perché la dolce vita? - Festival del film Locarno
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perché la dolce vita? - Festival del film Locarno
PERCHÉ LA DOLCE VITA? Raisat Cinema non poteva mancare a questo appuntamento unico e irripetibile: i cinquant’anni de La dolce vita, Palma d’Oro a Cannes nel 1960. Fellini sta al cinema come La dolce vita sta alla contemporaneità, ancora oggi a cinquant’anni dalla sua realizzazione (Palma d’Oro a Cannes nel 1960). La dolce vita ha registrato il passaggio, in tempo reale, dalla cronaca alla storia determinato dall’insorgente società dello spettacolo. Realizzato come un “rotocalco in pellicola” aspira a riproporre in forma artistica il caos contemporaneo accumulando episodi, suggestioni, situazioni in un disordine organizzato. Sembra un paradosso ma, se c’è mai stato un instant-movie questo è La dolce vita. Da sempre attento al cinema italiano e ai film diventati forma e fonte di ispirazione dei grandi registi - Fellini in tal senso è un autentico modello - Raisat Cinema ha dedicato al maestro riminese diverse rassegne cinematografiche e una imponente produzione dedicata alla sua vita e alla sua opera, Felliniana. Per questo quando Tullio Kezich ci propose di realizzare Noi che abbiamo fatto La dolce vita, abbiamo subito aderito con convinzione e passione. Realizzato da alcuni dei protagonisti di quella che Kezich ha definito «una lavorazione particolarmente lunga, movimentata e inventiva», Noi che abbiamo fatto La dolce vita è stato scritto dallo stesso Kezich, diretto da Gianfranco Mingozzi e prodotto in collaborazione con la “Fondazione Federico Fellini”. Nel 1983 Federico Fellini scriveva che «la tentazione piu’ forte è dire che il futuro è già finito», concordi col Maestro, per noi il futuro può solo essere intercettato, mai raggiunto: è tensione e progetto, solo e sempre l’inizio di un’avventura. Raisat Cinema KEZICH e FELLINI Scrivo su Tullio Kezich non perché sia un mio amico. L’ho solo intravisto a qualche prima teatrale o, chissà, ad una proiezione privata. Non perché io sia divenuto suo collega, sulle colonne dello stesso giornale, lui critico di cinema, io di teatro. Non perché abbia particolari rapporti con Raisat Cinema o con il festival di Locarno, benché sia l’unico festival di cinema che io abbia frequentato con una certa assiduità. Scrivo per ammirazione. E’ un’ammirazione che viene da lontano, dal mio primo affacciarmi nel mondo dei giornali. Nel 1968 cominciai a collaborare, come critico teatrale, a “Paese Sera”. Di quel pungente giornale, critico cinematografico era Callisto Cosulich, un uomo pieno di brio, di eloquenza, che non disdegnava parlare con il ragazzino che ero. Raccontava sempre, a me e a tutti gli altri colleghi dello “spettacolo”, episodi della sua gioventù gloriosa in Trieste (per tutti: il cineclub allestito sulla nave). Ma raccontava anche del suo collega e amico Tullio, un uomo il cui cognome finiva come il suo, una sciocchezza che finì con l’affascinarci. Cosulich–Kezich: ecco chi erano i veri critici cinematografici, un duo inscindibile, fantastico, vetusto (benché all’epoca non avessero, chi più chi meno, poco più o poco meno che quarant’anni). Naturalmente cominciai a leggere le cronache di Kezich e poco dopo, come tutti, scoprii la vera invenzione dello scrittore triestino, un’invenzione che rivoluzionò la critica cinematografica. Non più le lunghe, dettagliate cronachecritiche, non più gli elzeviri, le quattro cartelle, 120 righe, ottomila battute. Con il cinema ci si poteva comportare in modo diverso. Di colpo, Kezich accorciò. Aveva cominciato a scrivere recensioni brevi, non le recensioni–lampo di adesso, che di quelle sono una degenerazione, una patologia. Ma proprio brevi, sintetiche, succose: in poco spazio si poteva dire tutto. Che io ricordi nessuno sollevò obiezioni, nei discorsi che si facevano in redazione o altrove. Istintivamente, inconsciamente tutti capivamo che quella era la cosa giusta. Perché? Non perché il cinema sia un’arte meno nobile delle altre. Ma esso è legato, più delle altre, alla contingenza. Che noi si vedano con immutato piacere i film di mezzo secolo fa non smentisce quanto sto dicendo. Il cinema è legato alla contingenza nel senso che acchiappa la realtà al volo, dalla strada – quella strada domani non c’è più; e anche perché dalle sale esce dopo pochi giorni – se tu, spettatore, non sei stato tempestivo, fulmineo, quel film lo hai perso, forse non lo vedrai mai. Infine c’è un terzo motivo: uscivano tanti film, i critici dovevano rendere conto di tutti, anche dividendosi il lavoro con un’altra persona, l’impresa appariva titanica. La brevità, indubbiamente, era la soluzione. Solo molti anni dopo scoprii ciò che a Kezich mi affratella. Quel giorno è indelebile nella mia memoria. Era il 1960. Alle tre del pomeriggio ero davanti al cinema Fiamma. Ero in fremente attesa che cominciasse la proiezione de “La dolce vita”. Perché io, diciassettenne, fossi lì, in quello stato di vibrazione, tutto eccitato, m’è oscuro. Anzi, è quasi incredibile. Vidi il film due volte. La notte, lo giuro, non dormii. Le immagini di Fellini mi tormentavano, mi esaltavano, accompagnavano la lunga veglia o, per meglio dire, insonnia. In quel prezioso libro che è “Noi che abbiamo fatto La dolce vita” – un libro che, nello scaffale, ora è vicino a libri non meno prestigiosi, quello dedicato da Lilian Ross a “Il segno rosso del coraggio” di John Huston, o da Gregor von Rezzori a “Viva Maria” di Louis Malle, non libri di critica, ma diari di bordo, testimonianze, cronache affettuoso–esaltate in quel prezioso libro di Kezich, dicevo, c’è una sua domanda a Fellini, e la risposta del regista, che per me è una spiegazione di tutto: Kezich: «Che cosa ti piacerebbe sentir dire di questo film e che cosa non ti piacerebbe sentir dire?». Fellini: «Non mi piacerebbe sentir dire che ho tentato di stupire, che voglio fare il moralista, che sono troppo autobiografico, che ho cercato nuove vie. Non mi piacerebbe sentir dire che il film è pessimista, disperato, satirico, grottesco. E nemmeno che è troppo lungo. La dolce vita, per me, è un film che lascia in letizia, con una gran voglia di nuovi propositi. Un film che dà coraggio, nel senso di saper guardare con occhi nuovi la realtà, e non lasciarsi ingannare da miti, superstizioni, ignoranza, bassa cultura, sentimentalismo. Vorrei che dicessero: è un film leale». Ma a proposito di lealtà, come tacere dell’altra grande, inestinguibile passione di Kezich? Il cinema per lui è Fellini. Il teatro è Svevo. Svevo scrisse poco per il teatro? Non viene mai rappresentato? Nell’arco di un quarantennio la verità è che Kezich s’è fatto carico di mai trascurare quell’altro suo maestro: una lunga fedeltà. A tutti gli effetti, il testo più importante (ma si dovrebbe dire l’impresa di spicco) è la commedia tratta proprio da “La coscienza di Zeno”. In quel caso, la fedeltà è doppia, c’è anche quella della rispettosa interpretazione, del rimanere sempre vicino, del mai guardare da un’altra parte. Con il teatro, pur rimanendo ognuno al suo posto (non so bene quale), Kezich ed io ci siamo avvicinati. Ho qui davanti a me una cartolina meravigliosa, che mi spedì nell’aprile di quest’anno. Riguarda “Beyond the Rocks” e vi è ritratta Gloria Swanson. Ma dietro c’è il gentile invito a vedere il dvd di una commedia rappresentata da “La Contrada” di Trieste e che è un quasi – monologo (tutto vero – tutto fantastico) della madre di Livia Veneziani, la moglie di Svevo. Ebbene, penso che quella voce ironica, lievemente sfottitoria, condiscendente (alle intemperanze del genero) sia la vera, segreta voce di Kezich. In essa, egli prende le distanze da se stesso, per eleganza, per sobrietà. Ma tanto più lungo è questo passo tanto più egli si avvicina, ancora una volta, alla voce di Svevo, l’altro amore che non ha mai abbandonato. Franco Cordelli NOI CHE ABBIAMO FATTO LA DOLCE VITA E come descrivere quel Fellini che aveva appena compiuto trentotto anni? L’ho raccontato tante volte che non trovo l’immagine giusta: un rabdomante arrivato in prossimità dell’acqua, un cane che ha annusato i tartufi, un velocista pronto allo scatto? Solo a guardarlo ti faceva venire una voglia matta di saltare sulla nave che stava sciogliendo gli ormeggi, agli ordini di un capitano beffardamente coraggioso. Passammo insieme un paio di giornate tipiche delle molte che avremmo trascorso (o dovrei dire dissipato?) in modo analogo. Lui sulla pista del suo film ma non era un sentiero solo: erano dieci, cinquanta, cento. E Federico era sempre pronto a deviare, a sottrarsi e a infrattarsi; mentre noi ci sentivamo tutti come ragazzi che hanno marinato la scuola. Chi partecipò a La dolce vita vi confermerà che tirava sempre l’aria di non fare un accidente, di sfuggire agli impegni. E pure si lavorava, se questa è la parola, fino a veder spuntare l’alba…. Non si sapeva granché del modo in cui il regista lavorava con gli sceneggiatori: Tullio Pinelli, Ennio Flaiano e Brunello Rondi. Li vedeva separatamente ed era molto attento a non offendere la loro suscettibilità. Soprattutto con Flaiano, carattere non facile, teneva in piedi una specie di rapporto coniugale tormentato da malumori e ripicche. Pinelli credo che fosse il più diligente, quello che scriveva di più, e quanto a Brunello intimoriva Fellini con la sua erudizione e gli fungeva da “ scrittore fantasma” negli interventi sulle riviste culturali. C’era anche una cerchia di consulenti segreti, tra i quali Pier Paolo Pasolini che aveva fatto da guida nelle borgate durante Le notti di Cabiria. Quasi ogni sera Federico imbarcava l’uno o l’altro degli eletti sulla sua automobile (a qual tempo guidare gli piaceva) e li coinvolgeva in scorribande sulla Cassia misteriosa o sul lungomare di Ostia così simile a Rimini. Si parlava sempre del film, tanto che anche parlando di altre cose tutti i discorsi tornavano là. Non era solo una verifica del copione ma un’auscultazione appassionata dell’opera nel suo farsi. Il Poeta voleva sentire molti pareri su tutte le possibili scelte e poi decideva da solo: e ne era nata una specie di gara, fra i membri del consiglio della corona, su quali suggerimenti sarebbero stati accolto e quali no. Per uno strano fenomeno, ci sentivamo tutti attori del film; ma (e questo lo scoprii in seguito) non solo noi del culturame, ma anche i macchinisti, gli elettricisti, i figuranti. E per molti anni a venire, quando ci incrociavamo, da Mastroianni all’ultimo manovale, ci salutavamo (e continuiamo a salutarci fra i sopravvissuti) con particolare affetto. Siamo o non siamo stati (come si dice nel cinema) “sulla Dolce Vita con Federico Fellini?” Fu un lungo abbandonarsi da marzo a settembre del ’59, alle occasioni e agli stimoli, al divertimento e alla douceur de vivre strutturato a capitoli, come tanti film in uno, il colosso cinematografico crebbe su se stesso, raddoppiò, si allargò sulla durata finale di tre ore. E pure ci furono episodi eliminati : un picnic nautico a Ischia, al quale teneva particolarmente Angelo Rizzoli, ultimo definitivo produttore dopo una fuga di una dozzina di renitenti; e la figura di Dolores matura amante del giornalista Marcello, per la quale si preparava a tornare sullo schermo la Luise Rainer di La buona terra. Figuratevi come rimase quando Fellini le fece sapere che non serviva più. Certo nel film le donne non mancavano: la splendida Anitona Ekberg, che immergendosi vestita nella Fontana di Trevi entrò nella storia; la fragile e volitiva Anucchina Aimée; la morbida Yvonne Furneaux; la pimpante ballerinetta Magali Noel…. Tutte sempre intorno a Mastroianni, che se la godeva a fare il gallo del pollaio. In realtà bravissimo a galleggiare sugli eventi del film e della vita lasciandosi trasportare dalle correnti. Minuto per minuto nascevano decisioni repentine e spiritose invenzioni che crearono il mito. Fellini che all’alba supera a gran velocità la colonna della produzione mette l’auto di traverso imponendo l’alt e ordina: “Si gira da un’altra parte, ho cambiato idea!”. Fellini che s’innamora di una faccia qualsiasi sul set e al suo servizio s’inventa un’intera situazione. Fellini che convoca Enrico Maria Salerno e Alain Cuny e chiede ai due attori di recitargli in provini separati l’intera parte di Steiner, l’intellettuale suicida per poter scegliere con calma. “Vorrei che questo film non finisse mai”: lo pensavamo tutti e qualcuno ogni tanto lo diceva. Eppure sul declino dell’estate, con la pesca del mostro marino sulla spiaggia di Passo Oscuro, le riprese terminarono; e cominciò la differente fatica del montaggio, del doppiaggio, dell’edizione. Arrivò in punta di piedi Nino Rota con il suo bagaglio di meraviglie sonore, fra le quali quel tema parafrasato da Mack the knife che si trasformò in un inno nazionale. E poi, doveva succedere, il film ormai pronto diventò una cosa di tutti. Deflagrò come una bomba nel febbraio ’60 e il giorno dopo qualcuno si accorse che l’Italia non era più la stessa. Certo non l’aveva cambiata La dolce vita, ma ne era stato l’annuncio vistoso: il segnale di un decennio di mutazioni che si sarebbero succedute a rotta di collo. Sbarcati dalla gran nave felliniana a noi girava un po’ la testa; e così, nel rimpianto di quelle notti luminose e illuminanti, ci preparammo ad annoiare i nipotini raccontando: io c’ero….. Da Tullio Kezich, Noi che abbiamo fatto La dolce vita, Sellerio Editore Palermo SINOSSI Si compie mezzo secolo dalla nascita di uno dei più famosi film di tutti i tempi e le celebrazioni, aperte da un convegno della Fondazione Fellini previsto a Rimini per la metà di novembre, seguiranno la scansione delle date fatidiche. 16 marzo 1959, inizio lavorazione; settembre, fine delle riprese, montaggio, edizione e prime proiezioni della copia campione a Cinecittà; febbraio 1960, uscite al “Fiamma” di Roma e al “Capitol” di Milano, scandalo, grandi polemiche sui giornali, interrogazioni parlamentari. Maggio 1960: Palma d'oro a Cannes assegnata dalla giuria presieduta da Georges Simenon. Questo filmato di 50' circa parte da una famosa battuta di Mastroianni: "Essere stati su La dolce vita è come aver fatto il militare insieme". Il regista è Gianfranco Mingozzi su un copione imbastito con Tullio Kezich: Mingozzi è stato l'aiuto regista di Fellini e in tale veste ha battuto il primo ciak a Cinecittà; Kezich ha seguito il film per scriverne un diario di lavorazione tra poco di nuovo in libreria riproposto da Sellerio. La consulenza è affidata a Vittorio Boarini, direttore della Fondazione felliniana. Di notevole interesse sarà il ricorso al copione originale di “La dolce vita” conservato da Mingozzi, con annotazioni e schizzi di varie mani tra cui quella del Maestro. Sul filo dei ricordi di Mingozzi dall'interno della troupe e di Kezich come assiduo visitatore esterno si succederanno le testimonianze dei “dolcevitaioli" ancora in circolazione con puntuali citazioni di scene e fotografie del film. Le presenze saranno limitate ai protagonisti e comprimari, niente storici o critici o opinionisti che indurrebbero a una prospettiva diversa. I personaggi da far intervenire (qui ne elenchiamo alcuni in via di ipotesi, ma se qualcuno si rivelerà in attingibile ne spunteranno certo altri) si suddividono in varie categorie. 1) I collaboratori artistici: Tullio Pinelli (sceneggiatore che ha appena felicemente superato i 100 anni); Lucia Mirisola (aiuto costumista dell'art director Piero Gherardi, Oscar per i costumi del film); Paolo Nuzzi (aiuto regista); Arturo Zavattini (operatore di macchina, genero dell'operatore Otello Martelli); Lili Veenrnan (olandese italianizzata, assistente volontaria). intervistare a Londra (se sarà reperibile e Si pensa anche di disponibile) la carismatica ultranovantenne Luise Rainer (l'unica diva oscarizzata per due premiazioni di seguito, che fu cercata, scritturata e infine non utilizzata da Fellini); e a Los Angeles Dino De Laurentiis, il produttore mancato (i motivi furono tanti, lui dirà i suoi) al quale subentrò Angelo Rizzoli. 2) Gli attori: Anita Ekberg; Anouk Aimée (da Parigi); Yvonne Fourneaux (dagli USA); Magali Noel (da Parigi); Adriano Celentano (che si esibisce nel ballo a Caracalla); Giulio Paradisi e Enzo Doria (i due paparazzi rimasti, oggi regista il primo e produttore il secondo), John Francis Lane (giornalista britannico che fa sé stesso alla conferenza stampa di Anita), il regista Giulio Questi (che impersona un nobile nella scena a Bassano di Sutri), Jacques Sernas, Umberto Orsini e Riccardo Garrone (festaioli nella scena dell'orgia); Valeria Ciangottini (la ragazzina del finale a Passo Oscuro). Il senso di “Noi che abbiamo fatto La dolce vita” è quello di ricostruire il più fedelmente possibile l'atmosfera particolare, a detta di tutti i partecipanti, di una lavorazione particolarmente lunga, movimentata e inventiva, con un Fellini quarantenne al colmo della sua vitalistica esuberanza e della potenza espressiva. 3) Gianfranco Mingozzi, assistente volontario alla regia, fu incaricato nel ’59 da Federico Fellini di battere il primo ciak de La dolce vita, ora introduce allo stesso modo il video da lui diretto, su un’idea di Tullio Kezich, Noi che abbiamo fatto La dolce vita. Prodotto da RaiSat e dalla Fondazione Fellini di Rimini, il film riunisce una ventina di reduci di quella storica lavorazione. Fra gli altri intervistati figurano, oltre a quelli presenti in testimonianze d’archivio, Magali Noel e Yvonne Furneaux; e, tra coloro che persero l’occasione di fare il film, parlano da Hollywood Dino De Laurentiis e da Londra la veneranda Luise Rainer (99anni) in un documento eccezionale. In questi, a distanza di mezzo secolo, permane il dispiacere di essersi tirati indietro, negli altri c’è la consapevolezza di aver partecipato a un avvenimento memorabile. SCHEDA TECNICA E ARTISTICA DEL FILM Titolo: NOI CHE ABBIAMO FATTO LA DOLCE VITA Soggetto: Tullio Kezich Regia: Gianfranco Mingozzi Montatore: Mascia Calamandrei Un progetto Fondazione Federico Fellini Consulenza di Vittorio Boarini Produttore esecutivo RaiSat: Barbara Cuozzo Produttore: Cesare Landricina Produttore esecutivo: Media Land Srl, Roma Una produzione RaiSat - Fondazione Federico Fellini Camera DV CAM Master Beta DV_ DVD Pal Durata: 85' Repertorio da: La dolce vita di Federico Fellini Teche Rai Media Land Srl Vicolo di S. Agata 15/1 00153 – Roma P.I. 04470161003 Tel.& fax 06 580 3962 Cellulare 328 2087 647 [email protected] http://digilander.libero.it/celand DICHIARAZIONE DEL REGISTA «Non vorrei, caro Federico, farti l'elenco delle cose che ho imparato da te (e non lo dico per addolcirti un commiato che, credimi, è doloroso soprattutto per me) ma almeno lasciami dire questo: sei stato un maestro, un grande maestro, tuo malgrado. "Come, mio malgrado!?" mi sembra di sentirti dire. Si può insegnare la FANTASIA? No, di certo, ma si può apprendere che la fantasia (tua) può essere applicata ad un metodo implacabile, a favore sempre di una storia o di un personaggio. Si può insegnare la LEGGEREZZA E LA VOGLIA DI LAVORARE? Su di un set in apparente caos ti ho visto aggirarti sempre senza perdere la concentrazione, l'umanità, l'umorismo, come un coreografo ispirato che tocca e sprona tecnici scettici e li fa diventare meravigliosi ballerini di uno spettacolo nello spettacolo. Si può insegnare a SOFFIARE LA VITA in attori incapaci, in facce di marmo? Tu hai la capacità di trasformare corpi inerti, non cercando di adattarli ad un copione preesistente ma – estrema genialità – adattandoti tu ai loro limiti, facendoli, poi e così, rientrare in un nuovo progetto (come fosse un gioco) che tu ricrei sul momento, inventandolo. Mi hai insegnato - questo sì – la PAZIENZA: a cercare le persone, i volti, gli sfondi giusti senza fermarsi mai alle soluzioni più facili, più ovvie. Mi hai insegnato la CAPACITA’ DI RESISTERE, ora dopo ora, alle avversità di riprese difficili ed estenuanti. Mi hai insegnato la CAPARBIETA’ nel seguire con tenacia un 'idea, un 'intuizione, spiraglio di un vasto e ricchissimo mondo ( il tuo) dove, ahimè, era impossibile o difficile entrare. Mi hai dato soprattutto, regalandomi la tua fiducia e il tuo affetto, la FORZA DI CREDERE in me stesso. Per questo, con LEVITA’, come ho appreso da te, ti dico grazie. G.» E grazie anche a voi che avete avuto la pazienza di ascoltarmi. Gianfranco Mingozzi BIOGRAFIA E FILMOGRAFIA DEL REGISTA Gianfranco Mingozzi é nato a Bologna dove si è laureato in legge. A Roma ha frequentato il corso di regia al C.S.C. (Centro Sperimentale di Cinematografia) ed è stato aiuto regista di Federico Fellini. (La dolce vita/ Boccaccio 70). Nel I964 ha passato un lungo periodo di lavoro all’Office National du Film (N.F.B.) del Canada. Sceneggiatore e regista, documentarista, autore di inchieste per la Televisione, ha esordito con il documentario LA TARANTA (Primo premio al Festival dei Popoli Firenze 1962) DOCUMENTARI Note su una minoranza ( 16mm – 58’- 1964) - Premio Este 1964 Li mali mestieri (35mm – 10’- 1964) - Festival di Cannes 1964 Con il cuore fermo Sicilia (35mm – 30’ - 1965) - Leone d’oro a Venezia 1965 Nastro d’argento 1965- selezionato per l’Oscar 1965 Antonioni, storia di un autore (16mm – 55’- 1966) - Premio Bergamo 1966 Maria Denis, la fidanzata d’Italia (video-85’-2004) Festival dei popoli-Firenze Nino Vingelli, io sono il comico (video- 46’- 2005) Festival “Il cinema ritrovato” Vento Antico (Video 20’) 2007 , Festival Corecom Lazio: “Lazio, terre, gente e miti” Giorgio/Giorgia, una storia di transessualismo attraverso una diva dello spettacolo (54’ 2008) FILM Trio (35mm - I967) con Marisa Galvan, Walter Vezza, Mariella Zanetti Semaine de la critique (Cannes 1967) - Premio CICAE al Festival di Pesaro 1967 Sequestro di persona (35mm - I968) con Franco Nero, Charlotte Rampling Festival di Karlovj Varj 1968 - Noce d’oro dei critici italiani 1968 Morire a Roma (La vita in gioco) (35mm - I973) con Mimsy Farmer,Giulio Brogi, William Berger - Quinzaine des realizateurs (Cannes 1973) Flavia, la monaca musulmana (35mm -1974) con Florinda Bolkan, Claudio Cassinelli, Anthony Corlan Menzione per il colore al Festival di Barcellona 1974 Gli ultimi tre giorni (35mm - 1977) con Lina Sastri, Claudio Cassinelli, Franco Lotterio Festival di Locarno,Taormina, Chicago, Melbourne, San Francisco 1977 La vela incantata (35mm - I982) con Massimo Ranieri, Lina Sastri, Paolo Ricci Monica Guerritore, William Berger Premio per la regia al Festival di Valencia 1982 - Primo Premio degli Incontri Inter= nazionali a Prades 1983 - Quinzaine des realizateurs a Cannes 1982 - Festival di Avignone, Vienna, Siviglia, San Francisco, Los Angeles, Mosca L’iniziazione (35mm - I986) dal romanzo di Guillaume Apollinaire con Fabrice Josso, Claudine Auger, Marina Vlady, Serena Grandi Le lunghe ombre (35mm 1987) con Lina Sastri, Leonardo Ferrantini, Antonio DegliSchiavi Premio Italia – Festival di Valencia ‘87 – Festival di San Francisco 1987 Il frullo del passero (35mm -I988) con Philippe Noiret, Ornella Muti, Nicola Farron Festival di Istanbul, Madras, Cairo 1989 L’appassionata (35mm -I989) con Piera Degli Esposti,Nicola Farron Gran Premio al festival di Villerupt 1989 - Premio per la migliore interpretazione femminile al Festival di Valencia 1989 Tobia al caffè (35mm –2000) con Roberto Citran, Nicola Russo, Candice Hugo Festival di Taormina, Cairo, Taskent, Sana’a, Pechino TELEVISIONE Pantere nere (16mm - 1970) - sui black panters americani C’è musica e musica (16mm - 1970-72) - dodici puntate di un’ora in collaborazione con il compositore Luciano Berio Sud e magia: in ricordo di Ernesto De Martino (16mm - 1980) - 4 puntate di un’ora Il treno per Istanbul (35mm - 1980) dal romanzo di Graham Greene con Mimsy Farmer, William Berger, Alfredo Pea, Lea Padovani, Mirella D’Angelo - film televisivo in quattro puntate L’ultima diva:Francesca Bertini(16mm-1982)ritratto dell’attrice in 3 puntate di un’ora Sulla terra del rimorso (16mm-1983) un’ora sulla nascita e morte del tarantismo Menzione speciale al Festival dei Popoli, Firenze 1982 Storie di cinema e di emigranti (16mm - 1985) - sette puntate di un’ora sulla presenza italiana nel cinema americano La terra dell’uomo (16mm-1988) - tre puntate di un’ora sulla Sicilia di Danilo Dolci La vita che ti diedi (Video - 1991) dalla commedia di L. Pirandello con Piera Degli Esposti Vento di mare (35mm - 1993) - film televisivo in due puntate di un’ora e quaranta con Gianni Garofalo, Ilaria Borrelli,Jean Hebert, Giulia Fossà, Daniel Ciotti Sommer Stabat mater (Video - 1996) dalla commedia di A. Tarantino con Piera Degli Esposti Cuore mio (Video -1998) dallo spettacolo di e con Lina Sastri Maria Denis, la fidanzata d’Italia (Video – 84’ - 2004) sulla diva degli anni 30 / 40 Io sono il comico: Nino Vingelli (Video – 45’ – 2005) sul celebre attore napoletano "FONDAZIONE FEDERICO FELLINI" La Fondazione Federico Fellini è un’Associazione Culturale senza scopo di lucro. Nasce nel 1995 per espressa volontà della sorella del regista, Maddalena Fellini, e del Comune di Rimini. Il Presidente è Pupi Avati, mentre Tullio Kezich ne è Presidente onorario. Gli elementi centrali del programma della Fondazione sono la promozione di iniziative con cui celebrare l’opera del Maestro e la costituzione di un centro di studi felliniano di natura internazionale teso a conservare e trasmettere la memoria storica del Maestro.
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