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TRA TERRA, CIELO, MARE….E AMORE
La vita di un uomo coraggioso, Alessandro Umberto Cagno
Certe volte conviene cominciare dalla fine, anziché dall’inizio: come per certe riviste,
che rendono meglio se lette a rovescio. E così, per raccontare la storia di un uomo
coraggioso, Alessandro Umberto Cagno, partiremo dall’unica foto a colori, scattata
nel 1968, una delle ultime che si possieda di lui. E’ ritratto già molto anziano (85
anni), impalato e rigido, che guarda davanti a sé, accanto a sua moglie Mimì,
elegantissima nel suo tailleur nero sciallato, che invece fissa dritto nell’obiettivo, e
sembra dolce come dovrebbe essere una nonna. Sono così vicini uno all’altra che
forse si tengono per mano, forse lui le ha passato un braccio intorno alla vita, ma non
si vede. Entrambi, si nota, si sono messi in ghingheri per la foto; hanno scelto un
angolo della casa da dove si vedessero gli splendidi vetri cattedrale. L’aria è quella
solenne dei vecchi che vivono ogni istante come una cerimonia. La loro complicità,
quel naturale tenersi vicini arriva dritto al cuore.
Tempo tre anni, questa coppia non esisterà più. Lei, portata via da una malattia, lui
per scelta, a soli due giorni dalla scomparsa della moglie. Suicida per amore a
ottantott’anni.
A un’età in cui la morte arriva senza chiamarla e senza volerla, lui volle andarsene lo
stesso, subito, senza porre altro tempo in mezzo. Aveva conosciuto Giuseppina
all’inizio del secolo. Se l’era sposata nel 1905. Da allora non si erano mai separati.
Lui correva in automobile, e lei lo seguiva. Guidava l’aeroplano, i rischiosissimi
primi aerei della storia, e lei saliva in volo con lui. Vinceva le gare motonautiche, e
lei era lì ad applaudire. Che senso dare al tempo senza di lei? Aveva, nei suoi anni
giovanili, vinto tutte le sfide, dominato sui campi di gara più vari, sgominato
avversari che si chiamavano Nazzaro, Lancia, ed altri grandi. Ma vivere senza di lei
non gli parve una sfida, non gli sembrò un atto di coraggio, ma la certificazione della
sua morte. E la sfidò così, a testa bassa, come aveva sempre fatto, per riprendersi il
vantaggio perduto. Era Mimì che guardava dentro l’obiettivo. Era lei il suo sguardo.
Può un uomo sopravvivere senza sguardo?
Alessandro Umberto Cagno nacque a Torino il 2 maggio del 1883 da modesta
famiglia. La Fiat era di là da venire, mancavano ancora sedici anni alla sua
fondazione, ma già all’inizio degli anni novanta la città era percorsa da fremiti
automobilistici, grazie alle prime vetture francesi importate. Ne era rimasto
contagiato Luigi Storero, figlio di Giacomo, subentrato al padre a metà degli anni
ottanta nella fabbrica di carrozze, omnibus e velocipedi, e che aveva cominciato
prima a costruire bicicli e biciclette (1884) poi si era lasciato affascinare dai
rudimentali tricicli a motore De Dion Bouton (1896), e nel 1899 era arrivato
all’acquisto della sua prima auto, una delle primissime in Italia, una Benz. Infine,
aveva provato a montare nella sua officina tricicli a motore e vetturette
denominandoli Phoenix, nome che forse tradisce l’origine del motore,
presumibilmente una costruzione su licenza dei propulsori a due e a quattro cilindri
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prodotti dalla Daimler tra il 1896 e il 1900, che in quegli anni furono adottati da molti
costruttori europei, come la Panhard Levassor e la Daimler inglese. Anche Michele
Lanza, invidioso delle vetturette francesi, trafficava nel tempo libero lasciatogli dalla
fabbrica di candele su una automobile a quattro ruote di sua concezione, che doveva
uscire dalle Officine dei Fratelli Martina nel 1895; e già i fratelli Ceirano
cominciavano a muoversi, per lo meno Giovanni Battista, con la fondazione della
Welleyes (1898), la vetturetta all’origine della produzione Fiat. Un mondo si stava
mettendo, letteralmente, in marcia. Il giovanissimo Cagno, a tredici, quattordici anni,
entrò in officina da Storero, e si può star certi che il suo interesse più grande non lo
riservasse alle biciclette, bensì ai tricicli e quadricicli Phoenix. L’apprendistato da
Storero fu prezioso anche perché frequentatore assiduo dell’officina era un certo
Giovanni Agnelli “attirato dalla sua passione e dalla sua curiosità per le prime
realizzazioni meccaniche che vi si trovavano”. Addirittura, secondo quanto racconta
Biscaretti, Agnelli pensò di associarsi allo Storero e fu per questo che i due
compirono insieme un viaggio a Parigi. L’affare, per la verità, lo combinò soltanto
Storero, che probabilmente in occasione di quel viaggio prese accordi per la
fabbricazione su licenza dei suoi tricicli. Poi vi erano le gare: Storero, campione
piemontese di biciclo nel 1887, partecipava con entusiasmo alle prime competizioni
automobilistiche organizzate in Piemonte. Tra queste, la prima cui assistette con gli
occhi sgranati il piccolo (di età e di statura!) Cagno fu la Torino-Asti-AlessandriaTorino del 17 luglio 1898, cui il suo “padrone” prese parte con un triciclo De Dion. I
suoi avversari erano Carlo Biscaretti, Ettore Bugatti, Giovanni Ceirano, Michele
Lanza…, per un totale di tredici partenti. Quattro soli furono i concorrenti che
riuscirono a compiere l’intero percorso entro il tempo massimo, e il primo fu proprio
Storero, che impiegò due ore e mezza, tre e mezza in meno del secondo classificato.
La cosa curiosa è che…la Giuria decise di non assegnare il premio internazionale di
4.000 lire “non avendo nessuno degli automobilisti (quello di Storero era un triciclo!
nda) iscritti alla gara dimostrato di avere le qualità richieste per poter ottenere tale
premio”; di assegnare il secondo premio di 3.000 lire al terzo arrivato (che proprio
stando ai tempi in realtà era il quarto, avendoci impiegato 10 ore e 22 minuti contro le
9 e 47 del … quarto); di assegnare il terzo premio internazionale di 2.000 lire al …
quarto. Insomma, al povero Storero arrivarono 1000 lire ex aequo (perciò da
dividersi) con il triciclo Gladiator, più 500 lire per farlo contento visto che dopo tutto
era stato il più veloce.
Un simile trattamento avrebbe spento la passione di chiunque, tranne che in Storero e
nell’animo del suo giovane apprendista. Anzi, per quest’ultimo fu un aprirsi infinito
dell’orizzonte. Non si staccò più dal fianco del suo datore di lavoro e mentore, il
quale fu felice di trovare in lui un sostegno tanto appassionato. Così Storero ricordò
quelle corse, compiute “all’alba dell’automobile, per meglio dire di quel progenitore
dell’automobile, che somigliava ai moderni autoveicoli come un elefante può
somigliare ad un levriero: tre ruote ed un motore…Ma si correva e si arrivava.
Talvolta avevo l’impressione che fosse il palpito del mio cuore a dare la scintilla alle
candele e che non fosse la benzina a circolare ed a bruciarsi in quel piccolo
congegno di ferro ed acciaio bensì il sangue delle mie vene”.
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Anche Agnelli si stava appassionando sul serio. Compì persino una gara a Verona,
nella primavera del 1899, a bordo di un Phoenix preparatogli da Storero; e quando si
trattò di decidere a chi affidare l’embrionale squadra corse per la sua neonata azienda,
non esitò un attimo a rivolgersi a Storero e al suo giovane assistente. Così, nel 1901,
alle gare indette dalla cittadina di Saluzzo troviamo un Cagno entusiasta che non si
nega a nessuna prova. Ecco il resoconto: “8 settembre 1901, corse a Saluzzo. Le feste
saluzzesi si sono chiuse con una manifestazione sportiva improvvisata all’ultima ora.
E a ciò si deve se i concorrenti alle corse e al concorso di dirigibilità si sono
presentati in numero piuttosto scarso. Ciò nondimeno le gare sono riuscite piuttosto
animate ed il pubblico numeroso ed elegante, che gremiva i palchi circondanti la
pist, ha mostrato di divertirsi e di apprezzare la valentia dei chauffeurs con ben
nutriti applausi ai vincitori. Le gare si svolsero in piazza d’armi su una pista di 860
m. di sviluppo con curve di raggio insufficiente e con certe disuguaglianze di terreno
che facevano squassare le vetture come navi sballottate dalle onde del mare in
burrasca. Per ciò i tempi impiegati non sono certo ragguardevoli.” Cagno, che corre
su una Fiat 8 HP, si classifica 2° al concorso di dirigibilità; 3° alla corsa dei 10 km;
quarto alla corsa ad handicap di 5 km. Con Storero, nel 1902 Cagno partecipa alla I°
Sassi – Superga, alla Susa - Moncenisio, alla Padova – Bovolenta, sempre su vetture
Fiat. E infine nel 1903, il vero e proprio battesimo del fuoco. Non si tratta di una
corsa campestre da affrontare più per il gusto della sfida che per altro. Si tratta della
Parigi – Madrid, a cui Lancia gli ha chiesto di partecipare in qualità di suo
meccanico. Una gara seria, con i più grandi campioni del mondo. Una gara terribile,
con decine di morti, di cui ha recentemente scritto pagine epiche il nostro Alessandro
Baricco, nel suo bellissimo “Questa storia” (ed. Fandango). Una gara che ebbe inizio
ma non fine, perché interrotta a metà, all’altezza di Bordeaux, proprio per gli
innumerevoli incidenti mortali di cui fu costellata. Un bel debutto, da schiantare il
cuore o temprarlo per sempre. Cagno ne fu temprato per sempre.
Nel 1904 lo troviamo, ormai parte integrante della squadra ufficiale Fiat insieme a
Storero e Lancia, alla 5° Coppa Gordon Bennett, l’avvenimento sportivo di maggior
rilievo dell’anno. Era la prima uscita importante e fuori dai confini nazionali per la
squadra di corso Dante e per di più in rappresentanza del prestigio motoristico
italiano (la partecipazione alla Coppa Gordon Bennett, infatti, era nazionale, non
individuale). Si iscrissero sette nazioni: l’Austria, il Belgio, la Germania, la Francia,
l’Inghilterra, la Svizzera e l’Italia, con le tre Fiat guidate dalla triade. 18 concorrenti,
200.000 spettatori, tra cui l’imperatore tedesco in persona, 511 i chilometri da
percorrere, ossia quattro giri del circuito del Taunus. Cagno ha ventuno anni, ventitré
Lancia, trentasei Storero, altrettanti il belga Camille Jenatzy, vincitore della Coppa
nel 1903, venticinque il francese Léon Théry. Cagno, probabilmente, é il più giovane.
Ma non si lascia intimidire. A ruota di Jenatzy e Théry che conducono la gara dal
primo giro, rimonta dal settimo al quarto posto, ed è soltanto all’ultimo giro che i
colori italiani vengono distanziati. Storero rompe un pignone dell’albero di
trasmissione ed è costretto al ritiro; sia Cagno sia Lancia lamentano invece problemi
alle gomme. All’ultimo controllo dell’ultimo giro la beffa: la sostituzione malfatta di
un pneumatico costa a Cagno il suo 4° posto, difeso fino a quel momento con le
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unghie e con i denti; terminerà al decimo posto, Lancia all’ottavo. Vincitore fu Léon
Théry.
Lancia e Cagno però si tolsero una grande soddisfazione, prima della fine della
stagione sportiva. Su vetture Fiat, di cui erano i piloti ufficiali, vinsero la II Corsa in
salita da Pontassieve al Passo della Consuma, quasi 1000 metri di dislivello per 15
chilometri di gara. Lancia si impose nella classifica assoluta e nella categoria vetture
pesanti, su una Fiat 75 HP, e Cagno nella categoria Turisti, su una Fiat 60 HP. Le
corse in salita si stavano diffondendo rapidamente; nate in Francia con quella della
Turbie (1897), di Chanteloup (1898), del Gaillon (1899), e in Germania con quella
del Semmering (1899), diventarono ritrovi internazionali sia sportivi sia mondani,
come dimostrò la Chateau-Thierry e il Mont-Ventoux. Arrivò infine anche l’Italia,
con la Sassi – Superga, la Susa – Moncenisio e appunto la Coppa della Consuma,
tutte disputate per la prima volta nel 1902. Le gare in salita avevano molti vantaggi
rispetto a quelle in circuito o su strada aperta: comportavano un’organizzazione meno
complicata e meno costosa, duravano meno (Lancia compì il percorso in tredici
minuti) con evidenti vantaggi per il traffico normale; le macchine venivano messe a
dura prova e subivano veri e propri tests di affidabilità, utilissimi per la produzione di
serie e per sperimentare nuove soluzioni; le curve, le frenate, le derapate finivano per
dare vita ad una guida più spettacolare di quanto succedesse in una corsa di pura
velocità.
La Fiat però, per il 1905, decise di puntare di nuovo molto in alto, alla Coppa Gordon
Bennett, gara ormai di richiamo mondiale. Forte dell’esperienza fatta sul campo
l’anno prima, la casa torinese decise di approntare tre vetture dalle caratteristiche
tecniche davvero innovative, le tipo 100 HP, derivate dal tipo 75 HP, e progettate
dagli ingegneri Giovanni Enrico e Cesare Momo. Si trattava di due straordinari
progettisti. Momo, entrato in Fiat nel 1901, aveva progettato la frizione a dischi
multipli piani in bagno d’olio, adottata poi su tutti gli autoveicoli Fiat, e quindi il
tipico ponte posteriore in lamiera stampata impiegato per la prima volta sulla vettura
Fiat Brevetti nel 1906 e poi divenuto caratteristico di tutte le automobili Fiat fino al
1929. Enrico non era stato da meno: aveva brevettato un sistema di anticipo
automatico dell’accensione con magnete a bassa tensione, e successivamente un
cambio di velocità con ingranaggi sempre in presa. Tra le geniali intuizioni di Enrico
per le 100 HP del 1905 vi fu quella di portare le valvole del motore in posizione
superiore rispetto alla testa dei pistoni, cioè “in testa”, inclinate e comandate da un
unico bilanciere e da una sola punteria. Questo sistema fu naturalmente brevettato
Fiat e rappresentò una novità tecnica di assoluto rilievo. Altra particolarità fu la scelta
dell’alesaggio pistoni maggiore rispetto alla corsa, cioè una soluzione oggi nota come
“motore superquadro” o a corsa corta, coraggiosa in un’epoca che invece privilegiava
la corsa “lunga” dei pistoni.
Il 6 luglio del 1905 scesero in lizza, sul circuito dell’Auvergne, le squadre ufficiali
degli Stati Uniti (due Pope-Toledo e una Locomobile), dell’Austria (tre Mercedes);
della Germania (tre Mercedes), della Francia (due Brasier e una De Dietrich),
dell’Inghilterra (Napier e Wolseley) e dell’Italia, con tre Fiat. Due di queste affidate,
di nuovo, a Lancia e a Cagno, e la terza invece pilotata non più da Storero, ma dal
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giovane astro emergente Felice Nazzaro, che aveva spodestato l’antico datore di
lavoro di Cagno. Fin dal primo dei quattro giri del circuito (550 chilometri in tutto,
141 curve a giro, continui saliscendi, fondo stradale di terra battuta e sovente
sconnessa) Lancia fu alla testa dei suoi diciassette avversari, fino ad accumulare
quindici minuti di vantaggio sull’inseguitore più prossimo, Théry. A soli cinque
chilometri dalla conclusione della gara, una pietra sollevata da una ruota di un
concorrente doppiato forò il radiatore di Lancia, che dovette fermarsi. Disperato,
impotente, assistette al fulmineo passaggio di Théry verso il traguardo, seguito a
ruota da Nazzaro e Cagno, che si classificarono secondo e terzo. Se non fosse stato
per quella pietra…il successo dei colori italiani sarebbe stato clamoroso. Invece la
vittoria toccò ai colori francesi, che però riconobbero nella squadra Fiat il vincitore
morale della competizione.
Cagno ne era comunque uscito molto bene. Fu dagli echi di questa gara che nacque
una canzonetta piemontese che divenne rapidamente di moda: si intitolava “Turin –
Cavuret in automobil”e inneggiava all’andare “pì lest che n’usel” (più veloce di un
uccello), e poi diceva “Che Nazzari, che Cagno, che Lancia! Sun mi to chauffeur”
(altro che Nazzari, Cagno, Lancia, sono io il tuo autista!).
Fu ancora secondo, dietro Nazzaro, alla Susa - Moncenisio, e infine arrivò anche per
lui una gloria piena: il primo posto alla corsa in salita del Mont Ventoux, disputatasi a
chiusura della stagione sportiva. Registrò una media di 65,568 km/h, record che
rimase imbattuto per quattro anni.
Era ancora nulla, in confronto al trionfo che lo attendeva l’anno successivo, il 1906:
la vittoria assoluta alla prima Targa Florio, organizzata dall’intraprendente
nobiluomo Vincenzo Florio in terra siciliana, sul percorso Stazione Bonfornello –
Cerda – Caltavuturo – Castellana – Petralia Sottana - Petralia Soprana – Geraci
Siculo – Castelbuono – Isnello – Collesano – Campofelice. Si trattava di una novità
assoluta, nel panorama delle corse finora disputate. Era infatti riservata alle
“automobili da viaggio”, ossia costruite in almeno dieci esemplari, e vendute ad un
prezzo non superiore a 20.000 per il solo telaio. Furono costruite tribune, ristoranti,
chioschi per la vendita di bibite, giornali e pellicole fotografiche, posti di pronto
soccorso, stazioni di rifornimento, passerelle; faceva meravigliosa mostra di sé il
totalizzatore, altra grande novità, grazie al quale le scommesse acquisivano diritto di
cittadinanza. La grande nobiltà siciliana e quella europea, i giornalisti dei più noti
periodici non solo automobilistici, appassionati, tecnici, sportsmen, costruttori, piloti,
la gioventù snob, l’aristocrazia industriale, tutti conversero su Palermo per il 6
maggio (vedi auto d’epoca del 1996). Ma, colpo di scena, Cagno vinse la gara non su
una Fiat, bensì su una Itala, imponendosi come avversario, e non più come compagno
di squadra, su Vincenzo Lancia. Impiegò nove ore e mezza a coprire i 440 chilometri
della gara, ad una media di 46,8 km/h; e il successo dell’Itala fu completo, se si pensa
che si classificarono quattro Itala ai primi cinque posti. Ma come mai questo
“tradimento”? Certo, l’Itala nel 1906 era già una grandissima marca, ormai in grado
di insidiare la supremazia industriale e sportiva della Fiat ad appena due anni dalla
costituzione. Nel febbraio 1906, il valore di borsa indicava in Fiat, fondata nel 1899,
la prima azienda italiana (52 milioni di lire) e in Itala, azienda di appena un anno e
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mezzo, la seconda in febbrile crescita (21 milioni di lire). Dunque non è del tutto
strano che un pilota dell’epoca, giovane sì, ma ormai riconosciuto ed affermato come
Cagno, avesse deciso di cambiare scuderia. Scrive “L’auto” del 25 febbraio: “Da
qualche tempo si parlava della probabile assenza di Alessandro Cagno nella terna
dei conduttori della Fiat ma in seguito pareva che le domande di Cagno fossero state
accolte e che quindi il vincitore della Mont – Ventoux restasse alla vecchia (sic!)
casa torinese. Ma in questi giorni Cagno ha definitivamente abbandonato la Fiat
entrando a far parte della Casa Itala della quale probabilmente sarà il primo
conduttore. Al posto di Cagno la Fiat non metterà un professionista ma sarà il dottor
Aldo Weillschott che completerà la terna”. Il giornale pare adombrare delle richieste,
forse economiche, del Cagno (“le domande…), che magari, non accolte da Fiat,
erano state esaudite dall’avversaria Itala. E’ comunque strano il comportamento del
pilota, considerando che nel contempo, come vedremo, gareggiava per Fiat nelle
competizioni motonautiche; che, dopo aver conseguito il primo brevetto aeronautico
italiano nel 1910, continuò una brillante carriera nell’aria volando su velivoli Fiat;
che alla Fiat consacrò tutta la sua vita successiva di lavoro. Si potrebbe persino
ipotizzare che, come in quei mesi tra Fiat e Itala circolò sotto banco un accordo sui
rispettivi settori di produzione (una sorta di spartizione del mercato, dimmi cosa
intendi produrre così io mi occupo del resto), altrettanto potrebbe essere stato
concordato sul piano sportivo. Forse il “prestito” di Cagno all’Itala stava giocando
come remunerazione anticipata per non invadere il campo altrui.
La stagione sportiva iniziò in aprile con le affermazioni di Cagno sul mare, dove si
sfidavano le stesse identiche case che già lottavano sui circuiti automobilistici. Al
meeting di Monaco, per esempio, gareggiavano “cruisers” e “racers” azionati da
motori Fiat, Itala, Rapid, Florentia, Delahaye, Mercedes. E a ritirare la bella Coppa
del Principe di Monaco, vinta dal Fiat XIII per mano di Cagno, andò in
rappresentanza della casa … Lancia. Il quale però, qualche giorno dopo, si ritrasformava nel suo più acerrimo avversario e, naturalmente su Fiat, arrivava primo
su Fiat alla Coppa d’Oro indetta dall’Auto Club di Milano, con Cagno su Itala terzo.
La stessa sfida si rinnovò al Gran Premio di Francia sul circuito della Sarthe, in cui
Cagno combatté a lungo con la nuova terna della Fiat (Lancia, Nazzaro, Weillschott)
anche se il risultato della corsa favorì il terzo incomodo, ossia Szisz su Renault, e
Cagno non si classificò neppure (mentre Nazzaro fu secondo). D’altronde l’Itala
prese molto sul serio le sue partecipazioni sportive. Decise per esempio di spedire
addirittura due macchine, con Cagno e Fabry, alla Coppa Vanderbilt in America,
trasferta forzatamente molto onerosa anche solo per i costi di viaggio e trasporto. E
che tra l’altro non diede nessun risultato, perché Cagno, definito dalla stampa “di
cattivo umore” non riuscì ad entrare in classifica (Lancia invece arrivò secondo).
Diventavano due i rovesci dell’Itala, a distanza di poco tempo: “crediamo l’Itala
difetti di una seria mise au point, perché è troppo disgraziata la loro corsa tanto alla
Vanderbilt che alla Sarthe per poter dubitare del valore della vettura stessa”.
In ogni modo, se “tradimento” vi fu, o “prestito”, o semplice convenienza economica,
anche a fronte di queste alterne vicende il rapporto tra Cagno e Itala durò tutto il
1906, tutto il 1907 e arrivò fino al 1908. Nel 1907 si impose sul circuito di
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Montichiari a Brescia, dove era in palio la Coppa della Velocità. Reduce da una
mezza delusione alla Targa Florio, dove si era classificato soltanto quinto (mentre il
suo compagno di squadra Fabry aveva strappato un onorevole terzo posto, dietro
Felice Nazzaro e Vincenzo Lancia su Fiat), Cagno era partito ritardato di nove
minuti, ma con una corsa tenace ed ardita riuscì a colmare il distacco e ad
aggiudicarsi la Coppa, ad una media di 105,262 km/h. Alla coppa dell’Imperatore di
Germania, corsa nel 1907 sul circuito del Taunus, Cagno arrivò appena decimo, a
venticinque minuti dal primo, che tanto per cambiare era Nazzaro su Fiat (Lancia fu
sesto). Se aggiungiamo che nel 1908 al Gran Premio di Dieppe Cagno, che guidava la
nuova Itala da 120 HP munita di motore da 12 litri, fu poco fortunato, e finì
undicesimo, si può ben dire che il passaggio da Fiat ad Itala non giovò certo al pilota,
che si trovò quasi sempre, tranne poche eccezioni, a far da spalla ai suoi ex compagni
di squadra.
Sui giornali, anche automobilistici, cominciavano a strillare titoli di genere diverso.
Mongolfiere, idroplani, canotti automobili, giroplani (velivoli simile all’elicottero),
aeronavi, palloni dirigibili e soprattutto…aeroplani stavano diventando i nuovi
protagonisti delle cronache. “Le grandi giornate dell’aviazione. Henry Farman vola
per 771 metri!” titolava entusiasta “L’auto d’Italia” del 27 ottobre 1907. Diventava,
con quel volo, “primo detentore della Coppa d’aviazione creata dal 1904
dall’apostolo del volo meccanico”, Ernesto Archdeacon. Acquistavano fama anche
altri nomi: non più Nazzaro, Lancia, Cagno, ma Santos Dumont, Louis Blériot, Henry
Farman, Louis Delagrange, Gabriel Voisin. Non è dunque strano che nelle cronache
del primo Circuito Aereo internazionale di Brescia, svoltesi nel settembre 1909,
accanto ai nomi già citati, compaia anche quello di Cagno (“giovedì 16 settembre.
Cagno fa la sua prima uscita. Il suo biplano si alza repentinamente. Cagno ferma il
motore. L’apparecchio si abbatte al suolo senza troppi gravi danni. Sarà riparato in
tre giorni. Nazzaro (sempre lui!) visita il circuito e annuncia i prossimi motori Fiat
per aviazione”. Non manca il coté mondain. Anche Gabriele d’Annunzio è presente,
si farà portare in volo dal Rebus dell’italiano Calderara, allievo di Wilbur Wright, e
dal Blériot dell’americano Curtiss. C’era anche un certo Franz Kafka, stessa età di
Cagno (ossia ventisei anni), un futuro, allora sembrava, nelle compagnie di
assicurazioni dove era impiegato da un anno. Cagno in quell’occasione concorse con
un biplano Avis, azionato da un motore Itala. L’esperienza degli ultimi tempi, però,
dovette convincerlo che se la Fiat si decideva ad entrare nel campo dell’aviazione,
forse avrebbe fatto meglio a seguirla, e a non lasciarla più. La Fiat chiamò dalla
Francia l’ingegnere Clovis Thouvenot, per iniziare a sperimentare il nuovo settore.
Questi, a sua volta, portò con sé il pilota Delagrange, e scelse la località di Cameri –
Brughiera per farvi costruire un campo d’aviazione. Cagno si unisce ai due, in
rappresentanza della Fiat. Pochi mesi dopo, a gennaio 1910, in pieno inverno,
iniziavano già le prime lezioni di pilotaggio. Ad agosto, ottiene il brevetto. Così
scrive MACS il 25 agosto: “Cagno, alla scuola di Pordenone, ha preferito superare
le prove secondo il regolamento dell’Aero Club di Francia e ha compiuto tre voli di
cinque chilometri ciascuno senza toccare il suolo, atterrando a meno di 150 metri dal
punto prestabilito. Le prove si sono compiute il 21 agosto, presenti al campo oltre
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4.000 persone, nonostante che alla notizia non fosse stata data molta pubblicità. Alle
17,55 l’aeroplano Farman pilotato da Cagno parte per la prima prova del brevetto,
che consiste nel percorrere due giri del campo attorno a quattro piloni che
determinano un circuito di 2500 metri. Cagno, dopo aver compiuto i due giri di pista,
atterra a 9 metri dalla linea di traguardo, riscotendo vivissimi applausi. La seconda
e la terza prova si seguono con gli stessi risultati e con la precisione della prima.
Così alle 18,22 finisce le tre prove, conseguendo il brevetto internazionale di pilota
aviatore. Terminate le prove ufficiali, Cagno prende seco la sua signora, colla quale
fa un volo ad oltre cinquanta metri di altezza scendendo con un bellissimo volo
plané. Infine egli compie un ultimo giro solo e completa il suo eccezionale brevetto
compiendo un lungo giro nella campagna, passando poi al di sopra del pubblico
affollato attorno agli hangars. Alla discesa egli è accolto da lunga e calorosa
ovazione.” Quando, con il brevetto gli viene rilasciato il documento che lo consacra
aviatore, egli “era già maestro di scuola di pilotaggio a Cameri e a Pordenone”, il che
significa che fin da subito esercitò la duplice funzione di meccanico e di pilota.
Fu una nuova vita. Che Cagno contrassegnò a suo modo, lasciandosi chiamare non
più con il suo primo, bensì con il suo secondo nome, Umberto. Curiosamente, anche
per sua moglie Giuseppina arrivò il momento di cambiare il nome: da quei primi mesi
trascorsi a Cameri, nel 1909, divenne per tutti “Mimì”. Sembra infatti che, per quanto
innamorata e desiderosa di condividere con il marito ogni esperienza, anche dura, un
giorno la “spartanità” della loro sistemazione (una baracca ai margini del campo
d’aviazione, una branda per letto, una cassa da imballaggio per mobile) la fece
vacillare, inducendola a meditare seriamente di tornarsene a Torino. Per Cagno
sarebbe stato un dramma. Thouvenot capì al volo, e da buon francese galante e colto
cominciò a paragonare la durezza del loro ménage alla romantica soffitta parigina
dove si consumò l’amore tra Alfredo e Mimì, nella Bohème di Puccini (che tra l’altro
era un frequentatore degli spettacoli aviatori). E quando arrivò ad intonare la già
celebre aria “Mi chiamano Mimì”, per Giuseppina fu la capitolazione. Decise di
restare, a qualunque costo, e Umberto Cagno, l’aviatore, rinfrancato dal suo sostegno,
superò presto in audacia perfino le gesta di Alessandro Cagno, pilota d’auto. Fu il
primo a portare in volo tre passeggeri, volando ininterrottamente per circa mezz’ora,
a una quota di 100 metri (28 agosto 1910), fu il primo a sorvolare Pordenone (2
novembre), a portare con sé in volo un fotografo che perciò scattò tra le prime
fotografie aeree (21 novembre)*, a effettuare un volo notturno (12 febbraio 1911), ad
arrivare fino a Venezia (19 febbraio).
Quando nel 1911 scoppiò la guerra italo-turca per il possesso della Libia, Cagno non
poteva restare a guardare. Per iniziativa del direttore della Stampa Sportiva di Torino,
Gustavo Verona, e del Presidente dell’Aero Club Italia si organizzò una Flottiglia di
aviatori volontari civili. Nel novembre si costituì a Roma, presso il Battaglione
Specialisti del Genio, la nuova flottiglia, composta di due Squadriglie, una destinata a
Derna e l’altra a Tobruk. Cagno, la cui domanda fu subito accolta, faceva parte della
prima. I primi voli furono effettuati a partire dal dicembre, anche se l’attività della
squadriglia fu ostacolata seriamente dall’infelice ubicazione del campo di volo e dalle
quattro antenne della vicina stazione radiotelegrafica. Comunque Cagno compì una
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ventina di missioni di guerra, e costruì un primo rudimentale lanciabombe, in quanto
già convinto della validità dell’aereo come efficace mezzo da bombardamento. Forse
questa fu l’unica esperienza che non condivise con la moglie.
Con la fine della guerra libica, inizia il terzo periodo della vita di Cagno. Nel 1912
rientra a Torino, e torna a lavorare in Fiat, come collaudatore dapprima, quindi come
capo del collaudo. Tempo due anni, e si profila all’orizzonte un’altra, ancora più
temibile, guerra. Un’ultima partecipazione sportiva al Gran Premio dell’Automobile
Club di Francia, dove la Fiat mandò tre macchine di concezione estremamente
moderna, tali da segnare un indirizzo nella costruzione delle vetture da corsa. Si
trattava delle S57 14B di 4,5 litri di cilindrata, motore a quattro cilindri monoblocco e
trasmissione cardanica (per la prima volta su vetture da corsa della casa), freni sulle
quattro ruote (ossia anche sulle ruote anteriori, una grande innovazione tecnica). Sono
anche belle, perché sfoggiano una linea aerodinamica inedita. Cagno, ridiventato
Alessandro, vi prese parte insieme a Antonio Fagnano, debuttante non in qualità di
meccanico ma di prima guida, e all’americano Jack Scales. La gara purtroppo si
concluderà con una débacle per i colori italiani, e la schiacciante vittoria del tedesco
Lautenschlager su Mercedes. Ritornato in azienda, le sue mansioni diventano di
giorno in giorno più preziose. “Ed ecco il Cagno alla testa di tutto l’ufficio di
collaudo di guerra che non tarda per il suo enorme sviluppo a costituirsi in un
grande reparto per sé stante e ad assumere le proporzioni e l’andamento di una
grande officina, dove entrano ed escono, dove si provano, si esaminano, si
consegnano giornalmente centinaia di macchine. Nello stesso tempo, per le necessità
delle comunicazioni, dei rifornimenti e delle consegne, si forma un altro reparto delle
vetture di servizio, che il Cagno organizza e dirige pure esemplarmente e che con
centinaia di veicoli compie tutti i trasporti della Fiat” (Motori Aero Cicli & Sports,
dicembre 1918). Grazie alla grande responsabilità del suo servizio, Cagno non fu
nemmeno richiamato alle armi nel 1915 e poté continuare a dirigere il suo reparto che
tra collaudatori, conducenti, meccanici ed operai contava circa 800 persone.
L’addio definitivo alle gare di velocità fu al Gran Premio Vetturette di Brescia del
1923. Chiamato a sostituire nella squadra Fiat il pilota Evasio Lampiano, morto in un
incidente in prova due settimane prima, si coprì di gloria e vinse agevolmente,
imponendo una media di 136 km per i primi 174 km e di circa 130 sull’intero
percorso di 522 km. Fu suo anche il giro più veloce, 139 km/h. Nello stesso anno
prese parte alla prima corsa disputatasi in Russia dopo la rivoluzione, sul percorso
Mosca – Pietrogrado – Mosca, cinquemila chilometri. Come capo della squadra Fiat
vinse due premi, quello per i veicoli pesanti e quello per le autovetture. Fu
nuovamente in Russia nel 1925, per il concorso automobilistico Panrusso, seimila
chilometri che si stendevano tra Leningrado, Mosca, Tiflis e ritorno: altra vittoria,
altri quattro premi.
Seguirono lunghi anni di vita laboriosa e lontana dalle ribalte, a capo della sua
moderna Autorimessa e concessionaria Fiat, la Autocagno, in attività a Torino sino a
poco tempo fa, sin quando cioè (gennaio 1998) la Autocagno si fuse con Centro
Auto (Lancia) e Gotta (Fiat) di Torino per dar vita a un unico centro servizi dedicato
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all'automobile, chiamato Spazio Fiat – Lancia, per la vendita di vetture nuove e usate
e servizi di assistenza.
All’epoca, Cagno, l’ex ragazzo descritto da Biscaretti come “quieto, modesto, pieno
di buona volontà, perfetto meccanico… corridore di razza: audace e prudente,
robusto e dolce di mano, capace di valutare le proprie possibilità senza eccedere,
profondo conoscitore della macchina, risoluto ma disciplinato agli ordini” aveva
terminato la sua vita terrena da ventisette anni.
Quando si uccise non lo fece per morire, ma per seguire sua moglie, ovunque fosse,
come lei aveva seguito lui, ovunque andasse.
Donatella Biffignandi
Centro di Documentazione del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino
*le prime in assoluto furono scattate qualche giorno prima a bordo di un Farman
BIBLIOGRAFIA
“Racconto di una grande avventura”, di Carlo Biscaretti, in “I cinquant’anni della
Fiat”, Arnoldo Mondatori Editore, 1950
“In memoria di Alessandro Umberto Cagno pioniere magno del motore”, di Sergio
Raminelli, in “Filatelia”, dicembre 1977, febbraio 1978
“Ricordo di Cagno, impareggiabile pilota in terra e in cielo”, di Augusto Costantino,
in “Piemonte vivo”, dicembre 1972
Auto Moto Ciclo, 1923
“Alessandro Umberto Cagno”, di Piero Casucci, in “Quattroruote”, novembre 1970
Motori Aero Cicli & Sports, 1910, 1918
“Alessandro Umberto Cagno, pioniere del mondo del motore”, di Augusto
Costantino, in “La Manovella”, gennaio 1969
“I miei ricordi”, di Luigi Storero
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