bruno bianchi - Ordine degli architetti Bergamo
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1. Responsabilità del Sindaco in merito alla gestione delle emergenze La legge n. 225 del 24 febbraio 1992, recante “Istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile”, introduce per la prima volta (a seguito della modifica ex legge 12 luglio 2012, n. 100) l’obbligo per i Comuni di dotarsi di un’adeguata Pianificazione di Emergenza Comunale (PEC), coordinata con i contenuti del Piano di Governo del Territorio e approvata con deliberazione del consiglio comunale. Essa assegna al Sindaco il compito della prima gestione dell’emergenza sul territorio di competenza, nello spirito del principio di sussidiarietà (vedasi art. 13, 50, 54 del D. Lgs. 267/2000). Deve essere sottolineato come alcune norme più generali, relative all’attività degli Enti locali (D.M. 28/05/93, art. 1; D.Lgs. 267/2000) introducono il concetto fondamentale che il servizio di protezione civile comunale rientra nel novero dei servizi essenziali erogati al cittadino. Alla luce di ciò, il Piano di Emergenza Comunale rappresenta lo strumento principale a disposizione del Sindaco per fornire questo servizio. All’art. 15 della legge 225/1992 sono dettagliatamente indicate le “competenze del Comune ed attribuzioni del Sindaco”. Nell'ambito del quadro ordinamentale di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 in materia di autonomie locali, ogni comune può dotarsi di una struttura di protezione civile. La regione, nel rispetto delle competenze ad essa affidate in materia di organizzazione dell'esercizio delle funzioni amministrative a livello locale, favorisce, nei modi e con le forme ritenuti opportuni, l'organizzazione di strutture comunali di protezione civile. Il Sindaco è autorità locale di protezione civile, ai sensi della L. 225/92 e della L.R. 16/2004. Al verificarsi dell'emergenza nell'ambito del territorio comunale, egli assume la direzione dei servizi di emergenza che insistono sul territorio del comune, nonché il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite e provvede agli interventi necessari dandone immediata comunicazione al prefetto e al presidente della giunta regionale. Il Sindaco attiva la risposta comunale all'emergenza di propria iniziativa (in caso di evento locale) o su attivazione regionale e/o provinciale (in caso di evento diffuso sul territorio). In quest'ultimo caso il Sindaco è tenuto ad assicurare la ricezione e la lettura (24 ore su 24 e 365 giorni all'anno) dell’Avviso di criticità e comunque di qualsiasi altro tipo di avviso di preallarme o allarme, diramati dalla competente Prefettura e/o dalla Regione. Di particolare importanza è il comma 3-bis (aggiunto dal numero 2-bis, lettera e, comma 1, art. 1, D.L. 15 maggio 2012 n. 59, nel testo integrato dalla legge di conversione 12 luglio 2012 n. 100): “Il comune approva con deliberazione consiliare, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, il piano di emergenza comunale previsto dalla normativa vigente in materia di protezione civile, redatto secondo i criteri e le modalità di cui alle indicazioni operative adottate dal Dipartimento della protezione civile e dalle giunte regionali”. Il successivo comma 3-ter aggiunge che “Il comune provvede alla verifica e all'aggiornamento periodico del proprio piano di emergenza comunale, trasmettendone copia alla regione, alla prefettura-ufficio territoriale del Governo e alla provincia territorialmente competenti”. Il D.Lgs. 112/98, art. 108, punto c), prevede che: “Tutte le funzioni amministrative non espressamente indicate nelle disposizioni dell'articolo 107 sono conferite alle regioni e agli enti locali e tra queste, in particolare: [...] c) sono attribuite ai comuni le funzioni relative: 1) all'attuazione, in ambito comunale, delle attività di previsione e degli interventi di prevenzione dei rischi, stabilite dai programmi e piani regionali; 2) all'adozione di tutti i provvedimenti, compresi quelli relativi alla preparazione all'emergenza, necessari ad assicurare i primi soccorsi in caso di eventi calamitosi in ambito comunale; 3) alla predisposizione dei piani comunali e/o intercomunali di emergenza, anche nelle forme associative e di cooperazione previste dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, e, in ambito montano, tramite le comunità montane, e alla cura della loro attuazione, sulla base degli indirizzi regionali; 4) all'attivazione dei primi soccorsi alla popolazione e degli interventi urgenti necessari a fronteggiare l'emergenza; 5) alla vigilanza sull'attuazione, da parte delle strutture locali di protezione civile, dei servizi urgenti; 6) all'utilizzo del volontariato di protezione civile a livello comunale e/o intercomunale, sulla base degli indirizzi nazionali e regionali”. A livello regionale, oltre alla L.R. 16/2004 “Testo unico in materia di protezione civile”, il principale riferimento per l’organizzazione del servizio comunale di protezione civile è dettato dalle “Direttive regionali per la pianificazione di emergenza degli Enti locali” (D.G.R. VI/46001 del 28 ottobre 1999), riviste una prima volta nel 2003 (D.G.R. VII/12200 del 21 febbraio 2003) ed aggiornate con DGR 16 Maggio 2007 - N. 8/4732. Ai sensi della normativa regionale, l'attività di pianificazione (redazione dei Piani di Emergenza) compete ai Comuni, anche in forma associata, per i piani comunali, mentre l'attività di gestione degli interventi di soccorso e di emergenza compete al Sindaco, per gli eventi di protezione civile di cui alla lettera a) e b), comma 1, art. 2, L. 225/92, per il territorio di competenza. E' opportuno ricordare che, come riportato nella L. 225/92, art. 15, i primi soccorsi alle popolazioni colpite da eventi calamitosi sono diretti e coordinati dal Sindaco del comune interessato, che attuerà il Piano di Emergenza Comunale (o Intercomunale) e la prima risposta operativa d'emergenza, avvalendosi di tutte le risorse disponibili e dandone immediata comunicazione alla Prefettura, alla Provincia ed alla Regione. Qualora l'evento calamitoso non possa essere fronteggiato con mezzi e risorse a disposizione del Comune, il Sindaco chiede l'intervento di altre forze e strutture alla Prefettura ed alla Provincia, che adottano i provvedimenti di competenza, coordinando gli interventi con quelli del Sindaco. Ai sensi della L. 225/92, art. 15, ogni Comune può dotarsi di una struttura di protezione civile, che consenta di svolgere i seguenti compiti principali: - la predisposizione di un servizio di pronta reperibilità dell’Amministrazione Comunale per la eventuale ricezione di comunicazioni di allerta urgenti, o improvvise - la vigilanza su situazioni di possibile rischio per la pubblica incolumità in caso di comunicazioni ufficiali di allerta, provenienti da enti sovraordinati, ovvero in caso di verifica diretta delle stesse - l’organizzazione di una struttura operativa in grado di prestare la primissima assistenza alla popolazione (tecnici comunali, volontari, imprese convenzionate, ecc …) - l’adeguata informazione alla popolazione, in periodo di normalità, sul grado di esposizione ai rischi e sui comportamenti da tenere in caso di emergenza - la predisposizione di sistemi e procedure di allerta alla popolazione in caso di emergenza. Il “Metodo Augustus” prevede che in ogni Comune, in caso di emergenza, sia costituito il Centro Operativo Comunale (COC), fondato su 9 funzioni di supporto, che rappresentano le principali attività che il comune deve garantire alla cittadinanza, sia nella gestione della crisi, sia per il superamento dell’emergenza: 1. Tecnici Scientifici – Pianificazione; 2. Sanità, Assistenza Sociale; 3. Volontariato; 4. Materiali e mezzi; 5. Servizi essenziali e attività scolastica; 6. Censimento danni, persone e cose; 7. Strutture operative locali; 8. Telecomunicazioni; 9. Assistenza alla popolazione. Il presupposto su cui si fonda il COC è la possibilità di attivazione delle 9 funzioni in ogni momento (H24). Risulta chiaro come tale struttura sia difficilmente sostenibile a fronte dell’organico medio su cui può contare un comune. Al fine di poter di affrontare eventuali emergenze in modo organizzato, sulla base delle risorse umane effettivamente disponibili, viene pertanto introdotta una struttura denominata “Unità di Crisi Locale” – UCL, composta da figure “istituzionali” presenti di norma in ogni comune: Sindaco (o suo sostituto) Tecnico comunale (o Ufficio Tecnico Comunale) Comandante della Polizia Locale (o suo sostituto) Responsabile del Gruppo Comunale di Protezione Civile (o di eventuali Associazioni di Protezione Civile convenzionate) Rappresentante delle Forze dell’Ordine del luogo (Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di Finanza, Corpo Forestale dello Stato) A questa struttura minima di comando e controllo in sede locale potranno aggiungersi altri componenti, in funzione della natura dell'emergenza. Il Sindaco potrà inoltre individuare all’interno dell’Amministrazione Comunale (tra i funzionari o tra gli amministratori) un “Referente Operativo Comunale” – ROC, a cui affidare compiti operativi in fase di normalità (es. sovrintendere alla stesura del piano di emergenza comunale, organizzare il Gruppo Comunale di protezione civile, ...) ed in fase di emergenza (es. sovrintendere alla sorveglianza del territorio, coordinare eventuali evacuazioni, o l’assistenza pratica alla popolazione, ...). Questa figura facoltativa, nominata dal Sindaco ed integrata nell’UCL, deve essere vista come un supporto allo stesso, con autonomia decisionale limitata ad aspetti logistici ed operativi e, in caso di istituzione, non potrà essere identificata con il Sindaco stesso. E’ compito del Comune redigere le procedure di intervento specifiche per ciascun rischio considerato e, all’interno di ciascun rischio, per ogni scenario individuato. Uno degli aspetti più delicati della gestione dell’emergenza è senza dubbio legato alla eventualità di dover disporre l'evacuazione della popolazione, con apposita ordinanza di emergenza emanata dal Sindaco (ai sensi dell'art. 50, comma 2 del D.lgs. 267/00), o dal Prefetto (sia in funzione surrogatoria del Sindaco ai sensi dell'art. 54, comma 10 D.lgs. 267/00, sia autonomamente in forza dell'art. 19 del R.D. n. 383 del 1934). A seconda dei rischi incombenti e delle situazioni contingenti, si può parlare di evacuazioni preventive, quando lo sgombero della popolazione avviene prima che gli eventi calamitosi si verifichino, oppure di evacuazioni di soccorso, nel caso la popolazione debba essere sgomberata a seguito di un determinato evento. L'articolo 12 della Legge 3 agosto 1999, n. 265 "Disposizioni in materia di autonomia e ordinamento degli enti locali, nonché modifiche alla legge 8 giugno 1990, n. 142”, trasferisce al Sindaco le competenze in materia di informazione della popolazione su situazioni di pericolo per calamità naturali. La comunicazione sia in periodi di normalità (informazione preventiva), sia in situazioni di emergenza è estremamente importante per sviluppare nella popolazione la consapevolezza necessaria alla corretta applicazione delle regole e dei comportamenti suggeriti nei piani di emergenza. Il Piano di Emergenza Comunale dovrà dunque prevedere con quali sistemi e mezzi diramare le informazioni alla popolazione. 2. Responsabilità del Sindaco in caso di comuni consorziati o di PEC redatti a livello di Comunità Montana Il D.Lgs. 112/98, art. 108, punto c), suddivide in dettaglio le competenze nella redazione dei piani di emergenza, a livello comunale ed intercomunale, prevedendo un ruolo di coordinamento da parte delle Comunità Montane nel territorio di competenza, in merito alla stesura del piano di emergenza intercomunale: “Tutte le funzioni amministrative non espressamente indicate nelle disposizioni dell'articolo 107 sono conferite alle regioni e agli enti locali e tra queste, in particolare: [...] c) sono attribuite ai comuni le funzioni relative: […] 3) alla predisposizione dei piani comunali e/o intercomunali di emergenza, anche nelle forme associative e di cooperazione previste dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, e, in ambito montano, tramite le comunità montane, e alla cura della loro attuazione, sulla base degli indirizzi regionali”. Ai sensi delle “Direttive regionali per la pianificazione di emergenza degli Enti locali” (D.G.R. VI/46001 del 28 ottobre 1999), riviste una prima volta nel 2003 (D.G.R. VII/12200 del 21 febbraio 2003) ed aggiornate con DGR 16 Maggio 2007 - N. 8/4732: L'attività di pianificazione (redazione dei Piani di Emergenza) compete: ai Comuni, anche in forma associata, per i piani comunali; alle Comunità Montane per i Piani intercomunali in aree montane. L'attività di gestione degli interventi di soccorso e di emergenza compete: al Sindaco, per gli eventi di protezione civile di cui alla lettera a) e b), comma 1, art. 2, L. 225/92, per il territorio di competenza; I Piani intercomunali, oltre che nei territori montani, ad opera delle Comunità Montane, possono essere realizzati da unioni o associazioni di Comuni, anche temporanee (D. Lgs. 267/2000, art. 33 Esercizio associato di funzioni e servizi da parte dei comuni): “1. Le regioni, nell'emanazione delle leggi di conferimento delle funzioni ai comuni, attuano il trasferimento delle funzioni nei confronti della generalità dei comuni. 2. Al fine di favorire l'esercizio associato delle funzioni dei comuni di minore dimensione demografica, le regioni individuano livelli ottimali di esercizio delle stesse, concordandoli nelle sedi concertative di cui all'articolo 4. Nell'ambito della previsione regionale, i comuni esercitano le funzioni in forma associata, individuando autonomamente i soggetti, le forme e le metodologie, entro il termine temporale indicato dalla legislazione regionale. Decorso inutilmente il termine di cui sopra, la regione esercita il potere sostitutivo nelle forme stabilite dalla legge stessa. 3. Le regioni predispongono, concordandolo con i comuni nelle apposite sedi concertative, un programma di individuazione degli ambiti per la gestione associata sovracomunale di funzioni e servizi, realizzato anche attraverso le unioni, che può prevedere altresì la modifica di circoscrizioni comunali e i criteri per la corresponsione di contributi e incentivi alla progressiva unificazione. Il programma è aggiornato ogni tre anni, tenendo anche conto delle unioni di comuni regolarmente costituite. 4. Al fine di favorire il processo di riorganizzazione sovracomunale dei servizi, delle funzioni e delle strutture, le regioni provvedono a disciplinare, con proprie leggi, nell'ambito del programma territoriale di cui al comma 3, le forme di incentivazione dell'esercizio associato delle funzioni da parte dei comuni, con l'eventuale previsione nel proprio bilancio di un apposito fondo. A tale fine, oltre a quanto stabilito dal comma 3 e dagli articoli 30 e 32, le regioni si attengono ai seguenti principi fondamentali: a) nella disciplina delle incentivazioni: b) favoriscono il massimo grado di integrazione tra i comuni, graduando la corresponsione dei benefici in relazione al livello di unificazione, rilevato mediante specifici indicatori con riferimento alla tipologia ed alle caratteristiche delle funzioni e dei servizi associati o trasferiti in modo tale da erogare il massimo dei contributi nelle ipotesi di massima integrazione; c) prevedono in ogni caso una maggiorazione dei contributi nelle ipotesi di fusione e di unione, rispetto alle altre forme di gestione sovracomunale; d) promuovono le unioni di comuni, senza alcun vincolo alla successiva fusione, prevedendo comunque ulteriori benefici da corrispondere alle unioni che autonomamente deliberino, su conforme proposta dei consigli comunali interessati, di procedere alla fusione”. Tale soluzione può essere ottimale per i Comuni più piccoli, sia come territorio che per popolazione, per l’ottimizzazione delle risorse umane ed economiche. La possibilità di redigere un piano di emergenza intercomunale deve essere tuttavia attentamente valutata, poiché, sia per piani relativi a comunità montane, che per associazioni o unioni di comuni, il dettaglio deve essere quello di un piano comunale, non essendo previsto un ulteriore approfondimento a carico delle singole amministrazioni comunali: un piano intercomunale è pertanto da considerarsi la somma, non la sintesi, dei piani dei comuni coinvolti. Inoltre, in ogni caso, il modello di intervento deve essere concordato con le Autorità comunali di protezione civile, individuate dalla normativa vigente nei Sindaci, che in quanto tali sono gli unici responsabili delle operazioni di previsione, prevenzione e soccorso nell’ambito comunale. La Comunità Montana può ricoprire un ruolo di coordinamento tecnico e di supporto operativo, per supplire alle eventuali carenze di personale, tecniche ed organizzative dei singoli comuni. Quindi, il piano di emergenza intercomunale è costituito da una parte, identica per tutti i comuni, di inquadramento complessivo del territorio e da varie sezioni specifiche, riferite a ciascun comune, contenenti il dettaglio delle situazioni locali. L’importanza rivestita dalla redazione del Piano di Emergenza comunale, che non deve essere solo un assemblaggio di procedure e elenchi di uffici e numeri di telefono, ma un processo completo che parte dall’analisi dei rischi per giungere alla definizione di scenari di rischio ad essi collegati, richiede che il personale incaricato della stesura del piano stesso possieda capacità ed esperienza adeguate e che i rischi considerati nel piano vengano trattati in modo da garantire la stesura di documenti completi e tecnicamente e scientificamente accettabili. In assenza del personale qualificato nell’organico degli uffici tecnici delle amministrazioni comunali, sarà possibile affidarsi a professionisti esterni, associazioni di professionisti (ognuno per la propria area di competenza), società di progettazione (costituite sempre da professionisti qualificati) ed esperti in materia di protezione civile (coordinatori di emergenza formati a livello regionale o nazionale), fermo restando il compito di supervisione del piano da parte dell’Amministrazione interessata. Il redattore del piano non potrà, né sarà suo compito (a meno di accordi specifici), individuare autonomamente nel dettaglio il contenuto del modello di intervento che dovrà essere predisposto in stretta collaborazione con la struttura comunale. Come fonti scientifiche relative ai rischi considerati, possono essere utilizzati i documenti ufficiali emessi dalle amministrazioni pubbliche a livello provinciale, regionale e statale, gli studi prodotti da università e centri di ricerca, i documenti tecnici allegati alla pianificazione urbanistica comunale, i dati pubblicati sui siti internet istituzionali di province, regione e stato. 3. Finanziamento redazione/aggiornamento PEC Regione Lombardia ha approvato nel 1999 la propria “Direttiva regionale per la pianificazione di emergenza degli enti locali”, successivamente aggiornata nel 2003 e nel 2007 con DGR 4732/2007 del 16 maggio 2007, la quale costituisce la direttiva attualmente vigente. Parallelamente, l’attività in capo ai Comuni è stata supportata con l’erogazione di contributi economici, attraverso la pubblicazione di bandi di finanziamento, nel 1999 e nel 2008. In data 31 agosto 2011 venne pubblicato un nuovo bando a favore degli enti locali per la redazione e l’aggiornamento dei piani di emergenza comunali ed intercomunali; le domande potevano essere inviate dal 1° settembre al 31 ottobre 2011 (in realtà la Regione in data 11 Ottobre 2011 chiuse anticipatamente il bando, causa esaurimento dei fondi a disposizione, per complessivi € 1.000.000,00). In data 5 dicembre 2011 venne approvata, con DDUO 11925 (provvedimento pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia il 7 dicembre 2011), una seconda tranche di finanziamenti per la redazione dei piani di emergenza comunali; i fondi ammontavano a 401.000 € e coprivano altre 35 domande. In data 20 marzo 2012 è stato infine pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Lombardia il terzo ed ultimo decreto di assegnazione dei finanziamenti per la redazione dei Piani di Emergenza Comunali (D.d.u.o. 15 marzo 2012 - n. 2154). Al momento non risultano bandi attivi, pertanto i Comuni devono far fronte all’obbligo di legge con proprie risorse. L’attività di verifica e aggiornamento del Piano deve infatti necessariamente proseguire a cadenza periodica: il processo di verifica e aggiornamento di un Piano di Emergenza può essere inquadrato secondo uno schema organizzativo ciclico, finalizzato ad affinare e perfezionare in continuazione la performance e la qualità degli interventi. Pur essendo la durata del Piano illimitata, obbligatoriamente si deve rivedere e aggiornare il Piano almeno ogni volta che si verifichino mutamenti nell'assetto territoriale del Comune, o siano disponibili studi e ricerche più approfondite in merito ai rischi individuati, ovvero siano modificati elementi costitutivi significativi, dati sulle risorse disponibili, sugli Enti coinvolti, etc. In ogni caso, è necessaria una verifica interna annuale, in cui l'Amministrazione comunale accerti e attesti che non siano subentrate variazioni di qualche rilievo. Inoltre, fondamentali sono le esercitazioni, per verificare, nelle condizioni più estreme e diversificate, la capacità di risposta di tutte le strutture operative interessate e facenti parte del modello di intervento, così come previsto dal Piano. 4. Impossibilità per i comuni sprovvisti di PEC di poter accedere a risarcimenti in caso di calamità La presenza del piano di emergenza comunale è un obbligo “di fatto” per i comuni lombardi, poiché con DGR 1 dicembre 2010 n. 924/2010 la Regione ha vincolato l’erogazione di fondi per fronteggiare le emergenze locali alla presenza del piano di emergenza comunale, redatto in conformità alle vigenti direttive regionali. Nell’Allegato A “Nuovi criteri e modalità per il finanziamento regionale delle opere di pronto intervento di cui all’art. 3, comma 110 della l.r. 1/2000”, al punto 3 (Condizioni) si legge: “La concessione dei contributi regionali, è subordinata alla verifica positiva delle seguenti condizioni: a) adeguata pianificazione d’emergenza comunale secondo la vigente disciplina regionale; b) formale dichiarazione del sindaco o del legale rappresentante dell’ente di aver allocato adeguate risorse di bilancio per affrontare situazioni di emergenza; c) intervenuta dichiarazione di somma urgenza delle opere, e conseguente affidamento delle stesse con ordine di servizio nei termini e con le modalità di cui all’art. 147 del d.P.R. 554/99, da parte del dirigente del servizio comunale o responsabile comunale del procedimento, o tecnico comunale incaricato. Non possono essere concessi più contributi regionali per il medesimo pronto intervento”. Gli interventi per i quali viene chiesto il finanziamento regionale devono interessare strutture o infrastrutture pubbliche l’uso delle quali, in situazioni di emergenza idrogeologica o in conseguenza di calamità naturali, crei una condizione di rischio per la pubblica incolumità. I danni devono derivare esclusivamente da fenomeni naturali eccezionali. Per le strade e i ponti, il finanziamento regionale è ammissibile solo se gli interventi di ripristino siano necessari a garantire sicuro accesso carrabile a zone permanentemente abitate da residenti che si rendano isolate. Le strutture danneggiate, che necessitano di essere ripristinate a seguito di situazioni di emergenza idrogeologica o in conseguenza di calamità naturali, devono essere state correttamente progettate ed eseguite a regola d’arte. Non sono prese in considerazione opere per le quali non siano stati effettuati tempestivi e puntuali interventi di manutenzione. Gli Enti locali, al verificarsi dell’evento calamitoso, provvedono ad accertare tempestivamente le situazioni di pericolo pubblico. Tali situazioni, nonché le calamità in atto, devono essere segnalate alla Regione mediante la compilazione e la trasmissione della Scheda A, secondo le modalità di cui alla d.g.r. n. 8755 del 22 dicembre 2008. Per accedere al contributo regionale, gli Enti locali, entro e non oltre 48 ore dalla redazione del verbale di somma urgenza, e comunque prima dell’inizio dei lavori, devono trasmettere alla STER competente per territorio della Regione Lombardia (mediante posta certificata), motivata istanza di contributo corredata da una relazione tecnica contenente le valutazioni in ordine a: a) situazione di emergenza idrogeologica o altra calamità naturale in atto e cause determinanti e scatenanti il dissesto ed ipotesi relative a successive fasi evolutive dello stesso; b) pericoli in atto per la pubblica incolumità e definizione dei possibili danni; c) provvedimento di primo intervento (verbale di somma urgenza e ordine di servizio per l’affidamento dei lavori, con indicazione del momento dell’avvio dei lavori); d) indicazione dell’importo dei lavori come da ordine di servizio; e) proposte tecniche e schemi descrittivi delle strutture da realizzare; f) documentazione fotografica con evidenziazione degli elementi utili, richiamati in riferimento alla relazione su supporto ottico; g) corografia con indicazione precisa delle opere da realizzare. Di tale istanza dovrà altresì essere data contestuale comunicazione alla Sala Operativa regionale di Protezione Civile. Se le opere di pronto intervento ricadono in area soggetta a vincolo idrogeologico, esse vanno segnalate anche agli Enti competenti. 5. Collegamento del PEC con il PGT La legge n. 225 del 24 febbraio 1992, recante “Istituzione del Servizio Nazionale della Protezione Civile”, introduce per la prima volta (a seguito della modifica ex legge 12 luglio 2012, n. 100) l’obbligo per i comuni di dotarsi di un’adeguata Pianificazione di Emergenza Comunale (PEC), coordinata con i contenuti del Piano di Governo del Territorio e approvata con deliberazione del Consiglio Comunale. All’art. 15, comma 3-bis, si legge: “Il comune approva con deliberazione consiliare, entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, il piano di emergenza comunale previsto dalla normativa vigente in materia di protezione civile, redatto secondo i criteri e le modalità di cui alle indicazioni operative adottate dal Dipartimento della protezione civile e dalle giunte regionali”. Il successivo comma 3-ter aggiunge che “Il comune provvede alla verifica e all'aggiornamento periodico del proprio piano di emergenza comunale, trasmettendone copia alla regione, alla prefettura-ufficio territoriale del Governo e alla provincia territorialmente competenti”. La necessaria coordinazione dei vari strumenti comunali non si traduce tuttavia in un obbligo di stretta integrazione degli stessi. Nelle “Indicazioni Operative per la redazione dei Piani di Emergenza Comunali” (redatte ai sensi della DGR 4732/2007), il PGT (e lo studio geologico a supporto del PGT) è indicato quale fonte di dati laddove reperire informazioni ai fini della descrizione del rischio idrogeologico e sismico; inoltre la destinazione impressa dal PGT è una delle informazioni da riportare nelle “schede delle Aree di Emergenza” a corredo del PEC. Ma l’obbligo di integrazione non si spinge oltre. Nemmeno la legge regionale lombarda 12/2005 prescrive particolari interrelazioni fra i due piani. Ricordiamo tuttavia quali sono le caratteristiche e le funzioni delle varie componenti del Piano di Governo del Territorio. Il Documento di piano del PGT (descritto all’art. 8 della LR 12/2005) definisce “il quadro conoscitivo del territorio comunale, come risultante dalle trasformazioni avvenute, individuando […] le aree a rischio o vulnerabili, le aree di interesse archeologico e i beni di interesse paesaggistico o storico-monumentale, e le relative aree di rispetto […] e ogni altra emergenza del territorio che vincoli la trasformabilità del suolo e del sottosuolo”, nonché “l’assetto geologico, idrogeologico e sismico”. Evidentemente si tratta di informazioni che hanno una stretta attinenza con il PEC e che devono essere costantemente aggiornate. Il Piano delle regole (illustrato all’art. 10 della LR 12/2005) individua, fra l’altro, “le aree e gli edifici a rischio di compromissione o degrado e a rischio di incidente rilevante” e contiene la definizione dell’assetto geologico, idrogeologico e sismico comunale Non va infine trascurato il ruolo del Regolamento edilizio comunale, di cui all’art. 28 della stessa LR 12/2005, il quale disciplina (comma 1, lettera d) “le modalità per l'esecuzione degli interventi provvisionali di cantiere, in relazione alla necessità di tutelare la pubblica incolumità e le modalità per l'esecuzione degli interventi in situazioni di emergenza”. 6. Collegamenti del PEC con la pianificazione di emergenza provinciale La legge n. 225 del 24 febbraio 1992 prevede che il Piano di Emergenza Comunale (PEC) sia conforme al Piano di Emergenza Provinciale ed inviato (in versione originale così come i periodici aggiornamenti) alla Provincia territorialmente competente. Ai sensi dell’art. 3 della L.R. Lombardia 16/2004 e della DGR 16 Maggio 2007 - N. 8/4732, per quanto riguarda la redazione dei Piani di Emergenza provinciali, l'attività di pianificazione compete alle Province. La differenza sostanziale che intercorre tra i livelli di pianificazione comunale e provinciale deriva dalla scala degli scenari considerati. A livello provinciale, si dovranno considerare eventi di rilevanza almeno sovracomunale, oppure di livello comunale che coinvolgano infrastrutture maggiori (es. la viabilità di competenza provinciale, la rete ferroviaria, dighe, …). In tal caso, il dettaglio del piano di emergenza provinciale si attesterà ad una scala superiore rispetto a quello comunale, evidenziando le problematiche per il territorio circostante. Dal punto di vista procedurale, oltre all’organizzazione interna alla Provincia, dovranno essere considerate le responsabilità in capo agli enti che concorrono nella gestione dell’emergenza. Esempi di pianificazione ad ampio raggio possono essere ripresi dalla “Direttiva Regionale Grandi Rischi – Linee guida per la gestione di emergenze chimico-industriali” (D.G.R. 15496 del 05.12.2003) e dall’esperienza del “Piano di emergenza sub-regionale sperimentale di area Malpensa”, realizzato col coordinamento di Regione Lombardia (D.G.R. VII/20663 del 11 febbraio 2005). Naturalmente il piano di emergenza provinciale ed i piani di emergenza comunali e sovracomunali dovranno essere coordinati, utilizzando gli stessi dati per la definizione degli scenari, per evitare incongruenze a livello procedurale. Per quanto riguarda le fonti di dati, il principale riferimento sarà il Programma Provinciale di Previsione e Prevenzione, ove esistente; in alternativa restano valide tutte le indicazioni fornite per l’analisi dei rischi a livello comunale. Sul BURL n. 10 del 6 marzo 2013 è stato pubblicato il D.D.S. 1734/2013, con la ricognizione della pianificazione di emergenza di livello provinciale vigente in Lombardia. Fra le competenze delle Province indicate all’art. 13 della legge n. 225 del 24 febbraio 1992 vi sono le seguenti: - partecipazione all'organizzazione e all'attuazione del Servizio nazionale della protezione civile; - svolgimento dei compiti relativi alla rilevazione, alla raccolta e all’elaborazione dei dati interessanti la protezione civile; - predisposizione di programmi provinciali di previsione e prevenzione e loro realizzazione, in armonia con i programmi nazionali e regionali. Per il raggiungimento di dette finalità, in ogni capoluogo di Provincia è istituito il Comitato provinciale di protezione civile, presieduto dal presidente dell'amministrazione provinciale o da un suo delegato. Del Comitato fa parte un rappresentante del prefetto. Le Province si occupano dunque, oltre che della predisposizione del Piano di Emergenza Provinciale, dell’attivazione dei servizi urgenti, anche di natura tecnica, del coordinamento delle organizzazioni di volontariato e dell’integrazione dei sistemi di monitoraggio dei rischi sul proprio territorio (anche tramite il Programma Provinciale di Previsione e Prevenzione). Secondo quanto riportato all’art. 7, comma 1, il Presidente della Provincia, in caso di eventi di cui alla lettera b), comma 1, art. 2 della L. 225/92, è Autorità di Protezione Civile, responsabile dell’organizzazione e della gestione degli interventi di soccorso e di emergenza, nonché dell’informazione della popolazione a livello provinciale. Inoltre, congiuntamente alla Prefettura, il Presidente della Provincia attiva e coordina la Sala Operativa Provinciale. 7. Obbligatorietà (o meno) di considerare l’attuazione del PEC come il primo passo di una gestione più complessa Alla luce della legge n. 225 del 24 febbraio 1992, art. 15, spetta al Sindaco il compito della prima gestione dell’emergenza sul territorio di competenza. I primi soccorsi alle popolazioni colpite da eventi calamitosi sono diretti e coordinati dal Sindaco del comune interessato, che attuerà il Piano di Emergenza Comunale (o Intercomunale) e la prima risposta operativa d'emergenza, avvalendosi di tutte le risorse disponibili e dandone immediata comunicazione alla Prefettura, alla Provincia ed alla Regione. Ciò in ossequio al principio di sussidiarietà, secondo cui la prima risposta al cittadino deve essere fornita dall’istituzione ad esso territorialmente più vicina. Qualora l'evento calamitoso non possa essere fronteggiato con mezzi e risorse a disposizione del Comune, il Sindaco chiede l'intervento di altre forze e strutture alla Prefettura ed alla Provincia, che adottano i provvedimenti di competenza, coordinando gli interventi con quelli del Sindaco. Il Sindaco, in quanto Autorità locale di protezione civile, ai sensi della L. 225/92 e della L.R. 16/2004, attiva la risposta comunale all'emergenza: di propria iniziativa, in caso di evento locale; su attivazione regionale e/o provinciale, in caso di evento diffuso sul territorio. In quest'ultimo caso il Sindaco è tenuto ad assicurare la ricezione e la lettura (24 ore su 24 e 365 giorni all'anno) dell’Avviso di criticità e comunque di qualsiasi altro tipo di avviso di preallarme o allarme, diramati dalla competente Prefettura e/o dalla Regione. In ogni caso il Sindaco, sempre in quanto Autorità comunale di protezione civile (nonché quale Autorità di pubblica sicurezza e di sanità), è il primo responsabile della risposta comunale all'emergenza (art. 13, 50, 54 del D. Lgs. 267/2000). Deve essere tenuto presente che le priorità nell’intervento di soccorso coordinato dal Sindaco riguardano: la salvaguardia della popolazione (prioritaria su qualsiasi altra attività); l’informazione alla popolazione ed agli Enti sovraordinati sull’evoluzione della situazione; la salvaguardia del sistema produttivo; la garanzia della continuità amministrativa del Comune; il ripristino delle vie di comunicazione e delle reti di servizi (acquedotto, gas, energia elettrica, telefoni, fognature); la salvaguardia dei beni culturali. La legge 100/2012 ha introdotto il concetto che i piani e i programmi di gestione, tutela e risanamento del territorio, tra i quali rientra il Piano di Governo del Territorio (PGT), debbano essere coordinati con i PEC e con i piani regionali di protezione civile. L’organizzazione del sistema di protezione civile in Regione Lombardia si fonda sulla L.R. 16/2004 “Testo unico in materia di protezione civile”, che definisce le competenze della Regione, delle Province e dei Comuni. Il Presidente della Giunta Regionale, secondo l’art. 7, comma 1, L.R. 16/2004, è Autorità di protezione civile a livello regionale, per il coordinamento degli interventi di soccorso organizzati dalle Province di concerto con le Prefetture. La struttura regionale di protezione civile è basata sulla Sala Operativa H24 che svolge un ruolo di supporto agli Enti locali (Province, Comuni e Comunità Montane), agli organismi dello Stato (Prefetture) ed alle strutture operative (Vigili del Fuoco, 118, Forze dell’Ordine). La Regione fornisce inoltre supporto tecnico specialistico tramite l’Unità di Crisi Regionale, che si riunisce nella Sala Operativa in postazioni dedicate, ARPA-Lombardia ed una serie di Enti e strutture convenzionate (CNR, Università, Ordini Professionali, …). Per attivare l’intervento regionale diventa perciò fondamentale che al verificarsi di qualsiasi emergenza i Comuni informino tempestivamente, oltre la Prefettura e la Provincia di competenza, la Sala Operativa Regionale. 8. Obbligatorietà di prevedere tutti i possibili rischi o possibilità di limitarsi alla gestione delle emergenze minori Lo schema di riferimento per la stesura di un piano di emergenza è ormai un fattore consolidato ed universalmente riconosciuto dagli addetti ai lavori. Il primo passo è rappresentato dalla raccolta dei dati territoriali ed infrastrutturali (centri abitati, insediamenti produttivi e turistici ed infrastrutture di trasporto) e la loro rappresentazione su una o più carte a scala adeguata, per consentire una visione d’insieme dell’area interessata, ma allo stesso tempo permettere di comprendere le caratteristiche del territorio. Il censimento delle infrastrutture presenti sul territorio è indispensabile nella stesura del piano di emergenza; infatti, gli scenari di rischio ed il modello di intervento sono strettamente connessi alla presenza di edifici vulnerabili o strategici, strade, mezzi e materiali. Successivamente, ci si concentra sull’analisi della pericolosità. Si devono passare in rassegna tutti i potenziali rischi (fonte: Direttiva Regionale per la pianificazione di emergenza degli Enti Locali (L.R. 16/2004 - art. 7, comma 11, approvata con D.G.R. n. VIII/4732 del 16 maggio 2007): rischio idrogeologico rischio incendio boschivo rischio industriale rischio sismico rischio viabilistico rischi generici. In particolare, la normativa di settore inerente il rischio sismico è costituita da: • Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri. n. 3274 del 20 marzo 2003 (classificazione del territorio nazionale relativa alla vulnerabilità sismica); • D.G.R. VII/14964 del 7 novembre 2003 (Disposizioni preliminari per l’attuazione dell’OPCM n. 3274 del 20 marzo 2003); • Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3519 del 28 aprile 2006 (“Criteri generali per l’individuazione delle zone sismiche e per la formazione e l’aggiornamento degli elenchi delle medesime zone”); • Norme tecniche per le costruzioni in area sismica (D.M. 14 settembre 2005) e D.G.R. VIII/1566 del 22.12.2005. Infine, la Regione Lombardia ha prodotto alcuni studi sulla valutazione del rischio sismico sotto differenti aspetti, che possono risultare utili per l’analisi della pericolosità (ad es: “Determinazione del rischio sismico ai fini urbanistici in Lombardia” – in collaborazione con CNR\IRRS di Milano). In seguito, dall’incrocio tra le caratteristiche infrastrutturali e la pericolosità legata ai fenomeni attesi, si costruiscono gli scenari di evento, distinti per tipologia di rischio e per livello di intensità ipotizzata dei fenomeni. A ciascuno scenario, o successione di scenari, va associato un modello di intervento, ove possibile agganciato a soglie di allarme, il quale deve essere necessariamente tarato sulla base dell’Unità di Crisi Locale, descritta nel dettaglio, individuandone le figure che la compongono ed i ruoli e le responsabilità di ciascuna, in ogni fase del processo di gestione dell’emergenza. Come conseguenza diretta di quanto riportato in precedenza, è compito del Comune redigere le procedure di intervento specifiche per ciascun rischio considerato e, all’interno di ciascun rischio, per ogni scenario individuato: scenari di rischio idrogeologico scenari di rischio incendio boschivo scenari di rischio industriale scenari di rischio sismico scenari di rischio viabilistico scenari di rischi generici. Proprio in caso di rischio sismico – come evidenzia la citata Direttiva Regionale per la pianificazione di emergenza degli Enti Locali – risultano particolarmente importanti le “aree di attesa”, dal momento che gli edifici lungo i tragitti individuati potrebbero essere pericolanti e potrebbero esserci macerie al suolo. L’individuazione delle aree di attesa deve tenere in considerazione: l’analisi degli scenari di rischio; infatti la popolazione non deve essere mai evacuata attraverso le aree colpite; i percorsi indicati dovranno essere scelti in modo da aggirare le aree coinvolte dagli eventi calamitosi; la predisposizione di uno schema di evacuazione che preveda la suddivisione dell’ambito comunale in differenti zone, ognuna con la propria area di attesa, stimandone la capienza.