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Documento SEK/FEPS (Federazione chiese protestanti in Svizzera)
Coppie dello stesso sesso. Alcuni elementi di etica circa la “Legge federale
sull’unione domestica registrata di coppie omosessuali” (2005)
Dal 2007 la Svizzera ha una “legge federale sull’unione domestica registrata delle coppie
omosessuali”. Questa legge è la conseguenza di un referendum popolare presentato alle camere
federali (2004) ed è stata approvata in una “votazione federale” nel 2006. In vista della votazione la
Federazione delle chiese protestanti in Svizzera (sigla tedesca/francese SEK/FEPS) ha pubblicato
un documento molto ricco sulla questione. Il documento è disponibile sul sito della Federazione in
lingua tedesca e francese. (http://www.sek-feps.ch/fr/th-mes-a-z/couples-du-m-me-sexe.html). Il
capitolo contiene anche un ampio numero di letture di riferimento e di note che non sono
menzionate nella traduzione che segue.
La Commissione Fede e omosessualità ha deciso di tradurre la parte del documento svizzero che
tratta di teologia biblica e che si trova all’interno di un capitolo più ampio intitolato “La legge
sull’unione registrata e l’etica teologica”. Tutte le parti del documento sono interessanti ed
equilibrate e rappresentano fedelmente la riflessione e la metodologia che diverse chiese riformate
europee hanno adottato sulle questioni concernenti l’etica.
Buona lettura.
Elementi di teologia biblica
Sulla questione dell’omosessualità il testo biblico offre una risposta semplice e un gran numero di
risposte complesse.
Nell’Antico Testamento l’omosessualità. l’adulterio e la sodomia vengono considerati come
abominazioni e sono passibili della pena di morte (Levitico 18, 22 e 20, 13). In queste parti della
“legge” il popolo di Dio prende le debite distanze dal suo ambiente orientale. Lo stesso fenomeno
accade nel Nuovo Testamento quando le prime comunità cristiane si distinguono dal loro ambiente
ellenistico e stabiliscono per esempio liste di peccati (1 Corinzi 6, 9; 1 Timoteo 1, 10). L’ordine
naturale, la creazione dell’essere umano sotto la duplice forma dell’uomo e della donna (Genesi 1,
27) può essere capovolto. Coloro che hanno scambiato i rapporti naturali con rapporti contro natura
(Romani 1, 26-27) esprimono questo capovolgimento dell’ordine della creazione e la rottura del
legame tra Dio e l’essere umano. I padri della Chiesa, e in particolare Tommaso d’Aquino,
riprendono il testo biblico e condannano l’omosessualità in quanto “peccata contra naturam” perché
essa contravviene al “fine naturale” della sessualità, cioè alla procreazione. In questa visione
l’omosessualità non solo infrange “l’etica biblica” ma appare anche come il segno di uno stile di
vita aberrante secondo la teologia della creazione.
A un tale approccio “letterale” della Bibbia, che cerca in essa precetti di azione e di comportamento
per la propria pratica, si oppone un’esegesi precisa e curata, che rimette ogni brano biblico nel
proprio contesto. L’argomentazione basata sui testi biblici presuppone una doppia selezione: da una
parte la scelta dei brani utili per discutere di un argomento; dall’altra il modo in cui questi brani
vengono letti e capiti. Poiché la Bibbia non si legge e non si capisce da sé. Essa viene letta e capita
da esseri umani in una situazione concreta. I riferimenti della Scrittura sono sempre mediati e ciò
conferisce un’importanza primordiale alla questione della corretta comprensione della Scrittura e
del suo corretto uso nell’argomentazione che ci interessa qui.
1. Osservazioni sul modo di affrontare un testo biblico
La Bibbia non è un codice di leggi. Da sempre la Bibbia è stata usata per giustificare tutte le
discriminazioni e tutte le liberazioni possibili. Per esempio l’apostolo Paolo condanna
l’omosessualità ma nello stesso tempo non dà al matrimonio un valore supremo. Per lui il
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matrimonio è solo una soluzione per coloro che non possono vivere nella continenza (1 Corinzi 7,
8). Lo stato ideale sarebbe il celibato. Nonostante la posizione di Paolo la maggior parte del
cristianesimo ha scelto come forma di vita il matrimonio monogamo (tranne gli ordini monastici e il
clero cattolico).
L’argomentazione da un punto di vista cristiano o biblico è sempre preceduta da una serie di
riflessioni e determinazioni che non possono essere estrapolate tali e quali dalla Scrittura. Il
pensiero, il giudizio e l’azione dei cristiani sono segnati non solo dalla Scrittura ma anche dalle
tradizioni esegetiche. Ci sono sempre ottime ragioni per preferire un’interpretazione anziché
un’altra. Ma queste ragioni sono di ordine umano e teologico, il che significa che la lettura della
Bibbia è guidata da pregiudizi umani. La Parola scritta nella Bibbia non è la Parola di Dio ma
testimonia la Parola di Dio poiché parola umana. Tramite la Bibbia Dio parla agli esseri umani.
A questo punto emerge il paradosso apparente che rivela la saggezza profonda della Bibbia: la
“contraddizione salvatrice” inerente alla Bibbia è nello stesso tempo contraddittoria come codice e
liberatrice come Evangelo. La Bibbia stessa propone una terza via tra il “fondamentalismo
autoritario” da una parte e il “fondamentalismo scettico” dall’altra. Per il primo ogni parola biblica
ha il valore di una verità assoluta e di conseguenza di un’autorità normativa per il semplice motivo
che essa si trova nella Bibbia. Il secondo fondamentalismo nega ogni autorità normativa della
Bibbia perché si tratta sempre e ovunque di una testimonianza umana e di conseguenza fallibile.
La prima posizione fallisce di fronte alle sue contraddizioni interne e sacrifica la libertà
dell’Evangelo sull’altare della Legge. La seconda posizione non tiene abbastanza conto della Bibbia
e diffonde un approccio che rende assurda ogni obbedienza cristiana nella libertà.
Che cosa possiamo dire della terza via che la Bibbia ci propone? In diversi passaggi del Nuovo
Testamento, passaggi significativi per il nostro tema (Romani 12, 2 / 1 Corinzi 11, 28 / 2 Corinzi
13, 5 / Galati 6, 4 / Efesini 5, 10 / 1 Tessalonicesi 2, 4 e 5, 21 / 1 Giovanni 4, 1), torna con
insistenza il termine “provare, mettere alla prova, esaminare” (in greco δοκιµαζειν). Che cosa va
provato o messo alla prova? Questa idea si riferisce a tre elementi. Dio mette gli esseri umani alla
prova, gli esseri umani devono mettere alla prova uno stato di fatto (tradizione, atteggiamento,
azione, norma) e gli esseri umani devono mettere alla prova sé stessi. Il termine “mettere alla
prova” contiene in sé un principio o un programma ermeneutico complesso. Prendere posizione
rispetto a una questione vuole anche dire prendere posizione rispetto a sé stessi. O meglio: ogni
giudizio su una persona o su una cosa presuppone che l’individuo metta personalmente alla prova
della critica sé stesso così come le sue idee preconcette e i suoi pregiudizi. Senza questa messa alla
prova personale i giudizi rimangono prigionieri di opinioni oscure e di pregiudizi non spiegati,
determinati solo dall’altro e mai messi sotto il segno della libertà.
Un elemento è decisivo: la tradizione del Nuovo Testamento non fa dei pregiudizi umani un oggetto
di vergogna. Essa riconosce invece che gli esseri umani faticano ad abbandonare i pregiudizi e
rimprovera con forza questa tendenza a non affrontare le proprie idee preconcette e a rifiutare di
metterle alla prova. Per indicare questa cecità e questa esclusione dalla vita offerta da Dio la Bibbia
parla di “indurimento” dei cuori (Marco 3, 5 / Romani 2, 5 / Efesini 4, 18).
In questo modo abbiamo una scala di riferimento per la “messa alla prova delle menti”. Questa
scala non è iscritta in una legge ma in un atteggiamento globale rispetto alla vita, atteggiamento che
Paolo riassume in questo modo: “Siate dunque imitatori di Dio, perché siete figli da lui amati; e
camminate nell'amore come anche Cristo vi ha amati e ha dato se stesso per noi” (Efesini 5, 1-2).
La tradizione biblica ha sempre spinto i cristiani e le cristiane a un esame critico prima di qualsiasi
giudizio su questioni di politica ecclesiale (interne) o di politica sociale (esterne). In questa messa
alla prova il punto chiave consiste nel sapere fino a che punto l’esigenza di verità delle norme possa
essere giustificata dallo spirito dell’amore per Dio e resa comprensibile per il prossimo. Lo “spirito
dell’amore” rappresenta la “terza via” della scelta tra la legge e il totale abbandono della legge. Lo
spirito dell’amore rappresenta un’espressione feconda del legame tra libertà e obbedienza (cioè, per
usare i termini della teologia riformata, tra l’Evangelo e la Legge). Prima di stabilire e di
giustificare norme e regole etiche si pone la domanda dello spirito con cui i cristiani e le chiese
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scelgono di richiedere e di formulare queste norme. Lo spirito dell’amore fa nascere linee di
pensiero e norme diverse da quelle che nascono dallo spirito della Legge.
2. Riflessioni ermeneutiche sull’omosessualità nel contesto biblico
A prima vista i giudizi della Bibbia sull’omosessualità sono senza appello. Ma ancora una volta
bisogna tenere conto del contesto in cui si iscrivono i brani biblici incriminati. I testi dell’Antico
Testamento (in particolare nel “Codice di santità” del Levitico) si impegnano a creare una
separazione netta con le altre civiltà cananee. Essi non parlano tanto di un comportamento sessuale
quanto di una pratica specifica di una civiltà dalla quale la cultura ebraica si voleva distinguere.
I brani del Nuovo Testamento, e in particolare la condanna spesso citata della lettera ai Romani
(cap. 1, 26-27), riguardano più direttamente il dibattito attuale. Il giudizio di Paolo
sull’omosessualità è categorico e corrisponde all’idea dell’apostolo sulla sessualità e sul matrimonio
in generale. Perciò Paolo afferma: “similmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con
la donna, si sono infiammati nella loro libidine gli uni per gli altri” (Romani 1, 27). Dobbiamo fare
due osservazioni in merito. Innanzitutto Paolo considera che l’omosessualità implichi un rifiuto
volontario a una predisposizione innata all’eterosessualità. Di conseguenza l’omosessualità è una
scelta sbagliata.
In secondo luogo il termine “natura/naturale” è problematico. Che cosa intende Paolo con questi
termini? Nella prima lettera ai Corinzi egli scrive (1 Corinzi 11, 14-15): “Non vi insegna la stessa
natura che se l'uomo porta la chioma, ciò è per lui un disonore? Mentre se una donna porta la
chioma, per lei è un onore; perché la chioma le è data come ornamento”. Evidentemente Paolo
qualifica come “natura” un’entità coerente che oggi chiameremmo piuttosto “tradizione” o
“convenzione”. La lunghezza dei capelli non è in nessun modo dettata dalla natura ma da una
tradizione o dalla moda. In certe situazioni storiche concrete le tradizioni e le convenzioni hanno
una funzione di regolazione. Per questo motivo esse sono sottoposte a un’evoluzione storica
permanente che dobbiamo sempre tener presente quando citiamo brani biblici.
Proprio a questo punto della riflessione si rivela un conflitto caratteristico del dibattito ecclesiale e
teologico sull’omosessualità. Un’opera di etica protestante ha segnato il punto di svolta. Si tratta del
terzo volume della Theologische Ethik di Helmut Thielicke (1964). La posizione del teologo rimane
presente in quasi tutte le prese di posizione delle chiese sull’omosessualità. Thielicke fu il primo
teologo a tener conto degli insegnamenti delle scienze umane per poi formulare la domanda
essenziale che si pone a ogni etica teologica: come determinare il rapporto tra conoscenza
scientifica e conoscenza biblica? Ambedue sono allo stesso livello? Oppure c’è una gerarchia tra
loro? Per risolvere questo dilemma si offrono tre opzioni:
1) I testi biblici hanno sempre la preeminenza. L’omosessualità va severamente riprovata.
2) C’è una mediazione possibile tra le scienze umane e la Bibbia: la disposizione
all’omosessualità (la “pratica omosessuale in quanto tale, gli atti omosessuali”) viene
riprovata in nome della teologia della creazione; la sua trasposizione in uno stile di vita
omosessuale (“la sua forma eticamente responsabile”) viene invece riconosciuta in nome di
una cristologia e di una teologia della salvezza, e in accordo con le scienze umane.
3) Le conoscenze scientifiche attuali sull’essere umano hanno la preeminenza sui testi biblici.
Di conseguenza le conoscenze acquisite delle scienze umane vanno tenute in considerazione
nell’esegesi dei passi biblici. La chiesa evangelica della Renania scrive (sinodo del 1992):
“Siccome la Bibbia non dice niente né dell’omosessualità determinata da una disposizione
né dell’amore omosessuale, non è quindi possibile trarre dalla Bibbia un giudizio diretto e
immediato su queste questioni.”
Indipendentemente dalla scelta tra le opzioni 2) e 3) nessun giudizio etico-teologico potrà mai
evitare di affrontare l’opposizione tra ciò che è contingente nella storia e ciò che è importante nella
durata. In questa prospettiva si profila un’unica risposta di Paolo, il quale è e rimane senza dubbio
critico rispetto al matrimonio e opposto alle “relazioni carnali”: tutto ciò che gli esseri umani fanno,
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lo devono fare “con amore” (1 Corinzi 16, 14). L’amore è il compimento della Legge senza il quale
ogni azione umana sarebbe vana (1 Corinzi 13, 3). Questo vale sia per la vita in famiglia, sia per la
vita in comune e in società, sia per tutte le forme di unioni. L’esortazione e l’esigenza di Paolo (1
Corinzi 16, 14) si rivolge a tutti gli esseri umani senza distinzione. Paolo lo spiega in dettaglio nel
capitolo 3 della lettera ai Galati. Eppure vediamo che l’apostolo stesso non era in grado di applicare
alla sessualità la sua idea e la sua visione fondamentale dell’amore divino. Perciò dobbiamo essere
capaci di senso critico e leggere Paolo contro Paolo, innanzitutto per evitare di scollegare la
questione della sessualità dalla questione della volontà divina.
Neanche chi non condividesse questa analisi può fare a meno delle quattro osservazioni seguenti:
1) Nell’insieme la Bibbia tratta dell’omosessualità solo raramente.
2) I contesti dell’Antico Testamento che parlano dell’omosessualità sono legati alla difesa di
Israele contro pratiche cultuali straniere.
3) Nel Nuovo Testamento l’omosessualità è un argomento marginale che non appare né negli
scritti della tradizione del Gesù storico, né nei vangeli sinottici, né nella tradizione
giovannea.
4) Le evocazioni dell’omosessualità nel Nuovo Testamento si rivolgono sempre a una
comunità e non si tratta mai di imporre a tutta la società la morale sessuale delle comunità
cristiane.
(traduzione dal francese: Janique Perrin)
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