Talenti, e quindi di lasciare, dopo 17 anni e 4 mesi, il mio incarico di Direttore dell’Ufficio per la pastorale scolastica e l’IRC della Diocesi. Ovviamente, si tratta per me di un distacco doloroso, anche perché ho vissuto da prete l’incarico, con il primo compito di voler bene a tutte le persone che in un certo senso mi erano affidate: gli insegnanti di religione, i loro alunni, gli altri componenti delle comunità scolastiche… Spesso mi sono detto che se non avessi provato dolore nel lasciare i vari servizi ecclesiali che nel tempo mi sono stati affidati, sarebbe stato un chiaro segnale di aver mancato al compito fondamentale di ogni cristiano: quello di amare! Grazie a Dio, soffro andandomene. A ognuno di voi voglio confidare che in 16 questi anni ogni domenica ed ogni festa ho celebrato la santa messa «applicandola» per gli insegnanti di religione, proprio come ogni parroco tenuto dal diritto a celebrare «pro populo», per i suoi parrocchiani. Se ho uno scrupolo, è quello di non essere stato sufficientemente vicino a chi ha subito lutti o è stato malato. Voglio anche assicurarvi che mi sono impegnato a conoscervi e ad avere presenti le vostre situazioni e i vostri desideri. Fino a pochi anni fa, finite le nomine degli insegnanti, ho stampato l’annuario e l’ho letto per verificare se mi ricordavo di ognuno di voi, personalmente. Confesso che in genere, leggendo i dati dell’annuario, mi sfuggiva il volto solo di una decina di persone ogni anno, e ovviamente cercavo subito di porre riparo. Con serena coscienza, oso dire che nelle decisioni che hanno riguardato le persone non ho mai fatto scelte che non fossero ispirate dal criterio di ciò che era bene per la Diocesi e per quel concreto insegnante. Spero che ognuno di voi possa darmene atto, comprese quelle quattro o cinque persone che si sono sentite ingiustamente danneggiate da mie decisioni. Alcune volte decidere è faticoso e doloroso. Lascio questo incarico con la certezza di avervi dedicato le mie migliori risorse (quanto meno per ragioni anagrafiche, visto che l’ho coperto dai 38 ai 55 anni), ma anche di essere riuscito nel compito che mi ero prefisso quando ho cominciato. Sono andato a rileggermi i miei primi editoriali. Ho trovato una conferma a una considerazione del mio primo parroco da novello sacerdote: «un uomo di pensiero può prendersi il lusso di cambiare di frequente idea. Un uomo d’azione deve avere un’idea e portarla avanti con molta continuità». Io mi ritengo più uomo d’azione che di pensiero. Volevo trasmettere agli insegnanti di religione l’idea che la confessionalità dell’IRC era e rimane la migliore soluzione proprio per la scuola di uno stato laico (non laicista) e non una situazione transitoria; che l’IRC doveva comprendersi sempre di più come un’azione ecclesiale; che la storica formula di Giovanni Paolo II dell’IRC «distinto e complementare» rispetto alla catechesi doveva passare dalla sottolineatura della distinzione alla piena comprensione della complementarità. Penso di aver dato un mio apporto personale per l’avvicinamento a questa consapevolezza diffusa di tutti questi punti. Per i prossimi anni, vorrei affidarvi ancora il compito di rendere sempre più tutti consapevoli del contributo decisivo che l’IRC dà alla scuola, soprattutto per alcuni aspetti che meno erano presenti 20 anni fa e che ora sono particolarmente richiesti. Mi riferisco soprattutto al duplice impegno di far maturare in ogni alunno un’identità accogliente, e di educare alla passione per la verità: proprio perché è inevitabile per ogni IdR porre la questione della verità del Vangelo di Gesù Cristo, nella matura coscienza di sé e nel confronto aperto e costruttivo. Oltre alle decisioni sulle persone, ci sono state anche le scelte circa l’organizzazione Il sorriso della gratitudine per tutti gli IdR. dell’Ufficio e il modello di selezione e formazione dei nuovi insegnanti. Anche in questo caso, ritengo che il modello impostato nei primi anni di direzione e nel tempo sempre più cesellato (selettiva prova iniziale, accompagnamento con il confronto professionale guidato da un tutor per i primi anni di incarico) si sia dimostrato vincente. Lo dimostra il fatto che nel tempo più di una diocesi lo abbia fatto suo. Un’ultima parola circa i miei preziosi collaboratori. Praticamente tutti sono stati insegnanti di religione prima di entrare in Ufficio. È stata una caratteristica da me voluta, che ha permesso di creare un clima particolarmente cordiale, che tanti hanno riconosciuto veramente accogliente. A ognuno di loro: Pina, Grazia Palma, Alessandro, Giuseppe (è l’ordine con cui sono stati assunti), il mio più caloroso e vivo grazie. L’ultimissima parola voglio dedicarla a don Filippo, che il Cardinale ha nominato nuovo direttore dell’Ufficio. È stato un collaboratore leale, che è riuscito a supplire alcune mie manchevolezze. Voglio prendermi il vanto di averlo aiutato a comprendere come si serve il Vangelo in questo Ufficio del Vicariato. Sarà un Direttore diverso da me, capace di cambiare ciò che è opportuno, per il miglior servizio alla scuola e alla chiesa romana. Ogni tanto, pregate per me 17 Storia di incontri-scontri di Alessandro Panizzoli Conobbi don Manlio alla CEI, quando andai, con i coautori, a perorare la causa di Universo di segni, il testo di IRC per la scuola media che ha attraversato un’epoca culturale. Fu uno scontro ma in punta di fioretto. Non mi fece una buona impressione, soprattutto per le osservazioni che muoveva, in modo poco convinto e contraddittorio. La seconda volta fu al tradizionale incontro di inizio d’anno degli IdR, settembre 1990, nell’aula magna della PUL. Al tavolo c’erano il card. Ruini, mons. Nosiglia e don Manlio. Nessuna traccia di don Valentino. Fu subito chiaro che Valentino si era preso una bella influenza, quella russa, che si cura o nei manicomi o, nel nostro caso, alla Biblioteca Vaticana. Lì stanno bene gli uomini d’azione! Alla prima e unica occasione in cui fu citato, un applauso da far tremare i muri si levò dalla sala. Certe cose non si dimenticano. Don Manlio fu l’unico a rimanere, per quasi tutto l’incontro, con gli occhi bassi, quasi a scusarsi di quella intromissione. I vecchi collaboratori di don Valentino non furono rimossi e perciò continuammo a frequentare l’ufficio, a occuparci del bollettino, dandogli l’attuale denominazione Religione scuola città e rinnovandolo nella veste grafica. Profondemmo anche molte energie per organizzare i due convegni a Pallanza, ’91 e ’92 – furono poi aboliti –, invitando persone a noi gradite. Don Manlio si rese disponibile, accettando le proposte. Noi avevamo il timore che prima o poi arrivasse l’epurazione, che si scoprissero le carte e l’insofferenza per quanto fatto fin allora. Ma niente avvenne di tutto questo, se non nel lungo termine, quando maturano più naturali ricambi di generazione e cambiano i lineamenti socio-culturali del Paese, delle nuove 18 generazioni, delle circostanze politiche, degli orientamenti pastorali. E quindi i cambiamenti di linea e di persona sono elaborazioni culturali, e solo indirettamente possono sembrare siluramenti. Quelli erano gli anni in cui anche nei libri di testo si cercava di far passare il dettato legislativo per cui l’IRC concorreva alla formazione dell’uomo e del cittadino e faceva parte, essendone propulsore, del patrimonio storico, culturale e ideale del popolo italiano. Tali testi, sponsorizzati dall’ufficio, continuarono ad essere apprezzati e don Manlio appoggiò le nuove edizioni in cui si sosteneva culturalmente l’esigenza di sostenere il dialogo ecumenico e interreligioso con adeguati nuclei tematici, senza la paura, che lo aveva attanagliato prima, di fare sincretismo religioso. Se erano paure sue o di altri non l’ho mai capito. Ho tuttavia avuto la netta impressione che, man mano che procedeva nel suo lavoro egli maturasse convinzioni più personali, maggior sicurezza nei giudizi e nelle decisioni e constatasse che la nostra collaborazione era sincera e le osservazioni critiche erano fondate, non dettate da spirito di rivalsa o da intenzioni non rette. Così arrivarono importanti novità, quali la prova selettiva per gli aspiranti IdR, il tutor, il graduale passaggio dalla differenziazione alla complementarietà tra IRC e azione ecclesiale e catechesi, all’attenzione ai programmi d’insegnamento. Don Manlio prestò molta attenzione ai programmi. Nel 1995 l’Ufficio scuola pubblicò L’IRC nei curricoli della scuola secondaria superiore, sintesi dei lavori di un gruppo di IdR che fin dal ’93 aveva lavorato alla stesura di programmi della s.m.s. che avessero maggior aderenza ai diversi contesti scolastici superiori, “ripen- La preghiera di don Filippo per l’amico e il maestro… sandoli insieme” non a prescindere dagli insegnanti, come don Manlio ebbe a dire e a scrivere. Ricordo dal momento che ne ho conservato il verbale, la riunione del 30.06.97 con il prof. Maragliano, responsabile della commissione ministeriale autorizzata dal ministro Berlinguer, ad elaborare con l’ausilio di “saggi” nei vari campi del sapere, un documento “per la scuola italiana nei prossimi decenni”. Condividemmo subito il disagio per la censura del sapere religioso. Don Manlio mi incaricò di redigere un profilo dall’IRC atto a colmare la famosa lacuna. Lo feci con l’aiuto pochi altri. Il documento fu presentato ma la storia, nel frattempo aveva travolto il progetto di riforma dei cicli scolastici. Condividemmo anche molte perplessità sulle matrici progettuali scaturite dal gruppo di lavoro voluto dalla CEI sulla ipotesi di sperimentazione nazionale sui programmi di religione cattolica nella prospettiva dell’autonomia scolastica e di nuovi programmi lavoro, e concordammo anche una nostra elaborazione di matrici per la s.m. ad uso della diocesi di Roma. Passavamo insieme molto tempo a parlare, organizzare, tentare di precorrere e non solo rincorrere le varie ipotesi di riforma che si succedevano, sempre per dare spazio e visibilità all’IRC. Avevo imparato a voler bene a don Manlio, penso in modo ricambiato. E a non smettere mai di parlargli francamente sulle questioni comuni, come ad es. il criticare la sua scelta, che rispondeva però ad una superiore disposizione – dalla distinzione alla complementarietà – di spendere tanto tempo ed energie nel proporre incontri tra parrocchia e insegnanti di religione. Ho mantenuto buoni rapporti anche quando ho appreso leggendo RSC di essere stato estromesso dal gruppo di redazione, senza una sola parola di spiegazione. Ho un solo rammarico: di non essere mai andato con lui in bicicletta, nonostante, da appassionato, me lo abbia chiesto molte volte. Devo a don Manlio un ringraziamento particolare per avermi proposto, illo tempore, come insegnante all’allora Istituto Caymari, che è una cosa grande per me; e di avermi sempre mostrato fiducia e apprezzamento. Ciao don Manlio. A presto vederci e, chissà, collaborare ancora! 19 Nel segno della fiducia di Maria Daniele Mons. Manlio Asta ha sempre considerato molto seriamente la sua relazione con la Chiesa ed è sempre stato cosciente del suo essere testimone di quella comunità ecclesiale a cui appartiene. Arrivato al Vicariato per obbedienza diciotto anni fa circa, per obbedienza dal Vicariato è ripartito… senza tentennamenti, senza rimpianti, senza mezze misure. Certamente questo distacco non è stato per lui né facile né indolore, ma se bruciasse nell’amarezza una parte delle molte risorse di cui dispone, commetterebbe un furto ai danni del popolo a lui affidato e a cui, certamente, vuole offrire in modo integrale quanto ha ricevuto dal Signore. Educare tutti alla fede, cioè ad una relazione autentica, libera e fedele con il Signore, ma con il linguaggio più adatto per ciascuno, per mettere tutti sulla strada verso Dio; ognuno raggiunto, riconosciuto e toccato proprio là dove più conta, dove più serve: questo ha tenacemente voluto e cercato mons. Manlio Asta nei suoi anni di servizio al Vicariato, a cominciare dal mondo degli alunni delle scuole, agli insegnanti, ai suoi collaboratori. Ha insegnato che l’Amore è più grande, più bello e più esigente della Legge, che non esistono dubbi o domande che non meritino risposta, che non bisogna aver fretta di arrivare purché si continui a camminare. Si è sempre aperto ad un continuo confronto con i colleghi consapevole della necessità e dell’importanza della partecipazione e azione di tutti; ha perseguito il sogno di conoscere per nome tutti coloro che il Signore gli aveva affidato; ha scommesso su questa comunione e i risultati si sono visti. 20 Esempio di fedeltà alle relazioni più semplici e alla giustizia, convinto della valenza dell’attività di raccordo svolta dal Vicariato, basando ogni sua riflessione sul rispetto delle cose e della vita per ricostruire relazioni, ha saputo apprezzare e sostenere i doni e le ricchezze di cui il Signore ha fornito ogni suo collaboratore tanto da rendere la sua opera all’interno del Vicariato sempre più articolata ed efficace. È stato un onore lavorare insieme! Che il Fuoco così faticosamente acceso non abbia mai a spegnersi… Ora il momento richiede di cercare il misterioso incontro tra nostalgia e desiderio, tra il ricordo delle cose lasciate e la misteriosa ricerca del futuro. Abbiamo tanti motivi di fiducia. Don Filippo saprà portare una ventata di aria nuova, nuovo entusiasmo, nuovo stile, nuova credibilità, nuove iniziative. E quante porte si apriranno per coloro che saranno raggiunti e coinvolti! Ci accorgeremo ben presto di quante varie e molteplici siano le ricchezze della Chiesa e di quanto sia feconda la fantasia dello Spirito Santo, che con la stupenda diversità dei Suoi doni realizza l’unico edificio di Dio. O Israele di Dio, che dispieghi le tue tende “su tutta Roma”, non temere! Il tuo Custode non dorme. Veglia su di te, ti guida, ama i tuoi bambini, conosce le tue pene, ti offre la sua Parola, spezza per te il suo Corpo. È ancora capace di entusiasmare i tuoi giovani, di consolare i tuoi afflitti, di perdonare i tuoi peccati, di riempire il tuo futuro. Un insolito ritorno di Silvia Fusco Da anni ormai non sono più un’insegnante di religione cattolica; raramente, con una famiglia piuttosto movimentata da “tenere a bada”, trovo il tempo per ripensare agli inizi della mia carriera d’insegnante. Avevo appena vent’anni, un diploma magistrale conseguito da privatista fra tanti altri impegni e degli studi teologici non ancora conclusi, quando superai la prova d’idoneità per l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole materne ed elementari della diocesi di Roma. Sostenni il colloquio orale con don Manlio, il quale – lo ricordo ancora anche se non nei particolari! – alla mia affermazione che il cristiano comune determinate questioni non le comprende ma il teologo sì, sorrise paternamente, dicendomi che avevo già acquisito la prosopopea dei teologi! Ho prestato con impegno e soddisfazione il mio servizio in qualità di insegnante di religione cattolica nelle scuole elementari di Roma per due anni, quando, nel 2000, fui ammessa alla SSIS (Scuola di specializzazione per l’insegnamento secondario) del Veneto, per conseguire l’abilitazione all’insegnamento delle lettere nella scuola media e superiore. Mi presentai allora in Vicariato per incontrare don Manlio e comunicargli il mio imminente trasferimento, con il timore di trovarmi di fronte un rifiuto o, comunque, un certo disappunto. Invece, mi ascoltò senza proferire parola, poi, di scatto, si alzò, prese un foglio di carta intestata e scrisse una lettera di presentazione per me destinata alla Curia di Verona. Mi aiutò e mi sostenne, perciò, nel tracciare quella che sentivo essere la mia strada, anche se mi avrebbe portato lontano dall’IRC. Non ho mai saputo le parole che scrisse su di me, ma, quel che è certo è che, pur giunta ad ottobre inoltrato, ottenni immediatamente un incarico annuale nelle scuole superiori della città. Nello stesso anno, il 2003, in cui sono entrata in ruolo nella scuola superiore, sono diventata la moglie di un insegnante di religione e non è mai mancata volta che non abbia chiesto a lui mie notizie. Oggi è parroco di una parrocchia a Talenti, vicinissimo a dove abito e lavoro; la mia strada torna, inaspettatamente ed in modo totalmente nuovo, forse in virtù di un debito di gratitudine contratto in giovinezza ed ancora da estinguersi, ad incrociarsi con la sua; anzi, paradossalmente, lo sento più prossimo e a portata di mano di quando era a S. Giovanni! Non so come se la caverà in questo nuovo incarico, ma, certamente, non avrà paura, pur talvolta con tormento e dispiacere, di lasciar andare coloro che gli sono affidati per la strada per la quale il Signore li chiama. Molti andranno lontano da lui, ma – come è capitato a me – torneranno nei modi più insoliti e sorprendenti ed io non potrò non essere con lui nel condividere sia la trepidazione dell’attesa sia la gioia dei ritorni. 21 «O capitano, mio capitano…» di Grazia Palma Testa Quando don Manlio entrava in Ufficio la mattina, lo faceva con passo largo e sicuro. Il rimbombo sul pavimento di legno della nostra saletta di ingresso lo annunciava, nel silenzio dei telefoni ancora muti e nel corridoio ancora solitario di visitatori. Questo passo ha dato inizio alle mie giornate per 15 anni. Per questo modo di camminare, sicuro e forte, dal primo giorno ho chiamato don Manlio: il Capitano della nave. In tutti questi anni l’ho osservato lavorare tanto, con passione, dedizione, competenza. Integerrimo e appassionato della Verità, non l’ho mai visto mischiarla, come si dice qui a Roma. Un uomo disordinato come pochi. La scrivania era la sede stabile del suo caos creativo. Perché don Manlio è un uomo creativo, e come tale poteva inventare le sue soluzioni ai problemi, che quotidianamente si trovava di fronte, solo avendo tutte le carte a portata di mano, in un ordine preciso per lui, sparso per me che dovevo, poi, ricomporre i documenti per archiviarli. L’ha sempre caratterizzato uno stile personale molto sobrio, sempre alla ricerca di un altro punto di vista, oltre il suo. Pur ricoprendo un ruolo di potere per tanti anni, credo di poter dire che non si sia fatto plasmare dal potere stesso. Un segnale chiaro me lo fornisce il suo comportamento in Ufficio quando viene a trovarci. Si muove tra noi e tra le cose, che sono rimaste tutte come le ha lasciate (a parte l’ordine che è notevolmente migliorato nella stanza del direttore!), senza attaccamento o nostalgia dei vecchi tempi. So che continua ad esserci amore per le persone e il lavoro, svolto con tanta passione e competenza, ma non c’è attaccamento. Ti ammiro per questo, don Manlio. A me ha insegnato tutto quello che so del mio lavoro. Ti sono grata Capitano, mio Capitano. Una lettera… di Claudia Bertelli Caro don Manlio, in questi giorni non mi hanno voluto abbandonare i sentimenti di comunione e commozione che abbiamo vissuto giovedì sera [22 gennaio, n.d.r]. La cosa che mi ha colpito di più è stata la sua dimostrazione di essere davvero un “uomo di Dio” che ha accettato la nuova nomi22 na nel “dolore”, ma anche nella fiducia e obbedienza. Sono certa che riuscirà a dedicarsi ai suoi parrocchiani con lo stesso amore, entusiasmo e passione che ha riservato a noi in questi anni. La ringrazio per la fiducia che mi ha dato fin dall’inizio del mio incarico (ero giovane e inesperta) e dell’attenzione che ha sempre dimostrato per ogni persona e ogni problema che si presentava (ho ammirato molto anche la sua volontà di rendere il suo lavoro il più oggettivo e trasparente possibile). Anche se negli ultimi anni la mia famiglia (ora ho tre figli) e il mio lavoro mi hanno “assorbita” completamente, riservando poco spazio alle attività da lei proposte, ho sempre difeso e custodito la mia appartenenza alla comunità degli IdR con desiderio di condivisione e di crescita; ho solo il rammarico di avere dimostrato poco questi miei pensieri e intenzioni. Pregherò il Signore affinché l’accompagni in questa nuova missione e la sostenga nei momenti di difficoltà. La saluto con affetto con l’impegno di rincontrarci. Claudia BERTELLI Un Direttore di preghiera di Raffaella Piazza È con viva gratitudine che ricordo, come IdR della scuola dell’infanzia comunale, l’operato di mons. Manlio Asta in questi anni di suo servizio dirigenziale presso l’Ufficio per la pastorale scolastica. Mi preme sottolineare la circostanza di far parte della scuola comunale, perché la sfavorita categoria degli insegnanti che ne fanno parte (è nota infatti la nostra paradossale assenza di statuto giuridico) ha sentito concretamente la presenza di un Direttore che in questi anni non si è risparmiato nell’azione volta a ottenere per noi sostanziali miglioramenti contrattuali, affrontando quelle che immagino siano state non facili discussioni con organi politici preposti al trattamento della nostra figura professionale. Personalmente ho sentito poi la compagnia di mons. Asta nelle numerose parole affettuose, incoraggianti, mai paternalistiche rivolte alla nostra categoria durante le varie riunioni. Talvolta, quando si prospettavano momenti difficili durante le giornate di lavoro e, poi, mi accorgevo che molte cose si aggiustavano straordinariamente da sé, ho pensato: «oggi mons. Asta deve aver fatto una preghiera per noi insegnanti». Adesso leggo la sua lettera di congedo dal ruolo di Direttore… e ne ho conferma. Don Manlio per me non è stato solo il direttore dell’ufficio scuola, ma il pastore che accoglie nella Comunità ecclesiale. Grazie. Danira Cataluffi 23 «Educare con speranza» S. E. mons. Lorenzo Loppa Premessa 1. La prospettiva di fondo: lavorare “in rete” “Gesù fissò lo sguardo su di lui e lo amò” Per superare l’emergenza educativa si impone un lavoro “in rete”, cioè (detto con un «Abbiamo bisogno di uomini linguaggio teologico) un lavoro che nasca che tengano lo sguardo dritto verso Dio, dalla comunione tra soggetti educanti. Per far imparando da lì la vera umanità… ciò è necessario incentivare la comunione e Soltanto attraverso uomini la corresponsabilità all’interno della stessa che sono toccati da Dio, comunità cristiana per renderla luogo di Dio può far ritorno presso gli uomini» esperienza d’amore e di visibilità dello sguar(J. RATZINGER, L’Europa nella crisi delle culture, do di Cristo. In tal modo si potrà creare una conferenza offerta a Subiaco il 1° aprile 2005). vera rete educativa le cui maglie fondamentali sono – evidentemente – la famiglia, la L’aprire il discorso con una citazione bibliscuola e le altre agenzie educative, chiamate a ca e con un inciso dell’allora Card. Ratzinincontrarsi grazie all’appello della comunità ger vuole dettare cristiana stessa. l’urgenza di fondo È bene ribadire che della missione eduun tale lavoro di rete cativa: quella di reS. E. mons. Lorenzo Loppa, vescovo incarinon deve essere properire educatori che cato della commissione regionale del Lazio mosso per motivi si dicano tali perché per l’educazione, la scuola e l’università, ilmeramente funzionaraggiunti dallo sguarlustra il compito degli insegnanti cattolici: li o pratici, ad esemdo di Dio, che nella lasciarsi illuminare dallo sguardo di Cristo pio a causa della scarloro azione educativa e farlo brillare nelle ore di lezione davanti sità qualitativa e restituiscano spessoagli occhi dei loro alunni. Non mancano le quantitativa dei sogre e visibilità a quedifficoltà; ma questo è il tempo della semigetti preposti all’edusto sguardo. Solo na, non del raccolto… cazione; si educa in questo sguardo conrete, cioè in comusente infatti di fornione, per un motivo mare credenti non meramente ottimisti, teologico ed ecclesiologico: la Chiesa è mima capaci di quella “grande speranza” (cfr stero di comunione che scaturisce dalla TriBENEDETTO XVI, Spe salvi n. 27) che, in nità. Non solo: la comunione come declinaquanto virtù teologale, trova nell’agire fezione ecclesiale della responsabilità trova le dele di Dio il suo stabile motivo. Educare sue motivazioni nel modo stesso che Dio ha alla speranza, dunque, vuol dire in ultima scelto per interloquire con gli uomini: non analisi ritrovare in Cristo la certezza di un individualmente e senza alcun legame tra locompimento non lasciato in balia degli ro, ma costituendoli come popolo» (cfr Luumori della storia. men Gentium, n. 9). (Mc 10,21). 24 Ciò posto ci chiediamo: quale può essere il contenuto di una missione educativa precipuamente rivolta ai ragazzi e ai giovani? Riprendiamo il n. 31 della costituzione conciliare Gaudium et Spes: «Si può pensare legittimamente che il futuro dell’umanità sia riposto nelle mani di coloro che sono capaci di trasmettere alle generazioni di domani ragioni di vita e di speranza». Fa eco al Concilio il Cardinal Vallini nella sua lettera pastorale Educare con speranza: educare le giovani generazione vuol dire offrire «le ragioni necessarie per affrontare responsabilmente e con passione la vita». Ce n’è abbastanza per riflettere: trasmettere alle nuove generazioni la fede presuppone che i giovani siano aiutati a stare con sapienza nel mondo, a vivere “bene” in questo mondo. Non si può educare portando in un altro mondo. Il Vangelo va offerto come ermeneutica di questa vita avendo come criterio il Cristo, sapienza incarnata nel mondo che consente al mondo di trovare la trama segreta della sua ragion d’essere. Gesù è il detentore di questa sapienza, il «Maestro buono» (cfr Mc 10,17) che insegna a vivere e a scoprire il proprio posto nella vita. Solo una educazione che si incarna, senza illusioni o pretese, svela al giovane la credibilità dei valori proposti. 2. Il ruolo essenziale del docente cattolico Nella compagine ecclesiale il docente cattolico è figura educativa essenziale per la sua missione nel campo della scuola: egli esercita quella rara e difficile forma di servizio che è la carità culturale. La sua responsabilità educativa può essere descritta come compagnia cordiale sulle strade della vita, tenendo davanti agli occhi l’episodio dei discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35). Dio si rivela sempre come “Altro” rispetto al suo popolo; una alterità, però, che non è distanza, ma prossimità. Di conseguenza chiama questo popolo a rendersi responsabile, chiama ciascun membro della Chiesa a farsi a sua volta prossimo di tutti, soprattutto dello straniero o forestiero, del debole o del povero… Dio stesso è il paradigma dell’umano come responsabilità: Egli ci insegna a dare la priorità all’altro e non al nostro io, e che la felicità non proviene dunque immediatamente dalla realizzazione dei nostri progetti, ma prima di tutto dalla risposta al bisogno altrui. Così si comporta infatti il misterioso compagno dei due discepoli sulla strada di Emmaus: prende l’iniziativa di accostarsi a loro, illumina e riscalda il loro cuore triste con la sua presenza e la sua parola, ma insieme li rispetta, li lascia liberi e li promuove nella loro autonomia. Un modello di compagnia cordiale e affidabile. Per affrontare l’odierna emergenza culturale il docente cattolico dovrebbe avere nella propria bisaccia alcuni importanti strumenti: - competenze e professionalità esemplari: capacità relazionali e comunicative sviluppate a tutti i livelli, non solo con gli studenti, ma anche con i colleghi; gusto della ricerca e attitudine alla formazione continua; capacità progettuali, valutative, di lettura critica su ciò che si muove nell’ambito culturale. - solida speranza che proviene dalla fede nell’adempimento delle promesse da parte di Dio, senza temere l’apparente smentita dei fatti. Speranza che diviene pazienza operativa e non disfattista: la pazienza del contadino (cfr Gc 5,7), che anticipa nella carità il compimento della storia. L’insegnante che sa sperare e attendere dimostra di essere un vero credente, e suscita così interesse per quanto insegna grazie alla coerenza tra dottrina e vita. 25 - comunione con la Chiesa a tutti i livelli: i docenti cattolici sono chiamati costruire rapporti di comunione di fiducia, a promuovere con il proprio modo di pensare e di comunicare quella sintesi tra fede e cultura tanto auspicata. Sono chiamati ad essere uomini/donne della Chiesa nella scuola, e – inversamente – uomini/donne della scuola nella Chiesa, per costruire con la loro vita personale il “ponte” tra comunità ecclesiale e comunità scolastica. Il loro è un vero e proprio ministero di comunione: quello, da un lato, di rendere visibile il servizio educativo che la Chiesa vuole offrire alle nuove generazioni, e, dall’altro, quello di presentare le istanze reali dei ragazzi e dei giovani alla comunità cristiana. - grande passione educativa per coinvolgere l’interesse e l’attenzione: “l’educazione è cosa del cuore” diceva don Bosco. Educare con gli occhi “più vicini al cuore che alla testa” e soprattutto più vicini al cuore di Dio! «L’autentica educazione… ha bisogno anzitutto di quella vicinanza e di quella fiducia che nascono dall’amore… Ogni educatore sa che per educare deve donare qualcosa di se stesso e che soltanto così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro volta capaci di autentico amore» (BENEDETTO XVI, Lettera sull’educazione). Un tale atteggiamento di interesse e partecipazione cordiale al cammino di crescita fiorisce dalla stima e dal rispetto per il mistero della persona e anche della sua diversità e dalla fiducia nella santità della vita e nel futuro. Spesso «alla radici della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella vita» (ivi). Educare con passione vuol dire anche reagire contro la diffusione di una mentalità e una forma di cultura «che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stes26 so della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita» (ivi). Tutti siamo consapevoli delle tante difficoltà che presenta oggi il lavoro nella scuola. Ebbene, bisogna imparare a convivere con questi problemi senza scoraggiarsi e senza lasciarsene schiacciare, senza abbandonarsi al cinismo o al disfattismo («non vale la pena darsi da fare, tanto non serve a nulla…»). Al contrario, occorre reagire con un supplemento di preparazione e di qualità dell’insegnamento, confidando nella compagnia di altri credenti che lavorano con zelo a servizio dell’uomo e di Dio. 3. Davanti all’emergenza educativa, sempre insieme alla famiglia L’“emergenza educativa” è legata a numerosi fattori: il cambiamento sempre più accelerato del mondo e, concretamente, della società; il relativismo che rende oltremodo faticosa la ricerca della verità; il consumismo e una falsa e distruttiva esaltazione (o, meglio, profanazione) del corpo e della sessualità; la stanchezza delle agenzie educative tradizionali, che sperimentano un progressivo cedimento della loro alleanza… Di conseguenza, sempre più spesso l’impegno educativo si accontenta di mirare alla trasmissione di determinate abilità operative, svincolate da riferimenti di senso e assiologici, ritenuti troppo impegnativi e problematici; parallelamente, gli educatori cercano di appagare le nuove generazioni con facili gratificazioni e modelli di vita effimeri, abdicando al loro dovere di insegnare attraverso la fatica e lo sforzo graduale. Mentre questo scenario si mette in mostra sotto i nostri occhi dobbiamo anche constatare che le tre agenzie educative tradizionali (famiglia, scuola, comunità cristiana) non sono più capaci come un tempo di affascinare e conquistare i giovani. È sfuggito loro di mano il primato in campo educativo e, con il primato, anche l’autorevolezza. È urgente restituire a tali agenzie le cattedre e il ruolo che a loro compete. Una ‘restituzione’ che diviene credibile solo se si ricolloca l’educare nell’alveo di una concezione olistica della persona. Tale impresa si potrà portare avanti solamente restituendo alla famiglia il diritto nativo di educare le nuove generazioni: «I primi educatori sono e saranno sempre i genitori» (Card. VALLINI, Lettera Educare con speranza). A seconda del tipo di scuola – forse in quella dell’infanzia e nella primaria sarà meno difficile – si può e si deve tornare ad attuare un circolo virtuoso tra famiglia, scuola e comunità cristiana che, sempre nel rispetto delle proprie competenze, possa portare all’educazione “integrale” «nel rispetto della libertà e dell’orientamento dei genitori» (ivi; cfr anche Gravissimum Educationis, n. 3: «I genitori… vanno pertanto considerati come i primi e i principali educatori… Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può difficilmente essere supplita»). La grazia del matrimonio sacramentale è anche “grazia di educare”: una grazia di stato che è conferita ai genitori perché ne facciano un uso responsabile. 4. Testimoni autentici e veri per un cammino di speranza Una Chiesa missionaria che vuol comunicare il Vangelo sui terreni del vissuto, perché il Vangelo diventi cultura, non può trascurare la scuola. È un anello forte nell’esercizio della speranza siete voi insegnanti cattolici, testimoni del grande “sì” di Dio all’uomo. E lo sarete nella misura in cui saprete raccogliere una triplice sfida: di ordine personale, cioè l’impegno sincero e costantemente rinnovato di tendere alla santità; - di ordine pastorale, cioè l’assunzione di una fattiva corresponsabilità educativa; - di ordine culturale, cioè la fatica di elaborare un linguaggio capace di trasmettere la verità evangelica in modo credibile e comprensibile per l’oggi, ricordando che l’“alfabeto” per dire il Vangelo è la vita di tutti i giorni. Le coordinate concettuali dell’assolvimento di un tale compito sono dettagliatamente fornite dal magistero di Benedetto XVI. Il Santo Padre a Verona, e in altre occasioni, ha indicato i due grandi assi portanti del suo ministero: - la centralità dell’amore di Dio che ci raggiunge personalmente e corporalmente nell’Eucaristia (cfr Deus Caritas est del 2005 e Sacramentum Caritatis del 2007); - il rapporto tra ragione e fede nella ricerca del vero volto dell’uomo e nella ricerca della verità, espresso dalla parola d’ordine di «allargare gli spazi della razionalità umana». Quale, allora, alla luce di queste due coordinate, il compito che vi attende? Bisogna impegnarsi a dare spessore e visibilità allo sguardo di Cristo a livello umano. Gesù ha rivelato il Padre e compiuto le Scritture come uomo. Mentre compie le Scritture e rivela il Padre in quanto uomo, Gesù svolge la funzione sapienziale e pedagogica di «insegnare a vivere in questo mondo» (cfr Tt 2,18). Insegnare a vivere è insegnare a credere! La “pratica di umanità” di Gesù è straordinaria. Egli evangelizza e chiama attraverso incontri umanissimi in cui crea uno spazio di libertà intorno a sé, consentendo a ciascun interlocutore di emergere come soggetto personale e di scoprire la propria dignità e identità autentica. L’arte di incontrare le persone che i Vangeli attribuiscono a Gesù è un vero e proprio magistero. Gesù personalizza ogni incontro: si adatta alle situazioni, non giudica mai le persone che ha di fronte (si 27 pensi all’adultera perdonata di Gv 8,1-11), accetta di mettersi in discussione (vedi l’episodio della donna siro-fenicia di Mc 7,2530)… «L’autorevolezza… si acquista soprattutto con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento personale, espressione dell’amore vero. L’educatore è quindi un testimone della verità e del bene» (BENEDETTO XVI, Lettera sull’educazione, citato anche nella Lettera del Card. Vallini). Le parole acquistano autorità e autorevolezza quando, più che toccare la testa, arrivano a toccare il cuore, come testimonia il citato racconto dei discepoli di Emmaus (Lc 24, 13-35). 5. Il servizio educativo, un servizio che abilita Il compito educativo è svolto in modo autentico solamente se fa crescere, sviluppa autonomia e responsabilità, abilita a cavarsela da sé e fa “camminare ogni alunno o alunna con le proprie gambe” – come lo storpio sanato da Pietro presso la Porta Bella del tempio (cfr At 3,1ss). La vera “autorità” (auctoritas) è quella che rende l’altro “autore” (auctor) delle proprie azioni, e quella che fa crescere l’altro (auctor da augeo), sprigionandone le potenzialità nascoste. L’insegnante autorevole sviluppa nei suoi alunni il discernimento critico e la capacità di valutare personalmente le situazioni, potenzia la capacità di dialogo e di collaborazione, educa alla padronanza sulla propria condotta, conduce a saper stare con gli altri responsabilmente e attivamente… La crescita personale degli alunni, a cui egli mira, indirizza ciascuno a compiere il passaggio costante e graduale “dall’isolamento alla solitudine”, “dall’ostilità all’ospitalità”, “dall’illusione alla speranza”, “dal risentimento e dall’amarezza ad una vita grata e gratuita” (J.H. Nouwen). Ma educare è anche un servizio alla verità: la 28 verità senza sconti su Dio, l’uomo, la vita con il suo bagaglio di sofferenze e di gioie… Insegna a comporre la fede e la ragione, l’umano e il divino, il naturale e il soprannaturale. Perché la vita è proprio una misteriosa mescolanza di tutto questo, e riconoscere che le cose stanno così è un servizio alla verità. Educare significa anche svolgere un servizio alla libertà: perché non esiste un’autentica libertà senza il rispetto delle regole e senza disciplina. Un servizio – quest’ultimo – tanto delicato quanto urgente. Questo molteplice compito educativo può realizzarsi efficacemente solo nel contesto di una sana laicità, che non implichi né chiusura alla Trascendenza né una falsa neutralità rispetto a quei valori morali che sono alla base di una formazione autentica della persona (amore alla vita, alla giustizia, alla verità… rispetto della legalità, del bene comune… apertura fiduciosa verso il futuro e la vita nel suo insieme…). In sintesi, l’obiettivo dell’insegnante cattolico e di ogni vero educatore è la piena promozione dell’alunno in tutte le sue dimensioni personali: intelligenza, libertà, interiorità. 6. La scuola cattolica, espressione organica della pastorale È ben vero che «una speciale missione, in questo ambito, spetta agli educatori che operano nelle scuole cattoliche» (Card. Vallini, Lettera Educare con speranza). Duplice è il contributo che le scuole cattoliche possono offrire all’educazione delle nuove generazioni. Da un lato, sono chiamate a fornire ai ragazzi e ai giovani un apparato di conoscenze che consenta loro di inserirsi adeguatamente nel mondo del lavoro e nella società. Soprattutto però sono chiamate a presentare una visione del mondo solidamente orientata in senso cristiano. Si richie- de per questo un progetto educativo dal profilo ben definito, ispirato chiaramente ai valori evangelici e sinceramente condiviso da tutta la comunità educante. Voglio ribadire perciò la necessità di consolidare l’identità ecclesiale della scuola cattolica. Essa vive nel cuore della Chiesa, e della chiesa locale, come vero e proprio soggetto ecclesiale, che condivide la missione di «comunicare il Vangelo nel mondo che cambia», con un lavoro educativo in cui si fondono in bella armonia non solo la fede e la cultura, ma la fede, la cultura e la vita. Ogni scuola cattolica è chiamata ad essere luogo di esperienza ecclesiale, sentendosi parte organica dell’azione pastorale della comunità cristiana, e non un “settore a parte”. Anzi, semmai si tratta di uno spazio di evangelizzazione particolarmente prezioso e degno di attenzione. 7. Gli IdR, “uomini e donne della sintesi” Parlare onestamente del ruolo dell’IdR significa in primo luogo riconoscere i problemi reali dell’«ora di religione», che – per dirla con don Abbondio – è il classico vaso di coccio tra vasi di ferro. Quali sono le difficoltà strutturali dell’IRC? Senza dubbio una certa precarietà, dipendente dalle fluttuazioni delle motivazioni degli alunni, che ne fanno un insegnamento in qualche modo soggetto al “gradimento” degli studenti e delle loro famiglie. Ma anche i contenuti disciplinari sono fonte di difficoltà: si tratta infatti di contenuti assai impegnativi, che richiederebbero quindi un tempo più congruo e disteso per essere approfonditi – sicuramente maggiore della singola oretta a settimana prevista nella secondaria. C’è poi una difficoltà legata alla missione specifica dell’IdR. Oltre alla testimonianza, richiesta anche agli altri docenti cattolici, sulle sue spalle incombe infatti il compito di presentare in maniera articolata il messaggio cristiano in modo che ne risalti la sua credibilità! Sarebbe incompleta un’educazione che rimanesse muta davanti ai grandi problemi della vita e, soprattutto, davanti alla sua dimensione religiosa. Non l’educazione alla fede è infatti l’intento dell’IdR – ciò che avviene piuttosto nel contesto ecclesiale della catechesi e della mistagogia – ma una presentazione attenta e obiettiva della religione cattolica nel suo aspetto contenutistico, come contributo essenziale alla ricerca della Verità che ogni persona cosciente e responsabile è chiamata a mettere in opera. In tal modo l’IRC contribuisce anche, e non è superfluo notarlo, a sviluppare personalità ricche di interiorità, dotate di forza morale, aperte ai valori civili della solidarietà, della giustizia e della pace, capaci di fare un uso maturo e responsabile della propria libertà… Questa apertura a tutta l’esperienza umana, compresa la dimensione interiore e spirituale, è forse il cuore della missione educativa dell’IdR. Suo impegno precipuo è quello ricordare alla scuola che non deve trascurare colpevolmente il mondo degli affetti e dei valori, ma è chiamata a prestare adeguata attenzione anche alla dimensione più squisitamente “umana” e religiosa dell’esistenza. In tal modo l’IRC contribuirà a plasmare una cultura entro la quale abbia un posto riconosciuto e rispettato anche la religione: per i fatti che interpreta, per i valori che indica, per l’apertura alla Trascendenza verso cui orienta. L’IRC è dunque sia una risorsa per la scuola, di cui valorizza l’ampio orizzonte di professionalità, sia una espressione dell’impegno della Chiesa per il mondo. Si pone così al crocevia tra fede e cultura, vangelo e storia, cercando di elaborare una visione sintetica dell’esperienza umana. Ma ancora di più ogni singolo IdR è chiamato a porsi davanti agli alunni come modello di sintesi equili29 brata tra le diverse istante e dimensioni della vita. In tal senso, la scelta di diventare IdR si configura, più che come “professione”, come una vera e propria “vocazione”: una vocazione nutrita di spiritualità cristiana, di appartenenza ecclesiale, di apostolato laicale, in vista della formazione di personalità unificate attorno alla Verità. Il profilo migliore della missione dell’IdR ci viene forse fornita dall’apostolo Pietro: «adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza…» (1Pt 3,15-16). Questa è la sua missione, questa la meta – ardua, ma possibile – del suo impegno. Conclusioni Chi sono dunque, o almeno chi dovrebbero essere i docenti cattolici? Essenzialmente maestri di sapienza e di vita: icone, certo imperfette, ma non sbiadite, dell’unico Maestro. Per questo si richiede un “supplemento d’anima”, per restituire slancio, speranza ed entusiasmo ai ragazzi di oggi, troppo spesso spenti o sfiduciati. Educare, cioè dischiudere gli orizzonti del futuro, è il capolavoro della speranza. Desidero concludere queste mie riflessioni ricordando quanto ho scritto nella lettera pastorale diffusa per lo scorso Natale: «A noi, adulti nella fede, il compito e l’onore di dare visibilità allo sguardo di Cristo, senza perdersi in mugugni, lamenti e recriminazioni, senza indulgenza alle delusioni e alle stanchezze! Perché non è tempo di raccogliere, ma di seminare. Non è il momento di chiudere, ma di ricominciare sempre, servendo la Parola, anche in tempi difficili come i nostri». Se fosse tempo di raccolta, ci sarebbe da disperarsi, anche – e forse soprattutto – nel campo della scuola; ma è tempo di seminare: allora, forza, con l’aiuto di Dio! Mons. Loppa pronuncia il suo intervento al Convegno dei docenti cattolici del Lazio (28 marzo 2009) 30 M E E T I N G D E G L I I D R - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 Il Contributo dell’IRC all’educazione dei giovani di Vincenzo Annicchiarico sciplina diventa espressione di una risorsa Eminenza Rev.ma, Card. Angelo Bagnasco, non solo per la Scuola, ma per l’intera SoIllustrissimo Ministro, Dott.ssa Mariastella cietà, giacché va incontro ai bisogni culturali Gelmini, Autorità, Relatori ed Esperti, cari ed educativi degli Responsabili diocesaalunni e delle loro fani IRC e Insegnanti miglie, mostrando di religione cattolica. Il saluto di don Vincenzo Annicchiarico, così un impegno Sono lieto di dare il Responsabile del Servizio Nazionale per educativo per la piebenvenuto a ciascuno l’IRC della CEI, ha aperto i lavori del na realizzazione delin quest’evento storiCongresso preparatorio al Meeting degli l’uomo. co ed indimenticabiIdR (23-25 aprile 2009), ha presentato, Durante l’anno paole, giacché culminerà come una ouverture d’opera, i temi fondalino, nel bimillenario nell’incontro del Sanmentali dell’evento: il riferimento paolino, della nascita dell’Ato Padre Benedetto l’appartenenza ecclesiale, la dimensione postolo, secondo una XVI con gli Inseculturale dell’IRC, l’eccedenza dell’educamirabile intuizione gnanti di religione zione sull’istruzione, la confessionalità, la del Santo Padre, abcattolica d’Italia. La sintesi spirituale delle competenze. biamo l’opportunità nostra iniziativa viedi guardare a Paolo ne realizzata dal Seranche come modello vizio Nazionale per per l’insegnante di religione cattolica, sol’IRC in collaborazione con il Servizio Naprattutto quando questo mostra la sua capazionale per il Progetto Culturale e si colloca cità di dialogo con la cultura a lui contemnel contesto dell’anno paolino. poranea e propone la forza interpretativa della Parola di Dio rispetto all’esperienza reL’Apostolo Paolo modello di vita per ligiosa umana. Egli non nasconde la gioia della sua appartenenza ecclesiale e la passiol’insegnante di religione cattolica ne per l’uomo che in Cristo trova il suo orizzonte di senso. Lo slogan del Meeting «Io non mi vergogno L’insegnante di religione cattolica non è unidel Vangelo» (Rm 1,16) – L’Irc per una cultucamente un “professionista” della scuola, ma ra a servizio dell’uomo, intende richiamare, è anche un credente, espressione di quella da una parte, la portata umana del Vangelo, appartenenza ecclesiale che dice il suo huispiratore della civiltà dell’amore nell’attuale contesto socio-culturale; dall’altra, l’IRC comus culturale e la sua passione educativa. me disciplina scolastica a servizio della perNaturalmente, quando a scuola presenta sona umana e della sua crescita integrale. La Gesù di Nazareth lo fa dal punto di vista cura e la competenza dell’insegnante di relistorico e culturale, utilizzando le metodologione cattolica nello svolgimento di tale digie e il linguaggio consoni alle finalità della 31 M E E T I N G D E G L I I D R - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 Meeting degli IdR: la cantante Tosca Don Vincenzo Annicchiarico, responsabile nazionale IRC intervistato da Lorena Bianchetti 32 M E E T I N G D E G L I I D R scuola; allo stesso tempo, però, non nasconde di ritenere personalmente che in Gesù di Nazareth si è rivelato pienamente il Figlio del Dio Vivente: l’Insegnante di religione cattolica è un uomo e una donna che crede a quel Gesù di cui parla in modo storicamente fondato, senza per questo imporre il proprio credo ai suoi alunni. Gli alunni potranno apprezzare questo stile educativo, giacché è evidente, sanno con chi hanno a che fare, ovvero con un insegnante rispettoso degli altri e dei loro sistemi di significato, e allo stesso tempo trasparente circa il proprio “essere”. L’IRC, come disciplina scolastica, aiuta a riflettere sul senso globale della vita e fa guardare con fiducia verso un’esistenza che si sviluppa in una prospettiva progettuale; soprattutto, oggi, questo è tanto più importante, in un contesto generale di gravi preoccupazioni circa l’educazione. Benedetto XVI, infatti, durante il IV Convegno ecclesiale di Verona (2006), ha sottolineato che l’educazione della persona è questione fondamentale e decisiva, per la quale è necessario risvegliare il coraggio delle decisioni definitive1. L’IRC, nella scuola, offre alle giovani generazioni la possibilità di conoscere la tradizione culturale e spirituale in cui si innesta la loro vita a prescindere dalla loro adesione di fede. Consente di raggiungere competenze religiose attraverso la comprensione e l’interpretazione di molti aspetti socio-culturali, artistici, valoriali, i quali trovano il loro signifi- 1 2 3 4 - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 cato solo alla luce della tradizione cristianocattolica, che a sua volta ha segnato la storia e ancora vive e opera diffusamente nella società di oggi.2 Come in ogni disciplina scolastica, gli obiettivi di apprendimento dell’IRC tracciano un percorso fondamentale per raggiungere le finalità formative della scuola. Appare ovvio, allora che l’incontro con la religione non si esplicita unicamente nella sola dimensione cognitiva o informativa, infatti, queste si possono trovare in qualsiasi enciclopedia o dizionario. Allo stesso modo il comprendere non si accontenta delle informazioni e delle conoscenze, ma cerca di penetrare e cogliere i valori e i significati, di cui la religione è espressione manifesta e vissuta dalle persone che credono nel Dio di Gesù Cristo.3 L’IRC per l’educazione dei giovani Il contesto e l’orizzonte dell’IRC è certamente l’educazione.4 Se la persona umana, nel momento delicato della sua crescita e del suo sviluppo, necessita di una speciale cura educativa, questa deve riguardare la persona, nelle sue molteplici dimensioni che la riguardano, anche in quella religiosa e spirituale. La proposta educativa dell’IRC consiste, quindi, nell’offrire alle giovani generazioni, con modalità differenziate secondo la specifica fascia d’età, la caratteristica risposta cristiano-cattolica in relazione alla ricerca identitaria, alla vita re- Cfr. BENEDETTO XVI, Rendete visibile il grande “si” della fede. Discorso al Convegno, in: Una speranza per l’Italia. Il Diario di Verona, Supplemento ad Avvenire del 02.12.2006, p. 19. Cfr C. ESPOSITO, Quella sorgente di vita che attraversa i secoli. Tradizione, in: Una speranza per l’Italia. Il Diario di Verona, Supplemento ad Avvenire del 02.12.2006, p. 149. Cfr CEI-SERVIZIO NAZIONALE PER L’IRC (a cura), Nella scuola a servizio della persona. La scelta per l’IRC, Leumann (TO) 2009, p. 10. Cfr BENEDETTO XVI, Discorso per la consegna alla diocesi di Roma della Lettera sul compito urgente dell’educazione, 23.02.2008. 33 M E E T I N G D E G L I I D R lazionale, alle scelte valoriali, alla complessità della vita reale ed alle più radicali domande di senso, proponendo uno specchio di confronto rispetto al quale la persona può liberamente orientarsi e definirsi. Anche la visione della scuola, sottesa alle Indicazioni Nazionali per il Curricolo, guarda alla persona nella sua originalità; si legge infatti che «lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi» 5. Nel delicato processo formativo della persona, sempre secondo le Indicazioni, è possibile porre le basi per lo sviluppo di un’adesione consapevole a valori condivisi e di atteggiamenti cooperativi e collaborativi che costituiscono la condizione per praticare la convivenza civile.6 La recente ricerca sull’IR in Europa, nonostante vi sia un diverso rapporto tra lo Stato e le singole denominazioni religiose, ha fatto emergere come nella quasi totalità dei Paesi membri la tendenza, espressa in molteplici modi, sia quella di valorizzare la dimensione confessionale dell’IR, perché nell’accezione “confessionale” è implicito il concetto di appartenenza culturale e dunque dell’identità di un popolo. 7 È inoltre acquisito da tempo, nel nostro contesto, il concetto che l’insegnante di religione cattolica è “uomo/donna della sintesi”; egli è tale sul piano della mediazione culturale e del servizio educativo, giacché favorisce la sintesi tra fede e cultura, tra Vangelo e storia, tra i bisogni degli alunni e le loro aspirazioni profonde.8 La ricerca della sinergia sul territorio, a cui la scuola è 5 6 7 8 34 - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 chiamata e che investe ogni docente nella sua responsabilità, per l’insegnante di religione cattolica significa creare ponti e alleanze educative tra comunità educante scolastica e comunità educante ecclesiale, promuovendo, dentro la scuola, progetti educativi rispettosi dell’integrale formazione della persona umana. L’insegnante di religione cattolica è un insegnante motivato da una forte spiritualità, intesa anzitutto come vita cristiana (cfr Rm 1,6; 1Cor 1,24ss; 7,20; Gal 3,27), capace di prendere sul serio la sintesi tra fede e cultura, Vangelo e storia. Si tratta di una spiritualità ricca di atteggiamenti evangelici e profondamente umani, che aiutano l’insegnante a realizzarsi nella scuola con una specifica identità. Tale consapevolezza fonda la padronanza di tutta una serie di competenze che spaziano dalla competenza disciplinare, didattica, progettuale e organizzativa, alla competenza valutativo-formativa e comunicativo-relazionale. Egli, è “testimone” della vita, non è estraneo a nessuno, sa stare con gli altri, con gli alunni, con i genitori degli alunni, con i colleghi perché con essi si confronta e riflette al fine di migliorare le proprie competenze educative e metterle al servizio di ogni bambino, fanciullo, ragazzo, giovane che incontra nella scuola. È dunque la vita che ci sta a cuore, ad essa è finalizzato il nostro impegno perché tutti quelli che incontriamo possano viverla pienamente. Con queste parole conclusive, Vi ringrazio per l’attenzione e auguro a tutti un buon Congresso! Cfr MINISTERO DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE, Indicazioni per il curricolo, p. 43-44. Ibid., p. 17. Cfr CEI-SERVIZIO NAZIONALE PER L’IRC, L’Insegnamento della Religione risorsa per l’Europa. Atti della ricerca del CCEE, Leumann (TO) 2008. Cfr CEI, Insegnare Religione Cattolica oggi. Nota pastorale, Roma 1991, n. 23. M E E T I N G D E G L I I D R - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 L’insegnamento della religione cattolica oggi in Italia. Continuità ed innovazione nel quadro delle finalità della scuola di S. Em. Card. Angelo Bagnasco la Legge Casati (1859) prevedeva l’insegna“Io non mi vergogno del Vangelo”. È il titolo di mento della religione nella scuola elementaquesto Meeting degli IdR che si celebra nelre, e poi la Riforma l’anno Paolino e duGentile del 1923, che rante il quale avremo La lunga relazione del cardinale Presidente gli assegnava un’iml’occasione di incondella CEI ha riassunto con precisione e luportante collocaziotrare il Santo Padre, cidità l’iter storico dell’IRC in Italia, dal ne, ma sarà il Consuccessore di Pietro. È Concordato lateranense, alla sua revisione, cordato Lateranense una forte “ambientaalla graduale evoluzione per essere sempre del 1929 e poi la sua zione ecclesiale” per al passo con i tempi. L’IRC confessionale modifica del 18 febun incontro nel quale non è catechesi, perché «è chiamato a interbraio 1984 a dare sosiamo chiamati a ripretare la storia e a proporre orizzonti di stanza alla storia delflettere sul contributo senso» e contribuisce alla formazione intel’insegnamento della della Chiesa italiana grale della persona. Garanzia della buona Religione cattolica in alla formazione delle qualità dell’IRC è la cura costante da parte Italia. nuove generazioni, atdegli IdR per la propria professionalità, che I due concordati traverso l’Insegnadiviene così vera e propria testimonianza hanno due prospettimento della religione cristiana nel mondo della scuola. ve differenti che pocattolica nella scuola. tremmo riassumere Un servizio, quello così: il primo del 1929, ha la prospettiva di dell’IRC, nel quale si realizza con passione un insegnamento religioso obbligatorio, l’impegno di tanti uomini e donne, insegnanti considerato come «fondamento e coronamendi religione cattolica, in gran parte laici. Un servizio che chiede professionalità specifiche e to dell’istruzione pubblica» (art. 36); il seconche, per la Chiesa italiana, che cammina sulla do, del 1984, contiene la proposta di un strada tracciata dal Concilio Vaticano II, si IRC curricolare, offerto a tutti, assicurato configura come via proficua di collaborazione «nel quadro delle finalità della scuola» (art. con lo Stato «per la promozione dell’uomo e 9), con il diritto per gli studenti o i loro geper il bene del Paese», come recita l’Accordo di nitori di scegliere se avvalersene o non avvarevisione del Concordato Lateranense (1984). lersene. L’IRC, secondo quest’ultima prospettiva si caratterizza, come scrivono i Vescovi italiani nella Nota del 1991, come «servizio educati1) Un insegnamento che viene vo a favore delle nuove generazioni» e contrida lontano buto alla crescita globale della persona, ofFin dall’inizio della storia del Regno d’Italia, ferto a tutti, nella scuola di tutti. 35 M E E T I N G D E G L I I D R All'Accordo di revisione del 1984 ha fatto seguito, il 14 dicembre 1985, l'Intesa tra il Presidente della CEI ed il Ministro della Pubblica Istruzione e nell’anno scolastico 1986-’87 l’avvio del nuovo sistema che riconoscendo l’IRC, “disciplina scolastica”, ne sancisce la piena curricolarità. L’introduzione del diritto di scelta dell’IRC, e dunque l’aver fatto appello alla responsabilità educativa dei genitori e la possibilità di scelta da parte degli studenti, ha avuto nel corso degli anni un esito fortemente positivo, tanto che ancora oggi si registra una grande adesione all’IRC. 2) Una svolta, seguendo il Concilio Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha contribuito a riconsiderare in modo complessivo il rapporto tra la Chiesa e le “realtà temporali”, riconoscendo ad entrambi i valori loro propri, e la giusta autonomia; grazie a questo cambio di mentalità e di visione delle cose, si è avviato così un processo di rinnovamento dello stesso modo di considerare l’insegnamento religioso nella scuola pubblica italiana più rispondente alle nuove sensibilità che andavano delineandosi nella cultura italiana, sviluppando anche una nuova coscienza democratica e politica. Nello svolgersi di questi anni, molti sono stati i cambiamenti che hanno modificato tutta la società: infatti, la proclamazione della Repubblica e l’entrata in vigore della Costituzione Italiana, con l’inclusione nell’art. 7 dei Patti Lateranensi ha introdotto un nuovo orizzonte dei rapporti tra Stato e Chiesa; intanto viene abrogato il concetto di religione di Stato, mentre si va sviluppando una cultura caratterizzata dal pluralismo e dalla libertà religiosa. Anche la scuola affronta molti cambiamen36 - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 ti per rispondere al progressivo affermarsi di una scolarizzazione di massa, approfondendo sempre più l’importanza del proprio compito educativo per lo sviluppo della vita dei singoli cittadini e per lo sviluppo culturale ed economico del paese. Anche la Chiesa, che non è estranea al mondo, e da sempre impegnata sul versante educativo, si sente fortemente coinvolta in questo processo di cambiamento culturale, sociale e religioso. È illuminante qui ricordare come il documento Gravissimum educationis (GE), dopo aver affermato che alla famiglia spetta primariamente il compito educativo e che la Chiesa ha il dovere di educare in modo del tutto “speciale” (n. 3), afferma, ai nn. 4 e 5 che tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persona, hanno il diritto inalienabile a una educazione che risponda al proprio fine, alla propria indole, alla cultura e alle tradizioni del loro paese, e insieme aperta a una fraterna convivenza con gli altri popoli, al fine di garantire la vera unità e la vera pace sulla terra. L’educazione, continua la GE, è indispensabile che abbia come fine la promozione della persona umana in tutte le sue dimensioni in vista del bene della società civile. La scuola, dunque, in forza della sua missione, mentre con cura costante fa maturare le facoltà intellettuali, promuove lo sviluppo della capacità di giudizio, mette a contatto del patrimonio culturale acquisito dalle passate generazioni, promuove il senso dei valori, prepara la vita professionale e, generando un rapporto di amicizia tra alunni di indole e condizione diversa, favorisce la disposizione reciproca a comprendersi. Essa, inoltre, costituisce come un centro alla cui attività e al cui progresso devono insieme partecipare le famiglie, gli insegnanti, le varie associazioni culturali, civiche e M E E T I N G D E G L I I D R religiose, la società civile e tutta la comunità umana. Nel 1971, l’Ufficio Catechistico Nazionale, con una Nota, porrà in evidenza l’esigenza di rinnovamento dell’insegnamento della religione cattolica, quale contributo importante per lo sviluppo di tutto l’uomo e per la formazione della personalità degli alunni1. Si dà avvio, così, ad una nuova riflessione sull’insegnamento della religione e la sua configurazione scolastica, si approfondiscono le ragioni pedagogiche e culturali, da una parte richiamando lo sviluppo integrale della personalità affidato alla scuola e nel cui complesso va inteso anche l’ambito religioso, dall’altra sottolineando il fatto che la scuola deve poter offrire gli elementi fondamentali per conoscere il fenomeno religioso, così importante nella storia dell’umanità. L’evolversi della società e comunque dello sviluppo culturale, sia nelle istituzioni scolastiche sia nella Chiesa – specialmente con l’esperienza del Concilio Ecumenico Vaticano II – porterà al superamento dell’IR ereditato dal Concordato Lateranense, che lo aveva definito «fondamento e coronamento», per lasciare lo spazio ad un nuovo profilo, cioè un IRC che si specifica «secondo le finalità della scuola». Cresce, infatti, in tutto il tessuto sociale, la consapevolezza della necessità di un insegnamento della Religione cattolica come disciplina pienamente inserita nel quadro delle finalità della scuola di tutti, una scuola nella quale si pone al centro la persona nella sua integralità e nella sua totalità, dunque si fa strada la concezione personalista già intravista e anticipata dal Concilio Ecumenico Vaticano II. - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 3) Al servizio della persona nella scuola Nel 1984, dunque, l’IRC, assume a pieno titolo il profilo di disciplina scolastica, e si caratterizza come insegnamento della religione “cattolica” e non semplicemente di una storia delle religioni, ovvero insegnamento di quella religione che ha profondamente segnato la cultura italiana ed europea, e allo stesso tempo è riconosciuta parte integrante del patrimonio storico del popolo italiano. Gli elementi fondamentali del nuovo profilo dell’IRC scolastico sono quelli che scaturiscono naturalmente dalla dimensione religiosa dell’essere umano, vale a dire gli interrogativi su Dio, sull’interpretazione del mondo, sul significato e sul valore della vita, sulla dimensione etica dell’agire umano. L’alunno, dunque, potrà familiarizzare con la realtà della religione cristiana nella sua tradizione cattolica, cogliendone la valenza educativa e progettuale. Come in ogni disciplina scolastica, l’apprendimento degli obiettivi dell’IRC sono un percorso fondamentale per raggiungere le finalità formative della scuola. Per questo l’incontro con la religione non potrà restare al solo livello cognitivo delle informazioni; ma dovrà essere capace di far cogliere i valori e i significati, che le persone che credono nel Dio di Gesù Cristo, manifestano con le loro scelte di vita, e con tutto quel patrimonio religioso, letterario, artistico e etico con cui veicolano e rivestono le loro espressioni religiose, anche nelle tradizioni, nella pietà popolare… L’IRC non richiede di per sé che l’alunno aderisca personalmente al credo religioso cristiano, ma che conosca, studi e percepisca il ——————————————————— 1 La Nota afferma che non si può «tralasciare di rendere agli alunni un servizio adeguato per il risveglio, l'interpretazione e la maturazione del senso religioso». E specificatamente, a proposito dell’insegnamento religioso si sottolinea che, in una “scuola formativa” appare «legittima, anzi doverosa» l’istituzione «di un servizio adeguato per lo sviluppo critico e la maturazione del senso religioso» (UCN, Nota sull’insegnamento della religione nelle scuole superiori, Roma, 1971, n. 5). 37 M E E T I N G D E G L I I D R significato dei valori che scaturiscono da questa fede, riconoscendo che si tratta di valori generalmente vissuti e condivisi e che nel nostro Paese sono parte integrante del patrimonio storico culturale, capace di sviluppare attraverso gli interrogativi di senso, nuove sensibilità, in ordine alla ricerca della giustizia e della verità, per tutti gli uomini. L’IRC, inserito «nel quadro delle finalità della scuola», concorre al pieno sviluppo della personalità dell’alunno, in un scuola che sia in sintonia con i principi della Costituzione Italiana. Per gli alunni e gli studenti credenti che si avvalgono dell’IRC la comprensione della religione e del cristianesimo si riferisce ugualmente alle proposte e alle risposte, al significato o alla rilevanza che la religione ha per essi, alla ripercussione sui problemi personali e sociali; mentre per gli studenti che hanno altro credo religioso o si riferiscono ad altri sistemi di significato, conoscere e comprendere la religione cristiano-cattolica significa anche comprendere meglio la cultura italiana, cioè la cultura nella quale si vive. Inoltre potrebbe significare comprendere le persone che vivono coerentemente la fede cristiana. E questo anche in vista di promuovere una mentalità accogliente, al fine di una serena convivenza civile nel quadro di una società pluralista. A ben guardare, possiamo dire che l’IRC arricchisce e completa la personalità dell’alunno poiché tale insegnamento, proprio per la sua nativa vocazione è chiamato a interpretare la storia e a proporre orizzonti di senso, pertanto offrendo un contributo originale e specifico al percorso educativo delle giovani generazioni, anche con lo scopo di ricercare il significato della scelta e dell’esercizio di una professione. - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 L’IRC, nella sua peculiarità “cattolica”, dunque “confessionale”, secondo quanto afferma il Concordato del 1984 – «in conformità alla dottrina della Chiesa» – più che un problema nella laicità dello Stato, diviene una “risorsa” per la Scuola che in questo caso, realizza con la Chiesa, una vera e propria “alleanza educativa”!2. La ricerca europea sull’insegnamento della religione, svoltasi tra il 2005 e il 2007 su proposta del CCEE, e culminata con la pubblicazione del volume L’insegnamento della religione risorsa per l’Europa, conferma che l’orientamento di fondo è quello dell’apprezzamento del modello italiano dell’IR che, pur riconoscendo e tutelando la libertà di coscienza degli alunni avvalentisi, offre una proposta disciplinare ben definita nell’alveo della religione cristiana nella confessione cattolica con l’intento di perseguire le finalità istruttivo-educative della Scuola. Per questo la “confessionalità” non può essere vista come una complicazione o un intralcio all’esercizio della laicità, bensì essa costituisce una garanzia di identità, un impegno per un insegnamento che non sia “a-situato”, cioè fuori contesto, ma al contrario che sia “radicato” in una tradizione viva, capace a sua volta di vivificarlo continuamente, e farlo progredire, in un costante confronto con la realtà. Credo sia questo che vogliono le famiglie italiane, giacché l’ultima statistica del 2008, effettuata dall’Osservatorio socio-religioso del Triveneto per conto del Servizio Nazionale per l’IRC della CEI, ci conferma che l’IRC è scelto dal 91,1% degli studenti italiani. Per tutti questi motivi è stato necessario aggiornare i programmi, essenzializzare i ——————————————————— 2 38 Un insegnamento che fosse “non confessionale” renderebbe il fatto religioso un elemento non legato all’esperienza di vita delle persone riducendolo a teoria religiosa “disincarnata” dalla realtà e dalla concretezza dei vissuti, incapace, di fatto, di dare un reale contributo alla comprensione della stessa cultura italiana con il suo ampio e diffuso patrimonio etico, storico, letterario e artistico… M E E T I N G D E G L I I D R contenuti, sperimentare nuove modalità didattiche, sempre in collaborazione con il Ministero della Pubblica Istruzione. Ciò anche in vista delle riforme che si prefiguravano già sul finire degli anni ’90 e, ultimamente, confluite nella modalità delle nuove Indicazioni Nazionali per il Curricolo, nel rispetto delle innovazioni apportate dal legislatore, che ha dovuto tenere conto delle istanze e degli obiettivi formativi che si sono dati gli Stati membri dell’Europa. È di questi giorni un altro impegno della Conferenza Episcopale Italiana per assicurare, contestualmente all’entrata in vigore della riforma nei diversi ordini e gradi di scuola, in riferimento all’IRC e naturalmente d’intesa con il MIUR, ulteriori Indicazioni Nazionali per il Curricolo aggiornate e aderenti all’impianto generale del nuovo sistema scolastico italiano anche nell’orizzonte europeo. Ci auguriamo che all’impegno leale e costante della Chiesa, in tutti questi anni, nel disegnare il nuovo profilo dell’IRC, possa corrispondere anche da parte delle Istituzioni governative il pieno riconoscimento scolastico dell’identità dell’IRC, con il superamento di alcune residue e contraddittorie limitazioni. Abbiamo detto che l’IRC, declinato secondo le finalità della scuola, propone la visione dell’uomo nella sua totalità e lo presenta a partire dal dato biblico. In particolare, nel Vangelo di Giovanni troviamo la valorizzazione dell’umano, nonostante la sua caducità, operata dal Verbo che si è fatto carne, cioè essere debole e mortale (cfr Gv 1,14). L’Evangelista afferma che lo Spirito è realtà vivificante, mentre la carne è impotente. Così anche l’Apostolo Paolo con il vocabolo carne sottolinea la creaturalità e finitezza strutturale dell’uomo: afferma che la vita di Cristo si manifesta «nella sua carne - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 mortale» (2Cor 4,11). Per questo l’Apostolo può affermare che la sua attuale esistenza «nella carne» è dunque vissuta da credente nel figlio di Dio (cfr Gal 2,20). Ed è ancora per tale ragione che possiamo dire che l’uomo è un essere unificato da una scintilla divina; è essere vivente perché ha ricevuto da Dio, fonte della vita, il soffio vitale. L’uomo vivificato dallo «spirito» divino è persona che si rapporta a Dio (cfr Ez 11,19-20; 36,26-28). Paolo, dunque, all’uomo “carnale”, contrappone l’uomo “spirituale”, animato dallo Spirito di Dio: esso non ha un corpo, ma è un corpo vale a dire persona incarnata e aperta alla comunicazione con il mondo, gli altri e Dio. Quindi l’uomo come “corpo” è essere relazionato al mondo trascendente, in particolare a Cristo e a Dio. Per l’Apostolo la dimensione religiosa dell’uomo si esprime nell’essere “uno”, ovvero un soggetto impegnato nella sua totalità, nella sua costitutiva incarnazione terrena, incamminato verso il cielo. Credenti e non credenti, ricorda la Costituzione pastorale Gaudium et Spes al n. 12, sono generalmente concordi nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo, come a suo centro e a suo vertice. Ma che cos’è l’uomo? La Gaudium et Spes si sofferma anzitutto sulla convinzione di fede che l’uomo è stato creato «a immagine di Dio», dunque capace di conoscere e di amare il proprio Creatore, e che fu costituito da Dio sopra tutte le creature terrene quale signore di esse, per governarle e servirsene a gloria di Dio. Benedetto XVI afferma che «oggi un ostacolo particolarmente insidioso all’opera educativa è costituito dalla massiccia presenza, nella nostra società e cultura, di quel relativismo che, non riconoscendo nulla come definitivo, lascia come ultima misura solo il proprio io con le sue voglie, e, sotto l’appa39 M E E T I N G D E G L I I D R - 2 3 - 2 5 A P R I L E Tra le personalità intervenute al Meeting, il sindaco Gianni Alemanno e l’assessore alle politiche educative Laura Marsilio. La bella testimonianza del giornalista Francesco Giorgino. Il Santo Padre saluta l’assemblea festante 40 2 0 0 9 M E E T I N G D E G L I I D R renza della libertà, diventa per ciascuno una prigione, perché separa l’uno dall’altro riducendo ciascuno a ritrovarsi chiuso dentro il proprio “Io”. Dentro ad un tale orizzonte relativistico non è possibile, quindi, una vera educazione: senza la luce della verità, prima o poi ogni persona è infatti condannata a dubitare della bontà della sua stessa vita e dei rapporti che la costituiscono, della validità del suo impegno per costruire con gli altri qualcosa in comune» (Discorso all’apertura del Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma, 6 giugno 2005). È dunque meravigliosa e davvero importante, ricorda la GE al n. 5, la vocazione di tutti coloro che, collaborando con i genitori nello svolgimento del loro compito e facendo le veci della comunità umana, si assumono il dovere di educare nelle scuole. Una tale vocazione esige speciali doti di mente e di cuore, una preparazione molto accurata, una capacità pronta e costante di rinnovamento e di adattamento. A questo proposito, Benedetto XVI afferma che educare «non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande “emergenza educativa”, confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita. [...] Dobbiamo dunque dare la colpa agli adulti di oggi, che non sarebbero più capaci di educare? È forte certamente, sia tra i genitori che tra gli insegnanti e in genere tra gli educatori, la tentazione di rinunciare, e ancor prima il rischio di non comprendere nemmeno quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad essi affidata. In realtà, sono in questione non soltanto le responsabilità personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devo- - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 no essere nascoste, ma anche un’atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita» (Lettera alla Città ed alla Diocesi di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008). L’IRC, con il suo contributo specifico, pienamente inserito negli obiettivi dati dalle Indicazioni nazionali, evidenzia come nel progetto educativo della scuola sia opportuno partire dai bisogni e dalle esperienze, nonché porre attenzione alla dimensione socio-politica nel suo senso più alto. È necessario far emergere il superamento della giusta apposizione fra umano e religioso e far risplendere come il Vangelo sia sorgente perenne di una umanità ricca e di un umanesimo veramente plenario e integrale. 4) La “scommessa” sui docenti Perché possa verificarsi tutto quanto detto finora, la Chiesa ha fortemente investito per una autentica e profonda formazione degli insegnanti di religione cattolica, che in questi anni sono stati i veri protagonisti del processo di innovazione del nuovo profilo dell’IRC. Una “scommessa”, in particolare, giocata sulle corde della professionalità scolastica e sul “servizio educativo”, senza mai trascurare la profonda dimensione di appartenenza alla comunità ecclesiale, dalla quale gli insegnanti di religione cattolica traggono linfa vitale per animare dal di dentro il loro servizio educativo. L’insieme degli insegnanti di religione cattolica, costituisce oggi una compagine professionale ben amalgamata, e proprio negli ultimi anni ha registrato profondi e positivi cambiamenti, grazie soprattutto al contributo dei laici e di quei sacerdoti e religiosi che, 41 M E E T I N G D E G L I I D R impegnati “a tempo pieno”, hanno consolidato la loro presenza nella scuola, apportando idee e originalità creativa, condividendo con gli altri colleghi l’impegno educativo finalizzato «alla promozione dell’uomo e del cittadino». Una tappa molto importante, per il riconoscimento della professionalità scolastica, è stata l’emanazione della Legge riguardante il nuovo stato giuridico (2003), con la configurazione del ruolo, che ha visto tutti gli insegnanti di religione, con almeno un servizio continuativo di quattro anni, accedere ad un concorso pubblico bandito per titoli ed esami (scritto e orale), come avviene per gli altri docenti della scuola italiana. Nei fatti, questa esperienza ha messo in luce la solida preparazione e formazione degli insegnanti di religione cattolica, che in questo caso hanno avuto il riconoscimento pubblico e formale della loro professione docente. La nuova situazione peraltro ha consolidato la scolasticità dell’insegnamento. Le Legge sul nuovo stato giuridico era attesa da tanti anni, dato che lo Stato aveva dichiarato di voler dare una nuova disciplina dello stato giuridico sin dal 1985, in occasione dell’Intesa firmata dal Ministero della Pubblica istruzione e la Conferenza Episcopale Italiana. In attesa che lo Stato codificasse le intenzioni dichiarate nel 1985, la Conferenza Episcopale Italiana ha promosso in tutto il territorio nazionale una serie di azioni impegnative al fine di qualificare e aggiornare il personale docente, sia per quanto riguarda la preparazione iniziale negli Istituti Superiori di Scienze Religiose, sia per quanto riguarda la formazione in servizio, nonché lo sviluppo professionale di chi era già in servizio, mediante differenti corsi a livello nazionale e locale, anche in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca. 42 - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 La professionalità, correttamente intesa, non è certo solo la padronanza di conoscenze e competenze legate ai processi di apprendimento scolastico. Non può prescindere, infatti, da un’avvertita intenzionalità educativa che accompagna una profonda e radicata motivazione interiore che è alla base anche di una spiritualità vissuta. Queste caratteristiche sono condizioni essenziali perché l’opera del docente sia in grado di fermentare positivamente l’ambiente scolastico e proporsi come una vera risorsa per l’intera scuola. E l’esperienza concreta, che abbiamo potuto registrare in questi anni, dice come gli insegnanti di religione cattolica, con le loro competenze, siano apprezzati nei contesti scolastici in cui operano, risultando punti di riferimento anche per i colleghi delle altre materie condividendo con loro la passione educativa. L’insegnante di religione cattolica è, nella scuola, “segno” visibile che rimanda alla comunità cristiana, cioè la comunità che vive la fede, nella quale egli è profondamente inserito, anzi ne è l’espressione viva e riconosciuta anche giuridicamente mediante l’istituto dell’idoneità che gli dà l’approvazione documentale dell’appartenenza ecclesiale. Questo riconoscimento non si sovrappone né tanto meno contrasta con il quadro scolastico educativo, bensì lo rafforza e lo precisa, garantendo meglio la dignità professionale e morale dell’Insegnante di religione cattolica. L’idoneità, certamente, non è paragonabile a un diploma che abilita ad insegnare correttamente la religione cattolica. E a questo proposito, la Nota dei Vescovi del 1991, tuttora valida nei suoi aspetti fondamentali, che presto potrà essere riproposta arricchita di quelle riflessioni attente al nuovo contesto scolastico, spiega che l’idoneità ecclesiastica «non si sovrappone, né tanto M E E T I N G D E G L I I D R meno contrasta» con la prospettiva dell’IRC curricolare3. Preparazione culturale e professionale, intenzionalità educativa, forte legame con la comunità: questo è il profilo sostanziale degli insegnanti di religione cattolica, uomini e donne cui la Chiesa italiana sente di dover essere profondamente grata; perché essi svolgono una professione che è tra le più alte e allo stesso tempo realizzano la loro vocazione, vocazione che si pone al servizio della persona, un servizio educativo non facile ma nello stesso tempo appassionante e decisivo, e oggi sempre più prezioso, verso le giovani generazioni. Lo abbiamo dichiarato anche al Convegno di Verona (2006) che la Chiesa realizza il suo impegno educativo anche avvalendosi dell’impegno profuso nella scuola dagli insegnanti di religione cattolica. Nel 1991 avevamo tracciato un identikit dell’insegnante di religione cattolica e lo avevamo definito come «uomo della sintesi», sottolineando, con questa caratterizzazione, il suo trovarsi su crinali diversi, tra fede e cultura, Vangelo e storia, tra comunità ecclesiale e - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 scuola, tra aspirazioni e bisogni degli alunni. Ancora oggi questa definizione trova concretezza nell’esperienza di vita di tanti insegnanti di religione cattolica, che – come recita il titolo di questo Meeting – non si vergognano del Vangelo, anzi lo testimoniano con una passione educativa coraggiosa e coerente. La loro professionalità, spesa nel servizio alle persone, cioè ai bambini, ai ragazzi e ai giovani che abitano la scuola che persegue le sue finalità educative e formative, è autentica testimonianza, anche, di una Chiesa che, nello spirito del Concilio Ecumenico Vaticano II, rifugge dai privilegi, non vuole per sé rendite di posizione, ma cerca di “farsi carne”, di immergersi nella pasta come lievito per promuovere la persona umana, e “fare nuove tutte le cose”: siamo sempre più convinti che il cristianesimo con la sua presenza cattolica, come pensiero, come cultura, come esperienza politica e sociale, è un fattore fondamentale e imprescindibile nella storia del Paese, e con la sua forza è in grado di animare le molte culture che oggi vi coabitano, al fine di promuovere la civiltà dell’amore. ——————————————————— 3 L’idoneità «non è paragonabile a un diploma che abilita ad insegnare correttamente la religione cattolica. Essa stabilisce tra il docente di religione e la comunità ecclesiale nella quale vive un rapporto permanente di comunione e fiducia, finalizzato ad un genuino servizio nella scuola» (Nota CEI, Insegnare religione cattolica oggi, Roma 19 maggio 1991, n. 22). 43 M E E T I N G D E G L I I D R - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 L’IRC, una risorsa per la scuola italiana di Mariastella Gelmini ferma la validità delle soluzioni adottate Anzitutto grazie per l’invito e saluti a Sua con l’Accordo del 1984 e il buono stato dei Eminenza, il Cardinale Angelo Bagnasco, rapporti con la Chiesa cattolica. al Responsabile del Servizio Nazionale Come è noto, rispetto al Concordato del IRC, don Vincenzo Annicchiarico, agli In1929, che definiva segnanti di Religione l’insegnamento della presenti, ai Direttori religione «fondadegli uffici diocesani L’intervento del Ministro dell’Istruzione, mento e coronamenper l’Insegnamento dell’Università e della Ricerca, pronunciato to dell’istruzione della Religione cata braccio e rilevante soprattutto per la sua pubblica», il Contolica. valenza simbolica, ha individuato nell’IRC cordato dell’84 ha Non c’è alcun dubnon un peso supplemen-tare per le finanze attribuito nuovi sibio che l’insegnascolastiche, ma una risorsa educativa apgnificato all’IRC, mento della religioprezzata da famiglie e studenti – come motivandone la prene a scuola sia indichiarisce il dato numerico degli avvalentisi senza nella scuola spensabile strumento – e capace di sviluppare e arricchire l’umacon due ordini di ardi formazione per i nità dei fu-turi cittadini. gomenti: il valore giovani, soprattutto della cultura religioper la conoscenza sa e il patrimonio storico del popolo italiadei principi del cattolicesimo che fanno no che risulta caratterizzato dai principi del parte del patrimonio storico del nostro cattolicesimo. Questo nuovo IRC si è anPaese. dato a collocare «nel quadro delle finalità Non solo: lo studio della religione offre della scuola», assumendone metodi e mocontenuti e strumenti specifici per una letdalità operative. tura della realtà storico-culturale in cui i L’IRC è una disciplina scolastica a tutti gli nostri ragazzi vivono, viene incontro ad esieffetti, essendo dotata di propri programmi genze di verità e di ricerca del senso della di insegnamento, di specifici libri di testo e vita, contribuisce alla formazione della codi insegnanti qualificati. scienza morale e offre elementi per scelte Lo Stato laico, essendo incompetente in consapevoli e responsabili. materia religiosa, si avvale in proposito delVoglio smontare qui alcuni luoghi comuni. la collaborazione della Chiesa cattolica per Nel 2008 l’Insegnamento della Religione garantire l’affidabilità scientifica e l’autenticattolica (IRC) è stato scelto da una larga cità dottrinale dei contenuti insegnati. maggioranza, cioè dal 91,1% delle famiglie Ma l’Insegnamento della Religione cattolie degli alunni. Un dato che sale al 91,8 % ca non è, ovviamente, una forma di indotse si tiene conto anche di quanti frequentatrinamento né un insegnamento riservato no scuole cattoliche. solo ai cattolici. Si è andato definendo – A venticinque anni dalla revisione del Congrazie all’opera intelligente di tanti insecordato Lateranense, insomma, l’IRC nelle gnanti di religione – come occasione di scuole italiane gode di buona salute e con44 M E E T I N G D E G L I I D R confronto aperto e libero su tematiche fondamentali per la vita e per le scelte che i giovani devono compiere. Per questo è un settore fondamentale per la scuola, una vera e propria risorsa. L’esperienza dimostra che anche chi non condivide la fede cattolica partecipa alle lezioni di religione per acquistare una migliore conoscenza della cultura in cui si va ad inserire. La facoltatività dell’IRC – come ha riconosciuto anche la Corte Costituzionale – garantisce il più completo rispetto della libertà di coscienza di tutti e supera qualsiasi obiezione. Del resto è ai dati che dobbiamo guardare, per capire che queste non sono solo parole. Come è noto l’IRC è disciplina curricolare ma facoltativa, che gode di un livello di adesioni sostanzialmente stabile. Nell’anno scolastico 2007-2008 la percentuale di coloro che si sono avvalsi dell’IRC è la seguente (dati CEI): Scuola dell’infanzia Scuola primaria Scuola secondaria di I gr. Scuola secondaria di II gr. Media generale 94,1 94,6 92,7 84,5 91,1 Nel corso degli anni si è registrata solo una lieve flessione, che risulta più accentuata soprattutto nella scuola secondaria superiore (dove la scelta di avvalersi o non avvalersi dell’IRC è affidata agli stessi studenti) e nei grandi centri urbani del Centro-Nord. L'Insegnamento della Religione cattolica, nel corso degli anni, inoltre, ha seguito puntualmente l’evoluzione normativa e ordinamentale della scuola italiana per quanto riguarda il proprio impianto didattico. Dopo i programmi introdotti a seguito del mutato assetto concordatario negli anni - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 1986-’87, sono state stipulate specifiche intese tra il Ministro dell’Istruzione e il Presidente della CEI, con cui sono state approvate e adottate Indicazioni didattiche aggiornate per ciascun ordine e grado di scuola. È inoltre in corso una sperimentazione relativa al primo ciclo di istruzione e nei prossimi mesi si prevede di giungere ad un definitivo assetto didattico per questa disciplina in tutti gli ordini e gradi di scuola, coerentemente con gli indirizzi assunti dal sistema scolastico nazionale. Tutto ciò in attuazione del principio concordatario che vuole l’IRC inserito a tutti gli effetti nel quadro delle finalità della scuola e dunque in evoluzione parallela con essa. Ma al di là del quadro normativo, voglio ribadire la mia convinzione che la scelta della religione a scuola è una opportunità per crescere in umanità. Un bambino e un giovane che non se ne avvalgono hanno sicuramente meno possibilità di vedere la realtà nella sua complessità. È a scuola, dopo che nella famiglia, che si decide il destino personale di ogni giovane. E questa consapevolezza non può che spingerci a rinnovare il nostro impegno nel favorire l’educazione ai principi cattolici delle giovani generazioni, come punto fermo di ogni autentico sviluppo sociale e culturale. L’IRC è l’insegnamento dei valori, perché si pone al centro di tutto la persona umana, la sua dignità, e impartisce principi come la fede, la speranza, la carità. La solidarietà. Oggi, poi, io lo vedo anche come uno dei pochi reali strumenti di integrazione: in una società sempre più connotata in senso multietnico e multiculturale, l’IRC può aiutare gli stranieri presenti nel nostro Paese ad av45 M E E T I N G D E G L I I D R L’aula Paolo VI gremita di IdR provenienti da tutta Italia… … e di IdR romani (anche se molti sono “acquisiti”!). 46 - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 M E E T I N G D E G L I I D R vicinarsi e a comprendere i nostri valori e le nostre tradizioni, segnati dalla presenza di uno specifico patrimonio storico e artistico, permeato dallo spirito cristiano. La scuola italiana sta vivendo un momento intenso di trasformazione, con cambiamenti anche profondi per rispondere alle domande di formazione e di educazione dei ragazzi e degli adolescenti, maschi e femmine. Vogliamo ragazzi e ragazze coscienti delle loro opportunità, responsabilità e compiti. La scuola è il luogo nel quale gli allievi crescono, imparano a conoscersi, a conoscere il mondo e a dialogare con gli altri, preparandosi alla vita. Ciascuno deve avere consapevolezza delle proprie radici, giungendo – attraverso i momenti dell’analisi – a una sintesi personale, libera e responsabile, capace di proiettarsi verso il futuro. E quale - 2 3 - 2 5 A P R I L E 2 0 0 9 disciplina trova maggiormente questa sintesi se non l’insegnamento della religione? Conoscere le proprie radici significa conoscere anche le religioni che hanno plasmato la civiltà occidentale, insieme al cristianesimo, che ne è stata una delle anime più profonde e significative. La scuola italiana deve valorizzare questi percorsi secondo le proprie finalità e deve far diventare questa istanza culturale e formativa un diritto di cittadinanza per consentire a ogni persona di realizzarsi qui e ora, nella società occidentale italiana, guardando anche alle prospettive più grandi dell’Europa e del mondo. Per questo gli insegnanti di religione hanno un compito cruciale, unico. Loro, portatori di passione educativa, sono una risorsa essenziale per formare i cittadini di domani. 47 T U T T A U N ’ A LT R A S T O R I A Tutto Gesù minuto per minuto di Federico Corrubolo Bisogna tenere sempre “oliata” la cosiddetta questione del «Gesù storico». Il bravo IdR lo sa bene: puntualmente infatti trova i suoi ragazzi accesi di entusiasmo per l’ultima trovata dell’esperto di turno (più o meno in buona fede, quasi mai veramente preparato) il quale ha scoperto non si sa bene cosa, ma che insomma i Vangeli sono inattendibili e il cristianesimo è una bufala, quindi ve lo diciamo noi come sono andate davvero le cose. È un filone che “va” molto e soprattutto vende molto. In genere l’esperto di turno presenta documenti attendibili ed imparziali tipo Vangeli apocrifi (tutti rigorosamente meno antichi dei “nostri”), qualche frustulo di papiro, un vaso di coccio o un’antefissa di terracotta i quali dimostrano inoppugnabilmente che Gesù non era affatto il Messia, ma un falegname ebreo che non c’entrava niente e – per motivi politici – è diventato una sconvolgente “idea-forza” che regge da venti secoli la storia d’Occidente e non solo. In questo baluginare di rivelazioni clamorose (sempre dopo la pubblicità, sia ben chiaro), ogni tanto qualche buon libro rimette ordine. L’opera di James D. G. Dunn Gli albori del cristianesimo1 affronta tutte le principali questioni legate alla vita di Gesù, alla sua missione ed alla storicità ed affidabilità dei Vangeli. Consigliamo senz’altro di scorrere almeno il primo di questi tre grossi volumi, che nell’originale inglese suona Jesus remembered: un titolo che è tutto un programma e spazza via da solo un po’ tutto il ciarpame sensazional-anticlerical-giornalistico tipico dei media quando parlano di religione. Il prof. Dunn – come ogni studioso che si rispetti – ripercorre brevemente tutte le principali teorie scientifiche sul problema della storicità dei Vangeli. Il principio è sempre lo stesso: i Vangeli sono fonti inaffidabili perché i loro autori erano credenti e quindi manipolarono la realtà per trasmettere le loro convinzioni. Occorre perciò “saltarli” e cercare di risalire al “Gesù storico” per altra via: apocrifi, cocci, antefisse, papiri ecc… Questa impostazione è giunta al capolinea, non perché non abbia fatto fortuna, ma, al contrario, perché ne ha fatta troppa: le ricostruzioni “scientifiche” del Gesù storico sono una selva lussureggiante e soprattutto disperatamente contraddittoria. Per citare qualche esempio “realmente esistito”: si va dal predicatore spaziale, al giovane imprenditore che amava andare a teatro; dall’uomo affascinante con un debole per le donne di Magdala, all’anarco-insurrezionalista radicale. Il tutto inoppugnabilmente dimostrato con metodo rigorosamente scientifico, al punto tale che al giorno d’oggi non sappiamo più come uscire da un ginepraio inestricabile di ricostruzioni “scientifiche” del Gesù storico, una più assurda dell’altra. Che fare ? ——————————————————— 1 48 James D.G. DUNN, Gli albori del cristianesimo. La memoria di Gesù, 1 Fede e Gesù storico; 2 La missione di Gesù; 3 L’acme della missione di Gesù, Brescia, Paideia, 2006-2007, traduzione di F. Ronchi; edizione originale Christianity in the Making, Eerdmans, Grand Rapids, 2003. L’originale inglese, di ben 1019 pagine è stato ripartito in tre tomi nella traduzione italiana, ma si presenta come il primo volume (!) di una trilogia, che vorrebbe «fornire una rappresentazione e un’analisi integrata, sia storica e teologica sia sociale e letteraria, dei primi centovent’anni più o meno di cristianesimo (27-150 d.C.)» (p. 24). T U T T A U N ’ A LT R A Secondo Dunn ci vuole un mutamento di prospettiva. Dobbiamo uscire dal modello di riferimento del Vangelo come testo scritto, fissato in una edizione (o meglio recensione) e copiato da un codice all’altro fino ai giorni nostri: questo va più o meno bene per l’Odissea, l’Eneide o la Divina Commedia, ma non per i Vangeli. Per almeno due-tre generazioni i Vangeli furono racconti orali “eseguiti” più o meno come fossero musica durante le riunioni o le feste dei villaggi di Galilea, Giudea e Samaria. Soltanto dopo furono scritti. La tradizione orale ha le sue leggi: la conservazione della veste originale del racconto è il suo principio fondamentale, alla cui applicazione collabora tutto il villaggio, come ogni etnologo africano sa bene. Mentre i particolari variano negli elementi accessori del racconto, nei punti essenziali non è permesso innovare né aggiungere nulla e se qualcuno ci si prova viene bruscamente corretto da tutta la comunità degli ascoltatori, che assume un ruolo di garanzia e di vigilanza. La tradizione orale insomma, è una cosa rudimentale ma tremendamente seria. E ha tutta l’aria anche di essere efficace. Non è una cosa difficile da capire, nemmeno nel nostro mondo ipertecnologico: chi c’era provi a raccontare ai nipoti Italia-Brasile dei mondiali del 1982. Per conto mio conservo poche cose essenziali, assolutamente esatte: Barcellona, stadio Sarrìa, 5 luglio 1982. Nello stadio l’erba era tagliata a forma di bandiera brasiliana. Pareggiare non ci bastava, per arrivare in semifinale dovevamo per forza vincere; marcatori nel primo tempo Rossi e Socrates al 10’ (una bordata che sollevò un polverone di gesso bianco sulla linea di porta); nel secondo tempo Rossi, Falcao (che urlava come un forsennato) e ancora Rossi, di rapina, con una girata fulminea. “Nonno” Dino Zoff salvò sulla riga un’incornata di un’attaccante brasiliano a cinque S T O R I A minuti dalla fine. Controllate pure, vedrete che è tutto giusto: sono passati ventisette anni e non ho rivisto la partita in TV neppure una volta dall’inizio alla fine. Se mio nipote volesse fissare i ricordi di suo zio non avrebbe che da scrivere sotto dettatura questo mio racconto: ne verrebbe fuori una pagina epica e grandiosa, imprecisa nei particolari secondari (il nome dell’attaccante brasiliano dell’incornata) ma assolutamente fedele e precisa nei punti essenziali. Esattamente questo è il cambio di “pattern” che ci richiede Dunn a chi si accosta allo studio dei Vangeli. Leggerli oggi non vuol dire più accostarsi ad un documento da “disincrostare”, ma mettersi in ascolto di ciò che la prima generazione cristiana ricordava di Gesù così come se lo ricordava, tenendo fissi gli elementi essenziali e lasciando fluttuare quelli poco importanti. Un lavoro di rielaborazione che in realtà era iniziato già durante la vita stessa di Gesù, quando gli apostoli si trovavano insieme e discutevano tra di loro cercando di capire che tipo era questo galileo che gli aveva preso tutta la vita. Non è difficile immaginare i loro dialoghi: «non ti ricordi come ha detto quella volta… Forse intendeva così e cosà…»; «no, un attimo, quell’altra volta che ha fatto quel miracolo poi ci ha spiegato che… », e cos’ via. Insomma Gesù non spiegava tutto di sé: un po’ sì, ma poi lasciava agli apostoli la fatica di capire. Il risultato di questo lavoro venne trasmesso a voce, con entusiasmo e attenzione molto maggiori di quelli riservati ad Italia-Brasile: chi aveva conosciuto il falegname Galileo veniva a sapere che era risorto, voleva sapere, voleva capire. Nei Vangeli abbiamo la “registrazione” di queste esecuzioni orali, più o meno diverse a seconda dell’uditorio ma assolutamente coincidenti nei punti essenziali ed immutabili. (Per tornare ai mondiali dell’82 un pubblico di giardinieri avrà molto 49 T U T T A U N ’ A LT R A gradito la notizia dell’erba del campo tagliata a forma di bandiera brasiliana, mentre un gruppo di vecchi friulani avrà voluto riascoltare più volte le gesta eroiche di “Nonno” Dino Zoff, loro conterraneo: ma insomma, sempre tre a due è finita…). Il tono forse scanzonato può aver irritato il benevolo lettore? Allora, seriamente: il volume di Dunn ci mette davanti in modo scientifico una verità tutto sommato abbastanza ovvia. Il racconto della vita e della risurrezione di Gesù non ha seguito vie strane e inedite della comunicazione umana: la buona notizia si è inizialmente diffusa nel più povero dei modi, cioè il racconto a voce. Né è il caso di immaginare che si sia necessariamente diramata solo dopo la Pasqua: Gesù aveva fortemente impressionato i suoi e chi lo incontrava, fin da vivo, fin da prima della sua risurrezione. Non è difficile immaginare lo stupore e la meraviglia di chi, dopo S T O R I A averlo ascoltato chiedeva ai suoi vicini: ma chi è ? da dove viene ? Tu lo conosci ? Chissà in quanti villaggi c’era gente che avendo visto un giorno Gesù che passava poi voleva sapere che fine aveva fatto, specie dopo che sarà venuta a sapere che era risorto… Non è strano che a qualcuno sia venuto in mente di prendere appunti ascoltando qualche “vecchia gloria” di quegli anni epici ed eroici… Specie se quel qualcuno era magari Pietro o Giovanni, che hanno visto coi loro occhi e toccato con le loro mani. S’era trattato in fin dei conti di una grande, eroica partita che ancora oggi, dopo 2000 anni desideriamo tanto sentirci raccontare. Gli elementi decisivi ci sono tutti, oggi come allora: Gesù è risorto, la morte è vinta. E come sono andati i fatti, dalla notte del Gestemani fino all’alba di quel mattino, il primo giorno dopo il sabato, lo sappiamo minuto per minuto… La facciata e l’interno della chiesa abbaziale dei ss. Vincenzo e Anastasio durante il ritiro degli IdR (Tre Fontane, 21 marzo 2009). Le linee sobrie dell’edificio facilitano il raccoglimento e la ricerca dell’essenziale: un posto ideale per il silenzio e la preghiera. 50 R I P R E S E & D E T T A G L I Amistad di S. Spielberg (1997) USA, 152 min. (con Morgan Freeman e Anthony Hopkins) di Andrea Monda Ancora una volta un film di Spielberg; dopo The Terminal ora è la volta di un'altra pellicola considerata “minore” dalla critica cosiddetta ufficiale, ma ricca di significati e stimoli adatti ad una discussione con le classi superiori all’interno di un corso di religione cattolica. Amistad è un film del 1997, che non conobbe un gran successo né di pubblico né di critica ma che invece mostra un autore ormai maturo e più che mai esperto nell’uso della macchina da presa. Realizzato all’interno della cosiddetta “trilogia umanistica” (tra Schindler’s list del ’93 e Salvate il soldato Ryan del ’98) questo film sembra fare la figura della “cenerentola” tra le due grandi pellicole dedicate al secondo conflitto mondiale, ma in realtà non sfigura minimamente al confronto. Il film è molto lungo, due ore e mezza, e per certi versi varrebbe la pena mostrarlo interamente ai ragazzi, ma la mia attenzione ora si vuole concentrare solo su una sequenza. Però, innanzitutto, brevemente, la trama. Una storia di libertà Il film racconta la storia vera della nave spagnola Amistad che nel 1839 diventa scena della violenta rivolta degli schiavi africani che costringono gli spagnoli rimasti vivi a virare verso l’Africa. Sei settimane dopo avvistano un’isoletta e con una piccola imbarcazione raggiungono la terraferma per rifornirsi d’acqua. Arriva però anche una nave americana che sentendo le grida degli spagnoli attacca i neri, che vengono nuovamente messi in catene e portati in America. La questione ben presto si complica perché non si sa a chi appartengano questi schiavi; vengono portati davanti al giudice dove si viene a sapere che potrebbero essere o di proprietà della Spagna (si è mobilitata persino la regina Isabella II, facendo pressioni sul presidente degli Stati Uniti, Martin Van Buren) oppure di due loschi figuri che presentano in tribunale un contratto d’acquisto di questi schiavi firmato a l’Avana. La vicenda dei prigionieri diventa di dominio pubblico e si fa avanti un giovane avvocato, il signor Baldwin, a difendere la causa degli schiavi africani, sollevando la questione dell’importanza del fatto se questi siano nati oppure no come schiavi. Secondo Baldwin, infatti, se sono nati liberi non sono da considerare schiavi e quindi merce da vendere. Attraverso l’aiuto di un traduttore Baldwin si fa raccontare tutta la storia dal capo degli africani, il fiero Cinqué (si legge Sinchè) che nella sua terra era il capo del villaggio. Il primo grado del processo è vinto da Cinqué e dall’avvocato Baldwin ma gli sconfitti ricorrono in appello. A questo punto Baldwin è costretto a scrivere all’ex-presidente John Quincy Adams, abolizionista, il quale dopo qualche titubanza accetta di aiutarli. Molto intenso è l’incontro tra il vecchio ex-presidente e Cinqué. Grazie all’arringa tenuta da Adams, anche la Corte Suprema emette la sentenza a favore degli schiavi. Il film termina con la liberazione della Fortezza degli schiavi a Lom51 R I P R E S E boko nella Sierra Leone e con le didascalie informative su quello che accadrà negli anni successivi: l’elezione di William Henry Harrison come nono presidente degli Stati Uniti, la Guerra di secessione e Cinqué che ritorna in Africa, ma non trova la sua famiglia, probabilmente ridotta in schiavitù. Il film è molto bello e lo spettatore rimane incollato allo schermo anche per scoprire come andrà a finire il tormentato processo degli africani della Amistad. Quando mostro ai miei studenti la sequenza che ora illustrerò, avverto sempre il loro rammarico nel non vedere anche il resto del film. Libertà e fede La sequenza che presento dura nove minuti e si riferisce al momento fondamentale del processo di primo grado (nel menù del DVD è la scena n. 13, dopo un’ora e 28 minuti e fino a un’ora e 37 minuti). In aula gli schiavi sono tutti assiepati sui banchi degli imputati, la tensione nell’aria si taglia con il coltello, il regista mostra alcune immagini senza sonoro, ad amplificare il senso dell’ansia e dell’attesa che penetra dappertutto nella sala del tribunale affollata all’inverosimile, fino a quando la tensione scoppia allorché il fiero leader degli schiavi ribelli, Cinqué si alza e inizia a gridare in una lingua tanto scorretta quanto efficace, seguito poi dagli altri, la frase: «Date a noi liberi» (Give is us free, in originale). Gli schiavi vengono messi a tacere ma il giovane giudice che deve emettere la sentenza è rimasto senz’altro impressionato: la scena successiva lo ritrae che si incammina lungo i banchi di una chiesa vuota, si inginocchia davanti all’immagine del crocifisso e prega per avere saggezza nel giudizio dell’indomani. E la mattina dopo ecco il giudice affermare che questi uomini sono nati in Africa liberi e fa dunque arrestare i 52 & D E T T A G L I due spagnoli che li volevano loro schiavi e li dichiara liberi tra le grida (di tripudio e di protesta) dei presenti. È una sequenza molto intensa, che sottolinea incisivamente la tragedia della schiavitù e la drammaticità della lotta per la libertà, ma non è questo il motivo per cui io la mostro agli studenti delle classi superiori. C’è infatti, all’interno di questa sequenza principale, che chiamo per facilità A, un’altra piccola sequenza (la sequenza B) che si intreccia con la prima, in cui si dimostra tutta la bravura e anche l’afflato spirituale di Spielberg e che si rivela molto importante ai fini dell’IRC: la sequenza del dialogo tra Cinqué e Yamba. Qui di seguito riporterò ampi stralci di questo dialogo (ma ovviamente un testo trascritto riduce di molto l’impatto della scena del film). Yamba è uno degli africani che, per caso, si è trovato nelle mani una copia della Bibbia e per curiosità si è messo a sfogliarla. Lo si vede durante il processo intento a girare le pagine soffermandosi ovviamente sulle immagini che illustrano la storia della salvezza (non conosce infatti la lingua inglese). Dopo la burrascosa udienza che precede il giorno della sentenza, ritroviamo Yamba intento a “leggere” la Bibbia negli spazi malsani della prigione (una specie di grotta sotterranea) dove, fino al termine del processo, sono stati incatenati i presunti schiavi dell’Amistad. A vederlo leggere, Cinqué lo rimbrotta: «È inutile che fai finta di leggere, tanto non c’è nessuno che ti sta guardando», gli dice, forse irritato dell’atteggiamento dell’amico. Ma Yamba gli risponde prontamente: «Non sto fingendo, sto finalmente cominciando a capire». Cinqué gli si avvicina e Yamba lo introduce e lo guida, come in una vera catechesi, attraverso la storia biblica, ovviamente una storia ripercorsa attraverso le illustrazioni piuttosto che attraverso le parole, quasi una Biblia pauperum. Così vediamo Yamba R I P R E S E che gli mostra alcune illustrazioni di strage e distruzione tratte dall’Antico Testamento commentando: «La loro gente ha sofferto più della nostra, le loro vite erano piene di sofferenza». Poi si vede la scena della Natività di Gesù e Yamba intuisce che: «Poi nacque Lui e tutto cambiò». «Lui chi è?» chiede Cinqué (ponendo così la domanda decisiva di ogni uomo che da 2000 anni incontra il Vangelo) ed è bella la risposta di Yamba: «Non lo so, ma ovunque vada è seguito dal sole» (indicando l’aureola attorno al volto di Cristo). Prosegue la descrizione di Gesù: «Qui cura la gente con le sue mani…»; «…la protegge» (l’illustrazione è quella dell’adultera di Gv 8); «Gli portano i bambini», «Può anche attraversare il mare» (qui è evidente l’emozione dei due africani, catturati nel caldo paese africano e condotti attraverso l’oceano, in un’altra parte sconosciuta del globo). «Poi accadde qualcosa» dice Yamba e il montaggio del film passa alla sequenza A mostrandoci l’ombra del giudice che cammina dentro la chiesa verso il crocifisso; «Fu catturato, accusato di qualche crimine. Lui è qui con le mani legate» (l’illustrazione mostra il processo di Gesù davanti a Pilato). Cinqué subito osserva: «deve aver fatto certo qualcosa», ma la risposta di Yamba è struggente: «Perché? Noi che cosa abbiamo fatto?», al che lo spettatore non può non rimanere indifferente: è perfetta l’identificazione della figura di Cristo con quella di tutti quei “poveri Cristi” dei giovani africani buttati ingiustamente in catene nel carcere americano. Yamba aggiunge, mostrando l’immagine del Golgota con le tre croci: «Qualunque cosa fosse, era grave abbastanza per farlo uccidere». Cinqué è senz’altro scosso ma di fronte all’immagine di Cristo morto in croce non può far altro che dire: «È solo una storia, Yamba!». Al che l’amico non si scompone, gira le pagine e mostra l’illustrazione della deposizione dalla croce dicendo: «Ma, & D E T T A G L I guarda! Non è la fine. La sua gente prese il corpo giù da questa… da questa… cosa» e disegna in aria con la mano una croce, proprio nel momento in cui il perfetto montaggio del film mostra il giudice che si fa il segno della croce davanti al crocefisso. Yamba continua la sua “catechesi” teso a mostrare al suo capo ancora “scettico” come la storia di Cristo sia in perfetta simbiosi con la loro storia: «Lo hanno portato in una grotta; avvolto in una stoffa come noi». È la scena della sepoltura, ma lo spettatore, guidato dalle parole di Yamba, non può fare a meno di non vedere i giovani africani, chiusi in quella grotta-prigione e avvolti in rozze coperte senza pensare alla naturale identificazione tra le due storie, quella biblica e quella dei lettori della Bibbia. «Pensavano fosse morto» continua Yamba, «ma poi apparve di nuovo davanti alla sua gente» (la Bibbia è aperta alla pagina delle apparizioni di Cristo ai discepoli). «E parlò loro. E infine si alzò in cielo» e tutti guardano verso l’alto: i personaggi ritratti all’interno dell’illustrazione, che guardano verso Cristo assunto in cielo; Yamba e Cinqué che alzano istintivamente gli occhi al cielo, copiando il gesto dei discepoli; e infine si vede il giudice assorto in preghiera davanti al crocifisso, ma la telecamera riprende la scena da terra, per cui il Cristo crocifisso sembra lanciato verso il cielo (a significare che il Cristo assunto è lo stesso Cristo crocifisso e quello crocifisso è quello risorto e assunto). «Qui è dove va l’anima quando muore» intuisce con lo sguardo felice Yamba e spiega all’amico indicando il cielo raggiunto da Gesù: «Qui è dove andiamo noi quando ci uccidono», ancora una volta lo stesso messaggio: in ogni uomo c’è Cristo, la storia dell’uomo e quella di Cristo sono intrecciate, innervate una nell’altra. Cinqué ormai non può non essere toccato, e guarda Yamba che termina il suo racconto per immagini con un suo “giudizio finale”: 53 R I P R E S E «Non sembra tanto brutto», e le pagine che indica sono due, quella della crocifissione (con i tre corpi appesi alla croce) e quella della stessa scena ma dopo la deposizione, con le tre croci vuote; dopo la morte la resurrezione, cioè: è una storia di sofferenza e dolore, ma è una storia bella, che ha senso, che va oltre ogni apparenza e aspettativa, che dà speranza. Ed è la speranza il sentimento che anima i prigionieri africani la mattina dopo quando, incatenati davanti agli sguardi dei curiosi, sfilano per le vie della città per recarsi al tribunale dove si svolgerà l’epilogo della loro drammatica vicenda: speranza di giustizia e liberazione. La telecamera del regista si sofferma ovviamente anche su Cinqué e Yamba, i due autori dell’intenso dialogo a carattere religioso ed evangelico: Cinqué è sempre fiero mentre cammina, sempre pronto a incoraggiare i suoi, da buon capo del villaggio, mentre Yamba lo vediamo che sembra distrarsi per uno strano spettacolo che vede svolgersi oltre i tetti delle case (è un colpo di genio del regista): ecco che, dietro gli alti edifici del porto della città, si intravedono i tre alberi di una grande nave, ma la nave non si vede, dal punto di visuale di Yamba quello che appare sono solo tre grandi croci, vuote, proprio come quelle dell’ultima illustrazione appena vista. Con commossa partecipazione e intensa speranza Yamba riceve come un segno che lo rincuora, confermandolo nella “fede” appena conosciuta attraverso quella strana storia che “non sembra tanto brutta”. Dio libera l’uomo attraverso il Figlio, Gesù Cristo, uomo dei dolori Se il tema del film è quello della giustizia e della libertà, la scena che ho voluto estrapolare e che spesso mostro ai miei alunni ci rinvia direttamente al testo biblico e al con54 & D E T T A G L I cetto del Dio che libera l’uomo ma attraverso l’Incarnazione, facendosi Egli stesso uomo come noi. Il Dio cristiano è un Dio “credibile”, proprio perché ha il volto umano, perché ha assunto tutta la fragilità dell’uomo, redimendola. È un messaggio profondo, anche complesso, ma che la rapida ed efficace scena del film Amistad è capace di rendere accessibile a chiunque. Il tema quindi si sposta di qualche grado, non più un film sulla libertà (questo è il tema della sequenza A), ma il piccolo inserto (sequenza B) è tutto sul tema dell’evangelizzazione. Come arriva e come far arrivare la parola del Vangelo a chi non ha mai sentito parlare di Cristo? Con il sistema della storia per immagini, si potrebbe dire della Biblia pauperum, il film dell’ebreo Spielberg stimola lo spettatore ad una bella e seria riflessione, che ci porta a dire, tra l’altro, che quello dell’uomo dei dolori è il volto di Cristo che forse più di ogni altro fa breccia nel cuore di ogni uomo. Forse è il dolore ciò che accomuna tutti gli uomini come osservava Umberto Galimberti, un intellettuale certamente non allineato su posizioni cattoliche, su la Repubblica nel 2002, parlando (ed elogiando) la tenacia con cui Giovanni Paolo II mostrava al mondo il suo volto e il suo corpo piegato dalla sofferenza; così come un’altra autrice certamente non “schierata” come la scrittrice Natalia Ginzburg che, sulle pagine dell’Unità nel 1986 confidava: «A me dispiace che il crocifisso scompaia da tutte le classi. Mi sembra una perdita… Il crocifisso è il segno del dolore umano. Il crocifisso fa parte della storia del mondo. Prima di Cristo nessuno aveva mai detto che gli uomini sono tutti uguali e fratelli… Gesù Cristo ha portato la croce, e a tutti noi è accaduto di portare sulle spalle il peso di una grande sventura». È questo il senso della scena di Amistad che ho cercato di riassumere. L E O P E R E E I G I O R N I Le opere e i giorni a cura della Redazione Conferenza Episcopale Italiana Servizio Nazionale per l’IRC (a cura), L’insegnamento della religione risorsa per l’Europa. Atti della ricerca del Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, LDC, Leumann 2008, libro + Cd Rom, pp. 461, € 40,00, ISBN 978-88-01-04116-3. Il volume riporta gli Atti e il materiale vario raccolto durante la ricerca sull’insegnamento della religione in Europa svoltasi tra il gennaio del 2005 e il novembre del 2007; ricerca e relativo convegno voluti dal Consiglio delle Conferenze episcopali d’Europa (CCEE) per iniziare un comune cammino di confronto e scambio di idee tra operatori del settore all’interno dei rispettivi organismo ecclesiali nazionali. Il volume è così strutturato: • documenti sulla fase preparatoria della ricerca (pp. 13-19); • interventi del primo incontro CCEE sull’IR svoltosi a Roma il 10 luglio 2006 (pp. 23-64), nel contesto del quale l’intervento del sottosegretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica Mons. Zani (Formare l’uomo europeo. Le sfide della scuola) fornisce un’acuta analisi dei rischi sottesi ad alcune politiche europee di formazione; • i rapporti nazionali sulla condizione dell’IR in ventinove paesi europei (pp. 67304), che hanno il pregio di fornire un quadro sinottico di notevole rilievo al fi- ne di prender coscienza di una situazione alcuanto variegata: l’IR confessionale è presente in diciannove paesi (e nelle regioni francesi di Alsazia e Mosella); il non confessionale è presente in cinque (tutti protestanti); in Francia, Bielorussia e Bulgaria l’insegnamento è assente. Di questa seconda parte segnaliamo in specie il quadro sintetico offerto da Andrea Porcarelli (pp. 298-304) e la griglia comparativa (pp. 278-297); • i contributi teorici elaborati da uno staff di esperti in base ai dati della ricerca (pp. 307-386). Di questa sezione vogliamo segnalare due relazioni: quella di Sergio Cicatelli (Il contributo dell’Ir alla formazione dell’identità personale e delle competenze sociali, pp. 321-333) perché prende in considerazione la crescente realtà degli insegnamenti interconfessionale; e quella di Etienne Verhack (Belgio), segretario generale del Comitato Europeo per l’Insegnamento Cattolico, su L’insegnamento religioso nelle scuole cattoliche dell’Europa (pp. 361-374) soprattutto per la franchezza con cui vengono esaminati gli effetti dell’insegnamento dell’IR sulla formazione umana e culturale degli studenti e gli ostacoli posti dai governi e dall’ambiente all’IR; • il materiale dell’incontro finale tenutosi a Roma dal 20 al 30 novembre 2007 (pp. 397-445). In questa sezione è contenuto il documento finale L’insegnamento della religione una risorsa per l’Europa (pp. 432437) del quale riportiamo due passaggi: «Le Chiese cattoliche d’Europa avvertono la presenza di un clima culturale spesso sfavorevole all’Insegnamento della religio55 L E O P E R E ne nelle scuole. In molti paesi è presente il dubbio sulla legittimità dell’esistenza stessa dell’Insegnamento della religione nella scuola perché vien detto, nel clima culturale emergente, che la religione è una questione privata» (par. 2.3., p. 435); «Particolare attenzione è avvertita dalle Chiese d’Europa per scegliere, formare ed aggiornare gli insegnanti di religione, offrendo loro un particolare accompagnamento spirituale e percorsi di formazione continua… È poi anche avvertito il bisogno di gruppi e di associazioni in cui poter dialogare sulle tematiche della loro spiritualità e professionalità e sui contenuti del loro insegnamento» (par. 3.2., p. 435). Il documento finale nel quinto paragrafo dedicato alle conclusioni, propone alcuni indiscutibili punti fermi: necessità di valorizzare il ruolo della famiglia nel sostegno all’IR; la convinzione che l’IR può legittimamente essere proposto agli allievi indipendentemente dalle fede religiosa per il suo valore formativo umano e culturale; la constatazione che l’IR confessionale risponda meglio all’esigenze attuali poiché mette i giovani in contatto con una realtà vivente e verificabile e non semplicemente con un insieme di credenze livellabili sulla sola dimensione intellettuale. In breve: il volume ripone il suo valore soprattutto nel fornire dati numerici e situazionali sull’IR nei diversi paesi europei. Escludendo la relazione di Mons. Zani si avverte però la mancanza di un contributo più approfondito e puntuale sull’evoluzione dell’IR in Europa. Manca, a nostro avviso, anche una riflessione sul rapporto tra valori religiosi e travagliata questione delle “radici cristiane” dell’Europa, o almeno una contestualizzazione di esso. Ciò sarebbe stato utile per leggere i dati forniti sullo sfondo di motivazioni politiche e culturali più ampie (G. Forlai). 56 E I G I O R N I CEI, Servizio Nazionale per l’IRC (a cura di), Nella scuola a servizio della persona. La scelta per l’IRC, Leumann (TO), Elledici, 2009, pp. 158, € 18,00, ISBN 978-88-01-04275-7. Il volume, curato dal Servizio Nazionale della CEI – impegnato a seguire in modo permanente i problemi per l’IRC nella scuola e a elaborare strumenti e sussidi per l’aggiornamento degli IdR – e scritto a più mani, si propone di fare il punto sull’IRC in Italia. Esso si «offre come occasione di stimolo e di riflessione a quanti hanno a cuore il presente e il futuro dell’insegnamento della religione cattolica in Italia» (p. 6). Dopo una breve presentazione da parte del Card. Angelo Bagnasco, il libro si articola in quattro ampi capitoli: 1. Per una cultura a servizio della persona 2. 1993-2008: Quindici anni di dati sull’IRC nelle scuole statali 3. Il contributo dell’insegnante all’identità dell’IRC 4. L’insegnamento della religione, una risorsa per l’Europa. Il primo capitolo, redatto da don Vincenzo Annichiarico, responsabile del Servizio Nazionale per l’IRC della CEI, evidenzia il contributo che l’IRC (in possesso di tutti gli strumenti e i linguaggi propri della scuola, pienamente inserito nelle sue finalità e promosso da seri e capaci professionisti) può offrire alla cultura scolastica e l’apporto decisivo che detto insegnamento può offrire ai giovani nella definizione del loro personale orizzonte di senso e nella costruzione del loro personale quadro di valori. Il secondo capitolo è scritto da G. Antonio Battistella, Alessandro Castegnaro e Dario Olivieri, tre statistici che da quindici anni L E O P E R E hanno messo a servizio dell’Osservatorio socio-religioso del Triveneto (di cui Castegnaro è direttore) la loro professionalità, lavorando all’elaborazione statistica dei dati relativi all’IRC e agli IdR, agli alunni avvalentisi e non, all’ora alternativa, ai libri di testo, ecc. Essi illustrano con grande chiarezza i risultati delle loro ricerche analizzando le tabelle statistiche che fotografano la condizione dell’IRC in Italia. Il terzo capitolo è curato da Sergio Cicatelli, esperto di IRC e consulente del Servizio Nazionale per l’IRC stesso. Cicatelli ripercorre e rilegge tutta la storia dell’IRC partendo dall’idea che il Concordato del 1984 ha dato a questo insegnamento un carattere di disciplina sostanzialmente “debole” (aggettivo che Cicatelli riprende da L’ora debole di C.C. Canta), perché il nuovo Concordato, tra le altre cose, «si sofferma ampiamente sul nuovo regime di facoltatività, dal quale ci si attendeva un sensibile calo di partecipazione […, pone] il divieto di ricorrere a voti e di sottoporre ad esame gli studenti, [e impone] l’uso di una scheda separata di valutazione» (p. 120). Quindi Cicatelli ricostruisce l’annosa questione dello stato giuridico, attraverso i dibattiti parlamentari e i vari provvedimenti, fino ad arrivare alla legge 186/03 e alle conseguenze (cfr p. 132) che essa ha prodotto sull’insegnamento stesso, sui docenti, sulla Chiesa, sullo Stato. Il quarto e ultimo capitolo è redatto da Alberto Campoleoni, coordinatore del progetto “IR in Europa”, che riferisce e interpreta i risultati di una ricerca promossa dal Consiglio della Conferenze episcopali d’Europa (CCEE) e dalla CEI (vedi la recensione precedente). La ricerca, condotta da numerosi delegati delle chiese di Europa, testimonia l’importanza che per le Chiese riveste l’azione educativa dell’IRC, considerato ovunque una risorsa per l’Europa e per la formazione dei giovani europei e come possibile prota- E I G I O R N I gonista della realizzazione di un autentico processo di unificazione e integrazione dei popoli. In appendice a questo capitolo è riportata, a cura di Loretta Recrosio, una sintesi dei dati della ricerca stessa. Il libro esamina le problematiche passate e attuali dell’IRC attraverso quattro capitoli ben calibrati, offre molteplici spunti di riflessione, consente di rileggere la storia dell’IRC con grande lucidità e con il giusto distacco dalle vicende passate e proietta una nuova luce sul suo futuro (G. P. Testa). Laura Mentasti – Cristiana Ottaviano, Cento cieli in classe. Pratiche, segni e simboli religiosi nella scuola multiculturale, Edizioni Unicopli, Milano 2008, pp. 251, € 15,00, ISBN 97888-400-1290-2. Non capita frequentemente di imbattersi in libri seri che trattino con pacatezza e profondità temi di stringente attualità, e solo apparentemente di nicchia, come quello della presenza dei simboli religiosi nella scuola. Laura Mentasi, esperta in processi formativi, e Cristiana Ottaviano, professore associato di sociologia dei processi formativi, ci offrono un testo ricco di informazioni raccolte nelle scuole, di documentazione (anche sitografica), di testimonianze di persone che nel mondo dell’istruzione si misurano realmente con il problema della multiculturalità e dei suoi simboli. Vogliamo prima di tutto presentare la struttura del libro con i rispettivi contenuti e in chiusura offrire alcune considerazioni. Il primo capitolo prende spunto dalla vicenda nostrana della rimozione del crocifisso dalla scuola di Ofena, in provincia dell’Aquila, e dall’affaire du voile in Francia, per racco57 L E O P E R E gliere le varie opinioni e tendenze culturali intorno ad un contenzioso tra laici, cattolici e atei devoti, tutt’altro che risolto, che ha per oggetto la presenza di simboli religiosi nello spazio pubblico. Il secondo capitolo mette sul piatto la scelta laica e non identitaria sancita dall’Unione Europea attraverso il Trattato di Lisbona del 2008 (sostitutivo del contestatissimo Trattato costituzionale europeo del 2004): si fa notare che in tale testo la laicità è declinata soprattutto nei termini di apertura alla multiculturalità e di equiparazione di tutte le credenze (religiose e filosofiche), con un voluto silenzio intorno alle radici giudaico-cristiane, finalizzato dalla volontà politica di non ancorarsi a principi assoluti. È questa, lo diciamo subito, un’idea di laicità confusa e svuotata delle sue radici cristiane e illuministe; un’idea di laicità ‘frontale’: ethos statale di fronte a valori religiosi. Ci chiediamo se non sia più valido un modello di laicità ‘inclusivo’: valori religiosi colti all’origine della laicità (come, tra l’altro, suggerisce mons. Rino Fisichella nel suo libro Identità dissolta, Mondadori, Milano 2009). Con il terzo capitolo Mentasi e Ottaviano lasciano sullo sfondo le grandi questioni per introdurci nel vissuto della scuola italiana attraverso una serie di interviste ad operatori e docenti. Così le Autrici: «In generale, nei nostri interlocutori c’è comunque la convinzione che la scuola non possa e non debba proibire la presenza di segni e simboli: la soluzione “alla francese” – che, in nome della laicità, intesa come proclamazione della “a-religiosità” dello Sato, vieta qualsiasi manifestazione e/o ostentazione di appartenenze religiose – viene, più o meno esplicitamente, criticata da tutti» (p. 104). Il quarto capitolo fornisce uno spaccato statistico sulla presenza dei minori stranieri in Italia rilevandone anche l’appartenenza religiosa: si scopre così che gli albanesi nelle scuole italiane rappresentano il 15,5% degli scolarizzati stranieri, seguiti da 58 E I G I O R N I rumeni (13,6 %) e marocchini (13,5 %). Naturalmente le percentuali variano sensibilmente a seconda delle regioni (gli albanesi sono per lo più concentrati in Puglia). Sulle appartenenze religiose non possiamo usufruire di dati statistici; ciononostante, date le provenienze, si può ragionevolmente supporre che la religione musulmana sia la più presente (Albania e Marocco sono paesi a maggioranza islamica). Come viene vissuta questa presenza nel quotidiano scolastico? È l’interrogativo del quinto capitolo che restringe la visuale alle esperienze didattiche condotte nelle scuole di Bergamo e Brescia, ove gli studenti stranieri superano abbondantemente la soglia del 10% (con in testa i boliviani per Bergamo e gli albanesi per Brescia). E se nel bergamasco l’esperienza più seguita per favorire l’integrazione è quella dei mediatori culturali, il circuito bresciano offre iniziative più articolate e di complessa gestione: si va dai poli di prima accoglienza nelle scuole, al “progetto di alfabetizzazione e preservazione della cultura d’origine” per donne e minori, passando per il mediatore linguistico-culturale. Ma al di là delle iniziative si constata che le difficoltà vengono superate per lo più «grazie a un’esperienza ormai consolidata del corpo docente» (p. 139). Il sesto capitolo si immerge decisamente nel tema del libro: il pluralismo religioso e i simboli delle religioni nello spazio delle scuole bergamasche e bresciane. Ed è tra queste pagine che si possono attingere importanti considerazioni. Prima fra tutte: il problema del pluralismo religioso non è ancora sufficientemente coscientizzato perché il “fatto religioso” in genere tende a restare in secondo piano rispetto ad altri elementi pragmaticamente parlando più urgenti (ad esempio l’integrazione linguistica). In secondo luogo l’occasionalità con la quale gli alunni sollevano con curiosità domande al docente circa abitudini o segni religiosi altri «impone di L E O P E R E abbandonare una rigida logica programmatoria, per sviluppare invece la capacità di gestire l’imprevisto, di adattare il proprio lavoro alla situazione che si crea di volta in volta» (p. 145). I problemi legati al crocifisso in classe (che sia appeso o meno) sembrano non suscitare grande enfasi, mentre il problema dell’alimentazione regolata da convinzioni religiose viene risolta con menù alternativi. Più delicata la questione delle festività religiose cattoliche che determinano anche la sospensione dell’attività didattica. In quest’ambito la diversità tra un istituto scolastico e l’altro è marcata e solitamente gestita dai docenti: si va dal silenzio, a momenti di festa svuotati di contenuti religiosi, a qualche raro tentativo di spiegare il significato culturale e storico della festività. Per ciò che riguarda la scelta dell’IRC, si oscilla tra il 50% e il 75%, ma il dato non può essere preso come demarcazione categorica di appartenenza religiosa: se è vero che solitamente i professanti altre fedi non frequentano l’ora di religione cattolica, una quota non irrisoria sceglie di avvalersene, e d’altra parte anche alcuni genitori cattolici iscrivono i figli ad attività alternative perché considerano l’IRC inutile ai fini di una crescita nella fede. Arriviamo finalmente alle conclusioni delle Autrici. In forza dei risultati della ricerca si può affermare che la situazione italiana sia particolare rispetto alla Francia (ove l’IR manca del tutto, a presunta tutela della “laicità” della scuola), alla Spagna (mantenimento dell’insegnamento ed affiancamento in futuro di una disciplina che proponga i pilastri di un’etica laica) o alla Gran Bretagna (dove si moltiplicano esperienze di multifaith religious education). In Italia l’insegnamento della religione riveste ancora un ancoraggio confessionale marcato e i problemi legati al velo o al crocifisso non sembrano così decisivi come la stampa vuol far credere. Ciò non vuol dire che la situazione non cambi o non debba cambiare. Da più E I G I O R N I parti si chiede una revisione dell’IRC e un’assunzione più consapevole del pluralismo religioso destinato a crescere nei prossimi decenni. È questo il punto nodale per le due ricercatrici: l’urgenza di elaborare percorsi didattici interculturali e religiosi non sporadici. Ma se nella programmazione curriculare non si accentua la rinnovata importanza del “fatto religioso” in sé, allora anche l’integrazione tra fedi cade nell’occasionale e il problema viene lasciato alla buona volontà dei docenti. Se non si assume questo punto di vista ampio la pluralità delle fedi, più che una risorsa, rischia di suscitare ostacoli e incomprensioni; così le Autrici: «Il tema della valorizzazione della multireligiosità a scuola, infatti, non è risolvibile nel dibattito sulla conservazione, introduzione o rimozione di segni religiosi in contesti pubblici … quanto piuttosto attraverso l’adozione di prassi di conoscenza, innanzitutto, e poi di confronto dialogico… sulla presenza di pratiche e segni religiosi» (p. 230). A tal proposito si potrebbe ampliare l’assunto con la lettura del bel lavoro di Paolo Gomarasca, Meticciato: convivenza o confusione? (Marcianum Press, Venezia 2009). Prima di concludere questa recensione vogliamo porgere due considerazioni. Prima di tutto dalla ricerca si apprende che tutto il clamore suscitato dai media intorno alla questione della presenza o meno nelle scuole dei simboli religiosi è volutamente esagerato: la scuola italiana ha ben altri problemi, forse più legati alla solidità strutturale dei muri ai quali eventualmente attaccare il crocifisso! In secondo luogo il testo sottolinea giustamente la radice del problema che non è prima di tutto nell’insegnare una determinata religione bensì nel riconoscere legittimità e spessore al senso religioso e al “fatto religioso” nella cultura contemporanea, cultura che ha visto ripresentarsi in maniera inaspettata e sorprendente il ritorno delle religioni sullo scenario mondiale (nel bene e nel male), in 59 L E O P E R E barba alle profezie di desacralizzazione selvaggia degli anni ’70 e ’80 del Novecento. Le religioni sono un fatto vissuto prima ancora che un oggetto di studio. In tal senso Cento cieli in classe ha la pecca di non accennare al rapporto inversamente proporzionale tra secolarizzazione e nuova religiosità: mentre si de-sacralizzano i simboli e linguaggi tradizionali delle fedi emerge un tipo di senso religioso più interiorizzato e relazionale/comunitario forte che, se può, evita lo spazio pubblico e/o politico. Ma l’approccio del libro è sostanzialmente sociologico; pertanto questo limite è sicuramente superabile (G. Forlai). Giuseppe Lorizio, Le frontiere dell’Amore. Saggi di teologia fondamentale, Lateran University Press, Città del Vaticano 2009, pp. 362, € 25,00, ISBN 978-88-4650-642-9. Mons. Giuseppe Lorizio, ordinario di Teologia fondamentale nella Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense e Preside dell’ISSR “Ecclesia Mater”, offre in questo volume una preziosa raccolta di saggi occasionata da conferenze tenute in vari seminari e convegni. Non si pensi però che una tale occasionalità vada a scapito dell’organicità della proposta. Lorizio – chi ne è fedele lettore lo sa – ha una sua linearità garantita da assunti ermeneutici di indubbio quanto esplicito sapore rosminiano. Sono proprio questi assunti unificanti che consentono di leggere anche Le frontiere dell’Amore senza disperdersi. Lorizio ha la carità intellettuale, non abituale tra i teologi di professione, di fornirci le linee guida della raccolta nel Prologo (in terra), pp. 7-12: innanzi tutto i saggi si pongono in una terra di confine, 60 E I G I O R N I connaturale e strutturante la teologia fondamentale, tra cultura filosofica contemporanea e credibilità della Rivelazione; la frontiera viene continuamente forzata con “Amore”, cioè nell’ottica di una Carità che si dona e di cui, per dirla con Rosmini, l’uomo non è mero fruitore ma ancor più “ospite”. E qui bisogna intendersi: Lorizio propone una metafisica agapica originata dall’ontologia della gratuità: l’essere non si dice semplicemente come “essenza” o come “relazione”, bensì come gratuità. La Caritas, essenza di Dio, non si coglie nella fissità di una onto-teologia ma nemmeno (ed è questo il punto forza dell’Autore) in una sostanza che si declina semplicemente nella simmetria della relazione, ove si dice “Io” solo dopo aver detto “Tu”. Se così fosse la riduzione della Caritas al capriccio dell’interlocutore umano sarebbe inevitabile. L’Amore che abita le frontiere è invece gratuito, e quindi asimmetrico, ma non per questo distante, asettico. C’è un afflato barthiano in questo. Lorizio declina una Caritas che salvaguarda il trascendente ma che proprio per questo può essere colta solo dentro la solitudo dell’interiorità. Apparente contraddizione; in realtà il gratuito è tale per scavalcare le secche di una deriva estetica o moraleggiante e per ‘cadere’ proprio lì dove l’essere di ogni persona è detto come indicibile alterità: intimior intimo meo. Nella metafisica agapica di Lorizio si danno convegno Rosmini e ancor più Duns Scoto con la loro definizione di ‘persona’ quale sostanza individuale di natura razionale che non può essere raccontata se non dall’Amore, poiché solo l’Amore abbraccia senza soffocarlo il dramma individuale del singolo che Lorizio ha ben presente come ci suggerisce la citazione di un verso della poesia Sacchi a terra per gli occhi di Clemente Rebora (più degno figlio del beato roveretano), posta all’inizio del volume: «…la cosa capita non redime la cosa sofferta». L E O P E R E Ecco dunque Le frontiere dell’Amore aprirsi nel primo capitolo all’ineludibile problema della marginalità del sapere teologico nell’ambito del mondo cittadino e universitario (Il sapere della fede nel villaggio globale. Dimensione “secolare” della teologia nella e per la città, pp. 13-55). Marginalità che Lorizio legge come occasione per uscire da una certa autoreferenzialità del sapere teologico e che coglie in triplice versione: marginalità geopolitica a fronte dell’appiattimento delle culture sulla nuova ideologia omogeneizzante della globalizzazione; marginalità credente e ritorno del sacro che impone di affrontare senza contrapposizioni fede e religione; marginalità epistemologica che invita a registrare la contraddizione in ambito europeo tra una teologia marginalizzata, in quanto portatrice di una forma del sapere, e una filosofia che sempre di più si esercita in problematiche religiose. Le pagine a seguire ci conducono sul terreno del nomadismo (Il pensiero nomade come figura del pensiero credente nella tradizione ebraico-cristiana, pp. 57-95). Dal comprendersi “arameo errante” del pio israelita all’uomo moderno che supera la fortezza gnoseologica del cogito cartesiano per aprirsi ad una coscienza ridimensionata dell’Io (e la psicanalisi ha fatto il suo ulteriore lavoro!) si guadagna alla riflessione teologica uno spazio per l’esistenza dell’Altro e degli altri. “Esodale” è dunque la teologia che supera la metafisica sostanzialista, l’idolo a favore della distanza direbbe Marion, per mettere a tema un pensiero di Dio inclusivo e non escludente, di un Dio capace di ‘muoversi’ per intercettare lo smarrimento dell’uomo viatore. Se Dio si muove verso il nomade in quanto amore includente, allora, la sua ‘rivelazione’ al viandante altro non sarà che un gesto di ‘carità’: la saldatura tra la costituzione dogmatica Dei Verbum e l’enciclica di Benedetto XVI è conseguentemente posta in atto nel terzo e quarto capitolo (La rivelazio- E I G I O R N I ne dell’Amore. Per una rilettura della Dei Verbum in prospettiva agapico-trinitaria, pp. 97133; Il nome di Dio è amore. La dimensione teo-logica della Carità, pp. 135-158). A partire dal quinto capitolo Lorizio lascia gli argomenti più propriamente fondativi per applicare la metafisica agapica ad alcune questioni teologiche che hanno animato le acque della teologia del XX secolo: il rapporto tra naturale e soprannaturale (I due volti dell’unica rivelazione, pp. 159-196), che si chiude con una interessante ricognizione del pensiero di Rosmini sull’opera deificante della grazia; la categoria ontologica e antropologica del “trascendentale” in riferimento agli assunti di K. Rahner, (siamo nel sesto capitolo, Il “trascendentale” nella teologia del XX secolo. Bilancio e prospettive, pp. 197219), ove Lorizio esterna il suo originale contributo nel declinare il trascendentale (e i classici trascendentali della metafisica) mediante il triplice linguaggio dell’alterità (apertura nativa alla forma reale dell’essere), dell’interiorità (coscienza della scintilla divina di verità nelle mente dell’uomo), della gratuità (in riferimento al darsi del bello e del buono nella vita della grazia e nella forma morale dell’essere). I capitoli dal settimo al nono affrontano con un taglio sapienziale e attento alla temperie culturale i tre trascendentali (vero, buono e bello) in relazione all’esistenza credente. A nostro parere le riflessioni ivi contenute danno molto a pensare anche per la loro ricaduta pastorale. Riguardo al vero (La verità della fede. Oltre i falsi dilemmi. Verso la santità della ragione, pp. 221-260), l’Autore si propone di superare le false alternative della fede contro ragione, della verità contro la libertà, della verità contro la carità, e lo fa, dopo averle stimmatizzate, nella prospettiva dell’ontologia trinitaria rosminiana. Trattando del buono, declinato dalla libertà dell’atto credente (La libertà della fede. Oltre la ridu61 L E O P E R E zione etica dell’adesione credente, pp. 263293), Lorizio prende spunto per evidenziare un rischio tutt’altro che sopito, cioè quello di ridurre la vita di fede a mera morale: «Non possiamo quindi dimenticare che la fede, includendo l’etica, la relativizzi richiamandola al suo ordine originario» (p. 268). Ciò posto, con il capitolo sul bello (La bellezza della fede. Oltre la deriva estetizzante del credere, pp. 295-326), si fa emergere l’altro rischio della vita credente, ossia quello di ridurre la fede a ‘ornamento’ dell’esistenza. Il correttivo alle derive, inutile dirlo, è quello che si apprende dalla nota circuminsessione dei trascendentali: non c’è bontà senza verità, non c’è bellezza autentica che sia isolata dal vero e buono. Lorizio si congeda dal lettore con un ultimo capitolo dedicato, direbbe Rosmini, alla carità più alta, quella spirituale. Ed è dunque il tema della testimonianza offerta agli uomini che conclude la raccolta dei saggi (Epilogo. Testimoniare il fondamento. Il senso teologico della martyria, pp. 327-348). Testimonianza non di una fede generica ma del fondamento agapico, cioè del saper soffrire di Dio per noi, che interpella la conoscenza e la razionalità. Affidabile e non assurdo, sebbene paradossale, apparirà allora il paradigma strutturale di ogni esistenza di fede, quale appunto è la martyria. Questa la lezione di Lorizio. Lezione che è rimasta fedele alle frontiere del pensiero contemporaneo (basta dare uno sguardo all’Indice dei nomi per averne conferma) e alla fatica del vivere che è, in ultima analisi fatica del pensare “la cosa capita”. Ma albergando in frontiera si può cogliere l’eco dell’Amore nascosto nella struttura dell’essere. Quell’amore di Cristo che, per riprendere e parafrasare il seguito della citazione reboriana posta all’inizio del volume, “non lascia senza bacio” la parola di chi cerca il fondamento (G. Forlai). 62 E I G I O R N I Rosino Gibellini, Breve storia della teologia del XX secolo, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 184, € 14,00, ISBN 978-88372-22789. La conoscenza della teologia rischia spesso di realizzarsi in modo astorico e decontestualizzato. Se lo studio della filosofia nei licei si riduce infatti perlopiù ad una pedante “storia della filosofia”, senza poi un corrispondente approfondimento speculativo delle diverse questioni, lo studio della teologia incappa invece non di rado nel vizio opposto: si limita cioè alla presentazione dei grandi temi dottrinali, senza un adeguato ancoraggio alle matrici culturali e storiche del pensiero dei diversi autori. La compendiosa ricognizione storica dei principali teologi cristiani del Novecento realizzata da Rosino Gibellini rappresenta un prezioso strumento – seppure limitato al XX secolo – per compensare questa generalizzata carenza. L’autore, dopo aver consegnato alle stampe e alle biblioteche un’imponente ed apprezzata opera di analogo titolo e contenuto (La teologia del XX secolo, Queriniana, Brescia 1992, ampliata con un’Appendice nel 2007, traduzione in otto lingue), con questo saggio ha voluto offrire ad un pubblico meno specialista i risultati generali della sua ricerca. Il volume si articola in 38 brevi medaglioni, ciascuno dei quali tratteggia il profilo biografico e teoretico di un teologo, oppure riassume gli elementi più rilevanti di una corrente del pensiero cristiano recente. Da von Harnack a De Lubac, da Guardini a Boff, da Daniélou a Dupuis, i protagonisti della teologia del Novecento vengono presentati con precisione e concisione (ogni ritratto è racchiuso in duetre paginette) e la loro proposta teoretica L E O P E R E può essere meglio compresa e apprezzata proprio a partire dal contesto e dallo sviluppo storico. L’attenzione ecumenica non si limita ai nomi “imprescindibili” dell’universo protestante di lingua tedesca, ma si estende al mondo ortodosso e a tutti i contesti teologicamente più rilevanti, sia in senso geografico (teologia africana, asiatica, ecc.) che culturale (teologia nera – distinta da quella africana per il suo contesto sociale –, liberazionista, femminista, ecc.). Un succinto Bilancio provvisorio (pp. 163-168) individua quattro modelli fondamentali del fare teologia novecentesco: teologia della Rivelazione, teologia della rilevanza esistenziale del discorso cristiano, teologia della svolta politico-pratica e teologia mondializzata nell’età della globalizzazione: lasciamo alla lettura diretta di queste pagine l’intrigante compito di decifrare queste acute prospettive di sintesi. Completa l’opera un’originale e simpatica appendice, intitolata La biblioteca teologica del XX secolo: vengono citate, secondo l’anno di pubblicazione, le pietre miliari della teologia del Novecento, in una panoramica internazionale sorprendente e illuminante. Si consiglia la lettura del volume a tutti gli IdR che vogliano abbracciare in una sintesi equilibrata il contributo caratteristico dei maggiori protagonisti della complessa “sinfonia teologica” del secolo scorso (F. M.). E. Salmann, Scienza e spiritualità. Affinità elettive, EDB, Bologna 2009, pp. 84, € 6,70. ISBN 978-8810-60504-2. Per un IdR, aggiornarsi non è un optional. Non si può insegnare con passione e competenza se non si continua a studiare, se non si legge, se non si coltiva la propria inte- E I G I O R N I riorità. Per chi ha fatto dell’insegnamento e della scienza una “professione” (così si suona il titolo di un famoso saggio di Max Weber – La scienza come professione –, ma non si dimentichi che il termine originale Beruf indica anche, e forse soprattutto, la “vocazione”!) la cura del proprio mondo interiore non può prescindere dalla dimensione intellettuale. Questo esile fascicolo del monaco benedettino Elmar Salmann rappresenta un invito a coltivare una “spiritualità dello studio” che faccia incontrare la mente ed il cuore, individuando le affinità elettive tra il lavoro scientifico e l’interiorità orante. Solo da questo incontro, ossia da un’assimilazione profonda e spirituale dei contenuti teologici, può nascere l’IdR efficace. Non basta infatti essere “esperti di religione”: occorre cercare Dio e diventare esperti di Lui – per quanto possibile. E siccome il buon Dio ci ha donato anche l’intelligenza, non basta cercarlo con tutto il cuore e con tutta l’anima, ma ci vuole anche «tutta la mente» (cfr Mt 22,37). In due brevi saggi (il primo corrisponde al titolo del volumetto, il secondo è intitolato La magia della lettura, già pubblicato nel 2007sulla rivista benedettina Erbe und Auftrag), l’autore ci fa innamorare dello studio, sdrammatizzandone la fatica ed esaltandone il fascino, ma non risparmia un severo esame di coscienza agli studenti, o studiosi, divenuti docenti: «Quale tipo di professionalità, di oggettività critica, di curiosità positiva mi caratterizza?… Mi spetta il denaro che ricevo?… Imparo qualcosa mentre insegno?…». La «lode al limite», la «sfida» che il testo pone al lettore, il «processo creativo», il«segreto della scrittura ammaestrata» sono solo alcuni degli intriganti motivi di queste pagine, nelle quali – come mi ha confidato l’autore stesso – si trova un vero distillato dello stile salmanniano. In poche pagine, un autentico “integratore energetico per il cervello”, da consigliare come cura ricostituente 63 L E O P E R E alla fine dell’anno scolastico, per recuperare, in un baleno, la voglia di mettersi a riflettere appassionatamente con Dio e su Dio (F. M.). Osservatorio SocioReligioso Triveneto, Apprendere la religione. L’alfabetizzazione religiosa degli studenti che si avvalgono dell’insegnamento della religione cattolica”, a cura di Alessandro Castegnaro, EDB, Bologna 2009, pp. 257, € 21,60, ISBN 978-88-10-60610-0. Che cosa sanno i ragazzi e i giovani di oggi della religione, e in particolare di quella cristiana cattolica? È proprio vero che la nostra società si caratterizza per una crescente ignoranza religiosa, che le nuove generazioni anticipano? Sono interrogativi quanto mai attuali, che si inseriscono all’interno di una più ampia riflessione sulla presunta crescente secolarizzazione delle nostre società, dell’incipiente “eclissi del sacro” profetizzata qualche decennio fa e della più generale depressione culturale a cui stiamo assistendo negli ultimi tempi. Le coordinate entro cui si muove questa pubblicazione ne fa uno strumento utile per attivare una riflessione ad ampio raggio. Le informazioni sono riportate con criteri scientifici e rigorosi. Il testo è facilmente consultabile, i risultati sono commentati con chiarezza, anche se non manca talvolta quella sensazione di relativa aridità tipica di ogni studio statistico. L’indagine, promossa dalle diocesi del Triveneto, «si è posta in primo luogo come una verifica dei livelli di alfabetizzazione religiosa posseduti dai ragazzi che si avvalgono dell’IRC» (p. 10). È stata condotta in Veneto, coinvolgendo le classi terminali della scuola 64 E I G I O R N I secondaria di primo e secondo grado. Agli studenti sono stati somministrati test contenenti domande appartenenti a cinque ambiti tematici: bibbia, vita di Gesù, Chiesa, vita cristiana, religioni. Le istruzioni per l’uso a beneficio del lettore sono chiare ed oneste: lo studio non intende valutare i risultati ottenuti sul piano educativo e non si propone nemmeno di verificare quale sia il livello di apprendimento degli studenti. Piuttosto la ricerca è partita dall’idea che se un certo insieme di conoscenze, ritenute fondamentali, non sono presenti negli intervistati, certamente si può concludere che nemmeno l’IRC è stato in grado di fornirle. È bene inoltre precisare che i test somministrati non ci danno indicazioni dirette circa la qualità professionale degli IdR e neppure ci aiutano a quantificare con precisione l’influenza dell’IRC sulle conoscenze religiose degli studenti, in quanto non è possibile distinguere l’influsso delle differenti fonti da cui tali conoscenze possono provenire. I risultati definitivi dei test sui livelli di alfabetizzazione religiosa sono moderatamente soddisfacenti e consentono un certo ottimismo. Tuttavia sorgono alcune considerazioni. Innanzitutto sui limiti dell’indagine che, ripetiamo, è stata svolta nel solo Triveneto. Ciò significa che sarebbe improprio estendere tout court il risultato sul piano nazionale. Poi dobbiamo rilevare l’impossibilità di utilizzare la ricerca per riflettere su alcuni aspetti fondamentali dell’IRC, come la sua incidenza effettiva sulle conoscenze dei contenuti del cattolicesimo. Detto ciò, emergono dallo studio elementi confortanti circa l’impatto formativo dell’IRC sugli studenti, i quali mostrano apprezzamento per l’insegnamento che viene vissuto come un tempo di crescita e maturazione. L’ora di religione è considerata uno spazio privilegiato per acquisire valori e dare L E O P E R E senso alle esperienze umane, attraverso le lenti del messaggio cristiano. Infine, e forse è questo il dato più rilevante, emerge una richiesta ben precisa degli studenti avvalentisi dell’IRC: che i «contenuti della materia vengano affrontati adeguatamente e al contempo l’insegnante sappia mostrarne l’incidenza di valore per la vita umana e civile» (p. 174). (G. Iovino). Fondazione Giovanni Agnelli, Rapporto sulla scuola in Italia 2009, prefazione di J. Elkann, Laterza, Roma-Bari 2009, pp. XXIII-266, € 25,00, ISBN 97888-420-8833-2. Volete un libro serio sulla scuola italiana di oggi? Eccolo. Non le solite inchieste giornalistiche che raccontano solo i casi eclatanti che “fanno notizia” e poi trascurano la situazione reale. La Fondazione Giovanni Agnelli di Torino da oltre 40 anni si adopera per interpretare il cambiamento della società e gli scenari del futuro in Italia. «Oggi i suoi programmi guardano ai nodi critici della scuola e dell’università, nella prospettiva di un rinnovamento del sistema dell’istruzione» (risvolto di copertina). E in questa ricerca, due sono i dati decisivi ed inquietanti: l’acuirsi del divario nel rendimento effettivo – non nella valutazione scolastica – tra Nord e Sud, e la riduzione della mobilità sociale, con una sostanziale incapacità di riconoscere e valorizzare il talento e il merito degli studenti indipendentemente dal loro censo e dalla loro origine. Una scuola incapace di offrire a tutti i cittadini le stesse condizioni, pesantemente succube della posizione geografica e/o economica dei suoi alunni, è una scuola ingiusta, e forse fallimentare. Questo il dato base del rapporto, che si presenta co- E I G I O R N I me «il primo di un impegno pluriennale» (risvolto). Il lavoro, redatto da Gianfranco De Simone, Andrea Gavosto, Marco Gioannini, Stefano Molina e Alessandro Monteverdi sulla base di ricerche originali condotte da numerosissimi collaboratori (cfr Crediti e ringraziamenti, pp. XXI-XXIII), si propone di attivare un dibattito di ampio respiro, secondo alcuni principi guida ben definiti. Il primo: che il dibattito non sia provinciale, ma si allarghi alle analisi e alle proposte degli altri paesi europei e mondiali. Il secondo: non farsi sedurre dall’idea che esista una “età dell’oro” della scuola a cui tornare: più che di nostalgia del passato, c’è bisogno dell’audacia del futuro. Terzo: la scuola è fatta dagli insegnanti, e solo lavorando sulla qualità di questi ultimi (formazione iniziale e permanente, rivalutazione del prestigio sociale, ecc.) si potrà incidere efficacemente sulla scuola di domani. Quarto: è necessario e ormai urgente superare lo stillicidio degli interventi di emergenza e adottare una prospettiva di lungo periodo. Dei sei capitoli in cui si snoda il volume (1. Dove sta andando la scuola? – 2. Luci e ombre dell’autonomia scolastica – 3. Gli insegnanti sotto la lente – 4. Gli studenti giudicano la scuola – 5. Valutazione, «accountability» e incentivi – 6. Conclusioni), il terzo è il più corposo (quasi cento pagine), quasi a dimostrare che senza nuovi insegnanti non ci sarà una nuova scuola. «Gli esercizi di ingegneria istituzionale, organizzativa e didattica – dichiara Andrea Gavosto, direttore della Fondazione e curatore della ricerca – non sono inutili per la nostra scuola, così come non lo è la riflessione sui saperi scolastici e sui contenuti dei curricoli; senza buoni insegnanti, però, i primi restano inerti e la seconda sterile» (p. XVII). Interessantissimi sono i dati riportati, in numerose tabelle e nel corso del testo: quelli relativi alle retribuzioni dei docenti (solo un esempio: dal 65 L E O P E R E Rapporto emerge che mentre il guadagno medio dei laureati italiani aumenta in cinque anni di circa il 29%, quello degli insegnanti cresce solo dell’8,4%), ma anche quelli sulle motivazioni, il livello di soddisfazione, le situazioni problematiche, ecc. Non mancano abbondanti riferimenti bibliografici per chi volesse approfondire l’uno o l’altro aspetto della questione. «Ci auguriamo che il lettore – scrivono gli autori – abbia scoperto un universo assai più variegato e dinamico di quel che appare dagli stereotipi che spesso animano il dibattito polito e giornalistico» (p. 251): l’auspicio è certamente realizzato. Il giudizio severo nei confronti dell’impegno collettivo e politico per una migliore scuola in Italia («non vi è dubbio che la riflessione sui problemi della scuola e l’individuazione delle cure siano iniziati con ritardo… sia conoscitivo che deliberativo. […] Le politiche della scuola in Italia hanno spesso avuto una forte compo- 66 E I G I O R N I nente ideologica e corporativa…»: p. 252s) non indulge però allo scoraggiamento. Le proposte conclusive (p. 262 ss) – in sintesi: abolizione delle graduatorie, differenziazione delle retribuzioni dei docenti, attivazione di un efficace servizio di valutazione delle scuole, capillare ma centralizzato – non sono probabilmente né le uniche possibili, né quelle totalmente risolutive, ma meritano una ponderata riflessione, sine ira et studio: senza la pretesa di risolvere in un baleno una questione pluridecennale, ma passando finalmente dalle parole ai fatti. John Elkann, Vicepresidente della Fondazione, spiega nella Prefazione del volume il motivo di questo improrogabile interesse per la scuola: «si ritiene che [l’Italia] abbia un serio problema di rinnovamento delle proprie élites. Da dove cominciare a cambiare le cose, se non da una migliore qualità della scuola?» (p. IX). In questo percorso di cambiamento, il contributo degli IdR non deve mancare. (F.M.) Lettere per pensare a cura della Redazione Riportiamo un interessante dibattito sul concetto cristiano di libertà suscitato da un articolo di Andrea Monda, IdR in un liceo romano e collaboratore di RSC, intitolato Non è bene che l’uomo sia solo. Il paradosso della libertà cristiana, che si ottiene perdendola, contro il dogma dell’autodeterminazione, ove opportunamente si sottopone a critica un certo modo di declinare la “libertà” esclusivamente in termine di “autorealizzazione”. L’articolo, apparso sul quotidiano “Il Foglio” (10 marzo 2009, pag. 4), non poteva non suscitare qualche reazione, dato che, rifacendosi anche al pensiero di filosofi del calibro di Vladimir Soloviev e Alexis De Tocqueville, Monda suggerisce di ripensare la libertà come superamento dell’homo curvatus verso l’assunzione di un più realistico “non è bene che l’uomo sia solo”, assioma che custodisce una libertà da se stessi che si fa “libertà per”. Riportiamo il botta e risposta apparso sul blog www.ilcannocchiale.it tra Luigi Castaldi alias Malvino, autore dello stesso blog, e un’alunna del prof. Monda. I testi sono riportati con qualche necessaria censura, ma senza correggere eventuali imprecisioni grammaticali. Il paradosso della libertà cristiana: si ottiene perdendola (Malvino) Di Andrea Monda si può dire: “insegna religione a ragazzi delle scuole medie superiori”. È affermazione che va tradotta: è uno dei tanti che sono scelti dalla Chiesa e pagati dallo Stato non già per “insegnare religione”, ma per “insegnare la religione cattolica”, cioè per fare propaganda confessionale tra soggetti in età scolare. In altri termini, Andrea Monda è uno dei tanti che con la raccomandazione di un vescovo ha trovato un posto fisso. Traduzione arbitraria? Manco per niente. Per “insegnare religione” nelle scuole italiane non si fa concorso: devi piacere a un chierico importante, così quello ti segnala, il Ministero dell’Istruzione ti piglia, e ogni 27 ti vien dato uno stipendio. Fino a quando piaci, fila così. Fino alla pensione. Se non piaci più, ti resta lo stipendio ma non puoi più “insegnare religione”, e non ci sono raccomandazioni di rabbini, imam o bonzi che possano farci niente. “Insegnare religio- ne”, in Italia, significa “insegnare la religione cattolica” – stop. Di Andrea Monda si può dire pure: “ogni tanto scrive per Il Foglio”. È affermazione che non ha bisogno di traduzione, basterà un esempio: quello che scrive oggi. Scrive che “l’autodeterminazione sembra essere diventato un idioma universale”, ma si capisce che la cosa gli fa una gran pena: “È quasi una litania che io sento uscire dalla bocca dei miei studenti, siano essi cattolici o atei, praticanti o indifferenti, intelligenti o meno intelligenti, maschi o femmine”. A me pare che ci sia un’intrusa tra queste coppie di contrari, per il semplice fatto che essere maschio o femmina non regge affatto la stessa relazione che c’è nell’essere credente o no, praticante o no, cretino o no. Ma non vorrei strizzare troppo la rapa… Ricapitoliamo. “Mi è sufficiente entrare ogni mattina nelle classi di liceo in cui da dieci anni insegno religione cattolica [avevamo tradotto bene], per sentire ogni giorno recitare il dogma dell’autodeterminazione, dalla maggior 67 parte dei miei studenti che, come un mantra [perché non “come un rosario”?], ripetono: «Io devo essere lasciato libero, libero di fare quello che voglio, io posso fare tutto quello che voglio basta che non do fastidio agli altri perché la mia libertà finisce dove comincia quella dell’altro»…”. Gli studenti cui Andrea Monda insegna religione cattolica si esprimeranno proprio con un lessico così grossolano? Sia, è possibile, e però bisogna dire che esprimono in modo assai efficace – anche se un po’ naïf – il principio liberale. Sarà un principio che gli studenti vivono senza autocoscienza e senza adeguati strumenti per razionalizzarli in cultura del diritto e del merito? Può darsi, e dunque non chiamiamola cultura liberale: chiamiamola secolarizzazione, diciamo che gli studenti di Andrea Monda risultano assai secolarizzati, sradicati dall’asse della trascendenza. Immanentisti, utilitaristi, probabilmente edonisti, certamente relativisti, in fondo nichilisti. Diciamola com’è: Andrea Monda ogni mattina scende nell’inferno e, quando cerca di convincere questi diavoletti della solidità del “paradosso della libertà cristiana (che si ottiene perdendola)”, chissà quante pernacchie riceve, lui e il paradosso. Belve libertarie. Probabilmente libertine. La solita gioventù bruciata, insomma. È un terreno che eccita il catechista, gli fa tirare fuori tutto l’armamentario di sofismi da fervorino e di sillogismi da predicozzo, la solita cassetta degli attrezzi da propagandista, ma – confessa – “non è impresa facile sollevare dubbi visto che sono due secoli che soffia questo vento che porta con sé un malinteso senso della libertà”. Vogliamo dare uno sguardo a quello “beninteso”? Si tratta della “libertà cristiana”, che non sta nella “libertà da” e nella “libertà di”, ma nella “libertà per”. Cosa sia la “libertà per” è presto detto. Eventualmente già “libero da” e 68 “libero di” (eventualmente no, ma fa lo stesso), mi sento comunque un pochetto a disagio perché mi manca la “libertà per”, quella che Andrea Monda mi illustra come squisita. E allora decido di essere “libero per”. “Per” cosa? Per una cosa ben precisa. E può essere solo quella. Dunque “deve” essere quella. Se voglio essere libero nel senso beninteso, io devo fare proprio quella cosa lì, non un’altra: se ne faccio una diversa da quella che “devo”, non sono più “libero per”, e dunque non sono veramente libero, m’illudo di essere libero, sono libero in senso malinteso. Non rompo il c*** a nessuno, è vero, ma non conta: Andrea Monda non può comunque tollerare che io sia libero in un modo che egli ritiene malinteso. Onestamente, non posso dirmi convinto che la vera libertà si ottenga perdendola: più che un paradosso mi sembra una enorme stro****. Deve sembrare tale pure agli studenti del nostro maestrino cattolico, che decorosamente tace sui riscontri. Salve Malvino, le dirò cosa penso (Alunna del prof. Monda) Salve Malvino, sono una studentessa del liceo classico, alunna del prof Monda. Mentre navigavo su internet , ho trovato il suo blog, e la sua forte critica all’articolo che il mio prof ha scritto sul Foglio. Neanche dovrei risponderle, perché immagino che lei potrebbe pensare che sono stata spinta dal mio insegnante in questione, e immagino anche il prof stesso non voglia che mi metta in mezzo. Quindi, se mai pubblicherà questa lettera [e ne sarei davvero contenta], se mai non la occulterà, la prego di non indicare ne il mio nome o cognome, ne il mio indirizzo email. Non amo sembrare una di quelle persone che agisce per avere qualcosa in cambio [non sono berlusconiana!!!!]. Però sono an- che una persona senza peli sulla lingua, e molto impulsiva. Infatti è stato più forte di me. Infondo sono forse una delle più tremende alunne che il prof ha, una di quelle che in classe parlano, ridono, scherzano anche quando sono proprio fuori luogo; una di quelle più che esuberanti che rispondono a tono ogni qualvolta ne hanno la voglia. E il mio prof lo sa, mi conosce. Strano. Da 3 anni per solo un’ora alla settimana fa lezione in classe mia, eppure mi conosce meglio di tanti altri professori con i quali spendo ore ed ore della mia settimana dal 4 ginnasio. Sono consapevole del fatto che non dovrei immischiarmi nei vostri blog, non è assolutamente mia intenzione, però sono davvero stata colpita dalle sue parole e mi sono sentita chiamata in causa. Molto semplicemente le dirò cosa penso. Non so di preciso come ottengano il lavoro i professori di religione e il fatto non mi interessa molto finché ne incontro di validi [e sottolineerei che è ignoto e celato a tutti come alcuni professori di altre materie possano insegnare!]; il Monda è uno di questi, vale. Non ha mai cercato di inculcarci in testa nessuna delle sue idee; è semplicemente aperto al dialogo, ha i suoi pregi e difetti, come ogni uomo. E proprio per questa sua incredibile umanità gli studenti lo seguono. Può star sicuro che non ha mai manipolato nessuno. Io non vado in Chiesa, non so neanche se credo o no, ho ricevuto la Cresima, ma mi sono allontanata dalla fede, forse perché mi è stata insegnata e non trasmessa. Sono cmq una studentessa “secolarizzata”, che segue SEMPRE, discute e parla con il prof Monda. Mi creda quando le dico che nelle scuole italiane son ben altre le ideologie che si nascondono, infami, che ci distruggono, che rendono questa gioventù “bruciata”. Mi creda. Ci vivo. So anche che il prof ha generalizzato i pensieri dei suoi studenti, perché egli stesso sa che non è possibile scrivere tutto quello che ci frulla in testa; e ci stima, proprio per questo. Non ci considera né nichilisti, né utilitaristi, né edonisti, né immanentisti, né relativisti; ci considera come uomini con pensieri, passioni ed una innata voglia di vivere e di emergere nel nostro oggi. Non ci considera mera “gioventù bruciata”. Io stessa so cosa pensano i miei coetanei, perché ho quasi 18 anni e sono sveglia quanto basta per comprendere ciò che mi giro attorno. So anche che l’autodeterminismo è una bella moda [che non è sinonimo di nichilismo] e che ci è stata anche generosamente donata dalla nostra bella televisione, che ha le incredibili capacità di seminare cultura in chiunque la guardi [sarcasmo]. “IO SONO LIBERO DI FARE QUELLO CHE VOGLIO” “FINCHÉ FACCIO DEL MALE A ME NON IMPORTA” “SE DECIDO DI AMMAZZARMI, POSSO FARLO”. Tutti fumano, tanti bevono, tanti si fanno le canne, troppi si drogano. So cosa e chi vive con me. Gli argomenti che espone il prof, spesso non sono condivisi, ma mai ho osato pensare che fossero stro****. A differenza di tanti altri adulti, ho imparato ad ascoltare e a confrontarmi, in parte anche grazie a lui. Solo i cretini non cambiano mai idea e si impuntano sui propri idola e non li abbandonano mai. Nella mia scuola ci saranno stati 2 casi di studenti che letteralmente hanno mandato a fare in c*** il prof. I cretini, appunto. Povere, aride persone che non hanno capacità di confronto, e che tra l’altro sono anche maleducati e zoticoni. Perché costa così tanto ascoltare??? Che importa se il tuo vicino la pensa diversamente??? Perché bisogna prevalere??? Perché abbiamo la necessità di essere animale più che uomini??? Sono d’accordo con lei quando dice che i 69 mostri nelle scuole sono certi professori, ma Andrea Monda non è tra questi. Anzi, fortunatamente c’è lui. Che, la mattina, prima di dirmi “buongiorno”, mi chiede come sto. È uno di quei rari insegnanti che ogni tanto compaiono nella scuola italiana e cercano di far breccia nel muro ideologico fatto di pensieri preconfezionati, di un passivismo terrificante, di un nichilismo disumano e di un menefreghismo mostruoso. Mi ha insegnato a relazionarmi con l’altro e tante volte l’“ho usato” addirittura per sfogarmi, porgli domande, parlargli dei fatti miei o per confrontarmi con chi della vita ne sa umanamente di più di me. Ed è sempre rimasto ad ascoltarmi, sebbene la 70 campanella fosse già suonata, sebbene dovesse correre a casa. I mostri della scuola sono altri e più infami. Mi fa strano pensare che il prof Monda, il più amichevole e docile, possa essere considerato come uno di quei mostri mitologici dei quali ogni tanto sento parlare nelle versioni di greco o nell’Inferno di Dante. A noi, la “gioventù bruciata”, piace di più imparare a stare con l’altro nella vita fantastica, stupenda, magnifica di ogni giorno, piuttosto che studiare a memoria delle date o dei nomi, che leggiamo sui libri, che di emozione non ne trasmettono. ps. l’avvalersi o meno della religione cattolica è facoltativo! A C L A S S I A P E R T E Spezzettiamo… le nostre aspettative Metodi e strategie di verifica e valutazione Massimiliano Ferragina e Caterina Basile Finalmente abbiamo finito di compilare le schede della valutazione quadrimestrale! Per l’insegnante di Religione è sicuramente un lavoraccio. Gli alunni sono tantissimi, il tempo per le verifiche è limitato e non di rado si rischia di fare una vera e propria corsa contro il tempo. Le verifiche le abbiamo somministrate, corrette, valutate, ma il nostro Giornale dell’Insegnante, zeppo di pagine spesso inutili e inutilizzate, non riesce a darci una visione d’insieme della nostra attività e soprattutto del percorso intrapreso dall’alunno. Purtroppo questo articolo arriva forse un po’ in ritardo rispetto a quegli adempimenti, ma il percorso che vuole timidamente suggerire è quello di una metodologia complessiva della verifica e della valutazione, che diventi stile di insegnamento. Cerchiamo di strutturare delle verifiche che non siano soltanto un adempimento burocratico ma una misurazione del successo del nostro lavoro, dell’impegno dell’alunno e un riconoscimento del suo diritto di essere gratificato. Una verifica che abbia queste finalità deve essere costruita in modo che la valutazione successiva sia semplice ed evidente, ma anche in modo da non essere fonte di ansia per l’alunno ma stimolo e piacevole impegno. Facciamo un esempio pratico: Immaginiamo che gli OSA che intendiamo verificare siano i seguenti: • Scoprire che per la religione cristiana Dio è Creatore, Padre e che fin dalle origini ha stabilito un’alleanza con l’uomo. Spezzettiamo l’OSA: • Scoprire che per la religione cristiana Dio è Creatore • Scoprire che per la religione cristiana Dio è Padre • Scoprire che per la religione cristiana Dio fin dalle origini ha stabilito un’alleanza con l’uomo Adesso costruiamo la verifica. Innanzi tutto dobbiamo tenere presente che non ci importa di verificare se l’alunno conosca i fondamenti della filosofia tomista in merito all’origine del tutto, ma piuttosto che abbia compreso, con sicurezza, che per moltissime persone, il mondo è opera di un Dio creatore; che abbia compreso che per Dio siamo creature speciali e ci inquadriamo nel Suo progetto come figli e che ci chiama alla corresponsabilità, in questo progetto, attraverso un’alleanza cioè un’amicizia. Questi sono gli obiettivi minimi che ogni nostro alunno, in quella classe, deve possedere. Solo attraverso gli obiettivi minimi possiamo verificare che il nocciolo del nostro insegnamento è stato compreso. Se la verifica deve essere progettata per una classe prima ci baseremo essenzialmente su una scheda ricca di immagini da riconoscere e colorare, limitando lo spazio per il testo che potrebbe confondere quei bambini che non posseggono ancora con sicurezza le strumentalità della lettura e della comprensione del testo. Per la seconda la scheda avrà sia parti scritte che immagini, con caselle V 71 A C L A S S I o F da scegliere, limitando al minimo le opzioni, e solo per le classi successive richiede- 72 A P E R T E remo un ragionamento più complesso invitando, nel contempo, al gioco. A C L A S S I Come si può vedere, con pochi strumenti e un minimo di conoscenze informatiche si può costruire una scheda di verifica su misura per la nostra didattica. Il primo esercizio focalizza l’attenzione del bambino richiamando alla sua memoria le cose che gli sono state raccontate sulla creazione. Il gioco della ricerca della parola lo diverte e non lo fa sentire “sotto esame”, inoltre colorare è un esercizio che piace ai piccoli e mette in evidenza la loro attenzione, l’autonomia nell’eseguire un lavoro e il senso di responsabilità nei confronti della consegna. Il secondo esercizio è una sorta di riassunto non verbale delle conoscenze acquisite e racchiude in sé la verifica del primo e del secondo frammento di OSA; il terzo esercizio è stato strutturato inserendo tre stati d’animo che il bambino è capace di comprendere e provare e tre figure umane che può facilmente individuare e riconoscere nella propria esperienza. Il bambino può riconoscere Dio come amico ma non come padre o viceversa. Solo se l’insegnante ha saputo tradurre i complessi contenuti del racconto della creazione, l’alunno potrà scegliere entrambe le soluzioni. L’insegnante dovrà, comunque, fare un’attenta valutazione delle risposte degli alunni, poiché, specialmente nell’ambito dei sentimenti, anche una risposta macroscopicamente errata potrebbe essere una provocazione che va colta e risolta. Un sito interessante, per cercare giochi, quiz e attività varie per la Religione Cattolica è www.religiocando.it: vi si trovano idee carine e gratuite per la didattica. Segnaliamo, ancora una volta, il simpatico sito www.midisegni.it nel quale si possono persino fare delle richieste specifiche. Per le classi successive è bene raccordarsi con gli obiettivi e i contenuti delle altre discipline: per esempio nella classe terza, almeno A P E R T E nella prima parte dell’anno, l’insegnamento della religione cattolica deve trovare riscontro nei contenuti della storia e dell’italiano; pensiamo alla religiosità primitiva, ai miti e alle prime conoscenze dei popoli politeisti politeismo. Per questo motivo in terza si possono progettare anche verifiche parallele a quelle di storia, facendo sempre attenzione alla specificità del nostro insegnamento. Rimanendo nell’ambito IRC proponiamo un altro esempio: OSA classe III L’origine del mondo e dell’uomo nel cristianesimo e nelle altre religioni. • Comprendere, attraverso i racconti biblici delle origini, che il mondo è opera di Dio, affidato alla responsabilità dell’uomo. Spezzettiamo l’OSA: • Conoscere il racconto biblico della creazione; • Conoscere altri racconti “mitici” dell’origine del mondo; • Scoprire che l’uomo è destinatario e custode del Creato. In questi obiettivi si fondono e si raccordano in modo evidente contenuti delle altre discipline, nello specifico troviamo storia, italiano e scienze. Proviamo quindi a spiegare in primo luogo a noi stessi cosa l’OSA ci chiede di raggiungere, o meglio quale apprendimento conseguire almeno nella sua prima parte. Un aiuto è, come dimostrato, la frammentazione dell’OSA. Alcuni contenuti vanno elaborati per renderli chiari trasformandoli in delle domande come ad esempio: «perché nascono i racconti della Creazione?». Risposta: «L’uomo fin dalla sua comparsa sulla terra si rivela come essere religioso; la fede viene vissuta come affidamento ad un Essere Supremo del quale ha paura e lo identifica con i terribili 73 A C L A S S I fenomeni naturali. Le domande radicali sulla vita e la sua esistenza sono state sempre una componente fondamentale della vita di ogni essere umano. Attraverso i racconti della Bibbia scopriamo che l’uomo ha cercato e si è dato delle risposte». Fare per se stessi questo lavoro di semplificazione dell’OSA attraverso la frammentazione o la trasformazione in domande e risposte aiuta sicuramente a non essere dispersivi e rischiare di “dire troppo”. A P E R T E Le prove di verifica sarebbe utile presentarle alla fine di ogni UdA tenendo presente i contenuti già svolti, le conoscenze già acquisite, l’insieme degli argomenti trattati per ultimo in modo che l’alunno possa vedere garantita la progressiva acquisizione delle competenze. Chiaramente demandiamo all’insegnante responsabile i tempi e i modi di somministrazione delle prove suggerendo di crearsi delle griglie (basta una semplice tabella) per la raccolta e la rielaborazione dei dati. Griglia per la raccolta analitica dei dati delle verifiche periodiche (i risultati elaborati dall’ins. formeranno il giudizio finale da riportare sul registro) Nome alunno Data della verifica Osservazioni Valutazione Proponiamo due esempi di schede di verifica come prototipo, impegnandoci a costruire delle verifiche su misura della nostra didattica, utilizzando semplici conoscenze informatiche. 74 A C L A S S I A P E R T E 75 A C L A S S I A P E R T E Verifichiamo l’OSA: Cogliere, attraverso alcune pagine degli Atti degli Apostoli, la vita della Chiesa delle origini. 76 N O T I Z I E L E G A L I E S I N D A C A L I Tutti al voto (in ordine sparso) di Angelo Zappelli Dopo un anno intero di discussioni sulla valutazione, nel bel mezzo degli scrutini finali, la situazione è ancora vaga e confusa per l’IRC. Al centro è la questione del voto numerico. Vale per tutte le discipline compreso l’IRC, o escluso l’IRC? Le due ultime disposizioni ministeriali, l’una operante e l’altra ancora in forma di schema, sono apparentemente contraddittorie. La circolare n. 50 del 20 maggio, infatti, afferma che tutte le discipline si esprimono con voto numerico, senza porre eccezione alcuna1. Lo schema di regolamento sulla valutazione approvato dal consiglio dei ministri il 28 maggio scorso, invece, afferma il contrario. Come già nella seconda versione del mese di marzo anche questa terza riporta l’esplicita esclusione dell’IRC dal voto numerico2 ribadendo la validità delle norme vigenti, cioè dell’art. 309 del Testo Unico. A quale delle due fonti dar ragione? A quella innovativa e generica, ma cogente, o a quella conservatrice ma ancor non operativa? In questi casi la migliore indicazione, non potendo venire dalla norma, viene dal buon senso e dalla saggezza. Strano a dirsi che si debba far riferimento ancora a queste antiche virtù. Laddove la situazione scolastica lo consente si faccia pure uso dei voti numerici come richiesto per tutte le discipline, in nome della curricolarità dell’IRC e del suo inserimento concordatario nel quadro delle finalità scolastiche. Laddove la situazione è invece d’altro tipo, con resistenze conservatrici o di matrice ideo1 2 logica, allora si resti ai giudizi tradizionali. Tuttavia va ricordato che il modo di valutare degli IdR non modifica la loro posizione in seno al Consiglio di Classe. La valutazione in decimi, infatti, non intacca il potere del consiglio di classe di deliberare in merito alla promozione, tenendo presente la valutazione complessiva. E per l’alunno avvalentesi la valutazione complessiva si ha, necessariamente, anche con l’IRC. Non va dimenticato, infatti, che l’IRC è un insegnamento facoltativo, ma curriculare. È curricolare «una disciplina che ha programmi normativamente definiti, da cui discende la responsabilità per il docente di espletare compiuto programma di insegnamento» (Corte costituzionale, sentenza n. 222 del 14.10.86): ne consegue l’obbligo di frequenza per chi la ha scelta, integrando così il proprio curriculum di studi, che viene comunque a definire il “tempo-scuola”. Non è curriculare laddove, invece, le libere attività complementari «tale impegno ed organicità didattica non comportano» (ivi). Questo significa che la valutazione dell’IRC rientra comunque nella valutazione complessiva: voti o giudizi, circolare o schema di regolamento… l’importante è ribadire che l’IdR è un insegnante come tutti gli altri e che l’alunno avvalentesi ha il diritto e il dovere di essere valutato anche da lui. Quanto poi alla condotta, ciascun docente – quindi anche l’IdR – partecipa all’attribuzione del voto di condotta, esprimendo in decimi la propria valutazione. Sia al punto 1.2 sulla scuola secondaria di primo grado, che al punto 1.3 sulla scuola secondaria di secondo grado, la circolare ministeriale prescrive che gli alunni siano ammessi alla classe successiva con “voto non inferiore a sei decimi in ogni disciplina di studio”, senza aggiungere altro. Per la scuola primaria al punto 1.1 si parla di “apprendimenti” e “competenze”, senza alcuna ulteriore specificazione, da valutare con “voti espressi in decimi e illustrate con giudizio analitico”. Il comma 4 dell’art. 2 dello schema, sulla valutazione degli alunni del primo ciclo, e il comma 3 dell’art. 4, sulla valutazione degli alunni della scuola secondaria di secondo grado si esprimono nello stesso identico modo: “La valutazione dell’insegnamento della religione cattolica resta disciplinata dall’articolo 309 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, ed è comunque espressa senza attribuzione di voto numerico, fatte salve eventuali modifiche all’intesa di cui al punto 5 del Protocollo addizionale alla legge 25 marzo 1985, n. 121”. Il riferimento al Protocollo addizionale, tra l’altro, è palesemente errato o quantomeno celato nei misteri della burocrazia ministeriale, visto che in tale documento di tipo pattizio non si fa alcun cenno al tema della valutazione, evidentemente per lasciarla alla libera determinazione statale. 77 D I A R I O S C O L A S T I C O Diario scolastico di Giuseppe Forlai Convegno degli insegnanti cattolici del Lazio Si è svolto secondo le modalità ormai consuete il convegno regionale degli insegnanti cattolici del Lazio. Circa 200 insegnanti – di scuola statale e di scuola cattolica, IdR e docenti di altra disciplina – si sono incontrati per una giornata di studio e riflessione sabato 28 marzo 2009 presso il Seminario Romano Maggiore. Quasi tutte le diocesi del Lazio erano rappresentate. Il tema prescelto (Educare con speranza) riprendeva testualmente il titolo della Lettera che il card. Vallini ha diffuso a un anno di distanza dalla Lettera di Benedetto XVI sul compito urgente dell’educazione (21 gennaio 2008), invitando la Chiesa di Roma a tener desta l’attenzione sul tema dell’educazione (il testo della Lettera a p. 84ss). I lavori del convegno sono stati introdotti dalla relazione di mons. Lorenzo Loppa, che ha illustrato i contenuti della Lettera del card. Vallini, approfondendone alcuni aspetti (vedi sopra pp. 24ss). Poi sono iniziati i laboratori di gruppo, guidati da sei coordinatori, ognuno su un tema tra quelli suggeriti dalla Lettera. E così la prof. Franca Talone ha orientato la discussione su Tutti corresponsabili (l’azione educativa in rete), la prof. Paola Di Somma su Mai senza la famiglia (il collegamento con le famiglie e le associazioni familiari), la prof. Anna Stefanangeli su La forza della testimonianza (la testimonianza del docente cattolico in quanto tale), mons. Carmine Brienza su Il contributo della fede 78 all’educazione (l’apporto culturale della scuola cattolica), il prof. Franco Lanzuisi e la prof. Maria Forte su Tutta la verità del Vangelo (il ruolo specifico degli IdR) e il prof. Erasmo Di Giuseppe su In collaborazione con le comunità cristiane (il rapporto fra scuola e comunità cristiana). Il progetto, forse troppo ambizioso, di comporre nel corso dei lavori pomeridiani una sorta di “tavola degli impegni ecclesiali sull’educazione” non è stato coronato da successo, a causa del tempo ristretto. Ma tutti i partecipanti hanno avuto modo di riflettere sulla necessità di superare la fase dell’incertezza e della denuncia per iniziare a individuare concrete strategie operative e offrire proposte concrete e fattive dinanzi al problema educativo. Ci auguriamo che gradualmente e responsabilmente tutti i soggetti coinvolti nell’impegno di educare si rimbocchino le maniche, dando il loro contributo, e che chi ha già iniziato a lavorare non si stanchi di farlo. «Cittadinanza e Costituzione»: cosa aspettarsi? Il 4 marzo il ministro Gelmini ha presentato in conferenza stampa la sperimentazione dell’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione”, materia introdotta in tutte le scuole dalla legge 169 del 30/10/2008, che prenderà il via in forma sperimentale dall’anno scolastico 2009/2010 (cfr. http://iostudio.pubblica.istruzione.it/web/guest/cittadinanza_e_costituzione). L’intento dichiarato del Miur è quello di introdurre un concetto di scuola quale “palestra di democrazia” ove ci sia spazio per l’acquisizione di competenze che ren- D I A R I O S C O L A S T I C O dano gli studenti avvezzi ai valori della Costituzione e capaci di esprimere una forma attiva di cittadinanza. La questione ha un certo rilievo soprattutto, a nostro avviso, per gli IdR: se il nuovo insegnamento tratterà temi quali l’interculturalità, i valori costituzionali, la solidarietà, la laicità dello Stato e la libertà delle religioni in esso, nonché il Concordato, allora c’è da scommettere che Cittadinanza e Costituzione sarà la disciplina più immediatamente capace di suscitare incontro/scontro i contenuti dell’IRC. La sperimentazione che partirà con il prossimo anno scolastico dovrebbe aiutare a dissolvere alcuni dubbi che a tutt’oggi aleggiano tra gli addetti ai lavori: se infatti il contenuto dell’insegnamento circa la Costituzione dovrebbe essere più delineabile (a meno che non si scada nell’assumere come base il testo costituzionale senza una adeguata ermeneutica dei valori sottesi), la stessa cosa non può dirsi della “Cittadinanza”. Cosa significa essere cittadini attivi? Quale idea di persona si pone alla base della cittadinanza? A quale esperienze rifarsi? Quali abilità relazionali fanno il cittadino? A noi sembra che, in attesa di maggiori approfondimenti, sia necessario evidenziare alcuni punti: • La cittadinanza è un dato di fatto sperimentale e non una teoria da elaborare; c’è già nel momento in cui esco di casa ed entro a scuola. Si tratta di prendere atto e coscientizzare quel che si è. • Non c’è cittadinanza senza solidarietà; non c’è cittadinanza attiva senza sussidiarietà. • Dalla Costituzione si può ricavare una concezione della persona frutto di una sintesi/compromesso tra forze socialiste, liberali e cattoliche: questa concezione andrebbe valorizzata. • La Costituzione è contenuto ma anche metodo: è necessario formare quindi a quella volontà di trovare accordi per il bene comune che mosse tutti i padri co- stituenti; il metodo della stagione costituente detta già una modalità di vivere la cittadinanza. • La nuova disciplina deve restare autonoma, con una possibilità di valutazione da parte del docente chiara ed efficace. Pena il far la fine della vecchia “educazione civica”. Valle d’Aosta: giovani in fuga Una recente ricerca promossa dall’Università della Valle d’Aosta su un campione di oltre 400 giovani tra i 15 e i 20 anni ci rivela che solo il 15,9% di essi frequenta la messa domenicale. Nel 2000 erano il 20,9%. Il dato, che contrasta (come un po’ in tutta Italia) con il dichiararsi “cattolici” della stragrande maggioranza degli intervistati, segnala l’affacciarsi di un cattolicesimo culturale, una sorta di religione civile svuotata di evangelicità ad uso della salvaguardia di valori umanistici, di per sé buoni, ma che non possono essere equiparabili tout court alle dinamiche della vita cristiana. Il vescovo di Aosta Mons. Giuseppe Anfossi (cfr. www.agensir.it, merc. 18 febbraio 2009) riflette su un tale dato di passività: ci si riconosce cattolici, si fa parte del coro parrocchiale e si collabora per organizzare la festa patronale, ma non si matura un’appartenenza ecclesiale consolidata dalla prassi sacramentale. Per Anfossi alla luce dei dati l’attenzione si sposta sulla responsabilità degli adulti (leggi: collaboratori pastorali), forse carenti nell’impostare una pastorale di ampio respiro culturale: abbiamo bisogno «di una Chiesa più coraggiosa che esca da se stessa, che potenzi gli oratori, che non abbia paura di prendere iniziative culturali, dal teatro alla musica, alla lectio divina… che prenda responsabilità nell’Università e che organizzi tavole rotonde sui problemi vitali di oggi, almeno nei luoghi di villeggiatura». C’è 79 D I A R I O S C O L A S T I C O da chiedersi se, al di là delle apparenze, il problema varchi i confini della Valle d’Aosta, come sembrerebbe suggerire la comparazione di questi dati con quelli contenuti nel rapporto Iard Giovani, religione e vita quotidiana (Il Mulino, Bologna 2006). Certo è che ancora si fa fatica ad interpretare una pastorale giovanile seriamente integrata con il mondo scolastico/universitario e con la cultura in genere che, piuttosto che procedere “di evento in evento” sappia abilitare i giovani ad interpretare evangelicamente la storia personale e sociale di ciascuno. Il ritiro quaresimale degli IdR romani Secondo una consuetudine ormai consolidata, il sabato prima della quarta domenica di quaresima gli IdR di Roma si incontrano per un momento di spiritualità. Il 21 marzo scorso, in concomitanza con l’anno paolino, il ritiro si è tenuto presso l’abbazia di Tre Fontane. Dapprima don Filippo Mor- lacchi ha presentato la storia del luogo, legato non solo alla memoria del martirio dell’Apostolo delle genti, ma anche alla presenza di numerose comunità monastiche. È stato poi un monaco trappista, all’interno della chiesa abbaziale dei ss. Vincenzo e Anastasio, a proporre la meditazione: una lectio divina sobria e penetrante che ha preso le mosse da Rm 12,1-2. Poi, dopo un 80 congruo tempo lasciato alla meditazione personale e, per chi voleva, al sacramento della riconciliazione, don Filippo ha presieduto l’eucaristia: il primo momento liturgico di comunione con gli IdR nella sua nuova veste di responsabile dell’Ufficio. Nonostante il freddo polare e il vento di tramontana – che ha reso l’aria limpidissima e il luogo davvero incantevole – è stata un’esperienza di preghiera intensa e felice. Esami di maturità. Il condono dei cervelli? Che valore effettivo hanno gli esami di maturità se durante il primo anno di università quasi la metà degli alunni si defila? Se i test di ingresso di molte facoltà sono più impegnativi e selettivi di quello che una volta era l’esame per eccellenza, c’è da chiedersi seriamente quanto la scuola sia capace di certificare le competenze al termine del curriculum delle superiori. Nonostante l’intento di per sé buono del ministro Gelmini di restituire un tono di selettività agli esami come espresso nella Bozza di regolamento, art. 6, comma 1, ove si stabilisce la necessità di raggiungere la sufficienza in tutte le materie per essere ammessi all’esame (si verificherà – c’è da scommetterci – il dilagare del sei politico!), è probabile che non bastino operazioni severe, ma sporadiche, per superare il gap esistente tra maturati e laureandi. E se da una parte si esige il ritorno alla meritocrazia del modello gentiliano (selezione all’ingresso nel circuito scolastico e selezione al termine), dall’altra si difende il principio della scuola che dia a tutti un po’, condonando anche i cervelli degli svogliati. Non tutto è però solamente gridato. L’associazione Diesse Lombardia (www.diesselombardia.it) propone alternative costruttive attraverso l’ipotesi di introduzione graduale di un esame di maturità impostato come certificazione di competenze D I A R I O S C O L A S T I C O stabilite sulla base di standard e indicatori nazionali. In margine a queste riflessioni l’associazione ha lanciato un comunicato che utilmente riportiamo: «L’ammissione all’esame di Stato… è disposta… nei confronti dell’alunno che ha conseguito una votazione non inferiore a sei decimi in ciascuna disciplina o gruppo di discipline valutate con l’attribuzione di un unico voto secondo l’ordinamento vigente e un voto di comportamento non inferiore a sei decimi». È quanto stabilisce il Regolamento sulla valutazione approvato in prima lettura dal Consiglio dei Ministri il 13 marzo all’art. 3, comma 2, disciplinando l’ammissione all’esame finale del primo ciclo come previsto dall’art. 3 della legge 30 ottobre 2008, n. 169. La stessa prescrizione lo schema di regolamento la estende anche all’esame finale del II ciclo (art. 6, comma 1). Questa disposizione applicativa, che arriva ormai a fine anno scolastico, è motivata dalla necessità di reintrodurre rigore in esami che da più anni vedono la quasi totalità degli studenti promossi al di là delle loro effettive conquiste formative. L’associazione Diesse ha sempre sostenuto che le attuali prove finali sono gravemente inadeguate e debbono essere modificate per arrivare ad una reale certificazione delle competenze acquisite da ciascuno studente che consenta un corretto orientamento. Infatti, solo con il possesso dei prerequisiti di base necessari – conoscenze, competenze e abilità – gli studi successivi possono essere frequentati con successo e senza quella grave dispersione che si verifica sia nella scuola superiore, sia nelle università. È pertanto necessaria una vera e propria rivoluzione della prova finale, che però non può essere attuata frettolosamente e per via meramente amministrativa, senza un adeguato percorso preparatorio che accompagni l’allievo a rendere consapevolmente conto della propria maturazione e dei risultati conseguiti nelle singole discipline. Pur condividendo pienamente l’esigenza di reintrodurre rigore nella scuola che la promuove, questa scelta appare intempestiva sia perché non possono essere cambiate così radicalmente le regole del gioco quando ormai la partita si avvia al secondo tempo, sia perché un cambiamento così radicale nella valutazione conclusiva dovrebbe essere ridiscusso già il prossimo anno, quando entreranno in vigore i nuovi regolamenti relativi ai percorsi scolastici secondari (liceali e tecnici). Il ritardo con cui questo provvedimento arriva nelle scuole contribuirà a condizionare fortemente l’orientamento dei docenti nella fase valutativa finale; i voti lieviteranno in modo artificioso, con la conseguenza di essere ulteriormente svuotati di significato… Per questo chiediamo al Ministro – che ha già previsto un periodo più lungo di verifica dei regolamenti dei licei e degli istituti tecnici per poter realizzare finalmente un cambiamento efficace della scuola secondaria di II grado – di stralciare dal regolamento della valutazione la norma relativa all’ammissione all’esame di Stato conclusivo del secondo ciclo e di affrontare il tema della valutazione nella secondaria di secondo grado coerentemente alle indicazioni di riforma contenute nei regolamenti che verranno emanati, per permettere una proposta chiara ed adeguata al contesto che la scuola secondaria superiore sarà chiamata ad assumere (Milano, 20 marzo 09). La paternità secondo Clint: straordinario Gran Torino Molte scuole superiori della Capitale hanno scelto nel mese di marzo di visionare durante le ore scolastiche l’ultimo lavoro di Clint Eastwood Gran Torino. Condivisibile scelta poiché c’è da rimanere veramente a bocca aperta per questa storia di paternità riconquistata, narrata sullo sfondo di quell’America minore che spesso il cinema di questi ultimi anni ama raccontare (si venda il bel The Wrestler di Aronofsky). Eastwood, regista e protagonista, incarna la figura del re81 D I A R I O S C O L A S T I C O pubblicano di provincia Walt Kowalski rimasto vedovo di una moglie cattolica praticante (che fa promettere al giovane parroco di far confessare il marito dopo la sua morte), reduce della guerra di Corea, operaio alla Ford per cinquant’anni, chiuso e incapace di farsi amare da figli e nipoti che oramai vorrebbero chiuderlo in un ospizio, esperto più della morte che della vita poiché interiormente ferito dalla crudeltà della guerra. Walt si trova per una serie di curiose circostanze ad avere a che fare con quei vicini asiatici di stirpe Hmong che detesta, e a doversi occupare del giovane Tao, che era stato precedentemente costretto dalla gang locale (composta da giovani bulli senza padri), a rubare la mitica autovettura Gran Torino sport del vecchio reduce. Al giovane, suo malgrado, insegnerà un lavoro e la grinta necessaria per affrontare la vita e, alla fine, sacrificando la sua stessa vita, gli suggerirà la strada della non violenza e l’inutilità della vendetta. Un film unico, definito dallo stesso Eastwood il suo più «importante e personale», che mette sullo schermo il legame mai scontato tra paternità e sacrificio senza eufemismi o mitizzazioni borghesi nel contesto difficile di un paesino oramai solo sulla carta americano, ma in realtà colonizzato dagli asiatici. Un film capace come pochi di evocare un mondo religioso e valoriale non gridato e soffuso, ma non per questo meno performante. A questo Eastwood ci aveva già svezzati con Million Dollar Baby (2004). Il finale, vero gioiello semiotico (Walt cade ucciso dalla gang sul prato rimanendo steso in forma di croce, dopo aver sussurrato l’Ave Maria) vale tutto il film. La canzone Gran Torino, gradevolissima nella sua malinconia, scritta dal figlio di Eastwood Kyle, accompagna degnamente gli ultimi fotogrammi. Gran Torino è un lavoro cinematografico che appare quasi un testamento del grande Clint. Nonché un invito a pensare da una 82 parte il legame profondo tra paternità, sacrificio e bisogno del ‘culturalmente diverso’ e dall’altra a rileggere in maniera un po’ più elaborata il bullismo giovanile quale nuova modalità di gridare il dolore per esser rimasti precocemente orfani. Meeting degli IdR Molte pagine di questo fascicolo sono dedicate al Meeting degli IdR italiani, tenutosi il 25 aprile scorso in Aula Paolo VI alla pre- senza del Santo Padre. «Lo slogan del Meeting “Io non mi vergogno del Vangelo” (Rm 1,16) – spiega don Vincenzo Annicchiarico, responsabile del Servizio Nazionale IRC della CEI – intende richiamare, da una parte, la portata umana del Vangelo, ispiratore della civiltà dell’amore nell’attuale contesto socio-culturale; dall’altra, l’IRC come disciplina scolastica a servizio della persona umana e della sua crescita integrale, per cui l’IdR esercita la sua professionalità docente di cui è risorsa la sua identità credente e la sua appartenenza ecclesiale». L’evento celebrativo, che ha visto riuniti oltre 8000 IdR da tutte le Diocesi d’Italia, è stato preceduto da un Congresso, cui hanno preso parte i Responsabili diocesani per l’IRC e una rappresentanza di IdR. Sono intervenuti al Congresso non solo eminenti personalità del mondo civile ed ecclesiale, come il presidente della Cei card. Angelo Bagnasco e il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, ma anche studiosi ed esperti del calibro di Antonio Pitta, che ha offerto una ricca meditazione su San Paolo come educatore, Alberto Campoleoni e Sergio Cicatelli, che hanno riferito rispettivamente sui dati di una ricerca europea sull’insegnamento reli- D I A R I O S C O L A S T I C O gioso e sullo stato dell’IRC in Italia (vedi questi testi nelle recensioni), ed Ernesto Diaco, che ha individuato il ruolo dell’IdR all’interno del “progetto culturale” della Cei. I testi completi di tutte le relazioni sono disponibili sul sito dell’Ufficio IRC della CEI (www.chiesacattolica.it/irc). A conclusione del Congresso i partecipanti hanno compiuto un pellegrinaggio sui luoghi paolini, culminato nella celebrazione eucaristica presso l’Abbazia di Tre Fontane presieduta dal card. Camillo Ruini e animata dal coro degli IdR. Oltre che a questi ultimi, la sincera gratitudine dell’Ufficio Nazionale per l’IRC e dell’Ufficio scuola di Roma si indirizza a tutti gli IdR e gli studenti dell’ISSR Ecclesia Mater che, con il loro generoso servizio, hanno contribuito alla buona riuscita del Meeting. tano l’allarme e sottovalutano le risorse che hanno. Tendono allora a tirarsi indietro: i genitori sono spesso smarriti, gli insegnanti demotivati. E la paura è spesso una pessima consigliera». L’invito alla fiducia è stato accompagnato dalla richiesta di investimenti per la scuola: «La scuola è l’ultimo componente al quali si possono chiedere sacrifici di risorse». Uno stralcio della prolusione inaugurale del Card. Bagnasco e del Discorso del Santo Padre è alle pp. 98-101. La 59a Assemblea Generale della CEI Si è svolta, come sempre nell’aula del Sinodo dei Vescovi in Vaticano, l’assemblea ordinaria della Cei. La 59a sessione (25-29 maggio 2009) riveste però un interesse particolare per gli IdR, dal momento che i vescovi hanno deciso che l’impegno educativo costituirà una priorità per l’azione pastorale della Chiesa italiana nel prossimo decennio. «La questione educativa: il compito urgente dell’educazione» è stato il tema che ha fatto da sfondo ai lavori assembleari – pur attenti, ovviamente sia alla situazione dell’Abruzzo colpito dal sisma, sia alla situazione di crisi e recessione economica – e che è stato presentato da mons. Diego Coletti, presidente della Commissione episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università. «Non vogliamo – ha detto il presule – far suonare allarmi ma inviti alla fiducia e alla speranza. Constatiamo che gli educatori si sentono paralizzati perché evidentemente sopravvalu83 M A T E R I A L I E D O C U M E N T I Educare con speranza Lettera del Card. Agostino Vallini agli Educatori scolastici Carissime Educatrici, Carissimi Educatori ! Esattamente un anno fa il Santo Padre Benedetto XVI ha indirizzato una Lettera alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione. In quell’occasione il Papa ha descritto lucidamente l’attuale “emergenza educativa” ed ha rivolto un chiaro appello a tutti gli uomini di buona volontà: «C’è bisogno del contributo di ognuno… perché la società, a cominciare da questa nostra città di Roma, diventi un ambiente più favorevole all’educazione». Mi sembra opportuno riprendere l’autorevole invito del nostro Vescovo e fare tesoro delle Sue parole. La consapevolezza che un’efficace azione educativa può realizzarsi solo in modo collegiale, è ormai pacificamente acquisita. Solo lavorando insieme, “in rete”, come oggi si dice, cioè “in comunione”, possiamo trasmettere alle nuove generazioni la sapienza necessaria per affrontare responsabilmente e con passione la vita. Tutti corresponsabili Mi rivolgo, perciò, a tutti gli educatori scolastici: dirigenti, personale docente e non docente. A tutti e a ciascuno di voi vorrei dire di non dimenticare mai che educare è soprattutto un impegno d’amore e, come ogni vero impegno, costa. «Ogni educatore – ci ha ricordato il Papa – sa che per educare deve dare qualcosa di se stesso». Nell’impegno educativo vissuto con piena dedizione l’adulto educatore è chiamato a dare il meglio di sé e ad offrirlo alle nuove generazioni, affinché si aprano alla verità, alla bontà e alla bellezza. «L’educazione è cosa del cuore», diceva don Bosco. Questa è la prima missione di ogni educatore e insieme la migliore ricompensa di ogni sua fatica. So bene che vi spendete nel mondo della scuola con straordinaria dedizione e com84 petenza, sostenuti dalla convinzione profonda e vissuta di essere tutti accomunati almeno da due valori: il rispetto per la persona umana e la fiducia nel futuro. Sì, perché senza l’intima convinzione che ogni singolo essere umano è in se stesso un valore inestimabile, in quanto persona, e che è possibile sperare in un futuro migliore, cercando di costruirlo, nessuno investirebbe la propria vita nell’impegno educativo. Non ignoro neppure le problematiche complesse che siete chiamati ad affrontare quotidianamente, riguardanti sia il mondo affascinante e delicato dei ragazzi e dei giovani che quelle legate all’organizzazione scolastica, che vi colloca in un contesto di vita personale e professionale impegnativo, stimolante, ma anche oneroso. A tutti voi M A T E R I A L I va la mia stima e la mia ammirazione. Cari amici, mi permetto di suggerirvi di essere perseveranti, nonostante tutto, sostenuti dalla rettitudine della vostra coscienza personale che vi chiede di vivere appieno la responsabilità educativa, puntando in alto e allargando gli orizzonti. Mai senza la famiglia Quest’altissima missione, però – ben lo sapete – non può fare a meno della collaborazione delle famiglie. Non possiamo dimenticare che i primi educatori sono e saranno sempre i genitori; pertanto, adoperatevi costantemente al dialogo con le mamme e i papà dei vostri alunni. Se, in qualche modo, i bambini e i ragazzi che la scuola vi affida vi appartengono, è compito di un educatore lavorare in sinergia con le famiglie, collaborando con esse in un progetto educativo integrale, nel rispetto della libertà e degli orientamenti dei genitori. La forza della testimonianza Agli educatori cristiani, di qualunque disciplina e per qualunque fascia d’età, come Pastore, aggiungo una esortazione: siate testimoni. Alla base della vostra testimonianza vi sia una solida professionalità, responsabilmente esercitata e costantemente aggiornata. La rettitudine morale non si sostituisce alle competenze professionali, ma le promuove e le coltiva. E, insieme, curate di essere testimoni della verità e dell’amore di Dio. I bambini, gli adolescenti e i giovani cercano ardentemente figure di riferimento credibili: educatori solidi, affidabili e capaci di offrire al momento opportuno sia una parola di affettuosa vicinanza che un ammonimento, percepiti entrambi come gesti di amore. È ancora E D O C U M E N T I la citata Lettera del Papa a ricordarcelo: «l’autorevolezza… si acquista soprattutto con la coerenza della propria vita e con il coinvolgimento personale, espressione dell’amore vero. L’educatore è quindi un testimone della verità e del bene». Voi lo sapete, i vostri alunni vi osservano con attenzione, vi scrutano e si confrontano con voi come modelli da seguire o – al contrario – come figure da non imitare. Perciò, carissimi educatori cristiani, attingete assiduamente dalla Parola di Dio e dalla grazia dei sacramenti la forza per una testimonianza luminosa e sincera, che vi permette di contribuire efficacemente al comune sforzo educativo. Il contributo della fede all’educazione Una speciale missione, in questo ambito, spetta agli educatori che operano nelle Scuole Cattoliche. Per il fatto stesso di essere insegnanti in una istituzione che si propone di promuovere una cultura, la cui concezione dell’uomo è ancorata ai valori del Vangelo, vi incoraggio a mostrare con l’esempio della vita quotidiana e con l’attività professionale, come singoli insegnanti e come comunità educante e solidale, che è possibile superare la frammentazione dei saperi e formulare una visione unitaria e coerente del mondo, capace di coniugare serenamente i valori e le verità della fede con la cultura del nostro tempo. Giovanni Paolo II, nell’enciclica Fides et ratio, al riguardo, tratteggiò efficacemente l’immagine delle due ‘ali verso il Vero’, che sono la fede e la ragione. La proposta del messaggio cristiano, pur restando soggetta alla critica dell’età dei vostri alunni, ai loro stili di vita e ai loro molteplici interessi, ha in sé un valore oggettivo che la vostra creatività di docenti non mancherà di far apprezzare. 85 M A T E R I A L I Tutta la Verità del Vangelo Infine, un pensiero speciale intendo indirizzare agli insegnanti di religione cattolica. Conosco bene i problemi connessi specificamente alla vostra attività di docenti. Se l’inserimento in ruolo ha dato stabilità a tanti di voi, restano aperti altri aspetti, quali la considerazione di una certa precarietà della vostra disciplina, sempre dipendente dagli alti e bassi delle motivazioni giovanili, la ricerca continua dei punti di interesse della materia, che esigerebbe un tempo maggiore di una ora settimanale per essere approfondita e il diverso trattamento tra i diritti e i doveri ad essa collegato nella struttura della docenza. Nondimeno, oltre alla testimonianza della fede, come tutti i docenti cattolici, qualunque disciplina insegnino, a voi spetta il compito di presentare articolatamente il messaggio cristiano e la sua credibilità. È la scuola, anche quella laica, a chiedere il vostro contributo, ben sapendo che un’educazione muta dinanzi alla dimensione religiosa sarebbe incompleta. Non accontentatevi, pertanto, di presentare i semplici “fatti religiosi” del cristianesimo: parlate anche di Colui da cui la storia e la cultura cristiana prendono il nome e l’origine. Ogni presentazione del cristianesimo che non mettesse al centro la persona di Gesù di Nazaret, il Signore della storia risorto e vivo, sarebbe parziale o addirittura fuorviante. Certamente l’insegnamento scolastico della religione non è e non deve essere una forma velata di catechesi; ma una presentazione onesta e obiettiva della religione cattolica esige di affrontare anche la questione della Verità. Il Vangelo chiede di essere riconosciuto non solo come “buono” o “bello”, ma anche come “vero”. Non sottraetevi, dunque, al compito di presentare tutta la Verità del Vangelo 86 E D O C U M E N T I (cfr At 20,27). Una proposta in questi termini richiede interiorità, tempo, affidamento: alimentate nella preghiera la vostra vita spirituale e la vostra dedizione professionale, perché possiate adempiere con forza e mitezza la missione che vi è affidata: «sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi… con dolcezza e rispetto» (1Pt 3,15). Apritevi al dialogo con tutti, abbracciate senza riserve la «fatica della carità» (1Ts 1,2) nella scuola e fuori dalla scuola, «splendete come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita» (Fil 2,15). Sappiate attivare collaborazioni con le comunità cristiane del territorio e con le parrocchie, che contribuiranno ad arricchire in modo rilevante il cammino formativo offerto agli allievi dalla scuola, sia dal punto di vista culturale che umano. Nutro la fiducia che cooperando insieme, con un “supplemento d’anima”, per un rinnovato impegno educativo, potremo far fronte alle sfide del presente e consegnare alle nuove generazioni la saggezza necessaria per affrontare l’affascinante viaggio della vita. Vi sono davvero grato, perché so quanto bene già fate, e immagino quanto ancora potrete farne. Carissimi! Vorrei concludere questa mia lettera con un invito. Di fronte alle sfide che anche la scuola ci chiama ad affrontare nel portare avanti il compito meraviglioso dell’educazione, non scoraggiatevi mai: educate con speranza ed entusiasmo. Il buon seme a suo tempo darà frutto. Con questi sentimenti di gioiosa fiducia, vi assicuro la mia costante preghiera e su tutti voi invoco la benedizione di Dio. Roma, 21 gennaio 2009 Agostino Card. Vallini Vicario per la Diocesi di Roma M A T E R I A L I E D O C U M E N T I L’educazione è diventata un paradosso? Card. Camillo Ruini Il card. Ruini, presidente del comitato per il Progetto culturale della CEI, ha pronunciato numerosi interventi, nei mesi scorsi, sul tema dell’educazione. Il sito www.progettoculturale.it li raccoglie tutti; ne abbiamo scelto uno particolarmente significativo, scritto per il Collegio San Carlo di Milano (scuola paritaria diocesana) il 2 febbraio scorso. Dopo aver chiarito che «le cause principali – anche se certo non uniche – dell’attuale emergenza educativa sono di ordine culturale», e cioè il relativismo, il nichilismo e il naturalismo, l’autore propone alcune piste per fronteggiare la situazione: la testimonianza di un amore stabile e affidabile tra i genitori, la formazione dei ragazzi ad una libertà responsabile, l’accettazione forte e serena del dolore come scuola di vita. La conclusione è improntata ad un sano ottimismo: «Modificare il clima culturale […] è un’impresa impegnativa ma non impossibile, e in realtà nemmeno disperata» La parola “paradosso” secondo il Dizionario della lingua italiana di Devoto e Oli significa, in conformità alla sua origine greca, affermazione sorprendente, e più precisamente «proposizione formulata in apparente contraddizione con l’esperienza comune, ma che all’esame critico si dimostra valida». Chiedersi se l’educazione sia diventata un paradosso vuol indicare dunque da una parte la sua permanente importanza e necessità, dall’altra le sue attuali difficoltà, anzi una sua apparente impossibilità, o almeno il suo carattere controcorrente, nel contesto socio-culturale in cui viviamo. Un anno fa, nel gennaio-febbraio 2008, Benedetto XVI, in una lettera alla diocesi di Roma e poi in una grande udienza in piazza San Pietro, riassumeva una situazione di questo genere nella formula “emergenza educativa”, che poi è stata abbondantemente ripresa perché esprime una sensazione diffusa in Italia e, perfino più acutamente, in molti altri paesi. Educare non è mai stato facile, osserva il Papa, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno per esperienza i genitori, gli insegnanti, lo sappiamo noi sacerdoti, come tutti coloro che a vario titolo si occupano di educazione. Sembrano aumentare cioè le difficoltà che si incontrano nel trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell’esistenza e di un retto comportamento, nel formare quindi persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita. Naturalmente ogni regola ha le sue eccezioni e in concreto sembra a sua volta un paradosso venire a parlare di paradosso e di emergenza educativa in questo Collegio San Carlo che fortunatamente è un luogo di eccellenza dell’educazione a Milano, ma il dato generale dell’emergenza educativa rimane difficilmente contestabile, anzi è praticamente incontestato. Per spiegarlo non basta richiamare la cosiddetta “frattura tra le generazioni”, nel nostro tempo certamente più profonda e più condizionante che in passato: essa infatti sembra essere l’effetto, piuttosto che la causa, della mancata trasmissione di certezze e di valori. Ancora meno senso ha far carico di questa frattura e dell’emergenza educativa alle nuove generazioni, come se i bambini di oggi fossero diversi e 87 M A T E R I A L I “più difficili” rispetto a quelli che nascevano nel passato. Ma probabilmente è anche poco utile e troppo sbrigativo, o comunque insufficiente, attribuire tutte le responsabilità agli adulti di oggi, come se, per loro carenze, non fossero più capaci di educare. È certamente forte e diffusa, tra i genitori come tra gli insegnanti e in genere tra gli educatori, la tendenza a rinunciare, e ancor prima il rischio di non comprendere nemmeno quale sia il proprio ruolo. Ma, di nuovo, questo sembra essere piuttosto l’effetto che la causa delle difficoltà dell’educazione. Non vorrei essere frainteso. Non ho mai condiviso quelle tendenze allo “scaricabarile” che attribuiscono tutte le colpe a un’imprecisata “società” e negano le responsabilità personali: nel nostro caso sia quelle degli educatori sia anche quelle dei ragazzi e dei giovani che sono i soggetti dell’educazione. Non mi sembra fondato però mettere principalmente l’accento sulle carenze delle persone. Non basta nemmeno chiamare in causa le pur evidenti lacune e disfunzioni del nostro sistema scolastico, come del resto di quelli di molti altri paesi. Una spiegazione seria dell’emergenza educativa in cui ci troviamo rimanda piuttosto al predominio del relativismo nella nostra cultura e vita sociale. In questo senso Benedetto XVI ha parlato più volte di “dittatura” del relativismo, e alla luce di questa ha affermato che l’emergenza educativa oggi è, in certa misura, un’emergenza inevitabile. Quando infatti vengono a mancare, anche solo come orizzonte della nostra vita, la luce e la certezza della verità, al punto che, anche e particolarmente in ambito educativo, lo stesso parlare di verità viene considerato pericoloso e “autoritario”, e parallelamente, sul piano etico, si ritiene infondato e lesivo della li- 88 E D O C U M E N T I bertà ogni riferimento ad un bene “oggettivo”, che preceda le nostre scelte e possa essere il criterio della loro valutazione, diventa inevitabile dubitare della bontà della vita e della consistenza dei rapporti e degli impegni di cui la vita è intessuta. È ancora un bene, allora, essere una persona umana? Vivere può ancora avere un significato? Come sarebbe possibile, entro questo quadro di riferimento culturale, proporre ai più giovani e trasmettere da una generazione all’altra qualcosa di valido e di certo, delle regole di vita, un significato e degli obiettivi consistenti per la nostra esistenza e per il nostro futuro, sia come persone sia come comunità? Non è strano, allora, che l’educazione tenda a concentrarsi sulle questioni che chiamerei di “tecnica educativa”, certamente importanti ma non decisive, e a ridursi alla trasmissione di informazioni e di specifiche abilità, mentre si cerca di appagare il desiderio di felicità delle nuove generazioni colmandole di oggetti di consumo e di gratificazioni superficiali. Ma proprio così abdichiamo al nostro compito educativo e non offriamo ai più giovani quello di cui hanno anzitutto bisogno: dei fondamenti solidi su cui costruire la loro vita. Il filosofo Umberto Galimberti, in un libro recente che ha avuto molta fortuna, intitolato L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, ha offerto una diagnosi del disagio giovanile che direi complementare a quella proposta da Benedetto XVI, riconducendo il malessere diffuso tra la gioventù ad una causa culturale, l’atmosfera nichilista del nostro tempo. Il nichilismo e il relativismo sono infatti intimamente connessi e, tra i due, il nichilismo sembra essere il fenomeno più ampio e più radicale, capace di un influsso pervasivo di cui forse non siamo abbastanza consapevoli. Anche senza fare nostro il giudizio di Heidegger che il M A T E R I A L I nichilismo costituirebbe il destino della nostra epoca, è difficile negare che esso rappresenti una specie di spirito del nostro tempo, diagnosticato per primo da Nietzsche, che giustamente lo ha fatto risalire alla “morte di Dio”, cioè alla fine della presenza di Dio nella nostra cultura, una fine che Nietzsche e dopo di lui tanti altri, compreso Galimberti, ritengono irreversibile. È questa, secondo la penetrante e preveggente intuizione di Nietzsche, la vera radice della caduta, o della “transvalutazione”, di tutti i valori, e quindi del fenomeno complessivo del nichilismo. In concreto è difficile non vedere, alla radice degli aspetti più inquietanti della vita della nostra società e quindi anche della strana stanchezza, del desiderio di evasione e dello smarrimento morale di molti giovani, e pertanto dell’emergenza educativa, la presenza pervasiva e “distruttiva” del nichilismo. Mi sembra necessario richiamare una terza dimensione della cultura diffusa, a sua volta collegata con il relativismo e il nichilismo, che mina alla base un’educazione autentica. Potremmo chiamarla “naturalismo”, o più esattamente riconduzione e riduzione dell’uomo a un elemento della natura: già il Concilio Vaticano II, nella Gaudium et spes, n.14, aveva individuato questo rischio denunciando la tendenza a considerare l’uomo “soltanto una particella della natura”. Oggi il rischio è molto aumentato, perché sta diventando egemone l’idea che il soggetto umano non sia altro che un risultato dell’evoluzione cosmica e biologica: certamente il suo risultato più alto, almeno per ora e nella piccola porzione dell’universo da noi meglio conosciuta, ma pur sempre un risultato omogeneo a tutti gli altri, in particolare agli animali superiori a noi più vicini nelle linee evolutive. In questa ottica i caratteri propri della nostra specie, in ultima analisi l’intelligenza e E D O C U M E N T I la libertà, non vengono certo negati, ma considerati semplicemente sviluppi e affinamenti ulteriori di capacità cerebrali evolutesi progressivamente. Per cogliere in tutto il suo spessore questa riduzione dell’uomo alla natura bisogna aggiungere un suo ulteriore fattore propulsivo. Negli ultimi decenni le scienze empiriche e le tecnologie, nella loro sempre più stretta connessione che spinge a parlare di “tecnoscienza”, hanno avuto decisivi sviluppi nelle loro applicazioni all’uomo, con quelle che chiamiamo “biotecnologie”. Attraverso di esse si aprono sempre più rapidamente nuovi scenari, che non riguardano soltanto la cura e la prevenzione delle malattie, ma la trasformazione del soggetto umano, anche in quello che è il suo organo fondamentale, il cervello: per questa via, a parere di non pochi intellettuali e uomini di scienza – ad esempio di Aldo Schiavone, che al riguardo ha scritto un saggio assai interessante, dal titolo Storia e destino –, l’evoluzione della nostra specie potrebbe essere sottratta ai ritmi lentissimi della natura e affidata invece a quelli rapidissimi della tecnologia. È chiaro però che se cambia il nostro concetto di uomo, e a maggior ragione se dovesse cambiare la realtà stessa dell’uomo, cambia a sua volta il concetto di educazione ed entrano in crisi, o comunque in grande movimento, tutti i nostri parametri educativi. A mio parere è proprio questo ciò che sta avvenendo, anche se per ora molti non se ne rendono conto. L’educazione infatti, nella sua essenza, è formazione dell’uomo, della persona umana, e non può che definirsi e strutturarsi in vista di tale obiettivo. In concreto, sta cambiando di significato quella definizione classica dell’uomo come animal rationale, animale ragionevole, di origine greca e più precisamente aristotelica ma poi corroborata e internamente potenziata dall’idea ebraico- 89 M A T E R I A L I cristiana dell’uomo come immagine di Dio, che ha retto attraverso i secoli la nostra civiltà. Il suo senso concreto è che l’uomo, in quanto animale, appartiene a pieno titolo alla natura ed è sottomesso alle sue vicende e alle sue leggi, ma in quanto razionale ha, rispetto a tutto il resto della natura, un insormontabile differenziale ontologico. Proprio questo differenziale viene ora radicalmente ridimensionato, anzi negato nel suo carattere di differenza essenziale e insuperabile. In questa negazione convergono un certo modo di intendere l’evoluzione biologica e la tendenza delle scienze empiriche a considerare l’uomo come un “oggetto”, come tale conoscibile e “misurabile” attraverso le forme dell’indagine sperimentale: questo approccio è certamente legittimo, anzi indispensabile per il progresso della conoscenza e della cura di noi stessi, ad esempio per la cura delle malattie fisiche e mentali. Quando però, cedendo a un tipo più o meno nuovo di scientismo, si considera quella scientifica come l’unica forma di conoscenza del nostro essere che sia davvero valida e universalmente proponibile, si finisce con il negare che l’uomo sia anzitutto e irriducibilmente “soggetto” ossia persona, il quale, proprio nella sua intrinseca e ineliminabile soggettività, non può mai essere totalmente oggettivato e non può essere conosciuto adeguatamente attraverso le scienze empiriche. All’interno di queste coordinate culturali, che sopprimono la differenza essenziale dell’uomo dal resto della natura e tendenzialmente lo riducono ad un oggetto, diventa assai difficile, o meglio logicamente impossibile, mantenere quel primato assoluto della persona umana, per il quale essa – e solo essa – ha una dignità assoluta ed inviolabile, va considerata e trattata cioè, per usare le parole di Emanuele Kant, sempre come un fine e mai come un mezzo o, co- 90 E D O C U M E N T I me dice il Concilio Vaticano II (Gaudium et spes , 24), è la sola creatura sulla terra “che Dio abbia voluto per se stessa”. Le conseguenze sono evidenti per il concetto e la pratica dell’educazione, ma anche per tutti i nostri comportamenti e per l’assetto globale della società. Confido di aver mostrato quali siano le ragioni, non astratte e generiche ma assai concrete, per le quali si può affermare che le cause principali – anche se certo non uniche – dell’attuale emergenza educativa sono di ordine culturale. A questo punto cercherò di indicare delle piste per superare o almeno fronteggiare questa emergenza, cominciando dagli aspetti più pratici ed operativi per poi risalire di nuovo, alla fine, al quadro culturale di fondo e ai modi e alle motivazioni per cui è possibile cambiarlo. Una prima constatazione incoraggiante è che dell’emergenza educativa siamo tutti diventati, in quest’ultimo periodo, maggiormente consapevoli. Per ciò stesso cresce la preoccupazione e anche la volontà di reagire a una situazione di questo genere. Aumentano, in concreto, la domanda di un’educazione autentica e il bisogno e la richiesta di educatori che siano davvero tali. È una richiesta assai presente tra i genitori, nel duplice senso di poter trovare, nella scuola, nella comunità cristiana e anche altrove, veri educatori per i propri figli, e di essere essi stessi aiutati e consigliati in modo da poter adempiere meglio il proprio compito educativo. Ma la richiesta è in aumento anche tra gli insegnanti, molti dei quali avvertono che diventa sempre più urgente reagire alla perdita di una vera e propria funzione, o meglio missione educativa da parte della scuola. Almeno in maniera implicita la domanda di educazione è fortemente presente anche nei ragazzi, negli adolescenti e negli stessi giovani, che non M A T E R I A L I vogliono essere lasciati soli di fronte alle sfide della vita: lo sa per esperienza chi è disponibile a dedicare loro il proprio tempo, il proprio ascolto, la propria attenzione. In forme diverse una richiesta simile sale dall’intero corpo sociale, che avverte con crescente disagio le difficoltà e le deviazioni che rendono faticoso il cammino delle nuove generazioni e teme siano messe in pericolo le basi stesse della convivenza. In particolare, oltre ai responsabili politici, coloro che hanno responsabilità di conduzione di imprese sembrano ben consapevoli che il futuro del nostro paese dipende in misura decisiva dalla qualità complessiva – e non solo dalla preparazione tecnica – del suo cosiddetto “capitale umano”. Non è il caso, dunque, di cedere al pessimismo e tanto meno alla rassegnazione. Vorrei ora, seguendo da vicino gli interventi che ho già ricordato di Benedetto XVI sull’emergenza educativa, riflettere con voi su alcune condizioni di base per un’educazione autentica. Il primo e più necessario contributo alla formazione della persona rimane sempre quello che proviene dalla vicinanza e dall’amore, a cominciare naturalmente da quella fondamentale esperienza dell’amore che i bambini fanno, o almeno dovrebbero fare, con i loro genitori. Ogni vero educatore sa che per educare occorre donare qualcosa di se stessi e che soltanto così si possono aiutare i più giovani di noi ad acquistare fiducia, a superare progressivamente il narcisismo iniziale e a diventare a propria volta capaci di amore autentico e generoso. Mi sia permesso qui un riferimento molto concreto, che riguarda i genitori e il modo di comprendere anzitutto la loro reciproca unione: il primo grande dono che potete fare ai vostri figli – ha detto Benedetto XVI rivolgendosi a loro nell’udienza in piazza San Pietro –, quel dono di cui i figli hanno bisogno per crescere e per ac- E D O C U M E N T I quisire fiducia in se stessi e fiducia nella vita, è la certezza del vostro reciproco amore. Del resto l’esperienza degli ultimi decenni ha già mostrato, in Italia e ancor più in altri paesi – ad esempio l’Inghilterra dove il problema sta richiamando su di sé l’attenzione dei responsabili della comunità nazionale –, che il fallimento di tanti matrimoni è un fattore decisivo del disagio giovanile e dell’emergenza educativa. Si conferma dunque che è troppo sbrigativo e superficiale considerare il matrimonio e la sua stabilità una questione soltanto privata. Già in un piccolo bambino, insieme al bisogno di essere amato, è presente d’altronde una grande curiosità, un forte desiderio di sapere e di capire che si manifesta in continue domande e richieste di spiegazioni. Questo desiderio di per sé non ha limiti, come non ha limiti il bisogno di essere amati. Si rivolge anzitutto a ciò di cui il bambino, e poi l’adolescente e il giovane, fa esperienza diretta, ma non si arresta a questo livello, vuol capire di più ed ogni risposta può provocare una domanda ulteriore. Man mano che affiorano nell’animo del ragazzo le grandi domande che riguardano l’orientamento da dare alla propria vita – con tutto ciò che queste domande presuppongono e che ha a che fare con l’origine e con il significato di noi stessi e del mondo – l’orizzonte della curiosità si approfondisce e si allarga all’infinito. Il lavoro educativo, se vuole davvero farsi carico della formazione della persona, non può dunque evitare di confrontarsi con quelle grandi domande, con rispetto e umiltà ma anche senza impossibili neutralità e senza riserve o limitazioni che contraddirebbero la sua principale funzione. Nella prospettiva della formazione della persona va anche inquadrata la questione forse più controversa e dibattuta in ambito 91 M A T E R I A L I educativo: quella del rapporto reciproco tra libertà e disciplina. Non per caso tutte le grandi tradizioni educative fanno leva su precise regole di comportamento e di vita: senza di esse infatti non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare la realtà della vita. Personalmente ritengo quindi un errore gravido di conseguenze negative, che ormai sono sotto gli occhi di tutti, quella brusca svolta per la quale, una quarantina di anni fa, si è ritenuto che la disciplina fosse una forma di autoritarismo nocivo al pieno sviluppo delle potenzialità della persona. Al tempo stesso il rapporto tra l’educatore e l’allievo è pur sempre l’incontro tra due libertà, una delle quali in formazione, e l’educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà. Man mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un giovane, bisogna dunque accettare il rischio della libertà, rimanendo però sempre attenti ad aiutare a correggere le scelte sbagliate. Quello che invece non dobbiamo fare è assecondare gli errori, fingendo di non vederli, o peggio condividendoli come se fossero espressione di creatività e di libertà personale. Del resto, il rischio della libertà non solo è ineliminabile, ma è il segno distintivo della trascendenza della persona umana. A differenza di quanto avviene in campo tecnico o economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato, nell’ambito della formazione e della crescita morale sia delle persone sia di un’intera generazione non esiste una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell’uomo è sempre nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono essere semplicemente ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una, spesso sofferta, scelta personale. 92 E D O C U M E N T I Perciò l’assunzione di responsabilità non può non accompagnare la libertà ed è condizione sostanziale di ogni nostra seria realizzazione, personale o collettiva. Proprio far crescere progressivamente, con il progresso dell’età, il senso della propria responsabilità è dunque un obiettivo centrale del processo educativo, che coinvolge certo il compito degli educatori ma anche la personalità e la libertà dei ragazzi, che restano pur sempre i veri soggetti dell’educazione. Un ultimo aspetto su cui vorrei richiamare l’attenzione riguarda qualcosa di cui di solito non si parla, o meglio si parla solo in termini negativi. Mi riferisco al rapporto tra educazione e sofferenza, educazione ed esperienza del dolore. Nella mentalità diffusa la sofferenza – fisica o morale – è quell’aspetto oscuro della vita che è meglio mettere tra parentesi e da cui in ogni caso bisogna preservare il più possibile le giovani generazioni. La sofferenza però fa parte della realtà e della verità della nostra vita. Cercando di tenere i più giovani al riparo da ogni difficoltà ed esperienza del dolore rischiamo perciò di far crescere, al di là delle nostre intenzioni, persone fragili, poco realiste e poco generose: la capacità di amare e di donarsi corrisponde infatti alla capacità di soffrire, e di soffrire insieme. Per essere completa e adeguata, o meglio pienamente umana, l’educazione deve piuttosto cercare di non lasciare senza risposta gli interrogativi che la sofferenza, soprattutto la sofferenza innocente, e alla fine la morte stessa pongono alla nostra coscienza. Quando si toccano gli aspetti oscuri della vita sorge immediatamente l’interrogativo circa un fondamento solido sul quale si possa comunque costruire, e reciprocamente si comprende come l’incertezza e la mancanza di prospettive a questo riguardo M A T E R I A L I siano un aspetto essenziale delle attuali difficoltà dell’educazione. Ritorniamo così alle ragioni più profonde, di ordine anzitutto culturale, dell’emergenza educativa. In termini “laici” si può dire che il nodo di fondo è la presenza, o l’assenza, di fiducia nella vita. In termini religiosi bisogna parlare della speranza cristiana, a cui Benedetto XVI ha dedicato non per caso la sua seconda Enciclica: per lui soltanto una speranza affidabile può essere l’anima dell’educazione, come dell’intera vita. Questa speranza oggi è insidiata da molte parti ed è forte la tendenza a ridiventare come gli antichi pagani, che San Paolo definiva uomini «senza speranza e senza Dio in questo mondo» (Ef 2,12). Uno studioso non credente come Jürgen Habermas già da tempo ha parlato della perdita di fiducia nella salvezza che viene da Dio, nella redenzione e nella grazia come di un fenomeno che per la prima volta è diventato generale, o almeno molto diffuso, nei paesi europei, senza però che questa perdita abbia trovato compensazioni e sostituti nella nostra cultura: anzi, il venir meno delle ideologie che promettevano una piena realizzazione dell’uomo attraverso la trasformazione della società ha reso questo vuoto ancora più evidente. Non posso dunque concludere questo intervento sul “paradosso” dell’educazione senza proporre qualche spunto di riflessione riguardo alle tendenze culturali che abbiamo visto essere all’origine dell’emergenza educativa. In primo luogo vorrei rifarmi di nuovo a un paradosso, cioè alla verità contenuta nel nichilismo: è vero cioè che, alla fine, senza Dio tutto manca di fondamento e finisce per crollare. È vero, in particolare, che se Dio non c’è diventa ben difficile, anzi logicamente impossibile, giustificare una differenza qualitativa e irriducibile dell’uomo rispetto al resto della natura: da dove mai, infatti, una simile diffe- E D O C U M E N T I renza potrebbe provenire, se soltanto la natura, l’universo fisico, è la realtà primordiale da cui tutto trae origine e a cui, quindi, tutto si riconduce. Così, ad esempio, non ci potrebbe più essere spazio per una libertà intesa in senso proprio, come facoltà del soggetto umano di decidere in un senso o nell’altro, sottraendosi sia alla necessità sia alla casualità della natura. Oggi, in una cultura nella quale la razionalità scientifica e tecnologica ha assunto una vera leadership e un peso spesso preponderante, la negazione di Dio, o comunque il ritenerlo non necessario e irrilevante per la comprensione del mondo, e al tempo stesso la riduzione dell’uomo ad un elemento della natura, fanno capo soprattutto a una certa interpretazione del sapere scientifico, che lo vorrebbe autosufficiente e almeno potenzialmente “onniesplicativo”. Queste posizioni “scientiste” non sono certo condivise dagli uomini di scienza più importanti e significativi, ma comunque hanno dato luogo ad una specie di “volgata” che si pretende scientifica – mentre semmai ha a che fare con le interpretazioni filosofiche della conoscenza scientifica e in generale della conoscenza umana – e che esercita un forte influsso sulla cultura diffusa, compresa quella che viene proposta sui giornali e anche nelle scuole. Perciò siamo in molti a ritenere che nell’attuale contesto culturale la via più efficace per riaprire lo spazio a Dio sia quella di concentrare l’attenzione sulla struttura e sui presupposti della stessa conoscenza scientifica. Una sua caratteristica fondamentale è rappresentata infatti dalla stretta sinergia tra matematica ed esperienza, ossia tra le ipotesi formulate matematicamente e la loro verifica sperimentale: questa sinergia è la chiave dei risultati giganteschi e sempre crescenti che si ottengono attraverso le tecnologie, operando sulla 93 M A T E R I A L I natura e mettendo al nostro servizio le sue immense energie. La matematica però è frutto della nostra intelligenza, un frutto puro e “astratto” che si spinge al di là di tutto ciò che noi possiamo immaginare e rappresentare sensibilmente e che proprio in questa sua “astrattezza” consente i più straordinari risultati conoscitivi e operativi, ad esempio nella fisica quantistica e nella teoria della relatività. La corrispondenza che non può non esistere tra la matematica e le strutture reali dell’universo, perché in caso diverso le previsioni scientifiche e le applicazioni tecnologiche non funzionerebbero, pone dunque una grande domanda: implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera razionale, così che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la razionalità oggettivata nella natura. Diventa allora inevitabile chiedersi a quali condizioni una tale corrispondenza sia possibile e in concreto se non debba esservi un’Intelligenza originaria che sia la fonte comune della natura e della nostra razionalità. Così non direttamente la scienza, ma la riflessione filosofica sulle condizioni che rendono la scienza possibile, ci riporta verso quel Verbo, quel Logos creatore di cui ci parla San Giovanni all’inizio del suo Vangelo. Benedetto XVI ha proposto più volte questo tipo di argomentazione, sia in sedi propriamente accademiche come nel suo celebre discorso di Ratisbona sia in occasioni assai più semplici e popolari, come nell’incontro che ha avuto con i giovani di Roma l’8 aprile 2006. Non vorrei però ricondurre subito ed esclusivamente alla questione di Dio la risposta alle problematiche culturali che rendono difficile l’educazione. Anche chi non è credente, infatti, può e deve svolgere un ruolo positivo ed efficace nella comune opera educativa, e soprattutto la persona umana ha già in se stessa una sua consistenza 94 E D O C U M E N T I che rende poco credibile il ridurla semplicemente a una particella della natura, anche se – come dicevo – in ultima analisi questa consistenza senza Dio rimane sospesa nel vuoto. In concreto, per rispondere alla domanda chi sia realmente l’uomo non basta studiare i percorsi evolutivi che hanno condotto al suo apparire sulla terra, e nemmeno indagare sulle strette connessioni che indubbiamente esistono tra i processi mentali e il funzionamento dell’organo cerebrale. Bisogna prendere in altrettanto seria considerazione un approccio diverso, che parte dall’esame delle “prestazioni” di cui l’uomo si è mostrato e si mostra capace. Mi riferisco a quella capacità di produrre cultura che è propria ed esclusiva dell’uomo e che ha dato luogo, attraverso i millenni, a uno sviluppo gigantesco e sempre più rapidamente crescente, all’interno del quale emergono “punte” estremamente significative, come l’attitudine ad assumere responsabilità etiche, il rigore e l’efficacia del pensiero logico, la creatività estetica. In realtà, se riflettiamo su ciascuna di queste caratteristiche, ci troviamo di fronte a qualcosa di incondizionato, come il dovere morale, che può certo essere contraddetto dalle nostre scelte ma che non cessa di proporsi come la misura autentica della nostra dignità personale, o come l’evidenza di verità di un ragionamento o di un’intuizione, o come la bellezza che si impone alla nostra ammirazione. Tentare di spiegare tutto questo soltanto in termini di meccanismi psico-fisici o di “interessi” dell’evoluzione della nostra specie significherebbe non vedere e considerare inesistenti questi che sono gli aspetti più propri e più profondi della nostra esperienza umana. Termino riconoscendo due limiti, che contengono al tempo stesso due provocazioni, o meglio due appelli. Dobbiamo riconosce- M A T E R I A L I re anzitutto che nessuno studio e nessun ragionamento può fornirci delle evidenze incontrovertibili riguardo a Dio come anche riguardo all’uomo. Quando infatti ci interroghiamo su noi stessi, la questione non è mai puramente teorica e oggettiva, ma sempre anche ed inevitabilmente pratica e personale, dato che si tratta appunto di noi stessi, di che cosa, o meglio di chi siamo, e quindi della direzione da dare alla nostra vita, di come possiamo orientarla e realizzarla. E qualcosa di analogo vale per la questione di Dio: anch’essa infatti ha delle grandissime ed ineludibili implicazioni riguardo al senso e all’orientamento della nostra vita. Nessuno dunque, credente o non credente, scienziato, filosofo o uomo comune, dovrebbe ritenersi preservato da questa caratteristica della condizione umana, giudicando le sue convinzioni riguardo all’uomo, o riguardo a Dio, puramente “neutrali”, razionali o “laiche”, e imputando invece agli altri di procedere in modo aprioristico e dogmatico. Perciò, anche riguardo all’argomento che risale dalla razionalità della natura all’Intelligenza creatrice, Benedetto XVI parla non di dimostrazione apodittica ma di “ipotesi migliore”, che esige da parte dell’uomo e della sua ragione “di rinunciare a una posizione di dominio e di rischiare quella dell’ascolto umile”. Questo limite, almeno apparente, della condizione umana, rappresenta però un appello grande e radicale alla nostra libertà, alla dimensione più profonda dell’io di ciascuno e a quel “noi” che non può abdicare alla solidarietà reciproca davanti agli interrogativi supremi della vita: per chi cerca di seguire la voce della coscienza e di considerare ogni persona degna di un rispetto incondizionato, quell’ipotesi riguardo a Dio e all’uomo diventa pian piano una certezza interiore che illumina e sostiene il cammino della vita. E D O C U M E N T I Il secondo limite riguarda le possibilità di azione di ciascuno di noi, compresi coloro che vengono classificati come “persone molto importanti”. Nel campo dell’educazione, come sostanzialmente in ogni altro ambito della vita, sperimentiamo di continuo la scarsità delle nostre possibilità di intervento e la precarietà dell’influsso che possiamo esercitare, in un contesto che dipende da mille, spesso imponderabili, fattori. Perciò è facile, e anche comodo, pensare: non dipende da me e quindi, alla fine, non è affar mio. In concreto, quando si tratta di modificare quel clima culturale che sembra contrario ad un umanesimo autentico e quindi sfavorevole all’educazione e formazione della persona, la prima sensazione che proviamo è quella di un’impotenza di fondo ad opporci a tendenze che vengono da lontano e che hanno radici e sostegni molti diffusi. La società però, come ha scritto Benedetto XVI nella lettera sull’educazione, «non è un’astrazione; alla fine siamo noi stessi, tutti insieme,… sebbene siano diversi i ruoli e le responsabilità di ciascuno». A questo punto oso proporre un ultimo appello, o se volete provocazione, che formulo in questa città di Milano e da questo Collegio San Carlo che a Milano ha uno spazio e un compito di grande significato. L’appello è rivolto a voi tutti e a ciascuno nel ruolo e nelle responsabilità di cui è investito. Modificare il clima culturale, o – per usare la formula di Benedetto XVI – allargare gli spazi della razionalità e liberarsi dalla dittatura del relativismo, è un’impresa impegnativa ma non impossibile, e in realtà nemmeno disperata. A ciascuno di noi è richiesto di rendersi sempre più consapevole della portata di questa sfida e di affrontarla con determinazione e con fiducia. Così anche l’emergenza educativa potrà pian piano diventare meno acuta. 95 M A T E R I A L I E D O C U M E N T I Discorso del Santo Padre Benedetto XVI ai partecipanti all’incontro degli Insegnanti di Religione Cattolica Sabato, 25 aprile 2009 - Aula Paolo VI Il discorso pronunciato dal santo Padre dinanzi alla folla entusiasta degli IdR italiani in Aula Paolo VI sintetizza la storia di una consapevolezza: «La dimensione religiosa è intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita… non è dunque una sovrastruttura; essa è parte integrante della persona, sin dalla primissima infanzia… La dimensione religiosa rende l’uomo più uomo». Questo è il presupposto dell’IRC culturale e confessionale, al cui centro si pone la concreta persona dell’IdR: «a voi… appartiene la vocazione a lasciar trasparire che quel Dio di cui parlate nelle aule scolastiche costituisce il riferimento essenziale della vostra vita». Cari fratelli e sorelle, è un vero piacere per me incontrarvi quest’oggi e condividere con voi alcune riflessioni sulla vostra importante presenza nel panorama scolastico e culturale italiano, nonché in seno alla comunità cristiana. Saluto tutti con affetto, a cominciare dal Cardinale Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, che ringrazio per le cortesi parole che mi ha rivolto, presentandomi questa numerosa e vivace Assemblea. Ugualmente rivolgo un saluto cordiale a tutte le autorità presenti. L’insegnamento della religione cattolica è parte integrante della storia della scuola in Italia, e l’insegnante di religione costituisce una figura molto importante nel collegio dei docenti. È significativo che con lui tanti ragazzi si tengano in contatto anche dopo i corsi. L’altissimo numero di coloro che scelgono di avvalersi di questa disciplina è inoltre il segno del valore insostituibile che essa riveste nel percorso formativo e un indice degli elevati livelli di qualità che ha 96 raggiunto. In un suo recente messaggio la Presidenza della Cei ha affermato che «l’insegnamento della religione cattolica favorisce la riflessione sul senso profondo dell’esistenza, aiutando a ritrovare, al di là delle singole conoscenze, un senso unitario e un’intuizione globale. Ciò è possibile perché tale insegnamento pone al centro la persona umana e la sua insopprimibile dignità, lasciandosi illuminare dalla vicenda unica di Gesù di Nazaret, di cui si ha cura di investigare l’identità, che non cessa da duemila anni di interrogare gli uomini». Porre al centro l’uomo creato ad immagine di Dio (cfr. Gn 1, 27) è, in effetti, ciò che contraddistingue quotidianamente il vostro lavoro, in unità d’intenti con altri educatori ed insegnanti. In occasione del Convegno ecclesiale di Verona, nell’ottobre 2006, io stesso ebbi modo di toccare la «questione fondamentale e decisiva» dell’educazione, indicando l’esigenza di «allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare M A T E R I A L I tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme» (Discorso del 19 ottobre 2006: Insegnamenti di Benedetto XVI, II, 2 [2006], 473; 471). La dimensione religiosa, infatti, è intrinseca al fatto culturale, concorre alla formazione globale della persona e permette di trasformare la conoscenza in sapienza di vita. Il vostro servizio, cari amici, si colloca proprio in questo fondamentale crocevia, nel quale – senza improprie invasioni o confusione di ruoli – si incontrano l’universale tensione verso la verità e la bimillenaria testimonianza offerta dai credenti nella luce della fede, le straordinarie vette di conoscenza e di arte guadagnate dallo spirito umano e la fecondità del messaggio cristiano che così profondamente innerva la cultura e la vita del popolo italiano. Con la piena e riconosciuta dignità scolastica del vostro insegnamento, voi contribuite, da una parte, a dare un’anima alla scuola e, dall’altra, ad assicurare alla fede cristiana piena cittadinanza nei luoghi dell’educazione e della cultura in generale. Grazie all’insegnamento della religione cattolica, dunque, la scuola e la società si arricchiscono di veri laboratori di cultura e di umanità, nei quali, decifrando l’apporto significativo del cristianesimo, si abilita la persona a scoprire il bene e a crescere nella responsabilità, a ricercare il confronto ed a raffinare il senso critico, ad attingere dai doni del passato per meglio comprendere il presente e proiettarsi consapevolmente verso il futuro. L’appuntamento odierno si colloca anche nel contesto dell’Anno Paolino. Grande è il fascino che l’Apostolo delle genti continua ad esercitare su tutti noi: in lui riconosciamo il discepolo umile e fedele, il coraggioso annunciatore, il geniale mediatore della E D O C U M E N T I Rivelazione. Caratteristiche, queste, a cui vi invito a guardare per alimentare la vostra stessa identità di educatori e di testimoni nel mondo della scuola. È Paolo, nella prima Lettera ai Tessalonicesi (4, 9), a definire i credenti con la bella espressione di theodìdaktoi , ossia “ammaestrati da Dio”, che hanno Dio per maestro. In questa parola troviamo il segreto stesso dell’educazione, come anche ricorda sant’Agostino: «Noi che parliamo e voi che ascoltate riconosciamoci come fedeli discepoli di un unico Maestro» (Serm. 23, 2). Inoltre, nell’insegnamento paolino la formazione religiosa non è separata dalla formazione umana. Le ultime Lettere del suo epistolario, quelle dette “pastorali”, sono piene di significativi rimandi alla vita sociale e civile che i discepoli di Cristo devono ben tenere a mente. San Paolo è un vero “maestro” che ha a cuore sia la salvezza della persona educata in una mentalità di fede, sia la sua formazione umana e civile, perché il discepolo di Cristo possa esprimere in pieno una personalità libera, un vivere umano “completo e ben preparato”, che si manifesta anche in un’attenzione per la cultura, la professionalità e la competenza nei vari campi del sapere a beneficio di tutti. La dimensione religiosa non è dunque una sovrastruttura; essa è parte integrante della persona, sin dalla primissima infanzia; è apertura fondamentale all’alterità e al mistero che presiede ogni relazione ed ogni incontro tra gli esseri umani. La dimensione religiosa rende l’uomo più uomo. Possa il vostro insegnamento essere sempre capace, come lo fu quello di Paolo, di aprire i vostri studenti a questa dimensione di libertà e di pieno apprezzamento dell’uomo redento da Cristo così come è nel progetto di Dio, esprimendo così, nei confronti di tanti ragazzi e delle loro famiglie, una vera carità intellettuale. 97 M A T E R I A L I Certamente uno degli aspetti principali del vostro insegnamento è la comunicazione della verità e della bellezza della Parola di Dio, e la conoscenza della Bibbia è un elemento essenziale del programma di insegnamento della religione cattolica. Esiste un nesso che lega l’insegnamento scolastico della religione e l’approfondimento esistenziale della fede, quale avviene nelle parrocchie e nelle diverse realtà ecclesiali. Tale legame è costituito dalla persona stessa dell’insegnante di religione cattolica: a voi, infatti, oltre al dovere della competenza umana, culturale e didattica propria di ogni docente, appartiene la vocazione a lasciar trasparire che quel Dio di cui parlate nelle aule scolastiche costituisce il riferimento essenziale della vostra vita. Lungi dal costituire un’interferenza o una limitazione della libertà, la vostra pre- E D O C U M E N T I senza è anzi un valido esempio di quello spirito positivo di laicità che permette di promuovere una convivenza civile costruttiva, fondata sul rispetto reciproco e sul dialogo leale, valori di cui un Paese ha sempre bisogno. Come suggeriscono le parole dell’apostolo Paolo che fanno da titolo a questo vostro appuntamento, auguro a tutti voi che il Signore vi doni la gioia di non vergognarvi mai del suo Vangelo, la grazia di viverlo, la passione di condividere e coltivare la novità che da esso promana per la vita del mondo. Con questi sentimenti benedico voi e le vostre famiglie, insieme a tutti coloro – studenti e insegnanti – che ogni giorno incontrate in quella comunità di persone e di vita che è la scuola. Benedetto pp. XVI © Libreria Editrice Vaticana Dal Discorso del Santo Padre Benedetto XVI alla 59a Assemblea Generale della CEI (28 maggio 2009) L’intervento del Santo Padre all’Assemblea della CEI ha richiamato, ancora una volta, la necessità di fronteggiare l’emergenza educativa non solo con piani di ingegneria gestionale, ma soprattutto con la testimonianza degli educatori: «educatori autorevoli a cui le nuove generazioni possano guardare con fiducia». La via tracciata passa necessariamente attraverso un serio impegno di formazione permanente. Cari Fratelli Vescovi italiani, […] avete voluto opportunamente approfondire nell’azione pastorale l’impegno missionario, che ha caratterizzato il cammino della Chiesa in Italia dopo il Concilio, mettendo al centro della riflessione della vostra assemblea il compito fondamentale dell’educazione. Come ho avuto modo a più riprese di ribadire, si tratta di una esigenza costi98 tutiva e permanente della vita della Chiesa, che oggi tende ad assumere i tratti dell’urgenza e, perfino, dell’emergenza. Avete avuto modo, in questi giorni, di ascoltare, riflettere e discutere sulla necessità di porre mano ad una sorta di progetto educativo che nasca da una coerente e completa visione dell’uomo quale può scaturire unicamente dalla perfetta imma- M A T E R I A L I gine e realizzazione che ne abbiamo in Cristo Gesù. È Lui il Maestro alla cui scuola riscoprire il compito educativo come un’altissima vocazione alla quale ogni fedele, con diverse modalità, è chiamato. In un tempo in cui è forte il fascino di concezioni relativistiche e nichilistiche della vita, e la legittimità stessa dell’educazione è posta in discussione, il primo contributo che possiamo offrire è quello di testimoniare la nostra fiducia nella vita e nell’uomo, nella sua ragione e nella sua capacità di amare. Essa non è frutto di un ingenuo ottimismo, ma ci proviene da quella «speranza affidabile» (Spe salvi, 1) che ci è donata mediante la fede nella redenzione operata da Gesù Cristo. In riferimento a questo fondato atto d’amore per l’uomo può sorgere una alleanza educativa tra tutti coloro che hanno responsabilità in questo delicato ambito della vita sociale ed ecclesiale. La conclusione, domenica prossima, del triennio dell’Agorà dei giovani italiani, che ha visto impegnata la vostra Conferenza in un percorso articolato di animazione della pastorale giovanile, costituisce un invito a verificare il cammino educativo in atto e a intraprendere nuovi progetti per una fascia di destinatari, quella delle nuove generazioni, estremamente ampia e significativa per le responsabilità educative delle nostre comunità ecclesiali e della società tutta. L’opera formativa, infine, si allarga anche all’età adulta, che non è esclusa da una vera e propria responsabilità di educazione permanente. Nessuno è escluso dal compito di prendersi a cura la crescita propria e altrui verso la «misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13). La difficoltà di formare autentici cristiani si intreccia fino a confondersi con la difficoltà di far crescere uomini e donne responsabili e maturi, in cui coscienza della verità e del E D O C U M E N T I bene e libera adesione ad essi siano al centro del progetto educativo, capace di dare forma ad un percorso di crescita globale debitamente predisposto e accompagnato. Per questo, insieme ad un adeguato progetto che indichi il fine dell’educazione alla luce del modello compiuto da perseguire, c’è bisogno di educatori autorevoli a cui le nuove generazioni possano guardare con fiducia. In questo Anno paolino, che abbiamo vissuto nell’approfondimento della parola e dell’esempio del grande Apostolo delle genti […] risuona con singolare efficacia il suo invito: «Fatevi miei imitatori» (1Cor 11,1). Un vero educatore mette in gioco in primo luogo la sua persona e sa unire autorità ed esemplarità nel compito di educare coloro che gli sono affidati. Ne siamo consapevoli noi stessi, posti come guide in mezzo al popolo di Dio, ai quali l’apostolo Pietro rivolge, a sua volta, l’invito a pascere il gregge di Dio facendoci «modelli del gregge» (1Pt 5,3). Risulta pertanto singolarmente felice la circostanza che ci vede pronti a celebrare, dopo l’anno dedicato all’Apostolo delle genti, un Anno sacerdotale. Siamo chiamati, insieme ai nostri sacerdoti, a riscoprire la grazia e il compito del ministero presbiterale. Esso è un servizio alla Chiesa e al popolo cristiano che esige una profonda spiritualità. In risposta alla vocazione divina, tale spiritualità deve si nutrirsi della preghiera e di una intensa unione personale con il Signore per poterlo servire nei fratelli attraverso la predicazione, i sacramenti, una ordinata vita di comunità e l’aiuto ai poveri. In tutto il ministero sacerdotale risalta, in tal modo, l’importanza dell’impegno educativo, perché crescano persone libere e responsabili, cristiani maturi e consapevoli […]. Benedetto pp. XVI © Libreria Editrice Vaticana 99 M A T E R I A L I E D O C U M E N T I Dalla Prolusione del card. Angelo Bagnasco alla 59a Assemblea Generale della CEI (25 maggio 2009) Il card. Bagnasco ha esortato la Chiesa italiana a non scoraggiarsi dinanzi alle incertezze dei metodi e degli strumenti educativi: «nessuno può gettare la spugna». Occorre individuare le iniziative più riuscite e i segnali di rinascita, imparando a collaborare con tutte le istituzioni e mettendo in primo piano l’esemplarità di vita degli educatori: «la vita viene accesa solo dalla vita» (R. Guardini). […] 9. L’ambito nel quale più preoccupante appare l’impatto dello spirito del tempo è quello educativo. Infatti si parla, non a caso, di «emergenza», e non per analogia né per retorica: su questo fronte percepiamo effettivamente un allarme serissimo, che va via via dilatandosi. E poiché consideriamo l’emergenza educativa il fattore in grado di mettere a repentaglio l’equilibrio di una società e le possibilità concrete di un suo progresso, il Consiglio Permanente ha deciso di farne il tema centrale di questa Assise. Collegialmente poi, ci esprimeremo sugli orientamenti pastorali del prossimo decennio. Su questo argomento ci aiuterà la relazione di S. Ecc. Monsignor Diego Coletti che fin d’ora ringrazio. Peraltro, non sono pochi coloro che, ritenendo praticamente impossibile l’opera dell’educazione, vi rinunciano in partenza. Anche tra le figure tradizionalmente dedite a questo impegno, come i genitori e gli insegnanti, sembra farsi strada un atteggiamento di resa, magari non dichiarata ma effettiva, come di un compito evidentemente in contrasto con ciò che interessa alle persone. A molti adulti, oggi, sembra un risultato già soddisfacente riuscire a trasmettere appena le regole del galateo, come a scuola le nozioni principali delle singole materie. Ma ben sappiamo che l’educazione è molto più che 100 istruzione. È il risvegliarsi del soggetto che decide di sé, al di là di ogni determinismo sociale o biologico. La stessa istruzione stenta ad attecchire, e diventare un possesso per sempre, se non si insedia in un processo di crescita nel quale si trovano mobilitate tutte le risorse del soggetto. Una serie di fenomeni sociali peraltro non lascia spazio a illusioni. E ormai è anticipato all’infanzia il momento in cui gli adulti temono di non riuscire più a farsi ascoltare. In realtà, nessuno può gettare la spugna davanti a una sfida sì ardua, ma entusiasmante e decisiva: proprio perché qui si gioca la felicità delle giovani generazioni e il bene della società, merita che investiamo tutta l’intelligenza e la passione di cui siamo capaci, guardando avanti con fiducia e avvalendoci di una storia straordinaria che ha nei Santi dediti all’educazione dei veri maestri. Loro ci insegnano a tenere fisso lo sguardo sul Maestro: «Chiunque segue Cristo, l’uomo perfetto, si fa lui pure più uomo» (Gaudium et Spes, n. 41). Mi piace citare qui un grande educatore del secolo appena concluso, l’italo-tedesco Romano Guardini, le cui lezioni universitarie attiravano folle di giovani: «Che cosa dunque significa educare? […] Educare significa che io do a quest’uomo coraggio verso se stesso […]. Che lo aiuto a conquistare la libertà M A T E R I A L I sua propria […]. Con quali mezzi? Sicuramente avvalendomi anche di discorsi, esortazioni, stimoli e metodi di ogni genere. Ma ciò non è ancora il fattore originale. La vita viene accesa solo dalla vita […]. Da ultimo, come credenti, diciamo che educare significa aiutare l’altra persona a trovare la sua strada verso Dio. Non soltanto che abbia le carte in regola per affermarsi nella vita, bensì che questo ‘bambino di Dio’ cresca fino alla ‘maturità di Cristo’. L’uomo è per l’uomo la via verso Dio» (R. Guardini, Persona e libertà, Editrice La Scuola, 1987, pagg. 222-223). Possiamo dire che, in certa misura, il problema dei giovani sono gli adulti! Il mondo adulto non può gridare allo scandalo, esibire sorpresa di fronte alle trasgressioni più atroci che vedono protagonisti giovani e giovanissimi, e subito dopo spegnere i riflettori senza nulla correggere dei modelli che presenta ed impone ogni giorno. Sono modelli che uccidono l’anima, perché la rendono triste e annoiata, senza desideri alti perché senza speranza. Ma il cuore dei giovani, anche quando sembra inerte o prigioniero del nulla, in realtà è segnato da una insopprimibile nostalgia di ideali nobili, e va in cerca di modelli credibili dove «leggere» ciò che veramente riempie la vita. In una tale situazione, il pericolo più grande, infatti, è rappresentato dalla sfiducia, dal pessimismo, dall’atteggiamento che nulla ormai ci può salvare. Bisogna invece reagire, e lo spazio – per quanto contrastato – c’è. Soprattutto è decisiva qui una consapevolezza di ordine diverso, capace di andare anche controcorrente. Per questo aguzziamo lo sguardo per registrare le voci e le esperienze che nonostante tutto anticipano i segni di una rinascita. Ed ancora stiamo attenti a cogliere le preoccupazioni che da altre agenzie affiorano sulla medesima emergenza. Se oltre che nella Chie- E D O C U M E N T I sa, anche in altre componenti e istituzioni – come in parte accade – irrompe sul serio la questione educativa, allora qualcosa di importante può davvero prendere avvio . Bisogna coalizzare le forze, per applicarci al meglio nella diagnosi e scandire gli obiettivi, con i percorsi e i mezzi per raggiungerli. Quello educativo è, per le nostre comunità cristiane, un impegno tutt’altro che inedito. Su questo fronte, nell’arco anche solo degli ultimi sessant’anni, ha ad un certo punto preso forma una straordinaria stagione formativo-educativa, quasi un’epopea che ha beneficamente influito su diversi aspetti della vita nazionale. Ebbene, riprendere con sistematicità e intensificare ora un’azione che in fondo non è mai stata dismessa, significa collocarci su una linea di servizio che probabilmente intercetterà l’attesa di molte famiglie, a prescindere dalla frequenza o meno ai sacramenti . Come Chiesa, sentiamo nostra fino al midollo questa diaconia: essa non circoscrive la propria azione nella sola prospettiva religiosa, perché punta ad educare donne e uomini che faranno l’Italia e l’Europa di domani. Anche questo orizzonte, necessariamente più ampio, è obiettivo che merita la nostra dedizione. 101 Gli svizzeri sono sempre avanti. Anche nella cultura. Così è stato varato, ormai alcuni anni fa, un progetto per la digitalizzazione di tutti i manoscritti conservati nelle biblioteche svizzere. Già moltissimi manoscritti sono consultabili in rete; il sito (www.e-codices.unifr.ch) è quadrilingue (inglese, francese, tedesco e italiano) ed è corredato anche di commenti di alto livello scientifico (purtroppo questi ultimi solo in tedesco). Di ogni manoscritto viene offerta prima una breve descrizione sintetica e poi una dettagliata scheda informativa (luogo e data di origine, tipo di scrittura, descrizione delle eventuali decorazioni e/o immagini, ecc.); infine è possibile visionare ad alta risoluzione le immagini di ogni pagina (recto e verso) e perfino della rilegatura, così da poter consultare il manoscritto come se lo si avesse davanti agli occhi. Le immagini possono essere liberamente scaricate e utilizzate (purché non a fini commerciali), al fine di incentivare lo studio della paleografia e della storia medievale. In questo numero di RSC presentiamo il manoscritto n. 341 della Biblioteca di San Gallo (Cod. Sang. 341): questa biblioteca monastica rappresenta – con i suoi oltre 250 documenti già messi in rete – la collezione di gran lunga più importante della Svizzera. Il codice 341 risale al 1070 circa; la grafia è una carolingia minuscola, verosimilmente ad opera di una stessa mano. Contiene un calendario (pp. 3-18), un breviario (pp. 19-34) e un meraviglioso sacramentarlo (pp. 36-383), arricchito da quattro splendide figure a tutta pagina. Riproduciamo e commentiamo queste quattro immagini. Crocifissione con Maria e Giovanni (p. 7). Nei sacramentari antichi spesso la prima pagina del canone eucaristico è impreziosita da un’immagine della crocifissione. In questo codice, la miniatura raffigura la croce come “albero della vita” (si noti la base, radicata nel suolo, e le gemme di fioritura diffuse su tutto il legno); sopra il patibulum è affisso il titulus, senza alcuna iscrizione. Sole e luna, rappresentanti del cosmo, assistono alla scena, colorati di porpora e di blu (si noti: il sole, che in tedesco è femminile [die Sonne] sopra Maria; la luna, in tedesco der Mond [maschile] sopra Giovanni; i colori delle quattro figure si richiamano a coppie). Il corpo del Salvatore pende leggermente a sinistra, gli occhi chiusi e il capo inclinato verso Maria, che guarda il Figlio con espressione attonita e dolente. Giovanni si batte il petto e tiene nella mano sinistra un codicillum, simbolo del Vangelo che avrebbe poi scritto. Le tre figure sono coronate di aureola gialla; quella di Cristo presenta però in più una croce cerulea inscritta. Lo sfondo è totalmente dorato, simbolo della trascendenza del Mistero e della rivelazione della gloria divina. Come di consueto avviene quando la scena è dipinta su un sacramentario, la forma della croce sostituisce la “T” di «Te igitur, clementissime Pater…» (incipit della preghiera eucaristica). In questo caso le lettere “…e igitur” sono quasi totalmente sbiadite (si legge ancora solamente la R, a destra del volto di Giovanni); nella zona bassa color porpora, raffigurante la terra, si distingue bene, sotto una banda azzurra, la parola «CLEMENTISSIME». Elegante la cornice, che presenta un fregio geometrico variopinto. L’immagine descrive la partecipazione della Chiesa all’unico sacrificio redentore, che il sacerdote deve aver ben presente negli occhi e nel cuore quando celebra la Messa. Natività (p. 11). La pagina è scandita in due zone distinte, separate da una banda dorata racchiusa da due strisce di minio (pigmento rosso/arancione, frequentemente usato per decorare i codici antichi, da cui il termine “miniatura”). Nella parte superiore: a sinistra Maria, plasticamente accovacciata nel suo giaciglio, e a destra Giuseppe, entrambi con lo sguardo rivolto verso il Bambino in fasce. Maria poggia la testa su un cuscino rosso ricamato ed è avvolta da un panneggio morbido, come si conviene ad una puerpera; le mani aperte verso il Figlio esprimono stupore e gratitudine. Giuseppe, seduto su uno sgabello con cuscino e suppedaneo, appoggia la guancia destra sulla mano, meditando in atteggiamento perplesso e trasognato sul mistero in cui è coinvolto. Il Bambinello è avvolto in fasce e adagiato in una greppia volutamente simile ad un sarcofago, a significare che il Verbo ha assunto la carne umana proprio per affrontare e sconfigge102 re la morte. Il bue e l’asino si affacciano sulla mangiatoia e sembrano osservare Gesù, oltre che riscaldarlo. In cielo due angeli a mezzo busto, attorniati da numerose nuvole, adorano la scena. Sullo sfondo s’innalza un’onda piramidale di porpora, oro, verde, oro: è la montagna in cui si apre la grotta della Natività, ma anche la linea di contatto fra il mondo terreno e il mondo celeste. La scena inferiore riproduce l’annuncio dell’angelo a due pastori. L’angelo tiene uno scettro in una mano mentre con l’altra benedice. I pastori, uno giovane e l’altro anziano, modestamente abbigliati, ricambiano il saluto dell’angelo con la mano alzata. Il paesaggio surreale è arricchito da piante e animali da pascolo. Tre bande colorate (dal basso verso l’alto: porpora, verde, azzurro, forse simbolo degli elementi terra, acqua, aria?) costituiscono lo sfondo delle due scene, e le raccordano graficamente. Una cornice a disegni geometrici policromi correda l’insieme. La Pentecoste (p. 15). I Dodici sono disposti su due file; assente la Vergine Maria. Al centro, in posizione di autorità e facilmente identificabile perché conforme ai canoni iconografici consueti, è Pietro, il “principe degli apostoli” (non si dimentichi che il pellegrinaggio penitenziale dell’imperatore Enrico IV a Canossa avvenne nel 1077 e il manoscritto è databile intorno al 1070: sono gli anni della «lotta per le investiture»). Alla destra di Pietro è Giovanni, il “discepolo prediletto”, giovane e senza barba; alla sua sinistra verosimilmente Andrea, il Protòklitos o “primo chiamato” (cfr Gv 1,40-43), secondo la definizione della Chiesa bizantina, di cui è patrono: anche in questo caso non si dimentichi l’importanza dei rapporti tra Roma e l’Oriente all’indomani dello scisma (1054). Più controversa l’identificazione degli altri apostoli, seduti in nobili vesti su una panca simile ad un trono con suppedaneo gemmato. Le loro aureole compongono quasi una banda dorata orizzontale che scandisce in due la composizione. La parte superiore dell’immagine raffigura la città di Gerusalemme, con mura merlate, torri a campanile e due portali sormontati da lanterne. Sopra la città, disegnata su sfondo verde, si innalza il cielo, animato da numerose nuvole mosse dal vento. Al centro svetta una semisfera policroma composta da nove strati (tre volte tre, il mistero Trinitario), dalla quale si dipartono dodici raggi terminanti con fiammelle di fuoco e la colomba dello Spirito Santo, riccamente aureolata. La cornice è particolarmente pregevole: definita da due vivaci strisce di minio, una ghirlanda floreale color porpora è avvolta da un nastro verde e azzurro. La tomba vuota (p. 104). Al centro della scena domina il vuoto dell’edificio sepolcrale, rappresentato come un monumento esagonale che poggia su colonne (se ne vedono solo tre) e con una cupola formata di sei vele tondeggianti. Subito sotto, il sepolcro è scoperchiato e contiene ormai solo le fasce che hanno avvolto il corpo di Cristo e il sudario per il volto, arrotolato a parte. Sulla destra l’angelo, potentemente alato ma solidamente seduto sulla lastra (ora ribaltata) che sigillava il sepolcro, tiene lo scettro in mano e benedice le donne che arrivano dalla sinistra. Le tre Marie portano in mano un turibolo con catene e vasetti con aromi e unguenti profumati (nella tradizione orientale sono dette «mirofore», “portatrici del myron” o “olio profumato”) per onorare il corpo del Signore. L’interno del monumento funebre, come pure le pareti interne del sepolcro e della lastra tombale, sono raffigurati come se fossero di porfido (porpora e macchioline bianche). In primo piano quattro soldati, inutilmente armati di lance e scudi perché colti da profondo torpore, simboleggiano con i loro occhi vistosamente chiusi la cecità del non credente dinanzi al mistero pasquale. Anche in questo caso lo sfondo è a tre zone (stavolta porpora in alto, poi azzurro, e in basso, coperto quasi totalmente dalle figure, ocra) e una ricca cornice guarnisce l’immagine. 103