Discernimento comunitario e annuncio del Vangelo

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Discernimento comunitario e annuncio del Vangelo
“Come mai questo tempo non sapete valutarlo?”
La Chiesa di Nola ascolta e si interroga
Discernimento comunitario e
annuncio del Vangelo
Instrumentum laboris
Traccia di lavoro per il Sinodo diocesano
Settembre 2014
Carissimi,
c’è un tempo che ci chiama. È un tempo difficile, ma questa
complessità non può diventare un alibi. È un tempo a
tratti indecifrabile, ma che non ci esonera dalle nostre
responsabilità.
A noi il dovere di tentare una risposta. Con umiltà, e con
determinazione. Una risposta non soltanto speculativa
né vagamente moraleggiante. Tantomeno di carattere
normativo. Ma piuttosto una risposta che profuma di umanità, che si fa carico
C'è un tempo che ci chiama. É un tempo difficile, ma questa complessità non può diventare un alibi. É un
dell’umanità
che ci circonda, una risposta teologale che mette insieme l’esperienza
tempo a tratti indecifrabile, ma che non ci esonera dalle nostre responsabilità.
di fede e vita.
A noi il dovere di tentare una risposta. Con umiltà, e con determinazione. Una risposta non soltanto
Possiamo
farcela. Se saremo docili. E se saremo franchi. Se saremo costruttivi.
speculativa né vagamente moraleggiante. Tantomeno di carattere normativo. Ma piuttosto una risposta
Se non
faremo
prevalere
miscelachedici circonda,
individualismo
e scetticismo
che profuma
di umanità,
che si fa quella
carico dell'umanità
una risposta teologale
che mette che sta
logorando
la
convivenza
civile
e
spesso
mina
anche
il
corpo
ecclesiale.
insieme l’esperienza di fede e vita.
“Perché
questo
tempo
non Esapete
chiede
il Signore.
Non ci lascia
Possiamo
farcela. Se
saremo docili.
se saremogiudicarlo?”,
franchi. Se saremo ci
costruttivi.
Se non
faremo prevalere
indifferente
questo
monito.
Vogliamo
sul serio.
quella miscela
di individualismo
e scetticismo
che staprenderlo
logorando la convivenza
civileRimettendoci
e spesso mina anchein ascolto
corpo ecclesiale.
del ilmondo.
Imparando di nuovo ad essere “una cosa sola” e non una somma
di individualità.
Educandoci a partire dalla vita reale per scorgere i segni della
"Perché questo tempo non sapete giudicarlo?", ci chiede il Signore. Non ci lascia indifferente questo
presenza
Dio. Convertendo
una logica
missionaria
evangelizzatrice
monito. di
Vogliamo
prenderlo sul serio.in
Rimettendoci
in ascolto
del mondo.ed
Imparando
di nuovo ad l’intera
vita essere
della"unaChiesa:
liturgia,
la diprogettazione
pastorale,
la vita
costruzione
della
cosa sola"la
e non
una somma
individualità. Educandoci
a partire dalla
reale per
scorgere i segni
della presenza
di Dio. Convertendo
in una logicail missionaria
evangelizzatrice
comunità,
l’impegno
educativo
e formativo,
servizioedall’uomo
– l'intera
in particolare
vita della Chiesa: la liturgia, la progettazione pastorale, la costruzione della comunità, l’impegno
ai poveri
-.
educativo e formativo, il servizio all’uomo – in particolare ai poveri -.
Possiamo davvero farcela. Sentiamo Gesù sussurrarci “Coraggio, sono io”.
Possiamo davvero farcela. Sentiamo Gesù sussurrarci "Coraggio, sono io". Avvertiamo la fiducia, le
Avvertiamo
la fiducia, le attese e le urgenze del popolo di Dio. Sappiamo che lo
attese e le urgenze del popolo di Dio. Sappiamo che lo Spirito ci darà la forza e l’orientamento anche nei
Spirito
ci
darà
la forza e l’orientamento anche nei tratti di dura salita. Allo stesso
tratti di dura salita. Allo stesso tempo, siamo consapevoli che il Padre mette nelle mani dei suoi figli il
tempo,
cheallail semina
Padreconmette
nelle
mani
dei suoi
figli il seme del
seme siamo
del futuro.consapevoli
Sta a noi provvedere
dedizione,
costanza,
lungimiranza,
competenza,
futuro.
Stae fiducia.
a noi provvedere alla semina con dedizione, costanza, lungimiranza,
pazienza
competenza,
pazienza e fiducia.
Davvero il Sinodo può diventare un’opportunità straordinaria per la Chiesa di Nola, per i sacerdoti e le
Davvero
il Sinodo
può
un’opportunità
straordinaria
per
la Chiesa
comunità
parrocchiali,
per diventare
gli ordini religiosi
che hanno scelto questa
terra per il loro
servizio,
per le di Nola,
laicali,
percomunità
i laici impegnati.
E può essere un’occasione
unica di incontro
e fraternità
con
per aggregazioni
i sacerdoti
e le
parrocchiali,
per gli ordini
religiosi
che hanno
scelto
tutto terra
il popoloper
che Dio
ci ha affidato,
con le per
istituzioni
pubbliche e la società
civile. per i laici impegnati. E
questa
il loro
servizio,
le aggregazioni
laicali,
puòNon
essere
un’occasione
unica
di incontro
e paralizzante
fraternità
con tutto
il popolo
sprechiamo
questo dono. Non
trinceriamoci
dietro un
e malinteso
“realismo”
e non che Dio
inseguendo
Mettiamoci
il cuore e la testa,
passione civile.
e l’intelligenza. Assumiamoci
ci haperdiamoci
affidato,
con leutopie.
istituzioni
pubbliche
e la lasocietà
con responsabilità e spirito profetico il compito di costruire qui e ora un pezzettino di Regno.
Non sprechiamo questo dono. Non trinceriamoci dietro un paralizzante e
malinteso “realismo” e non perdiamoci inseguendo utopie. Mettiamoci il cuore
e la testa, la passione e l’intelligenza. Assumiamoci con responsabilità e spirito
profetico il compito di costruire qui e ora un pezzettino di Regno.
Ci precede, nell’impresa che andiamo ad iniziare, la storia di fede della Chiesa di
Nola e la testimonianza luminosa di san Paolino, che prima di noi ha saputo unire
Vangelo e vita nello specifico di un popolo e di una terra. Ecco il nostro compito
grande: capire perché il Signore ci ha chiamati e voluti qui e ora, e uscire dalle
nostre illusorie certezze per andare verso la vita concreta dei nostri fratelli.
Buon cammino.
+ Beniamino Depalma
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Premessa
Carissimi,
con questo documento siamo al punto di arrivo di un anno di confronto, a
diversi livelli, nella nostra Chiesa di Nola. Il Signore ha condotto la nostra
storia e ci ha portati a scegliere la via dell’ascolto e della riflessione attraverso lo studio delle Costituzioni conciliari. Oggi raccogliamo quanto emerso
dalle schede arrivate in diocesi insieme alle sollecitazioni offerte dagli uffici
di pastorale.
Il nostro Sinodo diocesano con questo Instrumentum laboris si da una traccia di lavoro per il discernimento comunitario, permettendoci anzitutto di
vivere un’esperienza di presenza viva dello Spirito nella nostra famiglia ecclesiale.
Ci preme qui ricordare a tutti noi che l’esperienza sinodale ha un obiettivo:
attivare una conversione missionaria della nostra Chiesa locale. È urgente
sollecitare un discernimento che renda le nostre comunità capaci di annunciare il Vangelo in un mondo attraversato da grandi cambiamenti, sperimentando strade nuove che incrocino e accompagnino la vita delle persone.
Siamo sorretti in questa scelta da un’idea di fondo: Il Vangelo è vita, è annuncio di vita in tutte le situazioni, anche le più difficili. Dinanzi alle sfide che
il nostro tempo pone, siamo chiamati a ridire il Vangelo, a dare nuova forma
all’esperienza cristiana così che essa appaia come risposta al desiderio di
pienezza che è nel cuore di ogni uomo.
Il soggetto, che è attore primario ed è coinvolto in questa esperienza, è
l’intera comunità Cristiana.
Abbiamo tra le mani un testo che ci propone un metodo: un percorso di
riflessione in cui, insieme, interrogarsi, comprendere, valutare, immaginare,
progettare; con uno sguardo che sappia andare continuamente dalle nostre
comunità alla realtà in cui sono immerse, imparando a pensarci come Chiesa aperta, costantemente in uscita, perché in cammino accanto agli uomini
e alle donne dei nostri paesi; abituandoci a tenere insieme il radicamento
nell’essenziale della fede e l’elasticità delle forme attraverso cui riusciamo a
farne fare esperienza; ritrovando la passione e la responsabilità educativa
che è di tutta la comunità.
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Ci sono offerte cinque tappe, tenute insieme dall’icona biblica della prima
comunità cristiana che dà il senso dell’intero percorso. Quella immagine è
poi ripresa per aspetti specifici che scandiscono i diversi momenti del cammino (l’ascolto, la frazione del pane e la preghiera, l’unione fraterna, la condivisione di ciò che si è e si ha).
Una prima tappa (divisa in due momenti: 1a e 1b) per tracciare il quadro in
cui ci muoviamo.
Quattro successive tappe per disegnare il volto di una Chiesa missionaria
che si lascia rigenerare da un discernimento compiuto alla luce della Parola
e con lo sguardo di Dio:
• una Chiesa che ascolta,
• una Chiesa che rende lode,
• una Chiesa capace di comunione,
• una Chiesa che serve.
A ciascuna di questi momenti corrisponde un’immagine, un’idea guida, un
atteggiamento da maturare.
Dalle relazioni che i gruppi sinodali, ascoltate le varie componenti della comunità cristiana locale e la realtà del proprio territorio, presenteranno al
termine del cammino di quest’anno pastorale (giugno 2015) emergeranno
le questioni che verranno formulate nelle propositiones su cui l’assemblea
sinodale discuterà.
Un lungo cammino, soprattutto un bel cammino, che chiederà a tutti l’impegno, la costanza, la capacità di lasciarsi guidare dallo Spirito nella libertà
e nella verità, avendo come obiettivo l’urgenza di annunciare la gioia del
vangelo agli uomini e donne del nostro tempo e del nostro territorio.
Scegliamo la guida dello Spirito, lasciamoci prendere dalla freschezza del
suo soffio, dalla forza del suo fuoco, dalla vitalità del suo alito, per diventare
, come chiesa di Nola, colomba portatrice della parola di verità e di speranza
sul mondo e sulla storia.
Camminiamo insieme
La Segreteria del Sinodo
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L’icona biblica:
La prima comunità cristiana
“Erano assidui nell’ascoltare l’insegnamento degli apostoli e nell’unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere. Un senso
di timore era in tutti e prodigi e segni avvenivano per opera degli
apostoli. Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme
e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le
vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno”.
(Atti 2, 42-45)
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1.a Questo tempo
sommario
L’idea:
la storia è condotta dallo Spirito. Il Signore ci precede sempre
Questo è il tempo “favorevole”. Quando i tempi sono difficili, questo è il
tempo per l’annuncio. Il Signore è sempre avanti, apre le strade. La Chiesa
deve avere il coraggio di mettersi sui sentieri del Risorto abbandonando le
sue false sicurezze; il coraggio di liberarsi dalla gabbia di consuetudini consolidate. Liberarsi da una certa accidia pastorale e soprattutto liberarsi dalla
malattia del pessimismo e della stanchezza. Recuperare uno sguardo nuovo
che è frutto della guarigione dello Spirito. Imparare a guardare la storia e il
mondo con gli occhi di Dio e ricordare che la Chiesa non è per se stessa ma
per il mondo. La Chiesa sa di essere debole, ma è insieme consapevole della
forza che viene dal Signore che ci rende in Lui creature nuove.
L’atteggiamento da maturare:
l’attenzione e la fiducia (in opposizione al sentimento dell’angoscia e
dello smarrimento)
 Un tempo che provoca
Fondiamo la nostra speranza non sui dati statistici, ma su una certezza:
ovunque ci troviamo, Dio è già lì. Il Signore è già presente. Ci precede. Ci
precede nelle case sfidate dal dolore. Ci precede nelle terre martoriate. Ci
precede nei cuori delle persone e delle famiglie che soffrono. Ci precede
nei gesti di generosità e di dedizione che scorgiamo con sorpresa se solo
impariamo a guardarci intorno. Se Lui c’è, la vita vince ancora. Ci è chiesto
di metterci sui sentieri del Risorto. Questo tempo ci sfida, ma in ogni sfida
c’è un’opportunità. Questo tempo, proprio perché difficile, è un tempo favorevole per riscrivere la vita della nostra Chiesa come ricerca in terra del
Regno, liberandoci dalla gabbia di consuetudini rassicuranti ma inadeguate,
dalla rassegnazione che ci fa ripetere gesti senza speranza.
Come riuscirci? Provando a guardare a noi stessi, alle nostre vite, alle nostre
città, alle nostre comunità, con uno sguardo nuovo che è frutto della guarigione dello Spirito. È un tempo che sembra segnato da mali nuovi ma le
radici di questi mali sono antiche e sono da ricercare nel cuore dell’uomo.
All’origine di ogni degrado, c’è infatti l’uomo che perde la stima di sé come
figlio di Dio e fratello del prossimo, nell’illusione che renda di più esser padroni delle vite e delle cose. Ciò che in effetti manca, per vincere la buona
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battaglia, non sono solo le buone ricette economiche e sociali, ma un contagioso rinnovamento interiore che purifica il cuore, la vista, le labbra, che
può guidare diversamente le nostre mani. Un rinnovamento che investa
anche la Chiesa.
 Una Chiesa radicata e popolare
La Chiesa di Nola insiste su un territorio di circa 600.000 abitanti. È immersa
nel cuore della provincia di Napoli, ma incrocia una bella fetta di provincia
irpina e tocca quella salernitana. Si tratta di un territorio eterogeneo, con
un tessuto sociale ed economico molto diverso e con molteplici differenze anche dal punto di vista geografico-amministrativo, culturale e sociale.
Tre sono i nodi di oggettiva problematicità che legano l’uno all’altro i nostri
paesi: tassi altissimi di disoccupazione giovanile, famiglie monoreddito in
evidente difficoltà e devastazione ambientale.
La presenza della Chiesa si articola in questo territorio attraverso 115 parrocchie, riunite in tre zone pastorali e otto decanati. Una strutturazione che
deve rispondere oggi a nuove sfide e opportunità:
 una nuova idea di comunità e di corresponsabilità tra laici e sacerdoti per
essere ancorati e immersi nel nostro popolo;
 una nuova capacità di fare sistema tra comunità vicine e di valorizzare l’appartenenza allo stesso pezzo di territorio, superando sterili e anacronistici
campanilismi;
 un ritorno all’essenziale della vita di fede che alimenti nuovi stili di vita e di
convivenza improntati alla sobrietà e alla solidarietà.
 Una trasformazione da convertire in rinascita
Una Chiesa che vuole dire il Vangelo oggi non può non capire il corso della
vita e della storia che si sta dipanando dinanzi ai nostri occhi. E provare ad
applicare sulle grandi trasformazioni quello sguardo nuovo che il Signore ci
chiede.
-
Deindustrializzazione e lavoro. Gli ultimi anni sono stati anni particolarmente duri, segnati da una profonda riduzione della presenza
industriale sul territorio, con ricadute fortissime sulla piccola-media
impresa, sui redditi delle famiglie e, a cascata, su consumi e attività
commerciali. A fronte di tutto questo non si è dato un serio pro7
getto di riconversione economico-sociale del territorio considerato
nel suo insieme, e non per singoli pezzi. L’opportunità insita in questa trasformazione è la possibilità di ripensarsi come singoli e come
comunità, e di ripensare le nostre categorie mentali, in merito ai
temi del lavoro, dell’impresa, della mobilità, della formazione. La
crisi offre la grande opportunità di recuperare una fondamentale
chiave vocazionale nelle scelte. Proprio quando il ventaglio delle
possibilità sembra ridursi, siamo sollecitati a ritrovare la nostra vocazione specifica: quella dei nostri territori, che occorre imparare
a declinare nell’oggi, e la propria vocazione personale. Ci è chiesto
di diventare più dinamici e più seri nello scrivere i nostri progetti di
vita a livello individuale e comunitario.
-
Ambiente e salute. Abbiamo sotto gli occhi i segni della incoscienza
con cui abbiamo colpito i nostri beni ambientali (il Vesuvio, le discariche, le aree da bonificare, l’inaccessibile mare nostrano, il dissesto
del territorio…). Il fallimento di politiche troppo timide sia nella progettazione sia nella prevenzione e repressione di fenomeni gravissimi in cui si ripropone la ramificata e capillare presenza di interessi
camorristici. Ma anche l’esito drammatico di una diffusa illegalità.
La scienza tende a non sovrastimare i nessi causali tra degrado ambientale e incremento di patologie gravissime e mortali, tuttavia
è ormai inscritta nelle nostre esperienza familiari l’aumento delle
malattie e dei decessi prematuri. Il segnale positivo è il tendenziale
aumento della sensibilità media a questi temi, ma non basta. Il passaggio fondamentale, oseremmo dire esistenziale, è sentirci meno
“padroni” e più “ospiti” della nostra terra, derivando da un diverso
atteggiamento un nuovo stile di vita sobrio ed ecosostenibile.
-
Cultura. La nostra diocesi è ricca di perle dimenticate o, quantomeno, poco valorizzate. L’emblema è il complesso delle basiliche
paleocristiane di Cimitile. In generale, quasi ogni pietra delle nostre
strade, quasi ogni centimetro delle mura delle nostre città, profuma di una religiosità che si è fatta cultura. L’opportunità è nel porre
questa ricchezza a servizio di un’umanità che, quando è vinta dalla
bellezza, cresce anche in spiritualità e ricchezza d’animo.
-
Presenza straniera. Con diversa intensità, e diverse caratteristiche,
le nostre città e le nostre comunità hanno vissuto negli ultimi decenni l’intensificarsi della presenza straniera. In alcuni casi questa
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presenza ha addirittura cambiato la fisionomia dei nostri paesi. Talvolta -nei poli commerciali in particolare- si è determinata una vera
e propria simbiosi relativa all’attività produttiva che stenta però a
trasformarsi in relazioni comunitarie a livello sociale e civile. Non
mancano purtroppo situazioni di sfruttamento. In generale il rapporto tra la comunità italiana e gli stranieri presenti sul territorio
appare segnato, più che da forme di razzismo, da una sostanziale
indifferenza. Tra le pieghe della vita quotidiana, e talvolta anche a
livello di comunità ecclesiale e civile, si registrano però alcune esperienze di autentica amicizia e scambio culturale che fecondano il clima della convivenza nelle città. L’opportunità è enorme. La presenza straniera cattolica, se adeguatamente accolta. Può sicuramente
rinfrescare la nostra fede e le nostre comunità. E il confronto con i
credenti di altre religioni può aiutarci a sperimentare la possibilità di
costruire un mondo più giusto a partire dall’incontro di fedi diverse.
Per le caratteristiche che le derivano dalla sua storia, la Chiesa di
Nola può diventare laboratorio vivo di ecumenismo e dialogo interreligioso.
Di fronte a queste grandi trasformazioni, c’è bisogno di una Chiesa che sappia stare in mezzo e davanti. Una Chiesa che sappia stare in mezzo agli uomini e alle donne ma anche davanti. Stare davanti e non voltarsi, non voltarsi
di fronte all’ingiustizia e allo sfregio alla dignità ma nemmeno di fronte allo
scempio dell’ambiente, di fronte alle irregolarità amministrative. Saper denunciare con spirito di verità e non stancarsi di sollecitare all’assunzione di
criteri diversi. Una Chiesa che ricorda che il mondo è bello se è guardato con
gli occhi di Dio e se è vissuto secondo il suo disegno di amore. Una Chiesa
che sappia offrire una parola che libera la luce e genera speranza.
 I doni che abbiamo tra le mani
Non partiamo da zero. Di fronte alle sfide di questo tempo, e di questa terra, abbiamo tra le mani doni che sapientemente chi ci ha preceduti ha costruito, tutelato e promosso giorno dopo giorno. Li elenchiamo, in termini
essenziali:
-
Un legame religioso ancora vivo. Il nostro popolo ha subìto meno
di altri il forte impatto del secolarismo. I sociologi dicono che è solo
questione di tempo, che nel giro di pochi anni anche le nostre comunità saranno indifferenti o lontane dalla domanda che Dio pone
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alla nostra esistenza. Noi tendiamo a credere che non sia così. Le famiglie, anche molto giovani, vedono nella Chiesa, e nella formazione cristiana, una strada buona per il futuro dei loro figli. Può essere
letto come funzionalismo (“meglio in parrocchia che in strada”), ma
è un dato di fatto da cui partire che rende originale la nostra situazione ecclesiale (e in generale, quella del Sud Italia rispetto al Nord
e al resto d’Europa).
-
La sussidiarietà familiare. Ancora oggi, il nostro territorio è segnato
dalla forte attrattività del legame familiare. Anche se cominciano
a registrarsi segnali di accentuata precarietà nelle relazioni affettive, i giovani, tendenzialmente, non scappano dalla responsabilità di
unirsi per dare “più vita alla vita”, a volte affrontando con coraggio
le difficoltà materiali che si frappongono al loro progetto (la casa
e il lavoro). E, in questa fase di crisi acuta, decisiva è stata ed è la
solidarietà dei genitori e dei nonni, ancora capaci di fare sacrifici, di
non appiattirsi sul loro benessere per costruire il bene di chi viene
dopo. La famiglia gode ancora di centralità sia nel dibattito delle
istituzioni locali sia nel mondo-scuola. Questa peculiarità, che tuttavia mai può essere data per scontata e che comunque sconta alcuni
segni dei tempi, va investita in una Chiesa che educa guardando alla
pienezza di vita, e non ai ristretti orizzonti delle attività da portare
avanti.
-
La gratuità delle reti educative e caritative. Per quanto bistrattate,
le agenzie educative e caritative, nel nostro territorio, svolgono con
gratuità e passione un compito cruciale: accompagnare le persone
nelle diverse fasi e nei diversi passaggi della loro vita. Associazioni,
movimenti, comunità, gruppi, ecclesiali e non, sono un segno buono
di generosità e gratuità affascinante anche verso le nuove generazioni, che sa trovare canali positivi con la scuola e le famiglie. Anche
l’istituzione scolastica, e il corpo insegnanti, rappresentano nella nostra terra una ricchezza di passione che riesce a tirare fuori il meglio
dalle persone anche in territori difficili e in strutture scolastiche gravemente deficitarie in termini di vivibilità. Né va dimenticato l’apporto delle scuole di ispirazione cattolica, significativo esempio di una
progettualità educativa pensata in termini globali e nello stile dell’inclusione; e, più in generale, l’impegno formativo assicurato dagli ordini religiosi. Ma lo sforzo e la volontà dei singoli non può appagarci:
è compito della Chiesa quello di sostenere queste reti, di valorizzarle
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e di mettere in circolo le migliori competenze ed energie.
Facendo leva su questi doni, che derivano in buona parte dalla ricca tradizione di fede dei nostri paesi, e forte dell’annuncio di vita vera che le è affidato,
la Chiesa di Nola deve essere per il suo territorio la sentinella che ricorda ai
viandanti che “il mattino verrà”. Deve essere una Chiesa che sa amare: non
per regnare ma per servire. In questo tempo, che sembra talvolta una notte
senza fine, la Chiesa di Nola deve farsi sentinella con i fianchi cinti da un
grembiule e un catino pieno d’acqua nel quale rinfrescare i piedi di quanti
sono in cammino alla ricerca di qualcuno che indichi loro le stelle.
Chiediamoci allora:
Che sguardo abbiamo verso questo nostro tempo (“Beati i puri di cuore perché vedranno Dio”)? Quali sono le difficoltà e le risorse, le “finestre”, per
l’annuncio del Vangelo in questo tempo, nei luoghi in cui viviamo? Come si
configura la realtà di vita (culturale, sociale, ecclesiale..) in cui è immersa la
nostra comunità? Quali sono le trasformazioni in atto? Come potremmo
descrivere il nostro territorio? Che cosa vuol dire essere Chiesa e annunciare il Vangelo in questi luoghi? Quali sono, a nostro avviso, le priorità?
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1.b. Noi in questo tempo: il cammino della Chiesa di Nola
sommario
L’idea:
la nostra Chiesa diocesana è dentro questo tempo e in questi nostri
luoghi con una capacità di progettualità
Il cammino della nostra Chiesa diocesana e le linee di impegno pastorale
tracciate nel tempo.
L’orientamento di fondo e le idee guida.
Le difficoltà, le resistenze, i passi avanti e i fermenti positivi di cambiamento…
L’atteggiamento da maturare:
il senso di appartenenza (sentirsi parte di una storia di popolo: non si
comincia ogni volta dal nulla)
tempo
 Il cammino della nostra Chiesa diocesana: linee di impegno nel
Volendo tracciare le linee di fondo che hanno accompagnato il cammino
della Chiesa di Nola, partendo dagli anni del post-concilio, si potrebbe passare in breve rassegna l’impronta lasciata dal magistero dei Pastori che si
sono succeduti. Tenuto conto che vescovo di Nola durante il Concilio fu con
mons. Adofo Binni (1952/70), e che però gli ultimi anni della sua vita trascorsero in uno stato di grave malattia, nella nostra ricostruzione partiremo
dall’episcopato di mons. Guerino Grimaldi che fu designato nel 1970 quale
Amministratore apostolico della diocesi, per poi diventarne vescovo l’anno
successivo.
Mons. Guerino Grimaldi (1971-82), chiamato a tradurre nel concreto il Concilio, tesse il dialogo con la cultura del tempo; avvia gli Organi di partecipazione a livello diocesano e l’esperienza della Scuola di teologia; promuove
l’attenzione al sociale ed esperienze di impegno e dialogo culturale.
Mons. Giuseppe Costanzo (1982-89) cura e promuove con particolare attenzione l’apostolato dei laici; sottolinea la centralità della Parola di Dio e
dà avvio a scuole di preghiera come ascolto della Parola; intesse rapporti di
visita e vicinanza con le comunità parrocchiali; istituisce la “mensa di fraternità” a Nola; introduce alla nuova mentalità dell’Istituto centrale del Sostentamento del clero; promuove i grandi temi conciliari: l’ascolto, il dialogo, la
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comunione, la Chiesa; avvia lo stile e l’esperienza dei piani pastorali annuali
per affrontare le urgenze della testimonianza della fede e per ridare identità
alle comunità credenti.
Mons. Umberto Tramma (1990-99) individua nel mondo degli adulti il campo di un nuovo impegno di evangelizzazione e annuncio; apre gli orizzonti
della Chiesa diocesana alla missione e in particolar modo all’esperienza in
Albania; promuove la collaborazione tra i diversi uffici della pastorale per integrarne l’azione; ridisegna l’impegno caritativo e ne promuove la capillare
presenza nelle parrocchie; dopo una visita pastorale a livello decanale, indice il Sinodo della Chiesa di Nola che non sarà portato però a compimento.
 L’episcopato di mons. Depalma (dal 1999 ad oggi)
Nei primi 5 anni, il rilancio dei Consigli di partecipazione e il lavoro integrato
degli uffici per una pastorale unitaria.
2004-2005, Missione popolare e Anno del vangelo: coinvolgimento di 1000
laici per l’evangelizzazione attraverso i centri di ascolto.
Semina Verbi: la proposta della lectio divina nella vita delle parrocchie (almeno nei tempi forti, ma anche come appuntamento mensile o settimanale
fisso). La sensibilità alla Parola è un dato oggettivo maturato nell’esperienza
ecclesiale diocesana.
La forte insistenza sulle responsabilità educative della comunità ecclesiale
e l’invito a riscoprire la bellezza dell’educare. La sollecitazione ad attivare
nuove esperienze per la trasmissione della fede.
2006-20011, il tempo di grazia della visita pastorale: l’incontro del vescovo
con le comunità, ritrovarsi Chiesa intorno al proprio pastore nell’ascolto della Parola, nella celebrazione dell’Eucarestia, nell’avvertirsi dono gli uni per
gli altri; le sollecitazioni offerte per una parrocchia capace di incarnare il modello di Chiesa del Vaticano II; la promozione della corresponsabilità laicale.
L’avvio di una nuova riflessione intorno all’iniziazione cristiana: la possibilità di sperimentare cammini differenziati e forme nuove di coinvolgimento
delle famiglie.
La gratuità dei servizi ecclesiali (non ci sono tariffe per la celebrazione dei
sacramenti).
L’attenzione alle forme della religiosità popolare: ripensare le feste parrocchiali con uno stile evangelico.
Il cammino di comunione e di corresponsabilità delle aggregazioni laicali.
L’urgenza della formazione degli operatori pastorali e la proposta di un percorso di studi teologici attraverso Istituto superiore di scienze religiose.
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La cura per una fede pensata e l’investimento di risorse nell’Issr della diocesi.
L’attenzione alla famiglia: la cura per i percorsi in preparazione al sacramento del Matrimonio con gli incontri per i fidanzati ogni anno in ogni zona della
diocesi. L’invito a riscoprire la famiglia come primo e naturale luogo per la
trasmissione della vita e della fede.
La testimonianza nel mondo della scuola: gli incontri della pastorale scolastica, il coordinamento degli insegnanti di religione.
L’attenzioni al mondo del lavoro, ai suoi drammi e alle sue speranze.
La difesa dell’ambiente e il richiamo ad uno sviluppo sostenibile: la denuncia
delle infiltrazioni camorristiche e delle responsabilità amministrative, l’impegno delle aggregazioni laicali, i pronunciamenti ufficiali, il sostegno alla
lotta contro la rassegnazione e l’ignoranza.
La Scuola diocesana di formazione socio-politica: riscoprire la fecondità della Dottrina Sociale della Chiesa.
Dal 2012, il cammino per il sinodo: per una Chiesa tutta sinodale
 L’orientamento di fondo delle scelte operate dalla Chiesa diocesana con mons. Depalma; le difficoltà e le resistenze incontrate
Da questa breve ed essenziale ricostruzione, emerge l’orientamento di fondo dell’episcopato di mons. Depalma: lo sforzo di pensarci come una Chiesa
missionaria che ha a cuore l’uomo e la sua vita; la scelta di puntare non tanto sulle cose da fare quanto su atteggiamenti da maturare. Una questione
di stile.
Nel procedere in questa direzione si sono riscontrate alcune difficoltà e resistenze:
• la richiesta insistente di “norme” che liberino dalla fatica e dalla responsabilità del discernimento;
• la tendenza ad analisi disfattiste;
• la difficoltà a cogliersi in un territorio specifico;
• la ricerca di risultati immediati e la fatica nel vivere la pazienza di un
cammino comune;
• la difficoltà ad accogliere le proposte cogliendone il senso d’insieme
e a legarle fra loro come momenti di un unico cammino;
• la difficoltà a fare memoria e a inserirsi in una storia;
• l’individualismo pastorale
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Chiediamoci allora:
Come educarci ad una lettura d’insieme? Come non perdere la memoria
del cammino già fatto? Quale conoscenza abbiamo della storia della nostra
Chiesa diocesana e delle nostre comunità? Quanto sappiamo valorizzarla e
farne tesoro? Sappiamo riconoscere che non tutto inizia con noi e che non si
comincia ogni volta daccapo? Gli eventi che oggi viviamo -la “crisi” economica le trasformazioni culturali e sociali-, quanto hanno provocato la vita della
nostra comunità, a quale sensibilità ci hanno aperto? L’esperienza vissuta e
lo stile respirato nella Visita Pastorale quanto ha contribuito a ripensare la
vita ordinaria e straordinaria della nostra comunità? Riusciamo ad avvertirci
dentro una storia che è più grande di noi e ci precede: la storia della Salvezza, ossia la storia dell’amore di Dio per l’uomo?
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2. Per una Chiesa che ascolta:
L’icona biblica:
“Erano assidui nell’ascoltare…”
sommario
L’idea:
l’uomo è fatto di ascolto e la fede nasce dall’ascolto
La centralità della Parola; l’ascolto della vita e del tempo; l’ascolto come
stile e come vita concreta; il linguaggio e i linguaggi: come cambia il modo
di comunicare.
Comunicare la fede richiede la testimonianza della vita ed esige il curare la
formazione accompagnando e sostenendo la vita delle persone.
L’atteggiamento da maturare:
l’accoglienza
Ascoltare la Parola e ascoltare la vita per una nuova progettazione pastorale
La Rivelazione è locutio Dei ad homines, vale a dire il “parlare” di Dio agli uomini. L’atteggiamento dell’ascolto è la caratteristica fondamentale dell’uomo
che si apre alla relazione salvante con il Signore. L’ascolto di Cristo, sacramento del Padre (un ascolto che fiorisce nelle opere) caratterizza il discepolo e garantisce la relazione profonda con Gesù. “Signore da chi andremo? Tu
hai parole di vita eterna” (Gv 10, 3). Pastori e gregge, tutti noi siamo chiamati
ad essere discepoli della Parola. La comunità cresce con la disponibilità, da
parte di tutti, a lasciarsi plasmare dalla Parola di Dio, a lasciarsi sempre riformare, per assumere un aspetto sempre fresco, sempre nuovo, sempre
più bello, quale si addice alla sposa di Cristo.
All’ascolto della Parola deve affiancarsi, come sua naturale derivazione, l’ascolto della vita delle persone. Esperta in umanità e spinta o, per meglio
dire, “totalmente occupata” dalla carità di Cristo (cfr 2Cor 5, 14), la Chiesa
ascolta la vita degli uomini e, di volta in volta, offre le risposte più adatte
suggeritele dallo Spirito. L’ascolto, congiunto a una sempre maggiore lucidità di sguardo, dono dello Spirito, rientra in quella scrutazione dei “segni dei
tempi” che è dovere permanente della Chiesa. Esemplare a tale proposito
è l’atteggiamento di san Paolino che scrive testualmente: “pendiamo dalla
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bocca di tutti i fedeli, poiché in ogni fedele soffia lo spirito di Dio” (Ep. 23, 36
a Severo).
L’attitudine ad un ascolto attento e cordiale, tuttavia, non deve condurre la
Chiesa ad assumere acriticamente tutto quanto il mondo esprime: “[…] i discepoli di Cristo devono avere anche il coraggio della ‘differenza’, dell’essere
sale della terra, capaci di dare sapore alla vita umana e di impegnarsi per
l’umanizzazione e l’autentica libertà di tutti” (E. Bianchi, La Stampa, 23.02.2014).
C’è un rapporto strettissimo tra l’ascolto della Parola e l’ascolto della vita
delle persone. Solo se educati alla scuola della Parola sappiamo ascoltare
la vita in profondità e d’altra parte non ascoltiamo veramente la Parola se
non ci lasciamo interpellare dalla vita, perché è nella vita e nella storia che il
Signore continua a parlare. Ascoltare vuol dire incontrare, passare del tempo con le persone, perché ogni persona è una storia ricca di domande. Ogni
uomo è una sorpresa che Dio ci manda. Per questo bisogna deporre ogni
atteggiamento di chiusura, la tendenza al giudizio senza appello, e assumere
piuttosto un atteggiamento di benevolenza che ci rende capaci di scorgere
la presenza del Signore nel cuore e nella vita dell’altro. L’accoglienza deve
diventare lo stile della comunità che deve poter essere riconosciuta come
luogo in cui nessuno si sente escluso o di troppo. La Chiesa più che annunciare la Parola è parola di Dio con il suo stile, il suo modo di stare in mezzo
agli uomini, come Gesù.
 La Parola, le parole e le sfide della comunicazione
Dall’ascolto scaturiscono parole vere. La parola è un evento serio. Occorre
evitare il vuoto verbalismo.
Si tratta allora di ripensare la nostra progettazione pastorale a partire da
questo duplice ascolto: l’ascolto della Parola e l’ascolto della vita delle persone che il Signore ci affida. Ripensarne i tempi, i modi, le forme, perché
sappiano intercettare storie e situazioni diverse accogliendone le domande
più profonde.
Tanto Israele quanto la Chiesa hanno sempre parlato il linguaggio degli uomini del proprio tempo. Già nel II secolo a.C. gli ebrei hanno avvertito la
necessità di tradurre in greco l’Antico testamento ebraico, dando origine alla
versione che va sotto il nome di “Settanta” (LXX), la quale rappresentò la più
grande operazione linguistica e culturale dell’epoca ellenistica, consenten17
do, tanto agli ebrei grecofoni quanto ai pagani, di poter leggere agevolmente i libri sacri. E fu la lingua greca parlata nel bacino del Mediterraneo, ad
essere scelta dagli autori del Nuovo testamento per tradurre e diffondere
l’Evangelo. Già dal secolo II d.C., poi, l’AT greco e il NT cominciarono ad essere tradotti in latino dando origine a quel variegato “corpus” di traduzioni
che va sotto il nome di Vetus Latina e che sarà la base del latino cristiano
della liturgia e dei Padri occidentali. Si può dunque affermare che la Parola
non solo si è fatta carne ma si è fatta, bensì, “parole”, essendo stata tradotta
nelle parole degli uomini.
Non possiamo perciò ignorare le trasformazioni che oggi attraversano il
linguaggio e la comunicazione tra le persone. L’enorme capacità di coinvolgimento dei social network deve spingerci a interrogarci sul crescente
desiderio di comunicazione e di relazione che è nel nostro tempo e a imparare a rapportarci ai nuovi luoghi della parola (che possono unire o dividere,
creare comunione o distruggere) come luoghi da abitare più che semplici
strumenti da usare. Come credenti siamo chiamati a leggere in profondità
le trasformazioni evitando condanne sommarie ma anche pericolosi scimmiottamenti. È soprattutto la potenzialità di bene che è insita nelle trasformazioni quella che occorre contribuire a far emergere. Nel caso specifico è
il bisogno di comunicare e la sete di relazioni ciò che costituisce il motivo da
cui partire e su cui far leva. Questo implica un’assunzione di responsabilità
e un impegno educativo che aiuti a non vivere passivamente il nuovo che
emerge e metta in guardia dalle possibili deformazioni.
Chiediamoci allora:
Come ritrovare la centralità della Parola nella vita della nostra comunità e
che cosa questo concretamente significa? Come ripensare i tempi e i modi
delle nostre comunità perché siano accoglienti della vita delle persone?
Quale cura riserviamo alla crescita nella fede delle persone? Avvertiamo
come comunità parrocchiale la responsabilità di generare alla fede? Quali
percorsi formativi siamo in grado di offrire per interiorizzare la fede? Sappiamo differenziare, e talvolta anche personalizzare, i cammini nell’educazione
alla fede? Quanto sappiamo valorizzare e armonizzare i percorsi formativi
delle associazioni, gruppi e movimenti presenti nella vita della comunità?
Ci lasciamo interpellare dalla realtà di vita del nostro territorio nella progettazione pastorale? Quanto siamo capaci di intercettare e di educare i nuovi
linguaggi?
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3. Per una Chiesa che rende lode
L’Icona biblica:
“Erano assidui…nella frazione del pane e nelle preghiere”
L’idea:
la liturgia è santificazione della vita. Nella preghiera è data la chiave
di comprensione del reale
L’atteggiamento da maturare:
la gratitudine, la docilità a lasciarsi amare gratuitamente
 Liturgia ed evangelizzazione
Una Chiesa che rende lode è una Chiesa che, innanzitutto, riceve, riconosce
e accoglie con gratitudine la propria identità di “stirpe eletta, nazione santa,
popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose di Lui”.
La liturgia conserva la Chiesa nella sua consapevolezza di essere “dall’alto”
e, insieme, di essere “nel mondo”, segno e strumento del progetto salvifico
di Dio.
Immersi in una cultura secolarizzata che riconosce nel “mercato” l’unica logica stringente e vincente, i cristiani che celebrano la liturgia diventano perciò testimoni e profeti di gratuità e di dono, proclamano nella lode il primato
di Dio e della sua misericordia e riscoprono l’autentico fondamento del vivere. Una Chiesa che non celebra smette di essere Chiesa per trasformarsi
in una organizzazione assistenziale o in un’associazione religiosa. “L’evangelizzazione non si esaurisce nella predicazione e nell’insegnamento di una
dottrina. Essa deve raggiungere la vita. […] Il compito dell’evangelizzazione
è precisamente quello di educare nella fede in modo tale che essa conduca
ciascun cristiano a vivere i Sacramenti come veri Sacramenti della fede, e
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sommario
La liturgia è evento di vita. I sacramenti sono gesti di vita, in essi la vita di Dio
entra nella storia dell’uomo divinizzandola. Aver cura della liturgia e della
celebrazione dei sacramenti: far cogliere la grazia di Dio che trasforma e
rigenera. La celebrazione dei sacramenti è momento privilegiato di evangelizzazione e di primo annuncio. Nello stesso tempo occorre però riflettere
adeguatamente sui criteri e sui percorsi da attivare per l’amministrazione
dei sacramenti. Il valore della religiosità popolare da accogliere ed educare.
La necessità di insegnare a pregare, di aiutare a ritrovare spazi di raccoglimento e di silenzio orante.
non a riceverli passivamente, o a subirli” (Evangelii nuntiandi n. 47). Tra la liturgia
e la vita non c’è una porta sbarrata ma una porta aperta: dalla liturgia scaturisce lo Spirito che anima tutta la vita. I sacramenti sono esplosione della
Pasqua del Signore e la Pasqua è vita nuova, speranza, libertà, pienezza. Nei
sacramenti la vita di Dio entra nella storia dell’uomo divinizzandola.
Le nostre comunità parrocchiali, che talvolta sperimentano il moltiplicarsi
quantitativo e confuso di celebrazioni e di atti di culto, avvertono sempre
più l’esigenza di una educazione liturgica che disponga alla comprensione
della celebrazione - del suo simbolismo, del suo significato più profondo
- ma che disponga anche al silenzio e alla preghiera fatta di ascolto e di contemplazione così che accanto all’azione pubblica sia garantito lo spazio per
la maturazione e l’esperienza personale dell’incontro con Dio. D’altra parte,
il dono dello Spirito santo, invocato e ricevuto in ogni celebrazione liturgica,
è finalizzato solo e proprio a questo: a fare di tutti noi “un sacrificio vivente
a Dio gradito” (cfr. preghiera eucaristica III) innestandoci sempre più profondamente nella vita di Dio in Cristo Gesù. Qui trova il suo fondamento lo stretto
e necessario rapporto tra sacerdozio ordinato dei vescovi e dei presbiteri e il
sacerdozio battesimale dei fedeli: il primo è, appunto, “ordinato” al secondo
e lo rende possibile quale fine di tutta l’azione della Chiesa. La partecipazione attiva dei fedeli alla liturgia, il coinvolgimento di tutti nella celebrazione
nella diversità del ministero di ciascuno non può ridursi allora a espediente
coreografico o a servizio funzionale, ma appartiene alla verità della liturgia,
preghiera pubblica di Cristo e di tutto il suo popolo ed esprime la realtà di
una Chiesa tutta ministeriale.
La domenica, giorno del Signore, memoriale della sua Risurrezione, è il centro della vita liturgica della comunità cristiana, fondamento e nucleo di tutto
l’anno liturgico. Essa è la Festa cristiana primordiale, di cui occorre ritrovare
il senso in un tempo nel quale l’ideologia del mercato e del lavoro produttivo a tutti i costi oscura il valore della festa come spazio di gratuità e quindi
di dignità per l’uomo, la famiglia e i rapporti sociali. Giorno del Signore, essa
è anche il giorno della comunità: la festa cristiana non è fuga né distrazione,
ma ospitalità e condivisione fraterna, specie con i più poveri e bisognosi.
 Una necessaria conversione dei percorsi di preparazione ai sacramenti
Poiché “cristiani non si nasce ma si diventa” è necessario riscoprire la forza
educativa (mistagogica) di una liturgia ben preparata e celebrata, che conduce all’incontro vivo e vero con il Signore che salva, per poterlo poi testimoniare nella vita. In particolare, occorre riflettere attentamente sulla cele20
brazione dei sacramenti. Nella nostra diocesi è tuttora molto alto, grazie a
Dio, il numero di coloro che chiedono i sacramenti dell’Iniziazione cristiana
(Battesimo, Cresima, Eucaristia) e desiderano ancora sposarsi in Chiesa. Tale
richiesta può essere spesso inquinata da motivazioni non sempre autenticamente evangeliche; anzi, talvolta, essa nasce da conformismi superficiali
ed abitudini tradizionali e/o sociali. Chiedere di battezzare i propri figli o di
sposarsi in chiesa risponde, in certe circostanze, più al pigro collocarsi in una
tradizione familiare, culturale e sociale che alla responsabile condivisione
di una visione e di un cammino di fede. Queste considerazioni, però, pur
condivise dolorosamente da tanti nostri operatori pastorali e comunità parrocchiali, non escludono la possibilità di poter trasformare tali richieste in
provvidenziali occasioni per accendere o riaccendere il desiderio di un percorso personale che ritrovi le motivazioni profonde del credere e del vivere.
È chiaro che, perché ciò accada, occorre che l’intera comunità parrocchiale,
e in particolare il parroco con i suoi catechisti, riscopra la sua vocazione
all’educazione e alla formazione alla fede e ripensi forme, tempi e itinerari
di catechesi impegnandosi per una “pastorale dell’accoglienza” unita a uno
“stile di gratuità”, che non svenda nulla ma nemmeno venda a caro prezzo
la grazia di Dio. L’incontro con Cristo e con la sua Chiesa, che per tanti avviene ormai unicamente in questi momenti, se ben presentato e favorito,
può essere il primo passo per un “ritorno a casa”, quella casa da cui ci si è
allontanati forse, anche a causa di porte chiuse troppo in fretta.
 La cura della religiosità popolare
Una riflessione intelligente e condivisa va rivolta anche al diffuso e complesso ambito della religiosità popolare, risorsa preziosa del vissuto ecclesiale del nostro territorio ma anche spazio esposto ad influenze ambigue
ed estranee, quando non contrarie al Vangelo. Non si tratta qui di sradicare
violentemente tradizioni e usanze care al nostro popolo e che per tanti, specialmente i più poveri, e per tanto tempo, hanno costituito il terreno buono
e fertile in cui è stata seminata ed è cresciuta la fede, portando frutti di
carità e perseveranza fino ad oggi. Feste, tridui, novene, processioni, pellegrinaggi, pii esercizi restano per buona parte del nostro popolo il linguaggio
semplice e sincero in cui si esprime il desiderio appassionato di Dio e l’obbedienza paziente alla sua volontà nelle situazioni liete e tristi della vita. Una
pastorale rispettosa dell’uomo e di tutto l’uomo non può impunemente e
aristocraticamente trascurare o disprezzare questo patrimonio inestimabile
di pietà, di sentimenti, di cultura e di vita. Tale cura, però, oltre a conservare
e promuovere tutto il positivo, non può e non deve nasconderne l’ambiguità
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e, talvolta, il negativo che caratterizzano ogni fenomeno che nasce dal cuore umano. Un discernimento si impone. Pratiche superstiziose e magiche,
gestioni clientelari e prive di ogni riferimento ecclesiale, sprechi di denaro
privato e pubblico che tanto esaltano il protagonismo di pochi quanto offendono la povertà di molti, genuine e originarie motivazioni religiose ridotte a
pretesto per la vanità e l’apparenza di un gruppo, processioni trasformate in
questua e raccolte di soldi, immagini sacre tramutate in oggetti portafortuna e scaramantici: questo ed altro chiede una presa di posizione chiara che
proponga e difenda, rispettosamente ma decisamente, i diritti del Vangelo
e i doveri della verità e della carità. La doverosa disponibilità pastorale non
può e non deve mai tradursi in pigra o, peggio, interessata connivenza: ne
risentirebbero la chiarezza della fede, di cui la Chiesa è debitrice al mondo,
e la trasparente testimonianza della comunità parrocchiale.
Una menzione particolare meritano poi i gruppi di preghiera presenti in
maniera diffusa nell’esperienza ecclesiale diocesana. Questi gruppi esprimono, ognuno a suo modo, ansie di fede e di invocazione. Nascono da motivazioni di ordine psicologico e spirituale spesso mescolate tra di loro: c’è
l’esigenza di esprimere se stessi, la ricerca di ciò che è pacificante, l’istanza
di non sentirsi isolati, di compensarsi di fronte ad ambienti ecclesiali talora
impersonali e indisponibili, ma c’è spesso anche un senso vivo di Chiesa, il
senso della bellezza e del valore della preghiera. Accogliere le esperienze di
gruppo che lo Spirito suscita nella Chiesa è un dovere ecclesiale e rispetto
ad esse è richiesto un clima di fraternità e di paternità responsabile. A loro
volta però i gruppi non possono essere da sé e per sé in modo indipendente
e prendere distanza dalle comunità parrocchiali. Va ricordato che pur nella
sua densità la preghiera si connette e si completa con la vita della liturgia
e con la testimonianza personale e comunitaria del servizio e che il vincolo
con la comunità parrocchiale garantisce la continuità e la completezza del
vivere cristiano.
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Chiediamoci allora:
Quale consapevolezza abbiamo di essere comunità radunata intorno al Signore risorto, che è presenza viva e reale nella celebrazione liturgica? La celebrazione dell’Eucarestia viene avvertita come “culmine e fonte” della vita
della Chiesa e della nostra vita di credenti? Come viene preparata e vissuta
la liturgia? Le nostre liturgie riescono ad esprimere la bellezza del mistero
senza ridurla ad estetismo o a coreografia e senza cadere nella sciatteria?
Come viene coinvolta l’assemblea? Quali attenzioni educative poniamo per
smantellare l’idea che i sacramenti possano essere “beni da comprare”?
Come sono impostati i nostri percorsi di preparazione ai sacramenti: contribuiscono a inserire nella vita di fede della comunità; esprimono l’attenzione
alle diverse situazioni di vita; sollecitano all’assunzione di uno stile evangelico nell’esistenza quotidiana? C’è un “dopo” di cui la comunità continua
ad avere cura? Educhiamo a pregare e al senso religioso della vita? Quale
attenzione e quale cura riserviamo alla religiosità popolare?
23
4. Per una Chiesa capace di comunione
L’icona biblica:
“Erano assidui… nell’unione fraterna”
sommario
L’idea:
la comunione è dono di Dio, tutto ciò che la Chiesa compie è epifania
(manifestazione) di questo dono.
La Chiesa è, in mezzo agli uomini, sacramento ossia segno e strumento di
comunione. La diversità dei doni suscitati dallo Spirito e la tensione all’unità.
Le fatiche della comunione in mezzo a noi e intorno a noi. Riconoscersi figli
per vivere da fratelli. La fraternità nasce dalla paternità. Il ministero episcopale e la diocesanità. Imparare ad essere popolo: la reciprocità delle vocazioni e dei ministeri, lo stile dell’incontro e dell’inclusione. Essere fermento
sul territorio.
Atteggiamento da maturare:
con il cuore aperto
 La Chiesa è sacramento di comunione
La Chiesa “è un popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo (LG, 4)”. La comunione tra i credenti è fondata sulla comunione trinitaria. La comunità ecclesiale nasce e vive grazie al dono dello Spirito: questa è
la sua vera origine e la ragione del suo esistere.
Non si può comprendere la comunione di cui è chiamata a vivere la comunità ecclesiale con tutti i suoi carismi e ministeri se non si percepisce in profondità questa azione di Dio. Lo Spirito suscita nella Chiesa una diversità di
doni che, avendo la loro origine nella comunione divina, tendono di per sé
all’unità. Ciò che fa della diversità una ricchezza nella vita della Chiesa è questa tensione all’unità che costituisce anche il criterio per riconoscere i doni
dello Spirito ed è lo stile che ci è chiesto di assumere per non disperdere la
grazia di Dio.
Radicata nella profondità del mistero di Dio, una sola cosa con il suo Signore,
la Chiesa è corpo di Cristo. Essa è chiamata ad essere nella concretezza della
vicenda umana “sacramento”, ossia segno e strumento, “dell’intima unione
con Dio e dell’unità di tutto il genere umano”. È chiamata cioè a rendere
visibile la vita di Dio che è vita di comunione e ad introdurci in essa, perché
sia sempre di più la nostra vita, il respiro e la stoffa della vita di ogni uomo
e di tutti gli uomini. In tutto ciò che è e che fa, la Chiesa deve poter ricorda24
re agli uomini che siamo fatti per la comunione e che la nostra umanità si
realizza pienamente soltanto in questa esperienza. Compito della Chiesa è
custodire il desiderio di comunione insito nel cuore dell’uomo, contribuire
ad alimentarlo, cercare, stando in mezzo agli uomini, le strade che consentano di realizzarlo. È questo il senso del suo essere anticipazione del Regno,
interamente volta all’edificazione del Regno di Dio il cui compimento essa
non smette di invocare.
 Le “tentazioni” che ostacolano la comunione
Tutto ciò che contribuisce alla comunione, che fa crescere l’unità, deve stare
a cuore alla Chiesa. In tal senso essa è chiamata ad offrire di sè una limpida immagine, non offuscata da divisioni che contraddicono l’annuncio del
Vangelo, ma anche ad intercettare la ricerca della comunione che emerge
dalla concretezza dell’esistenza e tra le pieghe della storia. Perchè questo sia
possibile occorre però avere lucida coscienza degli ostacoli e delle fatiche
che la tensione alla comunione sperimenta talvolta fino ad esserne fiaccata.
Non vale qui la distinzione tra ciò che è dentro la Chiesa e ciò che accade al
di fuori. La fatica della comunione, che è la fatica dell’incontro, del dialogo,
della relazione, è la stessa dentro e fuori la Chiesa.
Il tempo che viviamo lascia emergere una enorme sete di relazione ma anche una altrettanto enorme fatica nel viverla. Sono forti la spinta a funzionalizzare le relazioni, , la difficoltà a pensarle in termini di stabilità, di dedizione, di cura, la tentazione dell’individualismo. Così anche nella Chiesa si
fa fatica a vivere la condivisione, l’essere insieme, gli uni con gli altri e gli uni
per gli altri. Sono tanti gli individualismi che avvelenano la vita delle nostre
comunità ed è forte il rischio di guardare alle persone solo relativamente
alla funzione che possono svolgere. C’è il rischio di incapsulare nei ruoli, di
sclerotizzare equilibri e rapporti fino a farne un sistema di potere, il rischio
del clericalismo e di forme di autoritarismo che sostituiscono un carente
senso della paternità, così come il rischio di atteggiamenti di passività gregaria o di sterile rivendicazionismo. Facciamo fatica a camminare insieme,
ad operare insieme, a credere e sperare insieme, nella Chiesa come nelle
tante situazioni e nei luoghi in cui si costruisce la vita di ciascuno.
 Riconoscersi figli
Molte volte all’origine di questa fatica c’è l’incapacità di ascoltare veramente
ciò che ci portiamo nel cuore, ciò che muove nel profondo la nostra vita, c’è
un fermarsi in superfice, un prosciugarsi della vita interiore, una traballante
vita spirituale. Se non sappiamo vivere la fraternità è perchè non sappia25
mo riconoscerci figli e vivere da figli, perché pensiamo di poter bastare a
noi stessi e di trovare unicamente in noi stessi il principio di ciò che siamo.
All’origine della fatica nella relazione c’è il grande male dell’autoreferenzialità, quel far centro unicamente su di sé, che rende fragili i nostri rapporti e
prima di tutto il nostro rapporto con Dio.
Specchio di tale situazione è la difficoltà a vivere la comunione e a riconoscersi Chiesa intorno al vescovo, a “colui che nella Chiesa tiene il posto di
Dio” (Sant’Ignazio di Antiochia). Il vescovo esercita il ministero apostolico che è
principio visibile dell’unità nella chiesa locale. Senza riconoscere tale principio non c’è fraternità.
La Parola, l’Eucarestia e il ministero apostolico, che continua attraverso i
vescovi, sono le colonne della Chiesa, di quella Chiesa che è presente nella
sua pienezza, in questo luogo e in questo tempo, nella realtà della Chiesa
locale. Dove c’è il vescovo lì c’è la Chiesa.
 Imparare ad essere popolo
Le parrocchie devono poter riflettere il volto della Chiesa locale e non essere
ciascuna una realtà a sé che si vive in maniera autonoma e autoreferenziale. Se non c’è il senso vivo della diocesanità non c’è autentica coscienza di
Chiesa. Questo esige l’impegno a ritrovarsi e a modificare, se necessario, il
proprio passo per poter procedere insieme. Radicata in un territorio, immersa nel tempo, la Chiesa locale deve potersi avvertire come popolo di
Dio in cammino. In tale cammino, più che le corse in avanti o il fulgore di
protagonismi solitari, vale il procedere insieme avendo a cuore che nessuno
resti indietro o ai margini della strada.
E nel cammino di una Chiesa che si riscopre popolo e impara ad essere tale
non ci sono soltanto quanti si dedicano stabilmente e a diversi livelli alla vita
della comunità. Le porte delle nostre chiese, della nostra chiesa diocesana,
devono poter rimanere costantemente aperte per accogliere chiunque cerchi il Signore e per poter imparare ad avere a cuore sempre di più ciò che
accade per le strade, la vita dei nostri paesi, le storie delle persone concrete
attraverso le quali passa l’unica grande storia dell’amore di Dio per l’uomo.
La bellezza di una Chiesa che è icona della Trinità deve risplendere nella sua
capacità di incontro, di condivisione , di inclusione.
 Il tutto e le parti
Così anche nel costruirsi della vita della comunità occorre che le diverse vocazioni in essa presenti (presbiterii e diaconi, laici, consacrate e consacrati)
e i diversi ministeri ordinati e non siano vissuti in un’armonia d’insieme che
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faccia risaltare il valore essenziale di ciascuna vocazione e di ogni ministero, e nello stesso tempo ricordi che il tutto è più importante della parte e
che la parte ha senso solo in relazione al tutto. Particolare attenzione deve
essere posta in tal senso alla promozione di una consapevolezza laicale che
riscopra come radicata nel battesimo la responsabilità dei laici nell’annuncio
del vangelo e nell’edificazione della Chiesa. La formazione ad una autentica
corresponsabilità che valorizzi l’apporto dei laici è fondamentale perché si
dia vita di Chiesa e perché gli stessi presbiteri acquistino più chiara consapevolezza del ministero loro affidato. È veramente incisiva la testimonianza di
una Chiesa in cui si impara a vivere del dono ricevuto nell’accoglienza grata
del dono dell’altro e nel sostegno reciproco.
 Fermento che fa lievitare la pasta
Una Chiesa che acquisti coscienza di sé, che abbia il coraggio di rinnovare se
stessa, che accetti di mettersi in cammino percorrendo la via del dialogo e
dell’incontro, può essere veramente segno luminoso di una comunione possible. Una comunione che viene dall’alto, dal cuore di Dio, dal suo disegno di
salvezza e ad esso conduce, ma che chiede di prendere il volto delle nostre
relazioni, dei legami del Vangelo, dei legami di vita buona, prima ancora e
oltre la possible sclerotizzazione dei ruoli. Una Chiesa capace di camminare
in questa direzione diventa veramente fermento che intercetta e rilancia
ogni germe di comunione, ogni ansia di relazione che affiora nella vita del
territorio, rispondendo così alla missione che il Signore Gesù le ha affidato
unendola a sé.
Chiediamoci allora:
Siamo consapevoli che la comunione di cui la Chiesa vive è dono di Dio da
accogliere e custodire e da non smettere di invocare? Siamo altresì consapevoli che questo dono è dato alla Chiesa perché cresca la comunione nella
vita degli uomini? Come stanno cambiando le relazioni intorno a noi e in
quale direzione? Quali fatiche incontra la comunione tra di noi e intorno
a noi? Siamo consapevoli che la divisione nella Chiesa è scandalo, pietra
che appesantisce e frena l’impegno dell’evangelizzazione? Cosa vuol dire
riconoscersi figli e perciò fratelli? Quale senso abbiamo della diocesanità?
Sappiamo essere popolo, procedere insieme sentendoci corresponsabili in
un cammino comune? C’è una adeguata valorizzazione della diversità delle
vocazioni, dei carismi e dei ministeri, nella capacità di procedere insieme?
Come comunità ecclesiale riusciamo ad essere fermento di comunione lì
dove siamo?
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5. Per una Chiesa che serve
L’icona biblica:
“ chi aveva proprietà e sostanze …ne faceva parte a tutti”
sommario
L’idea:
una Chiesa che è fiaccola lungo il cammino
Ciò che guida la Chiesa è un amore immenso per l’uomo, l’amore che è di
Cristo Gesù. Essere come il samaritano… L’impegno per costruire un mondo
più giusto e fraterno. Nulla di quello che abbiamo ci appartiene. La vita diventa vera quando è spesa per gli altri, quando si fa condivisione. Saper riconoscere ogni frammento di bene ovunque sia, ricordando che il bene ha la
sua unica sorgente in Dio. Una Chiesa che aiuta l’umano a fiorire valorizzando ogni esperienza che contribuisce autenticamente alla crescita dell’uomo.
Imparare a guardarsi intorno e a tessere reti di bene. La corresponsabilità è
un modo evangelico e profondamente umano di avvertirsi come persone e
di vivere le relazioni. Alcune sfide da vivere in modo comunitario: l’educazione, la famiglia, l’impegno socio-politico, ambientale e culturale, la scelta
preferenziale per i poveri, l’attenzione alle fragilità.
Atteggiamento da maturare:
la gratuità e la corresponsabilità
 Servi dell’uomo per amore
La Chiesa è a servizio dell’uomo perché ciò che la guida è un amore immenso per l’uomo, quello stesso amore che è di Cristo Gesù. Una comunità
potrà dirsi davvero “cristiana” se ha in Cristo il suo esempio e modello. Il
servizio non è, perciò, la mera “azione”. Essere “servo” significa dedicare
tempo, energie, capacità a qualcuno o a qualcosa considerato come “superiore” e dunque come valore da custodire, da far risplendere. Il servizio è
allora innanzitutto uno “stile”. Se non sono sorrette da questo stile le “azioni” possono moltiplicarsi, possono anche “emozionarci”, dare il senso della
dinamicità, ma non riescono a muovere veramente la vita delle persone,
delle comunità e dei territori. Al di là delle cose da fare, da organizzare, ci è
chiesto invece come Chiesa (laici, religiosi/e, diaconi, sacerdoti) di riscoprire
lo stile propriamente evangelico di una vita vissuta per gli altri.
Il servizio è, primariamente, la consapevolezza che tutto quello che abbiamo ci è dato e che per questo la vita diventa vera solo quando è spesa per gli
altri, quando si fa condivisione sullo stile del “buon Samaritano”.
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Si tratta allora, per ciascuno, di comprendere quale servizio Dio gli chiede
per amore del prossimo, e di accettare di esercitare questo servizio con
umiltà. E il nostro prossimo lo troviamo accanto a noi: nelle nostre famiglie
come nelle nostre parrocchie; nel vicinato e sul luogo di lavoro; infine, lì
dove lo Spirito spinge le nostre esistenze, in quel “mondo” dove siamo chiamati a far risplendere la luce di Cristo, Buon Samaritano del mondo, che si
riflette sul volto della sua Chiesa.
 Formarsi al servizio e attraverso il servizio
Il comando del servizio vicendevole, espresso da Gesù in più occasioni (cfr.
Gv 13,14-17; Mt 23,8-12) raggiunge in Mc 10,35-45 un livello quasi sconcertante:
qui, all’immagine del servo si aggiunge quella dello schiavo (in greco “doulos”), termine che accentua ancor più l’idea di “sudditanza” rispetto a colui
al quale si presta servizio. C’è infatti sempre il rischio di vivere il servizio non
come dedizione ad un altro ma come affermazione di sé, un modo per mettersi in mostra e avere un ruolo, magari di prestigio, un posto privilegiato.
Secondo i criteri mondani, l’essere servo è qualcosa di ignominioso, mentre
nella logica del Regno “servo” è un titolo onorifico (cfr. Gc 1,1).
Per questo motivo, il servizio non può che nascere da un cammino di crescita umana e cristiana. Più si è formati, più qualificato, appassionato e competente è il servizio. Meno si è formati, e più c’è il rischio di servizi talvolta
anche generosi ma con un respiro troppo corto per resistere a difficoltà e
ostacoli.
Formazione e servizio vanno insieme. Come Chiesa siamo chiamati non solo
a riconoscere questo nesso, ma a riflettere su “quanto” e “come” i progetti
educativi ordinari possano concorrere alla formazione di coscienze impregnate di radicalità evangelica. Non ci si può lamentare di avere poche persone disposte al servizio, capaci di spendersi per gli altri, nella comunità
cristiana e nei luoghi della vita comune, se mancano poi i necessari cammini che consentano a ciascuno – specie ai giovani - di crescere in libertà
e responsabilità. Occorre ricordare che non solo fede e vita devono poter
andare insieme, ma che fede e vita “si parlano”. Non ci sono “contenuti” che
parlano all’interiorità e che non parlino, allo stesso tempo, anche ai comportamenti e agli stili di vita sociali. E d’altra parte non ci sono “contenuti
sociali” che non spronino la vita interiore, contribuendo ad affinarla e a dilatarla insieme. La sfida del servizio è la sfida di cammini che abbiano come
riferimento l’uomo tutto intero, non diviso per segmenti. Da questo punto
di vista la Dottrina sociale della Chiesa è lo strumento che nei cammini di
formazione ordinari e di base della comunità può aiutare a tenere insieme
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fede e vita e anche teoria e prassi. Temi quali la dignità del lavoro, la giustizia
e la pace, la custodia del Creato, la politica intesa come servizio, l’opzione
preferenziale per i poveri, la ricerca del bene comune.... devono far parte
del patrimonio della catechesi nelle nostre parrocchie.
Il servizio si fonda su un itinerario formativo, richiede la formazione delle
coscienze. Ma è vero anche che esperienze di servizio sono momenti qualificanti degli itinerari formativi. Facendo si comprende di più ciò che si dice di
credere. La realtà è sempre più grande delle idée e calarsi in essa impedisce
che queste rimangano ad un livello astrattamente teorico o, cosa ancora
più pericolosa, che la fede si riduca a vago discorso. Il servizio è risposta ad
una chiamata che viene dal tempo, dai luoghi in cui viviamo, dai fratelli che il
Signore ci pone accanto. Per questo esso aiuta ad affidarsi al disegno di Dio
che si rende visibile attraverso i segni dei tempi, e a maturare la capacità di
operare una “scelta” che metta in moto i propri talenti. Il servizio ci aiuta a
scoprire, come persone, come comunità parrocchiale, come Chiesa di Nola,
la nostra specifica vocazione, il dono che ci è affidato perchè sia speso in
questi tempi e in questi luoghi in cui il Signore ci ha dato di vivere.
 Gratuità e corresponsabilità come stile
Il servizio cristiano, che è testimonianza di vita, stile che dà forma a tutta la
vita del credente, lascia un segno, ed è ancora oggi una potente calamita
che attira. Un servizio ben reso è una straordinaria via di evangelizzazione
perché è prima di tutto testimonianza di gratuità. In un mondo in cui “non si
fa nulla senza nulla in cambio”, stupiscono quegli uomini e quelle donne che
non contano i minuti donàti, che non si rammaricano delle energie spese e
sono disposti a “perderci”, talvolta, anche da un punto di vista economico.
Incamminarsi come Chiesa sui sentieri della gratuità significa liberarsi da
piccole e grandi schiavitù morali e materiali, significa assumere un atteggiamento aperto alla Provvidenza e alla giustizia di Dio, significa sentirsi in
qualsiasi momento, anche quello di sforzo più forte e appassionato, dei puri
e semplici “servi inutili”.
È la gratuità il volto spendibile della comunità cristiana.. Una possibile verifica di quale sia lo spirito con cui una persone svolge un servizio è la disponibilità a farsi da parte, il saper fare un passo indietro se necessario,
a beneficio di altri. Spesso l’attaccamento a un ruolo, oltre a denunciare
problematiche personali irrisolte crea notevoli ostacoli allo sviluppo della
fraternità e della comunione, determinando anzi l’insorgere di risentimenti
e divisioni. La mancanza di riconoscimenti per un servizio svolto con impe30
gno e fatica oppure l’assenza di risultati immediati, sono talvolta occasione
di rincrescimento e di delusione tali che non di rado sfociano nello scoraggiamento e nell’abbandono del servizio stesso.
La gratuità deve essere invece lo stile con cui portare avanti il servizio che
è stato affidato e più in generale ogni impegno o responsabilità. Ciò vuol
dire non solo non far dipendere il senso di quello che si fa dal successo o
dal riconoscimento conseguito, ma anche saper riconoscere il bene da qualunque parte esso venga, gioire di quanto di buono emerge nei luoghi in cui
siamo coinvolti anche quando non ne siamo noi i diretti protagonisti. Come
credenti e come comunità siamo chiamati piuttosto a tessere reti di bene,
a mettere in circolo e a favorire lo stabilirsi di nessi tra esperienze positive
che contribuiscono a creare un mondo più giusto e a far fiorire l’umano
secondo il disegno di Dio. Accanto alla gratuità, corresponsabilità è l’altra
parola chiave del servizio all’uomo in nome di Cristo. La corresponsabilità
è un modo evangelico e profondamente umano di avvertirsi come persone
e di vivere le relazioni. Siamo responsabili gli uni degli altri e siamo responsabili insieme dell’umanità di ciascuno perché nessuno di noi può pensarsi
come frammento isolato.
 Ambiti di servizio prioritari
Con essenzialità, proviamo a indicare alcuni ambiti in cui come credenti siamo chiamati a spenderci mettendoci a servizio gli uni degli altri per l’edificazione di un’umanità che sia sempre di più secondo il sogno di Dio.
 Educazione: è il più importante servizio che possa essere reso
alla persona. La nostra Chiesa ha numerose opportunità educative: i
cammini catechistici per i Sacramenti, gli itinerari delle associazioni, dei
movimenti e delle aggregazioni laicali, i progetti specifici delle comunità
parrocchiali, la via della Carità, le iniziative per la formazione sociopolitica e
ambientale. Ma è necessario darci criteri comuni, princìpi che identifichino
queste esperienze tenendole insieme: la Parola al centro, la cura della
formazione di chi ha responsabilità educative, un’autentica ecclesialità per
evitare derive personalistiche e privatistiche; una necessaria flessibilità per
accogliere le esigenze di tutti. Occorre poi ricordare che la persona deve
poter essere sempre al centro, e non al servizio delle nostre iniziative; che
c’è una corresponsabilità educativa per cui chi educa è la comunità, e non
c’è posto per interpreti unici e isolati; che è necessaria una progettualità
di fondo per poter curare e non solo intrattenere le persone che ci sono
affidate; che è indispensabile la maturità affettiva e relazionale di chi
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ha la responsabilità educativa, per evitare la tentazione di relazioni
monopolizzate e assolutizzanti. L’opera formativa della Chiesa sorretta da
questi criteri è quanto mai preziosa e può porsi come sostegno e insieme
come sollecitazione feconda per l’azione educativa della famiglia, della
scuola, delle reti della comunicazione sociale e culturale.
 Famiglia: è una frontiera ineludibile di dedizione e di cura per
la nostra Chiesa diocesana. La famiglia è crocevia di istanze e di tensioni,
luogo delle relazioni che strutturano l’identità e la vita di ciascuno, realtà
che riflette le fatiche e le contraddizioni del nostro tempo, ma anche punto
di forza da cui ripartire, risorsa di speranza e di futuro. Diverse esperienze
hanno dimostrato la bellezza e l’utilità pastorale di ritrovare nella vita
delle comunità un più forte coinvolgimento della famiglia. È richiesta
un’attenzione che sappia accompagnare le stagioni della vita familiare e
non si fermi semplicemente alla pure importantissima preparazione al
matrimonio: dalle coppie di sposi giovani, in cui il cammino dei figli piccoli
costituisce una preziosa occasione di riscoperta della fede e di incontro con
la comunità, al tempo della maturità con le sue fatiche e la responsabilità
spesso giocata su più fronti (l’accompagnamento dei figli, la cura degli
anziani nel declino della vita, l’impegno professionale, sociale, civile).
Particolare attenzione richiedono poi le situazioni delle famiglie ferite
segnate dalla divisione o di quelle “ricostruite” a partire da una precedente
lacerazione. È una strada ricca di potenzialità. Significa, come comunità,
essere in grado di parlare il linguaggio delle famiglie reali, e non virtuali, e di
progettare cammini flessibili che tengano davvero conto delle esigenze, dei
mutati tempi e dei mutati spazi della vita familiare.
 Impegno socio-politico, ambientale e culturale: le nostre comunità
non possono rimanere chiuse in un recinto più o meno incantato. Occorre
ripensarsi come Chiesa in uscita, radicata nel suo Signore e per questo costantemente protesa verso il mondo. La sfida più ambiziosa da accettare
allora è impregnare di concretezza i cammini ordinari perché siano in grado
di offrire contenuti attinenti alla vita dei territori, del Paese, dell’Europa e
dei grandi scenari globali. Questo significa:
- potenziare la conoscenza della Dottrina sociale della Chiesa, cercando mediazioni concrete su tematiche locali che interpellano la nostra coscienza
civica, in particolare ambiente, lavoro e progetti di vita dei giovani;
-sfruttare maggiormente la rete cittadina e decanale delle nostre parrocchie
per avviare esperienze concrete di osservazione e lettura della realtà, per
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incidervi con maggiore cognizione di causa;
-promuovere con spirito profetico stili di vita sobri e sostenibili a fronte
dell’imperante consumismo;
-assumere con coraggio e determinazione la strada del dialogo con le altre
culture e religioni, perché le nostre terre non siano contaminate da gretti
rigurgiti di razzismo.
Sono temi, questi, che ben si conciliano con una dimensione che va “oltre”
la parrocchia, e che perciò ci interpella sulla nostra capacità di ritrovarci
tra comunità cristiane con agenzie educative formali ed informali (scuole
ed istituzioni in primis, realtà di impegno culturale e sociale sul territorio,
esperienze di volontariato…)
 Fragilità e povertà: anche nella nostra realtà diocesana, il concetto
di povertà si è profondamente modificato. La crisi economica che stiamo
attraversando ha ampliato le aree di povertà coinvolgendo tante famiglie
che solo pochi anni fa sarebbero state definite “ceto medio”; ma ha anche
reso più complessa e intricata la realtà della povertà investendo non solo il
livello materiale, ma anche il livello sociale, culturale e affettivo. Allo stesso
tempo, cresce la difficoltà delle persone ad affrontare i piccoli e grandi problemi della vita quotidiana, di tenere in piedi legami buoni e solidi. Aumenta
in molti un insidioso “mal di vivere” che richiede cura, accompagnamento,
presenza. Soffrono gli affetti, soffrono le relazioni: nel tempo dei social network, le emozioni soffocano i sentimenti e confondono i progetti di vita.
Cambiando il concetto di povertà, anche il concetto di servizio ai poveri e
alle fragilità si evolve profondamente: l’assistenza materiale non basta più,
l’impegno di singoli volenterosi non è più sufficiente. C’è bisogno di “comunità solidali” che sappiano monitorare il territorio, individuare le aree di bisogno, mettersi accanto alle famiglie che vivono situazioni di disagio, tenere
insieme impegno educativo e servizio agli ultimi e ai penultimi. C’è bisogno
non solo di sfamare, ma anche di rivestire le persone della dignità che Dio
ha donato loro, aiutandole ad affrontare il presente e il futuro. La Chiesa
è chiamata ad essere in prima linea nel sostenere e incoraggiare. Ad essa
è chiesto di fasciare le ferite perché il cammino possa riprendere; di stare
accanto alle fatiche delle persone, di calarsi nelle loro sofferenze per essere
fiaccola, luce che illumina, non solo davanti, ma lungo il cammino, aiutando
a cercare e a trovare la strada per una più piena umanità.
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Chiediamoci allora
I nostri cammini formativi ordinari -proposti dalle comunità, dalle associazioni e dai movimenti- educano al servizio e al dono di sé? in che modo?
Negli itinerari formativi facciamo riferimento alle proposte degli uffici della
pastorale e dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose? Quali difficoltà nel
proporre un autentico stile di gratuità? Riusciamo a rimuovere, nella vita
della comunità e nella vita di noi credenti, quegli stili antievangelici che
spesso allontanano e scandalizzano le persone? Riusciamo come comunità
ad avere uno sguardo che va “oltre” la vita interna alla Chiesa? Quali ambiti di servizio provocano maggiormente la nostra comunità parrocchiale?
Come affrontarli con senso comunitario, e non basandosi unicamente sulle
sensibilità individuali? Quale posto occupano nell’impiego delle risorse della comunità i poveri, i malati, gli emarginati? Abbiamo coscienza che il contatto coi poveri essenzializza le nostre esperienze e ci rende più veri come
uomini? Sappiamo riconoscere Cristo nei poveri, ossia siamo consapevoli
che la carità al fratello è atto di amore a Cristo? Sappiamo ripartire dai più
poveri, da chi ha bisogno di più cura e attenzione, nella nostra progettazione
pastorale? Siamo capaci come comunità e come credenti di mostrare il volto
di un Dio che è misericordia?
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Per concludere…
Con lo sguardo in avanti e la fiducia nel Signore
La vita della Chiesa non può essere segnata dalla semplice elencazione dei
problemi, dei difetti e delle fragilità. Metterci di fronte alla realtà - ecclesiale, sociale, economica, culturale – con le sue contraddizioni e le sue fatiche,
non significa lasciarci schiacciare da essa. Al contrario, in questo grande e
coraggioso esercizio di conversione dei cuori, delle relazioni e delle strutture
che è il Sinodo devono prevalere il senso positivo dell’opportunità, il gusto
della sfida, la consapevolezza delle risorse che già abbiamo. E, soprattutto,
la fiducia nel Signore.
Non incamminiamoci con il volto triste e corrucciato di chi teme di non farcela, mettiamo da parte quegli scetticismi preventivi che ostacolano ogni
volontà di costruire, indossiamo il sorriso e la serenità di chi sa che, insieme,
ce la possiamo fare, che questa partita non è persa in partenza e anzi è tutta
da giocare.
Connettersi con la realtà, restare radicati nella storia della nostra Chiesa
diocesana, ascoltare, lodare, fare comunione, servire: nel percorso che ci
aspetta, non siano queste solo delle dimensioni da “studiare”, ma anche e
soprattutto uno stile che ci interpella e provoca personalmente e comunitariamente.
Ci benedica Dio Padre che tanto bene ha seminato e semina nella nostra
Chiesa. Ci guidi la vita piena di suo figlio Gesù Cristo. Lo Spirito illumini i
momenti di buio dei cuori e delle menti. Ci sostenga Maria quando abbiamo
la tentazione di cedere e mollare.
E Paolino, il nostro amato Paolino, ci aiuti a tessere in una sola trama passato, presente e futuro
“poiché siamo membra di un solo corpo, abbiamo un unico capo,
siamo inondati da un’unica grazia, viviamo di un solo pane,
camminiamo su un’unica strada, abitiamo la medesima casa”.
(Paolino Epistole 6,2)
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