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Gennaio-Marzo 2014 • Vol. 44 • N. 173 • Pp. 26-35 Infettivologia Pediatrica HIV in età pediatrica: cosa è cambiato 30 anni dopo Vania Giacomet, Valentina Fabiano, Gian Vincenzo Zuccotti Clinica Pediatrica A.O. Polo Universitario Luigi Sacco, Università degli Studi di Milano, Milano Riassunto Alla fine del 2011, il numero delle nuove infezioni da HIV nel mondo è stato stimato in 2.5 milioni, di cui il 12% in bambini e adolescenti di età inferiore a 15 anni. Nei paesi in cui è routinariamente applicata, la prevenzione della trasmissione da madre a feto dell’infezione da HIV attraverso lo screening universale per HIV delle donne gravide, l’assunzione della terapia antiretrovirale durante la gravidanza e la sua somministrazione intrapartum, nonché la somministrazione della profilassi antiretrovirale al neonato, ha permesso di ridurre i tassi di trasmissione materno-fetale dell’infezione da HIV a meno del 2%. Attualmente i bambini con infezione da HIV vengono precocemente trattati con la terapia antiretrovirale: la terapia ha drammaticamente cambiato la storia naturale dell’infezione da HIV anche in età pediatrica, riducendo significativamente i tassi di mortalità e garantendo una sopravvivenza fino all’età adulta in più del 90% dei casi. Tuttavia, la terapia dell’infezione da HIV in età pediatrica è limitata dalla disponibilità di farmaci approvati per questa fascia di età, nonché dall’esistenza di formulazioni adeguate per la somministrazione ai bambini. Sono inoltre da monitorare strettamente gli effetti avversi associati alla sua assunzione a lungo termine. La presente revisione della letteratura vuole fornire le più recenti evidenze relative alle modalità di prevenzione della trasmissione verticale dell’infezione e le più aggiornate linee guida di terapia dell’infezione da HIV in età pediatrica. Summary By the end of 2011, it is estimated that 2.5 million subjects worldwide are newly infected with HIV; 12% of these are new infections in children and adolescents aged 15 years or less. In those countries where prevention strategies are routinely performed through HIV universal screening of pregnant women, administration of antiretroviral therapy during pregnancy and intrapartum, and administration of antiretroviral prophylaxis for the newborns, rates of mother to child HIV transmission are now less than 2%. Currently, children affected by HIV infection are precociously treated with an antiretroviral therapy, significantly changing the natural history of HIV infection also in the pediatric age, so that mortality rates are currently significantly reduced and the survival through the adult age is guaranteed for more than 90% of affected children and adolescents. Nevertheless, administration of antiretroviral therapy in pediatric age is limited by availability of drugs which are approved for the use in children and by adequate drug formulations for the pediatric age. Moreover, long term adverse effects of antiretroviral therapy should be strictly monitored. This literature review is focused on the most recent evidences about prevention of vertical transmission of HIV infection and on most updated guidelines for the use of antiretroviral therapy in pediatric age. Parole chiave: HIV, prevenzione della trasmissione madre-bambino, terapia antiretrovirale altamente efficace Key words: HIV, prevention of mother-to-child transmission (PMTCT), Highly Active Antiretroviral therapy (HAART) Obiettivo della revisione Obiettivo di questa revisione della letteratura è fornire le più recenti evidenze relative alle modalità di prevenzione della trasmissione verticale dell’infezione da HIV, con discussione dell’applicabilità delle stesse nei paesi a medio-basso reddito, nonché le più aggiornate linee guida di terapia dell’infezione da HIV in età pediatrica. Per la stesura di questa revisione è stata considerata la letteratura degli ultimi 20 anni circa la prevenzione della trasmissione dell’infezione maternofetale dell’HIV e la terapia dell’infezione da HIV in età pediatrica. È stata eseguita una ricerca di letteratura in lingua inglese e italiana sui principali database Pubmed, Scopus, UpToDate, utilizzando le seguenti parole chiave: “HIV/AIDS, children, adolescents, prevention of mother-to-child transmission, therapy, antiretroviral therapy (HAART), highly active antiretroviral therapy, infezione da HIV, AIDS, prevenzione, bambini, terapia antiretrovirale, taglio cesareo”. Sono state inoltre considerate linee guida ufficiali WHO e PENTA e linee guida nazionali. Introduzione Secondo le stime del programma congiunto delle Nazioni Unite su HIV/AIDS (UNAIDS), nel mondo, alla fine del 2011, 34 milioni di 26 soggetti risultavano affetti da infezione da HIV/AIDS: nello stesso anno, il numero di nuove infezioni è stato stimato in 2,5 milioni, di cui il 12%, pari a circa 330.000 casi, in soggetti di età inferiore a 15 anni. Il 90% dei bambini ha contratto l’infezione dalla madre per trasmissione verticale. La prevenzione della trasmissione da madre a feto dell’infezione da HIV (prevention of mother to child transmission o PMTCT) rappresenta un aspetto della gestione dell’infezione da HIV che in 30 anni ha subito importanti cambiamenti (Birkhead et al., 2010; Nielsen-Saines et al., 2012). La precoce identificazione delle donne gravide affette da HIV attraverso lo screening universale, l’assunzione della terapia antiretrovirale (ARV) durante la gravidanza e la sua somministrazione intrapartum, nonché la somministrazione della profilassi antiretrovirale al neonato rappresentano i cardini delle linee guida di prevenzione della trasmissione verticale dell’infezione da HIV, che comprendono inoltre l’espletamento del parto per taglio cesareo elettivo e l’allattamento artificiale esclusivo. Nei paesi dove queste strategie di prevenzione sono universalmente intraprese, i tassi di trasmissione materno-fetale dell’infezione da HIV, naturalmente compresi tra 20 e 45%, si sono ridotti al di sotto del 2% (Townsend et al., 2008). Nei paesi meno sviluppati non è tuttavia infrequente che solo una minore percentuale delle donne HIV-infette riceva farma- HIV in età pediatrica: cosa è cambiato 30 anni dopo ci antiretrovirali nell’ambito della prevenzione della trasmissione materno-fetale dell’infezione. In questi stessi paesi, dove l’allattamento materno è una pratica di primaria importanza e la sua sostituzione con l’allattamento con latti formulati è limitata dalle scarse risorse economiche, il 40% dei bambini contrae l’infezione dopo la nascita, proprio attraverso il latte della madre infetta. Un altro aspetto fondamentale è rappresentato dal trattamento dei bambini con infezione da HIV attraverso la precoce somministrazione della terapia antiretrovirale, terapia che ha drammaticamente cambiato la storia naturale dell’infezione da HIV anche in età pediatrica, riducendo significativamente i tassi di mortalità e garantendo una sopravvivenza fino all’età adulta in più del 90% dei casi. Attualmente un bambino che vive in un paese sviluppato, che ha contratto l’infezione per trasmissione materno-fetale, è affetto da una patologia con caratteristiche di cronicità, piuttosto che da una malattia a decorso rapidamente e inesorabilmente fatale. Anche in questo caso tuttavia, le possibilità di accesso alla terapia antiretrovirale sono assai diverse nelle differenti aree geografiche del pianeta. Laddove nei paesi sviluppati dell’Europa e del Nord America più del 95% dei soggetti infetti da HIV al di sotto dei 15 anni riceve una terapia antiretrovirale, in paesi a medio e basso reddito questa percentuale scende fino a meno del 15% (WHO, 2013). La terapia dell’infezione da HIV in età pediatrica è inoltre limitata dalla disponibilità di farmaci approvati per questa fascia di età nonché dall’esistenza di formulazioni adeguate per la somministrazione ai bambini. Prevenzione della trasmissione materno-fetale dell’infezione da HIV Ogni anno, il 15% dei nuovi casi di infezione da HIV nel mondo è dovuto a trasmissione verticale dell’infezione. In assenza di qualunque intervento preventivo, il rischio di trasmissione materno-infantile di HIV-1 è del 13-25%, nel caso in cui sia garantito l’allattamento artificiale esclusivo; l’allattamento materno aumenta di oltre un terzo il rischio di trasmissione (WHO, 2103). La maggior parte dei casi di trasmissione verticale avviene in prossimità del parto o durante il travaglio di parto. Il rischio di trasmissione è correlato ai valori della carica virale materna durante la gravidanza e al momento del parto. Grazie all’utilizzo della terapia antiretrovirale assunta durante la gravidanza, a specifici interventi farmacologici e ostetrici e all’allattamento artificiale esclusivo, il rischio di trasmissione materno-infantile può essere ridotto a meno del 2%. Le strategie per ridurre la trasmissione materno fetale dell’infezione da HIV si possono dividere in 3 fasi: • Interventi antepartum: somministrazione di terapia ARV alla madre durante la gravidanza. Le scelte terapeutiche devono tenere conto dello stato di salute della donna, dello stato immunitario, della carica virale, delle precedenti e attuali terapie e devono nascere da un confronto multidisciplinare tra specialista infettivologo, ostetrico e pediatra; • Interventi intrapartum: somministrazione di terapia ARV alla madre durante il parto. Parto cesareo elettivo alla 38a settimana di età gestazionale prima dell’inizio del travaglio di parto e della rottura delle membrane; • Interventi postpartum: somministrazione di terapia ARV al neonato-lattante. Allattamento artificiale esclusivo. Per ottenere la massima efficacia preventiva è necessario che siano effettuate tutte le tre fasi. Attualmente più discussa è la reale necessità di espletare il parto tramite taglio cesareo elettivo nelle madri in terapia ARV che ab- biano una carica soppressa durante la gravidanza. Gli studi clinici realizzati in epoca pre-HAART avevano infatti dimostrato la superiorità del taglio cesareo eseguito in elezione alla 38a settimana, in assenza di travaglio e a membrane ostetriche integre, nel ridurre i tassi di trasmissione materno-fetale dell’infezione da HIV (Tovo et al., 1996; European Mode of Delivery Collaboration, 1999; The International Perinatal HIV Group, 1999). Successivamente la diffusione della HAART e il riconoscimento della sua efficacia nella prevenzione della trasmissione verticale dell’infezione hanno messo in discussione la bontà della raccomandazione all’esecuzione del taglio cesareo elettivo in tutte le donne gravide affette da infezione da HIV, suggerendo come invece potesse essere praticato il parto vaginale in quelle donne con carica virale soppressa (Townsend et al., 2006; Boer et al., 2010; Legardy-Williams et al., 2010). Tuttavia, nessuno studio è stato in grado di identificare un valore soglia di carica virale al di sotto del quale il parto con taglio cesareo non apportasse benefici in termini di prevenzione della trasmissione dell’infezione. Questa situazione ha fatto sì che attualmente le diverse Linee Guida Nazionali indichino valori soglia differenti tra loro: in Francia non è più consigliato il taglio cesareo elettivo per donne con carica virale < 400copie/ml (Yeni P), negli Stati Uniti, in Canada e in Spagna tale valore è invece pari a 1000 copie/ml (NIH, 2011; Loutfy et al., 2012; GESIDA, 2007), in Gran Bretagna il taglio cesareo non è indicato per donne con carica virale <50 copie/ml (de Ruiter et al., 2008), valore quest’ultimo recepito anche dalla European AIDS Clinical Society (EACS, 2012). In Italia, le attuali raccomandazioni del Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità suggeriscono che un taglio cesareo programmato a 38+0 settimane è raccomandato in caso di: • terapia antiretrovirale altamente attiva con carica virale plasmatica maggiore di 50 copie/ml; • monoterapia con ZDV quale alternativa alla terapia antiretrovirale altamente attiva; • coinfezione da HIV ed epatite C in donne non in terapia HAART e/o con carica virale HIV plasmatica > 50 copie/ml. Un travaglio di parto può essere offerto alle donne in terapia antiretrovirale con carica virale plasmatica <50 copie/ml, avendo cura di limitare, per quanto possibile, le manovre che aumentano il rischio di contaminazione ematica materno-fetale (amnioressi precoce, ripetute esplorazioni vaginali a membrane rotte, monitoraggio invasivo del benessere fetale, utilizzo di forcipe e ventosa, episiotomia). In caso di indicazioni ostetriche al taglio cesareo in donne con carica virale plasmatica <50 copie/ml, questo non deve essere effettuato prima di 39+0 settimane di gestazione per ridurre i rischi neonatali (Ministero Salute e ISS, 2012). Al neonato nato da madre trattata e con viremia soppressa al parto viene somministrato Zidovudina (ZDV) 2 mg/kg ogni 6 ore per 4-6 settimane. In seguito il neonato verrà seguito in followup per l’esclusione della diagnosi di infezione mediante test di biologia molecolare (PCR-DNA nei nati da madre caucasica o HIV-RNA PCR nei nati da madre con possibile sottotipo non B). La mancanza di terapia antiretrovirale durante la gravidanza apre diversi scenari per l’approccio farmacologico al neonato: 1) iniziare la profilassi a 6 settimane con ZDV e aggiungere 3 dosi nella prima settimana di nevirapina; 2) l’utilizzare altre combinazioni di farmaci aggiuntive alle 6 settimane con ZDV, discutendone con l’infettivologo pediatra dopo aver effettuato un counselling con la madre circa la possibile tossicità per il neonato della terapia ARV (NIH, 2012). Una grande eco internazionale ha avuto il caso di “guarigione” della bambina del Mississippi, per la prima volta presentato in marzo 27 V. Giacomet et al. 2013 in occasione della 20° Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections ad Atlanta e successivamente descritto da Persaud et al. in un case report pubblicato su New England Journal of Medicine (Persaud et al., 2013). La bambina nasceva alla 35 settimana di gestazione da parto vaginale, da gravidanza non seguita. Il test rapido per HIV eseguito alla madre durante il travaglio risultava positivo (confermato dalla presenza di replicazione virale) ma il parto avveniva prima che ci fosse la possibilità di iniziare una profilassi intrapartum. Considerato quindi l’alto rischio di trasmissione in utero dell’infezione, la bambina veniva sottoposta a triplice terapia antiretrovirale con zidovudina, lamivudina e nevirapina a partire da 30 ore di vita. La ricerca di HIV-DNA eseguita a 30 ore di vita risultava positiva e il dosaggio di HIV-RNA mostrava la presenza di replicazione virale (19.812 copie/mL), facendo concludere per una diagnosi di infezione in utero. La terapia antiretrovirale veniva pertanto proseguita, sostituendo nevirapina con lopinavir-ritonavir per ridurre il rischio di farmaco-resistenza in caso di non ottimale compliance alla terapia ARV. Durante la terapia ARV veniva ancora riscontrata replicazione virale a 6, 11 e 19 giorni di vita; a partire dai 29 giorni di vita, veniva ottenuta la soppressione della replicazione virale. Durante il primo anno di vita, la bambina, allattata artificialmente, mostrava una crescita regolare, buona compliance alla terapia, come dimostrato da ripetuti dosaggi di HIV-RNA che confermavano lo stato di soppressione della replicazione virale. Dai 18 ai 23 mesi la bambina non veniva condotta con regolarità alle visite programmate e la mamma, all’età di 23 mesi della bambina, dichiarava di non aver più somministrato la terapia ARV alla bambina dai 18 mesi. Due dosaggi di HIV-RNA a 23 e 24 mesi di vita risultavano negativi e la ricerca di anticorpi contro HIV risultava anch’essa negativa a 24 mesi di vita. A 30 mesi di vita, la carica virale della bambina continuava a rimanere soppressa e gli anticorpi anti-HIV negativi. Gli autori concludono quindi che l’inizio molto precoce di una terapia antiretrovirale di combinazione è stata in grado di interferire sia quantitativamente sia qualitativamente con la persistenza dei reservoirs virali. Una terapia antiretrovirale aggressiva e iniziata precocemente potrebbe quindi ottenere una clearance dell’infezione: se questo venisse confermato su un più ampio numero di bambini a rischio, un tale approccio potrebbe risparmiare a questi bambini il peso di una terapia da proseguire per tutta la vita. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), nel documento di pianificazione delle strategie di prevenzione della trasmissione verticale dell’infezione da HIV (WHO, 2010) riserva un particolare riguardo ai paesi cosiddetti low o middle-income, in cui si stima risieda circa 1.4 milioni di donne affette da infezione da HIV. Il 90% di queste donne vive in soli 20 paesi in via di sviluppo, 19 dei quali sono localizzati nell’Africa sub-sahariana. L’OMS è impegnata nell’implementare strategie adeguate di prevenzione della trasmissione materno-fetale dell’infezione da HIV, con particolare attenzione alle 10 nazioni in cui vive la maggior parte delle donne HIV-infette. In questi paesi gli obiettivi da raggiungere sono la diagnosi precoce di infezione nelle donne, l’implementazione di programmi di prevenzione dedicati e la loro attuazione sul territorio specifico secondo linee guida condivise, una più ampia disponibilità di farmaci ARV da somministrare durante la gravidanza e un maggiore e più facile accesso alla terapia, la presenza di servizi territoriali dedicati alla cura della donna e della coppia donna-bambino, l’utilizzo della terapia antiretrovirale nelle donne anche durante la fase dell’allattamento, essendo questi paesi dove l’allattamento al seno rappresenta comunque la prima scelta di alimentazione del bambino. 28 Terapia dell’infezione da HIV in pediatria Terapia e prevenzione Le terapie antiretrovirali ad oggi disponibili, per quanto non in grado di eradicare l’infezione da HIV, hanno drammaticamente modificato il decorso dell’infezione, riducendo la mortalità ed incrementando il tasso di sopravvivenza e la qualità di vita del paziente HIV-infetto. Ad oggi, nei Paesi industrializzati dove sono disponibili terapie antiretrovirali combinate altamente efficaci (HAART), la malattia da HIV ha acquisito le caratteristiche di una patologia cronica anche nel bambino che si infetta alla nascita. Le principali classi di farmaci attualmente disponibili sono: inibitori nucleotidici e non nucleotidici della trascrittasi inversa (NRTI, NNRTI), inibitori delle proteasi (PI), inibitori delle integrasi del genoma virale, inibitori della fusione, antagonisti del recettore CCR5. Gli scopi della terapia antiretrovirale sono: ridurre la morbosità e la mortalità HIV-correlate; ricostituire e preservare la funzione immunitaria; indurre e mantenere una soppressione completa della replicazione virale; minimizzare la tossicità dei farmaci; migliorare la qualità della vita. In pediatria sono inoltre prioritari il mantenimento di una regolare crescita somatica e un adeguato sviluppo neurocognitivo. Data l’esigua disponibilità di farmaci antiretrovirali approvati per l’età pediatrica, le opzioni terapeutiche sono limitate; nella scelta vanno considerati l’età del paziente, la severità della malattia e il rischio di progressione, il numero e/o la percentuale di linfociti T CD4 e la carica virale. Inoltre vanno valutate la disponibilità di formulazioni liquide e palatabili, la farmacocinetica, gli effetti collaterali a breve e lungo termine, l’effetto della scelta del regime iniziale su future opzioni terapeutiche e la presenza di comorbidità (TBC, HBV, HCV, patologie croniche renali o epatiche). Quando iniziare la terapia antiretrovirale nel paziente pediatrico In età pediatrica, le indicazioni per l’inizio della terapia antiretrovirale sono più aggressive rispetto all’adulto, poiché nel bambino la progressione dell’infezione è più rapida e i parametri di laboratorio sono meno predittivi del rischio di progressione, particolarmente nel lattante. L’inizio della terapia antiretrovirale è raccomandato nel lattante < 12 mesi di vita, indipendentemente dalla situazione clinica, numero assoluto e percentuale dei CD4+ e carica virale. Questa indicazione, oggi condivisa dal National Institute of Health americano, dalla World Health Organization, e dalle linee guida PENTA (Paediatric European Network for treatment of AIDS), nasce dall’evidenza che il rischio di progressione o morte nei primi 12 mesi di vita in un bambino HIV-infetto è pari al 20-25% e che nei lattanti in cui la terapia HAART viene iniziata precocemente sono significativamente minori i tassi di mortalità e di progressione ad AIDS. Nei pazienti di età ≥12 mesi è invece possibile differire l’inizio della terapia. Nel bambino di età compresa tra 12 e 59 mesi, la % di CD4+ e i livelli di HIV RNA sono fattori indipendentemente predittivi del rischio di progressione clinica o morte a parità di numero di CD4+, mentre al di sopra dei 5 anni di vita, il rischio di morte o progressione di malattia a un anno è maggiormente correlato a un numero di CD4+ inferiore a 350 cell/µl; valori di HIV-RNA ≥ 100.000 cp/ml correlano con un maggior rischio di morte o progressione di malattia a un anno, sia sopra sia sotto i 5 anni di vita (PENTA 2009; NHI 2012; Puthanakit et al., 2012) (Tab I). Le nuove linee guida OMS raccomandano che tutti i bambini al di sotto dei cinque anni inizino immediatamente il trattamento. La stessa raccomandazione è rivolta anche ai bambini di età uguale o superiore ai HIV in età pediatrica: cosa è cambiato 30 anni dopo Tabella I. Criteri per l’inizio della terapia antiretrovirale in età pediatrica. Età Criterio < 12 Mesi L’inizio della terapia antiretrovirale è raccomandato in tutti i bambini sotto i 12 mesi, indipendentemente da stadio clinico, percentuale di CD4+ e carica virale. Fortemente raccomandato 12-59 Mesi Clinico CDC classe B** o C indipendentemente da viremia e % di CD4+ CDC classe B** o C indipendentemente da viremia e % di CD4+ Fortemente raccomandato Immunologico CD4+ < 25% indipendentemente dallo stadio clinico o dalla viremia 12-35 mesi: CD4+ < 25% o < 1000 cellule/µL Fortemente raccomandato 36-59 mesi: CD4+ < 20% o < 500 cellule/µL indipendentemente dallo stadio clinico o dalla viremia Virologico HIV-RNA > 100.000 copie/mL in classi CDC N o A e CD4+ > 25% HIV-RNA > 100.000 copie/mL in classi CDC N o A e CD4+ > 25% Considerabile Clinico CDC classe B** o C indipendentemente dallo stadio clinico o dalla viremia CDC classe B** o C indipendentemente da viremia e dal valore di CD4+ Fortemente raccomandato Immunologico CD4+ < 350 cellule/µL indipendentemente dallo stadio clinico o dalla viremia CD4+ < 350 cellule/µL indipendentemente da viremia e valore di CD4 Fortemente raccomandato Virologico HIV-RNA ≥ 100.000 copie/mL in classi CDC N o A e con CD4+ ≥ 350 cellule/µL HIV-RNA ≥ 100.000 copie/mL in classi CDC N o A e con CD4+ ≥ 350 cellule/µL Considerabile > 5 anni NIH PENTA RACCOMANDAZIONE DEL TRATTAMENTO * Sufficiente un solo criterio. ** Ad eccezione del paziente che manifesti un singolo episodio di infezione batterica grave o di polmonite interstiziale linfoide. cinque anni con una conta dei CD4 inferiore alle 500 cellule per mm3. La difficoltà maggiore per il trattamento precoce dei bambini consiste nella mancata diagnosi dell’infezione nelle prime settimane dopo la nascita. Secondo gli esperti, un enorme passo avanti per aumentare le diagnosi sarebbe l’introduzione dei test diagnostici per l’HIV all’interno dei centri di vaccinazione, dove oltre l’80% delle madri in Africa sub-sahariana porta i figli (WHO, 2013). Quale combinazione di farmaci utilizzare nel paziente pediatrico naïve Al fine di limitare al minimo un fallimento terapeutico, si raccomanda di iniziare sempre la terapia antiretrovirale utilizzando regimi farmacologici contenenti almeno tre farmaci di due classi diverse, previa esecuzione di un test che valuti le resistenze a livello genotipico da effettuare in tutti i soggetti naïve. Ad oggi, benché manchino studi randomizzati esaustivi, sono considerati di prima scelta i regimi HAART contenenti 2 NRTI (backbone) + 1 PI oppure 2 NRTI (backbone) + 1 NNRTI (PENPACT-1 (PENTA 9/PACTG 390) Study Team, Babiker et al., 2011). L’uso di farmaci di ultima generazione come gli inibitori delle integrasi, della fusione e dei corecettori CCR5 o CXCR4 è riservato ai casi di fallimento (Tab. II). Scelta del backbone dei 2 inibitori nucleotidici della trascrittasi inversa (NRTI) Attualmente 6 inibitori nucleosidici [zidovudina (AZT), didanosina (ddI), lamivudina (3TC), stavudina (d4T), abacavir (ABC) ed emtricitabina (FTC)] e un inibitore nucleotidico della trascrittasi inversa [tenofovir (TDF)] sono approvati per pazienti pediatrici. Regimi basati su inibitori non nucleotidici della trascrittasi inversa (NNRTI) Schemi terapeutici basati su NNRTI nei pazienti pediatrici naïve permettono un futuro utilizzo di regimi basati su PI. Lo sviluppo di una sola mutazione, tuttavia, può conferire resistenza all’intera classe di farmaci. Nevirapina (NVP) ed efavirenz (EFV) in combinazione con due NRTI, sono i farmaci di prima scelta per bambini di età < e ≥ 3 anni, rispettivamente. EFV è il farmaco di scelta per la terapia iniziale del bambino ≥3 anni; per i pazienti di età inferiore ai 3 anni o per i bambini incapaci di deglutire le compresse, NVP risulta di prima scelta perché disponibile anche in formulazione liquida. Etravirina è stato recentemente approvato per bambini di età superiore ai 6 anni. Regimi basati su inibitori delle proteasi (PI) L’utilizzo di PI garantisce un’ottima soppressione della replicazione virale, con minor rischio di sviluppare resistenze e la possibilità di preservare regimi basati su NNRTI per future opzioni terapeutiche. Ciononostante, la terapia con PI comporta non di rado lo sviluppo di dislipidemia, lipodistrofia, insulino-resistenza ed alterazioni del metabolismo epatico di altri farmaci. In ambito pediatrico, l’associazione lopinavir/ritonavir (LPV/r) è la più studiata e ha dimostrato una persistente efficacia con bassa tossicità sia nel paziente naïve che in quello con pregressa esposizione ad antiretrovirali. I PI alternativi per i pazienti di età > 6 anni sono atazanavir/r, fossamprenavir/r e darunavir/r. Il fallimento della terapia antiretrovirale Con “fallimento terapeutico” si intende una risposta sub-ottimale o una risposta non sostenuta alla terapia antiretrovirale, che si manifesti come deterioramento clinico, immunologico o virologico. La sostituzione della HAART è tanto più urgente quanto più il soggetto è immunocompromesso (Tab. III) e tale modifica deve essere preceduta dall’esecuzione del test di Resistenza, in quanto durante la replicazione virale si verificano facilmente mutazioni dell’HIV-RNA e vengono progressivamente selezionati ceppi virali farmaco-resistenti. 29 V. Giacomet et al. Tabella II. Scelta dei farmaci per l’inizio della terapia. Selezione dei 2 NRTI Regime basati su NNRTI Regimi basati su IP ABC *+ 3TC oppure FTC AZT + 3TC oppure FTC ddI + FTC TDF** + 3TC oppure FTC Prima scelta EFV (bambini > 3 anni) NVP (bambini < 3 anni o che richiedano formulazione liquida Seconda scelta NVP (bambini > 3 anni) Prima scelta L PV/r ATV/r (bambini > 6 anni)*** Seconda scelta (ordine alfabetico) DRV/r (bambini > 3 anni) fAPV/r (bambini > 6 anni) IP sconsigliati TPV, SQV, IDV RTV dose piena ATV senza booster di RTV (in bambini di età < 13 anni e/o < 39 Kg) * Da eseguirsi test per HLA B*5701 prima dell’impiego del farmaco. Da non somministrarsi in caso di esito positivo. ** Negli adolescenti di età compresa tra 12 e < 18 anni con peso corporeo ≥ 35 kg, la dose raccomandata di TDF è di 245mg; dosaggio pediatrico: 8 mg/kg *** Guidelines DHHS 2012 L’uso di un regime basato su 3 NRTI va riservato solo in casi particolari (es.:terapia antitubercolare associata). d4T è sconsigliato nei bambini. Tabella III. Criteri di definizione di fallimento virologico, immunologico e clinico. Fallimento virologico Incompleta risposta virologica Diminuzione della viremia < 1 Log a 8-12 settimane di terapia (I livelli di HIV-RNA all’inizio del nuovo regime influenzano la risposta e, soprattutto nei bambini, il tempo necessario per ottenere la completa soppressione della carica può Rebound virologico essere maggiore. Modalità e rapidità di diminuzione della viremia dall’inizio del nuovo regime sono predittivi della risposta virologica) HIV-RNA > 400 copie/mL dopo 6 mesi di terapia Fallimento immunologico Bambino ≥ 5 anni con immunodepressione severa (CD4+ ≤ 200 cell/µL): mancato incremento dei CD4+ ≥ 50 cellule/µL entro il primo anno dall’inizio della terapia Incompleta risposta immunologica HIV-RNA > limite soglia di rilevazione nei primi 12 mesi di terapia Viremia superiore alla soglia di rilevazione dopo il raggiungimento della soppressione virologica Bambino < 5 anni con immunodepressione severa (CD4% < 15%): mancato incremento ≥ al 5 % del valore di CD4+ rispetto al basale Declino immunologico Diminuzione della percentuale di CD4+ del 5% rispetto ai valori al basale ad ogni età Diminuzione del numero assoluto dei CD4+ al di sotto dei livelli preterapia al basale in bambini di età ≥ 5 anni Fallimento clinico (Lo sviluppo di sintomi clinici nei primi mesi di terapia non indica necessariamente fallimento terapeutico, potendo infatti rappresentare la “coda” di una disfunzione immunologica HIV- correlata o la sindrome da immunoricostituzione (IRIS)) 30 Deterioramento progressivo dello sviluppo neurocognitivo Due o più dei seguenti reperti documentati in ripetute valutazioni: Ritardo della crescita cerebrale Declino della funzione cognitiva documentato da test psicometrici Encefalopatia motoria Ritardo di crescita Persistente declino nella velocità di crescita ponderale nonostante adeguato apporto nutrizionale e in assenza di altra spiegazione Infezioni Insorgenza di infezioni severe e/o ricorrenti definenti AIDS in uno stesso paziente HIV in età pediatrica: cosa è cambiato 30 anni dopo Scelta del nuovo regime antiretrovirale Il cambio terapeutico deve contemplare almeno due farmaci, preferibilmente tre, a cui il virus è sensibile, data l’elevata possibilità di comparsa di nuove resistenze. In linea generale, se la HAART fallita era basata su NNRTI, è preferibile passare ad un regime basato su PI. La resistenza crociata tra EFV e NVP limita l’uso di EFV nella nuova terapia. Il più recente NNRTI etravirina mantiene invece efficacia contro il virus resistente a NVP ed EFV (Briz, et al., 2011). Un regime contenente LPV/r ha rivelato efficacia sostenuta in bambini multi-trattati (Frange et al., 2011; Bunupuradah et al., 2011); sono ancora limitati i dati relativi all’uso dei farmaci appartenenti alle nuove classi: maraviroc (antagonista del recettore CCR5) e raltegravir (inibitore dell’integrasi). Enfuvirtide, inibitore di fusione, è approvato nei bambini di età ≥ 6 anni e si è dimostrato efficace nei pazienti multi-resistenti e pluri-trattati, tuttavia la somministrazione sottocutanea ne limita l’uso, in particolare negli adolescenti (Palladino et al., 2010; Cavarelli et al., 2010). In caso di documentata estesa resistenza a vari farmaci, la possibilità di impostare un efficace regime terapeutico è scarsa e vanno considerati: a) regimi off-label, b) la possibilità di arruolamento in trial clinici per i nuovi farmaci; c) regimi “non soppressivi” al solo scopo di prevenire l’ulteriore deterioramento clinico-immunologico, in attesa di nuovi farmaci efficaci disponibili (Tab. IV). Il monitoraggio terapeutico delle concentrazioni plasmatiche di farmaci (TDM) La misurazione della concentrazione plasmatica dei farmaci (TDM: Therapeutic Drug Monitoring) è uno strumento strategico e raccomandato nei pazienti in terapia antiretrovirale, nei quali la risposta clinica e virologica è diversa dall’atteso, per ottenere dosaggi ottimali minimizzando la tossicità e massimizzando il beneficio terapeutico, escludere livelli farmacologici sub-terapeutici e stabilire la dose ottimale di farmaco nella transizione ad un nuovo regime. La relazione tra concentrazione di farmaco ed effetto virologico è forte per i PI e gli NNRTI, ma anche il mantenimento di concentrazioni sieriche adeguate degli NRTI si è dimostrato importante per una massima attività antiretrovirale. L’uso di TDM in ambito pediatrico è limitato da lunghe tempistiche, alta variabilità dei risultati nello stesso paziente e scarsità di laboratori certificati. Il test di resistenza Durante la replicazione virale, a causa della propensione della trascrittasi inversa a commettere errori, si verificano facilmente mutazioni dell’HIV-RNA, ed in presenza di farmaci antiretrovirali, vengono progressivamente selezionati ceppi virali farmaco-resistenti. L’aderenza alla terapia antiretrovirale e la comunicazione della diagnosi L’aderenza è il fattore maggiormente coinvolto nel determinare l’efficacia della terapia antiretrovirale. Studi prospettici condotti sia nell’adulto sia nel bambino hanno dimostrato che il rischio di fallimento virologico aumenta proporzionalmente all’aumento delle dosi omesse. Il processo di preparazione all’aderenza dovrebbe essere avviato prima dell’inizio o del cambio della terapia e un’accurata valutazione dovrebbe essere inclusa durante ogni visita di follow-up; varie sono le strategie attuabili per migliorare l’aderenza alla terapia. Per una valutazione della aderenza in un campione rappresentativo Tabella IV. Cambi terapeutici raccomandati. Possibili cambi raccomandati 2 NRTI 1 + IP 2 NRTI 1 + NNRTI 2 2 NRTI 1+ IP alternativo con booster di ritonavir a bassa dose3 NRTI 1 + NNRTI 2 + IP alternativo con booster di ritonavir a bassa dose3 2 NRTIs 1 + [NNRTI 2o IP] NRTIs 1 + [NNRTI 2 + IP] >1 NRTI 1 + IP di nuova generazione con booster di ritonavir a bassa dose3 >1 NRTI + doppio IP con booster di ritonavir (LPV/r + SQV, LPV/r + ATV) 4 NRTI(s) + IP alternativo con booster di ritonavir a bassa dose3 + Enfuvirtide5 e/o antagonista del CCR56 e/o inibitore dell’integrasi6 L’uso di regimi contenenti fino a 3 IP e/o 2 NNRTI, pur aumentando probabilità di successo e raggiungimento del goal terapeutico, va valutato in base a complessità, tollerabilità e interazioni sfavorevoli tra farmaci. 1. La simultanea sostituzione dei due NRTI è indicata per prevenire mutazioni aggiuntive e i principi attivi andranno scelti sulla base del test di resistenza; inoltre, dati sulla popolazione adulta suggeriscono che proseguire 3TC in presenza di mutazioni che vi conferiscono resistenza non ne impedisce una parziale efficacia nel sopprimere la viremia e la presenza della mutazione 184 V può in parte arginare l’effetto di mutazioni conferenti resistenza a AZT, d4T e TDF. 2. La resistenza crociata tra NVP ed EFV limita l’uso di quest’ultimo nella nuova terapia. Il recente NNRTI etravirina (ETV) mantiene invece efficacia contro HIV resistente a NVP ed EFV in presenza dell’unica mutazione K103. 3. Regimi contenenti LPV/r mostrano attività antiretrovirale durevole in bambini multi-trattati con diversi IP. 4. Nell’adulto e nel bambino, studi farmacocinetici hanno dimostrato concentrazioni efficaci o più elevate dei principi attivi per le associazioni di IP lopinavir/ritonavir con saquinavir e lopinavir/ritonavir con atazanavir. 5. Enfuvirtide, inibitore della fusione, è approvato sopra i 6 anni ed è efficace nel paziente multi-resistente e pluri-trattato. La somministrazione sottocute rimane un ostacolo all’aderenza e ne limita l’uso negli adolescenti più che nei bambini piccoli. 6. Maraviroc e raltegravir, approvati sopra i 16 anni, sono valide opzioni negli adolescenti con fallimenti multipli; studi pediatrici sono in corso. Nell’adulto, l’uso dei nuovi farmaci inibitori delle integrasi (raltegravir) o antagonisti del recettore CCR5 (maraviroc), associati a un inibitore boosterato delle proteasi (darunavir), garantisce una risposta virologica migliore. 31 V. Giacomet et al. è stato somministrato un questionario ai carers e ai medici curanti di 129 bambini con infezione da HIV: la aderenza alla terapia è stata valutata considerando il numero di dose omesse nei 4 giorni precedenti il controllo clinico in ospedale ed è risultata essere maggiore se la terapia veniva somministrata da genitori affidatari o adottivi rispetto ai genitori naturali e paradossalmente maggiore nei bambini in HAART rispetto a quelli in dual-therapy (Giacomet et al., 2003). Un tassello importante nella gestione del bambino con infezione da HIV è la comunicazione della diagnosi. Una comunicazione sincera permette al bambino di non subire passivamente la propria malattia e aiuta gli adolescenti a conoscere per intero la propria realtà. Comunicazione e relazione sono gli strumenti necessari e indispensabili per raggiungere gli obiettivi terapeutici che un medico si propone. È importante quando si comunica pensare dapprima alla persona e alla sua storia emotiva e successivamente alle parole adeguate per la comunicazione. Durante la comunicazione è necessario dire la verità, per conquistare la fiducia del paziente e di conseguenza la sua collaborazione alla cura. I segreti provocano fantasie negative, di morte e pessimismo. È importante rendere il bambino partecipe alla patologia di cui è affetto per dargli la possibilità di accettare la malattia, l’ambiente in cui viene curato e l’importanza della cura. È in egual modo essenziale chiamare la malattia col suo vero nome, parlando direttamente al bambino (dopo aver chiaramente informato i genitori del contenuto della comunicazione), adattando il dialogo all’età, al carattere e alla personalità del piccolo paziente: stiamo parlando di comunicazione empatica, che rinforza quella di contenuto. È importante che il bambino venga a conoscenza della propria malattia per diventarne protagonista in senso positivo, attivando le risorse per aumentare la compliance e l’aderenza terapeutica e per elaborare i propri vissuti. Per quanto riguarda la comunicazione ai genitori, è utile non dilungarsi troppo sui problemi clinici delle sindromi per non creare timori esagerati. Effetti collaterali dei farmaci antiretrovirali Nonostante gli indiscutibili benefici, l’esposizione prolungata a tera- pie antiretrovirali non è scevra da complicanze, in primis alterazioni metaboliche, che assumono ulteriore importanza nei pazienti pediatrici, sia per la maggior durata sia per l’interferenza con i normali processi di crescita (Viganò et al., 2010). Lipodistrofia: identifica le anomalie di distribuzione del tessuto adiposo; l’associazione di lipodistrofia ed alterazioni del metabolismo lipidico e glucidico è definita sindrome lipodistrofica. Dislipidemia: identifica le alterazioni del profilo lipidico, in base alla concentrazione plasmatica di trigliceridi, colesterolo totale, colesterolo HDL e colesterolo LDL rispetto ai valori di norma per sesso ed età. Alterazioni dell’omeostasi glucidica: si intende un ampio spettro di alterazioni, fino al quadro conclamato di diabete mellito tipo 2, risultanti dalla combinazione di vari fattori: terapia con PI, cambiamenti della composizione corporea, predisposizione genetica, stato infiammatorio cronico determinato dall’infezione da HIV. La metformina è al momento l’unico farmaco approvato dall’FDA in età pediatrica (per bambini con diabete mellito tipo 2 di età > 10 anni). Alterazioni del tessuto osseo: un incremento del turn-over osseo, derivante dallo stato infiammatorio cronico e/o dalla terapia antiretrovirale, può essere responsabile di una ridotta mineralizzazione ossea. Tossicità mitocondriale: in corso di terapia con NRTI, espressione di disfunzione mitocondriale è l’aumento della concentrazione plasmatica di acido lattico (>2 mmol/L) che può rimanere asintomatica o manifestarsi con nausea, dolori addominali, vomito, modeste alterazioni della funzionalità epatica, fino a un quadro di severa acidosi lattica (per livelli di acido lattico > 5 mmol/L) con steatosi epatica, neuropatia, pancreatite, miopatia. Alterazioni cardiovascolari: vari studi pediatrici hanno documentato la presenza di aterosclerosi subclinica – con incremento dello spessore dell’intima a livello delle carotidi – ed aumento di vari indici infiammatori (in primis hsCRP, mieloperossidasi, omocisteina) nei soggetti con infezione da HIV in terapia antiretrovirale, rispetto a pazienti non in terapia e a controlli sani di pari età (Tab. V). Tabella V. Effetti metabolici associati ai farmaci antiretrovirali. Sindrome lipodistrofica: anomalie di distribuzione del grasso periferico (lipoatrofia, lipoipertrofia, forma combinata). I dati relativi a prevenzione e trattamento della lipodistrofia in età pediatrica sono ancora poco esaustivi. In Tabella 20 sono fornite le possibile indicazioni. Dislipidemia: gruppo di alterazioni del metabolismo lipidico (ipercolesterolemia, ipertrigliceridemia, forme miste). Interventi farmacologici vanno considerati: • In bambini di età > 8 anni con valori di colesterolo LDL > 190 mg/dl non responsivi a dieta ipocolesterolemica (o c-LDL > 160 mg/dl in caso di familiarità per patologie cardiovascolari precoci) • In bambini di età < 8 anni con valori di colesterolo LDL > 500 mg/dl Alterazioni dell’omeostasi glucidica: insulino-resistenza e diabete mellito tipo 2 (osservati anche in pediatria, sebbene con minor frequenza rispetto all’adulto). Interventi: Dieta bilanciata Esercizio fisico aerobico Metformina, unico ipoglicemizzante orale approvato dall’FDA per l’impiego in età pediatrica (in bambini con diabete mellito tipo 2 di età > 10 anni) Considerare l’uso di insulina esogena se i primi tre interventi non sono sufficienti Complicanze cardiovascolari: aterosclerosi - processo degenerativo a carico dell’endotelio vascolare che inizia già nell’infanzia. Lo spessore intimale (IMT) delle carotidi è un indice predittivo di aterosclerosi subclinica. Studi condotti in coorti pediatriche hanno dimostrato che l’infezione da HIV e una lunga esposizione alla cART sono fattori di rischio per l’aumento dello spessore intimale delle carotidi. Tossicità mitocondriale: aumento di acido lattico plasmatico (asintomatico o associato a manifestazioni cliniche quali nausea, dolori addominali, vomito, modeste alterazioni della funzionalità epatica fino al quadro di severa acidosi con statosi epatica, neuropatia, pancreatite, miopatia). In presenza di segni clinici di mitocondriopatia è necessario dosare i livelli di acido lattico ed effettuare ulteriori accertamenti diagnostici. 32 HIV in età pediatrica: cosa è cambiato 30 anni dopo Follow-up del bambino nato da madre HIV-positiva Tutti i bambini nati da madre con infezione da HIV devono essere sottoposti ad esami ematochimici, appena possibile dopo la nascita. Tali accertamenti devono includere un esame emocromocitometrico e gli esami biochimici di routine, finalizzati allo studio della funzionalità d’organo. Il successivo timing di valutazione degli esami ematici in epoca neonatale va individualizzato sulla base dei risultati ottenuti alla prima valutazione, dell’età gestazionale del bambino e della sua situazione clinica, del tipo di profilassi a cui il neonato viene sottoposto. Raccomandata è comunque una rivalutazione dell’esame emocromocitometrico dopo 4 settimane dall’inizio della profilassi al fine di valutare il valore di emoglobina e la conta dei neutrofili. I test anticorpali non devono essere utilizzati per la diagnosi di infezione da HIV nei primi 18 mesi di vita, in quanto fino a quell’epoca, gli anticorpi materni in grado di attraversare la placenta, sono dosabili nel siero dei bambini nati da madre con infezione da HIV. Il bambino deve quindi essere monitorato per l’eventuale diagnosi di infezione con test virologici (HIV-DNA o HIV-RNA). Almeno 3 test virologici devono essere eseguiti tra 14 e 21 giorni di vita, tra 1 e 2 mesi e tra 4 e 6 mesi di vita. Alcuni autori raccomandano di sottoporre i neonati di madre HIV-positiva ad un test virologico anche al momento della nascita, soprattutto nei casi in cui la carica virale materna non sia ottimamente controllata o in cui si preveda la possibilità che al neonato non venga assicurato un adeguato follow-up. In caso di positività di un test virologico, il neonato deve essere sottoposto il prima possibile ad un altro test virologico di conferma eseguito su un campione ematico diverso. La presenza di due diversi test virologici positivi consente di porre diagnosi di infezione da HIV. In epoca neonatale, il test più adeguato per porre diagnosi di infezione da HIV è l’HIV-DNA PCR. L’infezione può ragionevolmente essere esclusa in presenza di due test virologici negativi, eseguiti a 14 o più giorni di vita e ad un mese o più di vita. L’esclusione della trasmissione dell’infezione, in bambini allattati con latte formulato, si pone in presenza di due test virologici negativi eseguiti ad almeno 1 e ad almeno 4 mesi di vita. I bambini devono comunque essere strettamente monitorati fino a 18 mesi di vita, epoca in cui eseguire la ricerca di anticorpi per HIV, al fine di verificarne la negatività e di escludere così definitivamente la trasmissione dell’infezione (NIH, 2011). Follow-up del bambino infetto Nel bambino con infezione da HIV in terapia antiretrovirale vanno strettamente monitorati il valore dei CD4+ e della carica virale (HIVRNA), che in regime terapeutico efficace, deve essere undetectable. Accanto ai parametri immunovirologici devono essere monitorati i possibili effetti collaterali dei farmaci antiretrovirali. Infatti ogni farmaco può potenzialmente causare effetti collaterali che interessano diversi apparati e organi. Quando possibile, è preferibile evitare di associare farmaci che possono potenziare la tossicità delle singole molecole. È necessario effettuare il monitoraggio della possibile tossicità secondo necessità, ma almeno ogni 3-4 mesi con esami specifici (funzionalità epatica e renale, acido lattico, glicemia, colesterolo e trigliceridi, inoltre valutazione della mineralizzazione ossea tramite DEXA). Nell’adulto sono stati condotti numerosi studi sulle possibili strategie di intervento (prevenzione e trattamento); i dati disponibili sul paziente pediatrico sono molto limitati. Per prevenire la lipoatrofia, evitare l’uso di stavudina e zidovudina o sostituire preventivamente questi farmaci, sono opzioni suggeribili. Per controllare la lipoatrofia, è preferibile sostituire gli analoghi timidinici (NRTI) con abacavir o un regime terapeutico risparmiante gli NRTI. Per prevenire la lipoipertrofia, non esiste una strategia di provata efficacia. Gli interventi farmacologici sperimentati nell’adulto non hanno dimostrato un’efficacia a lungo termine e possono indurre nuove complicanze. Per il controllo della dislipidemia: l’impiego di statine è raccomandato in bambini di età ≥ 10 anni con livelli di LDL-colesterolo > 190 mg/dl o 160 mg/dl e storia familiare positiva per precoci eventi cardiovascolari. L’impiego di fibrati è raccomandato per bambini di età ≥ 10 anni con livelli di trigliceridi compresi tra 700 e 1000 mg/dl. Le modifiche dello stile di vita, quali l’incremento dell’esercizio fisico, l’adeguato apporto calorico, di macro e micronutrienti oltre all’astensione dal fumo e dal consumo di alcool sono fortemente raccomandabili. (Leonard e McComsey, 2005) Per prevenire la demineralizzazione ossea è utile la supplementazione con Vit D e una dieta appropriata. Conclusioni e prospettive per il futuro L’infezione da HIV è attualmente considerata una patologia cronica nei paesi occidentali, poiché in essi la disponibilità e l’impiego su larga scala delle terapie antiretrovirali ha dimostrato sostanziali benefici dal punto di vista clinico e immunologico, nonché nella prospettiva di vita dei pazienti infetti, paragonabile a quelli degli individui non infetti. Tuttavia, a fronte dei risultati positivi in termini di sopravvivenza libera da malattia e di miglior qualità di vita, le terapie HAART sono associate a numerosi effetti collaterali, che si sono resi tanto più manifesti, quanto più si è allungata la durata del loro impiego. Tali effetti collaterali si manifestano a carico del sistema cardiovascolare, del rene, dell’osso e come sindrome lipodistrofica. Alla luce di tali effetti collaterali il bambino HIV- infetto, per le co-morbosità a cui va incontro, dovrebbe essere preso in carico in centri specialistici, al fine di ricevere le terapie più consone e innovative e per una gestione appropriata. WHO ha posto come goal per il 2015 l’eradicazione della infezione da HIV in età pediatrica attraverso il trattamento delle donne gravide in tutto il mondo al fine di interrompere la trasmissione maternofetale. Nel paziente adulto ricercatori in tutto il mondo stanno studiando l’agognato vaccino preventivo contro l’HIV; gli ultimi trials mostrano un effetto preventivo incoraggiante ma ancora modesto (31%) nei confronti del virus. Inoltre prosegue lo sviluppo di vaccini che stimolano la risposta dei linfociti CD8+ citotossici in grado di uccidere lentamente le cellule infettate dal virus HIV. Nuovi farmaci antiretrovirali con minori effetti collaterali sono in fase di sperimentazione e nuove strategie terapeutiche che utilizzano due classi di farmaci antiretrovirali in pazienti trattati e virologicamente soppressi sono state proposte per diminuire gli effetti collaterali e alleggerire il carico farmacologico nei pazienti. Inoltre il ruolo della farmacogenetica per la personalizzazione della terapia antiretrovirale, il problema dei reservoirs, il monitoraggio nelle comorbilità sono i recenti target nella lotta all’AIDS da sviluppare nel prossimo futuro. Ma è la prevenzione dei comportamenti a rischio che rimane il goal nella lotta all’AIDS accanto all’eradicazione del “sommerso”: purtroppo, in Italia, circa la metà delle persone con diagnosi recente scopre l’infezione a uno stadio avanzato, quando il virus ha già prodotto danni consistenti al sistema immunitario e il numero assoluto dei linfociti CD4+ è molto basso. Il ritardo della diagnosi è in rapporto con il cosiddetto “sommerso”, stimato oggi tra il 15% e il 25% di tutta la popolazione HIV-positiva vivente in Italia, rappresentato dai soggetti inconsapevoli del proprio stato d’infezione, che ritardano o non eseguono il test. È la conseguenza 33 V. Giacomet et al. della bassa percezione del rischio d’infezione, tipico nella popolazione sessualmente attiva ed in particolare di una fascia della popolazione che comprende gli adolescenti ed i giovani adulti. Il ritardo di diagnosi ha diverse conseguenze: riduce l’efficacia della terapia; aumenta la probabilità di una progressione clinica; au- menta la probabilità di trasmissione dell’infezione. Un accesso precoce a diagnosi e terapia comporta benefici clinici (maggiore efficacia, migliore recupero immunologico, ridotta mortalità) ma anche epidemiologici, con conseguente ridotto numero di nuove infezioni e ridotta prevalenza della infezione da HIV. Box di orientamento • L’infezione da HIV in età pediatrica è oggi una malattia cronica grazie alla disponibilità di terapie altamente efficaci. • La prevenzione della trasmissione dell’infezione da madre a feto inizia durante la gravidanza con la terapia materna, prosegue al momento del parto e dopo la nascita con la profilassi al neonato e l’allattamento artificiale esclusivo. • Nei paesi a risorse economiche limitate sono necessarie strategie di diffusione della cultura della prevenzione, interventi dedicati alla diagnosi precoce di HIV nelle donne e a garantire una maggiore disponibilità di farmaci antiretrovirali. • È fortemente raccomandato trattare tutti i lattanti HIV-infetti di età inferiore ai 12 mesi di vita con idonea terapia antiretrovirale. I bambini di età superiore a 12 mesi devono iniziare un terapia antiretrovirale sulla base di criteri clinici ed immuno-virologici. • La terapia antiretrovirale nel bambino deve comprendere almeno 3 farmaci: la scelta si basa sui dati di efficacia e sicurezza in età pediatrica, sulla disponibilità di formulazioni adeguate, sulle eventuali farmacoresistenze e sull’aderenza alla terapia stessa. • La terapia antiretrovirale altamente efficace ha effetti collaterali a breve e lungo termine anche in età pediatrica: un adeguati follow-up in centri specialistici è fondamentale. • Il futuro dell’infezione da HIV in età pediatrica è l’azzeramento delle infezioni acquisite per via verticale. Non bisogna però dimenticare il presente: è sempre necessaria una costante attenzione alla prevenzione dei comportamenti a rischio per acquisizione dell’infezione. Bibliografia Birkhead GS, Pulver WP, Warren BL, et al. Progress in prevention of mother-tochild transmission of HIV in New YorkState: 1988-2008. 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