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TRA TERRA, CIELO, MARE….E AMORE La vita di un uomo coraggioso, Alessandro Umberto Cagno Certe volte conviene cominciare dalla fine, anziché dall’inizio: come per certe riviste, che rendono meglio se lette a rovescio. E così, per raccontare la storia di un uomo coraggioso, Alessandro Umberto Cagno, partiremo dall’unica foto a colori, scattata nel 1968, una delle ultime che si possieda di lui. E’ ritratto già molto anziano (85 anni), impalato e rigido, che guarda davanti a sé, accanto a sua moglie Mimì, elegantissima nel suo tailleur nero sciallato, che invece fissa dritto nell’obiettivo, e sembra dolce come dovrebbe essere una nonna. Sono così vicini uno all’altra che forse si tengono per mano, forse lui le ha passato un braccio intorno alla vita, ma non si vede. Entrambi, si nota, si sono messi in ghingheri per la foto; hanno scelto un angolo della casa da dove si vedessero gli splendidi vetri cattedrale. L’aria è quella solenne dei vecchi che vivono ogni istante come una cerimonia. La loro complicità, quel naturale tenersi vicini arriva dritto al cuore. Tempo tre anni, questa coppia non esisterà più. Lei, portata via da una malattia, lui per scelta, a soli due giorni dalla scomparsa della moglie. Suicida per amore a ottantott’anni. A un’età in cui la morte arriva senza chiamarla e senza volerla, lui volle andarsene lo stesso, subito, senza porre altro tempo in mezzo. Aveva conosciuto Giuseppina all’inizio del secolo. Se l’era sposata nel 1905. Da allora non si erano mai separati. Lui correva in automobile, e lei lo seguiva. Guidava l’aeroplano, i rischiosissimi primi aerei della storia, e lei saliva in volo con lui. Vinceva le gare motonautiche, e lei era lì ad applaudire. Che senso dare al tempo senza di lei? Aveva, nei suoi anni giovanili, vinto tutte le sfide, dominato sui campi di gara più vari, sgominato avversari che si chiamavano Nazzaro, Lancia, ed altri grandi. Ma vivere senza di lei non gli parve una sfida, non gli sembrò un atto di coraggio, ma la certificazione della sua morte. E la sfidò così, a testa bassa, come aveva sempre fatto, per riprendersi il vantaggio perduto. Era Mimì che guardava dentro l’obiettivo. Era lei il suo sguardo. Può un uomo sopravvivere senza sguardo? Alessandro Umberto Cagno nacque a Torino il 2 maggio del 1883 da modesta famiglia. La Fiat era di là da venire, mancavano ancora sedici anni alla sua fondazione, ma già all’inizio degli anni novanta la città era percorsa da fremiti automobilistici, grazie alle prime vetture francesi importate. Ne era rimasto contagiato Luigi Storero, figlio di Giacomo, subentrato al padre a metà degli anni ottanta nella fabbrica di carrozze, omnibus e velocipedi, e che aveva cominciato prima a costruire bicicli e biciclette (1884) poi si era lasciato affascinare dai rudimentali tricicli a motore De Dion Bouton (1896), e nel 1899 era arrivato all’acquisto della sua prima auto, una delle primissime in Italia, una Benz. Infine, aveva provato a montare nella sua officina tricicli a motore e vetturette denominandoli Phoenix, nome che forse tradisce l’origine del motore, presumibilmente una costruzione su licenza dei propulsori a due e a quattro cilindri 1 prodotti dalla Daimler tra il 1896 e il 1900, che in quegli anni furono adottati da molti costruttori europei, come la Panhard Levassor e la Daimler inglese. Anche Michele Lanza, invidioso delle vetturette francesi, trafficava nel tempo libero lasciatogli dalla fabbrica di candele su una automobile a quattro ruote di sua concezione, che doveva uscire dalle Officine dei Fratelli Martina nel 1895; e già i fratelli Ceirano cominciavano a muoversi, per lo meno Giovanni Battista, con la fondazione della Welleyes (1898), la vetturetta all’origine della produzione Fiat. Un mondo si stava mettendo, letteralmente, in marcia. Il giovanissimo Cagno, a tredici, quattordici anni, entrò in officina da Storero, e si può star certi che il suo interesse più grande non lo riservasse alle biciclette, bensì ai tricicli e quadricicli Phoenix. L’apprendistato da Storero fu prezioso anche perché frequentatore assiduo dell’officina era un certo Giovanni Agnelli “attirato dalla sua passione e dalla sua curiosità per le prime realizzazioni meccaniche che vi si trovavano”. Addirittura, secondo quanto racconta Biscaretti, Agnelli pensò di associarsi allo Storero e fu per questo che i due compirono insieme un viaggio a Parigi. L’affare, per la verità, lo combinò soltanto Storero, che probabilmente in occasione di quel viaggio prese accordi per la fabbricazione su licenza dei suoi tricicli. Poi vi erano le gare: Storero, campione piemontese di biciclo nel 1887, partecipava con entusiasmo alle prime competizioni automobilistiche organizzate in Piemonte. Tra queste, la prima cui assistette con gli occhi sgranati il piccolo (di età e di statura!) Cagno fu la Torino-Asti-AlessandriaTorino del 17 luglio 1898, cui il suo “padrone” prese parte con un triciclo De Dion. I suoi avversari erano Carlo Biscaretti, Ettore Bugatti, Giovanni Ceirano, Michele Lanza…, per un totale di tredici partenti. Quattro soli furono i concorrenti che riuscirono a compiere l’intero percorso entro il tempo massimo, e il primo fu proprio Storero, che impiegò due ore e mezza, tre e mezza in meno del secondo classificato. La cosa curiosa è che…la Giuria decise di non assegnare il premio internazionale di 4.000 lire “non avendo nessuno degli automobilisti (quello di Storero era un triciclo! nda) iscritti alla gara dimostrato di avere le qualità richieste per poter ottenere tale premio”; di assegnare il secondo premio di 3.000 lire al terzo arrivato (che proprio stando ai tempi in realtà era il quarto, avendoci impiegato 10 ore e 22 minuti contro le 9 e 47 del … quarto); di assegnare il terzo premio internazionale di 2.000 lire al … quarto. Insomma, al povero Storero arrivarono 1000 lire ex aequo (perciò da dividersi) con il triciclo Gladiator, più 500 lire per farlo contento visto che dopo tutto era stato il più veloce. Un simile trattamento avrebbe spento la passione di chiunque, tranne che in Storero e nell’animo del suo giovane apprendista. Anzi, per quest’ultimo fu un aprirsi infinito dell’orizzonte. Non si staccò più dal fianco del suo datore di lavoro e mentore, il quale fu felice di trovare in lui un sostegno tanto appassionato. Così Storero ricordò quelle corse, compiute “all’alba dell’automobile, per meglio dire di quel progenitore dell’automobile, che somigliava ai moderni autoveicoli come un elefante può somigliare ad un levriero: tre ruote ed un motore…Ma si correva e si arrivava. Talvolta avevo l’impressione che fosse il palpito del mio cuore a dare la scintilla alle candele e che non fosse la benzina a circolare ed a bruciarsi in quel piccolo congegno di ferro ed acciaio bensì il sangue delle mie vene”. 2 Anche Agnelli si stava appassionando sul serio. Compì persino una gara a Verona, nella primavera del 1899, a bordo di un Phoenix preparatogli da Storero; e quando si trattò di decidere a chi affidare l’embrionale squadra corse per la sua neonata azienda, non esitò un attimo a rivolgersi a Storero e al suo giovane assistente. Così, nel 1901, alle gare indette dalla cittadina di Saluzzo troviamo un Cagno entusiasta che non si nega a nessuna prova. Ecco il resoconto: “8 settembre 1901, corse a Saluzzo. Le feste saluzzesi si sono chiuse con una manifestazione sportiva improvvisata all’ultima ora. E a ciò si deve se i concorrenti alle corse e al concorso di dirigibilità si sono presentati in numero piuttosto scarso. Ciò nondimeno le gare sono riuscite piuttosto animate ed il pubblico numeroso ed elegante, che gremiva i palchi circondanti la pist, ha mostrato di divertirsi e di apprezzare la valentia dei chauffeurs con ben nutriti applausi ai vincitori. Le gare si svolsero in piazza d’armi su una pista di 860 m. di sviluppo con curve di raggio insufficiente e con certe disuguaglianze di terreno che facevano squassare le vetture come navi sballottate dalle onde del mare in burrasca. Per ciò i tempi impiegati non sono certo ragguardevoli.” Cagno, che corre su una Fiat 8 HP, si classifica 2° al concorso di dirigibilità; 3° alla corsa dei 10 km; quarto alla corsa ad handicap di 5 km. Con Storero, nel 1902 Cagno partecipa alla I° Sassi – Superga, alla Susa - Moncenisio, alla Padova – Bovolenta, sempre su vetture Fiat. E infine nel 1903, il vero e proprio battesimo del fuoco. Non si tratta di una corsa campestre da affrontare più per il gusto della sfida che per altro. Si tratta della Parigi – Madrid, a cui Lancia gli ha chiesto di partecipare in qualità di suo meccanico. Una gara seria, con i più grandi campioni del mondo. Una gara terribile, con decine di morti, di cui ha recentemente scritto pagine epiche il nostro Alessandro Baricco, nel suo bellissimo “Questa storia” (ed. Fandango). Una gara che ebbe inizio ma non fine, perché interrotta a metà, all’altezza di Bordeaux, proprio per gli innumerevoli incidenti mortali di cui fu costellata. Un bel debutto, da schiantare il cuore o temprarlo per sempre. Cagno ne fu temprato per sempre. Nel 1904 lo troviamo, ormai parte integrante della squadra ufficiale Fiat insieme a Storero e Lancia, alla 5° Coppa Gordon Bennett, l’avvenimento sportivo di maggior rilievo dell’anno. Era la prima uscita importante e fuori dai confini nazionali per la squadra di corso Dante e per di più in rappresentanza del prestigio motoristico italiano (la partecipazione alla Coppa Gordon Bennett, infatti, era nazionale, non individuale). Si iscrissero sette nazioni: l’Austria, il Belgio, la Germania, la Francia, l’Inghilterra, la Svizzera e l’Italia, con le tre Fiat guidate dalla triade. 18 concorrenti, 200.000 spettatori, tra cui l’imperatore tedesco in persona, 511 i chilometri da percorrere, ossia quattro giri del circuito del Taunus. Cagno ha ventuno anni, ventitré Lancia, trentasei Storero, altrettanti il belga Camille Jenatzy, vincitore della Coppa nel 1903, venticinque il francese Léon Théry. Cagno, probabilmente, é il più giovane. Ma non si lascia intimidire. A ruota di Jenatzy e Théry che conducono la gara dal primo giro, rimonta dal settimo al quarto posto, ed è soltanto all’ultimo giro che i colori italiani vengono distanziati. Storero rompe un pignone dell’albero di trasmissione ed è costretto al ritiro; sia Cagno sia Lancia lamentano invece problemi alle gomme. All’ultimo controllo dell’ultimo giro la beffa: la sostituzione malfatta di un pneumatico costa a Cagno il suo 4° posto, difeso fino a quel momento con le 3 unghie e con i denti; terminerà al decimo posto, Lancia all’ottavo. Vincitore fu Léon Théry. Lancia e Cagno però si tolsero una grande soddisfazione, prima della fine della stagione sportiva. Su vetture Fiat, di cui erano i piloti ufficiali, vinsero la II Corsa in salita da Pontassieve al Passo della Consuma, quasi 1000 metri di dislivello per 15 chilometri di gara. Lancia si impose nella classifica assoluta e nella categoria vetture pesanti, su una Fiat 75 HP, e Cagno nella categoria Turisti, su una Fiat 60 HP. Le corse in salita si stavano diffondendo rapidamente; nate in Francia con quella della Turbie (1897), di Chanteloup (1898), del Gaillon (1899), e in Germania con quella del Semmering (1899), diventarono ritrovi internazionali sia sportivi sia mondani, come dimostrò la Chateau-Thierry e il Mont-Ventoux. Arrivò infine anche l’Italia, con la Sassi – Superga, la Susa – Moncenisio e appunto la Coppa della Consuma, tutte disputate per la prima volta nel 1902. Le gare in salita avevano molti vantaggi rispetto a quelle in circuito o su strada aperta: comportavano un’organizzazione meno complicata e meno costosa, duravano meno (Lancia compì il percorso in tredici minuti) con evidenti vantaggi per il traffico normale; le macchine venivano messe a dura prova e subivano veri e propri tests di affidabilità, utilissimi per la produzione di serie e per sperimentare nuove soluzioni; le curve, le frenate, le derapate finivano per dare vita ad una guida più spettacolare di quanto succedesse in una corsa di pura velocità. La Fiat però, per il 1905, decise di puntare di nuovo molto in alto, alla Coppa Gordon Bennett, gara ormai di richiamo mondiale. Forte dell’esperienza fatta sul campo l’anno prima, la casa torinese decise di approntare tre vetture dalle caratteristiche tecniche davvero innovative, le tipo 100 HP, derivate dal tipo 75 HP, e progettate dagli ingegneri Giovanni Enrico e Cesare Momo. Si trattava di due straordinari progettisti. Momo, entrato in Fiat nel 1901, aveva progettato la frizione a dischi multipli piani in bagno d’olio, adottata poi su tutti gli autoveicoli Fiat, e quindi il tipico ponte posteriore in lamiera stampata impiegato per la prima volta sulla vettura Fiat Brevetti nel 1906 e poi divenuto caratteristico di tutte le automobili Fiat fino al 1929. Enrico non era stato da meno: aveva brevettato un sistema di anticipo automatico dell’accensione con magnete a bassa tensione, e successivamente un cambio di velocità con ingranaggi sempre in presa. Tra le geniali intuizioni di Enrico per le 100 HP del 1905 vi fu quella di portare le valvole del motore in posizione superiore rispetto alla testa dei pistoni, cioè “in testa”, inclinate e comandate da un unico bilanciere e da una sola punteria. Questo sistema fu naturalmente brevettato Fiat e rappresentò una novità tecnica di assoluto rilievo. Altra particolarità fu la scelta dell’alesaggio pistoni maggiore rispetto alla corsa, cioè una soluzione oggi nota come “motore superquadro” o a corsa corta, coraggiosa in un’epoca che invece privilegiava la corsa “lunga” dei pistoni. Il 6 luglio del 1905 scesero in lizza, sul circuito dell’Auvergne, le squadre ufficiali degli Stati Uniti (due Pope-Toledo e una Locomobile), dell’Austria (tre Mercedes); della Germania (tre Mercedes), della Francia (due Brasier e una De Dietrich), dell’Inghilterra (Napier e Wolseley) e dell’Italia, con tre Fiat. Due di queste affidate, di nuovo, a Lancia e a Cagno, e la terza invece pilotata non più da Storero, ma dal 4 giovane astro emergente Felice Nazzaro, che aveva spodestato l’antico datore di lavoro di Cagno. Fin dal primo dei quattro giri del circuito (550 chilometri in tutto, 141 curve a giro, continui saliscendi, fondo stradale di terra battuta e sovente sconnessa) Lancia fu alla testa dei suoi diciassette avversari, fino ad accumulare quindici minuti di vantaggio sull’inseguitore più prossimo, Théry. A soli cinque chilometri dalla conclusione della gara, una pietra sollevata da una ruota di un concorrente doppiato forò il radiatore di Lancia, che dovette fermarsi. Disperato, impotente, assistette al fulmineo passaggio di Théry verso il traguardo, seguito a ruota da Nazzaro e Cagno, che si classificarono secondo e terzo. Se non fosse stato per quella pietra…il successo dei colori italiani sarebbe stato clamoroso. Invece la vittoria toccò ai colori francesi, che però riconobbero nella squadra Fiat il vincitore morale della competizione. Cagno ne era comunque uscito molto bene. Fu dagli echi di questa gara che nacque una canzonetta piemontese che divenne rapidamente di moda: si intitolava “Turin – Cavuret in automobil”e inneggiava all’andare “pì lest che n’usel” (più veloce di un uccello), e poi diceva “Che Nazzari, che Cagno, che Lancia! Sun mi to chauffeur” (altro che Nazzari, Cagno, Lancia, sono io il tuo autista!). Fu ancora secondo, dietro Nazzaro, alla Susa - Moncenisio, e infine arrivò anche per lui una gloria piena: il primo posto alla corsa in salita del Mont Ventoux, disputatasi a chiusura della stagione sportiva. Registrò una media di 65,568 km/h, record che rimase imbattuto per quattro anni. Era ancora nulla, in confronto al trionfo che lo attendeva l’anno successivo, il 1906: la vittoria assoluta alla prima Targa Florio, organizzata dall’intraprendente nobiluomo Vincenzo Florio in terra siciliana, sul percorso Stazione Bonfornello – Cerda – Caltavuturo – Castellana – Petralia Sottana - Petralia Soprana – Geraci Siculo – Castelbuono – Isnello – Collesano – Campofelice. Si trattava di una novità assoluta, nel panorama delle corse finora disputate. Era infatti riservata alle “automobili da viaggio”, ossia costruite in almeno dieci esemplari, e vendute ad un prezzo non superiore a 20.000 per il solo telaio. Furono costruite tribune, ristoranti, chioschi per la vendita di bibite, giornali e pellicole fotografiche, posti di pronto soccorso, stazioni di rifornimento, passerelle; faceva meravigliosa mostra di sé il totalizzatore, altra grande novità, grazie al quale le scommesse acquisivano diritto di cittadinanza. La grande nobiltà siciliana e quella europea, i giornalisti dei più noti periodici non solo automobilistici, appassionati, tecnici, sportsmen, costruttori, piloti, la gioventù snob, l’aristocrazia industriale, tutti conversero su Palermo per il 6 maggio (vedi auto d’epoca del 1996). Ma, colpo di scena, Cagno vinse la gara non su una Fiat, bensì su una Itala, imponendosi come avversario, e non più come compagno di squadra, su Vincenzo Lancia. Impiegò nove ore e mezza a coprire i 440 chilometri della gara, ad una media di 46,8 km/h; e il successo dell’Itala fu completo, se si pensa che si classificarono quattro Itala ai primi cinque posti. Ma come mai questo “tradimento”? Certo, l’Itala nel 1906 era già una grandissima marca, ormai in grado di insidiare la supremazia industriale e sportiva della Fiat ad appena due anni dalla costituzione. Nel febbraio 1906, il valore di borsa indicava in Fiat, fondata nel 1899, la prima azienda italiana (52 milioni di lire) e in Itala, azienda di appena un anno e 5 mezzo, la seconda in febbrile crescita (21 milioni di lire). Dunque non è del tutto strano che un pilota dell’epoca, giovane sì, ma ormai riconosciuto ed affermato come Cagno, avesse deciso di cambiare scuderia. Scrive “L’auto” del 25 febbraio: “Da qualche tempo si parlava della probabile assenza di Alessandro Cagno nella terna dei conduttori della Fiat ma in seguito pareva che le domande di Cagno fossero state accolte e che quindi il vincitore della Mont – Ventoux restasse alla vecchia (sic!) casa torinese. Ma in questi giorni Cagno ha definitivamente abbandonato la Fiat entrando a far parte della Casa Itala della quale probabilmente sarà il primo conduttore. Al posto di Cagno la Fiat non metterà un professionista ma sarà il dottor Aldo Weillschott che completerà la terna”. Il giornale pare adombrare delle richieste, forse economiche, del Cagno (“le domande…), che magari, non accolte da Fiat, erano state esaudite dall’avversaria Itala. E’ comunque strano il comportamento del pilota, considerando che nel contempo, come vedremo, gareggiava per Fiat nelle competizioni motonautiche; che, dopo aver conseguito il primo brevetto aeronautico italiano nel 1910, continuò una brillante carriera nell’aria volando su velivoli Fiat; che alla Fiat consacrò tutta la sua vita successiva di lavoro. Si potrebbe persino ipotizzare che, come in quei mesi tra Fiat e Itala circolò sotto banco un accordo sui rispettivi settori di produzione (una sorta di spartizione del mercato, dimmi cosa intendi produrre così io mi occupo del resto), altrettanto potrebbe essere stato concordato sul piano sportivo. Forse il “prestito” di Cagno all’Itala stava giocando come remunerazione anticipata per non invadere il campo altrui. La stagione sportiva iniziò in aprile con le affermazioni di Cagno sul mare, dove si sfidavano le stesse identiche case che già lottavano sui circuiti automobilistici. Al meeting di Monaco, per esempio, gareggiavano “cruisers” e “racers” azionati da motori Fiat, Itala, Rapid, Florentia, Delahaye, Mercedes. E a ritirare la bella Coppa del Principe di Monaco, vinta dal Fiat XIII per mano di Cagno, andò in rappresentanza della casa … Lancia. Il quale però, qualche giorno dopo, si ritrasformava nel suo più acerrimo avversario e, naturalmente su Fiat, arrivava primo su Fiat alla Coppa d’Oro indetta dall’Auto Club di Milano, con Cagno su Itala terzo. La stessa sfida si rinnovò al Gran Premio di Francia sul circuito della Sarthe, in cui Cagno combatté a lungo con la nuova terna della Fiat (Lancia, Nazzaro, Weillschott) anche se il risultato della corsa favorì il terzo incomodo, ossia Szisz su Renault, e Cagno non si classificò neppure (mentre Nazzaro fu secondo). D’altronde l’Itala prese molto sul serio le sue partecipazioni sportive. Decise per esempio di spedire addirittura due macchine, con Cagno e Fabry, alla Coppa Vanderbilt in America, trasferta forzatamente molto onerosa anche solo per i costi di viaggio e trasporto. E che tra l’altro non diede nessun risultato, perché Cagno, definito dalla stampa “di cattivo umore” non riuscì ad entrare in classifica (Lancia invece arrivò secondo). Diventavano due i rovesci dell’Itala, a distanza di poco tempo: “crediamo l’Itala difetti di una seria mise au point, perché è troppo disgraziata la loro corsa tanto alla Vanderbilt che alla Sarthe per poter dubitare del valore della vettura stessa”. In ogni modo, se “tradimento” vi fu, o “prestito”, o semplice convenienza economica, anche a fronte di queste alterne vicende il rapporto tra Cagno e Itala durò tutto il 1906, tutto il 1907 e arrivò fino al 1908. Nel 1907 si impose sul circuito di 6 Montichiari a Brescia, dove era in palio la Coppa della Velocità. Reduce da una mezza delusione alla Targa Florio, dove si era classificato soltanto quinto (mentre il suo compagno di squadra Fabry aveva strappato un onorevole terzo posto, dietro Felice Nazzaro e Vincenzo Lancia su Fiat), Cagno era partito ritardato di nove minuti, ma con una corsa tenace ed ardita riuscì a colmare il distacco e ad aggiudicarsi la Coppa, ad una media di 105,262 km/h. Alla coppa dell’Imperatore di Germania, corsa nel 1907 sul circuito del Taunus, Cagno arrivò appena decimo, a venticinque minuti dal primo, che tanto per cambiare era Nazzaro su Fiat (Lancia fu sesto). Se aggiungiamo che nel 1908 al Gran Premio di Dieppe Cagno, che guidava la nuova Itala da 120 HP munita di motore da 12 litri, fu poco fortunato, e finì undicesimo, si può ben dire che il passaggio da Fiat ad Itala non giovò certo al pilota, che si trovò quasi sempre, tranne poche eccezioni, a far da spalla ai suoi ex compagni di squadra. Sui giornali, anche automobilistici, cominciavano a strillare titoli di genere diverso. Mongolfiere, idroplani, canotti automobili, giroplani (velivoli simile all’elicottero), aeronavi, palloni dirigibili e soprattutto…aeroplani stavano diventando i nuovi protagonisti delle cronache. “Le grandi giornate dell’aviazione. Henry Farman vola per 771 metri!” titolava entusiasta “L’auto d’Italia” del 27 ottobre 1907. Diventava, con quel volo, “primo detentore della Coppa d’aviazione creata dal 1904 dall’apostolo del volo meccanico”, Ernesto Archdeacon. Acquistavano fama anche altri nomi: non più Nazzaro, Lancia, Cagno, ma Santos Dumont, Louis Blériot, Henry Farman, Louis Delagrange, Gabriel Voisin. Non è dunque strano che nelle cronache del primo Circuito Aereo internazionale di Brescia, svoltesi nel settembre 1909, accanto ai nomi già citati, compaia anche quello di Cagno (“giovedì 16 settembre. Cagno fa la sua prima uscita. Il suo biplano si alza repentinamente. Cagno ferma il motore. L’apparecchio si abbatte al suolo senza troppi gravi danni. Sarà riparato in tre giorni. Nazzaro (sempre lui!) visita il circuito e annuncia i prossimi motori Fiat per aviazione”. Non manca il coté mondain. Anche Gabriele d’Annunzio è presente, si farà portare in volo dal Rebus dell’italiano Calderara, allievo di Wilbur Wright, e dal Blériot dell’americano Curtiss. C’era anche un certo Franz Kafka, stessa età di Cagno (ossia ventisei anni), un futuro, allora sembrava, nelle compagnie di assicurazioni dove era impiegato da un anno. Cagno in quell’occasione concorse con un biplano Avis, azionato da un motore Itala. L’esperienza degli ultimi tempi, però, dovette convincerlo che se la Fiat si decideva ad entrare nel campo dell’aviazione, forse avrebbe fatto meglio a seguirla, e a non lasciarla più. La Fiat chiamò dalla Francia l’ingegnere Clovis Thouvenot, per iniziare a sperimentare il nuovo settore. Questi, a sua volta, portò con sé il pilota Delagrange, e scelse la località di Cameri – Brughiera per farvi costruire un campo d’aviazione. Cagno si unisce ai due, in rappresentanza della Fiat. Pochi mesi dopo, a gennaio 1910, in pieno inverno, iniziavano già le prime lezioni di pilotaggio. Ad agosto, ottiene il brevetto. Così scrive MACS il 25 agosto: “Cagno, alla scuola di Pordenone, ha preferito superare le prove secondo il regolamento dell’Aero Club di Francia e ha compiuto tre voli di cinque chilometri ciascuno senza toccare il suolo, atterrando a meno di 150 metri dal punto prestabilito. Le prove si sono compiute il 21 agosto, presenti al campo oltre 7 4.000 persone, nonostante che alla notizia non fosse stata data molta pubblicità. Alle 17,55 l’aeroplano Farman pilotato da Cagno parte per la prima prova del brevetto, che consiste nel percorrere due giri del campo attorno a quattro piloni che determinano un circuito di 2500 metri. Cagno, dopo aver compiuto i due giri di pista, atterra a 9 metri dalla linea di traguardo, riscotendo vivissimi applausi. La seconda e la terza prova si seguono con gli stessi risultati e con la precisione della prima. Così alle 18,22 finisce le tre prove, conseguendo il brevetto internazionale di pilota aviatore. Terminate le prove ufficiali, Cagno prende seco la sua signora, colla quale fa un volo ad oltre cinquanta metri di altezza scendendo con un bellissimo volo plané. Infine egli compie un ultimo giro solo e completa il suo eccezionale brevetto compiendo un lungo giro nella campagna, passando poi al di sopra del pubblico affollato attorno agli hangars. Alla discesa egli è accolto da lunga e calorosa ovazione.” Quando, con il brevetto gli viene rilasciato il documento che lo consacra aviatore, egli “era già maestro di scuola di pilotaggio a Cameri e a Pordenone”, il che significa che fin da subito esercitò la duplice funzione di meccanico e di pilota. Fu una nuova vita. Che Cagno contrassegnò a suo modo, lasciandosi chiamare non più con il suo primo, bensì con il suo secondo nome, Umberto. Curiosamente, anche per sua moglie Giuseppina arrivò il momento di cambiare il nome: da quei primi mesi trascorsi a Cameri, nel 1909, divenne per tutti “Mimì”. Sembra infatti che, per quanto innamorata e desiderosa di condividere con il marito ogni esperienza, anche dura, un giorno la “spartanità” della loro sistemazione (una baracca ai margini del campo d’aviazione, una branda per letto, una cassa da imballaggio per mobile) la fece vacillare, inducendola a meditare seriamente di tornarsene a Torino. Per Cagno sarebbe stato un dramma. Thouvenot capì al volo, e da buon francese galante e colto cominciò a paragonare la durezza del loro ménage alla romantica soffitta parigina dove si consumò l’amore tra Alfredo e Mimì, nella Bohème di Puccini (che tra l’altro era un frequentatore degli spettacoli aviatori). E quando arrivò ad intonare la già celebre aria “Mi chiamano Mimì”, per Giuseppina fu la capitolazione. Decise di restare, a qualunque costo, e Umberto Cagno, l’aviatore, rinfrancato dal suo sostegno, superò presto in audacia perfino le gesta di Alessandro Cagno, pilota d’auto. Fu il primo a portare in volo tre passeggeri, volando ininterrottamente per circa mezz’ora, a una quota di 100 metri (28 agosto 1910), fu il primo a sorvolare Pordenone (2 novembre), a portare con sé in volo un fotografo che perciò scattò tra le prime fotografie aeree (21 novembre)*, a effettuare un volo notturno (12 febbraio 1911), ad arrivare fino a Venezia (19 febbraio). Quando nel 1911 scoppiò la guerra italo-turca per il possesso della Libia, Cagno non poteva restare a guardare. Per iniziativa del direttore della Stampa Sportiva di Torino, Gustavo Verona, e del Presidente dell’Aero Club Italia si organizzò una Flottiglia di aviatori volontari civili. Nel novembre si costituì a Roma, presso il Battaglione Specialisti del Genio, la nuova flottiglia, composta di due Squadriglie, una destinata a Derna e l’altra a Tobruk. Cagno, la cui domanda fu subito accolta, faceva parte della prima. I primi voli furono effettuati a partire dal dicembre, anche se l’attività della squadriglia fu ostacolata seriamente dall’infelice ubicazione del campo di volo e dalle quattro antenne della vicina stazione radiotelegrafica. Comunque Cagno compì una 8 ventina di missioni di guerra, e costruì un primo rudimentale lanciabombe, in quanto già convinto della validità dell’aereo come efficace mezzo da bombardamento. Forse questa fu l’unica esperienza che non condivise con la moglie. Con la fine della guerra libica, inizia il terzo periodo della vita di Cagno. Nel 1912 rientra a Torino, e torna a lavorare in Fiat, come collaudatore dapprima, quindi come capo del collaudo. Tempo due anni, e si profila all’orizzonte un’altra, ancora più temibile, guerra. Un’ultima partecipazione sportiva al Gran Premio dell’Automobile Club di Francia, dove la Fiat mandò tre macchine di concezione estremamente moderna, tali da segnare un indirizzo nella costruzione delle vetture da corsa. Si trattava delle S57 14B di 4,5 litri di cilindrata, motore a quattro cilindri monoblocco e trasmissione cardanica (per la prima volta su vetture da corsa della casa), freni sulle quattro ruote (ossia anche sulle ruote anteriori, una grande innovazione tecnica). Sono anche belle, perché sfoggiano una linea aerodinamica inedita. Cagno, ridiventato Alessandro, vi prese parte insieme a Antonio Fagnano, debuttante non in qualità di meccanico ma di prima guida, e all’americano Jack Scales. La gara purtroppo si concluderà con una débacle per i colori italiani, e la schiacciante vittoria del tedesco Lautenschlager su Mercedes. Ritornato in azienda, le sue mansioni diventano di giorno in giorno più preziose. “Ed ecco il Cagno alla testa di tutto l’ufficio di collaudo di guerra che non tarda per il suo enorme sviluppo a costituirsi in un grande reparto per sé stante e ad assumere le proporzioni e l’andamento di una grande officina, dove entrano ed escono, dove si provano, si esaminano, si consegnano giornalmente centinaia di macchine. Nello stesso tempo, per le necessità delle comunicazioni, dei rifornimenti e delle consegne, si forma un altro reparto delle vetture di servizio, che il Cagno organizza e dirige pure esemplarmente e che con centinaia di veicoli compie tutti i trasporti della Fiat” (Motori Aero Cicli & Sports, dicembre 1918). Grazie alla grande responsabilità del suo servizio, Cagno non fu nemmeno richiamato alle armi nel 1915 e poté continuare a dirigere il suo reparto che tra collaudatori, conducenti, meccanici ed operai contava circa 800 persone. L’addio definitivo alle gare di velocità fu al Gran Premio Vetturette di Brescia del 1923. Chiamato a sostituire nella squadra Fiat il pilota Evasio Lampiano, morto in un incidente in prova due settimane prima, si coprì di gloria e vinse agevolmente, imponendo una media di 136 km per i primi 174 km e di circa 130 sull’intero percorso di 522 km. Fu suo anche il giro più veloce, 139 km/h. Nello stesso anno prese parte alla prima corsa disputatasi in Russia dopo la rivoluzione, sul percorso Mosca – Pietrogrado – Mosca, cinquemila chilometri. Come capo della squadra Fiat vinse due premi, quello per i veicoli pesanti e quello per le autovetture. Fu nuovamente in Russia nel 1925, per il concorso automobilistico Panrusso, seimila chilometri che si stendevano tra Leningrado, Mosca, Tiflis e ritorno: altra vittoria, altri quattro premi. Seguirono lunghi anni di vita laboriosa e lontana dalle ribalte, a capo della sua moderna Autorimessa e concessionaria Fiat, la Autocagno, in attività a Torino sino a poco tempo fa, sin quando cioè (gennaio 1998) la Autocagno si fuse con Centro Auto (Lancia) e Gotta (Fiat) di Torino per dar vita a un unico centro servizi dedicato 9 all'automobile, chiamato Spazio Fiat – Lancia, per la vendita di vetture nuove e usate e servizi di assistenza. All’epoca, Cagno, l’ex ragazzo descritto da Biscaretti come “quieto, modesto, pieno di buona volontà, perfetto meccanico… corridore di razza: audace e prudente, robusto e dolce di mano, capace di valutare le proprie possibilità senza eccedere, profondo conoscitore della macchina, risoluto ma disciplinato agli ordini” aveva terminato la sua vita terrena da ventisette anni. Quando si uccise non lo fece per morire, ma per seguire sua moglie, ovunque fosse, come lei aveva seguito lui, ovunque andasse. Donatella Biffignandi Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino *le prime in assoluto furono scattate qualche giorno prima a bordo di un Farman BIBLIOGRAFIA “Racconto di una grande avventura”, di Carlo Biscaretti, in “I cinquant’anni della Fiat”, Arnoldo Mondatori Editore, 1950 “In memoria di Alessandro Umberto Cagno pioniere magno del motore”, di Sergio Raminelli, in “Filatelia”, dicembre 1977, febbraio 1978 “Ricordo di Cagno, impareggiabile pilota in terra e in cielo”, di Augusto Costantino, in “Piemonte vivo”, dicembre 1972 Auto Moto Ciclo, 1923 “Alessandro Umberto Cagno”, di Piero Casucci, in “Quattroruote”, novembre 1970 Motori Aero Cicli & Sports, 1910, 1918 “Alessandro Umberto Cagno, pioniere del mondo del motore”, di Augusto Costantino, in “La Manovella”, gennaio 1969 “I miei ricordi”, di Luigi Storero 10