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L’OSSERVATORE ROMANO
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Città del Vaticano
lunedì-martedì 19-20 dicembre 2016
.
All’Angelus il Papa chiede che si evitino violenze nella Repubblica democratica del Congo
Al centro della giornata per i migranti
Appello al dialogo
Profughi
e nuove povertà
E ai ragazzi dell’Azione cattolica raccomanda di parlare spesso con i nonni
Papa Francesco ha lanciato un appello al dialogo
nella Repubblica democratica del Congo, dove la
crisi politica apertasi con la scadenza del mandato
presidenziale di Kabila rischia di radicalizzare le
contrapposizioni, alimentando un clima di odio e
di violenza. «Chiedo a tutti voi di pregare affinché il dialogo nella Repubblica Democratica del
Congo si svolga con serenità per evitare qualsiasi
tipo di violenza e per il bene di tutto il Paese» ha
invocato a conclusione dell’Angelus recitato in
piazza San Pietro nella mattina del 17 dicembre.
In precedenza il Pontefice aveva preso spunto
dal vangelo dell’ultima domenica di Avvento per
ricordare le figure di Maria e Giuseppe, che «per
primi hanno accolto Gesù mediante la fede» e
che «ci introducono nel mistero del Natale». La
prima, ha spiegato, «ci aiuta a metterci in atteggiamento di disponibilità per accogliere il Figlio
di Dio nella nostra vita concreta», mentre «il secondo ci sprona a cercare sempre la volontà di
Dio e a seguirla con piena fiducia». Tutti e due,
ha evidenziato, «si sono lasciati avvicinare da
D io».
Al termine, nel salutare i gruppi presenti, il
Pontefice ha voluto «ringraziare tutte le persone e
le istituzioni» che gli hanno fatto gli auguri in occasione del suo ottantesimo compleanno celebrato
sabato 17. Per l’occasione Francesco ha ricevuto
telefonate e telegrammi di augurio da diversi leader internazionali, mentre decine di migliaia sono
stati i messaggi inviati via posta elettronica da
tutto il mondo: i più numerosi in inglese, spagnolo, polacco e italiano. Significativi, in particolare,
gli auguri giunti da Benedetto XVI attraverso un
messaggio scritto e molto affettuoso, che è stato
particolarmente apprezzato da Francesco. Nel pomeriggio di sabato 17 il Papa emerito ha anche
cattolica italiana, ai quali ha raccomandato in particolare di parlare spesso con i propri nonni, perché — ha spiegato — «gli anziani hanno la sapienza della vita» e conservano sempre «la memoria
della storia».
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europea», Mattarella ha affermato
che «le migrazioni sono un fenomeno che va affrontato, in maniera
strutturale e condivisa, con l’intento
di far fronte anzitutto ai drammi
umanitari che le caratterizzano e di
impegnarsi a rimuovere le cause
che sono alla base dei flussi». Ha
inoltre ribadito che «un tale approccio necessita di una convinta
unità di intenti a livello internazionale per raggiungere pace e stabilità». E ha ricordato che «ai migranti
è naturalmente richiesto di compiere lo sforzo di adattarsi ad un contesto anche molto diverso da quello
delle società di origine». Il presidente della Camera dei Deputati
italiana, Laura Boldrini, ha ribadito
che si tratta di «un fenomeno strutturale», sottolineando che «di fronte alla costante crescita del fenomeno delle migrazioni, è urgente che
l’Europa risponda vincendo gli
egoismi nazionali».
Intanto, guardando alla situazione sui vari fronti di flussi di migranti, si deve riferire di 184 persone fermate dalle autorità turche
mentre cercavano di attraversare il
mar Egeo per arrivare in Grecia, su
due diverse imbarcazioni. Si tratta
di persone provenienti da Pakistan,
Afghanistan, Siria, Bangladesh, Somalia, Iran e Iraq, ma in parte anche dalla Cina. La polizia turca ha
fatto sapere di aver arrestato uno
dei cinque trafficanti di uomini e
di essere sulle tracce degli altri.
Alla vigilia della scadenza del mandato di Kabila
L’arcivescovo Pizzaballa sottolinea la gravità della situazione in Siria e Iraq
Kinshasa deserta
per timori di violenze
Tragedia per i cristiani
KINSHASA, 19. La capitale della Repubblica Democratica del Congo,
Kinshasa, è oggi una città fantasma, massicciamente presidiata dalla polizia e dalla guardia nazionale,
alla vigilia della fine del secondo e
ultimo mandato del presidente Joseph Kabila, che non ha inteso
convocare le elezioni presidenziali
per determinare il suo successore.
E la voce che corre è che Kabila
intenda rimanere al potere a vita.
La paura è quella dell’esplosione
della violenza, che negli ultimi anni purtroppo non è mai mancata
nei momenti politicamente topici
per il grande paese africano.
Kinshasa, una megalopoli di oltre dieci milioni di abitanti, solitamente piena di vita, commerci e
Ai Musei vaticani
Riapre
il Braccio nuovo
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chiamato personalmente il suo successore, inviandogli inoltre tre piccoli doni che Francesco ha ricevuto come tre segni molto personali e significativi per tutti e due.
Infine, nella mattina di lunedì 19, nella Sala del
Concistoro, il Pontefice ha ricevuto gli auguri natalizi da una delegazione di ragazzi dell’Azione
BRUXELLES, 19. La giornata internazionale del migrante è stata celebrata, ieri, a chiusura di un 2016
che, con quasi cinquemila persone
morte nel Mediterraneo, ha registrato il più alto numero di vittime
dei viaggi della speranza. A 16 anni
dall’istituzione della giornata per
volere dell’Onu, il mondo si trova
di fronte a un numero sempre
maggiore di guerre, a più gravi povertà e più pesanti emergenze ambientali. Tutti fattori che scatenano
disperati flussi migratori.
Per quanto riguarda l’Europa,
anche dopo il vertice europeo della
settimana scorsa, risultano divisioni. In diversi paesi membri dell’Ue
prevale la tendenza alla chiusura
verso i migranti, anche per la temuta crescita elettorale di forze xenofobe e populiste. E l’Europa risulta, dunque, paralizzata sulla redistribuzione e i ricollocamenti di
profughi e lascia il peso maggiore
sui paesi di primo approdo, tra cui
l’Italia.
Il presidente della Repubblica
italiana, Sergio Mattarella, ha ricordato
ieri
che
«nell’ambito
dell’Unione europea è indispensabile che tutti i paesi membri, non
solo quelli di primo ingresso come
l’Italia, facciano la loro parte sulla
base di quei valori di solidarietà ed
integrazione su cui si fonda l’Unione stessa». Sottolineando «la coerenza dell’Italia con i principi fondanti del progetto di integrazione
ANTONIO PAOLUCCI
A PAGINA
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traffico, è silenziosa e praticamente
deserta: circolano poche macchine
e bus, i negozi sono in gran parte
chiusi e anche gli ambulanti non
hanno aperto le loro bancarelle. I
blanc-bleu, gli scolari con le loro
classiche uniformi, sono rimasti a
casa e il numero dei poliziotti supera largamente quello dei rari passanti. Nei giorni scorsi era stata decisa la sospensione del campionato
di calcio, per evitare che le manifestazioni sportive venissero trasformate in proteste politiche. Ora il
governo centrale ha decretato un
giro di vite sui social media e il divieto alle emittenti di trasmettere
programmi a carattere politico.
In questo clima di tensione il
Belgio ha chiesto ai suoi cittadini
di lasciare il paese e la Francia ha
invitato quanti siano presenti nella
Repubblica Democratica del Congo alla massima vigilanza.
Intanto ieri sera i vescovi della
Conferenza episcopale, che stavano
svolgendo una mediazione tra gli
uomini del presidente e l’opposizione, hanno dovuto annunciare la
sospensione dei colloqui volti a favorire una soluzione pacifica alla
crisi politica in corso.
Il capo storico dell’opposizione
Étienne Tshisekedi aveva annunciato la convocazione di manifestazioni in tutto il paese per cacciare Kabila in caso di fallimento delle trattative, ma finora il via libera alle
contestazioni di piazza non è stato
dato. Kabila, 45 anni, è al potere
dal 2001 e la Costituzione gli impedisce di ripresentare la sua candidatura alle elezioni. Le trattative
sotto l’egida della Chiesa locale
dovevano servire a definire un percorso di transizione concordato fino al voto presidenziale.
Al momento Kabila ha raggiunto un’intesa con una frangia minoritaria dell’opposizione per rimanere in sella fino al voto, lasciando il
ruolo di premier a uno dei suoi antagonisti. La speranza nel paese è
che gli incontri tra il governo e
l’opposizione possano riprendere
nella giornata di mercoledì.
DAMASCO, 19. «La situazione dei cristiani in Siria, Iraq e Egitto è una
completa tragedia». Così si è espresso oggi, nel corso di un incontro con
i giornalisti, l’arcivescovo Pierbattista
Pizzaballa, amministratore apostolico di Gerusalemme dei Latini. «In
queste terre, origine della nostra civiltà, il ciclo vizioso della violenza
che è all’opera sembra senza speranza e senza fine».
Tutti noi — ha aggiunto — «abbiamo visto le immagini di Aleppo della scorsa settimana, ma anche di tutta la regione durante i lunghi anni
del conflitto». Anche in Terra santa
«riecheggia l’estremismo e il fondamentalismo che stanno crescendo in
tutto il mondo».
Intanto, oltre mille persone sono
state evacuate questa mattina, dopo
forti ritardi, dalle ultime aree controllate dai ribelli nella parte orientale di Aleppo: lo hanno reso noto
fonti mediche, secondo quanto scrive l’emittente «Al Arabiya». Gli
sfollati troveranno rifugio nei campi
allestiti nei quartieri occidentali, prima di essere trasferiti altrove.
Nelle ultime ore l’evacuazione della parte orientale della città è andata
avanti a singhiozzo. Nel gelo della
notte, più di trenta pullman hanno
atteso di partire dalla zona assediata
e portare via i civili stremati dai
combattimenti. Domenica mattina,
l’accordo tra le parti in conflitto era
stato dato per certo, ma poi le operazioni di evacuazione erano state
rinviate fino a nuovo ordine sia per
Aleppo est che per i due villaggi
sciiti di Fuaa e Kafraya. Principale
motivo del rinvio, le violenze ancora
in corso: diversi pullman che stavano trasportando civili fuori dalla città sono stati attaccati e dati alle
fiamme. Fonti del governo siriano
hanno accusato i ribelli e i gruppi
jihadisti ancora presenti nell’area.
Sono almeno 200.000 le persone
che attendono di ricevere assistenza
umanitaria nell’area di Aleppo; la cifra sale a due milioni se si guarda
l’area che va da Aleppo fino al con-
Le credenziali
dell’ambasciatore di Corea
Civili tra le macerie ad Aleppo est (Reuters)
fine nord con la Turchia. Si tratta,
tuttavia, soltanto di stime approssimative: né il governo né l’Onu sanno con esattezza quanti civili e
quanti ribelli attendono di abbandonare Aleppo est. La sola certezza —
dicono gli analisti — è che tutti hanno estremo bisogno di aiuti: da mesi
scarseggia il cibo così come ogni
sorta di servizio, a partire dall’energia elettrica e dall’acqua potabile.
È stato intanto raggiunto al Consiglio di sicurezza dell’Onu, al termine di tre ore di serrate consultazioni a porte chiuse, l’accordo sul testo di una risoluzione che prevede il
dispiegamento di osservatori delle
Nazioni Unite ad Aleppo est per garantire le operazioni di evacuazione
della popolazione e l’accesso di aiuti
umanitari. Il voto sulla risoluzione
dovrebbe avvenire oggi.
NOSTRE INFORMAZIONI
Nella mattina di lunedì 19 dicembre, Papa Francesco ha ricevuto in udienza
Sua Eccellenza il Signor Jonghyu Jeong, nuovo ambasciatore di Corea, per la presentazione
delle lettere con cui viene accreditato presso la Santa Sede
Il Santo Padre ha ricevuto questa
mattina in udienza Sua Eccellenza il Signor Jonghyu Jeong, Ambasciatore di Corea, per la presentazione delle Lettere Credenziali.
della Conferenza Episcopale della Repubblica Democratica del
Congo, con Sua Eccellenza
Monsignor Fridolin Ambongo
Besungu, Arcivescovo di Mbandaka-Bikoro, Vice Presidente.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza:
l’Eminentissimo
Cardinale
George Pell, Prefetto della Segreteria per l’Economia;
Sua Eccellenza Monsignor
Marcel Utembi Tapa, Arcivescovo di Kisangani (Repubblica Democratica del Congo), Presidente
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza una
Delegazione della «Asociación
Iberoamericana de Ministerios
Publicos»: Jorge Diaz (Uruguay), Ramiro Guerrero (Bolivia), Alejandra Gils Carró (Argentina).
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lunedì-martedì 19-20 dicembre 2016
Forze di sicurezza giordane
in azione
fuori dal castello di Karak (Ap)
Rivendicata dall’Is
Strage di soldati
ad Aden
Si sblocca la crisi libanese
Fiducia
al governo
di Hariri
BEIRUT, 19. Si sblocca la crisi politica in Libano. Il parlamento ha
votato ieri la fiducia al nuovo esecutivo formato dal sunnita Saad
Hariri, già premier dal 2009 al
2011. Figlio dell’ex premier Rafiq,
ucciso nell’attentato del 14 febbraio 2005, Hariri era stato nominato il 3 novembre scorso.
La fiducia è frutto dell’accordo
che ha portato, il 31 ottobre scorso, il cristiano maronita Michel
Aoun alla presidenza della repubblica, oltre due anni dopo la scadenza del mandato di Michel
Sleiman. In base al patto nazionale del 1943, in Libano il primo ministro dev’essere un sunnita, mentre il presidente del parlamento
uno sciita e il capo dello stato un
cristiano maronita.
Il nuovo esecutivo guidato da
Hariri è formato da trenta ministri, espressione di tutte le maggiori forze politiche libanesi, compreso il partito sciita Hezbollah.
«Questo è un governo di intesa»
ha dichiarato Hariri, intervenendo
in parlamento. Tra i nuovi ministeri, uno contro la corruzione e
uno per la tutela delle donne.
Sulla carta l’esecutivo dovrebbe
essere rimesso in discussione il
prossimo maggio quando sono
previste — salvo un terzo rinvio —
le elezioni politiche, le prime dal
2009. Sarà indispensabile, però,
prima trovare un’intesa su una
nuova legge elettorale, come sottolineano numerosi analisti. La
priorità del suo nuovo governo,
ha spiegato Hariri, «sarà preservare il nostro Paese dalle ripercussioni negative della crisi siriana».
La prima riunione del nuovo esecutivo si terrà mercoledì.
Gruppo armato uccide dieci persone
Terrore in Giordania
AMMAN, 19. Almeno dieci persone
tra cui quattro poliziotti, una turista
canadese e due civili sono stati uccisi ieri in una serie di attacchi in
Giordania. L’azione principale ha riguardato un antico forte crociato
nella città di Karak: un gruppo di
uomini armati si è asserragliato
all’interno del castello in cui si trovavano diversi turisti stranieri, tra
cui un gruppo di quattordici malesi.
Secondo fonti della sicurezza locale
e i quotidiani giordani, negli attacchi sarebbero state ferite anche 27
persone. La polizia ha inviato rinforzi e ha assediato il castello ingaggiando diverse sparatorie con il
gruppo di aggressori, uccidendone
alcuni. Attualmente è in corso la
bonifica della zona, dentro e fuori il
Inaugurato a Istanbul dal presidente Erdoğan
Tunnel
sotto il Bosforo
Non si ferma
la violenza nel Kashmir
Scontri
tra israeliani
e palestinesi
Gli ultimi ritocchi nel tunnel sotto il Bosforo (Ap)
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di paesi che sostengono il legittimo
presidente Hadi dopo l’offensiva
dei ribelli huthi che da oltre due
anni controllano gran parte del territorio.
Il viaggio di Kerry, l’ultimo da
segretario di stato prima del cambio
dell’amministrazione
statunitense
con il presidente eletto Donald
Trump, giunge in un momento in
cui i rapporti tra Washington e
Riad si sono fatti meno cordiali
proprio a causa dell’intervento saudita nel conflitto contro i ribelli huthi. Kerry ha espresso preoccupazione per l’aumento delle vittime
civili e per il moltiplicarsi di attacchi a opera di gruppi terroristi che
approfittano del caos per guadagnare influenza nel paese.
Tre soldati indiani uccisi in un attacco
A Ramallah
TEL AVIV, 19. Non conosce tregua
la violenza in Terra santa. Un
adolescente palestinese è stato ucciso ieri durante scontri con militari e polizia israeliani a Ramallah, in Cisgiordania.
I disordini sono scoppiati nel
villaggio di Beit Rima, appunto
vicino a Ramallah, dopo che alcuni soldati erano stati aggrediti da
giovani palestinesi a colpi di pietre, almeno stando a quanto riportano fonti dell’esercito. Ne è seguito uno scontro a fuoco che ha
portato in seguito alla morte del
ragazzo e al ferimento di altre
persone. Fonti palestinesi hanno
riferito che il ragazzo ucciso aveva
19 anni. Come ricordano i media
internazionali, dall’ottobre 2015 le
violenze in Cisgiordania sono costate la vita a 244 palestinesi, 36
israeliani, due statunitensi, un
giordano, un egiziano e un sudanese.
E sempre ieri, intanto, le autorità israeliane hanno raggiunto un
accordo con il movimento dei coloni per lo sgombero pacifico
dell’avamposto illegale di Amona:
circa quaranta famiglie hanno dovuto abbandonare la collina che
avevano occupato.
castello per verificare se ci siano altri uomini armati.
Secondo le prime ricostruzioni
fornite dalle autorità giordane, l’assalto è seguito a uno scontro a fuoco avvenuto davanti a una casa di
Karak. Il gruppo ha attaccato le auto della polizia di pattuglia accorse
sulla segnalazione di una casa in
fiamme, poi è scappato a bordo di
una automobile dirigendosi nella
fortezza del XII secolo, nota meta
turistica su una collina della città
che si trova circa 120 chilometri a
sud di Amman, dove c’è stata una
violenta sparatoria.
La polizia è riuscita a liberare
una decina di turisti, altri sarebbero
rimasti nascosti o trattenuti all’interno della fortezza.
Il primo ministro Hani Al Mulki
ha confermato al parlamento la
morte di «alcuni agenti» avvertendo
che le forze dell'ordine hanno messo
sotto assedio il castello. La morte
della turista canadese è stata poi
confermata anche dal governo di
O ttawa.
SANA’A, 19. Si aggrava di ora in ora
il bilancio dell’attentato suicida avvenuto ieri nei pressi della città di
Aden, nello Yemen meridionale,
che ha avuto come obiettivo militari in attesa della paga. L’ultima stima, ancora provvisoria, parla di 52
morti e 63 feriti, come hanno riferito fonti mediche dell’ospedale di
Aden. Miliziani del cosiddetto stato
islamico (Is) hanno rivendicato la
strage.
Fonti dell’intelligence hanno riferito che l’attentatore suicida, che indossava una cintura esplosiva, si è
fatto saltare in aria tra un gruppo
di soldati governativi che attendevano di ricevere lo stipendio, vicino
alla caserma Nasser Anbouri, nel
quartiere Khor Maksar di Aden.
Quello di ieri è solo l’ultimo dei
numerosi attentati nel paese, insanguinato da un lungo conflitto tra il
governo e i ribelli huthi. Poco più
di una settimana fa in un altro attentato suicida, rivendicato dall’Is,
sono stati uccisi 48 militari, anche
loro mentre erano radunati e in fila
in attesa dello stipendio. Negli ultimi mesi si sono intensificati gli attacchi che hanno come obiettivo le
forze di sicurezza yemenite, fedeli
al presidente Abd Rabbo Mansour
Hadi. Da mesi, le autorità yemenite
stanno conducendo una vasta offensiva contro i jihadisti che operano nel sud e nell’est del Paese devastato dalla guerra. L’Is e Al Qaeda
nella penisola arabica hanno approfittato del conflitto tra il governo e
i ribelli huthi, che controllano la
capitale Sanaa, per rafforzare la loro presenza soprattutto nel sud.
E intanto, il segretario di stato
statunitense, John Kerry, ha incontrato ieri a Riad il re saudita
Salman per discutere, tra l’altro,
della guerra nello Yemen dove il
numero delle vittime civili è vertiginosamente salito. L’Arabia Saudita
guida nello Yemen una coalizione
ANKARA, 19. Un’autostrada sotto il
Bosforo per collegare la sponda
asiatica di Istanbul alla penisola
storica del Corno d’oro. L’ultima
scommessa del presidente Recep
Tayyip Erdoğan, ennesimo tassello
nella sua lista di grandi opere che
stanno trasformando la Turchia, si
annuncia come un gioiello di ingegneria e azzardo politico.
Il tunnel Eurasia, che sarà inaugurato domani, era atteso l’estate
prossima. Ma dopo il golpe di luglio, raccontano fonti del progetto,
il presidente ha voluto un’accelerazione da record. Con un messaggio chiaro: la sua Turchia, nonostante tutto, non si ferma.
Una corsa contro il tempo i cui
effetti si vedono anche nei lavori,
che proseguono frenetici fino
all’ultimo,
come
verificato
dall’agenzia Ansa in una visita in
anteprima dentro la nuova galleria.
Per i primi 30-40 giorni, la notte
resterà chiusa proprio per completare i ritocchi finali e valutare l’impatto del traffico, spiegano gli ingegneri. Un progetto costato 1,245
miliardi di dollari e, come molti in
Turchia, realizzato con il modello
GIOVANNI MARIA VIAN
direttore responsabile
Giuseppe Fiorentino
vicedirettore
Piero Di Domenicantonio
Bot (Build-Operate-Transfer) da
un consorzio turco-sudcoreano.
L’opera, promette il ministro dei
trasporti, Ahmet Arslan, rivoluzionerà il traffico cittadino, riducendo
da circa un’ora e mezza a un quarto d’ora i tempi di percorrenza dal
Corno d’oro alla sponda asiatica.
Con una distanza totale di 14,6
chilometri, di cui 5,4 sottomarini a
una profondità massima di circa 25
metri, la galleria avrà due corsie
per ciascun senso di marcia e sarà
aperta solo ad auto e moto. Passaggio vietato invece a tir e autobus, sia per l’altezza ridotta del
tunnel che per il peso dei mezzi,
che potrebbe metterne a rischio la
stabilità. La struttura è stata progettata per resistere a un terremoto
di magnitudo fino a 7,5 gradi.
Nella galleria, in queste ore gli
operai continuano a sistemare i
muri ed effettuare collaudi. Vigili
del fuoco e ambulanze avranno
una stazione in prossimità degli
ingressi dai due lati della galleria,
mentre per le emergenze è stato
studiato un sistema di soccorso rapido in moto, per ovviare agli spazi stretti del tunnel.
Servizio vaticano: [email protected]
Servizio internazionale: [email protected]
Servizio culturale: [email protected]
Servizio religioso: [email protected]
caporedattore
Gaetano Vallini
segretario di redazione
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NEW DELHI, 19. Non si ferma la violenza nel Jammu e Kashmir, la regione himalayana contesa tra India e Pakistan. Tre soldati indiani sono stati
uccisi ed altri due sono rimasti feriti
in un attacco compiuto ieri da un
commando armato a Pampore, nel
distretto di Srinagar. Lo ha reso noto
l’emittente televisiva Ndtv.
Citando un comunicato dell’esercito, l’emittente ha precisato che i militanti sono entrati in azione lungo
l’autostrada nazionale Srinagar-Jammu, sparando ripetuti colpi di arma
da fuoco contro un autobus che faceva parte di un convoglio militare.
Una fonte militare ha, da parte sua,
precisato che le forze di sicurezza
hanno risposto al fuoco, ma non
hanno potuto sparare apertamente
perché il quartiere di Kadlabal, dove
è avvenuto l’attacco, era affollato di
civili. La situazione rimane molto tesa. Poche ore prima, il Pakistan aveva dichiarato che in un attacco proveniente dall’India e diretto contro
uno scuolabus nel distretto di Kotli
del Kashmir sotto controllo di Islamabad, almeno una persona è morta
e 10 bambini sono rimasti feriti.
Lo ha reso noto l’emittente DawnNews, che ha citato una fonte della
polizia di Kotli, secondo cui sul veicolo si trovavano una ventina di allievi di una scuola privata. Anche l’ufficio stampa dell’esercito pakistano ha
confermato l’incidente. Da molti mesi
la tensione è tornata alta lungo la “linea di controllo”, confine ufficioso
indo-pakistano in Kashmir, con un
bilancio di numerose vittime da entrambe le parti.
Soldati indiani nella capitale Srinagar (Ansa)
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Il nuovo
ambasciatore
di Corea
Sua Eccellenza il signor Jonghyu
Jeong, nuovo ambasciatore di
Corea presso la Santa Sede, è
nato il 26 novembre 1950, è sposato e ha tre figli.
È laureato in diritto presso la
Chonnam National University,
Gwangju, Corea (1976) e ha poi
conseguito un dottorato di ricerca in diritto presso la Kyoto
University, Giappone (1987). Ha
ricoperto, tra gli altri, i seguenti
incarichi: professore presso la facoltà di giurisprudenza, Chonnam National University, Corea
(1981); Humboldt Visiting Professor presso l’università di Monaco, Germania (1990); Visiting
Professor presso la Kyushu University, Giappone (1995); Visiting
Professor presso la Hitotsubashi
University, Giappone (1996);
Fulbright
Senior
Researcher
presso la Harvard Law School
Stati Uniti (1997); decano della
facoltà di giurisprudenza e scuola di specializzazione della pubblica amministrazione presso la
Chonnam National University,
Corea (2003); membro del comitato di bioetica presso la Conferenza dei vescovi cattolici di Corea (2005); presidente della Korean Association for Legal History (2006); presidente della Korean Civil Law Association
(2008); professore presso la Law
School, Chonnam National University, Corea (2009); inviato
speciale del presidente della Repubblica di Corea presso la Santa Sede (2010); Visiting Professor
presso la Keio University, Giappone (2011); cattedra presso la
Kkottongnae University, Cheongju, Corea (2016).
A Sua Eccellenza il signor
Jonghyu Jeong, nuovo ambasciatore di Corea presso la Santa Sede, nel momento in cui si accinge a ricoprire il suo alto incarico,
giungano le felicitazioni del nostro giornale.
Concessionaria di pubblicità
Aziende promotrici della diffusione
Il Sole 24 Ore S.p.A.
System Comunicazione Pubblicitaria
Ivan Ranza, direttore generale
Sede legale
Via Monte Rosa 91, 20149 Milano
telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214
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Società Cattolica di Assicurazione
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Poliziotto di pattuglia
nelle strade di Caracas (Afp)
I grandi elettori
al voto
per confermare
Trump
WASHINGTON, 19. Il collegio elettorale (l’insieme dei 538 grandi
elettori espressi da ciascuno dei 50
stati dell’unione in base alla popolazione) si riunisce oggi per
eleggere formalmente il 45º presidente degli Stati Uniti. E sarà il
repubblicano Donald Trump, che
ha ottenuto l’8 novembre scorso
306 grandi elettori contro i 232
della rivale democratica Hillary
Clinton. E ciò nonostante quest’ultima abbia ottenuto ben 2,8
milioni di voti popolari in più.
Il paradosso è tutto nel sistema
elettorale statunitense che non è
diretto (non vince chi prende più
voti a livello nazionale dell’altro)
ma indiretto e sulla base dei singoli stati (vince chi raggiunge
quota 270 grandi elettori sui 538
in palio) e quindi chi prende anche un solo voto in più nel singolo stato, conquistandone il più
possibile. Trump infatti ha vinto
stati elettoralmente più pesanti
(che attribuivano più grandi elettori) della rivale.
Oggi — tra le 9 e le 15 locali, in
base ai ben nove fusi orari che attraversano gli Stati Uniti, dalla
costa est sull’Atlantico, alle Hawaii nel mezzo del Pacifico — nelle capitali di ciascuno dei 50 stati,
più il distretto di Columbia dove
sorge la capitale Washington che
assegna solo tre voti, si riuniranno
i grandi elettori che procederanno
al voto. La loro designazione è
stata materialmente fissata dopo il
voto dell’8 novembre dai governatori dei singoli stati che hanno
preparato sette “certificati di accertamento” dell’esito del voto, il
documento ufficiale con i voti ottenuti da ogni singolo candidato.
Uno dei sette certificati è inviato a Washington agli uffici del
National Archives and Records
Administration. Gli altri sei saranno usati per le complesse e ridondanti procedure materiali di voto.
I grandi elettori sceglieranno
infatti con due schede separate il
presidente e il vicepresidente. I risultati saranno quindi trascritti sui
sei “certificati di voto” che andranno appaiati ai sei rimanenti
“certificati di accertamento” del
voto popolare dell’8 novembre.
Il 6 gennaio 2017 il Congresso
(senato e camera) si riunirà in sessione congiunta e si inizierà la
conta in ordine alfabetico (stato
per stato) dei voti espressi dai
grandi elettori. Il vicepresidente
uscente, Biden, in qualità di presidente del senato annuncerà formalmente l’esito del voto e dichiarerà eletto il presidente e il suo vice. A mezzogiorno del 20 gennaio
il presidente eletto giurerà sulla
Bibbia e nelle mani del presidente
della Corte suprema e automaticamente assumerà l’incarico.
Somalia
ancora
senza pace
MO GADISCIO, 19. Non conosce sosta in Somalia la violenza degli
jihadisti del gruppo terroristico
degli Al Shabaab, legati ad Al
Qaeda.
Una granata è stata lanciata ieri
contro un minibus civile nei pressi
di Qoryoley, nella regione Lower
Shebelle, nel sud del paese africano, uccidendo almeno sei persone.
Lo riferiscono i media locali, aggiungendo che la maggior parte
delle vittime erano contadini, alcuni parenti tra di loro. La zona è
sotto il controllo delle truppe somale e dell’Unione africana, ma i
militanti islamici degli Al Shabaab
spesso compiono attentati e attacchi suicidi. Una settimana fa, un
attacco contro il porto di Mogadiscio, aveva provocato ventinove
morti.
A colloquio con le due yazide vincitrici del premio Sacharov
Vittime
della violenza dell’Is
di FAUSTA SPERANZA
Proteste in Venezuela per il ritiro delle banconote
Trecento arresti
CARACAS, 19. Sono più di 300 le
persone arrestate in varie città del
Venezuela in seguito ai disordini
scatenati dalla decisione del governo
di ritirare le banconote da 100 bolivar, le più diffuse nel paese. Tra le
persone finite in carcere figurerebbero numerosi membri di partiti
d’opposizione. Le città maggiormente interessate dai disordini sono
Ciudad Bolivar, dove è stato vietato
l’uso di motociclette per 48 ore e
dove sono stati inviati 3200 poliziotti, il centro di El Callao dove sono
arrivati circa 800 agenti e soldati, e
la città di La Fria.
Dopo le manifestazioni il governo
venezuelano ha esteso fino al prossimo 2 gennaio l’uso della banconota
da 100 bolivar. Si tratta del taglio
più diffuso il cui ritiro, in assenza
dell’annunciato rimpiazzo con quel-
Alle presidenziali boliviane
Morales si ricandida
LA PAZ, 19. Il Movimento per il socialismo, il partito al potere in Bolivia
del presidente Evo Morales, al termine di un congresso tenuto ieri a
Montero, ha approvato all’unanimità la ricandidatura del capo dello stato. Cosa che Morales — primo presidente di origini indigene — ha già
annunciato che farà.
L’opposizione ha protestato, affermando che il referendum popolare
tenuto il 21 febbraio scorso aveva escluso (con il 51,3 per cento dei voti)
la possibilità di un quarto mandato consecutivo per Morales. Le presidenziali si terranno nel 2019.
Il presidente boliviano Evo Morales (Reuters)
Annuncio ufficiale del premier libico Al Sarraj
Sirte liberata
TRIPOLI, 19. Il governo di unità
nazionale libico del premier designato, Fayez Al Sarraj, ha annunciato ufficialmente la liberazione
completa di Sirte dal cosiddetto
stato islamico (Is) a otto mesi
dall’inizio dei combattimenti. Lo
ha dichiarato ieri alla televisione
pubblica il premier Al Sarraj dopo
che il 5 dicembre le forze misuratine, autrici del grosso delle operazioni, con il sostegno dei raid aerei
statunitensi avevano dato la stessa
notizia.
La scelta di tempo di Al Sarraj è
legata alla coincidenza con il primo anniversario dell’accordo di
Skirat, in Marocco, sotto l’egida
dell’Onu, che vide la nascita del
suo esecutivo che ha un controllo
limitato ad alcune aree del paese.
La Cirenaica a est, resta nelle
mani dell’uomo forte del parlamento di Tobruk, il generale Khalifa Haftar, che gode del sostegno
dell’Egitto, meno convinto della
Francia, e da alcune settimane di
quello quasi entusiasta della Russia che punta dopo Tartus in Siria
a ottenere una seconda base navale
nel Mediterraneo.
Sirte — città natale di Muammar
Gheddafi, dove venne ucciso il 20
ottobre 2011 — era diventata roccaforte dell’Is dopo la perdita di
Derna, il primo centro sulla costa
libica controllato dagli uomini del
sedicente califfo Abu Bakr Al Baghdadi.
Ma l’Is pur cacciata dalla sua
roccaforte Sirte continua a uccidere in Libia. Un attentatore suicida
del cosiddetto stato islamico si è
fatto saltare in aria ieri a Bengasi
uccidendo tre soldati e ferendone
nove. E intanto, il ministro algerino per gli affari maghrebini e africani, Abdelkader Messahel, ha ricevuto ieri ad Algeri il generale libico Khalifa Haftar, al quale ha ribadito la posizione dell’Algeria, favorevole a una soluzione politica
della caotica situazione che sta devastando la Libia. Lo scrive il sito
Africanews, che cita fonti locali.
L’Algeria confina con la Libia e
in passato ha ospitato gli incontri
di varie fazioni libiche avversarie.
Messahel ha ricordato al generale
Haftar gli sforzi fatti per «incoraggiare un accordo consensuale tra le
parti che porti a risolvere la crisi».
la da 500 bolivar, ha lasciato molti
venezuelani senza liquidità.
Maduro ha ritirato dalla circolazione la settimana scorsa il biglietto
da 100 bolivar, il taglio più grande
in circolazione equivalente a 0,15
dollari al tasso ufficiale più alto, per
colpire le «mafie» che, nelle zone di
frontiera, si sono accaparrate ingenti
quantità di queste banconote. Il governo ha poi concesso 72 ore di
tempo alla popolazione per restituire i biglietti nelle banche pubbliche
e private. Trascorso questo tempo
sono stati concessi altri 10 giorni,
successivamente ridotti a cinque,
per depositare le banconote al Banco Central de Venezuela.
Il ritiro non è stato però accompagnato dall’arrivo dei nuovi biglietti di maggiore taglio la cui introduzione era stata annunciata. Il
presidente Nicolás Maduro, in un
discorso tenuto all’emittente televisiva nazionale, ha denunciato il ritardo e ha attribuito a un «sabotaggio
internazionale» il mancato arrivo
dei quattro aerei che trasportavano i
nuovi biglietti. Il capo di stato non
ha specificato da quale paese fossero
partiti i velivoli che trasportavano
banconote di vario taglio, le maggiori da 20.000 bolivar. «Devo denunciare che siamo vittime di un sabotaggio internazionale per cui i
nuovi biglietti, che erano pronti,
non possono essere trasferiti in Venezuela», ha detto Maduro, annunciando che per qualche giorno i 100
bolivar saranno ancora legali, in attesa che vengano messe a punto «le
logistiche» per la distribuzione delle
nuove banconote. La mancanza di
moneta nell’imminenza delle festività natalizie ha aumentato la tensione tra la popolazione, già in grave
difficoltà per la scarsità di cibo e
medicine e per una svalutazione elevata. Il Venezuela ha il tasso di inflazione più alto del mondo. Maduro aveva dato l’annuncio sulla sostituzione dei 100 bolivar dopo che il
loro valore era sceso a meno di 2
centesimi di dollaro, dagli originali
10 all’inizio del 2016.
Nadia Murad Basse e Lamya Haji
Bashar appartengono alla comunità
degli yazidi, una minoranza religiosa, di etnia curda, con 4000 anni di
storia. Hanno ricevuto il premio
Sacharov per i difensori dei diritti
umani dal parlamento europeo, nei
giorni scorsi. Le abbiamo incontrate: hanno rispettivamente 23 e 18
anni e lo stesso desiderio sofferto,
ma intenso, di denunciare che «ancora tremila giovani yazide sono in
schiavitù». Dalla comunità internazionale si aspettano «la creazione
di zone protette per il mezzo milione di yazidi che altrimenti moriranno o si riverseranno in Europa» e il
giudizio della Corte penale internazionale sui «crimini contro l’umanità che l’Is commette».
Le due giovani vivevano a Kocho, un villaggio vicino alla città di
Sinjar, nel nord dell’Iraq, a poca
distanza dal confine siriano. Il 3
agosto 2014 miliziani dell’Is hanno
portato l’orrore: hanno ucciso gli
uomini, hanno catturato i bambini
e le donne, che hanno passato in
rassegna, «per poi uccidere quelle
che non avrebbero reso soldi al
mercato delle schiave del sesso».
La madre di Nadia è stata freddata da colpi di arma da fuoco davanti ai suoi occhi, insieme con altre 85 madri o sorelle maggiori. Lamya ha visto calpestare i cadaveri
di disabili e anziani ed è stata catturata con le sue sei sorelle, che ancora sono nelle mani dell’Is, «se
non si sono uccise».
Sia Nadia che Lamya raccontano
di tante ragazzine che «appena
possono si tolgono la vita», non so-
Cambi in Campidoglio
mentre le inchieste svelano altri reati
ROMA, 19. «È stata una settimana
difficile», tuttavia «il lavoro per la
città non si è fermato»: è quanto ha
affermato il sindaco di Roma Virginia Raggi in merito alle tensioni
provocate all’interno dell’amministrazione capitolina dall’arresto del
capo del personale Raffaele Marra.
Raggi ha pubblicato un messaggio
sul suo profilo facebook, nel quale
elenca le cose fatte, passando da alcuni aggiustamenti sui trasporti
pubblici, alle operazioni di pulizia
dei rifiuti, all’albero di Natale, alla
questione municipalizzate. Nelle ultime, complicate, riunioni interne al
Movimento 5 Stelle si è deciso di
continuare con l’attuale giunta ma
con alcune modifiche. Una riguarderà la carica di vicesindaco, dopo
le dimissioni di Daniele Frongia,
che ha mantenuto però le deleghe
allo sport. Si parla anche di un rimpasto di altri assessori.
Intanto sul fronte giudiziario, arrivano notizie di nuovi arresti
nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti per la manutenzione delle
scuole e delle strade della capitale.
A finire in manette sono stati dieci
imprenditori ma al momento risul-
tano indagate una trentina di persone, fra le quali cinque funzionari
comunali. Questi avrebbero favorito
l’aggiudicazione degli appalti agli
imprenditori arrestati, tutti di Artena, per i lavori da effettuare in alcuni edifici scolastici del Municipio
XIV e per la ristrutturazione di via
del Melone, nel I Municipio. Le
scuole interessate dai lavori erano la
Casal Sansoni, la Pietro Bembo, la
Montarsiccio e la Cerboni. Le indagini avrebbero accertato l’esistenza
di un accordo tra dirigenti capitolini e imprenditori per spartirsi parte
delle risorse pubbliche destinate ai
lavori. Gli imprenditori avrebbero
corrisposto ai funzionari un importo pari al 20 per cento delle somme
liquidate per interventi che, fra l’altro, non sono neanche mai stati eseguiti.
Per quanto riguarda via del Melone, nelle vicinanze di piazza Navona, i reati contestati sono falso e
turbativa d’asta. I lavori, inaugurati
nel 2015, sono stati di nuovo appaltati nel 2016, dopo uno stanziamento di 100.000 euro da parte del Comune. Il valore dell’intervento è invece risultato notevolmente minore.
stenendo tanto strazio. Le giovanissime in pubertà vengono «iniziate alla schiavitù con il rituale
dello stupro di gruppo». Rituali e
pratiche sono teorizzati in un agghiacciante manuale di 32 pagine,
scoperto in vari covi dell’Is e pubblicato nei mesi scorsi dai media.
Emerge una orrenda burocrazia
delle violenze, listini dei prezzi e
contratti d’acquisto delle schiave
registrati da giudici. Si legge di
«jihad sessuale» con le «femmine
bottino di guerra». Proprio così si
sono sentite appellare più volte le
due ragazze, che sono riuscite a
scappare in momenti diversi, dopo
essere state vendute più volte.
Nadia, dopo tre mesi, è stata
aiutata da una famiglia vicina a
un campo profughi. Non vuole
spiegare maggiori dettagli perché
ha paura per loro. Dal campo
profughi è giunta in Germania. Il
20 dicembre 2015 ha ripetuto al
Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite la sua storia.
A settembre di quest’anno la giovane yazida è stata nominata ambasciatrice dell’Onu in tema di tratta
di esseri umani. Confida che i riconoscimenti ricevuti le restituiscano
«quell’onore che l’Is voleva sopprimere», ma avverte: «Il radicalismo
e il terrorismo sono ovunque e si
deve fare di più». Quando le chiediamo se crede ancora nel bene dopo aver conosciuto tanto male, ci
risponde senza esitazione: «Più il
male mi toccava e più trovavo in
me la forza di Dio che mai mi ha
abbandonata, più trovavo il bene».
E aggiunge: «Hanno ucciso mia
madre, ma non hanno cancellato i
suoi insegnamenti ad amare e a
pregare».
Lamya è riuscita a fuggire dopo
otto mesi, al suo terzo tentativo,
dopo vessazioni e violenze ogni
volta peggiori. Ha oltrepassato la
zona controllata dall’Is con altre
due compagne, ma, a due passi da
lei, una delle due è saltata in aria
su una mina disseminata dai miliziani. È sopravvissuta solo Lamya,
che ha perso l’uso di un occhio ed
è rimasta gravemente ferita nel volto, su cui porta i segni dell’esplosione, ma soffre ancora dello choc
per la morte atroce delle amiche,
delle torture cui è stata sottoposta.
Per lei è difficile anche abbozzare
un sorriso. Ripete, con pacatezza
ma con fermezza, che «esseri umani
non possono essere ridotti a merci». Con voce tremolante, aggiunge: «Non ho mai visto un barlume
di pietà in nessuno dei tanti uomini
che mi hanno violata o costretta a
confezionare cinture esplosive». E
aggiunge: «L’Is non è l’islam:
l’islam è un’altra cosa».
Nadia ci lascia con una raccomandazione. Chiede di «spiegare
bene al mondo» che «oggi si devono fronteggiare due grandissimi rischi: il pericolo del radicalismo e
del terrorismo ma anche il pericolo
di risposte sbagliate in cui cresce lo
spazio per qualche forma di razzismo». Il suo appello è chiarissimo:
«Bisogna prevenire ogni forma di
radicalismo e razzismo, sempre più
pericolosi ovunque».
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
lunedì-martedì 19-20 dicembre 2016
Riapre il Braccio nuovo dei Musei vaticani
Una veduta del Braccio
nuovo dei Musei vaticani
Nove anni
d’innamoramento
di ANTONIO PAOLUCCI
a vita di un direttore di museo è
fatta di risultati. La formazione e
l’etica dello storico dell’arte al servizio del patrimonio conducono alla concreta traduzione dei saperi
scientifici e tecnici in cose fatte, in interventi
conclusi. Per chi come me ha trascorso poco
meno di mezzo secolo di vita professionale
nelle soprintendenze, nei musei, nei laboratori di restauro d’Italia, la carriera si misura sulle cose fatte. Sono contento di accorgermi
che i miei ultimi nove anni come direttore dei
Musei vaticani hanno prodotto più di un risultato: dal restauro della cappella Paolina a
quello della galleria delle Carte geografiche,
alla messa in opera dei nuovi impianti di climatizzazione, ricambio d’aria, abbattimento
degli inquinanti e di illuminazione nella cappella Sistina.
Un risultato di cui sono particolarmente
orgoglioso è questo che inauguro al termine
del mio mandato vaticano. Sono grato ai colleghi — a Micol Forti in particolare, che ha
diretto il cantiere architettonico ma anche, insieme a lei, a Giandomenico Spinola, a Claudia Valeri, a Eleonora Ferrazza, per la direzione del lungo restauro dell’intera collezione
di sculture — che hanno voluto accelerare la
velocità di esecuzione dei lavori così da consegnarmelo quasi nei tempi supplementari.
Lo considero una specie di premio al mio novennale servizio vaticano, oltre che un segno
di amicizia e di stima che mi ha fatto felice.
Sto parlando della inaugurazione del Braccio nuovo nei Musei vaticani il 21 dicembre
dopo un intervento plurale, delicato e complesso come pochi altri, durato complessivamente sette anni: circa centoquaranta sculture
di medie e grandi dimensioni movimentate,
pulite, restaurate, parecchie centinaia di metri
quadrati di superfici dipinte e di stucchi restituite alla cromia originaria. Per non dire degli
interventi sui mosaici pavimentali, a cura del
Laboratorio restauro mosaici coordinato da
Roberto Cassio. Per non dire dell’importante
lavoro di revisione delle coperture, sistemazione dei lucernari, rinnovamento degli impianti elettrici realizzato dai colleghi dei Servizi tecnici del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano guidati dall’amico don
Rafael García de la Serrana Villalobos.
Io sono sempre stato affascinato dal Braccio nuovo e chi avrà voglia di leggere il saggio da me scritto alcuni anni or sono [Roma.
Musei Vaticani, Istituto della Enciclopedia
Italiana, 2010, pp. 30-33, 279-300, da cui pubblichiamo uno stralcio in questa pagina] capirà le ragioni del mio innamoramento.
Per questo desidero ringraziare in modo
non formale gli operatori che hanno reso possibile la bella e degna impresa. Mi sia consentito, a questo proposito, di ricordare con
L
Regalo al futuro
di SILVIA GUIDI
a cosa di cui va più fiero è
quella meno visibile di tutte,
ma la più utile alle generazioni future, «perché i musei
— sottolinea Antonio Paolucci con un sorriso — appartengono soprattutto a chi non è ancora nato. «La
cosa che mi dà più soddisfazione —
sottolinea il direttore dei Musei vaticani giunto al termine del suo incarico —
è aver portato la cultura e la pratica
della conservazione preventiva e della
manutenzione ordinaria. Spero che il
prestigio universale di questo luogo lo
renda un modello da imitare anche per
tante altre realtà italiane e straniere».
Non è facile né scontato dedicare energie e risorse a progetti che hanno il minimo tasso di visibilità ma il massimo
tasso di efficacia e di utilità per le generazioni che verranno. Di questa lungimiranza avrebbero bisogno molte
delle più grandi e belle città italiane,
spesso in balia della moda dell’“eventismo” fine a se stesso. La parola gratitudine è il leitmotiv di questi giorni di fine mandato; per il realizzarsi di un
progetto molto amato e lungamente
studiato e preparato, come quello del
Braccio nuovo dei Vaticani, ma anche
per gli anni della formazione, nella Firenze di Longhi, Contini e Garin, e il
L
museo del Bargello «la mia prima sede
di lavoro, un concentrato di rarità e varietà nello sfaccettato universo delle arti: coralli, smalti, sculture, pitture. Un
luogo magico, come anche del resto
l’Opificio per le pietre dure, dove si
possono toccare con mano i Cimabue, i
Giotto, i Coppo di Marcovaldo». In
prospettiva, la gratitudine mette in ombra anche le difficoltà, i problemi e i
rallentamenti burocratici attraversati:
«Tra i progetti più lunghi e faticosi realizzati ci sono i Nuovi Uffizi, di cui si
era iniziato a parlare già dal dopoguerra, dagli anni quaranta, quando per la
prima volta Ragghianti propose l’idea.
Ma fatica non è l’aggettivo giusto perché francamente — continua Paolucci —
mi manca l’esperienza del lavoro come
fatica». Eppure qualche processo difficile da innescare c’è stato; sarebbe bello, continua Paolucci, valorizzare tutto,
far capire a chi varca la soglia dei Musei vaticani che non c’è solo la cappella
Sistina, che «camminando per le sale si
capisce che cos’è l’umana artisticità, dagli aborigeni agli etruschi fino ad arrivare a Pinturicchio». Sarebbe bello ma
non è facile, perché «l’industria turistica è brutale, ha leggi spietate e indefettibili. Come il Louvre siamo un totem
dell’immaginario turistico universale».
I tanti incarichi in curriculum, i tanti
ricordi tratteggiano una mappa ideale:
oltre a Rimini e Firenze c’è anche Urbino «città che amo anche per storia
familiare, una città mirabile, in forma
di palazzo, come scriveva Baltasar Castiglione, dove il palazzo dilaga fino a
dare identità a tutto il resto, nucleo
germinale della bellezza artistica italiana». Quella bellezza misteriosa e terapeutica che «ci rende felici, grati di esistere, riconoscenti a Dio e al destino di
avere occhi per guardare, una mente
per ricordare, un cuore per emozionarsi». La celebre frase di Dostoevskij che
lega l’esperienza estetica alla salvezza,
però, preferisce citarla alla rovescia; è il
mondo che deve salvarla, per il suo bene. Si salva solo quello che si ama, e si
ama solo quello che si conosce. «Longhi — conclude Paolucci — mi ha insegnato sostanzialmente due cose, la conoscenza tecnica dell’opera d’arte, nella
sua specificità fisica e con la sua particolare storia collezionistica, e la capacità di avvertire il quid poetico che c’è
nell’opera d’arte figurativa per tradurlo
con le parole, con la mimesi verbale. E
poi mi ha insegnato la spregiudicatezza, la libertà di giudizio. Mi ha contagiato con la sua sana, perenne insoddisfazione, con il suo non accontentarsi
mai di schemi già formati e scambiati
per assiomi immutabili. Servono occhi
nuovi, e vedere un maestro all’opera è
il modo migliore per impararlo».
«Allegoria del fiume Nilo» (particolare)
Armonie in grigio e avorio
Le operazioni di restauro durante l’allestimento del Braccio nuovo dei Musei
gratitudine ed affetto la giovane e bravissima
restauratrice della Cbc Elisa Bianchi di Castelbianco, prematuramente scomparsa. Anch’io desidero unirmi al dolore di tutti quelli
che a Elisa hanno voluto bene.
Vorrei poter nominare tutti, a uno a uno, i
tanti giovani operatori (cinquanta tra dipendenti o collaboratori delle varie ditte) che per
tanti anni hanno lavorato al Braccio nuovo.
Li ricordo sui ponteggi o intorno alle sculture
da pulire, da restaurare, da movimentare, nel
freddo umido dell’inverno, nel caldo torrido
delle estati romane. Ne ho ammirato l’entusiasmo, la sapienza professionale, la impeccabile disciplina di impresa. Io, che considero il
periodo più bello della mia vita di soprintendente i due anni passati a dirigere l’O pificio
delle pietre dure e i laboratori di restauro di
Firenze, ritengo una vera fortuna aver conosciuto restauratori di così alta qualità professionale e umana. A tutti loro va la mia viva
ammirata gratitudine.
on l’addizione architettonica conosciuta come Braccio nuovo la
museografia moderna entra in
Vaticano e ci entra con un capolavoro assoluto. Perché il Braccio nuovo è
l’idea stessa di museo agli albori della modernità. Così come lo sono, per altre epoche della storia, la Tribuna degli Uffizi e
la Galleria Borghese. «Nobile semplicità e
pacata grandiosità» aveva detto Winckelmann dell’arte greca e il Braccio nuovo è
“greco” nel suo chiaro ordine, nella sua
armonia esatta e melodiosa.
Allo stesso modo il Braccio nuovo è
“moderno” per la progettazione architettonica d’avanguardia, per i dodici lucernari
che fanno cadere luce zenitale sui mosaici
del pavimento e leggermente obliqua sulle
sculture così da evitare effetti di ombre
portate. Ed è “moderno” per i criteri
espositivi fondati (ancora Winckelmann)
sulla «storia dimostrativa delle arti». Il
C
Museo dunque come manuale di sapienza
e di bellezza, da abitare con piacere, da
percorrere con curiosità e con gioia, soffermandosi di fronte a questa o a quella
scultura, tornando indietro, passeggiando
con agio e in tranquillità di fronte agli
eroi del mito, agli dei e agli imperatori.
Una delle esperienze più gradevoli che
il visitatore colto può concedersi è la sosta
nel Braccio nuovo, di solito poco frequentato e di norma bypassato dai flussi turistici che puntano sulla Sistina. Capirà,
nella luce argentea che spiove dai lucernai, sostando sui mosaici romani che parlano delle avventure di Ulisse, soffermandosi di fronte alla statua colossale del Nilo o all’Augusto di Prima Porta, che il
Braccio nuovo è l’ultimo organico omaggio che la nostra civiltà ha saputo tributare all’Antico. Dopo nessuno saprà più farlo con altrettanta sensibilità e intelligenza.
Dopo prevarranno la retorica o il filologismo. Dentro il Braccio nuovo, nella luce
“greca” di Antonio Canova, noi sentiamo
che la bellezza della classicità ci è vicina e
fraterna. Ci pervade e ci consola.
Per intendere il clima culturale e politico che portò alla nascita di questa mirabile addizione inaugurata il 10 febbraio del
1822, l’anno stesso della morte di Canova,
bisogna risalire al 1816.
L’idea di costruire una nuova galleria
nel braccio breve del Cortile della Pigna
che guarda il nicchione di Pirro Ligorio è
di Pio VII Chiaramonti. Fra il chirografo
del 1802 e l’editto del cardinale Pacca (7
aprile 1820) che disciplinava con criteri
già moderni il governo delle arti nelle città e nello Stato, si dispiega con energia,
con metodo e lucida preveggenza, la politica culturale di quel grande Pontefice.
Passata la tempesta napoleonica, rientrata
a Roma la parte più significativa dei tesori
requisiti dai commissari francesi, ora occorreva riorganizzare il sistema museale
vaticano, arricchirlo di nuove acquisizioni,
qualificarlo e modernizzarlo. È significativo che proprio in quell’anno 1816, quando
il Papa decideva di trasformare in spazio
espositivo il deposito degli agrumi e degli
attrezzi agricoli che stava sul lato breve
del Cortile della Pigna, venisse promulgato il primo regolamento dei Musei e Gallerie pontificie. Con orari di apertura al
pubblico, modalità di accesso, mansionario per il servizio di custodia, disciplina
delle riproduzioni.
Era architetto dei Sacri Palazzi Raffaele
Stern, ispettore generale dei Musei Antonio Canova, nonché presidente di una
commissione di consulenti, per gli acquisti
e per l’allestimento, che comprendeva Bertel Thorvaldsen, Antonio d’Este, Carlo
Fea, Filippo Aurelio Visconti. Praticamente
il meglio della intelligenza italiana ed europea nei settori dell’arte e della archeologia.
Raffaele Stern era un professionista di
cultura e di formazione internazionali.
Probabilmente ebbe modo di conoscere
Leo von Klenze, l’architetto tedesco che
proprio nel 1816 iniziava a costruire, per le
collezioni di Luigi di Baviera, la Gliptoteca di Monaco. La Gliptoteca e il Braccio
nuovo sono contemporanei, si assomigliano, sono il frutto di una stessa cultura europea che cercava di coniugare bellezza e
funzione, ordine classico e moderna sensibilità estetica. Raffaele Stern moriva per
un incidente il 30 dicembre 1820, ma i lavori edilizi continuarono e si conclusero
senza modifiche. Possiamo capire e facilmente condividere lo stupore e l’ammira-
zione dei presenti alla inaugurazione del
febbraio 1822. Non si era mai visto nulla
di simile prima di allora. Mai il patrimonio scultoreo antico era stato presentato
con tanta nobile eleganza e, al tempo stesso, con tanta efficacia didattica. I principi
estetici teorizzati da Winckelmann e interpretati e messi in figura da Canova avevano qui la loro applicazione perfetta.
Il Braccio nuovo è una Galleria voltata
a botte e illuminata dall’alto dai lucernari.
Ventotto nicchie con statue a figura intera
sono distribuite lungo le pareti, alternate a
settantaquattro busti collocati su rocchi e
su colonne di granito oppure esposti su
mensole. Al termine del percorso, isolato
al centro, c’è il busto di Pio VII, capolavoro di Antonio Canova, l’omaggio dello
scultore all’uomo che lo aveva paragonato
a Raffaello. Con ciò consapevolmente replicando, nell’incarico giustificato dalla
comparazione, il breve del suo predecessore di tre secoli prima, Leone X Medici.
Al fine di evitare un possibile effetto di
monotonia la galleria si interrompe al centro con una esedra e con una scala aperta
sul Cortile della Pigna. Un fregio continuo in stucco con scene bacchiche, centauromachie, trionfi e sacrifici romani,
pezzi tratti dalla Colonna Traiana o
dall’Arco di Tito, episodi dell’Iliade e
dell’Odissea, percorre la parte alta delle
pareti. Ne fu autore Francesco Massimiliano Laboureur, che riuscì a bilanciare in
questa occasione l’idealismo antiquario di
Bertel Thorvaldsen con i teneri sensi della
natura canoviana. L’effetto cromatico d’insieme è il bianco avorio declinato in grigio. Pochi, e scelti con raffinato discernimento, sono i marmi colorati distribuiti
nell’allestimento. (antonio paolucci)
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 19-20 dicembre 2016
pagina 5
Un impiegato
negli anni trenta
«Internet non è la risposta» di Andrew Keen
Il nuovo potere digitale
ce di provocare una maggiore apertura e la distruzione delle gerarchie, una società di rete non regolamentata sta aggravando la disuguaglianza econodavvero internet uno strumento capace mica e culturale, e portando alla creazione di una
di democratizzare gli aspetti positivi generazione digitale di padroni del mondo. Questo
della realtà e disgregare quelli negativi, nuovo potere insomma si traduce in enorme riccreando così un mondo più aperto e chezza e potenza per una piccola manciata di
paritario? Questa è solo una delle do- aziende e privati». Basti pensare che più della memande che si pone Andrew Keen, autore del libro tà di quello che viene speso online va a finire nelle
Internet non è la risposta (Milano, Egea, 2015, pagi- casse di due sole aziende, Amazon e Google.
Un altro ritornello della narrazione dominante
ne 248, euro 22). Secondo Keen, internet a partire
dal 1993 — ovvero da quel web inventato da Tim che Keen intende sfatare è l’ineluttabilità di ciò
Berners-Lee che insieme al primo browser grafico, che Joseph Schumpeter chiama «distruzione creativa», che è un’altra parola per
dire «danno collaterale» inflitto
dal processo di disruption (rottura) tipico delle aziende della new
technology. In poche parole: per
creare un nuovo modo di produzione bisogna prima distruggere il vecchio.
Bisogna però guardare alle dimensioni di quanto viene distrutto, rispetto a quanto di
nuovo viene creato.
Molti critici ne parlano ma
Keen è andato a vedere di persona quello che disruption tecnologica realmente significa. L’autore infatti va a Rochester, New
York, la città che un tempo era
il centro produttivo della Eastman Kodak, il gigante di fatto
cancellato dall’avvento della fotografia digitale. Kodak impiegava 145.000 persone in tutto il
mondo. Oggi Rochester non è
solo una città fantasma in stile
Detroit, ma vi sono 55.000 ex
L’inventore di internet Tim Berners-Lee su un francobollo delle Isole Marshall
dipendenti le cui pensioni sono
svanite nella bancarotta.
Per fare un rapporto con uno
Mosaic, ha permesso la navigabilità nella rete — si dei giganti della rete, il numero di impiegati di
è evoluto invece in una macchina globale per la Twitter nel mondo è di appena 3800 persone.
creazione di un mondo caratterizzato da vasta e
L’autore mette sotto la lente di ingrandimento
crescente disuguaglianza.
anche quelle che appaiono le verità più solide sulla
«L’errore che fanno i cosiddetti web-entusiasti — rete, ad esempio quella di essere un circuito che
scrive — è quello di supporre che la tecnologia de- genera emozioni concrete e positive. Agli occhi
centralizzata di internet si traduca naturalmente in dell’autore internet appare piuttosto un circuito
una società meno gerarchica o disuguale. Ma inve- perfetto per la moltiplicazione di feedback negativi.
di CRISTIAN MARTINI GRIMALDI
È
Nel libro Keen cita uno studio del 2013 condotto dalla Beihang University di Pechino, secondo
cui l’emozione che si diffonde più rapidamente sui
social media è infatti la rabbia, mentre la gioia arriva seconda a molta distanza. Questo sentimento
prevale a prescindere dall’area geografica nella
quale ci troviamo.
Secondo lo psicologo Ryan Martin dell’Università del Wisconsin, la rabbia è un sentimento virale
online perché la sua condivisione con estranei ci fa
sentire meno il peso della nostra (ma lo sapevano
già i latini: commune naufragium omnibus solacium,
“un naufragio collettivo è un sollievo per tutti”).
La gioia invece la preferiamo condividere con amici (reali) e familiari.
In passato Kodak impiegava
145.000 persone
Oggi la sede di Rochester non è solo
una città fantasma ma
vi sono 55.000 ex dipendenti
le cui pensioni
sono svanite nella bancarotta
Ma anche sul fronte “pari-opportunità”, sempre
secondo l’autore, internet non promette nulla di
buono.
L’autore cita la scrittrice femminista e giornalista
Amanda Hess, secondo la quale le donne non sono benvenute in rete. Lo dimostrerebbero i tantissimi casi di commenti maschilisti verso donne al
centro dell’interesse mediatico. Quando la politica
attivista Caroline Criado-Perez fece una petizione
alla Banca d’Inghilterra per aggiungere Jane Austen sulla faccia delle banconote, ricevette una valanga di minacce di morte e di violenza fisica su
Twitter. In Italia diverse donne politiche sono state
vittime dello stesso tipo di aggressione verbale.
Numerosi sono i casi di blogger donne che hanno
chiuso i propri spazi di pensiero per via dei numerosi commenti offensivi della loro dignità.
Da questa critica a 360 gradi della rete, non
sfugge neppure l’enciclopedia più famosa del mondo. E qui l’autore prende in prestito il pensiero di
Tom Simonite che in un articolo intitolato «Il declino di Wikipedia» ricorda che su questo grande
dizionario globale ci sono troppe voci su videogames e pornostar femminili, mentre la copertura di
scrittrici donne o di località nell’Africa sub-sahariana resta solamente abbozzata. La ragione di questa
“stortura” è nota, scrive l’autore. Wikipedia viene
curata da un grande collettivo composto per il 90
per cento da maschi, che opera sotto una ferrea
burocrazia, in un clima che scoraggia l’accesso di
nuovi operatori, accesso che invece potrebbe aumentare la partecipazione e dunque ampliare la copertura delle voci presenti. Resta dunque il fatto,
conclude Simonite, che quello che si ottiene in
Wikipedia è il mondo come viene osservato da un
giovane maschio occidentale bianco.
Insomma lungi dall’essere la risposta ai problemi della società, Keen individua nella rete la radice
di molti di questi problemi, il maggiore dei quali
resta certamente quel processo di distruzione creatrice che, se da una parte ha offerto la possibilità
ai più talentuosi e creativi giovani di tutto il mondo di accumulare enormi ricchezze e rendere più
agili molte operazioni quotidiane un tempo tediose, se non del tutto impossibili, dall’altra ha affondato un bel pezzo di classe media.
Secondo Keen per le democrazie si pone oggi
una questione fondamentale: possono i governi
eletti controllare quei movimenti di distruzione
creatrice che la rivoluzione digitale ha moltiplicato
o possono solo restare a guardare come spettatori
inermi? Su questo per ora non c’è davvero risposta.
Sulla rivalutazione dell’opera di Clemente Rebora
Come il poeta tornò dall’esilio
«Voce» di Prezzolini e
dalla pubblicazione dei
Frammenti lirici (1913) e
Canti
anonimi
dei
(1922).
Ma erano perlopiù
apprezzamenti retroattivi, innescati dal recupero della prima stagione,
quella del cosiddetto
Rebora vociano, interprete di un «violento
espressionismo
stilistico» (Contini): recupero
propiziato da una ristampa a cura di Piero
Rebora, che del fratello
aveva raccolto per Vallecchi tutte le Poesie
scritte dal 1913 al 1947.
Rebora con i giovani del Circolo Santa Croce
Di riesami più approsul Sacro Monte Calvario di Domodossola (1932)
fonditi ed equilibrati si
resero comunque promotori i primi biografi,
fra cui suor Margherita Marchione e in sedi MARCO BECK
guito don Umberto Muratore. Ma si sael 1991 Giovanni Raboni inter- rebbe dovuto attendere sino alla fine del
venne a un convegno indetto a secolo perché un ineguagliabile analista
Rovereto per conferire il giusto delle rifrazioni tra fede e letteratura, il gerisalto alla figura ancora evane- suita Ferdinando Castelli, dimostrasse, in
scente di Clemente Rebora (1885-1957). Da Volti di Gesù nella letteratura moderna
tempo estimatore dell’intellettuale lombar- (1995), che «l’opera reboriana è un itinerado ordinato sacerdote rosminiano nel 1936, rium mentis in Deum per la cui piena intelRaboni denunciò le cause — inerzia, con- ligenza è necessario oltrepassare i comuni
formismo, «viltà culturale» — che conti- canoni della critica letteraria per approdanuavano a relegare la voce di Rebora in re a quel livello di partecipazione che è
un limbo remoto dal panorama letterario comunione di anime»: l’esito che aveva
presagito Raboni, convinto che l’attualità
del Novecento.
Non che fossero mancati all’indomani di Rebora continuasse «ad essere, in gran
della morte, contigua alla seconda fioritu- parte, un’attualità futura».
ra della sua poesia — emersa per iniziativa
Oggi il poeta-sacerdote è definitivamendell’editore Vanni Scheiwiller con il Curri- te tornato dall’esilio. Non è più, diversaculum vitae del 1955 e con i Canti dell’infer- mente da altri scrittori della generazione
mità del 1957 —, riconoscimenti più gene- vociana, un «maestro in ombra», come lo
rosi rispetto alla ricezione in chiaroscuro raffigurò Pasolini; il quale ebbe anche il
cui era andata incontro la produzione gio- merito di percepire, fin dal 1956, che la
vanile segnata dalla collaborazione con la tarda poesia reboriana scritta «per intimo
N
impulso religioso» presentava una spiccata
somiglianza con la temperie degli antichi
Canti anonimi. Affinità peraltro non sufficiente a porre sullo stesso piano qualitativo la tensione laica verso una verità di ordine trascendente, propria del giovane Rebora intriso di idealismo mazziniano, e il
misticismo che costituisce, non senza ingenue derive devozionali, la cifra del Rebora
anziano, radicalmente immerso nell’amorosa contemplazione del sacrificio di Cristo e destinato a riviverlo nello sfacelo
della sua stessa carne. Insomma, «il poeta
della ricerca è più autentico del poeta del
possesso» (Castelli). Anche se folgorazioni
come «tutto va senza pensiero: / l’abisso
invoca l’abisso», o — tra Teresa d’Ávila e
Rosmini — «a non poter morire intanto
muoio», trasfondono la stessa inquietudine agostiniana dei Frammenti, la stessa
«imminenza di attesa» che in orizzontale
irrorava Dall’imagine tesa, l’ultima, stupenda poesia dei Canti anonimi: «Ma deve venire, / verrà, se resisto / a sbocciare non
visto, / verrà d’improvviso, / quando meno l’avverto».
Maestro ormai in luce, dunque. A testimoniarlo, una serrata sequenza di convegni (da Assisi 1996 a Firenze-Panzano
2010) a cui si è aggiunta una messe di
pubblicazioni postume. Per la riscoperta
anche mediatica di Rebora è stato però il
2015 l’annus mirabilis. Nel numero di settembre-dicembre della rivista «Aevum»
Roberto Cicala e Valerio Rossi, sulla base
di un foglietto autografo rinvenuto nell’archivio reboriano e datato 1930, hanno proposto una soluzione al problema dell’identificazione sia dell’«imagine tesa», icona,
nell’omonimo “canto”, di un’attesa indefinita, sia dell’oggetto di tale aspettativa: la
pianista russa Lydia Natus o il Dulcis Hospes Animae? Se Rebora stesso attesta che
un gioco di luce nella sua casa di via Tadino generava su una tendina una sorta di
«ostia candida aureolata di quattro raggi,
a guisa di croce» (ecco l’immagine), la
persona attesa può ben essere — secondo
un’ambivalenza mondano-spirituale ricorrente nella poetica «di sterco e di fiori»
dei Canti anonimi — nella contingenza la
donna amata, in una premonizione metafisica «il folle Amatore».
Poi l’uscita nei «Meridiani» di Mondadori, che si deve alla sapienza di Adele
Dei, coadiuvata da Paolo Maccari. Nel panoramico saggio introduttivo la curatrice
tende a privilegiare i componimenti anteriori alla conversione. Ma riconduce la sua
valutazione entro un alveo squisitamente
letterario, ricusando ogni netta cesura fra il
primo e il secondo Rebora, e anzi delineando una continuità nella discontinuità.
Quella del maturo sacerdote è «una voce
nuova e sorprendente, eppure del tutto riconoscibile, che sembra ripercorrere i temi
e le forme degli antichi testi, cambiati però
di segno, sradicati dal contesto originario e
posti al servizio di un’urgenza totalizzante». Tra le frecce di cui è ricca la faretra
reboriana di Dei spicca la Cronologia, intessuta di documenti e testimonianze, romanzeschi referti di una vita tanto dinamica in
gioventù quanto statica in vecchiaia, a motivo della “crocifissione” al letto della sofferenza. Accende poi la curiosità dei lettori
la rivelazione del talento di Rebora come
saggista (su un inedito Leopardi musicologo
o Sibilla Aleramo) e come traduttore dal
russo (Tolstoj o Gogol). Dispiace solo che
manchi una consistente campionatura della
sua corrispondenza. Perché gli scarni brani
di lettere citati nel corredo critico mostrano come soprattutto in sede di comunicazione epistolare il poeta interagisse con il
prosatore.
Le terre promesse del letterato
Cesare Angelini (1886-1976)
Si inaugura mercoledì 21 la mostra documentaria,
organizzata dall’università di Pavia, su «Le terre
promesse di Cesare Angelini». Allestita in
occasione del quarantesimo anniversario della
morte del prete letterato, l’esposizione (fino al 20
gennaio), a cura di Gianfranco Lavezzi, si tiene nel
Salone teresiano della biblioteca universitaria. Nato
il 2 agosto 1886 ad Albuzzano, Angelini studiò
presso il seminario diocesano di Pavia e venne poi
ordinato sacerdote. In seguito venne chiamato a
insegnare lettere presso il seminario di Cesena dove
conobbe lo scrittore e critico letterario Renato
Serra: tale incontro segnò la sua carriera di
letterato. Tra le sue opere spiccano Manzoni (1942),
Carlo Dossi e la scapigliatura milanese (1970), La
vita di Gesù narrata da sua madre (1976). Dal 1939
al 1961 fu rettore dell’Almo Collegio Borromeo di
Pavia.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
La Chiesa contro la discriminazione di casta
Accanto ai dalit ogni giorno
NEW DELHI, 19. La Conferenza
episcopale indiana ha approvato,
nei giorni scorsi, un piano di politiche per migliorare le condizioni dei dalit all’interno della Chiesa cattolica in India. Si tratta di
un lungo documento, frutto del
lavoro a livello diocesano e locale
di numerosi sacerdoti, laici, uomini e donne “di buona volontà”
che hanno l’obiettivo comune di
scardinare in via definitiva la tradizionale discriminazione di casta
contro i dalit (“intoccabili”) in vigore da secoli. Il tema tocca in
profondità la Chiesa locale, composta in maggioranza proprio da
dalit: su un totale di diciannove
milioni — secondo dati pubblicati
da AsiaNews — circa dodici milioni di cattolici sono “intoccabili”.
Il punto di partenza — scrivono i vescovi in un documento —
«è affermare che la parola dalit
non indica una connotazione negativa o un’identità di casta.
Piuttosto, dobbiamo ripristinare
un’identità affermativa, umanizzante e dotata di potere, che pone una domanda alla nostra fede». I cristiani dalit, continuano i
presuli indiani, «mantengono vi-
va la visione del Regno di Dio,
di giustizia e di amore. Essi con
coraggio invitano la Chiesa a
porre giustizia e amore — valori
fondamentali della Bibbia — al
centro della sua missione».
Il documento è stato presentato nel corso di un evento, considerato storico dai presuli, che si è
svolto nella sede della Conferenza episcopale e al quale hanno
preso parte il cardinale Baselios
Cleemis Thottunkal, arcivescovo
maggiore di Trivandrum dei SiroMalankaresi e presidente della
Catholic Bishops’ Conference of
India (Cbci) e di Arun Jaitley,
ministro delle finanze. «L’india —
ha detto il cardinale Thottunkal
— è la culla di molte civiltà e religioni. Grandi saggi hanno immaginato una comune famiglia umana e riconosciuto il raggio del
Divino in ogni essere umano.
Sfortunatamente nella società indiana ci sono ancora delle macchie, come il sistema delle caste e
degli intoccabili». In un contesto
di «trasformazione statale e di
giustizia di transizione», i vescovi
ritengono sia un «imperativo etico concepire un piano d’azione
ispirato a una visione di costru-
Seicento pellegrini ortodossi russi a Bari per san Nicola
Emblema
di unità fra i popoli
BARI, 19. Gli ortodossi che seguono il
calendario giuliano celebrano la festa
di san Nicola di Bari, vescovo di Mira,
oggi, cioè tredici giorni dopo i cattolici, che hanno onorato la memoria del
santo il 6 dicembre. Per l’occasione sono venuti nel capoluogo pugliese, con
voli charter da Mosca, circa seicento
pellegrini russi. A guidare l’imponente
delegazione di fedeli sono cinque alti
rappresentanti del patriarcato: il metropolita di Ufa e Sterlitamak, Nikon, il
metropolita di Kazan’ e Tatarstan, Feofan, il vescovo di Anadyr e Chukotka,
Matfej, il vescovo di Neftekamsk e Birsk, Amvrosij, e il vescovo di Salavat e
Kumertau, Nikolaj. Ne dà notizia, fra
gli altri, il Centro economia e sviluppo
italo-russo: «Bari accoglie sempre con
stupore e meraviglia questo cammino
spirituale dei cristiani ortodossi. San
Nicola — si legge in una nota — è davvero un emblema di unità tra i popoli
e di speranza per una pace senza confini».
I pellegrini, da alcuni giorni, stanno
partecipando alle funzioni religiose nella cripta della basilica che si susseguono una dopo l’altra. Ieri sera si è svolta
una veglia di preghiera nella chiesa
russa mentre questa mattina ha avuto
luogo, in San Nicola, la liturgia principale, con la partecipazione dei metropoliti e dei vescovi ortodossi e di migliaia di pellegrini giunti anche da altre
regioni italiane e dall’estero. «Siamo
stati pronti come ogni anno — ha detto
il rettore della chiesa russa di Bari, padre Andrey Boytsov — ad accogliere i
tanti fedeli ortodossi arrivati per venerare san Nicola e per aprire il loro cuore alla città che noi consideriamo benedetta perché custode delle spoglie del
nostro santo più amato».
Da quando in Russia sono state
aperte le frontiere a seguito della fine
del regime comunista, i pellegrini ortodossi che vengono a Bari a maggio
(per la festa della Traslazione) e a dicembre, sono aumentati in maniera
esponenziale. Non solo russi, ma anche
ucraini, armeni, romeni, serbi, provenienti da tutti i Paesi orientali e dal
nord Europa. Avanzano lentamente, in
silenzio, per sostare pochi secondi davanti alla tomba del santo, posare oggetti che una volta tornati in patria doneranno ai loro cari, deporre le preghiere con i nomi e le intenzioni di familiari e amici che non possono essere
presenti.
zione del regno di Dio». L’urgenza deriva dalle attuali molteplici
forme di discriminazione che i
dalit soffrono in India, e in particolare i dalit cristiani. Monsignor
Anthonisamy Neethinathan, presidente dell’ufficio per le caste e
le classi svantaggiate della Cbci,
ha sottolineato che mentre quelli
indù, sikh e buddisti godono di
agevolazioni e politiche mirate, «i
dalit cristiani vengono privati dei
mezzi di sostentamento, come
vantaggi economici, opportunità
di lavoro, rappresentazione politica e protezione legale, in base a
quanto stabilito dal “Prevention
of Atrocities Act del 1989”. Questo — ha aggiunto — deriva da un
ordine presidenziale del 1950, nel
quale viene stabilito che chiunque
professa una religione diversa da
induismo, sikhismo e buddismo
non può essere ritenuto membro
delle “Scheduled Caste” (gruppi
svantaggiati che tuttavia ricevono
aiuti e sussidi)». Nonostante la
Costituzione indiana vieti il sistema delle caste, è ancora diffuso
un sentimento di supremazia legato all’origine sociale. Ne è sintomo l’elevato numero di violenze, stupri, omicidi nei confronti
dei dalit: ogni 18 minuti, infatti,
viene commesso un crimine contro di loro; ogni giorno tre donne
vengono violentate, undici persone picchiate, due case bruciate. Il
37 per cento dei dalit vive al di
sotto della soglia di povertà; il 54
per cento dei bambini è malnutrito; ottantatré neonati su mille
muoiono nel primo anno di età.
Per quanto riguarda l’ambito
educativo, il 45 per cento dei dalit è analfabeta. Non solo, nel caso in cui essi riescano a farsi ammettere nelle scuole pubbliche —
cosa assai difficile — il tasso di
suicidio tra gli studenti è altissimo. I dalit cristiani vivono le
stesse discriminazioni. Cosa ben
peggiore, ammettono i vescovi, la
discriminazione avviene anche
all’interno della Chiesa, soprattutto a livello di rappresentanza
nella leadership religiosa e laica.
Per questo i presuli esprimono la
«necessità di affrontare con urgenza la questione». Prima di
tutto, devono avvenire cambiamenti nel campo dell’educazione,
dell’accesso alle risorse economiche e ai posti di lavoro. Ciò può
essere effettuato attraverso Caritas India, che può promuovere e
finanziare opere e progetti. Non
solo, si deve puntare sull’accoglienza e sul sostegno alle vocazioni dei dalit, sempre in aumento, e su una loro piena partecipazione nelle più alte sfere dirigenziali ecclesiastiche.
L’impegno delle religioni in Myanmar per il 2017
Anno di pace
YANGON, 19. «È tempo di unirci
— tutte le religioni, tutti i gruppi etnici — per rendere il 2017
davvero l’anno della pace». È
l’appello lanciato in vista del
nuovo anno dal cardinale arcivescovo di Yangon, Charles
Maung Bo, il quale ricorda come la pace sia possibile solo attraverso la «giustizia» e il «negoziato». Il porporato, riferisce
l’agenzia Fides, sollecita tutte le
religioni a osservare il 1° gennaio una giornata di digiuno e
preghiera per la pace: «Facciamo sì che tutti coloro che affollano i nostri monasteri, chiese,
templi e moschee portino cartelli e bandiere con la frase “Stop
a tutte le guerre”. Cerchiamo di
trascorrere la giornata in preghiera e digiuno per la pace,
per cambiare i cuori di tutte le
persone. Urge porre fine alle
guerre che tuttora attraversano
il Myanamr e rendere il 2017
l’anno della pace».
Il porporato ricorda in particolare le principali questioni che
continuamente minano la convi-
venza e la pace del Paese. «Fratelli e sorelle del Myanmar, noi
tutti diremo “felice anno nuovo”. Ogni anno ci salutiamo
l’un l’altro con questo messaggio. Ma sinceramente — osserva
il cardinale Bo — non c’è felicità
in molte parti di questo paese.
La guerra prosegue in molte
aree. E per più di 200.000 sfollati nei campi profughi, non sarà un felice anno nuovo. La
guerra, iniziata sessanta anni,
ancora infuria. La Cambogia ha
risolto i suoi conflitti, il Vietnam ha risolto le sue guerre.
Questi paesi vicini sono in cammino verso la pace e la prosperità. Noi in Myanmar siamo ancora coinvolti in una guerra impossibile da vincere». Anche
perché, rileva, «agonia della popolazione e sfollamento forzato
sono gli unici risultati della violenza», anche se «la maggioranza silenziosa della gente è stata
solo spettatrice di una guerra
cronica». Ora, questo l’appello,
«uniamoci, tutti insieme, per
una autentica pace».
Il cardinale Nzapalainga
ha preso possesso del titolo
di Sant’Andrea della Valle
Nel pomeriggio di domenica 18 dicembre, il
cardinale Dieudonné
Nzapalainga, arcivescovo di Bangui, nella
Repubblica Centrafricana, ha solennemente
preso possesso del titolo di Sant’Andrea
della Valle. Nella chiesa romana in piazza
Vidoni 6, il porporato
è stato accolto dal rettore, il teatino padre
Carlos Gómez Ruiz
che gli ha presentato
il crocifisso per il bacio e la venerazione.
Dopo aver asperso i fedeli il cardinale ha celebrato la messa. Tra i
presenti, anche il rappresentante del segretario delle Nazioni Unite
e capo della missione Onu nella Repubblica Centrafricana, Onanga-Anyanga Parfait, e il comandante della Corpo della Gendarmeria Vaticana, Domenico Giani. Ha diretto il rito monsignor Vincenzo Peroni, cerimoniere pontificio.
lunedì-martedì 19-20 dicembre 2016
Messa della Segreteria per la comunicazione
La speranza fa notizia
Una piccola «comunità internazionale» chiamata a rilanciare in tutto
il mondo il messaggio Papa. L’articolato mondo della comunicazione
vaticana si è raccolto, nella mattina
di lunedì 19 dicembre, attorno
all’altare della cattedra della basilica
vaticana per la messa in preparazione al Natale. A celebrare è stato il
prefetto della Segreteria per la comunicazione,
monsignor
Dario
Edoardo Viganò. Hanno concelebrato diciotto sacerdoti, tutti impegnati nelle nove istituzioni del dicastero: fra questi il segretario, monsignor Lucio Adrián Ruiz. Nell’assemblea erano presenti anche i responsabili delle varie direzioni.
Commentando all’omelia le letture del giorno, monsignor Viganò ha
approfondito le figure di cinque
personaggi biblici: Manoach, Sansone, Zaccaria, Elisabetta e Giovanni. Tutti «emanano il fascino dello
straordinario generato dall’incontro
con Dio». Nelle loro storie — ha
aggiunto il celebrante indicando
una chiave di lettura utile a ogni
persona — si scopre che «quando il
muro dell’impossibile sembra precludere ogni speranza, ecco che si
presenta Dio». Un Dio «tenace, caparbio, che non vuole che l’uomo si
perda e per questo si fa uomo».
Al termine, nel fare gli auguri, il
prefetto ha ringraziato tutti per il
lavoro svolto e, in particolare, le
†
La Segreteria di Stato comunica che è
piamente deceduto
S. E. Monsignor
EDMOND FARHAT
Arcivescovo titolare di Biblo
Nunzio Apostolico
Voglia Cristo, Buon Pastore, in cui il
compianto Presule ha creduto fermamente nel corso del suo generoso servizio alla
Santa Sede e alla Chiesa, concedergli il
meritato premio e accoglierlo accanto a sé
nella gioia e nella pace.
due famiglie religiose che operano
direttamente nel dicastero, i gesuiti
e i salesiani. Quindi ha concluso invitando i presenti a recitare insieme
un’avemaria per Papa Francesco e
per i suoi ottant’anni appena compiuti.
La morte
del nunzio apostolico
Farhat
L’arcivescovo Edmond Farhat,
nunzio apostolico, è morto sabato 17 dicembre.
Il compianto presule era nato
il 20 maggio 1933 a Ain Kfaa
(Jebeil) nel patriarcato di Antiochia dei Maroniti, in Libano.
Ordinato sacerdote il 28 marzo
1959, si era laureato in Sacra
scrittura e in diritto canonico.
Entrato al servizio della Santa
Sede come officiale della Congregazione per la dottrina della
fede, dal 1970 era stato officiale
della segreteria generale del Sinodo dei vescovi fino a divenirne sotto-segretario nel 1984. Eletto alla Chiesa titolare di Biblo il
26 agosto 1989, era stato nominato pro-nunzio apostolico in
Algeria e in Tunisia e delegato
apostolico in Libia. Il 20 ottobre
1989 aveva ricevuto l’ordinazione
episcopale. Quindi il 26 luglio
1995 era divenuto nunzio apostolico in Slovenia e nella ex-Repubblica Jugoslava di Macedonia. L’11 dicembre 2001 era stato
nominato nunzio apostolico in
Turchia e in Turkmenistan. E il
26 luglio 2005 era divenuto nunzio apostolico in Austria. Il 13
gennaio 2009 aveva terminato il
suo servizio.
Le esequie sono state celebrate
nella mattina di lunedì 19 dicembre all’altare della cattedra della
basilica vaticana, di cui monsignor Farhat era canonico.
†
Nel pomeriggio del sabato 17 dicembre si
è addormentato nel Signore
Sua Eccellenza Monsignor
†
EDMOND Y. FARHAT
La Segreteria di Stato comunica che è deceduta la
Arcivescovo Nunzio Apostolico
Canonico Vaticano
Sua Eminenza Reverendissima il Signor Cardinale Angelo Comastri, Arciprete della Basilica Papale Vaticana, e i
Reverendissimi Capitolari di San Pietro,
mentre danno l’annuncio della Sua scomparsa offrono preghiere affinché Cristo
Buon Pastore Lo accolga nello splendore
del Paradiso.
Il Rito Esequiale ha luogo all’Altare
della Cattedra, nella Basilica Papale Vaticana, lunedì 19 dicembre, alle ore 12.
Signora
MARIA FRANCESCA
MINEO BARBERA
madre di S.E. Monsignor Vito Rallo
Nunzio Apostolico in Marocco.
Nell’esprimere a S.E. Monsignor Rallo
sentita partecipazione al suo dolore per la
scomparsa della madre, i Superiori e gli
Officiali della Segreteria di Stato assicurano la loro preghiera di suffragio e invocano dal Signore conforto per i familiari
della cara defunta.
Vaticano, 19 dicembre 2016
†
Il Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, Sua Em.za Rev.ma Cardinale Lorenzo Baldisseri, con il Sotto-Segretario
Sua Ecc.za Rev.ma Monsignor Fabio Fabene, insieme a tutti i Collaboratori accompagnano alla Casa del Padre con preghiera e gratitudine
S.E.R. Monsignor
EDMOND FARHAT
per tanti anni collaboratore della Segreteria Generale e già Sotto-Segretario del Sinodo dei Vescovi.
†
Il Cardinale Prefetto, l’Arcivescovo Segretario e il Sotto-Segretario, unitamente
a tutti gli Officiali e Collaboratori della
Congregazione per i Vescovi, partecipano
sentitamente al grande dolore che ha colpito il Reverendo Gianluigi Valente, per
la perdita dell’amato padre
FRANCESCO VALENTE
venuto a mancare nella giornata di lunedì
19 dicembre. Al Reverendo Valente, a sua
madre e ai familiari tutti assicurano la vicinanza nella preghiera nella serena speranza che scaturisce dal mistero della Risurrezione del Signore.
L’OSSERVATORE ROMANO
lunedì-martedì 19-20 dicembre 2016
pagina 7
L’invito del Papa ai ragazzi dell’Azione cattolica italiana
Parlate con i nonni
Il Papa ha raccomandato ai bambini di
parlare spesso con i nonni: «Gli anziani
hanno la sapienza della vita» ha spiegato ai
ragazzi dell’Azione cattolica italiana ricevuti
in udienza nella mattina di lunedì 19
dicembre, nella sala del Concistoro.
Cari ragazzi, buongiorno!
Il Natale si avvicina e sono contento di
incontrarvi per questo momento gioioso,
in cui ci scambiamo gli auguri. Vi ringrazio della vostra visita e vi saluto con affetto. Voi provenite da diverse diocesi italiane, in rappresentanza dell’Azione Cattolica Ragazzi; attraverso di voi, desidero far
arrivare il mio saluto e il mio augurio natalizio all’intera famiglia dell’Azione Cattolica Italiana.
A Natale risuonerà l’annuncio dell’angelo ai pastori: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto
il popolo: oggi, nella città di Davide, è
nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2, 10-11). La nascita di Gesù è
annunciata come una “grande gioia” — e
tu [si rivolge a uno dei ragazzi], ti ricordavi di questo, una “grande gioia”? —, originata dalla scoperta che Dio ci ama e, attraverso la nascita di Gesù, si è fatto vicino a noi per salvarci. Siamo amati da Dio.
Che cosa meravigliosa! Quando siamo un
po’ tristi, quando sembra che tutto vada
storto, quando un amico o un’amica ci delude — o piuttosto noi deludiamo noi stessi! — pensiamo: “Dio mi ama”; “Dio non
Appuntamento
ad aprile
Un tendone da circo nel cuore del
quartiere Barra, alla periferia di Napoli,
perché diventi «un simbolo di bellezza,
di speranza e di coraggio» a sostegno
dell’impegno per strappare i bambini
dalle mani della criminalità organizzata. Quell’impegno che da oltre dieci
anni è fatto proprio dalla cooperativa
sociale «Il tappeto di Iqbal» e che
l’Azione cattolica ragazzi (Acr) ha deciso di sostenere nell’iniziativa di solidarietà per il mese di gennaio intitolata:
«Costruiamo la pace». Lo ha raccontato a Francesco uno dei ragazzi, descrivendo il cammino che l’associazione sta
compiendo quest’anno. Lo slogan è
«Circondati di gioia» e riprende l’invito rivolto tre anni fa all’Acr proprio dal
Papa: scoprire che la missione della
Chiesa è proprio di portare a tutti la
gioia del Vangelo. Il ragazzo ha quindi
dato appuntamento per il 29 aprile,
quando tutta l’Azione cattolica si riunirà in piazza San Pietro per iniziare le
celebrazioni in occasione dei 150 anni
di vita.
mi abbandona”. Sì, ragazzi, il nostro Padre ci è sempre fedele e non smette un
istante di volerci bene, di seguire i nostri
passi e anche di rincorrerci quando ci allontaniamo un po’. Per questo nel cuore
del cristiano c’è sempre la gioia. Sempre!
E questa gioia si moltiplica condividendola! La gioia accolta come un dono chiede di essere testimoniata in tutte le nostre
relazioni: in famiglia, a scuola, in parrocchia, dappertutto. In questo voi ragazzi
dell’Azione Cattolica siete aiutati dal vostro cammino formativo, che quest’anno
ha come slogan «CIRCO ndati di GIOIA». È
suggestiva questa metafora del circo, che è
un’esperienza di fraternità, di gioia e di
vita “nomade”. L’immagine del circo può
aiutarvi a sentire la comunità cristiana e il
gruppo nel quale siete inseriti come delle
realtà missionarie, che si muovono di paese in paese, di strada in strada “CIRCO ndando” di gioia quanti incontrate ogni
giorno. Annunciando a tutti l’amore e la
tenerezza di Gesù, diventate apostoli della
gioia del Vangelo. E la gioia è contagiosa!
È vero che la gioia è contagiosa? D’accordo? [rispondono: “Sì!”] Contagiare gioia!
Vorrei darvi un compito. Questa gioia
contagiosa va condivisa con tutti, ma in
modo speciale — e questo è il compito —
con i nonni. Pensate bene a questo: questa
gioia va condivisa con tutti, ma in modo
speciale con i nonni. Parlate spesso con i
vostri nonni; anche loro hanno questa
gioia contagiosa. Domandate a loro tante
cose, ascoltateli, loro hanno la memoria
della storia, l’esperienza della vita, e per
voi questo sarà un grande dono che vi
aiuterà nel vostro cammino. Anche loro
hanno bisogno di ascoltarvi, anche i nonni
hanno bisogno di voi, hanno bisogno di
ascoltarvi, di capire le vostre aspirazioni,
le vostre speranze. Ecco il compito: parlare con i nonni, ascoltare i nonni. Gli anziani hanno la sapienza della vita. Per non
dimenticare ripetiamo il compito: parlare
con i nonni, ascoltare i nonni. Ragazzi e
ragazze, tutti! [ripetono insieme: “parlare
con i nonni, ascoltare i nonni”] Ma che
deboli che siete! Un po’ più forte! [ripetono: “parlare con i nonni, ascoltare i nonni”]. Poi l’anno prossimo vi domanderò su
questo, cosa avete fatto...
Contagioso è anche il vostro impegno
per la pace. Anche quest’anno avete voluto legare la parola “pace” alla parola “solidarietà”, con un’iniziativa in favore dei vostri coetanei di un quartiere disagiato di
Napoli. È un buon gesto, che indica lo
stile con cui voi volete annunciare il volto
di Dio che è amore. Il Signore benedica
questo vostro progetto di bene!
Vedo che vi accompagnano i vostri educatori, i vostri assistenti e i responsabili
nazionali dell’Azione Cattolica Italiana. Li
saluto cordialmente e li ringrazio per l’impegno con cui si dedicano alla vostra educazione cristiana. A tutti auguro di cuore
un felice e santo Natale. A tutti. Estendo
questo augurio alle vostre famiglie e all’intera Associazione diffusa in tutte le dioce-
si d’Italia. Il Signore vi benedica, e la Madonna vi protegga. E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.
Il compito era parlare con i nonni e
ascoltare i nonni. D’accordo? Ma io non
vorrei finire questo incontro senza far memoria di un nonno, che se ne è andato,
che il Signore ha chiamato: Don Mansueto [S. E. Mons. Mansueto Bianchi, Assistente Ecclesiastico Generale dell’Azione
Cattolica Italiana], al quale io volevo tanto bene. Che lui, dal cielo, ci insegni a
parlare con i nonni e ascoltare i nonni.
Aveva un nome bello: Mansueto, un uo-
mo mite, un uomo buono, un nonno buono... Che lui ci insegni! E vi invito a pregare una Ave Maria per lui.
[Ave Maria]
Dopo la benedizione:
Il compito? [rispondono: “Parlare con i
nonni e ascoltare i nonni”]
E l’anno prossimo vediamo...
All’ultimo Angelus di Avvento
Incontro a un Dio vicino
Mistero di amore, mistero di vicinanza di
Dio con l’umanità.
Maria è presentata alla luce della profezia che dice: «Ecco, la vergine concepirà e
darà alla luce un figlio» (v. 23). L’evangelista Matteo riconosce che ciò è avvenuto in
Maria, la quale ha concepito Gesù per opera dello Spirito Santo (cfr. v. 18). Il Figlio
di Dio “viene” nel suo seno per diventare
uomo e Lei lo accoglie. Così, in modo unico, Dio si è avvicinato all’essere umano
prendendo la carne da una donna: Dio si
avvicinò a noi e ha preso la carne da una
donna. Anche a noi, in modo diverso, Dio
si avvicina con la sua grazia per entrare
nella nostra vita e per offrirci in dono il
suo Figlio. E noi che cosa facciamo? Lo accogliamo, lo lasciamo avvicinarsi oppure lo
rifiutiamo, lo cacciamo via? Come Maria,
offrendo liberamente sé stessa al Signore
della storia, gli ha permesso di cambiare il
destino dell’umanità, così anche noi, accogliendo Gesù e cercando di seguirlo ogni
giorno, possiamo cooperare al suo disegno
di salvezza su noi stessi e sul mondo. Maria ci appare dunque come modello a cui
guardare e sostegno su cui contare nella
nostra ricerca di Dio, nella nostra vicinanza
a Dio, in questo lasciare che Dio si avvicini
a noi e nel nostro impegno per costruire la
civiltà dell’amore.
L’altro protagonista del Vangelo di oggi
è san Giuseppe. L’evangelista mette in evidenza come Giuseppe da solo non possa
darsi una spiegazione dell’avvenimento che
vede verificarsi sotto i suoi occhi, cioè la
gravidanza di Maria. Proprio allora, in
quel momento di dubbio, anche di angoscia, Dio gli si fa vicino — anche a lui —
con un suo messaggero ed egli viene illuminato sulla natura di quella maternità: «Il
bambino che è generato in lei viene dallo
Spirito Santo» (v. 20). Così, di fronte
all’evento straordinario, che certamente suscita nel suo cuore tanti interrogativi, si fida totalmente di Dio che gli si avvicina e,
«Cerchiamo di entrare nel vero Natale, quello
di Gesù, che ci si avvicina: Dio-con-noi,
vicino a noi»: è l’invito rivolto dal Papa ai
fedeli presenti all’Angelus di domenica 18
dicembre, in piazza San Pietro.
Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
La liturgia di oggi, che è della quarta e ultima domenica di Avvento, è caratterizzata
dal tema della vicinanza, la vicinanza di
Dio all’umanità. Il brano del Vangelo (cfr.
Mt 1, 18-24) ci mostra le due persone, le
due persone che più di ogni altra sono state coinvolte in questo mistero d’amore: la
Vergine Maria e il suo sposo Giuseppe.
seguendo il suo invito, non ripudia la sua
promessa sposa ma la prende con sé e sposa Maria. Accogliendo Maria, Giuseppe accoglie consapevolmente e con amore Colui
che in lei è stato concepito per opera mirabile di Dio, a cui nulla è impossibile. Giuseppe, uomo umile e giusto (cfr. v. 19), ci
insegna a fidarci sempre di Dio, che ci si
avvicina: quando Dio ci si avvicina dobbiamo fidarci. Giuseppe ci insegna a lasciarci
guidare da Lui con volontaria obbedienza.
Queste due figure, Maria e Giuseppe,
che per primi hanno accolto Gesù mediante la fede, ci introducono nel mistero del
Natale. Maria ci aiuta a metterci in atteggiamento di disponibilità per accogliere il
Figlio di Dio nella nostra vita concreta,
nella nostra carne. Giuseppe ci sprona a
cercare sempre la volontà di Dio e a seguirla con piena fiducia. Tutti e due si sono lasciati avvicinare da Dio.
«Ecco la vergine concepirà e darà alla
luce un figlio: a lui sarà dato il nome di
Emmanuele, che significa Dio-con-noi»
(Mt 1, 23). Così dice l’angelo: “Emmanuele
si chiamerà il bambino, che significa Diocon-noi”, cioè Dio vicino a noi. E a Dio
che si avvicina io apro la porta — al Signore — quando sento una ispirazione interiore, quando sento che mi chiede di fare
qualcosa di più per gli altri, quando mi
chiama alla preghiera? Dio-con-noi, Dio
che si avvicina. Questo annuncio di speranza, che si compie a Natale, porti a compimento l’attesa di Dio anche in ciascuno di
noi, in tutta la Chiesa, e in tanti piccoli che
il mondo disprezza, ma che Dio ama e a
cui Dio si avvicina.
Al termine della preghiera il Papa ha lanciato
un appello al dialogo nella Repubblica
Democratica del Congo e ha salutato i diversi
gruppi di fedeli, ringraziando in particolare
per gli auguri ricevuti in occasione del suo
ottantesimo compleanno.
Cari fratelli e sorelle,
In un videomessaggio il Pontefice ringrazia i protagonisti del concerto di solidarietà per Bangui e i terremotati italiani
Per allargare l’orizzonte del giubileo
«Questa serata allarga l’orizzonte del giubileo della
misericordia partecipando e condividendo situazioni concrete di
povertà e di bisogno»: lo ha detto il Papa in un
videomessaggio inviato ai partecipanti al concerto di
beneficenza svoltosi nella serata di sabato 17 dicembre,
nell’aula Paolo VI.
Sono molto contento di questa iniziativa promossa dalla
Gendarmeria e che ha coinvolto molte istituzioni e persone, ciascuno con la propria professionalità: gli artisti, le
maestranze, i tecnici, gli operai... Tutti “artigiani di misericordia” perché, come ho detto in altre occasioni, le opere
di misericordia che trovano l’ispiratore in Dio e la materia
nella misericordia stessa, sono modellate da mani e dai
cuori di uomini e di donne.
Al termine del Giubileo straordinario, consegnando la
Lettera apostolica Misericordia et misera, ricordavo come la
cultura della misericordia si forma nella preghiera assidua
e come, per vincere la tentazione delle parole, della teoria
sulla misericordia, è necessario trasformare la misericordia
nella vita di tutti i giorni, vita che diventa partecipazione
e condivisione.
Questa serata dunque allarga l’orizzonte del Giubileo
della misericordia partecipando e condividendo situazioni
concrete di povertà e di bisogno: Bangui (capitale della
Repubblica Centrafricana) e le terre terremotate del centro Italia. Questa sera tutti voi state partecipando concretamente e generosamente alla costruzione di due progetti
rivolti ai più deboli e fragili, i bambini, progetti che saranno segni visibili dell’anno della misericordia e che porteranno la firma di tanti di voi.
A volte qualcuno mi chiede: “Ma Lei, padre, parla sempre dei poveri e della misericordia”. Sì — dico — ma non è
una malattia. È semplicemente il modo con cui Dio si è
rivelato. Infatti il Natale ormai alle porte ci ricorda il modo con cui Dio è entrato nel mondo: nasce da Maria Vergine come tutti i bambini, viene avvolto in fasce, preso in
braccio, allattato. Non solo: lui, la sua mamma e Giuseppe hanno dovuto fare i conti con il fatto che per loro non
c’era posto nell’albergo.
E ancora: la buona notizia, l’annuncio della nascita non
viene consegnato a re e a principi, ma a pastori, uomini
poco o male considerati, peccatori incalliti potremmo dire. Questo è il nostro Dio: non il totalmente altro ma l’assolutamente prossimo. Per questo diventare artigiani della
carità e costruttori di misericordia è come investire non in
borsa, ma in paradiso, nella vita beata del cielo, nell’amore del Padre.
Grazie a tutti. Grazie a nome dei bambini di Bangui e
di quelli delle zone terremotate. Non potremo fare cose
grandi, realizzare grandi progetti, ma ciò che faremo avrà
la firma della nostra passione per il Vangelo.
Buon Natale a tutti!
Se amore avrai
«Se amore avrai», i progetti concreti
per i bambini della Repubblica
Centrafricana e dell’Italia centrale
sconvolta dal terremoto potranno
realizzarsi: ecco il messaggio lanciato sabato sera, 17 dicembre, da Claudio Baglioni nel concerto nell’aula
Paolo VI, arricchito da significative
testimonianze e brani del magistero
di Papa Francesco, proprio nel giorno del suo compleanno. Promossa
dal Corpo della Gendarmeria, per i
suoi duecento anni di servizio, l’iniziativa
porterà
in
particolare
all’apertura di un ospedale pediatrico a Bangui e alla ricostruzione
dell’oratorio di Santa Maria delle
Grazie a Norcia. Tra i presenti — insieme al comandante della Gendarmeria, Domenico Giani — il cardinale Nzapalainga, arcivescovo di
Bangui; il cardinale Bertello, presidente del Governatorato dello Stato
della Città del Vaticano, con il ve-
scovo segretario generale Vérgez Alzaga; l’arcivescovo Becciu, sostituto
della Segreteria di Stato; il vescovo
Galantino, segretario generale della
Conferenza episcopale italiana; e i
pastori delle tre diocesi più colpite
dal sisma: l’arcivescovo di SpoletoNorcia, Boccardo, il vescovo di Rieti, Pompili e il vescovo di Ascoli
Piceno, D’Ercole. Era presente il
presidente del Senato italiano,
Grasso.
vi saluto tutti, fedeli romani e pellegrini venuti da vari Paesi, le famiglie, i gruppi parrocchiali, le associazioni.
Chiedo a tutti voi di pregare affinché il
dialogo nella Repubblica Democratica del
Congo si svolga con serenità per evitare
qualsiasi tipo di violenza e per il bene di
tutto il Paese.
In particolare saluto il folto gruppo
dell’UNITALSI di Roma — che bel lavoro
che fate voi, eh! grazie tante! — che ha dato vita a un presepe vivente inclusivo delle
persone con disabilità; come pure gli studenti dell’Istituto Calabrese di Politiche
Internazionali.
Vorrei ringraziare tutte le persone e le
istituzioni che ieri hanno voluto esprimermi i loro auguri. Grazie tante!
Auguro a tutti una buona domenica: il
tempo è bello.
Domenica prossima sarà Natale. In questa settimana — mi raccomando — cerchiamo di trovare qualche momento per fermarci, fare un po’ di silenzio, e immaginare
la Madonna e san Giuseppe che stanno andando a Betlemme. Immaginare come vanno: il cammino, la fatica, ma anche la
gioia, la commozione, e poi l’ansia di trovare un posto, la preoccupazione..., e così
via. In questo ci aiuta molto il presepe.
Cerchiamo di entrare nel vero Natale, quello di Gesù, che ci si avvicina — D io-connoi, vicino a noi — per ricevere la grazia di
questa festa, che è una grazia di vicinanza,
di amore, di umiltà e di tenerezza.
E in quei momenti anche ricordatevi di
pregare anche per me. Buon pranzo e arrivederci!