n. 18 - Autunno 2011 - Le Montagne Divertenti
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n. 18 - Autunno 2011 - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna T rimestrale di A lpinismo e C ultura A lpina e v r i D tenti n°18 - autunno 2011 - EURO 5 Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio Serpenti Le 7 specie della provincia di Sondrio Valmalenco Spigolo Gervasutti alla cima di val Bona Meteo e clima Il punto della situazione Fotografia In viaggio col fotografo Alta Valtellina Pizzo Matto, cima di Saoseo e trekking in val Grosina Pizzo Alto A picco sopra Chiavenna Alpi Orobie L'anello della val Belviso Valtellinesi nel mondo India: nel paese delle meraviglie Nel mondo La rivista a spasso coi nostri lettori Fauna Camoscio: re delle rupi Insetti La cicala e la formica Orobie Fausto Mottalini: l'Homo Salvadego di Arét Inoltre Ricette, poesie, giochi, leggende... Duilio Strambini il sorriso della val Grosina valchiavenna - bassa valtellina - ValMàsino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina 1 Le Montagne Divertenti IL G R UPP O B ANC ARIO AL CENTRO DELLE ALPI I - 23100 Sondrio SO piazza Giuseppe Garibaldi 16 Editoriale La val Grosina fu tra le prime, in Valtellina, a esser esplorata dagli alpinisti, meta privilegiata di una ristretta schiera di italiani, inglesi e tedeschi. Poi cadde nell’oblio. Ad avviare la riscoperta di quella “gemma dimenticata” ci pensò, negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, Duilio Strambini, che possiamo considerare il genius loci della val Grosina, profondo conoscitore di queste montagne che percorse e indagò nel corso della sua troppo breve esistenza. “Che cosa resterà di me? Del transito terrestre? Di tutte le impressioni che ho avuto in questa vita?” dice una canzone di Battiato. Sono parole che, pur nella loro apparente leggerezza, vanno al profondo, al senso dell’esistenza. E di un alpinista, che cosa resta? Di tutte le sue scalate? Della luce dei suoi occhi? E di Duilio che cosa resta oggi? Il ricordo, certo, ma soprattutto l’esempio della sua passione, semplicità, generosità. A Duilio, al suo sorriso, alla val Grosina è dedicato questo numero della rivista. Raffaele Occhi tel. +39 0342 528111 fax +39 0342 528204 www.popso.it [email protected] CH - 6900 Lugano via Giacomo Luvini 2a tel. +41 58 8553000 fax +41 58 8553015 www.bps-suisse.ch [email protected] I - 23100 Sondrio SO via Delle Prese 8 tel. +39 0342 210040 - 515450 fax +39 0342 514685 www.pirovano.it [email protected] Sci eStivo SnowBoard Sci di fondo I - 20122 Milano MI via Cino del Duca 12 treKKinG ed eScUrSioni tel. +39 02 58150.1 fax +39 02 58150.205 centro fitneSS www.factorit.it [email protected] centro BeneSSere QUota 3000 MeetinG la terrazza del pirovano wine Bar pUnto toUrinG 2 Gestore del SERVIZIO di CASSA del CLUB ALPINO ITALIANO Sede Centrale - Milano Le Montagne Divertenti Autunno 2011 In copertina: le cime di Lago Spalmo ritratte dalle pendici sud occidentali del dosso dell'Oca (29 agosto 2011, foto Beno). Autunno al lago delle Acque Sparse, sullo sfondo le cime di Redasco (19 ottobre 2010, foto Giacomo Meneghello). Scendendo da Lagùnc in Valchiavenna (6 2010, foto Roberto Lenovembre Montagne Divertenti Ganassa). 3 Editore Beno Direttore Responsabile Enrico Benedetti Redazione Alessandra Morgillo Beno Giorgio Orsucci Roberto Moiola Responsabile della fotografia Roberto Moiola Realizzazione grafica Beno e Giorgio Orsucci Revisore di bozze Mario Pagni Responsabile della cartografia Matteo Gianatti Hanno collaborato a questo numero: Andrea Zampatti, Antonio Boscacci, Claudio Pia, Dino Buzzetti, Eliana e Nemo Canetta, Fabio Pusterla, Francesco Vaninetti, Franco Benetti, Franco Franzini, Giacomo Meneghello, Gioia Zenoni, Giordano Gusmeroli, Giuliano Bordoni, Kim Sommerschield, Luca Carloni, Luciano Bruseghini, Luisa Angelici, Marcello Di Clemente, Marino Amonini, Matteo Gianatti, Matteo Tarabini, Mario Sertori, Maurizio Cittarini, Raffaele Occhi, Renzo Benedetti, Riccardo Scotti, Roberto Ganassa, Sergio Scuffi, Simone Bondio. Si ringraziano inoltre CAI Valtellinese, Ezio Gianatti, Mario Maffezzini, Maurizio Torri, Fabrizia Vido, Eva Fattarelli, Giulia Crosa Strambini, Chiara Strambini, Daniela e Mauro Barzani, Battista Gilardi, Nino Zappa, Francesco Bradanini, Piero Della Vedova, la Tipografia Bonazzi, gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere la rivista e gli sponsor che credono in noi e in questo progetto. ARIO LE MONTAGNE DIVERTENTI Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369 Speciali 10 12 Val Grosina Cenni sul territorio Duilio Strambini Il sorriso della val Grosina Itinerari d’alpinismo Itinerari d’escursionismo Rubriche 62 82 110 70 Valmalenco Gervasutti alla cima di val Bona Approfondimento Giusto Gervasutti: il Fortissimo 84 Val Grosina Escursione attorno al Matto Orobie L'anello della val Belviso Valtellinesi nel mondo India: nel paese delle meraviglie 121 Fauna Camoscio, re delle rupi Un saluto speciale a Pubblicità e distribuzione [email protected] tel. 0342 380151 Stampa Bonazzi Grafica -Via Francia, 1 -23100 Sondrio M Giuseppe Songini 36 Per ricevere la nostra newsletter: registra il tuo indirizzo email su www.lemontagnedivertenti.com Contatti, informazioni e merchandising [email protected] www.lemontagnedivertenti.com Val Grosina Alpinismo moderno 72 Val Grosina Pizzo Matto (m 2993) 92 Valchiavenna Pizzo Alto (m 2479) 124 Il mondo in miniatura La cicala e la formica annuale (4 numeri della rivista): costo € 22 da versarsi sul c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50 intestato a: Beno di Benedetti Enrico via Panoramica 549/A 23020 Montagna (SO) M Abbonamenti per l’Italia nella causale specificare: nome, cognome, indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti” 38 fatto il bonifico è necessario registrare il proprio abbonamento su 77 Val Grosina Cima di Saoseo (m 3263) 99 Orobie Viaggio in val Fabiòlo 127 134 143 144 O - www.lemontagnedivertenti.com - oppure mandando email con indirizzo di spedizione e copia del versamento a: [email protected] - oppure telefonando al 0342 380151 (basta lasciare i dati in segreteria). Clima Facciamo il punto Arretrati [email protected] - € 6 cad. Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista Prossimo numero S 21 dicembre 2011 46 105 Serpenti Le 7 specie della provincia di Sondrio Autunno 2011 Le Montagne Divertenti 146 Fausto Mottalini L'Homo Salvadego di Arét L'arte della fotografia Click si parte ( II parte) Le foto dei lettori Vincitori e vinti Giochi Ma ch'el, ma che scimma i-è Ricette della nonna I curnàt Sommario 5 Localizzazione luoghi Zillis Wergenstein Bergün Parsonz Sufers Curtegns 1864 3062 2115 Mulegns Pizzo Tambò 3278 3378 Cresta St. Moritz Fraciscio Passo del Maloja 1815 Pizzo Stella 3183 Mera 92 Casaccia Pizzo Galleggione 3107 Castasegna Prosto CHIAVENNA Mese Prata Camportaccio Gordona San Cassiano 2845 Verceia Cevo Bùglio Caspano Ardenno Dubino Mantello Mello Traona Dazio Sirta MORBEGNO Delébio Rògolo Còsio Regolédo Albaredo Premana Geròla Bellàno Taceno Pescegallo Pizzo dei Tre Signori 2554 Introbio Lierna Ornica Colorina Caiolo Tartano Pasturo Le Montagne Divertenti Barzio Monte Cadelle 2483 Passo San Marco 1985 Carona Cùsio Piazzatorre Cassiglio Pizzo Campaggio 2502 Olmo al Brembo Pizzo del Diavolo di Tenda 2829 Le Prese 3136 Brusio Ponte in Valt. Teglio Chiuro Arigna Aprica Gromo Autunno 2011 Vezza d'Oglio Còrteno Carona Pizzo Coca 3050 Monte Sellero 2743 Pizzo Camino 2492 Passo del Tonale 1883 Spigolo Gervasutti alla cima di val Bona (m 3033) (Antonio Boscacci, Beno e Mario Sertori) 72 Val Grosina Pizzo Matto (m 2993) (Beno) 77 Val Grosina Cima di Saoseo (m 3263) (Beno) 82 Val Grosina Attorno al Matto (Giacomo Meneghello) 84Orobie L'anello della val Belviso (Antonio Stefanini) 92 Valchiavenna Adamello 3554 Monte Carè Alto 3462 Berzo Saviore Valle Pizzo Alto (m 2479) (Gioia Zenoni) 99Orobie Monte Fumo 3418 Garda Paisco Concarena 2549 Ponte di Legno Edolo Loveno Villa Vione Sonico Palone del Torsolazzo 2670 Monte Torena 2911 Vilminore Colere Cortenedolo Malonno 84 Pezzo Incudine Monno Passo dell'Aprica Monte Gleno 2883 Valbondione Passo del Vivione 1828 Gandellino Corno dei Tre Signori 3359 Punta di Pietra Rossa Monte Tonale 3212 2694 Monte Serottini 2967 Mazzo Tovo Lovero Sernio TIRANO Bianzone Tresenda Adda Pizzo Redorta 3039 Fumero Adda Boirolo Pizzo Rodes 2829 Grosotto Punta San Matteo 3678 Passo del Gavia 2621 Le Prese Sondalo Monte Masuccio 2816 Schilpario Branzi Roncorbello T. Roasco San Caterina Grosio Vetta di Ron Albosaggia Foppolo Mezzoldo Valtorta Sondrio T. V enin a Bema 99 Pizzo Scalino 3323 Tresivio Tremenico Bellagio 6 Talamona Postalesio Berbenno Castione T. Livrio Dervio 3114 Cepina frana di Val Pola Eita Malghera Poschiavo Lanzada Caspoggio Chiesa in Valmalenco Torre di S. Maria San Martino Corni Bruciati 82 T. Fo ntana Cima del Desenigo Monte Legnone 2610 Lago di Como 3678 Pizzo Ligoncio 3032 Primolo T. Mallero Còlico Monte Disgrazia Bagni del Màsino 77 Monte Cevedale 3769 Monte Confinale 3370 Valdisotto Cima Saoseo 3263 Gran Zebrù 3851 San Antonio BORMIO San Carlo Sasso Nero 2917 3378 ra T. Code La Rösa 72 Chiareggio Cima di Castello T. Caldenno Dongo 3308 Novate Mezzola Lago di Mezzola 62 o T. Màsin Montemezzo Livo Gera Dosso d. Liro Lario Somaggia Vicosoprano Bondo Villa di Chiavenna Pizzo Badile 4050 Passo del Muretto 2562 Passo del Bernina Piz Palù 2323 3906 Oga 62Valmalenco Ortles 3905 Bagni di Bormio Premadio Cima Piazzi 3439 i od Lag chiavo Pos San Pietro Samòlaco Era Pizzo Martello 2459 Soglio Pizzo Bernina T. La nte rna Pizzo Quadro 3013 Sils Maloja Isolaccia Arnoga Forcola di Livigno 2315 Passo dello Stelvio 2757 Valdidentro Passo del Foscagno 2291 Solda Giogo di San Maria 2502 Trepalle Pianazzo Campodolcino 1816 Piz Languard 3268 Silvaplana Juf Lag 3180 hi d i Ca nca no Pontresina Julierpass Bivio Lago d i Lei Madesimo Livigno 3057 Mera 3210 Cima la Casina Samedan Piz Nair 3392 Pizzo d'Emet Isola Sur Stelvio San Maria Lago del Gallo Piz Piatta Montespluga 3159 Inn Montechiaro Müstair Piz d'Err Piz Grisch Innerferrera Passo dello Spluga Zuoz Albulapass 2312 Reno Ausserferrera Piz Quattervals 3418 Julia Splügen Medels Piz Kesch Cunter Andeer e itinerari Viaggio in val Fabiòlo (Nicola Giana e Marino Amonini) Capo di Ponte Làveno Le Montagne Divertenti Monte Re di Castello 2889 Niardo © Beno 2010 - riproduzione vietata Localizzazione di luoghi e itinerari 7 L e g e n d a Schede sintetiche e tempistiche Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita. Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse capacità. Sotto la voce "Dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica convenzionale, corredata da una breve spiegazione. Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2. Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza, pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono. 1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante. 2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare l'individuazione dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto. Bellezza pericolosità Quasi meglio il centro commerciale Carino Basta stare un po’ attenti Assolutamente fantastico Fatica Richiesta discreta tecnica alpinistica Pericoloso (si consiglia una guida) ore di percorrenza Una passeggiata! Nulla di preoccupante Impegnativo Un massacro Si comincia a dover stare attenti alle storte, alle cavallette carnivore e nello zaino è meglio mettere qualche provvista e qualche vestito. Assolutamente sicuro Ne vale veramente la pena Ottimo anche per anziani non più autosufficienti o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale per la camporella, anche per le coppiette meno esperte. dislivello in salita meno di 5 ore meno di 800 metri dalle 5 alle 10 ore dagli 800 ai 1500 metri dalle 10 alle 15 ore dai 1500 ai 2500 metri oltre le 15 ore oltre i 2500 metri Le scarpe da ginnastica cominciano ad essere sconsigliate (sono d’obbligo abito da sera e mocassini). E’ meglio stare attenti a dove si mettono i piedi. Vertigini vietate! su RADIO TSN Itinerario abbastanza lungo, ma senza particolari difficoltà alpinistiche. E’ richiesta una buona conoscenza dell’ambiente alpino, discreta capacità di arrampicare e muoversi su ghiacciaio o terreni friabili come la pasta sfoglia. E’ consigliabile una guida. FM 101.100/97.700 ogni martedì con Beno & special guests ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45 WWW.RADIOTSN.IT Montagna divertente, itinerario molto lungo e ricco di insidie di varia specie. Sconsigliato a tutti gli appassionati di montagna non esperti e non dopati. 8 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Valida alternativa al suicidio. Solo per persone con un’ottima preparazione fisicoatletica e esperienza alpinistica. Servono sprezzo del pericolo e, soprattutto, barbe lunghe e incolte. Speciali I luoghi Cenni sulla val Grosina Eliana e Nemo Canetta L a val Grosina è la laterale della Valtellina che si diparte dalla valle dell'Adda in direzione N, esattamente tra i comuni di Grosio e Grosotto. All'altezza di Fusino la valle si divide in val di Sacco (O) e in valle d'Eita (N), a loro volta madri di numerose vallecole tributarie. i sono montagne destinate a diventare famose, altre meno. È quanto successo alle Alpi di val V Grosina: un insieme di costiere che forse, poste in altri luoghi, avrebbero avuto la loro brava fetta di notorietà e di frequentatori. Ma queste vette si trovano incastrate tra il massiccio MàsinoBregaglia e il Bernina a ovest e il gruppo Ortles-Cevedale a est. Come dire, alcune delle maggiori località di alpinismo su ghiaccio e roccia di tutte le Alpi. Ed ecco che i monti grosini, dopo aver goduto di una certa notorietà nell’epoca dei pionieri, da decenni vivono appartati, pur costituendo un vasto e ricco insieme di valli e di cime e pur trovandosi a due passi da località di grande valore turistico quali l’Engadina, Livigno o Bormio. La vetta regina del nodo montuoso a cui appartengono le cime della val Grosina è la cima dei Piazzi e si trova appena a nord del "confine" della valle. Grazie alla sua splendida glaciale nord la Piazzi è testimonial di una nota acqua minerale valtellinese, ma il suo nome resta occultato e dunque chi subisce il bombardamento pubblicitario continua a ignorarne l’esistenza. Le Alpi di val Grosina annoverano inoltre una buona serie di cime oltre i 3000 metri, sovente pure di bello e ardito aspetto, vasti boschi oggi poco sfruttati, un buon numero di ghiacciai, sebbene di modeste dimensioni. E ancora molti laghetti alpini e ampi alpeggi, maggenghi e alcune pareti di solida roccia niente affatto disprezzabili. In pratica a queste montagne non mancherebbe nulla per divenire un gruppo molto frequentato da alpinisti ed escursionisti. Come detto, la loro posizione tra i colossi delle Alpi Retiche ha sicuramente inciso, ma d’altra parte è giusto riconoscere che grosini e grosottini sino ad oggi si sono astenuti dall’avviare quelle discutibili “valorizzazioni turistiche", che tanto hanno segnato l’ambiente in altre zone della provincia di Sondrio. In effetti gli abitanti di Grosio e Grosotto amano la loro valle, la frequentano, la curano e in larga parte la utilizzano ancora per le tradizionali attività agrosilvo-pastorali. Dunque è proprio tale attaccamento che ha permesso di preservare la val Grosina, pure se la zona non è mai stata inclusa nei territori da proteggere delle Alpi e Prealpi lombarde. Strana decisione, se pensiamo che vi fu un momento in cui si voleva trasformare in parco regionale il non lontano alto Livignasco, area sicuramente bella e interessante, ma forse meno ricca di spunti naturalistici e antropici della val Grosina. L’opposizione della popolazione fece fallire il progetto a Livigno; quanto alla val Grosina da decenni tutto prosegue in totale tranquillità come se i grandi centri turistici, cui abbiamo sopra accennato, fossero lontanissimi. Le nostre montagne sono quindi un luogo ideale per alpinisti ed escursio- 10 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti nisti che vogliano immergersi in un mondo d’altri tempi, con pochi rifugi né eccessive facilitazioni. Certo oggi si giunge a Eita e Malghera su stradelle percorribili anche da una normale auto (dal 2012 probabilmente solo previo permesso, in base a una recente norma regionale) e, alla testata della val di Sacco, nei pressi del Santuario della Madonna della Neve, vi è un rifugio sempre aperto d’estate (rifugio Malghera) e a Eita ve ne è un secondo che richiede invece una chiamata di prenotazione. Questi rifugi sono ben conosciuti dai ragazzi degli oratori che quassù hanno trascorso estati indimenticabili all'insegna del gioco e della Natura. A Fusino, da qualche anno, funziona un ristoro con alloggio. Ma se pensiamo che la val Grosina copre un’ estensione di circa 150 chilometri quadrati, ovvero poco meno della metà della vicina Valmalenco che - paesi a parte - pullula di alberghi e rifugi, ristoranti, sentieri segnalati, strade e impianti a fune, è evidente come l’escursionista in cerca di itinerari poco battuti e di spazi all’insegna della wilderness può trovare in val Grosina pane per i suoi denti. olo luci allora in questa sorta di questo Paradiso perduto? In effetti qualche ombra la vediamo, sia oggi che in prospettiva. Da segnalare innanzitutto il selvaggio uso e abuso delle motoslitte nel periodo invernale, forte nota di demerito nella gestione del territorio. Gli abitanti di Grosio e Grosotto, inoltre, hanno di fatto evitato di promuovere turismo ed escursionismo nelle loro amate valli, sia pure in forme rispettose dell’ambiente. Il rischio è che, terminate le "valorizzazioni" in alta, media e bassa Valtellina, qualcuno metta gli occhi pure sulla val Grosina, restata totalmente estranea a tali fenomeni. Cosa potranno impugnare grosini e grosottini per opporsi ai volgari condizionamenti connessi alla circolazione di grandi somme di denaro? Sarebbe perciò auspicabile sin da ora lo sviluppo di ristori, agriturismi e rifugi sempre aperti nella buona stagione, tali da creare una certa attività economica, senza nulla togliere all’ambiente. Queste attività un domani contrapporsi ai discutibili e altrove diffusi “valorizzatori”. Il lago Calosso (1998, foto Marino Amonini). I laghi di Tres (11 luglio 2011, foto Giacomo Meneghello). S Il lago delle Acque Sparse (5 luglio 2011, foto Franco Franzini). Il lago Negro (1985, foto Marino Amonini). Scialpinismo in val Guinzana (foto Franco Benetti). Cenni sulla val Grosina 11 Speciali Duilio Strambini Raffaele Occhi il sorriso della val Grosina Duilio Strambini in vetta al pizzo del Teo (15 agosto 1969, foto archivio Strambini). C hi nasce a Grosio rimane legato per tutta la vita alla val Grosina e alle sue montagne, un amore che traspare anche solo osservando gli anziani che pazientemente sfalciano ancora i prati più ripidi. Creste, ghiacciai, pascoli curati, baite, laghi e torrenti sono artisticamente accostati per formare splendidi quadri naturali, tra i più belli della nostra provincia e ciò nonostante poco conosciuti e visitati. gli albori dell'alpinismo furono gli stranieri a salire per primi le cime della valle. Poi, ultimata la fase pionieristica, la val Grosina cadde per molto tempo nell'oblio, senza per questo perdere minimamente il suo fascino. egli anni '70, grazie alla straordinaria guida alpina Duilio Strambini, ci fu la rinascita alpinistica della valle: egli ne percorse creste, pareti e ghiacciai in ogni direzione e stagione. Di Duilio vi parleremo in queste pagine e per farlo vi mostreremo anche la terra che ha tanto amato e a cui il suo nome è indissolubilmente legato. A N 12 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina Eita e il sasso Maurigno (11 luglio 2011, foto Giacomo Meneghello). Duilio Strambini ai piedi delle pareti nord dei pizzi Palù (foto archivio Strambini). 13 Speciali Personaggi Prologo L’ La val Grosina Orientale vista dalla vetta del Sasso Maurigno (21 luglio 2011, foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com). La cima Viola (m 3374), la più alta vetta della val Grosina. In primo piano fioritura di eriofori presso il lago Venere (9 agosto 2011, foto G. Meneghello). invito di Duilio a fare un giro insieme fra le sue montagne per me novellino era stato davvero allettante. Come fossi arrivato a Grosio, da dove si partiva, non lo ricordo; ricordo però che già percorrere la val Grosina al buio (si era verso fine settembre) a bordo di una vecchia moto svizzera riassemblata, che Duilio aveva avuto in prestito da un cugino, era stata un’avventura; la mulattiera verso Eita era tutta sconnessa e a un certo punto, dovendo procedere ad andatura sostenuta per evitare che il motore si arrestasse, un sasso ci aveva fatto perdere l’equilibrio ed eravamo andati a gambe all’aria: giusto qualche botta, e un paio di ramponi appesi fuori dallo zaino (per fortuna poco affilati) in testa! Per nulla scoraggiati, avevamo poi raggiunto il rifugio Falck per la notte. Il giorno seguente, a causa del gran vento, della Piazzi non si era fatto nulla, e avevamo così ripiegato sulla traversata del Sasso Maurigno. L’anno dopo fu la volta della cima Viola dalla capanna Dosdé, seguita dalla cima settentrionale di Lago Spalmo. Quel giorno, che conservo nello scrigno dei regali più preziosi, fu per me una rivelazione, e da allora la mia passione per la montagna, e per la val Grosina in particolare, non è mai venuta meno, cosa di cui – dopo tanto tempo che ci ha lasciati – sono ancor oggi grato a Duilio e al suo sorriso. Da dove aveva ereditato la passione per la montagna? Sicuramente Duilio portava dentro di sé il forte legame dei grosini alla propria valle, e questo legame lo esplicò – lui che aveva studiato – non nelle tradizionali attività contadine e pastorali dei suoi avi, bensì nell’esplorazione della montagna, un’attività che gli permise di abbinare – per usare le parole di Massimo Mila – “le due facoltà supreme dell’uomo: la facoltà teoretica e la facoltà pratica, il conoscere e il fare”. Del resto la val Grosina, la sua valle, era stata la culla di un certo alpinismo di ricerca di fine ‘800, nel quale Duilio si riconosceva; e poi, Grosio aveva già espresso personaggi singolari come Bartolomeo 14 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Germano e Duilio Strambini (1951, foto archivio Strambini). Sassella (il primo salitore solitario della cima Viola), il canonico Cristoforo Pini (quello del colle tra le due cime del Redasco) o Pietro Rinaldi (la guida di Sinigaglia), dei quali Duilio potrebbe considerarsi un epigono. ur fiero della sua identità montanara e grosina, Duilio andò però ben oltre i confini della valle, nell’alpinismo come nella vita. Se il legame con la sua terra, da un lato, lo nutrì e lo fece crescere con salde radici, la passione per l’alpinismo, dall’altro, lo aprì al mondo; alimentate da quelle radici, infatti, le sue fronde si estesero ad incontrare altre fronde e a dare nuovi frutti. P Gli inizi Le montagne della val Grosina – “un labirinto di valli, di balze, di varchi, di boschi, di pascoli, sormontati da ghiacciai e da cime superbe” (così la Guida alla Valtellina del 1884) – sono sempre rimaste un po’ nell’ombra a causa della vicinanza dei più famosi gruppi dell’Ortles e del Bernina; ma forse proprio per questo hanno attratto, come una donna bella ma poco appariscente, chi ne ha saputo apprezzare i pregi nascosti. Questi pregi Duilio li ha saputi interpretare e cogliere appieno fin da ragazzo col suo entusiasmo, curiosità e passione, non accontentandosi però di tenerli per sé ma cercando di farli conoscere e apprezzare in una cerchia più vasta di amici e appassionati di montagna. Dal libro del rifugio della capanna Dosdé, settembre 1964: «Partiti da Grosio a piedi (purtroppo!) alle ore 9 dopo circa ore 9 di viaggio, ostacolati da un vento incessante, dalla fitta nebbia e dall’oscurità, ci accampiamo con nostra tenda canadese presso i due laghetti sopra il lago Negro, poco distante da questo rifugio (quota 2662)». Non sono che ragazzi (ràis, diremmo in grosino), ai quali sicuramente non mancano l’entusiasmo, la voglia di avventura e lo spirito di gruppo (si qualificano membri di un certo “SWOB Club”, «in attesa che si costituisca in Grosio una sezione C.A.I.»). “Capoguida” è Duilio, 17 anni; con lui ci sono suo fratello Germano e i cugini Battista ed Egisto Gilardi, rispettivamente 15, 12 e 10 anni. Nei giorni seguenti, approfittando di qualche sprazzo di bel tempo, salgono prima verso il Saoseo fino alla quota 3056 e poi verso la Viola fino ai piedi del ghiacciaio, ma le nebbie li tengono lontani dalle cime; allora, per lasciare Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina 15 Speciali Personaggi Alpinismo dei pionieri Eliana e Nemo Canetta utti lo sanno: gran parte delle Alpi sono state calcate per la prima volta dagli alpinisti inglesi! I nostri colleghi d’oltre Manica già a metà dell’Ottocento disponevano di due fattori a quei tempi assai rari nell’Europa continentale: denaro e tempo. Essi infatti, sbarcati a Calais, non si affrettavano neppure troppo verso le agognate mete alpine: visitavano la valle del Reno, le cantine di Borgogna, e perché no, facevano una puntata sui celeberrimi laghi svizzeri. Poi finalmente raggiungevano la meta tanto sognata. Ben comprensibile, se pensiamo che il Ben Nevis, la vetta più alta delle isole britanniche, non raggiunge i 1500 metri; una modesta cima delle Prealpi. Sulle Alpi i touristes, provenienti da Albione, assoldavano le migliori guide e robusti portatori, che gli trasportassero sin sotto le vette l’ingombrante attrezzatura e sovente pantagruelici pasti, ed iniziavano delle campagne alpinistiche che potevano durare settimane se non mesi. Va detto che questi inglesi non si limitavano alle grandi vette, quali il Bianco o il Cervino, ma, con vero spirito esplorativo, penetravano un po’ in ogni valle ove vi fossero cime vergini e vette di bell’aspetto, tra l’attonita meraviglia dei nostri montanari. Sta di fatto che le Alpi di val Grosina non sfuggirono a questa regola generale, offrendo un territorio pressoché inesplorato e cime dal fiero aspetto. E così il pizzo di Teo, le cime del lago Spalmo, il corno di Dosdé, il pizzo Paradisino, senza contare altre cime minori, nel 1866 caddero sotto l’assalto determinato di D. W. Freshfield, Y. D. Walker, H. P. Thomas, F. A. Lewin, J. D. Finney. La cima dei Piazzi, restata incredibilmente vergine, venne conquistata l’anno successivo dallo svizzero J. J. Weilenmann, condotto dalla guida tirolese F. Pöll, che (finalmente!) utilizzarono come portatore Santo 16 Le Montagne Divertenti Alfredo Corti (1908, archivio Corti - CAI Valtellinese). T Romani di Premadio: il primo connazionale che abbia salito qualche vetta importante delle Alpi di val Grosina. Ancora per anni, allontanatisi gli inglesi probabilmente verso altre mete e vette vergini, svizzeri e tedeschi proseguirono metodici l’esplorazione. Ma iniziarono pure ad affacciarsi gli italiani. Nel 1875 B. Sassella conquistò la cima Viola e nel 1876 il celebre D. Marinelli, con la fida guida B. Pedranzini, vinse in prima italiana la cima dei Piazzi. Verso la fine del secolo si impose, tra i pionieri dell’alpinismo su queste montagne, Giorgio Sinigaglia, un valido alpinista milanese che effettuò numerose prime salite e che sparì all’improvviso dall’orizzonte della sezione milanese del CAI falciato in giovane età dal tifo. In sostanza, prima della Grande Guerra, la vera e propria fase esplorativa sulle alpi di val Grosina può dirsi conclusa; non è un caso quindi che Alfredo Corti e Walther Laeng nel 1909 abbiano dato alle stampe “Le Alpi di Val Grosina” la prima (e per moltissimi anni unica) guida di quel territorio. Tuttavia già allora vi erano i segni premonitori di quanto avvenne successivamente. Corti e Laeng scrissero infatti: « .. Le Alpi della Val Grosina non mancano già di illustratori, mancano invece di numerosi visitatori… ». Abbiamo già ipotizzato in precedenza le motivazioni di tale fenomeno; resta il fatto che allora la val Grosina disponeva di un’attrezzatura turistica (con tutti i limiti dell’epoca) non certo inferiore a quella di mezzo secolo dopo. I due rifugi di Malghera ed Eita erano in piena funzione e in quest’ultimo il CAI Milano aveva disponibili alcune stanze. La stessa sezione aveva costruito la modesta, ma per il tempo confortevole, capanna Dosdé e ad Eita esisteva perfino un albergo, ancor oggi identificabile non lungi dal rifugio. Ma nel primo dopoguerra turismo ed alpinismo si fecero di massa; tutte persone però che, al contrario dei touristes inglesi, avevano pochi soldi e poco tempo. Si dirigevano ovviamente verso mete più facili da raggiungere e meglio servite. La val Grosina scivolò gradatamente in un oblio che è continuato, con qualche eccezione, sino alla fine del XX secolo. Autunno 2011 un segno del loro passaggio, si divertono ad erigere dei matòch (ometti di pietra). Alla capanna Dosdé Duilio c’era già stato l’anno prima, col cugino Bruno Gilardi e con Silvano Borsi, ma questa volta – sarà per il senso di avventura con la tenda, sarà per l’avvicinamento alle cime, sarà per il fascino di quei luoghi così isolati – la montagna l’ha davvero conquistato. E così, eccolo ritornare “in Dosdé” ai primi di luglio dell’anno successivo, con Bruno, Silvano e Lucia Strambini; pur lamentando lo stato precario della capanna – coperte bagnate, muffa dappertutto e cucina economica fuori uso – ringraziano comunque il CAI Milano per l’ospitalità in quel suo rifugio che, su iniziativa di Antonio Cederna, era stato costruito lassù nel 1891. Verso fine luglio, tornano nuovamente alla carica. Stavolta il gruppo si è allargato: oltre ai grosini (un misto di compagni delle spedizioni precedenti con nuovi acquisti come Stefano Pruneri), c’è pure una ragazza australiana ventitreenne, Patricia Edwards. Stavolta la sgambata fino a Eita gliela risparmia una vecchia Volkswagen poi, carichi come muli (18-20 kg ciascuno), raggiungono la capanna Dosdé, punto di partenza per le loro ascensioni ma anche punto di riposo dove stare «in allegria fra piatti di polenta, bistecche, spaghetti al sugo, ecc.». Il giorno dopo – così ancora dal libro del rifugio – Duilio e Bruno si uniscono a tre religiosi del PIME1 e insieme raggiungono la vetta della Viola. «Nella discesa, a metà ghiacciaio Duilio scivola trascinando con sé 3 componenti della cordata ma Bruno (detto Maciste) evita una catastrofe aggrappandosi alla piccozza con un potentissimo violentissimo e sicurissimo colpo di reni». Al ritorno – ricorda Duilio – incontrano «due guide del CAI Praolini e De Lorenzi», salite lassù a rinnovare la segnaletica di accesso al rifugio: sono Bepin e Delo, coi quali si intreccia una «interessante chiaccherata», preludio di future amicizie con l’ambiente alpinistico di Bormio. Il giorno seguente, attacco al Corno Dosdé: «Bruno dopo vari tentativi abbandona, Duilio invece riesce a rag1 - Pontificio Istituto Missioni Estere. Le Montagne Divertenti Storiella tratta dal diario di Duilio Strambini. giungere la vetta dove su un apposito registro custodito in una scatola di Ovomaltina, scrive i nomi di tutta la compagnia». Un bello schizzo a penna di quella vetta rocciosa (sempre sul libro del rifugio) ci rivela la mano felice di Duilio e il suo talento grafico, anticipatore della successiva scelta degli studi di architettura. Sulle tracce dei pionieri N el 1909 il GLASG (Gruppo lombardo alpinisti senza guide) aveva pubblicato la guida Le Alpi di Val Grosina, curata da Alfredo Corti e Walther Laeng. Perché – si erano allora chiesti gli autori – quei monti venivano ancora così poco frequentati dagli alpinisti, nonostante fossero stati già in precedenza per- corsi e dotati di rifugi, studiati e illustrati, non solo sul nostro Bollettino e sulla Rivista Mensile, ma anche sulla Zeitschrift dei tedeschi, e addirittura sull’Alpine Journal, la prestigiosa rivista dell’Alpine Club di Londra? La stessa domanda, sessant’anni dopo, doveva essersela posta anche Duilio. Se non siamo noi di Grosio i primi ad interessarci delle nostre montagne, a conoscerle e a farle conoscere, perché meravigliarci se altri non le frequentano? Lui per primo doveva quindi darsi da fare, con la sua curiosità di giovane alpinista, la sua passione e il suo entusiasmo. La guida di Corti e Laeng rappresentò in un certo senso la sua bibbia, il punto costante di riferimento e di partenza; ma per completezza e per andar oltre Duilio attinse pure ai “libri Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina 17 Speciali Personaggi versante sud. E poi, in più occasioni percorse il ghiacciato spigolo nord, aggregandosi a vecchi amici o accompagnandone di nuovi. Un’altra volta si trovò invece ad accompagnare in vetta, lungo il canalone SO, una trentina di alpini del Battaglion Tirano. Di altre imprese si parlerà più avanti. i sono poi le vette della val di Sacco, che toccò più volte alla fine degli anni ‘60, con partenza da Malghera, dove la Fabbriceria di Grosio aveva a suo tempo realizzato un Ricovero a uso degli alpinisti. Eccolo dunque affrontare Sassalbo e Sperella, ai cui piedi si annidano alcuni bei laghi tra cui il läch del dräch dove la leggenda popolare fa dimorare un drago, che risale dalle acque in occasione dei temporali. a Sperella è una montagna particolare per Duilio, legata alla memoria di una zia, Jolanda Gilardi, precipitata dai suoi dirupi appena ventunenne raccogliendo stelle alpine: toccarne la vetta rappresentò quindi per lui quasi una specie di intimo pellegrinaggio familiare. Una volta, reduce dalla nord del Cristallo, Duilio si sovvenne che il giorno seguente era proprio l’anniversario della morte della zia; certo a Daniela che l’accompagnava, dopo tanto scarpinare una vetta via l’altra, un giorno di riposo non sarebbe dispiaciuto, ma tant’è: quale miglior modo di ricordare la zia, insistette Duilio, se non facendo la Sperella? E poi, eccoci al pizzo del Teo, forse il gioiello alpinistico della valle. Duilio ha letto le relazioni di Freshfield, l’inglese che primo lo salì dalla valle di Poschiavo con la guida F. Dévouassoud, e di Ronchetti che, ritenutolo a prima vista “assolutamente inaccessibile a chi va senz’ala”, ne vinse poi con L. Compagnoni lo spigolo sudest, “quasi a picco, vertiginoso fin che si vuole, ma rotto e ricco di appigli”. Preso dall’entusiasmo, Duilio non ci pensa due volte e da Malghera, scavalcato il "boecc' del Teo" e aggirati i grandi salti di roccia sul versante svizzero, ne guadagna la vetta: «una magnifica solitaria!» per festeggiare il giorno di ferragosto del 1969. Il giorno dopo è la volta del Corno Lago Negro, salito dal lago Scalpellino per lo spigolo sud-ovest. C L Il versante nord della cima dei Piazzi. Sulla lunga cresta di destra (cresta Sinigaglia) si distinguono, da destra, i corni di Verva e il corno Sinigaglia. Il primo percorrimento integrale di tale cresta è impresa di Duilio Strambini con Bruno Gilardi del 1971 (7 aprile 2010, foto Giacomo Meneghello). Pian del Lago, sullo sfondo si distingue l'accuminata vetta Sperella (22 maggio 2011, foto Luca Carloni - www.nikonista.it/brata). La cima Piazzi disegnata da Duilio Strambini. sacri” più antichi e più recenti sulla val Grosina, con una sorta di riverenza per i loro autori – inglesi, tedeschi e italiani – e le loro imprese, a partire dai Freshfield, Coolidge e Prielmayer, passando per i Cederna, i Sinigaglia e i Ronchetti, fino ai Vallepiana e Bonacossa degli anni ‘20 e ‘40. Eccolo dunque seguirne le tracce, ripercorrerne gli itinerari, tanto in compagnia di amici, quanto in solitaria. Quello di Duilio, oltre che alpinismo di riscoperta, fu anche alpinismo di ricerca: non si accontentò infatti dei percorsi più evidenti alle principali cime della regione, ma andò a scovare angoli reconditi e dimenticati, lasciandosi pure ammaliare dal fascino della montagna invernale, forse memore del racconto entusiasta 18 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti di Sinigaglia sull’ascensione al Sasso di Conca nel febbraio del 1896. Quante volte salì la Piazzi, vetta più elevata della regione, da solo o in compagnia, da tutti i versanti, in tutte le stagioni! Quasi nessuno la raggiunge di solito per la cresta ovest (non banale) dal Corno Sinigaglia: lui, solo soletto, lo fece ai primi di novembre del 1969, in «una meravigliosa giornata di sole» (e lo ripeté, sempre da solo, quattro anni dopo); quasi nessuno vi sale poi nelle brevissime giornate d’inverno: lui, col cugino Bruno, lo fece il giorno dopo Natale dello stesso anno, per il Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina 19 Speciali Personaggi Schizzo originale di Duilio Strambini. 20 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 A lla testata della val di Sacco c’è poi il Saoseo, che si innalza tra Italia e Svizzera a dividere quattro vallate: Duilio, il giorno dopo ancora, vi sale dal passo di Sacco lungo la cresta di confine. Mentre l’anno precedente l’aveva traversato in senso inverso, in compagnia, stavolta è solo. Scende alla capanna Dosdé e da lì, pur col tempo incerto, prosegue nel suo progetto ambizioso: la traversata delle cime di Lago Spalmo. Ma il tempo, come si legge in un post scriptum sul libro del rifugio, non glielo permette: «tentativo fallito! Tutto da rifare». Nell’ottobre di due anni dopo, però, la traversata va a buon fine, con Bruno Gilardi e Franco Rinaldi. «Forse nella discesa – scriveva Duilio – troveremo il bivacco “fantasma” che una sezione del CAI misteriosamente ha deciso di piazzare nella zona». Il bivacco, che due soci dei CAI Desio precisavano un po’ piccati non essere affatto “fantasma”, era il bivacco Caldarini, posto in opera poco tempo prima ai piedi della cima orientale di Lago Spalmo. Anni dopo, il caso volle che una sera di giugno del 1975 ci si ritrovasse casualmente proprio in quel bivacco, semidistrutto dal soffio d’aria di una valanga. Già io e Badoglio eravamo arrivati tardi, col buio, svegliando alcuni austriaci che vi si erano sistemati alla bell’e meglio, guidati da quel Felix Holzermayr di Salisburgo di cui trovavamo sempre la firma sui libri di vetta o dei rifugi; e in qualche modo ci eravamo sistemati anche noi quando… “Trambusto in bivacco. Accidenti, stanno già partendo? No, sono solo le undici. C’è gente. Non siamo solo noi i ritardatari del Calda…. uehilà, Duilio…”. Ed erano addirittura in quattro! Ad ogni buon conto – continua Badoglio – “in montagna ci vuol poco per sistemare in qualche modo le situazioni più problematiche”, e così il giorno dopo anche noi “ci aggreghiamo alla ditta Duilio: tutti all’Orientale”. Non solo val Grosina, però. Alle ascensioni fra le montagne di casa Duilio inframmezzò fin dagli inizi diverse uscite nei gruppi dell’Ortles, del Bernina o del Màsino: eccolo aggregarsi ora al CAI Tirano (presieduto da Emilietto Nani «che Le Montagne Divertenti Duilio in vetta alla cima settentrionale di Lago Spalmo (26 settembre 1969, foto Raffaele Occhi). vien su passo passo con il suo carico d’anni»), ora alle guide di Bormio («Bepin, Ciano, Ughino, Egidio e Tullio»), ora alla Scuola di alpinismo "Luigi Bombardieri" diretta da Celso Ortelli («occasione per conoscere le montagne della ValMàsino e della Valmalenco, ma soprattutto per fare conoscenza e amicizia con tutto il clan alpinistico della sezione valtellinese»). Fra quelle montagne Duilio ci tornerà spesso; alla Thurwieser e al Gran Zebrù, ad esempio, dove la sua figura si distingueva per il cappello di feltro tirolese con laccio sottomento, oppure al Bernina, che raggiunse con Daniela e Margherita nel tardo pomeriggio di un giorno d’estate in barba alla pioggia del mattino: e quando, verso le 9 di sera, rientrarono alla Marco e Rosa, si godettero l’affascinante spettacolo dell’ultimissimo sole che, sotto il cielo ormai stellato, stendeva grandi pennellate di giallo e di rosso – un «fantastico festival di colori» – sulle valli sottostanti già immerse nel buio. E il giorno successivo, dopo aver salito il pizzo Argento, se ne tornarono infine a casa ormai squattrinati, non senza essersi concessi – su proposta di Duilio – il “lusso” di una coppa del nonno ciascuno, dando fondo agli ultimi spiccioli. Un’altra volta, con Giulia, Paola, Mauro e Nino, fece la traversata dei Palù lungo l’aerea e vertiginosa cresta di confine, con l’ac- cordo che, nel caso uno fosse scivolato da un lato, gli altri si sarebbero gettati da quello opposto per far da contrappeso (come aveva fatto nel 1878 la grande guida Hans Grass salvando la vita ai suoi clienti). Il rientro per la Fortezza fu però lungo e penoso, vuoi per la neve molle, vuoi per il mal di piedi, vuoi infine per il tempo volto al brutto; e quando finalmente giunsero alla Diavolezza, il vento che nel frattempo si era alzato aveva bloccato la funivia così che, stanchi e assonnati, trascorsero la notte sui gradini del rifugio! La sua prima puntata fra le montagne del lecchese – cresta Segantini alla Grignetta con Nino Zappa – lo lasciò invece un po’ deluso per l’ambiente. «Ho sentito molto la mancanza dello spettacolo di cime, creste e ghiacciai che di solito offre l’ambiente di montagna – ricorda. Alpinismo non è soltanto la soddisfazione dell’arrampicata, del superamento delle difficoltà ma è anche l’occasione, la possibilità di gustare degli straordinari spettacoli della natura in un ambiente unico e meraviglioso». E allora il suo cuore torna a battere per le montagne della val Grosina, anche quelle apparentemente più umili, come lo Storile (che raggiunge in tutte le stagioni, da tutti i versanti, da solo o in compagnia, spesso partendo a piedi fin da Grosio), o il Sasso Calosso e il monte Fo, il Sasso Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina 21 Speciali Cima Rossa (3095) C I M E D I Personaggi R E D A S C O Punta Maria (3139) Punta Elsa (3095) Colle Pini (2930) Le cime di Redasco viste da Susen. Sono 2 vette di forme ardite di cui la maggiore è la bifida punta Maria (m 3139) e la minore, posta più a O oltre la breccia del colle Pini, è la punta Elsa (m 3095). Sono costituite da roccia friabilissima e salirle è molto rischioso (19 gennaio 2010, foto Meneghello). Il lago Negro in val d'Avedo e, tra le nebbie, la cima Viola (m 3374) (3 giugno 2007, foto Luca Carloni - www.nikonista.it/brata). Campana, l’Alpisella, il Farinaccio; per non parlare dei rinnovati colloqui con le vecchie conoscenze, come il Sassalbo e la Sperella, il Teo e il Maurigno, la Piazzi o «la mia cara Viola». 28 luglio 1970: sulla nord del Corno Dosdé, fino ad allora inviolata, sono impegnati nelle ultime difficoltà Gianni Costantini, Sergio Pozzi e Walter Palfrader. Duilio si propone di accoglierli in vetta, che raggiunge in solitaria e con una buona dose di rischio per le pessime rocce del contrafforte a destra della nord («la mia quotidiana pazzia»); ma dei tre alpinisti nessuna traccia, nessuna risposta ai suoi ripetuti richiami. Sceso a valle, trova tutti in allarme, con le squadre di soccorso – lui compreso – pronte a partire, «quand’ecco che con gran gioia e sollievo di tutti» i tre alpinisti rientrano sani e salvi. Poco più di un mese dopo, a chiudere la sua stagione alpinistica, Duilio sale la punta Maria del Redasco per la cresta nord. Sul suo diario, nessun particolare; su un’agenda: «17 settembre Punta Maria del Redasco! Da ricordare!», su un foglio sparso, infine, un laconico commento: «E qui purtroppo mi sono fermato. Fin quando?» Il sorriso di Duilio D uilio Strambini (soprannome di famiglia: Fis) era nato a Grosio il 2 agosto 1947. Dopo le medie, volendo proseguire gli studi superiori, optò per il liceo classico al Collegio Gallio di Como. Fu in quegli anni che, grazie all’incontro con mio fratello sulle sponde del Lario e alle comuni origini valtellinesi, cominciò a frequentare l’ambiente di Bormio: l’appuntamento abituale era all’Alpenrose dove, con la scusa di un caffè, ci si ritrovava in compagnia nei pomeriggi di settembre; e così Duilio, col suo modo di fare semplice e schietto ma pieno di calore umano, il suo entusiasmo e il suo sorriso aperto agli altri, strinse amicizie salde e durature. Sguardo dolce e sorridente, quando ti parlava delle sue montagne Duilio si illuminava, e i suoi occhi riandavano a quel nevaio, a quella ganda, a quella cresta che l’avevano portato in vetta, o anche solo a quel colle da dove, 22 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Duilio e Giuliano Maresi in vetta alla Grignetta. Sullo sfondo il Grignone (foto archivio Strambini). magari accolto da una raffica di vento, la vista gli si era aperta su un mondo nuovo, promettendogli nuove avventure; e nel prosieguo del racconto i suoi occhi riflettevano la luce delle montagne che li avevano illuminati: quella gelida dell’alba, quella calda della roccia di mezzogiorno o quella infocata del tramonto. Tutte queste sensazioni, difficilmente comprensibili a chi non le ha vissute, Duilio le comunicava con entusiasmo e naturalezza, e si entrava subito in sintonia. Avendone salito tutte le cime ed esplorato gli angoli più appartati, Duilio era un po’ il genius loci della val Grosina. Se ti rivolgevi a lui per chiedere qualche informazione su una montagna che ben conosceva era prodigo di consigli e di suggerimenti. Era stato lui a raccomandarci la cresta sud-ovest della Viola, a spiegarci che a metà percorso – dove un blocco incastrato sembra impedire la prosecuzione – bisognava strisciare per alcuni metri in una specie di galleria tra il blocco e la parete. E ne era ben valsa la pena seguire i suoi consigli! Era stato ancora lui a farci sapere le condizioni della cresta sud della Sperella, dopo una precoce nevicata autunnale; e quando al ritorno eravamo passati a Grosio a salutarlo, e ringraziarlo, il sorriso con cui ci accolse insieme a Giulia ci fece subito capire quanto fosse contento che anche noi amassimo le montagne della sua valle e quanto importanti fossero per lui le amicizie nate dalla comune passione per la montagna. La sera al rifugio, o nel corso del bivacco, Duilio non mancava mai di rallegrare la compagnia strimpellando qualche motivetto con l’inseparabile armonica, magari accompagnando un canto seduti intorno a un tavolo con un bicchier di vino; durante l’ascensione poi si soffermava volentieri a contemplare con occhi incantati lo spettacolo dalla natura all’intorno, affascinato «da una meravigliosa luna piena» o dallo «scenario delle montagne circostanti che assumono col sole nascente colori stupendi». Poi ti indicava con gioia quella cima o quell’altra dov’era stato in precedenza, i percorsi per raggiungerle, le difficoltà, le bellezze del paesaggio. In vetta, spesso prendeva un foglio e, studiando con occhio indagatore i particolari di una montagna che lo interessava, li fissava in uno schizzo accompagnato da appunti e annotazioni. Pure nella fotografia esprimeva il suo talento, catturando sulla pellicola con occhio artistico l’essenza e gli aspetti più peculiari della sua valle e delle sue montagne, in tutte le stagioni e in tutte le ore, dalle vedute panoramiche ai più minuscoli fiori, non solo come memoria per sé ma anche come ricchezza da condividere con gli altri (salvo alcune foto d’arrampicata che dovevano essere “censurate” e tenute nascoste alle mamme apprensive). Con la sua precisione e meticolosità, Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina 23 Speciali Personaggi Pecore sopra Redasco (29 agosto 2011, foto Beno). Un tempo la ricchezza della val Grosina era data dai numerosi capi monticati nei suoi grandi pascoli. Dati alla mano si evince che a inizio anni '60 venivano monticati 819 vacche, 440 vitelli, 200 manze, 972 ovini e caprini, 189 equini e ca. 600 suini! Ora il numero di capi è notevolmente diminuito (si stimano meno di 200 vacche). Fienagione a Malghera. I pascoli e i boschi della val Grosina sono ancor oggi curati dalla instancabile tenacia ed operosità degli abitanti di Grosio e Grosotto che dimostrano grande attaccamento ai loro monti (20 luglio 2011, foto Beno). uniti alla passione, curiosità e profonda preparazione culturale, sarebbe stato certamente il più degno continuatore dell’opera di Corti e Laeng nell’aggiornare e rinnovare la guida sulle Alpi di val Grosina. Laureatosi in architettura a Milano, per un breve periodo lavorò presso uno studio a Coira, ma poi le difficoltà per restare in Svizzera non disgiunte dalla passione per la montagna che lo prendeva sempre più lo convinsero a rimanere a Grosio, coniugando il lavoro di insegnante con quello di architetto e, più tardi, con quello di guida alpina. Anche durante il periodo del Politecnico, Duilio non aveva mostrato alcuna propensione a diventare cittadino: il richiamo della montagna era così forte che in cinque anni non passò mai un fine settimana a Milano! Ma ciononostante, il tempo della vita di città lo visse intensamente, arricchito dalla frequentazione quotidiana con gli amici, ed in particolare con i fratelli Barzani – Mauro, Giuliano e Daniela – conosciuti in quel di Bormio, coi quali si instaurò un forte legame di reciproca stima. Con Mauro condivise non solo la passione per la montagna ma anche quella per il restauro architettonico, e così svolsero insieme un po’ di attività professionale; rimangono però nel ricordo soprattutto le loro scampagnate in moto lungo le valli del Bormiese (un modo per portarsi più rapidamente in quota) e le tante avventure in montagna. na volta, verso metà novembre, partirono da Milano diretti in val Grosina per un giro di ricognizione in quota; al rifugio Falck arrivarono però che nevicava fitto fitto, e continuò tutta la notte. Il ritorno fu memorabile: slavinava in tutti i valloncelli e quindi, prima di attraversarli, uno sguardo attento verso l’alto e poi via di corsa fino al successivo tratto riparato nel bosco. Quando arrivarono a Fusino, la macchina non si vedeva più da tanta neve era caduta! Contrariamente a quanto le sue numerose salite in solitaria potrebbero far pensare, Duilio non fu affatto un amante della solitudine, anzi; gli piaceva stare in compagnia, e il suo viso sempre sorridente, la sua dolcezza, la U 24 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Duilio in vetta alla punta Thurwieser (giugno 1970, foto archivio Strambini). sua semplicità lo facevano benvoluto da tutti. L’allegria di certe giornate con gli amici ricorre spesso nei suoi diari, talvolta scherzosamente affidata ad un linguaggio alpinistico dove le placche, gli spigoli e i colatoi lasciano il posto a più prosaici termini gastronomico-culinari: «affronto e supero un gran piatto di spaghetti, un numero imprecisato di squisite costine alla griglia e alcuni impegnativi bottiglioni di buon vino»! li piaceva cantare, divertirsi, andare a ballare con gli amici. Allora andava per la maggiore una balera con juke-box a Premadio, e un giorno, di ritorno da un’ascensione, decisero di andarci tutti insieme a fare quattro salti; chi aveva casa a Bormio poteva andare a cambiarsi, lui invece – impensabile andare e tornare da Grosio – rimase in tenuta da montagna e si ritrovò a ballare coi pantaloni alla zuava e gli scarponi da montagna! Nell’agosto del 1973, Duilio si aggregò ad un gruppo di amiche ed amici per un viaggio in Spagna. I medici gli avevano consigliato – a lui patito di montagna – un po’ di mare, per i tardivi postumi di una frattura subita tempo addietro, quando un sasso gli aveva colpito una gamba durante un’ascensione (quel misterioso «17 settembre Punta Maria del Redasco! Da ricordare!»). Daniela, vincendo la sua titubanza, lo convinse ad G unirsi alla loro compagnia che aveva in programma un giro con le tende in Spagna, dove avrebbe potuto così fare un po’ di mare come gli avevano consigliato, ma anche godersi il piacere di un viaggio, conoscere nuove persone e nuovi luoghi, visitare città d’arte. Anche in riva al mare, però, l’anima montanara di Duilio non si smentì: in costume da bagno, scarponcini ai piedi, dovunque trovava una roccia vi si cimentava ad arrampicare. Poi, un bel giorno, dinanzi alla tenda delle ragazze, comparvero dei fiori di geranio, un gentile pensiero, un sorriso… E lì scoccò la scintilla che lo porterà al matrimonio con Giulia; una scintilla, comunque, all’insegna della montagna, che già in quell’occasione li portò a salire insieme un tremila nella Sierra Nevada, il Pico de Veleta sopra Granada, la seconda montagna più alta della penisola iberica. Le grandi salite “Che cosa resterà di me? Del transito terrestre? Di tutte le impressioni che ho avuto in questa vita?” La musica e le parole di Franco Battiato, pur nella loro apparente leggerezza, vanno al profondo, al senso dell’esistenza. E di un alpinista, che Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina 25 Speciali Schizzo originale di Duilio Strambini. cosa resta? Di tutte le sue scalate? Della luce dei suoi occhi? La montagna è qualcosa che, quando ti ha preso, diventa parte della tua vita. Come la pittura, come la musica. Mallory scriveva che “una giornata bene impiegata nelle Alpi è come una grande sinfonia”. Una sinfonia: dopo che l’hai ascoltata, e l’aria non vibra più di suoni, sembra non sia rimasto nulla, ma invece resta: in chi l’ha composta, in chi l’ha suonata, in chi l’ha ascoltata, e in chi l’ascolterà. Così una scalata: dopo che l’hai compiuta, e alla sera il buio avvolge le montagne, sembra non sia rimasto nulla, ma invece resta: in chi l’ha pensata, in chi l’ha compiuta, in chi l’ha ripetuta, e in chi la ripeterà. Ecco, mi piace pensare alle scalate di Duilio come a pezzi musicali, di cui le sinfonie – con la loro articolazione e l’ampio respiro – sono le grandi salite: non più solo riscoperta di vecchi itinerari, ma anche apertura a più vasti orizzonti, ricerca di vie nuove, grandiose cavalcate in cresta, prime invernali. Il salto di qualità non fu che la naturale evoluzione del suo alpinismo, in forza dell’esperienza acquisita, della consapevolezza delle proprie capacità alpinistiche e della forte determinazione. Pur aperto ai fermenti dell’innovazione, alle provocazioni sessantottine di Rassegna Alpina Due, l’alpinismo di Duilio rimase però fondamentalmente radicato al solco della tradizione classica. i comincia dal pizzo Matto. Ardita ed elegante vetta rocciosa tra la val d’Avedo e la val di Sacco, offriva ancora versanti e itinerari inesplorati. Duilio doveva aver più volte messo gli occhi sul crestone sud-ovest e l’11 luglio 1971 ne compie il primo percorso col cugino Bruno Gilardi, aprendo quella che lui battezza la “via dei matt”: «un’arrampicata interessante, tutta varia, bella e divertente che quel senso di scoperta proprio di una prima ascensione m’ha fatto gustare ancor di più». Sempre con Bruno, il 2 agosto, effettua la seconda ripetizione della nord della Viola, una bella ed elegante via di ghiaccio (la rifarà, in solitaria, nel luglio del 1973). Lo stesso anno, ai primi di ottobre, torna al pizzo del Teo con Tonino Besse ghini, aprendovi una nuova via diret- S 26 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Duilio in vetta alla cima Viola (24 dicembre 1972, foto archivio Strambini). tamente per le rocce della parete est. Non è finita; le stupende seppur brevi giornate autunnali invitano a cogliere ogni occasione per andare in montagna. Duilio, che conosce bene la Piazzi, è rimasto affascinato da quella lunga cresta rocciosa che dal Colle delle Pecore, attraverso i Corni di Verva e il Corno Sinigaglia, porta in vetta. Sa che non è mai stata percorsa integralmente e col cugino Bruno, il 21 ottobre 1971, si cimenta con successo, «sempre su e giù tra becchi, spigoli e rocce più o meno solide», in quella stupenda “sinfonia” alpina. «Partiti dal Colle delle Pecore alle ore 6 – abbiamo raggiunto la vetta alle 21 – Ci apprestiamo a ridiscendere ad Arnoga nel Buio più assoluto – Speriamo vada tutto bene», annotò sul libro di vetta. Arriviamo così al 1972 che – scrive Duilio – «è per me l’anno del “grigioverde”!»; ma è pure l’anno – per dirla con Rébuffat – degli “orizzonti conquistati”. Dopo il corso ufficiali alla Scuola Militare Alpina di Aosta, Duilio viene assegnato al “Tirano” di stanza a Malles. Campo estivo tra il gruppo dell’Adamello e quello dell’Ortles, con scavalcamenti e ascensioni varie, per poi passare (con un intermezzo all’Ortles per l’Hintergrat) al Corso alpinistico di Brigata in val di Fassa. Per un appassionato di montagna, è come un invito a nozze: «ed eccomi subito in fuga con Massimo Cappon sulle Torri del Sella a fare conoscenza con le Dolomiti». Il fascino di quelle fantastiche strutture rocciose, così diverse dalla montagne di casa, lo ammalia; fessure, placche, diedri, camini riempiono i suoi sogni per poi farsi realtà. E realtà diventa, di lì a poco, anche la cima piccola di Lavaredo, salita per la parete nord lungo la via Helversen. Per Duilio è un’iniezione di autostima che gli fa superare l’avvilimento, non ancora del tutto risolto, che l’aveva preso due anni prima al Redasco, come si rileva dai suoi diari: «L’ascensione, di un certo livello, e con un grado di difficoltà maggiore di quelle sinora fatte, è stata un po’ il banco di prova delle mie condizioni attuali e delle mie possibilità. Prova che sento di aver superato in modo soddisfacente convincendomi così, che, per quanto non ancora completamente rimesso da quell’incidente sulla Punta Maria del Redasco, non sono del tutto tagliato fuori, che, anche se molto lentamente sto guarendo, ho ancora delle possibilità per raggiungere traguardi maggiori». Da quel momento è tutto un crescendo: Marmolada, Torri del Vajolet sulle orme di Piaz e di Winkler, e così via. Durante le licenze, però, Duilio torna a dedicarsi alle montagne di casa, dove mette a segno una serie di “sinfonie” d’inverno: la vigilia di Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina 27 Speciali Personaggi Caratteristica distintiva della val Gosina è la copiosità di laghetti alpini, di tutte le forme e colori. In questa immagine è ritratto il lago basso di Pedruna (läch di piän del läch) (12 giugno 2011, foto Luca Carloni - www.nikonista.it/brata). Il lago e le baite di Tres si trovano in val d'Avedo ai piedi di dosso Sabbione (sx) e cima Viola (dx). In fondo alla valle, a N del lago Nero, c'è il passo Dosdè dove sorge la capanna Dosdé (26 settembre 2010, foto Beno). 28 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Natale del 1972 compie la prima invernale e prima solitaria della cresta sud-ovest della Viola. L’aveva già percorsa un paio d’anni prima, quella bella cresta (salita per la prima volta nel 1921 da Aldo Bonacossa con Maria Sbrojavacca), e ne era rimasto entusiasta. Ora le valli sono immerse nel mantello invernale, e Duilio racconta la sua lunga giornata, la sofferenza, la felicità, con parole venate di lirismo: “24 dicembre. È ancora notte, la valle è immersa in un profondo silenzio, tutta bianca di neve s’illumina alla luce di una magnifica luna piena. Sulle coste, sui dossi, nel bosco, si susseguono stupendi effetti di luce ed ombra. Avanziamo lungo la strada sulla neve soffice e scintillante provando nuove e fantastiche sensazioni. Alla malga Dosdé Luciano si ferma, aspetterà il mio ritorno, e qui comincia per me l’avventura solitaria. Più che mai deciso nel mio intento riprendo subito la lunga marcia d’avvicinamento. La neve è soffice e farinosa, gli sci affondano, avanzo così lentamente e faticosamente. Salendo da solo questa valle sperduta, fuori dal mondo, nel silenzio e nella pace più assoluta, provo una grande gioia. Qui tra le mie care montagne, bellissime nella veste invernale, mi prende una straordinaria sensazione di fiducia, di sicurezza. A mezzogiorno, dopo parecchie ore di marcia (7), raggiungo finalmente la capanna Dosdé. La Viola è lì, alta e bella, mi aspetta, mi invita a salire. Lasciati gli sci, raggiungo la cresta che si presenta in buone condizioni, tutta libera e pulita, tranne qualche breve tratto a nord coperto di neve e verglass. Inizio così a salire, bene e senza difficoltà sul primo tratto, ma subito si fa sentire la faticaccia della lunga marcia. Decisamente provato, salgo alternando in continuazione tratti d’arrampicata e brevi soste per riprendere forza e proseguire. Non c’è quella gioia della salita altre volte provata proprio qui, su questa bella cresta, ma soltanto un terribile senso di fatica, di affanno. È una prova snervante che però voglio e devo portare a termine perché sicuramente sarà compensata; ci sarà un premio, sì, lassù sulla cima sempre più vicina. Continuo così a salire sorretto soltanto da questa convinzione. In mon- Le Montagne Divertenti Duilio sulla torre Costanza (7 aprile 1974, foto archivio Strambini). tagna, come del resto nella vita, bisogna dare per poter avere. Risalito il primo lungo tratto raggiungo la cengetta sullo strapiombo dalla quale supero il passaggio del “buco” fortunatamente non ghiacciato. Guadagno il colletto nevoso e proseguo sulla cresta via via più esposta sino al termine, al chiodo per la discesa a corda doppia. Sceso alla bocchetta, risalgo il breve tratto delle innevate roccette terminali ed eccomi finalmente in vetta. Qui, nel più grande silenzio, appoggiato alla croce della cima, provo qualcosa di meraviglioso e indimenticabile, una gioia profonda e una felicità oltre ogni limite che compensano e danno un significato a tutte le fatiche della salita. È tutto bello: il sole ormai al tramonto, le cime bianche che si perdono nell’im- mensità del cielo, la neve, l’aria fredda, il gran silenzio, la pace e la solitudine che regnano tutt’intorno. Provo un gran senso di libertà, provo quella gioia di vivere che purtroppo la realtà di questo mondo troppe volte mi nega. Qui in cima alla mia cara Viola, oggi più bella che mai, riprovo la gioia della montagna, di quella montagna che è diventata per me una ragione di vita». Esattamente un anno prima, Duilio aveva compiuto la prima ascensione invernale e solitaria ai Serottini per il versante nord, mentre un anno dopo, il 30 dicembre 1973, con Enrico Cometti e Piero Della Vedova, supera in prima invernale la ghiacciata parete nord-ovest (“direttissima”) della Piazzi. «Giornata splendida ma molto fredda – annota Duilio sul libro di Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina 29 Speciali Personaggi L'alpe e la valle di Cassavrolo, in fondo alla quale si nota il colle Maria. Ben visibili la cima Rossa e le due cime di Redasco, salite per la prima volta nel 1898 dai fratelli Bono con la guida Rinaldi (19 ottobre 2010, foto Giacomo Meneghello). Il lago Spalmo e, a sx, la cima Viola (20 settembre 2009, foto Luca Carloni - www.nikonista.it/brata). 30 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 vetta. Dal bivacco Ferrario abbiamo impiegato 11 ore». Tornati ad Arnoga, devono attendere la mezzanotte per riprendere la macchina verso casa: erano i tempi dell’austerity, con il blocco totale della circolazione privata di domenica! Non passa neanche un mese che, racchette ai piedi, Duilio e Piero sono di nuovo in pista. Da Arnoga, il 25 gennaio 1974, raggiungono in 6 ore la capanna Dosdé e lì pernottano – nonostante i vetri rotti e la neve penetrata all’interno – «preferendo le “comode” cuccette al previsto bivacco sulla Cima Viola». Il giorno dopo, partenza ancora nel pieno della notte. Cresta ovest della Viola, cima settentrionale di Lago Spalmo, discesa diretta per lo spigolo est (con diverse corde doppie) e cima orientale di Lago Spalmo. Poco sotto la vetta, bivacco. Domenica 27: punta d’Avedo, Sasso di Conca, discesa al Sasso Calosso per la cresta est, e finalmente rifugio Falck: dopo due giorni di saliscendi, con 20 ore effettive di marcia, la prima traversata invernale (ed integrale) delle cime di Lago Spalmo è compiuta! Durante e dopo la naja, Duilio aveva ampliato i propri orizzonti alpinistici, che ora spaziano un po’ per tutte le Alpi. Ormai sicuro di sé, eccolo tornare in Dolomiti con Massimo Cappon (reduce dalla spedizione Monzino all’Everest) a cimentarsi con lo spigolo del Pollice alle Cinque Dita e subito dopo con la sud della Marmolada lungo la classica via Bettega-Zagonel. Poi ne seguiamo le tracce sulle pareti dell’Agordino, alla Pala del Rifugio o alla Torre Jolanda «con tanti simpatici amici e tanta baldoria», o nei dintorni di Cortina, alla punta Frida o al Popena Basso, dove si affida agli appigli che già sostennero Còmici e Casara. E ancora, negli ultimi anni, qualche rapida incursione con Battista e altri compagni, alla punta Fiames, alla Torre Fanis o al Sass de Stria, oppure nelle Pale di San Martino o al Catinaccio, lungo vie di tutto rispetto che portano i nomi di Jori, Dibona o Dimai, Franceschini o Steger. Pur proiettato verso mete sempre più ambiziose, Duilio non venne mai meno al legame con la sua valle, Le Montagne Divertenti Duilio e Piero Della Vedova alla capanna Porro (dicembre 1973, foto archivio Strambini). anzi; la fiducia nelle proprie capacità, le nuove conoscenze e la più recente frequentazione dell’ambiente vivo e stimolante dell’alpinismo lecchese, furono di sprone a ricercare anche fra le montagne di casa itinerari di più moderna concezione e maggiori difficoltà tecniche. Ad inaugurare questa nuova stagione, con Donato Erba, Bepi Galasso e Luigino Zen, il 15 settembre 1974 traccia una nuova via sulla parete sud del Saoseo, lungo il canale diretto a destra dello spigolo, mentre l’anno dopo, il giorno di Ferragosto, compie la prima dello spigolo nord-ovest della punta sud dei Sassi Rossi con Luigino. Nel frattempo, dopo la “delusione” del primo incontro, si era riconciliato con la Grigna dove ora, con capacità tecniche superiori, è in grado di gustare appieno il piacere dell’arrampicata, dell’innalzarsi sicuro e leggero lungo i più svariati ed impegnativi itinerari: al Nibbio, alla Torre al Fungo e alla Lancia, ai Magnaghi e al Medale, ripercorrendo, anche più volte, le vie di Cassin o di Boga, per lo più con i nuovi amici Giuliano Maresi e Donato, “Ragni” di Lecco. Nel dicembre del 1974 Duilio li coinvolge, insieme a Luigino e Lino Trovati, nella prima invernale delle “Tredici Cime”, una fantastica cavalcata di più giorni dal Tresero al Cevedale; poi, l’anno successivo, un’altra invernale, il canalone nord-ovest del Corno dei Tre Signori sopra il Gavia. A chi non è capitato, almeno una volta, di contemplare una montagna da lontano, lasciar vagare lo sguardo tra creste e pareti, e figurarsi quindi un itinerario per raggiungerne la vetta? A Duilio dovette certamente accadere nell’autunno del 1969 quando, durante la sua prima uscita nel gruppo del Bernina, dalla capanna Boval ebbe ad «ammirare i tre arditi speroni del Pizzo Palù», restandone stregato. Anni dopo, su quei tre speroni – Kuffner, Bumiller e Zippert (dal nome dei primi salitori) – Duilio si trovò a vivere alcuni dei suoi giorni grandi, fra il 1973 e il 1977, avendo per compagni Luigino sui primi due, Andreina e Donato sull’ultimo. «Tanto impegnativa quanto bella», fu il commento di Duilio sulla via Bumiller, una delle più impegnative del gruppo; partiti dalla Diavolezza alle 4 e tre quarti raggiunsero la vetta dopo 19 ore, a mezzanotte meno un quarto! Aveva proprio ragione Alfredo Corti quando, sulla vecchia Guida delle Alpi Retiche Occidentali, scrisse: “L’alpinista che alla sera sarà sbucato sull’ultima facile china nevosa sottostante alla vetta potrà esser fiero d’aver dietro di sé una delle più lunghe e difficili salite delle Alpi, non inferiore né alla parete del Rosa da Macugnaga né ad altre famose salite”! C’è poi il granito della val Màsino e Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina 31 Speciali Personaggi La chiesa di Eita (m 1703) dedicata alla Madonna di Lourdes domina la val Grosina Orientale (20 luglio 2011, foto Beno). Il santuario di Malghera dedicato alla Madonna è armoniosamente inserito nello splendido contesto naturale della val Grosina Occidentale. L'edificio fu costruito nel 1888 sopra l'impianto originario del 1836 e ricorda l'apparizione della Vergine con Bambino ad un pastore verso la metà del XVIII sec. A fianco del santuario vi sono una massiccia torre campanaria risalente al 1910 e il grande ricovero alpino appartenente alla Fabbricerìa di val di Sacco che, assieme alla Casa d'Eita e alla capanna Dosdè, costituiva un fondamentale punto d'appoggio ai tempi dell'alpinismo pionieristico (3 giugno 2010, foto Giacomo Meneghello). 32 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 della val Bregaglia, anch’esso teatro di tante scalate di Duilio, su itinerari via via più impegnativi, d’estate e anche d’inverno, ripetendo itinerari classici o aprendo vie nuove, con Giuliano, Lino, Battista, Maurizio, Luigino o Daniela. Cominciò con la palestra del Sasso Remenno, per cimentarsi poi con lo spigolo Vinci al Cengalo o la cresta est del Badile, la via Bramani alla Rasica o la Merendi all’Innominata di Cacciabella (per non citarne che alcune), così da arrivare alla prima assoluta dello spigolo nord-nord-ovest alla Roda Val della Neve in Albigna e alla prima invernale del pizzo Bacone per la via Bonacossa lungo la cresta sud-ovest. Nel 1974 Duilio visitò i monti della “beautiful Slovakia” (insieme agli amici del viaggio in Spagna) raggiungendo, solo soletto, il Gerlachovský štít, la cima più elevata degli Alti Tatra e di tutti i Carpazi. Ne doveva esser rimasto così affascinato da ripromettersi, come scrisse a Czechoslovak life, di tornare prima o poi fra quelle montagne «which have excellent conditions for mountaineering». Fedele alla promessa ci tornò, due anni dopo, in viaggio di nozze con Giulia. Pochi giorni prima del matrimonio, aveva salito la parete sud della Reit lungo l’impegnativa via CostantiniConedera insieme a Luigino e Battista, già percorsa in precedenza con lo stesso Luigino e un’altra volta con Piero. Di ritorno dalla luna di miele, eccolo di nuovo in giro per le Alpi: alla nord della Presanella con Battista, Luigino e Andreina, al Breithorn con Giulia, poi nel gruppo del monte Bianco dove, oltre a salire la Pyramide du Tacul e il pic Adolphe per la via Salluard, partecipa al corso nazionale per tecnici di soccorso alpino (c’è anche Toni Valeruz, che durante un’esercitazione viene calato verso il Freney, nel punto in cui nel 1961 morì Andrea Oggioni, e lì Duilio lo recupera con la barella Mariner). Tornato a casa, a metà estate Duilio apre una nuova via diretta sulla parete nord-est del Corno Dosdé con Battista, Ciano e Luigino, Raffaele “ragno” Bonetti e Valentino Sosio. Poi, l’anno dopo, nord del Tresero con Battista, Giovanni Majori e Luigino, e seconda Le Montagne Divertenti La cima Viola in uno schizzo di Duilio Strambini. ripetizione della via Della VedovaCometti sul seracco nord della Viola con Giuliano e Lino. La strada di Duilio era tracciata. Nell’imminenza della nascita di Chiara parte per Macugnaga dove si tiene il corso per guide alpine (già nel 1974 era diventato “aspirante”); a fine settembre, la sospirata meta è raggiunta: «Eccomi finalmente guida. Né problemi né paure, ho raccolto quanto ho seminato». Poco dopo, per festeggiare, una magnifica arrampicata in Austria col cugino Battista, che negli ultimi anni fu uno dei suoi compagni d’arrampicata più assidui: lo spigolo nord della Roggalspitze nel Vorarlberg. orreva per le valli, correva per i monti – il sole brillava sui suoi sci”, dice un’antica saga norvegese. Con l’arrivo delle nevi Duilio, come il protagonista di quella saga, inforcava volentieri gli sci per vagabondare nello scenario grandioso della montagna invernale, in una serie innumerevole di gite sci alpinistiche, che lo portarono a spaziare fra i gruppi dell’Ortler, del Bernina, del Disgrazia o del Silvretta, senza ovviamente trascurare le montagne di casa. “C E così riempì i suoi inverni con un modo diverso – forse più pacato – di andare in montagna, ma soprattutto con tante amicizie: Carlo Pedroni e Diego Scarì, Tullio Spechenauser e Camillo Selvetti, Alberto Rossi, Diego e Michele, Franco Giacomelli e Renata Rossi, Battista, Pietro, e poi tutti gli allievi dei corsi di sci-alpinismo del CAI Sondrio o Chiavenna. Così come fra le carte musicali di Schubert, anche fra le scalate di Duilio è rimasta una "incompiuta”: la cima Viola, che aveva salito per quasi tutti i versanti, in tutte le stagioni, non ebbe infatti il tempo di vincerla per l’allora inviolata parete sud. L’aveva osservata, studiata (con Battista), sognata, quella parete; era stata per lui «un grande vecchio progetto che forse un giorno diverrà realtà». Le sinfonie restano, le scalate restano. Ma ricordiamo che dietro una sinfonia, dietro una scalata c’è l’uomo, il palpito di vita che l’ha generata. E dietro le scalate di Duilio in val Grosina, per noi c’è il suo sorriso. Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina 33 Speciali Personaggi La ricchezza della quotidianità Q Il bivacco Strambini, posto lungo il sentiero di salita per il passo di Sacco, offre 9 posti letto, illuminazione e fornello a gas (2 luglio 2011, foto G. Meneghello). Il lago del Drago ai piedi del Sassalbo. Leggenda narra che dalle sue acque emerga un drago durante i temporali. In foto, oltre alla toponomastica, sono indicati i tracciati Mandre Vecchie - attacco via dei Matt al pizzo Matto (giallo) e passo di Vermolera passo di Lago Nero (rosso) (5 agosto 2006, foto Luca Carloni - www.nikonista.it/brata). Cima di Saoseo Cima Viola (3263) (3374) Passo di lago Pizzo Matto Corno di lago Negro (2993) Sasso Farinaccio Sasso Campana (2913) Negro (2780) S Pian 34 Le Montagne Divertenti ertif o l Lag de Pian Autunno 2011 uella di Duilio è stata una vita semplice e sobria, ma ricca di giorni intensi legati alla montagna e alla famiglia, al lavoro, alle amicizie. Gli alpinisti – come ben dice Enrico Camanni – sono persone che hanno “occhi speciali perché sono state misteriosamente accese, possedute, plasmate e infine trasformate da una passione: la montagna”; ma sono pur sempre persone “che soffrono, sperano, si commuovono, si arrabbiano e hanno paura proprio come le altre persone”. E così, l’esistenza di Duilio, all’insegna della modestia e della generosità, è stata illuminata non solo dalla montagna, ma anche dalla quotidianità fatta di piccole cose e dettagli apparentemente scontati: gesti, parole, affetti, doveri, responsabilità, che arricchiscono l’esistenza per sé e per gli altri. Duilio, composto e riservato, era tendenzialmente riluttante a far parlare di sé, a mettersi in prima fila, ad “apparire”, anche se di fronte alla necessità, e non solo in montagna, era il primo a spendersi e a prodigarsi per gli altri. Purtuttavia, per far conoscere la sua val Grosina, condividere le esperienze vissute, trasmettere ad altri la ricchezza del suo vissuto fra quelle montagne, era pronto a gettare la maschera della riservatezza, come quella volta che venne a Milano a tenere una conferenza all’Hotel dei Cavalieri, continuatore se vogliamo dell’opera divulgativa di Antonio Cederna che per primo, nel lontano 1892, aveva parlato ai soci del CAI Milano sul tema: “Le montagne di Val Grosina”. L’affetto verso la madre Lisetta e il padre Agostino, il legame con Giulia e la felicità per la nascita di Chiara, le piccole e grandi gioie che diedero pienezza alla sua vita, sono aspetti più personali del suo “transito terrestre”, non meno pregnanti però delle sue “sinfonie” in montagna: ci piace qui ricordare la sensibilità e l’attenzione di Duilio nel far giocare la piccola Chiara, quando aveva ancora pochi mesi, con la corda da montagna e i nodi. Nella quotidianità di Duilio c’è anche un’altra delle sue grandi passioni sportive, non da tutti conosciuta: il ciclismo. Una volta, solo soletto, Le Montagne Divertenti aveva raggiunto l’Aprica, poi giù a Edolo, su di nuovo a Ponte di Legno e da lì, quando la strada era ancora tutta sterrata, con costanza e tenacia, una pedalata dopo l’altra fin su al Gavia, da dove era divallato a Bormio per poi rientrare a Grosio. Un’altra volta, con mio fratello, avevano fatto un gran giro in Svizzera: dopo aver raggiunto la Quarta Cantoniera, avevano passato il confine e si erano tuffati giù verso Santa Maria per poi riprendere la salita fino all’Ofenpass; da lì una lunga discesa fino a Zernez, fra i boschi del Parco Nazionale Svizzero, la lunga risalita lungo l’Engadina fino a Samaden, col vento contro a rallentare l’andatura, e poi l’ultima fatica, Pontresina, e finalmente il passo del Bernina; a quel punto non rimaneva che una lunghissima e meravigliosa discesa fino a Tirano! La bicicletta era il suo abituale mezzo di trasporto ed era quindi per lui del tutto naturale venir su pedalando fino a Bormio, spesso gradito ospite a casa nostra: ricordo ancora come fosse ieri – io che allora non le potevo soffrire – quanto si era gustato un bel piatto di carote fritte in padella di cui era davvero ghiotto! Quante volte poi, dopo una serata in compagnia nella “taberna” di casa Barzani, Duilio riprendeva la sua bici per tornare a Grosio, e a chi gli offriva una giacca per ripararsi dall’aria, rispondeva con semplicità, da autentico ciclista, che gli bastava un foglio di giornale da metter sotto il maglione... Il drago Sopra Malghera, in una conca glaciale a sud-est della sasa biänca – il Sassalbo – si annida in prossimità del confine con la Svizzera il läch del dräch, dalle cui acque la leggenda popolare fa fuoriuscire un drago durante i temporali. Ebbene, quel drago, riconoscendo Duilio come uno del luogo, uso ad affrontare responsabilmente i pericoli, a guardare verso l’alto, a rispettare la montagna e le sue leggi, gli fu benevolo. Non fu così in Grigna, lontano dalla sua valle, dove un altro drago ben più terribile e senza pietà, non riconoscendolo se lo portò via proprio durante un temporale, il 27 maggio del 1978, infischiandosene dell’ altruismo di Duilio che, messi in sicurezza i propri clienti al termine della scalata al Torrione Magnaghi, si era attardato in vetta per vedere se una cordata che li seguiva, un po’ in difficoltà, potesse aver bisogno di aiuto. E in quel momento lo spostamento d’aria del fulmine lo gettò nel vuoto: una vera beffa del destino, se si pensa che aveva sempre avuto un atavico timore dei temporali, sottolineato agli amici in più occasioni. Chiara aveva solo 8 mesi. Senza volerne esaltare acriticamente la figura – anche lui come ognuno di noi ha certamente avuto i suoi limiti, per formazione, temperamento e carattere – ci piace ricordare Duilio col suo sorriso e la sua generosità, prendere spunto dal suo esempio per proseguire il nostro cammino, alla ricerca di qualcosa che sia utile non solo a noi ma anche agli altri. Per serbare la memoria di Duilio, e per colmare un poco il vuoto lasciato nella comunità, gli amici e la Pro loco di Grosio hanno realizzato in suo ricordo, dedicandoglielo, un bivacco in alta val di Sacco, poco sotto il lago Zapélàsc, proprio ai piedi di quel Pizzo del Teo che l’aveva visto fin da ragazzo cimentarsi con le sue creste ed al quale era particolarmente affezionato. Un po’ di lui continua a vivere lassù, fra i monti della val Grosina, così come nel cuore di tutti noi che l’abbiamo conosciuto; un po’ di lui continua infine a vivere nelle due belle nipotine Adelaide e Matilde – figlie di Chiara – che lui non ha potuto conoscere, ma verso le quali è sicuramente rivolto il suo sorriso. Ringraziamenti In primo luogo, un grazie di cuore a Giulia Crosa Strambini e a Chiara Strambini che hanno permesso la consultazione dei diari di montagna di Duilio, e consentito la riproduzione di schizzi, pagine autografe e fotografie. Grazie poi a Daniela e Mauro Barzani, Battista Gilardi, Nino Zappa, Francesco Bradanini, Piero Della Vedova per i ricordi, le informazioni, i suggerimenti e i consigli. Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina 35 Speciali Approfondimenti Alpinismo moderno Giuliano Bordoni Saoseo la "Via Duilio". no stop di quasi trent'anni ed ecco di nuovo Giuseppe "Popi" Miotti tornar in quella che lui stesso ama ricordare come valle romantica. Cerca nuove linee sul Pizzon e sul Sasso Calosso. Nel 2004 prova una direttissima sulla sud della Viola, che deve abbandonare causa meteo. La stessa che viene poi attaccata due anni più tardi e salita dal trio di guide alpine Giuliano Bordoni, Gianluca Maspes e Rossano Libera: "Viola Bacia tutti". U Gianluca Maspes, Rossano Libera e Giuliano Bordoni (2006, foto archivio Giuliano Bordoni). N ei salotti ottocenteschi degli aristocratici stranieri, il territorio grosino fu ampiamente conosciuto ed amato per le sue vallate pittoresche e le sue cime romantiche. Cime lasciate alla "conquista" (come piaceva identificare, in quel periodo, il loro andar per monti, ndr) di questi personaggi dal sangue blu, che trovarono nella val Grosina abbondante materia prima per aneddoti eroici che impegnassero le piatte giornate dei dandy inglesi. iorgio Sinigaglia, celebre alpinista-esploratore milanese fortemente legato alla nostra valle, ma sopratutto cantore delle Alpi, esultò dinanzi al ritrovamento tra le rocce di vetta della cima Viola di una bottiglia contenente un biglietto che portava la firma di Bartolomeo Sassella. Fra tanti nomi britannici finalmente un italiano! Era il 27 settembre 1875, quando il Sassella, un Grosino, calpestò il punto culminante di una montagna inesplorata di casa propria. L'alpinismo pionieristico, in questa regione, seguitò nelle decadi successive alle prime salite e alle aperture di vie nuove, G Rossano Libera in apertura di "Viola Bacia tutti" (30-31 luglio 2006, 36 Bordoni). Le Montagne Divertenti foto Giuliano Autunno 2011 Le Montagne Divertenti arrestando tuttavia la sua corsa intorno agli anni dieci del ‘900. n nuovo slancio si ebbe negli anni settanta e nei primi anni ottanta. Duilio Strambini, Egidio Pedranzini, Franco Sertorelli, Francesco Bradanini, Raffaele Occhi, Luigi Zen, Adriano Greco, Eraldo Meraldi, Piero Della Vedova ed Enrico Cometti: ecco alcuni protagonisti della riscoperta del valore alpinistico di queste montagne. Grazie a loro si vide l'apertura di importanti vie di ghiaccio sulla nord della cima Viola: "Via del Canalone", "Via del Seracco" e "Via Diretta del Seracco". Sempre ad alcuni di loro dobbiamo vie come la cresta del pizzo Matto o la salita per la parete SSE della cima di Saoseo. Ci volle un sassista del calibro di Giuseppe Miotti per dare "il la" sulla parete sud della Viola, con la sua "Via ritorno alle origini" del 1977. Dopo la scomparsa del compianto Duilio, il testimone fu raccolto da Antonio Strambini, che insieme all'amico Giuseppe Pruneri firmò la "Via dei Grosini" sulla medesima cima. Sempre lo Strambini "Toni" con Elio Pasquinoli e lo Zen dedicarono sul pilastro SSE della cima di U I l resto è cronaca moderna che vede me, Giuliano Bordoni, giovane guida alpina locale, salire la sud ovest del sasso Maurigno con Mario Sertori e Francesca Marcelli: "Il volo delle cornacchie". Quindi, in compagnia di Maspes, eccomi sulla sud del Maurigno con "I fiori di Giada". Apro tre nuove vie, destinate alla valorizzazione del territorio per gli arrampicatori in erba, sul compatto Sasso Calosso con l'iperattivo Martino Pini e compagni. Poi mi sposto sotto la costiera del dosso Sabbione per salire con gli amici del piz Mudanda la torre che verrà in seguito dedicata all'amico scomparso Stefano Zanini: "Torre Menny". Con Popi e Maspes salgo infine "Ehy Doug", una via di roccia al pian Sertif. E cco, in sintesi, i più recenti traguardi raggiunti dall’alpinismo in val Grosina. Una valle che non gode delle altitudini e dei possenti ghiacciai dei vicini gruppi Bernina e Ortles-Cevedale, ma che tuttavia offre ancora terreno di gioco non solo per giovani alpinisti e rocciatori, ma anche per trekker, biker e famiglie che vogliono scostarsi da ambienti sovraffollati per quel ritorno alla terra di cui ancor oggi i grosini vanno orgogliosi. Alpinismo moderno in val Grosina 37 Speciali Clima e meteo Matteo Gianatti - www.matteogianatti.com regione alpina). Si tratta di quello che i meteorologi chiamano in gergo "anticiclone delle Azzorre", il quale, sempre più spesso a braccetto con il cugino africano, è responsabile di giornate soleggiate e miti, con temperature di molti gradi superiori alla media. Al suo posto, questa volta, a scandire il tempo sull'Italia ci hanno pensato i venti atlantici, fucina dei sistemi nuvolosi, carichi di pioggia e umidità, che si muovono dall'oceano verso est, verso l'Europa, dove infatti sono prevalse frequenti situazioni di surplus pluviometrico, specie nei paesi orientali e sul Mediterraneo. Nel complesso, le temperature non si sono troppo allontanate dalle medie previste; diversamente, ha fatto più caldo nei Balcani (da +1°C a +3°C)3 e più freddo sulla Scandinavia (da -1°C a -3°C). In particolare, il gelo ha cominciato a prendervi possesso nella seconda decade di novembre, pronto a dilagare in tutta Europa agli inizi della stagione invernale. Così, tra la fine di novembre e i primi giorni di dicembre, mentre nel sud Italia si respiravano ancora i tepori di un'estate apparentemente infinita4, le regioni settentrionali si sono trovate sul filo di lana tra le correnti umide e miti atlantiche, e l'aria gelida proveniente dal grande Nord e facciamo il punto Dopo un autunno piovoso, una colata gelida dilaga in Europa agli albori dell'inverno. Intanto, molto lontano, strani meccanismi preparano il terreno a un totale stravolgimento della situazione. Gli effetti non tardano a manifestarsi: agli inizi dell'anno nuovo, neve e freddo lasciano il campo a caldo e siccità, protagonisti indiscussi nei primi mesi del 2011. Attraverso dati, nozioni e statistiche ripercorriamo insieme l'evoluzione meteo-climatica fra ottobre 2010 e luglio 2011. 3 - Variazioni misurate rispetto al metro di riferimento nel periodo 1968-1996 secondo la NOAA, National Oceanic and Atmospheric Administration. 4 - Punte di 25-27 gradi in Sicilia: record di caldo per dicembre. Un'immagine dell'incredibile nevicata del 25 ottobre 2010 presso la diga di Scais (m 1500 circa), causata da un poderoso afflusso di aria gelida, di estrazione artico-marittima, richiamata da un'ampia depressione tra la Scandinavia e il mare di Barents (foto Matteo Gianatti). Quasi un anno fa, tra la fine di novembre e l'inizio dell'inverno meteorologico1, la neve in provincia di Sondrio arriva inaspettata e tutta insieme, al culmine di una stagione autunnale che nel suo complesso si era rivelata particolarmente generosa in fatto di precipitazioni. 1 - Di norma, in meteorologia, alle medie latitudini si attribuisce l'inizio dell'inverno al 1° dicembre. Allo stesso modo, le altre stagioni sono sfasate in anticipo di 21-23 giorni rispetto ai relativi solstizi ed equinozi, pur mantenendo la durata di tre mesi. 38 Le Montagne Divertenti Durante il trimestre, piogge e nevicate si erano già manifestate in forma reiterata e diffusa a sud delle Alpi: basti pensare che nel solo mese di novembre sono caduti fino a 300/400 mm di pioggia in diverse aree prealpine e pedemontane della Lombardia. Certo nulla di trascendentale, se paragonati ai mostri sacri dell'autunno nostrano nei primi anni Duemila2, né tantomeno ai quantitativi, assolutamente impensabili per noi, registrati in alcune stazioni prealpine tra Veneto e Friuli (oltre 1000 2 - La grande alluvione veneta nel ponte di Ognissanti, le piene del Tevere a Roma, le piogge record in Campania, Calabria e Sicilia. che nel frattempo aveva invaso l'Europa centro-occidentale, arrecando freddo e nevicate storiche sul Regno Unito. Lo scontro fra queste masse d'aria ha dato origine a una serie di perturbazioni che, per più di una settimana, seguendo sempre la medesima traiettoria dalle isole Baleari verso nord-est, hanno attraversato il nord Italia provocando nevicate a bassa quota. Quando dell’aria fredda entra sul Mediterraneo occidentale dalla porta del Rodano, è altamente probabile che sia associata a fenomeni di maltempo, che con un po’ di fortuna, stando a complicati meccanismi orografici, possono interessare anche il settore meridionale alpino. Accade che le precipitazioni provocano comunque una diminuzione della temperatura della colonna d'aria. Il fenomeno s'è di fatto verificato in forma abbastanza repentina, senza una lunga fase di gelate notturne in val Padana nei giorni immediatamente precedenti l'evento nevoso. Così, in assenza del classico cuscinetto freddo padano5, i fiocchi consentono accumuli apprezzabili soltanto al di sopra dei 200/300 metri di quota. 5 - Quello all'origine delle grandi nevicate in pianura al Nord dopo giorni e giorni di freddo intenso. Sondrio - precipitazioni cumulate, dicembre. mm in provincia di Pordenone). Per finire, come accennato, le abbondanti nevicate sulle Alpi fra ottobre e dicembre. Pressoché tutta l'Italia ha ricevuto ingenti dosi di precipitazioni, in particolare il settore alpino centrale, gran parte della pianura Padana e il Centro-Sud. La spiegazione di tanta vivacità atmosferica va cercata nell'assenza di un noto protagonista che negli ultimi anni ci aveva disabituati alle consuete piogge autunnali (secondo le statistiche pluridecennali, l'autunno dovrebbe essere la stagione più piovosa, almeno per quanto riguarda la Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Alpinismo moderno in val Grosina 39 Speciali Clima e meteo Montagna in Valtellina (567 m) - Nevosità di dicembre. Montagna in Valtellina (567 m) - Neve fresca cumulata fra il 26 novembre e il 6 dicembre 2010 (accumuli 24 ore e somme parziali ogni 6 ore). Il castel Grumello a Montagna pare incendiarsi sotto l'abbondante nevicata (1 dicembre 2010, foto Matteo Gianatti). La Dama Bianca regala ai valtellinesi il suo primo omaggio la mattina del 26 novembre, in verità cumulando nel fondovalle solo pochi centimetri. Per una portata più abbondante bisogna attendere il primo giorno del nuovo mese, quando tutta la provincia è sorpresa da una copiosa precipitazione, come da almeno vent'anni non si vedeva nella prima decade di dicembre (25-35 cm oltre i 400 metri). Le ultime nevicate a bassa quota precedono il ponte dell'Immacolata, anticipando uno smisurato riscaldamento che farà piovere sin verso i 2500 metri tra il 7 e l'8 dicembre. Cos'era successo? Una bassa pressione a ovest del Portogallo aveva inviato un emissario caldo verso le regioni settentrionali italiane, mentre l'aria fredda continuava a spadroneggiare sull'Europa centro-settentrionale. È in quei giorni che a Parigi si verifica la nevicata più abbondante dal 40 Le Montagne Divertenti 1987 (10-15 cm). I dati dell'osservatorio meteorologico amatoriale di Montagna alta (m 567) ripercorrono la lunga kermesse nevosa, restituendo le somme parziali (misurate ogni 6 ore) e i massimi spessori giornalieri misurati tra il 26 novembre e il 6 dicembre 2010 su tavoletta1 (secondo la normativa dell'OMM, Organizzazione Meteorologica Mondiale). Dalla distribuzione si nota la caduta di neve per otto giorni consecutivi. 1 - La serie nivologica di Montagna in Valtellina si avvale di pratiche differenti di campionamento dati. Le misurazioni su tavoletta sono in vigore dal 2008, mentre per gli anni precedenti fino al 2000 sono note con precisione le altezze massime di ogni singolo evento nevoso (conseguenti lievi sottostime dei quantitativi giornalieri nel caso di nevicate a più riprese e/o a cavallo di due o più giorni). In assenza di appunti provenienti dall'osservatorio, le quantità cumulate fra il 1990-91 e il 1999-00 sono estrapolate dai corrispettivi pluviometrici giornalieri di Sondrio- Fojanini. Appurata la non-omogeneità della serie originale, la stessa potrebbe subire future modifiche, e con essa le statistiche che ne derivano. Stando alla ricostruzione della nevosità di Montagna dal 1990 ad oggi (i dati sono riferiti alla sommatoria della neve giornaliera cumulata) il periodo fra il 1° ottobre e il 10 dicembre 2010, con un accumulo di 64,5 cm, si è dimostrato il più nevoso dell'ultimo ventennio sulla Media Valtellina. Oltre alla nevosità media invernale 1990/91-2009/10 (37,4 cm di cui 17,1 cm a dicembre), in soli undici giorni è stato oltrepassato l'intero accumulo della stagione 2000/2001 (63,0 cm). Nel prosieguo mensile dicembrino, la circolazione atmosferica e i repentini sbalzi di temperatura non hanno favorito ulteriori nevicate di rilievo a bassa quota sulle Alpi. Diversamente, accumuli copiosi sono stati osservati lungo le Prealpi comasche, lecchesi e bergamasche il giorno 17 (10-15 cm e oltre), mentre una potente irruzione di aria Autunno 2011 gelida dalla Russia, poi dalla Groenlandia investiva regioni adriatiche, e successivamente il Centro-Nord e quelle tirreniche fin sulle coste fra il 15 e 17, ricoprendole di una spessa coltre di neve (20-30 cm a Pescara e Ancona, 40-50 cm a Cattolica, 20 cm a Firenze). Il denominatore comune è stato il freddo, come dimostrano le temperature osservate al Nord (-14°C all'aeroporto di Malpensa il 18 dicembre) e sui litorali (qui spiccano i -13°C di Rimini del 19 dicembre, record dal 1963). Nelle Alpi s'è particolarmente avvertito lungo i pendii, mentre l'anomalia è parsa meno evidente nei fondovalle (il dicembre 2010 a Sondrio risulta soltanto il terzo più freddo dal 1988). L'ultimo step mensile vede una nuova flessione delle temperature, che accompagna una fase prettamente autunnale con piogge abbondanti a Le Montagne Divertenti cavallo delle festività natalizie. Con l'inizio di gennaio, giunge una svolta inaspettata, che pregiudicherà il tempo per tutta la prima parte del 2011. Un robusto campo di alta pressione si stabilisce in prossimità delle isole Britanniche, sbarrando la strada alle piovose perturbazioni dirette dall'oceano verso l'Europa e impedendo altresì ulteriori discese di aria fredda verso sud. In questo modo, gran parte del continente, incluse le Alpi, si appresta a subire una prolungata siccità, accompagnata da temperature oltre la media, in particolare tra la fine di marzo e la seconda decade di maggio. Causa di questa brusca e durevole inversione di rotta rispetto all’avvio freddo e nevoso della stagione invernale è un fenomeno molto dibattuto che prende origine nelle lontane acque dell'oceano Pacifico, e che è noto con il nome di "Niña" (l'antagonista di "El Niño"). In estrema sintesi, si tratta di un raffreddamento delle acque oceaniche superficiali, oggetto di studio della meteorologia nell'ambito delle teleconnessioni (una branca ancora in via sperimentale), i cui effetti sembrano capaci d'influenzare il tempo atmosferico in altre regioni del globo, benché molto distanti fra loro, anche qualche mese dopo l'insorgere di tale anomalia. In questa che è una rapida narrazione delle vicende atmosferiche che hanno caratterizzato gli ultimi mesi non c’è tempo e modo di approfondire questo e altri complicati meccanismi, per cui si rimanda all’arAlpinismo moderno in val Grosina 41 Speciali Clima e meteo 9 aprile 2011: l'Anticiclone delle Azzorre si fonde con quello africano, determinando una precoce ondata di calore fuori da ogni logica sull'Europa, compresa l'Italia settentrionale (fonte: Wetterzentrale, www.wetterzentrale.de, rielaborazione grafica: Matteo Gianatti). 6 febbraio 2011: l'anticiclone delle Azzorre abbraccia l'Europa occidentale e il Mediterraneo, tenendo lontane le perturbazioni. All'interno della cella di alta pressione i venti spirano in senso orario. Vista la posizione dell'anticiclone, le Alpi sono soggette a un tipo di circolazione settentrionale, che costringe l'aria a risalirne il versante estero, per poi ridiscendere il pendio sottovento. In questo modo, l'aria originariamente mite proveniente dall'oceano, in caduta dal versante sud-alpino, si comprime ulteriormente, perde umidità e si riscalda (effetto favonico). Ecco spiegato il motivo di tanto sole, temperature miti e bassi tassi di umidità relativa, che comportano un incremento della capacità evapotraspirante dei suoli, aggravando la situazione di siccità causata dalla perdurante assenza di precipitazioni organizzate sul nostro territorio (fonte: Wetterzentrale, www.wetterzentrale.de, rielaborazione grafica: Matteo Gianatti). ticolo "Caldo e siccità alla conquista dell'Europa centro-occidentale", www.matteogianatti.com/meteo. L'andamento stagionale in provincia di Sondrio ha inciso molto sugli accumuli nevosi al di sotto dei 2000 metri, dove le altezze del manto sono risultate nettamente inferiori rispetto ai due inverni precedenti. In particolare a dicembre, nonostante le precipitazioni abbondanti, i grossi sbalzi di temperatura non hanno consentito un efficace mantenimento della neve al suolo, specie nei giorni caratterizzati da forti piogge fino a quote ele- vate. A seguire, gennaio e febbraio hanno registrato clima mite e precipitazioni nevose inferiori alle attese. All'inizio di marzo, prima di cedere definitivamente il passo a una primavera sempre più incalzante, l'inverno si congeda con l'Italia pilotando un ultimo blocco di aria gelida continentale dalla Russia verso le regioni adriatiche. In questa fase, l'Appennino romagnolo è sepolto sotto quasi un metro di neve (notevoli anche i 40 cm rilevati sulla pianura forlivese), mentre più a sud venti caldi di Scirocco causano piogge alluvionali lungo la dorsale adriatica. Un secondo peggioramento nella terza settimana di marzo coinvolge più direttamente il Nord, con piogge ingenti su Piemonte, Liguria, Valle d'Aosta e al Nord-Est (punte superiori a 250/300 mm in tre giorni), e nevicate copiose sulle Alpi occidentali (60/80 cm oltre 1300/1400 metri). La prima parte di aprile consegna alle regioni settentrionali italiane un'ondata di caldo fuori dal comune, in compagnia di Spagna, Portogallo e Francia, con temperature massime diffusamente comprese fra 30 e 32 gradi in pianura e in collina, e picchi di 34 gradi fra Piemonte e Lombardia sabato 9. Anomalie di temperatura e precipitazioni, ottobre 2010-luglio 2011, Sondrio sud (m 290). Nell'ultimo trimestre del 2010 è caduto quasi l'82% di pioggia in più rispetto alle attese, secondo la norma di riferimento (+144% solo a novembre). Al contrario, per i primi cinque mesi del 2011 si registra un deficit del 47% circa, con un picco negativo in aprile (-87%). Dicembre è stato il mese più freddo (-2,52°C), aprile quello più caldo (+3,80°C). Fonti dati: Fabio Pozzoni - rete Meteo Network, 2010/2011; Annali Idrologici APAT, 1971-1987; ERSAF/ARPA Lombardia, 1988-2000 - serie omogeneizzata. Omogeneizzare significa identificare ed eliminare gli influssi non climatici che alterino la bontà di una serie climatologica. Tali influssi sono principalmente legati alla dislocazione della stazione nel tempo, ma spesso dipendono dalla sostituzione dei sensori, dai cambiamenti dell'ambiente circostante e delle pratiche di misura. In una zona climaticamente complessa come quella alpina, spostamenti anche minimi della stazione possono indurre modifiche artificiali rilevanti nelle serie di dati, sfalsando la reale tendenza del clima. Al fine di minimizzare il più possibile gli 42 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti In questo frangente, lo zero termico si è innalzato fino a raggiungere l'inusitata soglia dei 4000 metri sulle Alpi occidentali. Di contro, sulle regioni del Centro-Sud, a margine dell'alta pressione, e lungo le coste tirreniche e della Sardegna, data l'influenza mitigatrice delle acque marine, i termometri non hanno superato i 20/25 gradi. Per quanto riguarda la statistica locale, dal 7 al 10 aprile la città di Sondrio ha segnato un massimo storico nelle temperature di aprile, con un picco di +31,5°C il giorno 9, una temperatura superiore addirittura alla media delle massime delle due settimane più calde, cioè quelle a cavallo fra luglio e agosto. Sempre sabato 9, la temperatura media giornaliera si è attestata su 8,7°C al di sopra del valore di riferimento trentennale, mentre quella massima rivela una differenza ancor più spaventosa, pari a 14,4°C. L'ondata di calore che ha investito l'Italia è stata certamente più estrema di quella osservata quattro anni fa, sebbene nel 2007 l'anomalia termica mensile nazionale risultò di +3,17°C, contro i +2,52°C di quest'anno (fonte CNR), che di fatto colloca aprile 2011 al quarto posto nella serie dei più caldi degli ultimi 210 anni. Tornando al territorio valtellinese, secondo le misurazioni ufficiali (Annali Idrologici APAT, 1926-1987; ERSAF/ARPA Lombardia dal 1988), per la città di Sondrio si è trattato del terzo aprile più caldo dal 1926 ad oggi (+14,9°C), preceduto dal 1949 (+15,5°C) e dal 2007 (+16,2°C). Il mese è risultato altresì estremamente siccitoso (10,9 mm) collocandosi al quarto posto fra i meno piovosi di sempre. La prima parte di maggio è l'ennesima dimostrazione di una primavera mite e particolarmente asciutta. I primi segnali di una svolta sono rappresentati dall'importante peggioramento del 26-27 maggio che, sebbene non sufficiente a sanare il grave deficit idrico cumulato, provoca la caduta, nella sola giornata di venerdì 27, di oltre 50-70 mm di pioggia sulla media-alta Valtellina, e punte superiori ai 100/110 mm in provincia di Bergamo. effetti indotti sulle serie climatiche, è stato applicato un metodo di omogeneizzazione chiamato SNHT (Standard Normal Homogeneity Test), che elimina questi influssi (Alexandersson e Moberg, 1997). L'omogeneizzazione è indispensabile per verificare correttamente le tendenze del clima, e le differenze tra i dati originali e quelli omogeneizzati possono essere notevoli. I mesi di giugno e luglio vedono l’instaurarsi di una poderosa anomalia di bassa pressione, con centro sulle isole Britanniche, che riporta piogge abbondanti in Europa e sulla regione alpina. Alpinismo moderno in val Grosina 43 Speciali Clima e meteo In questo periodo, la provincia di Sondrio è interessata da rovesci diffusi, talvolta intensi e accompagnati da grandine (in particolare, si segnala l’evento devastante del 10 luglio sulla bassa valle nonché fra Sernio e Lovero, con perdite del raccolto fino al 70% sui meleti - fonte Fondazione Fojanini), tuttavia non associati a quantitativi di pioggia importanti. Se anche giugno è risultato termicamente sopra media, con scarti più evidenti in montagna (Bormio +1,85°C rispetto alla media 19712000 sulla serie omogeneizzata, contro i +0,54°C di Sondrio), il mese di luglio propone una netta controtendenza, come dimostra l’anomalia di -1,49°C rilevata presso il capoluogo valtellinese (rete Meteo Network), in linea con quelle osservate sull’Europa occidentale, generalmente comprese fra -1°C e -3°C (fonte NOAA CPC-NCEP). Alpi OROBIE Valtellinesi montagne da conoscere È fresco di stampa il nuovo libro edito dalla Fondazione Luigi Bombardieri e curato da Guido Combi, che in 335 pagine raggiunge l'ambizioso l'obbiettivo di raccontare le Orobie Valtellinesi. Il volume, realizzato con la collaborazione di numerosi esperti, appassionati e fotografi, è la prima trattazione completa di questa importante regione del territorio montano della nostra provincia. Archittettura, cultura, tradizioni, alpinismo, escursionismo, storia, fauna, flora e tutto ciò che sia un valtellinese che un turista dovrebbero conoscere del formidabile versante bacio della nostra valle (Beno). 44 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 La prima parte dell’estate ha dunque lasciato in eredità una stagione povera di giornate calde e soleggiate su Alpi e regioni settentrionali italiane. Al contrario, non ha manifestato grossi scossoni nel Sud Italia, dove le piogge sono risultate scarse e le temperature hanno talvolta raggiunto o superato i 40 gradi. Il ghiacciaio del Forno, qui visto del rifugio del Forno, mostra ancora una buona copertura nella parte alta. Questo è dovuto alle basse temperature di luglio e allo scarso soleggiamento che ha caratterizzato i primi due mesi dell'estate 2011: elementi che lasciano ben sperare in un possibile rallentamento del ritiro dei ghiacciai per questa stagione (7 luglio 2011, foto Beno). Qui si ferma questo diario meteorologico, che soffre inevitabilmente di recentismo, a causa dei necessari tempi editoriali. Si confida comunque di aver trasmesso alcuni strumenti e nozioni che possano risultare utili per una lettura più critica e consapevole dei fenomeni climatici che interessano le nostre valli. A fine luglio il ghiacciaio del pizzo Scalino risultava ancora quasi completamente coperto di neve fresca (28 luglio 2011, foto Giacomo Meneghello). Le Montagne Divertenti Alpinismo moderno in val Grosina 45 s Speciali r e t p r e e o d Antonio Boscacci Tra le cose che mi capitava di fare quando ero più piccolo (trent’anni fa o giù di lì), c’era l’arrampicata. Così, ogni tanto, mi trovavo a Migiondo, piccolo paese tranquillo e speciale, con quattro case e una chiesetta, dove i miei amici di Grosio e di Sondalo avevano aperto numerose e interessanti vie sulle rocce lì intorno. Normalmente, per non ostacolare il passaggio delle auto, lasciavo il furgone che allora usavo in uno slargo prima di entrare in paese. Quel giorno, un sabato pomeriggio di giugno, stavano tagliando l'erba. C’era naturalmente chi usava la falciatrice a motore, ma lì, nel grande prato che precedeva il piccolo bosco e le rocce, il taglio era sbrigato a mano. In mezzo al prato c’era un vecchio falciatore che aveva già fatto più di metà del lavoro e procedeva di buona lena, nonostante l’età. Poco lontano da lui c’erano una signora e una bimbetta che con una forca più grande di lei cercava di smuovere l’erba appena tagliata. Eravamo ancora lontani, ma mi è sembrato di conoscerla. Mentre pensavo che potesse essere la Sara dei Bordighi, l’ho sentita urlare. - Noo, nonno noo, non devi farlo. Poi si è messa a piangere inginocchiandosi nell’erba di fianco al nonno. Ho fatto una corsa fino a raggiungerli. Era proprio lei, la mia alunna dei Bordighi, che singhiozzava. - Non dovevi farlo, nonno non dovevi farlo. Il nonno la guardava costernato e non diceva una parola. - Professore, il serpente è morto. Glielo avevo detto al mio nonno che non si devono uccidere i serpenti. Glielo avevo detto. Piangeva a dirotto, come una fontana, disperata. La mamma cercava di calmarla ma, in risposta alle sue parole, lei piangeva ancora di più. Mi spiaceva per il povero serpente, un disgraziatissimo Biacco, ma mi spiaceva ancor di più vedere la piccola Sara ridotta in quello stato. Così le ho detto che qualche volta sfortunatamente capita di fare cose che non vorremmo fare. Certamente il nonno non aveva fatto apposta a tagliare il serpente in due, semplicemente non l’aveva visto, perché era nascosto nell’erba alta. Un po’ queste parole, un po’ le carezze della mamma, un po’ le scuse del nonno … fatto sta che lentamente la tensione si è sciolta, le lacrime sono cessate ed è tornato il sorriso. - Dobbiamo almeno seppellirlo, ha proposto la mamma. Vipera aspis (27 agosto 2008, foto Pia - www.clickalps.com). 46 Claudio Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Così abbiamo scavato una buca vicino a un sasso nel bosco dei castagni, abbiamo messo dentro i due pezzi del povero animale e abbiamo concluso la cerimonia con la merenda, perché nel frattempo si era fatta l’ora adatta a quello scopo. Le 7 specie della provincia di Sondrio 47 Le Montagne Divertenti Speciali Serpenti Conosciamoli da vicino Classificare Se la vipera la ghe sentìs e l’urbanèla la ghe vedés, piü nisügn el ghe sarés Prima di iniziare a parlare dei serpenti, diamo uno sguardo generale al come si classificano gli animali. Vengono considerate 7 voci. Ad esempio il comunissimo merlo, è così indicato: Le ombre che si agitano fuori e dentro di noi, le paure che abbiamo, molto spesso le dobbiamo anche alla poca attenzione per tutto ciò che ci circonda, per i fenomeni a cui assistiamo e per le loro cause. È come se avessimo una specie di cattiva coscienza collettiva dalla quale non riusciamo a liberarci, spesso per semplice indolenza o pigrizia. La paura per questi curiosi animali, che sono i serpenti, nasce anche dalla nostra scarsa conoscenza dei loro caratteri, delle loro abitudini e delle loro qualità. Nella prima parte di questo lavoro (pubblicata sul numero scorso della rivista) si è parlato in generale dei serpenti e del rapporto conflittuale, per usare un eufemismo, che l’uomo ha sempre avuto con loro. Vogliamo imparare a fare uno sforzo per cercare di conoscere un po’ meglio quei serpenti che ci sono più vicini, quelli che girovagano intorno a noi e che più spesso abbiamo (o avremo) occasione di incontrare? Li possiamo trovare ovunque, dal fondovalle fino alla zona degli alpeggi. Oltretutto sono numericamente pochi, semplici da distinguere e di facile identificazione. Regno Phylum Classe Ordine Famiglia Genere Specie Animalia Chordata Aves Passeriformes Turdidae Turdus T. merula I Serpenti appartengono alla classe dei Rettili (alla quale appartenevano anche i Dinosauri che si sono estinti), e sono animali che respirano attraverso i polmoni e hanno il corpo rivestito di squame o protezioni cornee. La classificazione dei Rettili (in Italia sono presenti una cinquantina di specie) è faccenda alquanto controversa e in continua evoluzione. Classe Rettili L Vipera berus (foto Antonio Boscacci). Q uesto antichissimo detto, presente in quasi tutti i paesi della provincia di Sondrio, illustra molto bene da solo quale sia stato per secoli, e continui purtroppo a essere, la conoscenza di questi animali. La vipera, descritta come un serpente sordo, in realtà “sente” benissimo attraverso il suo corpo; d’altra parte l’orbettino, che il nome che porta vuole cieco, ci vede. Se l’innocuo orbettino ha dovuto subire pesanti conseguenze per questo modo un po’ sommario di pensare, ancor più travagliata e ricca di sofferenze è stata la storia della povera vipera, che possiamo incontrare praticamente ovunque e che spesso viene scambiata con le altre specie di serpenti che popolano i monti e le valli della Valtellina. L’esperienza mi ha insegnato che la maggior parte degli incontri con le vipere avvengono in realtà con altri serpenti e innocenti orbettini. Ricordo di aver visto a scuola, dentro un vaso, una “vipera” che due ragazzini della val Màsino, due cuginetti Fiorelli, avevano catturato e classificato con l’aiuto del nonno di San Martino. Per loro non c’erano dubbi, era una vipera e lo confermavano la testa, il colore e soprattutto l’esperienza del nonno. La realtà era però ben diversa. Come spesso avviene in questi casi, il serpentello nel vaso, quasi spezzato a metà da una bastonata, era una piccola Biscia dal collare, ben diversa da una vipera. e scaglie cornee che ricoprono il corpo dei serpenti vengono cambiate più volte durante l’anno. È il fenomeno della muta, che ha dato origine a numerose leggende e stramberie. Così il ritrovare tra due sassi la “pelle” (exuvia) di un serpente ha creato il convincimento che il serpente per partorire strisci sui sassi o sia in grado addirittura di approntare una specie di taglio cesareo. Aggiungo come curiosità che il nome dialettale del Biacco, Scurzùn, rimanda al fatto che perde la “scorza”, compiendo la muta. Un interessante motivo di curiosità riguarda la mandibola del serpente, le cui due parti sinistra e destra non sono saldate anteriormente, ma unite in modo molto elastico. Questo permette all’animale di ingoiare prede di dimensioni assolutamente incredibili se rapportate all’apparente apertura della bocca. E non parlo solo dell’anaconda 48 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Ordine Sottordine Squamati Anfisbene Sauri Serpenti Coccodrilli Testudinati Rincocefali capace di mangiarsi un grosso capibara (che può superare i 70 kg di peso), ma anche dei nostri serpenti, in grado di ingoiare topi e roditori, animali di gran lunga più grossi di loro. Se non fosse in grado di approfittare della preda che gli è capitata a tiro, infatti, il serpente rischierebbe di restare per lunghi periodi senza cibo. Occorre ancora ricordare che i serpenti (come gli altri rettili) hanno la temperatura del loro corpo che dipende da quella esterna. Questo naturalmente li rende poco adatti a vivere dove fa freddo. In quei casi comunque, il serpente adotta delle strategie interessanti per sopravvivere, le più importanti delle quali sono il ricorrere al letargo e alla riproduzione ovovivipara. e depositasse le uova in buche o cavità, queste avrebbero scarse possibilità di sopravvivere e di schiudersi. Allora il serpente preferisce tenersi gli embrioni dentro il proprio corpo, avvolti da un sottile sacco membranoso, che si romperà al momento della nascita, lasciando uscire piccoli perfettamente formati e autosufficienti. Questo dà un contributo essenziale S alla sopravvivenza dei piccoli che, comunque dovranno andare incontro, per la stagione e la mancanza di cibo, ad altre difficoltà non meno dure. È un adattamento che si registra nella nostra provincia tra le vipere, ma che riguarda anche il Colubro liscio, l’Orbettino e, in parte, la Lucertola vivipara. Un'altra piccola curiosità riguarda la lingua biforcuta del serpente, che come tutti sanno è sempre in azione. Ebbene questa serve a raccogliere le molecole olfattive lasciate nell’aria dal passaggio di una possibile preda. I segnali raccolti vengono poi analizzati dal piccolo organo di Jacobson che si trova sul palato e permettono al serpente di decidere il da farsi. Delle 2500 specie di serpenti presenti nel mondo, solo 27 si trovano in Europa alla stato naturale, 20 nella famiglia dei Colubridi e 7 in quella dei Viperidi. Per quanto riguarda la provincia di Sondrio sono presenti 7 serpenti in tutto, 5 Colubridi e 2 Viperidi. Le 7 specie della provincia di Sondrio 49 Speciali Sottordine Serpenti Famiglia Colubridi Genere Specie Zamenis longissimus Hierophis viridiflavus Natrix natrix – verde della parte superiore del corpo e quella bianco giallastra, a volte con riflessi verde chiaro della parte inferiore, gli conferiscono leggerezza e grazia veramente insolite. Il suo cibo più comune è costituito dai topi e da qualche altro piccolo roditore, Questa sua opera di controllo della popolazione dei topi, dovrebbe spingerci a tutelarlo e non a perseguitarlo. In teoria può arrivare fino a due metri di lunghezza, ma nella maggior parte dei casi non supera i 140-160 cm. La femmina depone 10-15 uova, dalle quali, dopo circa 60 giorni, nascono dei piccoli lunghi una ventina di cm, che sono autonomi e subito in grado di cacciare (ma sono anche facili prede di molti loro nemici). Lo si può trovare un po’ ovunque, nell’erba, tra i sassi, dentro le foglie del sottobosco, dove si mimetizza alla per- tessellata Coronella austriaca Serpenti fezione, e qualche volta anche sugli arbusti, alla ricerca del suo cibo preferito, le uova e ancor più i nidiacei. Quando si sente minacciato, scappa velocemente per cercare rifugio tra i sassi e le ramaglie o per infilarsi in qualche buco nel terreno. Avevo raccolto un Colubro di Esculapio a Castello dell’Acqua e l’avevo messo in un terrario per studiarlo e poi portarlo a scuola. Era un esemplare lungo 138 cm che è rimasto con me solo per una decina di giorni. Infatti una mattina, quando sono andato a vedere come stava, mi sono accorto che non c’era più. Stanco della prigionia e approfittando della finestra aperta se n’era andato, verso il crap sotto il Convitto o negli orti dei Tornadù. berus Vipera IL BIACCO (Hierophis viridiflavus [Coluber viridiflavus]) aspis È La famiglia dei Colubridi A sclepio (Ἀσκληπιός in greco, Aesculapius in latino) era il dio greco della medicina e il suo culto era celebrato a Epidauro, nel Peloponneso, nel santuario a lui dedicato dove, in suo onore, si allevavano anche dei serpenti. Sofferenti e malati accorrevano da ogni parte della Grecia in pellegrinaggio in cerca di guarigione e durante le feste in onore del Dio, la folla che si accalcava davanti al santuario era enorme. Dopo essersi lavati e purificati, i pellegrini potevano accedere al santuario, all’interno del quale trascorrevano la notte. Mentre dormivano, appariva loro in sogno il Dio che consigliava le cure più adatte oppure operava direttamente guarendo gli ammalati, spesso aiutandosi con un serpente che aveva il compito di pulire e disinfettare le ferite. Le guarigioni erano successivamente trascritte in apposite tavolette, così da lasciare memoria della grandezza del Dio e della sua magnanimità. Simbolo di Esculapio era il caduceo, un bastone con il serpente attorcigliato intorno (ricordiamo che nella versione con due serpenti attorcigliati, era il simbolo di Hermes, il dio romano Mercurio). Il Colubro di Esculapio, conosciuto anche come Saettone, è elegante e mordace. La colorazione giallo - bruno 50 Le Montagne Divertenti Colubro di Esculapio a Sondrio (foto A. Boscacci). Dei cinque colubridi presenti sulle montagne e nelle vallate della Valtellina e della Valchiavenna, tre sono relativamente facili da incontrare (Biacco, Colubro di Esculapio e Biscia dal collare). Gli altri due (Colubro liscio e Biscia tessellata) sono così rari che il loro incontro non potrà che essere assolutamente occasionale. Il Colubro di Esculapio (Zamenis longissimus [Elaphe longissima]) Biacco a Faedo (agosto 2010, foto F. Benetti). Viperidi Autunno 2011 un serpente comunissimo, conosciuto in Valtellina e Valchiavenna con il nome di Scurzùn, Scurzùu, Šcurzòon …, e che possiamo trovare in ogni ambiente. È facile vederlo vicino all’acqua, nei prati, tra le vigne, nei boschi e tra i pascoli. In verità il Biacco che vive da noi non è affatto viridiflavus (verdegiallo), ma ha una colorazione scura, tanto che, in passato, si parlava di una sottospecie carbonarius, colore del carbone appunto. È facile da riconoscere anche per la sua mole e la sua lunghezza (arriva fino a 2 metri, anche se, come il Colubro di Esculapio, misura in genere intorno ai 150 cm). Uno dei miei primi incontri con i serpenti è avvenuto proprio con un Biacco, che era stato schiacciato dalle ruote di un’auto. Ricordo che fui colpito da quella massa nera che, ai miei occhi di bambino molto piccolo, dovette sembrarmi ancora più voluminosa di quanto in realtà fosse. Quello fu sicuramente l’episodio che diede il via alla mia attenzione verso il mondo dei serpenti (e degli animali bistrattati) e il motivo principale per cui sono sempre rimasto legato al mordace Biacco. Dopo aver percorso la Sardegna in lungo e in largo con la Vespa durante il mio viaggio di nozze, me ne sono tornato a casa proprio con un Biacco, che avevo raccolto morto ai bordi della strada. Non sto a dire tutto il trafficare per metterlo in formalina dentro un grosso vaso di vetro e del successivo trasporto tra i bagagli legati sul portapacchi della Vespa). Sta di fatto che il Biacco è arrivato a casa e ancora se ne sta dentro il vaso del farmacista sardo. Questo animale si nutre di ogni sorta di animaletti, compresi i serpenti, anche appartenenti alla sua stessa specie. Diciamo però che, come il Colubro di Esculapio, la sua dieta è costituita prevalentemente di topi e piccoli roditori. Trascorre l’ultima parte dell’autunno e l’inverno in letargo, dentro buche sotterranee, spesso in compagnia di altri suoi simili, ma anche curiosamente di serpenti di altre specie o di altri animali. Intorno all’inizio di luglio, la femmina depone una Le Montagne Divertenti decina di uova che si schiudono dopo due mesi. I piccoli, che alla nascita misurano una ventina di centimetri, sono autosufficienti. Impiegando tre anni per raggiungere un metro di lunghezza, sono purtroppo scambiati spesso per vipere (Marasso) e questo rende il loro vivere ancora più difficile. Si dice che, se ha una vita fortunata, il Biacco possa raggiungere anche i 30 anni. L’unica mia esperienza personale in questo campo è quella dell’esemplare che ho potuto osservare nel mio orto per 12 anni. È ritenuto uno dei più aggressivi serpenti italiani, e in effetti, quando crede di non avere vie d’uscita, attacca e morsica. In ogni caso il suo morso scalfisce appena appena la pelle, lasciando una corona di innocui puntini rossi. Però, per lo più, il Biacco è un tipo solitario che si fa i fatti suoi e chiede soltanto di essere lasciato in pace. Le 7 specie della provincia di Sondrio 51 Speciali Serpenti la biscia dal collare (Natrix natrix) 52 Le Montagne Divertenti Mentre ero intento a fotografare la corolla bianco rosata della Cardamine dei prati, nei pressi del cimitero della Sirta, ho incontrato il primo esemplare di Biscia tessellata. Per essere sincero devo dire che, curioso di stabilire di che specie fosse l’animale che mi era fuggito davanti agli occhi, non ho fatto in tempo nemmeno a fargli una foto. Però, sono tornato più volte in quel luogo e, dopo tre tentativi andati a vuoto, ho avuto modo di rifare l’incontro con quel serpentello. Si trattava, come mi era parso o forse come mi ero augurato, proprio di un esemplare di Biscia tessellata. Sempre alla Sirta, ma questa volta nella zona della Caurga, mi è capitato di nuovo di incontrare la Biscia tessellata. Questa volta è comparsa nei pressi della mulattiera che dalla Sirta porta a Lavisolo, mentre stavamo scendendo dopo un’arrampicata. È legata in genere a luoghi umidi o comunque ombrosi, anche perché le sue prede sono rane, rospi, girini e piccoli pesci. Si nutre però anche di topi e piccoli roditori. Il modo di riprodursi e la colorazione sono molto simili a quelli della Biscia dal collare, dalla quale però differisce per la mancanza delle macchie colorate che formano il collare. Si nota invece la presenza sulla nuca di una specie di V rovesciata di colore scuro con la punta rivolta in avanti. È un serpente che è stato segnalato pochissime volte in questi ultimi decenni in provincia di Sondrio. il colubro liscio (Coronella austriaca) È un animale assolutamente inoffensivo, che però è stato spesso circondato, a causa anche del suo collare, da stranissime fantasie. Come quella che voleva che gli uccelli lasciassero un uovo nel nido, senza covarlo, per attirare la sua benevolenza e non riceverne più danno. Oppure quella nella quale si raccontava che se si taglia la testa alla Biscia dal collare, rispunteranno ben due teste, rendendo l’animale ancora più pericoloso di prima. Autunno 2011 Era il mese di luglio 1985 e, come spesso mi capitava in quegli anni, stavo arrampicando con alcuni amici in val di Mello e stavamo aprendo una via nuova. Nel primo tiro occorreva risalire una fessura non banale, dentro la quale crescevano piccoli ciuffi d’erba qua e là. Ricordo di aver posato una mano su uno di questi ciuffi e di aver sentito subito che avevo stretto con la mano un serpente. Me lo sono trovato davanti agli occhi, spaventato almeno quanto lo ero io o forse di più. Sta di fatto che, per uno di quegli strani colpi del destino, pur avendo abbandonato la presa immediatamente, sono rimasto inspiegabilmente attaccato alla parete. C’è un serpente sulla via, ho urlato. I miei amici, anziché esprimermi quella doverosa solidarietà che sempre si dovrebbe fornire in questi casi, si sono messi rumorosamente a ridere. Lì dov’ero, non potevo nemmeno immaginarmi di riuscire a scendere, per cui sono stato costretto a proseguire. Alle difficoltà della salita si è così aggiunta la preoccupazione per la biscia che nel frattempo se n’era andata lungo la fessura verso l’alto. E se fosse una vipera? Questa domanda mi frullava nella testa mentre salivo, poi finalmente un nuovo incontro. La poveretta, non sapendo più che cosa fare, si era fermata e mi guardava, spaventata ma anche un po’ incredula di trovarsi di fronte un animale così grande. Per fortuna conoscevo le caratteristiche della vipera e non è stato difficile stabilire che non era di lei che si trattava. Non è una vipera, ho gridato verso il basso, è una Coronella austriaca. Peccato, è stata la risposta dei miei gentilissimi compagni. Il serpentello si è spostato un po’ a destra sulla placca di Le Montagne Divertenti Coronella austriaca a Santo Stefano (giugno 1997, foto Franco Benetti). chiamata anche Biscia d’acqua, non tanto per il fatto che abbia particolare familiarità con questo elemento, quanto perché le sue prede sono costituite per gran parte da animali legati in qualche modo all’acqua come gli anfibi. È abbastanza facile da riconoscere per la presenza di un collare che è costituito da due macchie chiare, che vanno dal bianco al giallo, all’arancio (i due esemplari da me allevati per qualche settimana, presentavano un collare giallastro). Il colore di queste due macchie è accentuato dalla presenza, subito dopo, di due altre macchie, che formano una specie di secondo collare più scuro. La parte superiore del corpo ha una colorazione molto variabile che va dal grigio, al bruno, al verde oliva, al nero. Pur vivendo a volte in prossimità di pozze, ruscelli e laghetti, non è difficile trovarla anche molto distante dall’acqua. Comunque il suo nutrimento principale è legato all’acqua ed è costituito da girini, rane e rospi. Di norma la sua lunghezza di animale adulto è di 150 cm ca, anche se può raggiungere i due metri. Nelle mie osservazioni in giro per la nostra provincia, non mi è mai capitato di vedere animali al di sopra dei 160 cm di lunghezza. La Biscia dal collare è una specie ovipara. Dopo gli accoppiamenti, che avvengono durante il mese di maggio, la femmina depone 20-30 uova nel mese di luglio. Queste si schiudono una sessantina di giorni dopo e i piccoli, autosufficienti, misurano 15-20 cm. Come gli altri serpenti, anche la Biscia dal collare va in letargo e questo avviene con l’arrivo delle settimane più fredde, verso la metà o la fine di ottobre. Rimane in letargo fino a primavera. Biscia dal collare (foto Caludio Pia). È La Biscia tessellata (Natrix tessellata) Le 7 specie della provincia di Sondrio 53 Speciali testa e che forma, appunto, una specie di corona. Una striscia scura attraversa ciascun occhio e va dall’attaccatura della bocca fino alla narice. La Coronella austriaca è un animale ovoviviparo. Dopo un periodo di gestazione piuttosto lungo, che dura circa 90 giorni e che dipende dalla temperatura dell’ambiente e da altre cause, partorisce 7-10 piccoli lunghi circa 15 cm che sono autonomi fin dalla nascita. Se la nascita avviene a settembre inoltrato, può capitare che i piccoli vadano in letargo completamente a digiuno. Si nutre di lucertole, topi, nidiacei, orbettini e serpenti, anche della sua stessa specie. P ur appartenendo, come i serpenti, alla classe dei Rettili, l’Orbettino fa parte dei Sauri e non dei Serpenti. Da questi differisce per alcune caratteristiche, tra le quali le palpebre mobili che gli ricoprono gli occhi. Anche il fragilis del suo nome ci fornisce un'altra interessante differenza. Infatti l’Orbettino, come la lucertola, ha la coda che si spezza facilmente e, in condizioni disperate, preferisce lasciarla all’avversario (con l’ovvia considerazione che sia meglio perdere la coda che la vita). Questo animaletto, che è lungo 30-40 cm, vive in Valtellina e Valchiavenna fino a quote molto elevate e in terreni generalmente ombrosi e umidi, utilizzando, come nascondigli tra i sassi, le tane abbandonate di altri animali oppure scavandosene una, spingendo a forza il muso nel terreno. Per questo è dotato di squame ossee particolarmente robuste (che però hanno l’inconveniente di renderlo più impacciato nei movimenti). Riesce anche a muoversi dentro i formicai senza riportare alcun danno, cosa che altri vertebrati, anche molto più grandi di lui, non riuscirebbero mai a fare, cacciati dalla pronta reazione delle formiche. Trascorre la maggior parte della sua vita sotto i sassi e tra la vegetazione cacciando lombrichi, lumache e insetti. La sua colorazione è molto varia: grigio – bianco – bruno – nero, con riflessi argentei e a volte azzurri. Presenta inoltre delle striature scure che percorrono tutto il corpo, dalla testa fino alla estremità della coda. È un animale ovoviviparo, la cui femmina partorisce, verso settembre, una decina di piccoli lunghi 6-8 cm, che raggiungeranno la maturità nel giro di 3-4 anni. La vita degli Orbettini, almeno quelli tenuti in terrario (quelli allo stato libero hanno ben più numerosi e gravi problemi da risolvere) può essere molto lunga e raggiungere anche il mezzo secolo. Sul finire di ottobre, con l’abbassamento della temperatura e l’accorciarsi delle giornate, primi accenni dell’inverno in arrivo, l’Orbettino va alla ricerca di una buca dove 54 Le Montagne Divertenti Orbettino a Sondrio (foto A. Boscacci). L'orbettino (Anguis fragilis) La famiglia dei Viperidi La famiglia dei Viperidi conta nel mondo circa 160 specie, quattro delle quali sono presenti in Italia: la Vipera comune, il Marasso, la Vipera dal corno e la Vipera dell’Orsini. Due sole di queste vivono sui monti e nelle valli della provincia di Sondrio e sono: la Vipera comune e il Marasso. Si era discusso una ventina di anni fa dell’avvistamento in val Bregaglia, sul confine con la Svizzera, di un esemplare di Vipera dal corno (Vipera ammodytes), ma questa segnalazione non è stata confermata in seguito. Quando si parla di vipere, il pensiero corre subito alla loro pericolosità e al veleno che sono capaci di produrre e di adoperare. I mille incubi che spesso ci colgono e che riguardano i serpenti, sono quasi sempre legati a questi animali. Le leggende fiorite intorno alle vipere, hanno contribuito a farne uno dei più temibili nemici dell’uomo. Questo anche perché nel nostro territorio non ci sono molti altri animali (penso, oltre ai topi, ai nostri ragni, ai disgraziati scorpioni, alle scolopendre e pochi altri) sui quali sfogare le proprie paure e le proprie ossessioni. Una volta ho sentito un contadino spiegarmi, di fronte a una Vipera comune morta, che quel lì l’è el bis di trì pas (quello lì è la biscia dei tre passi), confondendola e pensandola ancora più terribile del Mamba nero, un serpente velenoso che vive nella savana sub-sahariana, tra la Somalia e il Sudafrica. È lungo 3 metri ed è molto pericoloso anche per l’uomo il quale, dopo essere stato morsicato, non sarebbe in grado di fare più di sette passi (da qui il nome del Mamba di Serpente dai sette passi). La realtà, come spesso succede, è sempre molto diversa. La vipera attacca l’uomo solo in casi molto rari e quando lo fa è per una difesa disperata del proprio territorio e della propria vita. la vipera comune (Vipera aspis) L’ passare i mesi freddi in letargo, magari in compagnia di altri suoi simili o addirittura di suoi nemici, come i serpenti. Come abbiamo già detto, contrariamente alle fantasiose credenze popolari, l’Orbettino, anche se non ha di certo la vista di un’aquila, non è nemmeno cieco come vorrebbero farci credere sia il suo nome italiano che quello dialettale (Urbanèla). Inoltre non è velenoso e non assomiglia per niente alla vipera, che ha caratteristiche ben diverse. Protetto in molti luoghi e considerato un buon regolatore dell’ecosistema nel quale vive, purtroppo nelle nostre valli e nei nostri paesi è ancora considerato spesso pericoloso e per questo cacciato. Il che dimostra, caso questo apparentemente piccolo e insignificante, come l’umana stupidità sia davvero senza limiti. Autunno 2011 Aspide è l’animale con il quale Cleopatra d’Egitto, si sarebbe uccisa. Questo almeno stando alla versione di Plutarco che così scrive nella vita di Antonio. Ma torniamo a noi. Se camminando per i boschi, attraversando i prati o percorrendo i pascoli, ci dovesse capitare di incontrare un serpentello di circa mezzo metro, beh, abbiamo qualche possibilità che si tratti di una vipera (ma potrebbe essere semplicemente un giovane di altra specie). Se poi la coda è tozza, questa possibilità può trasformarsi anche in certezza. A questo punto basterà che noi continuiamo per la nostra strada e la vipera se ne andrà sicuramente per la sua, cercando altri luoghi più tranquilli e più adatti al suo vivere. Oltre alla lunghezza (le vipere che ho misurato nel corso del mio lungo girovagare per la provincia di Sondrio non hanno mai superato i 55 cm), c’è un’altra caratteristica che permette di distinguerla dai comuni colubridi: il suo corpo tozzo, dovuto alla coda che è molto corta. La testa, le squame, il colore, la pupilla … sono onestamente poco adatte a una determinazione da parte di un normale osservatore. È relativamente facile anche distinguerla dall’altra vipera presente in provincia di Sondrio, il Marasso, perché l’Aspide ha, tra l’altro, la punta del muso leggermente rivolta verso l’alto. Il colore del dorso è molto variabile, grigio – bruno – olivastro – giallastro – nero. Le Montagne Divertenti Vipera comune (foto Claudio Pia). granito e mi ha osservato mentre arrampicavo. Fosse stato lui a salire lì, non avrebbe di certo consumato tutte le energie che io ho dovuto impiegare. Forse ha riso anche un po’ di me, ma questo non posso dirlo con certezza. Tra i serpenti che vivono in provincia di Sondrio il Colubro liscio è quello che purtroppo può essere più facilmente scambiato per una vipera. Da una parte per la sua lunghezza, che si solito è intorno ai 50-60 cm, ma anche per il colore del suo dorso grigio – olivastro – bruno rossastro, con numerose macchioline nere. Il suo nome si deve a una macchia scura che porta sulla Serpenti Le 7 specie della provincia di Sondrio 55 Speciali 56 Le Montagne Divertenti A A U La vipera comune, in terrario, riesce a superare i vent’anni. Non ci sono però indicazioni sulla durata della sua vita allo stato naturale, perché dipende da troppi fattori, non ultimo il fatto che riesca a sfuggire ai suoi nemici, primo tra tutti l’uomo. Autunno 2011 Il Marasso (Vipera berus) N on è facile distinguere a prima vista un Marasso da una Vipera comune (Aspide). Entrambi sono tozzi e corti (normalmente intorno ai 45-55 cm di lunghezza). Guardando però un po’ più da vicino i due animali, si possono osservare alcune caratteristiche che permettono una loro identificazione sicura. Il Marasso presenta infatti la punta del muso arrotondata, una testa meno marcatamente triangolare e, di solito, tre grosse placche allineate sul capo tra gli occhi. Guardando poi sotto l’occhio, si nota una serie di piccole placche che corrono tra questo e la fila delle placche sopralabiali (vedi disegni). Il colore dei Marassi è molto vario, dal grigio al giallobruno, con riflessi verde oliva. Esistono però anche esemplari molto scuri e quasi completamente neri che sono abbastanza comuni in tutte le valli e i pascoli delle Orobie Valtellinesi. In ognuno c’è sempre una lunga greca nera che percorre tutto il dorso, dalla testa fino alla estremità della coda. Il Marasso vive anche a quote molto elevate. Ricordo un esemplare incontrato sulla punta Cerech (m 2412) tra la valle del Livrio e la val Cervia (Orobie Valtellinesi). In ambienti difficili come questi, due sono i grossi problemi che deve affrontare questo animale, procurarsi il cibo e andare in letargo. Per quanto riguarda il letargo, una temperatura troppo rigida, dovuta per esempio a un Inverno molto freddo o alla mancanza di neve, potrebbe compromettere la sua sopravvivenza. Sulle nostre montagne, la riproduzione del Marasso è spesso biennale a causa del fatto che le femmine, dato il breve periodo estivo che hanno a disposizione, non riescono a reintegrare le loro riserve corporee di grasso. I nati sono di solito una decina. In un grosso esemplare di femmina, proveniente dalla Valmalenco, ho contato sette piccoli lunghi 11 cm, completamente formati e pronti per la nascita. Basandomi sui miei incontri e sulle mie osservazioni, Il veleno L a paura per la vipera è strettamente intrecciata a quella per il suo veleno. Un piccolo episodio che mi è capitato due o tre anni fa, può aiutare a capire. Spesso può essere utile fermarsi un momento a ragionare, per rendere i problemi molto meno complessi di come in un primo tempo ci appaiono. Un pomeriggio di luglio, ricevo una telefonata da una signora che è stata morsicata da un serpente. Dice di conoscermi e mi chiede se può venire a casa mia a mostrarmi i segni del morso. Aggiunge anche di avere con sé il serpente che l’ha morsicata e che il marito ha ammazzato. Mi dice anche che si trova al Pronto Soccorso dell’ospedale di Sondrio e che arriverà entro pochi minuti. Le Montagne Divertenti Marasso a Castione (foto Nicola Giana). La vipera ha pochi mesi a disposizione prima del letargo invernale, in montagna questo periodo può essere anche di poco più di tre mesi, e compie all’incirca una muta al mese. Il fenomeno della muta dura molte ore. In un caso da me osservato, la muta è iniziata intorno alle 9 del mattino ed è proseguita fino alle 4 del pomeriggio. La “pelle” (exuvia) rimasta dopo questo cambiamento, riproduce esattamente, compreso il capo, le fattezze dell’animale. Il fatto che anche la vipera, come gli altri serpenti, per aiutare la muta, si sfreghi contro un legno o contro un sasso, ha contribuito alla nascita di strane leggende sul suo modo di mettere al mondo i piccoli. Una di queste racconta che, passando con l’addome sopra un sasso dal bordo tagliente, si farebbe una specie di taglio cesareo. Molti sono comunque gli aneddoti legati alla vipera. scuola mi è capitato spesso di sentire che la vipera quando beve, avvelena l’acqua del ruscello o della fontana dove andrebbe a dissetarsi. ncor più presente nelle nostre valli e nei nostri paesi è la credenza che se una vipera fissa negli occhi una persona, questa rimane paralizzata ed è quindi facilmente vittima del veleno del rettile. n’altra storia molto diffusa un tempo tra i pastori, ma ancora oggi un po’ ovunque, è quella del rapporto tra la vipera e il latte, di cui si racconta andrebbe ghiotta. Ma poiché la vipera non si nutre di latte, la nascita di queste storie deve essere ricercata in fatti molto più semplici, quali il ritrovo occasionale di una vipera dentro una conca usata per conservare il latte in vista della preparazione del burro. Vipera comune a Dascio (giugno 2008, foto Franco Benetti). La sola colorazione del corpo non è un indice sufficiente, agli occhi di un non esperto, per la sua individuazione. Infatti mi è capitato di incontrare animali dai colori più diversi, grigiastri, bruni, olivastri e giallastri e perfino alcuni quasi completamente neri (tutti però con macchie continue zigzaganti lungo tutto il dorso). Nella vita annuale della vipera ci sono due periodi: quello primaverile-estivo e quello autunnale-invernale, non ben definiti temporalmente (risentono della quota e delle condizioni climatiche che possono essere molto diverse negli anni). Il periodo di difficoltà climatiche (freddo e neve) termina solitamente verso marzo-aprile, ma in montagna, oltre i m 1700-2000, può arrivare tranquillamente fino alla fine di maggio e alle prime settimane di giugno. Con l’allungarsi delle giornate e l’arrivo del caldo, le vipere escono dalle tane, dove hanno passato i mesi di letargo, in cerca di cibo. È questo il periodo nel quale si muovono più lentamente e, in genere, è più facile incontrarle. Avrebbero bisogno di una temperatura esterna di almeno 15 gradi, ma si adattano a prendere quello che trovano, magari cercando un po’ di sole e di calore su un sasso al riparo del vento (che in questo periodo è un fattore di grande disturbo). Appena dopo il letargo, come è facile immaginare, la vipera ha bisogno di cibo. Il meccanismo di cattura è più o meno questo. Lentamente si avvicina alla preda, per esempio un topo o un altro piccolo roditore, fino a una ventina di centimetri poi, con uno scatto fulmineo la morsica iniettando, attraverso i due denti superiori cavi, una certa quantità di veleno, proporzionato alla dimensione della vittima. Poco più di mezzo secondo per colpire e iniettare il veleno. La vipera non trattiene la preda, perché i bruschi movimenti della stessa potrebbero provocare dei danni ai lunghi, sottili e delicati denti del veleno. Il topo scappa e normalmente va a morire non molto lontano. A questo punto la vipera lo segue individuando il percorso attraverso la raccolta, con la lingua, di molecole olfattive presenti nell’aria e rilasciate dalla preda e dal veleno stesso. Dopo aver raggiunto il topo, inizia a inghiottirlo, partendo in genere dalla testa. La digestione è una faccenda lunga che necessita di alcuni giorni di tempo, di solito due o tre, ma a volte anche di più. In queste condizioni l’animale si presenta lento e pigro e diventa più facilmente vittima dei suoi nemici. Dopo un periodo di superalimentazione, avviene l’accoppiamento. La vipera è un animale ovoviviparo, i cui piccoli 4-8 si sviluppano all’interno del corpo della madre in sottili sacche trasparenti. Queste si rompono durante il parto lasciando uscire dei piccoli che hanno una lunghezza di 10-13 cm. Fin dalla nascita i piccoli possiedono una certa quantità di veleno, che possono utilizzare con le loro prime prede, che sono costituite da cavallette, piccole lucertole e insetti vari. Serpenti mi pare di poter affermare che, in provincia di Sondrio, il Marasso sia molto più diffuso della Vipera comune. Concludo queste righe con un’ultima annotazione. Ho avuto la fortuna di registrare il soffio di un Marasso, che abitava a san Salvatore, nella valle del Livrio. Quando un Marasso si sente aggredito e pensa di non avere possibilità di fuga, raddrizza la parte anteriore del corpo ed emette un caratteristico soffio, forte e prolungato. Non serve spaventarsi e fare gesti inconsulti, basta allontanarsi e l’animale ritornerà tranquillo a pensare ai fatti suoi. La signora è molto spaventata, ma la sua paura è in questo caso del tutto infondata, perché il serpentello non è altro che un innocuo giovane Biacco. Anche la corona di piccoli segni rossi, lasciati dal morso del serpente, testimonia che il morso non è stato procurato da una vipera (che lascia due chiari segni distanti tra loro circa 6 millimetri). Parlando di morsi da vipera, non si può non parlare di siero antivipera. Per decenni ci è stato spiegato, anche da esimi luminari, che era opportuno avere in casa e portare sempre con sé una confezione di siero antivipera. Poi si è scoperto che il fai-da-te dell’uso del siero è ben più pericoloso dello stesso morso (rischio di shock anafilattico). Le 7 specie della provincia di Sondrio 57 Speciali O ra, sgombrato il campo da un sacco di convinzioni strane (dietro le quali c’erano forti interessi economici di alcune industrie farmaceutiche), si è giunti a una lista di comportamenti da tenere in caso di morso di vipera, accettati e condivisi dai maggiori studiosi della materia. Intanto, occorre premettere che il morso di una vipera è un avvenimento molto raro. Pochissimi sono i casi registrati in provincia di Sondrio e su una parte di questi ci sono anche seri dubbi. Poi si deve aggiungere che il morso della vipera non è quasi mai mortale per un uomo adulto e sano. Ricordo il caso di un mio amico che è rimasto “addormentato” per un paio di giorni e poi si è ripreso completamente. A fianco trovate uno specchietto con illustrate le principali cose da fare e quelle da non fare in caso di morso di vipera. Nonostante possieda l’arma del veleno, la vipera è un essere molto mite e riservato, che non chiede altro che di essere lasciato in pace. Solo in questo modo non si vedrà costretta a difendersi, provocando guai agli occasionali disturbatori della sua quiete. A proposito di vipere e di veleno, ricordo quanto mi ha detto, molto tempo fa, durante una passeggiata in montagna, un maestro Zen: "Prendi una grossa vipera e lasciala per una settimana a bagno nell’acqua, poi appendila al sole fino a ché sia completamente secca. A questo punto macinala riducendola in polvere e consumala come credi, cruda, cotta o mescolata ad altre vivande." Non avendo mai provato, non sono in grado di spiegarvi il gusto, anche se il maestro Zen mi ha assicurato che si tratta di una vera prelibatezza, da leccarsi le dita per una settimana. In più la polvere di vipera avrebbe, sempre secondo lui, ottime qualità ricostituenti per il fisico in generale e servirebbe a migliorare la memoria. 58 Le Montagne Divertenti Serpenti COSA FARE COSA NON FARE NON agitarsi o mettersi a correre Mantenere la calma Evitare il più possibile di muoversi NON stringere lacci o mettere bendaggi troppo stretti ella ello d inti u q : o t ors Mantenere en dis illamcalma b e i n n e g ue se o di vare b Osser presenta d in cas e h c lpita vipera na co e bluastra ibile, o z a l nfia orsi vare poss Osser diventa go e bene, se i è stati m s le var veleno Osser ale dal qua m l’ani NON cercare né di incidere il morso, né di spremere il veleno Se è stato colpito un arto, immobilizzarlo con delle stecche come se fosse fratturato NON cercare di succhiare il veleno NON bere alcolici Recarsi velocemente presso il più vicino Pronto Soccorso (quando possibile, può essere molto utile, ovviamente, il trasporto in elicottero). Autunno 2011 NON somministrare il siero antivipera Le Montagne Divertenti Le 7 specie della provincia di Sondrio 59 Speciali Serpenti e vipere hanno certamente dei nemici. Potremmo citare, in linea puramente teorica perché non presente sulle nostre montagne e abbastanza raro anche in giro per l’Italia, un grande rapace, il Biancone (Circaetus gallicus) che si nutre in prevalenza di serpenti e lucertole. Altri uccelli sono occasionali nemici della vipera, come la Poiana e alcuni rapaci. Anche il Riccio è un suo nemico, così come, occasionalmente, il Tasso, la Donnola, la Gallina o il Tacchino. Tutti questi animali non sono immuni dal morso della vipera, essendo però generalmente più abili di lei, riescono quasi sempre ad avere la meglio. Il maiale e il cinghiale sono invece discreti cacciatori di vipere. Tra l’altro, anche se dovessero essere morsicati, potrebbero contare, per sopravvivere, sull’abbondanza del loro grasso sottocutaneo. Però il più grande nemico della vipera (e dei serpenti in genere), è stato e continua a essere l’uomo. Il padre di un mio vecchio alunno, poi diventato veterinario e appassionato difensore degli animali, mi raccontava, tutto contento, che durante il periodo passato in alpeggio in val Lesina, era riuscito a uccidere oltre una decina di vipere. Gli equilibri M olto spesso si sente parlare del preoccupante aumento delle vipere sulle nostre montagne. L’abbandono degli alpeggi e dei maggenghi da parte dei pastori e l’assenza di predatori avrebbe fatto aumentare considerevolmente il loro numero. Le cose non stanno però così. Insieme all’uomo se ne sono andati per esempio i topi e il bosco ha ripreso il suo sviluppo, rimangiandosi spazi aperti e habitat. Possiamo quindi pensare che non solo non c’è stato un aumento, ma le vipere e con loro anche gli altri serpenti valtellinesi e valchiavennaschi, non se la stiano passando bene e siano a rischio (per la Natrice tessellata e il Colubro liscio forse siamo già oltre la possibilità di recupero). Bene ha fatto la Lombardia ad inserire nella legge regionale n. 10 del 31 marzo 2008 alcune norme per la tutela dei Rettili, prevedendo anche apposite sanzioni. Resta però un ulteriore grande passo da fare, che è quello della sensibilizzazione delle persone (a iniziare certamente dalle scuole). Purtroppo però i già esigui finanziamenti a disposizione sono quasi sempre impegnati per occuparsi di animali di grande richiamo e fascino. Questo lascia facilmente immaginare che non ci si darà mai seriamente da fare per i serpenti presenti sul nostro territorio. Questi animali hanno un loro ruolo in natura per mantenere quell’equilibrio ecologico che l’uomo, molto spesso, cerca di intaccare o distruggere. Anche le vipere, nonostante la scarsa considerazione che nutriamo nei loro confronti, fanno parte pienamente dei 60 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti delicati equilibri che legano tra loro tutti gli esseri viventi. Non si può distruggere ogni cosa senza pensare che, alla lunga, gli effetti non ricadano sull’uomo, che si troverà sempre più circondato da un mondo invivibile e assurdo. Conclusioni Conoscere un po’ di più i serpenti che possiamo incontrare sui monti e nelle valli della nostra provincia è un piccolo passo avanti. Certamente per loro, che così avranno da temere qualche sasso o qualche bastonata in meno, ma anche per noi che abbiamo un sacco di cose da imparare da questi curiosi animali. E chissà che un giorno non lontano possano arrivare anche per loro tempi più luminosi. Se noi fossimo al loro posto, disprezzati e uccisi, di certo ce lo augureremmo. Bibliografia essenziale • AA.VV., Atlante degli Anfibi e dei Rettili della Lombardia, Cremona 2004 • A. Boscacci, I Serpenti di Valtellina e Valchiavenna, in Notiziario della Banca Popolare di Sondrio n. 28, 1982 • S. Bruno, Guida ai Serpenti d’Italia, Firenze 1984 • S. Bruno e S. Maugeri, Serpenti d’Italia e d’Europa, Rozzano 1990 • A. Gentilli e S. Scali, I rettili della bassa Valtellina, ecologia, rapporti con l’uomo e conservazione, Sondrio 2008 Colubro di Esculapio e Biacco (foto Antonio Boscacci). I nemici L Le 7 specie della provincia di Sondrio 61 Alpinismo Cima di val Bona: spigolo Gervasutti orreva il 15 giugno 1933 quando Giusto Gervasutti, detto “il Fortissimo”, su consiglio e accompagnato da Alfredo Corti scalò la cresta orientale della cima di val Bona, un lungo spigolo di granito, circa 14 tiri di corda (senza contare quelli in conserva), che supera varie torri e incisioni lungo i 450 metri di dislivello dall'attacco alla vetta. La via, complessa e a tratti molto esposta, richiede intuito perché in quel continuo su e giù di torrioni non è sempre facile capire dove si passa. Sul tracciato si trovano ancora le vecchie protezioni con cunei di legno. Il passaggio chiave è un lastrone (V+) poco oltre portava spesso i clienti perché era un'ascensione molto in voga. L'anno dopo, incuriosito, provai a salirci in compagnia di Fausto e Matteo. Era una gelida giornata di novembre e un sasso ci tagliò la corda all'altezza della grande calata: non potemmo procedere oltre. Passano 4 anni e, dopo una nevicata settembrina, io e Floriano ci accordiamo per condurre l'avventura insieme. Così, all'alba del 22 settembre 2010, quando il sole ancora dorme, ci troviamo al pian del Lupo a Chiareggio e iniziamo l'avvicinamento. La nostra C la metà dello sviluppo, ma pure la grande calata - oltre 20 metri nel vuoto - lascia un deciso ricordo della giornata. Data la fama dell’apritore, il migliore scalatore su roccia di quegli anni, lo spigolo Gervasutti divenne subito un classico della regione, ma oggi, forse per il suo isolamento, quasi più nessuno lo percorre. L’amico e guida alpina Floriano Lenatti, gestore del rifugio Porro all'alpe Ventina, mi aveva raccontato di quella cresta un pomeriggio del 2005, indicandomela dalla finestra del rifugio. Mi diceva di non averla mai fatta, ma che suo padre, anch'egli guida alpina, ci Beno meta è già visibile lassù in alto, come le bellissime cime di Vazzeda (m 3301), di Rosso (m 3366), i monti Sissone (m 3331), Pioda (m 3431) e il re di questa valle: il monte Disgrazia (m 3678). L’attacco dello spigolo Gervasutti è alla base della lunga cresta ENE della cima di val Bona, cresta che divide il bacino glaciale del Vazzeda a S dalla val Bona a N. E’ nevicato e sul versante N il ghiaccio ci complicherà la vita. niziamo a camminare sulla pista sterrata per Forbesina (O) e, poco oltre il ponte sul torrente Muretto, troviamo sulla dx il sentiero per l'alpe Vazzeda. Questo sale nel bosco fitto fino ad incontrare il bivio (sx) per il rifugio Tartaglione. Lo ignoriamo e sul ramo di dx attraversiamo subito il ruscello. Usciti sui prati dell'alpe Vazzeda Inferiore, senza raggiungere le baite, saliamo il pascolo verso E (sx), quasi paralleli al solco del ruscello. l sentiero ora serpeggia nella vegetazione un po' fastidiosa fino ad una scaletta che agevola il superamento di un massone e deposita sui pascoli abbandonati dell'alpe Vazzeda superiore (m 2035, ore 1:15). I I L'alba sullo spigolo Gervasutti alla cima di 62 Divertenti val Bona Le (21Montagne novembre 2009, foto Beno). Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Cima di val Bona (m 3033) 63 Alpinismo Bellezza Fatica Pericolosità Valmalenco Partenza: Chiareggio - pian del Lupo (m 1630). Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende la SP15 della Valmalenco. Arrivati a Chiesa in Valmalenco si prosegue per il ramo occidentale della valle fino a Chiareggio. Oltre il paese si scende al pian del Lupo, nell’ampio greto del torrente Mallero, dove si lascia l’auto. Itinerario sintetico: pian del Lupo (m 1630) alpe Vazzeda inferiore (m 1835) - alpe Vazzeda superiore (m 2035) - cima di val Bona per lo spigolo Gervasutti (m 3033) - passo di Vazzeda (m 2967) alpe Vazzeda - pian del Lupo. Tempo previsto: 12 ore per l'intero giro. Attrezzatura richiesta: cordini, imbraco, casco, corda (60 m), fettucce, set di friend, scarpe da roccia, [scarponi, ramponi e piccozza in caso di neve]. Difficoltà/dislivello in salita: 5 su 6 / complessivamente oltre 1400 m. Dettagli: Alpinistica D. Affascinante via su granito con passi fino al V+. Circa 14 lunghezze di corda (50 m), più tratti da fare in conserva. Via non attrezzata, se non la grande calata. Mappe consigliate: Carta Escursionistica Valmalenco, 1:30000; Kompass n. 93, Bernina, 1:50000. Le cime a ovest di Chiareggio (14 settembre 2009, foto Luciano Bruseghini). Qui vi è la vecchia baita, oramai ridotta ad un rudere fatiscente. Qualche anno fa, quando ero salito con mio papà, c'erano sia le mucche che i pastori; nel 2006 era già in malora, ma io e Matteo l'avevamo sfruttata per la notte ed il vento gelido era stato messo a tacere dagli antichi muri a secco. Ora stanno crollando tutti. A monte della baita vi è il trivio Chiareggio - rifugio Del Grande passo del Forno. Noi seguiamo il sentiero per il Del Grande che punta a O salendo a stretti tornanti una dorsalina che, man mano guadagniamo quota, perde la copertura di larici. A m 2200 circa la via bollata piega a sx, mentre noi insistiamo sulla ripida traccia1 che risale dritta a O. I prati lasciano il posto alle pietraie, finche iniziano i lastroni di granito levigati dal ritiro del ghiacciaio. L'attacco della via è ben visibile alla nostra dx (NNO): è il primo canalediedro tra i due presenti alla base della cresta orientale della cima di val Bona. Ci arriviamo presto per placche. Siamo a circa m 2600 (ore 1:45). 1 - Qualche ometto segnala il percorso. 64 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti I ruderi del baitone all'alpe Vazzeda superiore (3 novembre 2006, foto Beno). Cerchiamo di procedere leggeri, perciò svuotiamo gli zaini di tutto il superfluo. Vista la giornata tiepida ciò vuol dire sbarazzarsi pure di giacche, cibo in esubero, bastoncini ... Su mio suggerimento, ci sbarazziamo anche degli scarponi, anche se questa non si rivelerà certo una scelta vincente! Messi gli imbrachi e le scarpette da roccia, risaliamo facilmente tutto il canale (II-III) e usciamo sullo spigolo. Ci leghiamo e ci accordiamo per un tiro a testa. Io, eccitatissimo, decido di iniziare le danze. Subito ecco una paretina verticale di 6-7 m (V) che scalo per il diedro a sx (uso un friend, poi rinvio nel chiodo in uscita). Segue nordic walking aereo (IIIII) fino alla cima del primo torrione. Cima di val Bona (m 3033) 65 Alpinismo Valmalenco Il tracciato dello spigolo Gervasutti alla cima di val Bona. E' una via su granito, roccia inusuale in Valmalenco e presente solo dal passo del Forno alla sella di Pioda. Indicate le soste utilizzate (3 novembre 2006, foto Beno). Disarrampichiamo (III) fino ad un intaglio (per la calata in doppia ci sarebbero 2 chiodi + cordino marcio: io mi fido di più delle mie mani). Dall’ intaglio ci portiamo sulle placche solive a sx del filo (III) e, dopo un traverso un po’ esposto, saliamo un canale che rimonta sullo spigolo (III+). Due tiri più impegnativi (IV e IV+) tra camini, cenge e placche ci portano alla grande calata nel vuoto: 25 metri sospesi per aria fino al canalone di rottami del versante S. Il posizionamento dei chiodi indica che si poteva scendere anche verso N, ma le placche ghiacciate ce l’hanno impedito. Infilandoci fra enormi massi incastrati torniamo sullo spigolo in corrispondenza della breccia a cui si perveniva anche da N. Siamo circa a metà via. Alcuni tiri semplici (III) ci guidano al passaggio chiave: un traverso di 3 metri che contorna da sx (S) un torrione e raggiunge un diedro. Il tutto su placca liscissima proteggibile dall’alto per il capo cordata, mentre il secondo, se scivolasse, prenderebbe 66 Le Montagne Divertenti una bella botta pendolando contro l'altra faccia del diedro. Floriano chiude il passaggio e risale tutto il diedro. Io, terrorizzato dalla possibile dentata contro la roccia, mi muovo a chiappe strette e, quando raggiungo la sosta, tiro un sospiro di sollievo. Tocca a me: potrei andare a sx su una placca liscia ed assolata, ma visto che son stufo di placche, mi porto sul versante ombroso, traverso su cengia innevata e inizio un camino ghiacciato. Fa un freddo cane, trovo i vecchi cunei di legno dei pionieri e tanto ghiaccio da non riuscire a superare il camino. Ravana ravana e arrivano le urla di Floriano che mi chiede cosa stia combinando. Mi calo allora su un pianerottolo e lo invito a provarci anche lui, ma il passaggio non si risolve. Che fare? Siamo pragmatici, così ci inventiamo un numero da circo: io salgo sulle spalle di Floriano, poi lui alza una mano per farmi andar sù di altri 50 cm. Non basta: lo svaso è ancora ghiacciato e non ho per aggrapparmi. Così lego un friend a una fettuccia e lo lancio finchè si incastra. Mi trascino su con quel sistema, quindi corro verso il sole e faccio sosta. Tappa di trasferimento per arrivare all’ultima difficoltà seria. Una lunghezza con passaggio atletico e leggermente strapiombante, poi alcune placche liscie e bagnate (esposizione N), ma piuttosto appoggiate e ben proteggibili con friend in fessura. Per concludere vi è un diedro verticale (IV+). Un tiro su gradoni ci porta sull' anticima meridionale della cima di val Bona (ore 3:30 dall’attacco). Da qui, tutto in conserva, seguiamo il lungo filo accidentato (II/III+), a tratti marcio e innevato che ci porta fino alla grande e appuntita roccia che s’erge nel punto d’incrocio della cresta ENE con quelle dello spartiacque tra Italia e Svizzera: la cima di Valbona (m 3033, ore 0:45 dall’anticima). La vista è spaziale, specialmente per Autunno 2011 La grande calata che si incontra a metà dello spigolo Gervasutti. Sono oltre 20 metri nel vuoto (22 settembre 2010, foto Beno). Le Montagne Divertenti Cima di val Bona (m 3033) 67 Alpinismo Dalla cima di val Bona si gode uno strepitoso paesaggio sul bacino del Forno col suo gigantesco ghiacciaio (22 settembre 2010, foto Beno). 20-21 ottobre 1971 le nuvole bizzarre che si rincorrono sopra le vette del bacino del Forno. bbiamo lasciato Sondrio il pomerigA gio alle 14 e questa volta non con la mia solita Vespa perché, data la salita e le D obbiamo scendere con le pedule i ghiaioni innevati che ci separano dalla nostra attrezzatura. Mi sento un fesso a non aver portato gli scarponi. Penso Floriano mi stia maledicendo in silenzio... Andiamo così a S stando sugli sfasciumi a O della cresta. Raggiunto il passo di Vazzeda, punto di comunicazione tra il bacino del Forno e la valle di Chiareggio, torniamo in Italia con un canale di rottami che taglia la parete in diagonale verso S. Con atroce fastidio ai piedi, vinciamo le gande e le placche lisciate dal ritiro dei ghiacciai. Passiamo il bel lago di Vazzeda e altre piccole pozze in cui si vedono riflessi il monte del Forno e il monte dell'Oro. Anche senza vette, una semplice passeggiata fin quassù meriterebbe di certo! Alle 14:45 siamo alla base dello spigolo e alle 16:10, dopo una corsetta di piacere, a Chiareggio. Gita bellissima! 68 Le Montagne Divertenti Il monte del Forno da una pozza sulle Piatte di Vazzeda (13 agosto 2008, foto Roberto Moiola). Autunno 2011 asperità della strada per Chiareggio, non ce l’avrebbe mai fatta a portarci tutte e due, il mio amico William Balgera ed io. Non saremmo forse riusciti nemmeno ad arrivare a Chiesa. In più c’erano gli zaini. Cosa non da poco.Ecco perché avevamo in dotazione la Lambretta di mio padre, più robusta e potente. Vai piano, mi aveva detto nel consegnarmela, sia in salita che in discesa. Soprattutto in discesa. Il perché l’abbiamo capito solo al ritorno: non aveva freni. Così, scendendo lungo i tornanti sotto San Giuseppe, abbiamo dovuto mettere tutti e due i piedi per terra per aiutare la Lambretta a frenare. Pronti in ogni caso ad abbandonare il veicolo e a buttarci in qualche prato a fianco della strada. Da Chiareggio, seguendo il sentiero che sale al rifugio Del Grande, abbiamo raggiunto le baite di Vazzeda inferiore e poi quelle di Vazzeda superiore (m 2035) dove avevamo deciso di passare la notte. Dopo esserci riforniti di legna e acqua, abbiamo iniziato a preparare i giacigli. Nella poverissima baita aperta dove avevamo scelto di dormire, non c’era una sola manciata di erba secca o altre cose del genere che di solito fungono da materasso. Però fuori, attorno alla baita, c’era una bella erbetta fresca e così abbiamo cominciato a strapparla. Avremmo anche potuto farne a meno di quel lavoro, ma la prospettiva di dormire sui tronchetti arrotondati e mal messi che facevano da pavimento alla baita, non era per nulla allettante. Le Montagne Divertenti Antonio Boscacci Così, prima che abbuiasse, avevamo già raccolto una bella quantità di erbetta per la nostra schiena. Avevamo dimenticato a Sondrio l’orologio e quindi non sapevamo neppure che ora potesse essere. In ogni caso non c’erano problemi di orario per la cena. Abbiamo semplicemente deciso che quella era l’ora adatta per mangiare. Preparato il letto e accesso il fuoco, abbiamo imbandito la mensa: uova, latte, bresaola, formaggio, succo di frutta, mele e banane. E alla fine, un pezzo di cioccolato. Per recuperare un minimo di dignità, dopo quella abbuffata, avevamo bisogno di un po’ di movimento. Con i resti di una piccola falce, scoperta per caso infilata nel muro, abbiamo tagliato dell’altra erba. Era una scena sorprendente. Due piccoli uomini indaffarati a falciare sotto un cielo di migliaia di stelle che, l’aria fredda di ottobre faceva luccicare ancora più del solito. Miliardi di uomini sotto lo stesso cielo, e noi due soli lì ad ammirarlo splendente come mai. Che ore saranno? Mi chiede il mio compagno di escursione per l’ennesima volta. È tutto il pomeriggio che mi rivolge questa domanda. Boh, forse sono le sette, forse le nove, forse le dieci … chi lo sa. Che importa saperlo. Ci infiliamo nel sacco a pelo e poi ognuno si immerge nei suoi pensieri. Quante cose nella mente. Con gli occhi aperti guardo il soffitto di quella piccola e povera baita. Quattro muri a secco, una stalla bassa, per animali bassi, un pavimento di piccoli tronchi, sul tetto le solite pesantissime piode selvatiche. E tutto questo consumato dal tempo. Giorni, mesi, anni, fatiche di generazioni di pastori attaccati a questa povera terra che dovevano amare (odiare) perché non avevano scelta. Poi i sogni mi sommergono. Mi sveglio alle raffiche di un vento freddo che continuerà a soffiare per tutta la notte e anche il giorno dopo. Simpatici topi, rumorosi e litigiosi, ci tengono compagnia per molto tempo. Se ne vanno solo alle prime luci dell’alba. Fa freddo quando ci alziamo, ma un fuoco allegro e vivace si incarica di mitigare la temperatura. Sembra una bella giornata. In realtà oltre a quel noiosissimo e freddissimo vento, ci sono all’orizzonte delle bianche nuvolaglie, che però stanno già dissolvendosi in una leggera foschia. Sulla nostra destra c’è la cresta di val Bona, che ci sembra si possa raggiungere per un facile canale. 450 m di dislivello, almeno 800 di sviluppo. Un continuo salire e scendere, aggirare ora a destra e ora a sinistra, qualche deviazione per l’impossibilità nel proseguire. Alle 13 siamo in vetta. Che siano le 13 lo stabiliamo noi tenendo conto della posizione del sole. Non è comunque un orario al quale crediamo più di tanto, perché potrebbe anche essere semplicemente mezzogiorno. In ogni caso decidiamo di fermarci a mangiare al riparo di un grosso masso. Che ci importa se sono le 12 o le 13? Cima di val Bona (m 3033) 69 Alpinismo Il personaggio Giusto Gervasutti Mario Sertori N G 1 - Gianpiero Motti, La Storia dell’Alpinismo, IGDA 1977 e Vivalda editori 1994. 70 Le Montagne Divertenti "il Fortissimo" si riassume in alcuni denti spezzati, costole rotte e contusioni varie, traumi che avrebbero consigliato chiunque una immediata visita in ospedale. Chiunque, ma non il Fortissimo, che trova la forza per proseguire ingaggiandosi da capocordata e uscendo vittorioso dopo due giorni di battaglia da quella che è ancor oggi ritenuta una delle più severe vie di ghiaccio e misto delle occidentali. Nel libro Scalate nelle Alpi 2 scriverà a proposito di questa avventura: ”Debbo fare appello a tutte le mie forze per non cedere al dolore e lasciarmi andare…. Il dolore del corpo martoriato scompare annullato dalla volontà d’azione.” ella sua Storia dell’Alpinismo Gianpiero Motti1, uno dei più autorevoli divulgatori della verticale, definisce Gervasutti “Il Michelangelo dell’Alpinismo”. E’ difficile andare oltre il quadro efficace da lui tracciato: le sue parole soffiano lontano la polvere della retorica che il tempo e l’agiografia ufficiale hanno depositato sul personaggio, per restituirlo alla sua umana dimensione, dove bagliori di lotte epiche su severe muraglie si confondono a tristi ritorni nella società di tutti i giorni, dominata dalle comodità del vivere moderno. iusto Gervasutti nasce a Cervignano del Friuli il 17 aprile 1909 e nel 1931 si trasferisce a Torino per gli studi universitari. E’ già un provetto arrampicatore con un buon bagaglio di esperienze sui più duri itinerari del tempo nelle selvagge montagne della Carnia e in Dolomiti. Nella città della Mole, trova subito nuove amicizie tra gli scalatori dell’élite piemontese, frequenta Boccalatte, Chabod, il francese Devies e ben presto si trova a proprio agio anche sul granito e negli ambienti severi delle Alpi Occidentali. Soprannominato “il Fortissimo”, porta una ventata di aria nuova nell’ambiente torinese e soprattutto svela agli “occidentalisti” l’arte del salire su pareti sempre più ripide, facendo uso, dove necessario, anche di una raffinata tecnica artificiale. Con lui l’alpinismo nell’ovest fa un salto di qualità: dopo il 1930 e fino alla sua scomparsa, egli diventa una delle figure di riferimento del mondo verticale italiano ed europeo. Uomo inquieto, solo nel momento dell’azione trova pace al suo tormento interiore, ma la gioia del successo non dura che pochi attimi, mentre gli è difficile resistere nella monotonia del quotidiano. detto A nche sul monte Bianco Gervasutti porta a compimento alcune grandi realizzazioni. Tra queste quella che ha mantenuto intatto il suo valore è sicuramente il primo itinerario sulla parete est delle Grandes Jorasses, un bastione granitico immenso di difficile soluzione. In due giorni nell’estate del 1942, insieme a Gagliardone, il Fortissimo firma il suo 2 - Giusto Gervasutti, Scalate nelle Alpi, Torino 1945 “Bisogna essere severi con noi stessi, crudelmente severi. Spesso sono inquieto; l'inquietudine, per me, è uno stato d'animo abbastanza normale; mi sembra sempre che ci sia qualcosa che non vada; sono sempre insoddisfatto di me. E' una volontà recondita che alimenta questa passione per ciò che è grande, vasto, immenso. Vorrei staccarmi da tutto ciò che è basso, meschino, debole; dal corpo ma anche dalla società che mi costringe a sprecare una gran parte di questo tempo che passa inesorabile portando via i miei sogni migliori". capolavoro. Trova risposta ad una gran quantità di problemi tecnici che gli si presentano lungo il percorso e consegna ai posteri una linea, moderna per difficoltà tecniche, seppur tracciata con i mezzi del tempo e soprattutto con pochissimi chiodi. Ma la sua “pennellata” Gervasutti la lascia anche nel selvaggio e ancora inviolato versante meridionale del massiccio, dove nel 1940 con Paolo Bollini apre una via sull’ austero pilone nord del Freney. Nel suo mirino c’è anche il problema più ambito del tempo: la nord delle Grandes Jorasses. Partecipa a questa sorta di corsa che non gli riesce per cause a lui estranee, ma intasca comunque la prima ripetizione dello Sperone Croz inseguendo la cordata degli apritori, i tedeschi Meier e Peters. Sua è anche la prima ripetizione dell’interminabile cresta sud dell’Aiguille Noire. Nel 1938 è la volta di un’altra prima importante, sulla nord ovest del Pic Gugliermina, insieme ad un altro grande scalatore, Gabriele Boccalatte. Oltre a queste pietre miliari, di lui rimangono un sacco di altre prime salite un po’ ovunque, anche nelle Alpi Centrali; alcune sue vie sono diventate delle classiche come lo spigolo sud della punta Allievi, altre meno ripetute come lo spigolo est-nord-est della cima di val Bona o quella sulla Torre Re Alberto, ma tutte hanno tramandato agli arrampicatori di oggi il suo stile elegante e l’audacia di una scalata by fear means (con mezzi leali). G iusto Gervasutti muore il 16 settembre del 1946 durante una ascensione, ma non cadendo su un passaggio estremo. Un destino beffardo chiude il suo capitolo terreno mentre sta cercando di aprire una via su un bel pilastro di granito del Mont Blanc du Tacul. Il maltempo lo costringe alla ritirata in doppia, una corda si impiglia e Giusto risale per liberarla: proprio quell’operazione così banale, ma anche pericolosa, segna il capolinea della sua esistenza. Da allora quell’obelisco vagamente rosso porterà il nome del Fortissimo. “Lo stato di grazia è un'utopia inafferrabile; è una fata morgana che si fa inseguire per anni e anni, finché, con la giovinezza, scompare senza darci l'addio." Di particolare rilievo la sua attività esplorativa nel massiccio degli Ecrins nel Delfinato: nel 1934 con Lucien Devies sale la nord ovest del Pic d’Olan e l’anno successivo l’inviolata cresta sud del Pic Gaspard, ma è nel 1936 che gli riesce la più straordinaria delle imprese, con la prima ascensione della parete nord ovest dell’Ailefroide, una grandiosa muraglia di roccia e ghiaccio ripida e repulsiva. È proprio in questa scalata che la sorte lo mette alla prova: mentre sta cercando nel buio il percorso migliore per attaccare, viene colpito da un grosso sasso che lo scaraventa nella morena. Il bilancio dell’incidente Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Giusto Gervasutti (1909-1946) 71 Alpinismo Pizzo Matto via dei Matt Beno Il pizzo Matto (versante N) dalla capanna Dosdé. La via dei Matt corre sulla cresta di dx e qui se ne vede l'ultimo tratto 2011, foto Beno - www.clickalps.com). 72 (9 agosto Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Pizzo Matto (m 2993) 73 Alpinismo Val Grosina I l pizzo Matto è la vetta rocciosa a NO del passo di Vermolera. Il punto culminante è all'incrocio delle tre creste che formano l'ossatura del monte. Sulla cresta O, in particolare, corre la via dei Matt, bel tracciato aperto l’11 luglio 1971 da Bruno Gilardi e Duilio Strambini. L e rocce della cresta sono solide solo a tratti. Le difficoltà si concentrano all'attacco (passo di IV+) e all'uscita (fessura di IV). Nella prima parte della salita il percorso non è mai obbligato e ognuno può inventarsi una propria linea. La straordinaria bellezza dell'ambiente naturale e l'isolamento garantito rendono questa gita molto consigliabile. Dalla baita del pian del Lago: l'anticima di quota m 2796, oltre cui lo sperone della cresta occidentale del pizzo Matto precipita al pian Sertif (9 luglio 2011, foto Beno). Il primo tiro della via (9 luglio 2011, foto Beno). La quota 2796 e la vetta del pizzo Matto viste da S dal laghetto di quota 2500 (9 luglio 2011, foto Beno). La mappa schematica è a pag. 10. Bellezza Fatica Pericolosità Partenza: Malghera (m 1936). Itinerario automobilistico: dalla chiesa parrocchiale di San Giuseppe all'ingresso di Grosio si entra nel paese e lo si attraversa fino a trovare e seguire le indicazioni sulla sx per la val Grosina. La via asfaltata prende quota verso Ravoledo offrendo ampia visuale su Grosio. Dopo vari tornanti, si taglia a mezza costa fino a Fusino, dove si prende la deviazione per Malghera (sx). Attrraversato il Roasco appena sotto la diga (ponte, m 1163) , la strada asfaltata penetra in val Grosina Occidentale e avvicina vari nuclei che presentano tutt'ora le originali caratteristiche costruttive (Presacce, Ortesei, Sacco). Un bretella pianeggiante sterrata anticipa il guado sul torrente che scende dalla val Pedruna. Al ponte seguono dei ripidi tornanti asfaltati con bella vista sull'imponente cascata del Roasco Occidentale. Oltre le baite di Pirla si è nella conca di Malghera e in breve a Malghera (m 1936, 18 km da Grosio). Si può lasciare l'auto nel parcheggio che precede la chiesa 9 luglio 2011 itrovo a Grosio all'alba con la guida alpina grosina Giuliano Bordoni e suo cugino Cristian. Obbiettivo ripercorrere una delle vie R Bizzarro roccione appoggiato sulle placche dell'ultimo tratto della cresta 74del pizzo Le Montagne Divertenti occidentale Matto (9 luglio 2011, foto Beno). In discesa nel primo tratto della via normale al pizzo Matto (cresta SSE) 2011 dopo una nevicata autunnale (26 settembre 2010, fotoAutunno Beno). Le Montagne Divertenti della Madonna del Muschio (m 1960). Itinerario sintetico: Malghera (chiesa - m 1960) - Casera di Sacco - Mandre Vecchie (m 2063) - pian del Lago (m 2316) - pian Sertif (laghetti - m 2360) - pizzo Matto per la cresta O (m 2993) - discesa per la normale (cresta S) - passo di Vermolera (m 2782) pian del Lago (m 2316) - Mandre Vecchie -Malghera (chiesa - m 1960). Tempo di percorrenza previsto: 8 ore per l’intero giro. Attrezzatura richiesta: casco, imbraco, cordini, qualche friend o dado, corda (30 m). Difficoltà: 4 su 6. Dislivello in salita: 1050 metri ca. Dettagli: PD+ la salita per la cresta O (passi di IV), F la normale (I-II), EE sia l'avvicinamento che la discesa dal passo. mappe: Kompass n. 96, Bormio-Livigno, 1:50000. aperte da Duilio Strambini e a cui lo stesso Duilio era particolarmente affezionato: la via dei Matt al pizzo Matto. La faremo con gli scarponi così come è stata aperta. Siamo una bella compagnia di cinque sciamannati che, mezzi addormentati, lasciano le auto a Malghera (m 1936), nel parcheggio del ristoro vicino alla chiesa della Madonna del Pizzo Matto (m 2993) 75 Alpinismo M pian Sertif, oltre cui la cresta spiana. Per rottami raggiungiamo la successiva e conclusiva impennata della dorsale, la parte più interessante della via. Un enorme gendarme di roccia rossa segna la ripresa dell'arrampicata. Anche in questo tratto l'ingresso è la cosa più ostica: un diedro sulla dx (III+) a cui seguono placche di roccia a tratti anche buona. Vi sono alcune piodesse curiose, scure e liscissime, quasi degli specchi. Pure in questo settore non vi è una linea obbligata, per cui non siamo sicuri che la nostra via coincida con l'originale, anzi le relazioni dicono che l'attacco dell'ultimo settore stava a sx e aveva un passo di IV. Smettiamo così di badare ai testi e ci dedichiamo alla vista che presto diviene dominante sull'intera valle e sulle cime dentellate che la racchiudono. A pochi metri dalla vetta vi è, in direzione del dosso Sabbione, anche un pulpito panoramico che sporge in bilico dalla cresta. Vi saliamo a far qualche foto stupida, poi, velocemente, raggiungiamo la vetta per pranzo (pizzo Matto, m 2993, ore 1:30). Rannicchiati vicino all'ometto contempliamo l'isolamento dei luoghi e cerchiamo di arrangiare le pietre per ricavarne dei giacigli. Simone mi fa notare che Alex, che nemmeno si è impegnato a farsi il letto, dorme pacifico con uno spuntone conficcato nella schiena. Sfogliando il libro di vetta abbiamo un tuffo al cuore. Troviamo proprio la firma di Duilio, salito quassù il 2 settembre 1977 per questa stessa via. Accanto a noi vi è un cordino marcio che segna l'uscita della via Toni, un bel tracciato su rocce solide (come ci conferma Cristian che l'ha salita qualche anno fa) e con difficoltà fino al VI. La via, che supera la parete E del pizzo Matto, è stata dedicata ad Antonio Strambini, forte alpinista grosino caduto sulle cime di Redasco. uando Alex si sveglia, dicendo tra l'altro di non aver mai trovato posto più comodo per dormire, inizia la discesa per la cresta SSE, la via normale. Dopo le prime roccette ripide e a tratti un po' esposte (II), la cresta spiana. Qui smontiamo a dx (O) dove, oltre un ripiano di ghiaia (ometti) traversiamo parecchi metri sotto lo spartiacque in direzione S. Aiutati da alcune cenge aggiriamo le due terrificanti anticime S della montagna e, tornati sulla dorsale, dopo una rampa di detriti mobili, siamo al passo di Vermolera (m 2782, ore 0:30), valico che mette in comunicazione la valle di Avedo con quella di Sacco. Si sentono delle voci: alcuni geologi francesi stanno facendo man bassa dei sassi. Chissà se c'è qualcosa di prezioso in queste gande infami. Dal valico, per traccia (O), scendiamo con diagonale verso sx (SO - si passa sotto la barra rocciosa che protegge il passo), per poi piegare a dx sui rottami che ci portano al ripiano dove giace un bel laghetto azzurro (m 2500 circa). Pausa per bagnetto rinfrescante nelle gelide acque al cospetto del versante meridionale del pizzo Matto, poi, tenedoci nella parte sx della valle (segnavia), siamo al pian del Lago e, velocemente, alla baita in legno già incontrata all'andata. Assetatissimi ci lasciamo trascinare dalla forza di gravità fino al rifugio di Malghera (m 1936, ore 2), dove, tra orde di bimbi vivaci, beviamo l' agognata birra di fine giornata e Giuliano, Simone e Cristian ricordano quando da ragazzi avevano trascorso quassù con l'oratorio le loro vacanze estive tra passeggiate, giochi, scherzi e punizioni esemplari. Q Dalle prime pagine del libro di vetta del pizzo Matto (2011, foto Beno). Muschio. Ci incamminiamo sulla strada sterrata che, dopo un cancello per le mucche, corre sulla dx idrografica del torrente Roasco fino alla casera di Sacco. Breve discesa (dx) e attraversiamo il Roasco Occidentale su un ponte di cemento. Alla baita di Mandre Vecchie (m 2036) il sentiero inizia a salire a tornanti la sponda erbosa per poi andare incontro all'emissario del lago inferiore del pian dei Laghi. La nostra guida lamenta dolori al costato. C’è chi pensa a uno strappo mentre scalava una parete estrema, chi a una botta per proteggere un cliente da un masso staccatosi dall’alto, ma l’infortunio di Giuliano è seguito a un’impresa ben più ardita: domare un toro meccanico al palio dei coscritti di Grosio! Nello sfondo di pascoli fioriti ai piedi del Sasso Farinaccio corrono le prime ore di questa giornata estiva, tra chiacchere e battute esilaranti che aumentano le sofferenze di Guiliano a cui i dolori rendono un calvario persino le risate. Non siamo proprio buoni amici, ma sadici barzellettieri che feriscono il poverino con gli ultimi ritrovati della goliardia. In alto (NE), tra i pascoli, vediamo una bella baita in legno e, sullo sfondo, i roccioni del pizzo Matto: il massiccio sperone della cresta O va a spegnersi nel pian Sertif. Puntiamo proprio quel punto, che raggiungiamo dopo una traversata verso NE fino al pian Sertif coi suoi laghetti e salendo una faticosa pietraia (attacco via, m 2500 ca, ore 2). essi gli imbrachi e legati in cordata iniziamo la nostra avventura sulle rocce, cercando di seguire le indicazioni che Duilio ha scritto nel suo diario e che Raffaele ci ha inviato. Oggi la montagna è ostile, perché le rocce sono bagnate e coperte di licheni scivolosissimi. Appena a sx del grande canalecamino che incide il contrafforte, dopo un ingresso non banale (IV+), seguiamo, senza via obbligata1, un sistema di placche e cenge (III/III+) che ci fanno raggiungere la quota m 2796 (ore 1:30), chiamata Sasa del 1 - È perciò richiesto buon intuito. 76 Le Montagne Divertenti Cima di Saoseo diedro SSE Beno Giuliano Bordoni nel diedro SSE della cima di Saoseo (9 agosto 2011, foto Beno - www.clickalps.com). Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Cima di Saoseo (m 3263) 77 Cima Viola (m 3374) Alpinismo Dosso Sabbione (2960) Pizzo Matto (2993) Sasso Campana (m 2913) Cima di Saoseo (3263) Pizzo Ricolda (m 2967) Passo di Vermolera (m 2734) Corno di Lago Negro Passo (2927) di Lago Negro (2902) Panorama dal lago inferiore di Tres (9 agosto 2011, foto Beno). La mappa schematica è a pag. 10. Bellezza Partenza: parcheggio sotto Stabine (m 1750 ca). Itinerario automobilistico: dalla chiesa parrocchiale di San Giuseppe all'ingresso di Grosio si entra nel paese e lo si attraversa fino a trovare e Fatica seguire le indicazioni sulla sx per la val Grosina. La via asfaltata prende quota verso Ravoledo offrendo ampia visuale su Grosio. Vari tornanti precedono il taglio a mezza costa per Fusino, dove si ignora la deviazione per Malghera e si insiste a N lungo la Pericolosità val Grosina Orientale. Traversato il Roasco, sulla dx idrografica, dopo alcuni ripidi tornanti, a poche centinaia di metri dal suggestivo abitato di Eita, una stretta carrozzabile si diparte sulla sx e prende quota nel bosco con alcuni tornanti. Segue un taglio a mezza costa, alto sopra l'alpe Avedo. Poco prima del guado sul rigagnolo che scende dalla sella tra la cima di Lago Spalmo Orientale e il Sasso di Conca, vi è un parcheggio sulla sx dove si consiglia di lasciare l'auto (m 1750 ca). Itinerario sintetico: parcheggio prima di Stabine (m 1750 ca) - Stabine (m 1821) - case di Vermolera - Tres (m 2194) - lago Negro (m 2560) - cima di Saoseo per il dietro SSE (m 3263) - capanna Dosdé (m 2824) - lago Negro - parcheggio sotto Stabine (m 1750 ca). Tempo di percorrenza previsto: 11 ore per l’intero giro. Attrezzatura richiesta: scarponi, casco, imbraco, cordini, friend, corda (50 m), utili piccozza e ramponi ad inizio stagione. Difficoltà: 5- su 6. Dislivello in salita: 1500 metri circa. Dettagli: AD il diedro SSE (III-IV+), F la normale (un breve passo di II), Il tracciato lungo la parete SSE della cima di Saoseo (9 agosto 2011, foto Beno). 78 Le Montagne Divertenti EE il resto della gita. mappe: Kompass n. 96, Bormio-Livigno, 1:50000. Autunno 2011 I l 15 settembre 1974 Duilio Strambini con Luigi Zen, Beppe Galasso e Donato Erba aprì un'elegante via sulla parete SSE della cima di Saoseo (m 3263) che percorre integralmente il diedro-camino a dx del grande spigolo che divide la parete. Arrampicata divertente, roccia discreta e isolamento garantito accompagnano l'alpinista nella scalata ad una delle più panoramiche cime della val Grosina. 9 agosto 2011 Il cammino inizia che il sole è già alto. Ci alziamo verso O sulla pista che da sterrata diviene cementata e molto ripida. Passiamo vicini alle case di Stabine (m 1821), di fronte alle quali rumoreggiano le cascate del Rio d'Avedo. Guadato un ruscelletto, un ultimo sforzo ci porta nella strozzatura che fa da sipario al pianoro su cui sorgono le minuscole e graziose case di Vermolera (m 1900 ca). Accanto ad un carro agricolo c'è una coppia di anziani circondata da galline e tacchini che accudisce premurosamente due agnelli. La signora si lamenta con noi delle troppe pioggie di quest'estate e del freddo patito ieri sera. Attraversiamo il Rio d'Avedo sul ponte di cemento a O del pianoro e Le Montagne Divertenti costeggiamo per sentiero il torrente sulla dx idrografica. La valle si fa cupa e incassata. Oltrepassato un torrentello e zigzagato sui fianchi di un dosso erboso ci riavviciniamo al Rio d'Avedo in corrispondenza di un'altra gola. Questa volta però, al di là della strettoia il paesaggio si apre grandioso sul lago di Tres e sulla corona di vette che cinge la valle. A S vi sono i contrafforti rocciosi del Sasso Campana (m 2913), poi, in senso orario, incontriamo il passo di Vermolera, il pizzo del Matto (m 2993) (proprio sulla parete che vediamo corre la via Toni), il dosso Sabbione (m 2960), il Corno di Lago Negro (m 2027), il pizzo Ricolda (m 2967) e, a NO in fondo alla valle, l'inconfondibile cima di Saoseo (m 3263). Ne si vede la parete SSE, divisa da un grande spigolo deli- mitante la faccia sx del grande diedro che andremo a scalare. A N (dx) incombono le cime di Lago Spalmo, tra cui spicca l'impressionante parete S della cima Viola (m 3374), la vetta più alta della regione. È un'altissima muraglia di roccia rossa solcata da celebri via d'arrampicata. Giuliano, che nel 2006 con Gianluca Maspes e Rossano Libera ha aperto "Viola bacia tutti", ci mostra il cengione biancastro a metà parete dove avevano bivaccato la prima notte. Passata l'alpe Tres (m 2194, ore 1:30) io e Giuliano continuiamo sulla sx orografica per tracce fra magri pascoli appena al di sopra delle gande, Gioia e Giacomo si dirigono a SO verso il passo di Vermolera e ci raggiungeranno fra qualche Cima di Saoseo (m 3263) 79 Alpinismo Val Grosina I primi metri della via (9 agosto 2011, tutte le foto Giuliano Bordoni). Il traverso delicato su roccia friabile per entrare nel diedro (9 agosto 2011). Nel diedro la roccia è bagnata e ghiacciata (9 agosto 2011). Ultimo tiro, ai piedi del grande tetto (9 agosto 2011). ora al lago Negro (vedi gita descritta a pagg. 82 e 83). A m 2500 ca. saliamo il ripido pendio per il dosso di quota m 2571. Ci affacciamo così al lago Negro (m 2560) e ne costeggiamo dall'alto la sponda meridionale. Il paesaggio è quasi lunare, caratterizzato da grandi massi grigi e rossicci. La cima di Saoseo ci scruta fiera a NO. Ci inerpichiamo sui ghiaioni che arrivano ai piedi della parete. L'attacco della via si trova alla base dello spigolone che la divide verticalmente1 (m 2900, ore 2). Messo casco e "patello"2 ci arrampichiamo in diagonale verso dx (II/ III - cenge e camini3) fin sotto ad un grande scudo di roccia rossastra. Giuliano fantastica già sulle nuove vie che potrebbe aprire lassù. Siamo all'altezza della base del diedrone a dx dello spigolo e vi entriamo dopo un delicato traverso a sx (III+, friabile ed esposto) e una cengia obliqua4. I resti di una scatoletta di sardine, di cui purtroppo non leggiamo la scadenza, ci confermano che siamo sulla strada giusta. Vedendomi infilare le protezioni veloci alla bene e meglio, Giuliano - che è ancora convalescente da una frattura al polso5 - mi spiega come perfezionarmi e mi raccomanda di proteggere sempre la sosta con friend appena riparto: una mia caduta in questo modo non graverebbe direttamente sulla sosta. È agosto, ma ci sono i candellotti di ghiaccio sulla via e dove non è gelato è bagnato! un grande tetto. che aggiriamo sulla sx per placche (III/IV). Una rampa di detriti ci fa uscire sui pianori sommitali a pochi metri dalla cima italiana (sx) (cima di Saoseo, m 3263, ore 2:30) e a un centinaio da quella svizzera (dx), poco più bassa7. Pranziamo accanto all'ometto italiano. Scende qualche fiocco di neve. Chiamiamo con la ricetrasmittente Gioia e Giacomo che, a breve, si affacciano dal passo di Lago Negro e ci salutano. Attorno a noi il paesaggio è molto esteso, dalla verde val di Campo coi pittoreschi lago Saoseo, Scispadus e val Viola, ai vicini ghiacciai della val Cantone di Dosdé, alle pietraie delle alte val d'Avedo e di Sacco. Più lontano i gruppi del Bernina (O), del Cevedale (E), dell'Adamello (S) e dello Scalino sono in parte celati dalle nebbie. La discesa è per il versante E (via normale). Dall'"acrocoro", come definisce Renato Armelloni8 l'ampia calotta sommitale, per roccette, neve e ganda scendiamo un primo dossone. Oltre la sella con vista sul malconcio ghiacciaio di val Viola, risaliamo fin quasi alla quota m 3140, per poi contornarla da dx (lato val d'Avedo). Ripreso il filo ci abbassiamo facilmente per rocce e rottami finché vediamo l'accuminata punta quotata m 3056. Lo aggiriamo da dx 7 - Abbiamo contato 6 tiri dall'attacco, di cui 4 nel diedro. 8 - Renato Armelloni, Guida dei monti d'Italia. Alpi retiche, CAI-TCI, San Donato Milanese 1997. per una cengia esposta (un passo di II in discesa), per poi risalire e tornare (sx) sull'ampia dorsale. Giù per ganda seguendo gli ometti di pietra, poi su per ganda a scavalcare il successivo dossone, poi, tanto per cambiare, per ganda raggiungiamo il passo Dosdé (m 2824, ore 1:30), dove si trova la capanna Dosdé, una casetta in muratura, unico punto d'appoggio per le salite nel gruppo. Il sentiero bollato ora scende per scomode pietraie, dapprima con una breve diagonale verso sx, poi portandosi decisamente a dx (O), appena al di sopra di un laghetto (m 2672). Passato un ripiano, una valletta di sfasciumi declina verso il lago Negro (m 2560, ore 0:40), dove ci ricongiungiamo con Gioia e Giacomo. Per la via di salita torniamo ai Tres, incontrando due caprai intenti a mungere una capra che non lascia più allattare il piccolo, rischiando così di prendersi una mastite. Le cornute del branco son tutte di gran qualità, "frise" quasi tutte col pelo bianco e nero lucente. Il proprietario, Tommaso Rinaldi, ci mostra orgoglioso il suo bucc', un esemplare di tre anni così robusto da sembrare un cavallo con le corna! In men che non si dica siamo di ritorno a Vermolera dove la coppia di pastori sta allattando i due agnelli con una tettarella di gomma innestata in un secchiello. Le galline li osservano con invidia. La monotona e ripida gippabile ci riporta sotto Stabine, dove avevamo lasciato l'auto (m 1750 ca., ore 2). Dopo 2 tiri da 50 metri con difficoltà alterne (III/IV)6, facciamo sosta sotto uno strapiombino, il passaggio chiave (5m, IV+, uscita friabile). Lo saliamo con la tecnica per l'arrampicata in camino e, dopo alcuni metri più semplici, siamo ai piedi di 1 - Sullo spigolone corre la via "Duilio" aperta da Luigi Zen, E. Pasquinoli e Toni Strambini il 2 ottobre 1983 e dedicata alla memoria di Duilio Strambini. 2 - Nomignolo dato all'imbraco. 3 - Calcolare 2 tiri. 4 - Piegando a sx prima dello scudo di rocce si sarebbe evitato il traverso pericoloso e si sarebbe probabilmente seguita la via originale. 5 - Era la sua prima pedalata in bici senza rotelle. 6 - Tiri 4 e 5 dall'attacco. 80 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Un pastore allatta un agnello "orfano" a Vermolera (9 agosto 2011, foto Beno). Cima di Saoseo (m 3263) 81 Escursionismo Val Grosina Cima di Saoseo (3263) Cima Viola (m 3374) Pizzo Matto (2993) Passo Dosdé (2824) Passo di Lago Negro (2902) Passo di Vermolera (m 2734) Tres (2194) Pian del Lago Pian Sertif Lago Negro (2560) Escursione attorno al Matto Panoramica dal pizzo Ricolda. In rosso la salita alla cima di Saoseo per il diedro SSE, in giallo la discesa dalla cima di Saoseo al lago Negro, in verde l'escursione descritta in questa scheda. Il passo di Vermolera è indicato anche se non è visibile da questa inquadratura perché nascosto dal crestone SO del pizzo Matto (6 settembre 2009, foto Luca Carloni - www.nikonista.it/brata). Sotto: momenti dell'anello escursionistico (tutte le foto 9 agosto 2011, foto Giacomo Meneghello). La mappa schematica è a pag. 10. Giacomo Meneghello F orse non tutti se la sentono di scalare le vette di Duilio Strambini; allora per chi volesse semplicemente ammirare dal basso sia la cima di Saoseo che il pizzo Matto, consigliamo questa bella passeggiata con partenza e ritorno a Stabine, in val d'Avedo, salendo ai passi di Vermolera e di Lago Negro e attraversando la testata della val di Sacco. Una delle maggiori attrattive della gita sono i laghi che si andranno a visitare, incastonati fra pietraie, praterie e bancate di rocce. 'escursione richiede 8-9 ore e ha in comune col tracciato alla cima di Saoseo la salita fino a Tres e la discesa dal lago Negro, per cui ci limiteremo a descrivere la tratta Tres - passo di Vermolera - passo di lago Negro - lago Negro. I sentieri non sono sempre chiari e in molti tratti si dovrà muoversi con intuito. asciata l'alpe di Tres si costeggia il lago sulla sua L L 82 Le Montagne Divertenti sponda settentronale (dx), quindi1 per traccia non sempre chiara si segue il sentiero bollato che piega a sx salendo a SO tra liste d'erba e pietraie. Raggiunto il bellissimo lago Venere (m 2408), incastonato fra i gradoni rocciosi del sasso Campana, oltre il pianoro detritico che ne segue, si imbocca un ripido canale di sfasciumi2. A circa m 2600 c'è una strettoia, quindi una rampa di detriti. Si piega a dx (SO) e si esce dal solco per raggiungere la cima del dosso di quota 2700 ca. i attraversa (dx, O) la scomoda conca pietrosa che porta al passo di Vermolera (m 2734, ore 2). 'accesso alla val di Sacco si trova a dx della bancata rocciosa che protegge il passo. La traccia, inizialmente labile, dopo essersi abbassata traversa (S, sx) sopra la scarpata di detrito, per poi raggiungere il pianoro basale. enza via obbligata3, per i pratoni sulla dx orografica, si scende fino alla baita del pian del Lago, posta nei pressi del lago del pian del Lago (m 2316). i si dirige ora a N e si attraversa il pian Sertif per salire infine al lago Scalpellino (m 2480)4. N domina l'appuntito Corno di Lago Negro, mentre alla sua sx c'è il pizzo Ricolda. Il passo di Lago Negro è alla sinistra di quest'ultimo e lo si raggiunge dopo aver attraversato vari dossoni verso NO e incontrato vari laghetti. Una ripida valletta di sfaciumi porta infine al valico (passo di Lago Negro, m 2902, ore 3). untando il lago Negro si perde quota sugli sfasciumi e ci si ricongiunge alla traccia che dal passo Dosdé scende all'alpe Tres (m 2194, ore 1:40). 1 - Cartello indicatore. 2 - Da qui fino al passo la segnaletica è evidente. 3 - Qualche bollo e ometto di pietra. 4 - Per maggior chiarezza vedere l'immagine a pag. 34. S L S C A Verso il dossone erboso che precede l'alpe Tres. Il lago Venere (m 2408) in alta val d'Avedo. Il traverso nella pietraia che porta al passo di Vermolera. La bella baita al pian del Lago. Sullo sfondo i contrafforti del pizzo Matto. P Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Escursione attorno al Matto 83 L'anello della val Belviso Antonio Stefanini Tendata al lago Nero. Sullo sfondo, il monte Torena (m 2911) si staglia contro il cielo stellato (20 giugno 2011, foto Beno - www.clickalps.com). Orobie Escursionismo L' anello della val Belviso è un'escursione di due giorni piena di attrattive naturalistiche e culturali. La fauna selvatica è varia (aquila, camoscio, marmotta e persino muflone) e la flora altrettanto pregevole (su tutto la Viola di Comolli, endemica della zona alta, oltre a buona parte della vegetazione tipica alpina). Il paesaggio regala grandi vedute sulle Alpi Retiche (in particolare il gruppo del Bernina), Adamello e Orobie (Presolana, Camino, Concarena e i vicini Torena, Tornello, Demignone). Spettacolari i laghi che si visitano, tra i quali spicca il lago Nero alle pendici del monte Torena, con il suo singolare isolotto, ma anche il lago Verde, i laghi Veneròcolo e il lago Belviso, attorno a cui ruota l'intero tracciato. Da ascrivere al coté culturale le evidenze archeologiche: dalle copiose incisioni rupestri ai bordi dell’emissario del lago Nero - tra le più ad alta quota che siano mai state rinvenute -, ai resti pre-industriali rappresentati da alcuni forni fusori in zona Venano-Belviso (dal cui passo sono visibili a SO le rovine della diga del Gleno). Sono ben individuabili pure delle vestigia militari – soprattutto mulattiere – che facevan parte della linea difensiva Cadorna e oggi sono integrate nella rete escursionistica. Bellezza Fatica Pericolosità GIORNO 1 P Il lago Nero, col suo singolare isolotto, era considerato dal Galli-Valerio uno dei più artistici delle Alpi (20 settembre 2010, foto A. Stefanini). Partenza: palazzina Falck (m 1381). Itinerario automobilistico: dall'Aprica prendere in discesa la SS 39 in direzione Tresenda. Al bivio per Liscedo (2 km) virare di quasi 180° a sx e, una volta giunti al ponte di Ganda presso la centrale elettrica omonima (1 km), dopo un tornantino svoltare a sx per la val Belviso. La strada è in terra battuta e risale con pendenza limitata la valle fino a Baite San Paolo e al rifugio Cristina. Qui si fa un po’ più ripida e, con alcuni tornanti, giunge alla palazzina Falck (ca. 7 km), appena prima della quale inizia il sentiero. Parcheggio in loco a lato della carrabile o appena al di là del vicino Ponte Frera, nei pressi dell’area picnic. Itinerario sintetico: Difficoltà/dislivello in salita: 2 su 6 / 1100 m il primo giorno, 3 su 6 / 250 m il secondo. Dettagli: EE. Gita escursionistica di più giorni su sentieri a tratti anche impegnativi (catene). Mappe consigliate: Carta Escursionistica GUIDA AI SENTIERI DI APRICA E DINTORNI, 1:30.000, in vendita unitamente alla Guida nei negozi e alberghi di Aprica e dintorni; Kompass n. 94, Édolo-Aprica, 1:50.000 (poco aggiornata). Numeri utili: rifugio Cristina (337-337997), rifugio Tagliaferri (0346-55355) GIORNO 1: palazzina Falck (m 1381) malga Fraitina (m 1698) Aial di Fior (m 1910) - lago Nero (m 2036) - malga Torena (m 2054) - lago Verde (m 2073) - malga Pila (m 2010) - passo di Venano (m 2328) - rifugio Tagliaferri (m 2320). C inquanta metri prima della palazzina Falck, sulla dx proveniendo dal ponte di Ganda, imbocchiamo la pista sterrata lungo cui corre il sentiero 317. Inizialmente mi par di rimpiangere il vecchio e ripido tracciato che s’immergeva nel bosco, ma presto apprezzo gli ampi tornanti disegnati lungo l'erto pendio dalla recente carrozzabile di servizio delle malghe. La strada è stata certo una ferita nel corpo della montagna, ma si è già ben rimarginata e le scarpate sono tutte erbose e stabili. Pochi minuti di cammino e possiamo apprezzare l’ampio specchio blu GIORNO 2: rifugio Tagliaferri (m 2320) passo del Vò (m 2358) passo del Demignone (m 2485) - passo del Veneròcolo (m 2314) Foppo Alto (m 2191) malga Nembra (m 1807) Ponte Frera (m 1373). Tempo previsto: 5 ore e mezza il primo giorno, 6 ore e mezza il secondo giorno. Attrezzatura richiesta: 1 - Il toponimo potrebbe derivare dalla parola dialettale che indica la ferriera. da escursionismo. 86 Le Montagne Divertenti artiamo lunedì 20 settembre 2010, mattinata splendida e fresca. Il rifugio Tagliaferri, situato a metà del trekking programmato, è aperto. In effetti il Tagliaferri, funzionante circa quattro mesi filati (più i fine-settimana precedenti e successivi, quando possibile) è uno di quegli abri che, garantendo un letto e sostanziosi pasti, favoriscono il prolungamento della stagione escursionistica. Dopo il trasferimento in auto fino alla palazzina Falck (m 1381), di fronte alla diga di Belviso (o Frera)1, si parcheggia agevolmente a lato della strada proprio in corrispondenza del primo segnavia n. 317. Si può anche optare di proseguire in auto oltre ponte Frera (m 1373), dove ci sono diversi posteggi esterni alla grande area picnic del Parco Orobie Valtellinesi, ma il ponte è oltremodo stretto. Autunno 2011 Le Montagne Divertenti del lago artificiale di Belviso gonfio d’acqua2. Ho commesso il solito errore di non fare colazione come si deve, così dopo mezz’ora di salita avverto la fiacchezza. Addento pane e formaggio. Poi una 2 - L'impianto è stato realizzato nei comuni di Teglio e Aprica dalla Falck dal 1953 al 1959. La produzione annua è di 109,5 milioni di kWh (dato 1988). La capacità dell’invaso supera i 50 milioni di m³, forniti dalle laterali val del Lat, val del Camp, Pìsciul e altre minori. La popolazione ittica presente è costituita da trota fario, trota iridea e salmerino. L'anello della val Belviso 87 Orobie Escursionismo Una delle rocce incise presenti a pochi metri dalle rive dell'estuario del lago Nero. Vi sono coppelle, affilatoi e altri segni non meglio decifrabili (20 giugno 2011, foto Beno). Lago Nero, lago Verde (deve il nome al proprio colore) e il grande invaso artificiale del lago Belviso (29 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello) mela, ma ci vuole un po’ perché i nuovi zuccheri facciano effetto. Tom, il mio compagno di viaggio, al contrario, vola leggero verso l’alto. Ma, da nordico, ha già caldo e si mette in maglietta anche se ci sono solo 10°C. Lasciata alle spalle la desolata malga Fraitina (m 1698), con rari segni di pascolo3, raggiungiamo la malga dell’Aial di Fior (m 1910), col suo fontanone e il grande stallone adibito a sala da pranzo. Anche qui ben poche cacche di mucca in giro e pascolo pressoché vergine, sempre a causa dell’infortunio del malgaro. La carrozzabile finisce e il sentiero vira decisamente a sx, proseguendo dolcemente tra radi larici e immettendoci impercettibilmente nel 301 GVO4 in corrispondenza del bivio per malga Pila. Lo trascuriamo momentaneamente e insistiamo tra massi e rivoli d’acqua fino al lago Nero (m 2036, ore 2), che appare improvvisamente a N dietro un cumulo di rocce. L’ambiente, che in primaveraestate somiglia a un giardino per le tante fioriture, è incantevole: i grandi ciuffi di pino mugo si alternano a rocce levigate in un dedalo di lingue erbose. Qualche raro larice dalla chioma giallo ocra si sporge rischiosamente sulle acque blu del lago, specchiandosi accanto alla mole imbiancata del bifido monte Torena (m 2911). Il larice al centro dell’isoletta, al contrario, è da decenni dritto come un fuso e sempre uguale. Il periplo del lago è d’obbligo, sia per le fotografie, sia per cercar di sorprendere qualche camoscio lungo la piana umida dove scorre l’emissario prima di precipitare verso N. La cosa più emozionante è trovare le incisioni rupestri. Sono poco oltre il lago Nero, a qualche decina di metri dalle rive dell'emissario, sui sassoni levigati sia di dx che di sx. Uno dei numerosi guadi che si affrontano nel lungo sentiero pressoché pianeggiante che dall'Aial di Fior porta alla malga Pila (20 settembre 2010, foto Antonio Stefanini). 88 Le Montagne Divertenti 3 - Sebbene il prato sia in fase di progressiva riduzione a vantaggio del bosco, il fabbricato è ristrutturato e frequentato. Nel 2010 il malgaro s’è rotto una gamba pochi giorni dopo la monticazione e ha dovuto tornare a valle con l’intera mandria, e il pascolo così non è stato utilizzato. 4 - Gran Via delle Orobie, il sentiero di 130 km attraverso il parco delle Orobie Valtellinesi che collega Àndalo con Aprica. Autunno 2011 Passo di Venano (2328) Passo di Belviso (2518) Rododendri in fiore sul sentiero per la malga Pila e il passo Venano, valico situato sul confine tra la val Belviso e la val di Scalve, pochi metri sopra il rifugio Tagliaferri, punto d'appoggio per questa escursione (20 giugno 2011, foto Beno). Vi sono coppelle, i noti affilatoi e altri segni indefinibili; alcune composizioni a me ricordano dei fiori o il sole. Poco sopra alcuni ruderi di baite corre la GVO, che in direzione N si biforca poco dopo nel 319 per i laghi Lavazza (m 2131) e della Cima (m 2360), raggiungendo il monte Lavazza (m 2410), meta frequentatissima dagli scialpinisti. Noi prendiamo la direzione opposta (S) e, passando per la grande malga Torena, dove i segni del pascolo sono anche qui minimi, raggiungiamo lo smeraldino lago Verde (m 2073, ore 0:15). Data la stagione piuttosto prodiga di pioggia è bello gonfio e, anzi, c’è pure una pozza antistante, che non avevo mai visto prima. Le piantine di uva ursina, volgarmente detta mirtillo dell’orso, hanno le foglie ormai secche, ma sono ancora colme di minuscoli, dolcissimi frutti. Probabilmente non piacciono alle marmotte della zona, come non piacciamo noi visto che ci fischiano continuamente. ifacciamo il sentiero a ritroso fino al bivio (m 1950 ca.) per R Le Montagne Divertenti la malga di Pila, attraversiamo lo spumeggiante torrentello Fraitina su un ponte di tronchi5 e, dopo un trasferimento pianeggiante, lungo e monotono, arriviamo, seguiti da un'aquila che volteggia sopra le nostre teste, a malga Pila (m 2010, ore 2). Non molto sopra, in prossimità del torrente Belviso, lasciamo la GVO (che prosegue a sx verso malga Demignone) e imbocchiamo a dx il sentiero 315, che ci porta ripidamente al passo Venano6 e, pochi metri sotto, al rifugio Tagliaferri (m 2320, ore 1). Costruito intorno alla metà degli anni ‘80, il rifugio7 è dedicato alla memoria dell’alpinista Nani Tagliaferri, morto tragicamente nel 1981 durante una spedizione sul Pukajirka (Ande peruviane). La strut5 - Il ponte a fine giugno 2011 risultava piuttosto malconcio. Se fosse ancora pericolante si deve optare per attraversare direttamente e con cautela il torrente poco più a valle. 6 - D'ora in avanti diffidate delle indicazioni dei cartelli che probabilmente sono stati piantati a casaccio e con indicazioni talvolta deliranti, come spesso accade lungo i sentieri della nostra provincia. 7 - Di proprietà del CAI Bergamo – sottosezione val di Scalve- e gestito da Francesco Tagliaferri, è dotato di 60 posti letto. È ufficialmente aperto dal 15 giugno al 15 settembre. Telefono: 0346-55355. tura è stata recentemente ampliata e rinnovata per fornire agli escursionisti migliore accoglienza e maggior comfort. Veniamo accolti cordialmente dal premuroso Cesco Tagliaferri. La nebbia si è già sostituita al sole. Se la visibilità fosse buona non bisognerebbe mancare una puntata al passo Belviso (m 2518) o, magari, al pizzo Tornello (m 2687). Per fortuna, la sera il panorama si apre e dal mare di nuvole basse spuntano le cime delle Orobie bergamasche. GIORNO 2 La marcia riprende all'alba lungo il tragitto spettacolare del sentiero n. 4168, tutto appoggiato al versante bergamasco dello spartiacque. Vi sono frequenti tratti con catena di sicurezza, ponticelli sospesi e scalette di ferro che fanno del percorso Venano - Veneròcolo una emozionante camminata tra pareti di roccia e strapiombi, simpatici incontri e grandi panorami (Adamello, Con8 - Tratto del Sentiero Naturalistico Antonio Curò, oltre che Sentiero Italia-Lombardia Sud. L'anello della val Belviso 89 Orobie Escursionismo alle nostre spalle il passo Veneròcolo, ormai molto lontano, e il segno del sentiero fatto, tagliato con regolarità attraverso le pendici del monte Colombaro (m 2686). È un po’ prima di questo punto, dove il sentiero incrocia l’ideale linea tra il primo blu dell’invaso di Belviso a valle e la mole del Telènek a monte (m 2754), che troviamo il bivio per il laghetto di Pisa (m 2446) dato a un'ora, segnavia 333. Il nome è curioso e non ha nulla da spartire con la città della torre pendente. Passo di Belviso (2518) Passo di Venano (2328) Il rifugio Tagliaferri, qui visto dal sentiero passo Venano - passo del Vò, si trova pochi metri a S del passo Venano e non molto distante dal passo Belviso in val di Scalve (21 settembre 2010, foto Antonio Stefanini). carena, Badile Camuno, Tredenus, Camino, Presolana, Guglielmo). La flora è davvero ricca, appariscente specialmente in primavera-estate, con la viola di Comolli (Viola comollia Massara) su tutto, ma anche vistosi doronici (Doronicus sp.), soffici cuscini di silene (Silene acaulis L.), ranuncoli dei ghiacciai (Ranunculus glacialis L.), ecc.. Altrettanto copiosa la fauna, con camoscio, aquila, marmotta, volpe e altri. Dal Tagliaferri saliamo dapprima dolcemente in direzione E verso il passo del Vò (m 2368, ore 0:30), una sella dalla quale è assai arduo scollinare a N verso il sottostante Grasso del Batài e addirittura impossibile a S sulla val di Vò, visto che quest'ultima cade a precipizio. Sovrastati dal monte Demignone (m 2584), da qui assai meno vistoso che da N, con uno strappo più ripido ci portiamo, dopo un tratto molto aereo e attrezzato, verso il passo Demignone (m 2485, ore 0:45), da cui a settentrione si può scendere nella valle Demignone, dov'è la bella malga, mentre a S verso la Bergamasca vi è un precipizio! Dopo aver superato quota 2500, il sentiero piega a sx e prosegue prima 90 Le Montagne Divertenti ondulato, quindi in discesa verso il passo del Veneròcolo9 (m 2314, ore 0:45). È questo un vero e proprio crocevia di sentieri, oggi esclusivamente escursionistici, ma che ebbero in passato importanza per la pastorizia, l’attività mineraria, la difesa militare, il contrabbando. Dal Veneròcolo si diramano ben cinque tracciati: il 332 a N verso la val di Campo; il 301 a NE per la malga di Pisa; il 416 a O (da dove proveniamo) e a E in direzione delle pendici di monte Treconfini (m 2590), malga e passo Sèllero, passo Torsoleto e bivacco Davide; il 413 a S verso la valle Venerocolino. al passo del Veneròcolo scolliniamo verso sx (NE) in direzione Magnolta di Aprica (m 2000 ca.). La lunga camminata è in dolce discesa, con dominio iniziale sulla grande valle di Campo e la sua malga. Qui, in particolare, è evidente che il tracciato ha avuto funzioni militari, correndo per lunghi tratti ampio e sostenuto a valle – ma sovente anche a monte in corrispondenza degli avval- D 9 - Si avvistano in discesa i laghetti azzurri che si trovano nei pressi del passo. lamenti – da perfetti muri in pietra. Ci abbassiamo lentamente verso quota 2200 e tra lo sfasciume roccioso cominciano a comparire frequenti lembi di prato, trapuntati di grossi escrementi bovini. Si odono in lontananza i campanacci della mandria di malga Campo e, a un certo punto, poco sotto il sentiero, compaiono alcune manze al pascolo tra rododendri, pietre e piccole radure. Iniziando a circumnavigare l’ampio Foppo Alto, ecco apparire la prima costruzione: una casetta di caccia dell’Azienda Faunistica Val Belviso-Barbellino. Prima di giungervi, dall’alto precipitano sul sentiero, poche decine di metri davanti a noi, due saettanti camosci che lo attraversano e, passando a fianco della casupola, s’immergono in una valletta per ricomparire sul lato opposto poco dopo, ormai lontani. Ora siamo in cima alla valle di Pisa, coi pochi ruderi delle sue antiche baite e in saliscendi, tra ruscelli e declivi erbosi dove frequenti famiglie di marmotte sembrano giocare con noi a rimpiattino, usciamo dalla grande insenatura del Foppo. Rivediamo Autunno 2011 La mia personale idea è che, pur non facendo onore alla sua bellezza, il nome abbia un’origine un po’ scurrile: lago di piscia (pìsa in dialetto), forse per il fondale brunastro. E la valle omonima potrebbe essere stata chiamata allo stesso modo per il colore ferruginoso delle sue acque. Comunque sia, ci sono circa 300 metri di dislivello e, pur rimanendo teoricamente il tempo per una puntata a quello che è uno dei più belli ed elevati specchi d’acqua orobici, le gambe un po’ provate dicono di no. Sarà per un’altra volta. l nostro sentiero, a malincuore, scende pian piano sempre di più e ce ne accorgiamo anche dalla vegetazione. Fanno la loro comparsa i primi arbusti e poi radi larici. Sotto, però, il lago Belviso si estende in tutta la sua magnificenza turchina e manda spettacolari riflessi argentati. La vista è ancora totalmente aperta sulla valle, le spalle del Torena e un tratto di Valtellina, con sopra il Bernina. Tra il sentiero e l’invaso scivolano ora ampie pietraie di granito, ora boschi di ontano. A un certo punto compare la prima stranita betulla, un po’ malconcia ma viva, e poi cespugli di ontano man mano sempre più fitti. Ormai siamo al di sotto dei 2000 metri e l’interesse alpinistico inevitabilmente scema. all’alta val di Campo in poi non abbiamo più visto o percepito la presenza di animali, se non i soliti escrementi ovini un po’ ovunque. Ma si riodono campanacci e I D Le Montagne Divertenti Lungo l'ardito sentiero che dal passo Venano porta al passo del Venerocolo si trovano tratti esposti e attrezzati con catene (21 settembre 2010, foto Antonio Stefanini). Il lago al passo del Venerocolo e i chiari resti dell'antica e bella mulattiera sorretta da muretti in pietra (21 settembre 2010, foto Antonio Stefanini). capiamo di essere vicini ai pascoli di malga Nembra, che raggiungiamo nel cespuglieto ormai fitto. La cartina segna un sentiero, il 331, che stacca dal 301 a sx. Troviamo il segnavia e abbandoniamo il comodo tracciato precedente, scoprendo nostro malgrado quanto può essere dolorosa la discesa ripida e su terreno sconnesso nel pascolo bucherellato dagli zoccoli dei bovini, dopo ore di cammino. Sotto malga Nembra, raggiunta senza problemi di orientamento, prendiamo erroneamente un sentiero che dalle case di caccia10 va in direzione sbagliata, ma che inizialmente è tanto buono da ingannarci. Infatti 10 - Nel bosco, abbarbicate sugli alberi, si trovano alcune postazioni di legno dei cacciatori. non ha segnavia e dopo 150-200 metri si dissolve nel bosco che precipita ripido nella val Soffia, inaccessibile. Essendoci portati già piuttosto in basso, invece di risalire decidiamo di tentare una manovra di spostamento tutto a dx, ritrovando non senza qualche difficoltà il sentiero segnato (bisognava stare più attenti prima, in corrispondenza delle case di caccia). Il bosco di abeti è fitto, ma il sentiero ora non si perde più e scende a tornanti insaccandoci per bene. Piuttosto defatigante. È una liberazione quando, finalmente, sbuca sul prato pianeggiante dell’area picnic, da dove in pochi minuti torniamo all’auto lasciata nei pressi della palazzina Falck (m 1381, ore 4:30). L'anello della val Belviso 91 Escursionismo Pizzo Alto a picco sopra Chiavenna Gioia Zenoni Dalla vetta del pizzo Alto si gode un magnifico paesaggio sull'intera val Chiavenna. In basso è l'abitato di Chiavenna, sulla sx svetta il pizzo di Prata (18 luglio 2010, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com). 92 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Pizzo Alto (m 2479) 93 Valchiavenna Escursionismo P asseggiando per l’elegante Chiavenna, alla bellezza dei palazzi e all’atmosfera serena si contrappone l’austerità dell’ambiente naturale, con rocce severe che da nord incombono sulla città minacciandola, ma anche proteggendola. Bellezza S Fatica Pericolosità Avero, splendido borgo alpino al centro della valle omonima (18 luglio 2010, foto Roberto Ganassa - 1977 foto archivio Dino Buzzetti). Partenza: Cimaganda (m 915). Itinerario automobilistico: da Chiavenna seguire la SS36 dello Spluga in direzione del passo dello Spluga fino a Cimaganda (9,5 km). C'è un parcheggio sulla sx al temine del paese. E’ possibile raggiungere Cimaganda anche con autobus di linea (per gli orari consultare il sito www.valchiavenna.com). Itinerario sintetico: Cimaganda (m 915) - Zoccane (m 1470) - Avero (m 1678) - passo d’Avero (m 2332) - pizzo Alto (m 2479) . Tempo previsto: 5 ore per la salita. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello in salita: 2 su 6 / 1700 metri circa. Dettagli: sentiero ben segnalato fino al passo d’Avero (E), quindi si prosegue su traccia evidente ma priva di segnaletica fino in vetta (EE). Nell'ultimo tratto occorre un po' di attenzione. Mappe consigliate: Kompass n. 92 Chiavenna - Val Bregaglia, 1:50000. iamo nel cortile di Kim Sommerschield e ci stiamo divertendo a riconoscere le vette immortalate nei suoi acquerelli: Badile, Cengalo, Sciore, pizzo di Prata, Bernina… Quando arriviamo dinnanzi al pizzo Alto, Kim ci prende per mano e ci porta in giardino, fra le rose profumate: volgendo lo sguardo verso l’alto, oltre il tetto di piode, lo riconosciamo in tutta la sua maestosità, apprezzando inoltre il modo incredibile in cui, in un sol colpo d’occhio, paesaggio e opera umana si compenetrano e si fondono. Ogni chiavennasco che si rispetti deve, almeno una volta in vita, togliersi il gusto di ammirare lo spettacolo inverso: la città vista da un pulpito posto 2000 metri più in alto. Chiediamo a Kim, chiavennasco d’adozione, di accompagnarci nella salita: il suo prezioso occhio d’artista, nonchè la sua piacevole parlantina, ci hanno aiutato a percepire suggestioni che altrimenti non avremmo colto, dati i nuvoloni impietosi che più di una volta ci hanno impedito la vista nei punti panoramici di cui è costellato il percorso. asciamo la macchina nel piccolo parcheggio retrostante la piccola cappella di Cimaganda (m 915), sulla sx appena al termine dell'abitato. Speriamo non sia oggetto delle attenzioni dello spietato bombarolo che si aggi- L rava tempo fa per queste valli con la sua miccia letale! Seguiamo la strada per circa 200 metri, poi intraprendiamo il sentiero bollato (bolli bianco-rossi appena rinfrescati) che, sulla dx, si avvia in corrispondenza della briglia del torrente, per svilupparsi dolcemente in un rado bosco di latifoglie. Raggiunta la ganda, opportunamente sistemata per agevolare il transito, zigzaghiamo fino a riguadagnare il terreno morbido e a intraprendere una scoscesa traversata verso S (dx), durante la quale incrociamo alcuni grossi massi a cui è affissa un’immagine devozionale della Madonna (m 1350 ca.). Dopo una breve discesa ecco una bella scalinata di roccia. Raggiungiamo quindi la croce (m 1430, ore 1:40), collocata a picco su Cimaganda nel punto d’accesso alla val d’Avero: fate attenzione a non scivolare sull’erba bagnata, perchè potreste trovarvi in un attimo di nuovo al paese! Sotto di noi, al di là del ponte sul torrente Virasca, il campanile del Santuario di Gallivaggio conserva ancora la sua imponenza, nonostante la prospettiva lo schiacci notevolemente. Sorto sul luogo dell’apparizione della Madonna a due fanciulle, preserva intatte le sue fattezze secentesche nonostante la zona sia stata profondamente segnata da numerose frane. Oltre Lirone e Cimaganda, presso il versante occi- La croce sopra Cimaganda a quota 1430 (18 luglio 2010, foto Ganassa). 94 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti dentale della valle, scorgiamo Vho, un piccolo nucleo di cui non si sospetta l’esistenza transitando per la strada dello Spulga. Alzando lo sguardo, riconosciamo da sx a dx: i paesi di Olmo e San Bernardo, il monte Mater, il Pizzaccio, la cresta delle Camoscere, il Ferrè, il Tambò. Il resto è nebbia! Il sentiero s’addentra sulla dx orografica della val d’Avero, con andamento pianeggiante e alcuni tratti in leggera discesa, attraversando un torrentello e intercettando una magnifica casa in pietra con cantina, fienile e apprestamenti per il fissaggio di funi per teleferica. Si giunge così a un ponte di legno che permette, guadando il fiume, di giungere sul ripido crinale che conduce ad Avero. A quota 1490, sulla dx si apre una radura con grandi strutture in legno assemblate con la tecnica del blockbau su uno zoccolo di pietre a secco: bisogna immaginare che fino a cinquant’anni fa la zona fosse tutta un prato e in questi fienili venisse riposto il frutto del duro lavoro di sfalcio dell’erba sui fianchi scoscesi di questa vallata. Spingendosi fra i fienili di Zocchèi1 si raggiunge il dirupo che li separa dal corso d’acqua principale, ora pressochè asciutto perchè l’acqua viene captata dalla presa ben visibile 1 - Zoccane nella toponomastica italianizzata. La valle e il passo d'Avero (18 luglio 2010, foto Roberto Ganassa). Pizzo Alto (m 2479) 95 Valchiavenna Escursionismo I fienili di Zoccane (2 agosto 2011, foto Beno). sul fondo del vallone. Fatta una pausa in questo luogo da favola, dove fantastichiamo su come sarebbe bello mettere a posto qualche casetta prima che tutto il legno marcisca e non vi sia più traccia delle vecchie attività, proseguiamo per il crinale facendo attenzione a non mettere i piedi fuori dal tracciato: se lo immaginassimo coperto da neve non sarebbe molto diverso dalla cresta del Bernina! Il paesaggio si fa poi meno impervio e la vegetazione si ingentilisce in grandi radure dai bei giochi di luci e ombre. D’improvviso si sbuca sull’enorme pascolo che costeggia il villaggio di Avero (m 1678, ore 1). 'Na vacca e 'n bècc, entrambi neri, si stagliano sul bianco della facciata della chiesa, dandoci il benvenuto. Pare che entrambi non si siano accorti di appartenere a specie diverse. In estate un cospicuo gruppo di persone, organizzate in un consorzio, abita queste graziose cassette, costruite e ristrutturate secondo rigidissimi criteri volti a salvaguardare l’aspetto originario dell’abitato. Percorrendo le viuzze si respira una vitalità rara per un insediamento d’alta quota: uomini dediti a lavoretti di manutenzione, donne affaccendate nella preparazione di golose marmel- 96 Le Montagne Divertenti Gli ultimi metri verso il pizzo Alto (18 luglio 2010, foto Ganassa). late, bimbi che giocano fra le verdure degli orti, animano in modo garbato il tranquillo scorrere del tempo. Notiamo una simpaticissima cuccia per cani, anch’essa col suo piccolo tetto di piattoni. Alcune case del lato meridionale sono state spazzate via da una valanga nell’aprile del 1986, altre sono state danneggiate e mai più messe a posto. Ruderi e casette tenute con grande amore coesistono armoniosamente. Ci abbeveriamo a una fontana in cima al paese, dove ha avvio il sentiero che, attraverso una leggera salita verso il Motto di Bondeno, conduce alla carrozzabile per Gualdera. È grazie ad esso che gli abitanti di Avero hanno la possibilità di trasportare la maggior parte delle scorte di viveri senza far ricorso all’elicottero, impiegato per i carichi più pesanti e ingombranti. L’acqua, invece, non manca di certo ad Avero, che conta alcune sorgenti proprio sotto le fondamenta delle case. Un efficiente impianto idrico permette altresì il deflusso delle acque nere in una fossa biologica comunitaria realizzata in fondo al paese. Le mucche, non più di una quindicina, pascolano in libertà fuori dal recinto di legno che protegge le case dai loro pacifici, ma dannosi assalti. La nostra meta sembra ancora molto lontana a causa dei giochi prospettici, ma in realtà ci restano solo 800 metri di dislivello per raggiungere la vetta che s’intravede in alto a dx. Armati di una buona dose di fiducia, saliamo per sentiero bollato di fresco diritti verso il passo d’Avero; talvolta ci facciamo trarre in inganno da una vecchia scrostata bollatura di un percorso leggermente diverso, ma non è difficile rimettersi in carreggiata dato che la vista non è impedita da nulla. La vegetazione è infatti bassa, prevalentemente costituita da rododendri e piantine di mirtillo che sbucano dalla ganda, talvolta assai fitta. Quando il sentiero inizia a salire con decisione, non vediamo più il passo e lo immaginiamo appena dietro a ognuno dei dossi che scavalchiamo nel nostro percorso. Con l’altezza, la val d’Avero ci appare in tutta la sua vastità: un gentile signore conosciuto nel paese ci ha raccontato che quando lui era ragazzo, circa cinquant’anni fa, tutta la vallata era un pascolo, ad eccezione delle parti più vicine al paese, che venivano sfalciate, per venire incontro al fabbisogno di almeno 120 erbate. Di quelle giovani piante che vediamo noi oggi neanche l’ombra. Dall’alto, il paese si confonde con la ganda in virtù dei tetti di pietra locale serrati l’uno all’altro: dei piccoli pannelli solari, orientati verso valle, non si intuisce nemmeno la presenza. Tutto sembra dunque immacolato. Autunno 2011 Sguardo verso le cime della val Bregaglia dalla cresta del pizzo Alto (18 luglio 2010, foto Roberto Ganassa). Raggiunto il passo d'Avero (m 2332, ore 2:30) non vi sono più esitazioni: davanti a noi si apre la scoscesa valle di Carmezzano, chiusa dai contrafforti del pizzo Sommavalle che è alla nostra sx. Anche Carmezzano, ci dice Kim, è stato recentemente spazzato via da una valanga. Dal passo c’è un sentiero bollato che porta al pizzo Sommavalle e da qui, per cresta, al bivacco Chiara e Walter e quindi al pizzo Stella. Dall’altro lato della val Bregaglia i monti di Villa fanno da spartiacque con la val Codera e proseguono (E) verso i giganti di granito della Bondasca e dell’Albigna. Peccato che delle rapide nebbie salgano a chiuderci lo sguardo e ci costringano a un buono sforzo di immaginazione per ricomporre il resto del paesaggio: là, sul fondo della valle, stanno Piuro, Prosto, palazzo Vertemate, le cascate dell’Acqua Fraggia e tante altre note mete turistiche a cui sappiamo comunque dare un volto. Colti da una profonda ispirazione, ci rilassiamo sdraiati sull’erba - forse troppo: ci svegliamo infatti al suono delle parole di Kim, che, al contrario di noi lazzaroni illetterati, non perde tempo per filosofeggiare, richiamando una poesia di Frost che ben s’addice ai passi e alle riflessioni sui bivi dell’esistenza. Le Montagne Divertenti Due strade divergevano in un bosco giallo e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo a guardarne una fino a che potei. Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella, e aveva forse l’ aspetto migliore, perché era erbosa e meno consumata, sebbene il passaggio le avesse rese quasi simili. Ed entrambe quella mattina erano lì uguali, con foglie che nessun passo aveva annerito. Oh, misi da parte la prima per un altro giorno! Pur sapendo come una strada porti ad un’altra, dubitavo se mai sarei tornato indietro. Lo racconterò con un sospiro da qualche parte tra anni e anni: due strade divergevano in un bosco, e io io presi la meno percorsa, e quello ha fatto tutta la differenza. I l passo costituisce un ottimo punto panoramico e da solo vale la pena della gita, che può essere altresì interrotta a piacimento ovunque lo si desideri. Chi non teme le vertigini, può procedere verso la vetta, intraprendendo la traccia bollata dalle sole cacche delle capre che punta dolcemente verso SO. Si tratta di un tracciato privo di difficoltà, se non in caso di neve (sconsigliato agli escursionisti) o di pioggia (attenzione agli scivoloni che potrebbero farvi ritrovare in un batter d’occhio a consumare i biscottini di Prosto direttamente dal produttore!), ma da affrontare con un occhio di riguardo se si hanno con sé dei bambini o persone particolarmente sensibili alle pendenze. In breve raggiungiamo la sommità erbosa del pizzo Alto (m 2479, ore 0:30), dove ci sdraiamo a sonnecchiare cullati dal vento. Ogni tanto apriamo gli occhi e scorgiamo, in uno squarcio fra le nubi, gli irti fianchi delle montagne circostanti, Chiavenna e i paesi del fondovalle, 2 km verticali sotto di noi. Proviamo a fare ciao ciao a lla moglie di Kim, immaginandola intenta ad annaffiare le rose nel suo giardino cittadino. Di fronte a noi, l’impressionante parete del pizzo Parandone si staglia fra le nebbie e i lembi di prati verdissimi, mentre la voce di Kim ci aiuta ad immaginarci in contemplazione dell’oceano su un cliff d’oltremanica. Basta poco per viaggiare, giusto due (mila) passi sopra casa! stremamente compiaciuti della piacevole giornata, rincasiamo ripercorrendo il sentiero dell’andata, sebbene la tentazione di avventurarci su qualche altra via che ci permetta di compiere un anello sia grande. Siamo però sicuri che ci sarà un’altra occasione: la val d’Avero è infatti troppo ricca di spunti perché non risulti piacevole ripercorrerla ancora, nelle differenti stagioni e con differenti condizioni meteorologiche. E Pizzo Alto (m 2479) 97 Escursionismo Viaggio in val Fabiòlo Nicola Giana 5-6/12-13/19-20/26-27 novembre 2011 5-6/12-13/19-20/26-27 novembre 2011 12-13/19-20 novembre 2011 Albergo Ristorante Miralago Campo Tartano Tel. 0342645052 www.miralago.net - [email protected] Albergo Ristorante La Gran Baita Tartano Tel. 0342645043 - Fax 0342645307 www.albergogranbaita.com Albergo Ristorante Vallunga Via Roma, 12 - Tartano Tel. 0342645010 - 0342645100 www.hotelvallunga.it - [email protected] MENÙ MENÙ MENÙ Tartine di polenta con trota nostrana e caprino Bruschette di polenta con carciofi e scaglie di Bitto stagionato Coscia d'agnello in umido con polenta crupa e formaggio casera Polenta cunscia con salsiccia all'aceto e funghi porcini della valle Crèpes di grano saraceno alle mele renette Acqua Vino rosso casa vinicola Pietro Nera Sassella ALISIO Valtellina Superiore D.O.C.G. Caffè Grappa al larice della casa Pizzette di polenta Gnocchi di polenta gratinati al formaggio Sandwich di polenta con stoccafisso e tartufo nero Polentina alla veneta con ricotta affumicata Spezzatino di cinghiale con polenta gialla Torta di formaggio e patate (frico) con polenta mista Bocconcini di asino con polenta grigliata Semifreddo al limoncello Acqua Vino rosso casa vinicola Pietro Nera Sassella ALISIO Valtellina Superiore D.O.C.G. Caffè Digestivo della casa Cestino di grano saraceno con insalatina di Bitto e bresaola Polenta con salmì di camoscio Polenta taragna con salamino di capra Polenta gialla con funghi porcini trifolati della valle Tagliere di formaggi misti locali Cialda croccante con frutti di bosco e gelato alla vaniglia Acqua Vino rosso casa vinicola Pietro Nera Sassella ALISIO Valtellina Superiore D.O.C.G. Caffè Genepì della casa € 25 € 25 € 25 98 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Autunno a Sostìla(6 novembre 2010, foto Francesco Vaninetti www.clickalps.com). Le Montagne Divertenti Viaggio in val Fabiòlo 99 Orobie Escursionismo Bellezza Fatica Pericolosità - Partenza: Sirta, piazza del Municipio (m 289). Itinerario automobilistico: da Morbegno si prende la SS38 in direzione Sondrio. Dopo 4 km si passa il viadotto sul torrente Tartano e, poco oltre, si segue la deviazione sulla dx con indicazioni per Tartano. Dopo 400 metri sulla dx si ignora la strada che sale a Tartano e si prosegue dritti sulla pedemontana. Sirta è il primo paese. Si esce sulla dx e si raggiunge il parcheggio nei pressi del municipio e della parrocchiale (8 km da Morbegno). Itinerario sintetico: Sirta (m 289) – Bures (m 650) – Sostìla (m 821) – Sopra Arét (m 880) – Il Culmine (m 1301) – Cà (m 1080) – Somvalle (m 1082) – Sponda (m 909) - Bures – Sirta. Tempo previsto: 6 ore per l'intero giro. Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Difficoltà/dislivello 2 su 6 / 1100 m in salita: Dettagli: EE. Mappe consigliate: Kompass n. 92 Letture consigliate: Mario Gianasso, Guida Turistica della Provincia di Sondrio, B.P.S., II ed. 2000: Mario Vannuccini, Guida al Parco Regionale delle Orobie Valtellinesi, Lyasis, Sondrio 2002; Eliana e Nemo Canetta, Il versante orobico. Dalla Val Fabiòlo alla Val Malgina, CDA, Torino 2005; Aurelio e Dario Benetti, Valtellina e Valchiavenna, dimore rurali, Jaca Book, Milano 1984; Natale Perego, Sostìla e la Val Fabiòlo, A.G. Bellavite, Missaglia 2002; Dario Benetti, Dimore rurali medioevali del versante orobico valtellinese, Lito Polaris, Sondrio 2009. 100 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Sirta e la sua chiesa con cupola emisferica, punto di partenza dell'escursione in val Fabiòlo (28 maggio 2006, foto Roberto Moiola). “La val Fabiòlo, che dovrebbe significare valle del piccolo faggio, è una piccola perla della natura racchiusa nelle pieghe della media Valtellina. Piccola in dimensioni – di fatto è una delle minori affluenti della valle dell’Adda – culmina a soli 1070 m in corrispondenza di Campo Tartano”. Così la descrive Mario Vannuccini nella sua ormai introvabile Guida al Parco Regionale delle Orobie Valtellinesi. Effettivamente pare che torrente e valle abbiano preso il nome da una località denominata “faggiolo o piccolo faggio” per la presenza di numerosi faggi piccoli e sgraziati, pieni di nodi. Il termine dialettale Fabgiöl, utilizzato per indicare il suddetto luogo, italianizzato s’è tramutato poi in Fabiòlo. A nche al viaggiatore più frettoloso in transito sulla strada statale non può certamente sfuggire, nei pressi di Ardenno, la vista verso S del compatto nucleo di case della Sirta strette attorno alla smisurata quanto insolita cupola della chiesa parrocchiale dedicata a San Giuseppe. Ma non può neanche lontanamente immaginare quali tesori si nascondono nella profonda gola che appare immediatamente alle sue spalle il cui accesso è infossato tra le rocce strapiombanti della Caurga e i fianchi scoscesi del Crap del Mezzodì, questi ultimi solcati da numerose vallette e nude rocce che sembrano impiantarsi nella piana sottostante. La val Fabiòlo, corta e impervia, dall’accesso semi nascosto e privo di collegamenti stradali, offre al visitatore accorto e scrupoloso luoghi particolarLe Montagne Divertenti mente suggestivi, spazi segnati dal tempo e dalla mano dell’uomo, dai quali trapelano le tracce di quella cultura arcaica che contraddistingue molti insediamenti delle valli orobiche. E grazie all’isolamento, che l’ha resa poco conosciuta agli stessi valtellinesi, ha potuto conservare le sue caratteristiche e tradizioni secolari per lo sfruttamento del territorio, nelle forme e nella disposizione dei villaggi, nell’architettura degli edifici rurali, i quali hanno ancora reminiscenze di origine medioevale. E come in tutti i luoghi inospitali, soggetti a forze sconosciute, maligne e incontrollabili, si sono sviluppate e si conservano tuttora leggende di streghe e magie, tra le quali la più radicata è quella dello zampugnìi, un campanello per le capre che si ode tintinnare anche nella solitudine assoluta1. L’abitato di Sostìla (m 821), disposto a metà della valle, pare appeso al ripido pendio prativo circondato da castagni e alberi da frutto; unico villaggio abitato permanentemente sino al secondo dopoguerra (ad eccezione delle piccole frazioni di Lavisolo, Muta e Arét), ha subito l’abbandono con la costruzione della carrozzabile per Tartano avvenuta negli anni ’60 e ora combatte contro l’incuria e la rinaturalizzazione che inesorabile avanza, sebbene la tenacia degli ultimi irriducibili affezionati a questi luoghi “senza tempo” ne mantenga viva la memoria. Sul lato opposto della valle, invece, gli fa eco la frazione Sponda (m 909), oramai in stato di abbandono e degrado avanzato nonostante la relativa vicinanza all’abitato di Somvalle servito dalla strada provinciale diretta a Tartano. 1 - Natale Perego, Sostìla e la Val Fabiòlo, op. cit., p. 22. Viaggio in val Fabiòlo 101 Orobie Escursionismo in pietra di protezione permette l’affaccio a mo’ di balcone sul paese per ammirare l’enorme cupola della chiesa e l’incombente parete della Caurga, da tempo utilizzata come palestra di roccia. Si riprende fiato, mentre la vista spazia oltre l’Adda sino ad Ardenno e più su sino alle cime della val Màsino. In leggera discesa il sentiero volge a S e s’incunea nella forra scavata dal torrente che scorre più in basso. Il selciato che da Sirta sale in val Fabiòlo (12 luglio 2011, foto Nicola Giana). Bùrés (2 agosto 2011, foto Marino Amonini). Itinerario escursione ha inizio alla Sirta (m 289), frazione principale del Comune di Forcola, partendo dalla chiesa parrocchiale di San Giuseppe, caratterizzata dalle forme classicheggianti e sormontata da una gigantesca cupola alta ben 38 metri, la più ampia della valle. L’interno è semplicemente grandioso e lascia di stucco per la sua spazialità. Di particolare pregio artistico sono il pulpito, gli stalli del coro e il leggìo finemente intagliato. L’edificio sacro, così come il borgo, si svilupparono solo nella seconda metà dell’800 quando in seguito alla bonifica del fondovalle da parte degli austriaci si resero disponibili nuovi terreni coltivabili dando così inizio alla discesa di nuclei famigliari dalle frazioni alte. L’ 102 Le Montagne Divertenti Sul lato destro della latteria sociale s’imbocca “Via alla Sostìla”, l’antica mulattiera che sino agli anni ’60 del secolo scorso costituiva la principale via di comunicazione con tutti gli insediamenti disseminati sulle pendici della val Fabiòlo e della val Tartano. Evitando a sx l’"elegante" colata di cemento che conduce alla briglia selettiva sul torrente, si superano le ultime case di Sirta camminando su fondo ancora ben lastricato e all’ombra di frondosi castagni. Superata la prima cappella devozionale dai dipinti oramai irriconoscibili, con una serie di tornanti si guadagna quota prima di portarsi in direzione della val Fabiòlo. Si raggiunge così un tratto roccioso particolarmente stretto, ove i gradini sono intagliati direttamente nella roccia e un muro Questo tratto di valle, contrassegnato da incombenti pareti rocciose, fragore d’acqua, umidità e scarsità di luce, dà l’impressione di essersi avventurati fuori dal mondo civile, conosciuto e rincuorante. È il tratto più stretto della valle che ci fa comprendere, non a torto, la nascita di tutte quelle storie di spiriti, magie e folletti che hanno popolato la fantasia dei valligiani. Poco dopo, la valle accenna ad aprirsi e la via fiancheggia il torrente, ma, aimé, l’alluvione del 13 luglio 2008 ha provocato ingenti danni travolgendo ponti e tratti dell’antica mulattiera e sconvolgendo pesantemente tutto il letto del torrente. Sono tuttora in corso i lavori di sistemazione idraulica e ci vorrà del tempo affinché si possano rivedere le “ferite” rimarginate. La passerella che, attraversando il torrente, permetteva di salire a Lavisolo non c’è più, ma è stata degnamente sostituita da un ponte a schiena di mulo e parapetti tutto (o quasi) rigorosamente in pietra, in vero stile antico confacente alle caratteristiche dell’antico tracciato e della valle. Tipico intervento che “piace alla gente” e perciò sui costi non si discute. Lasciato sulla sx l’interessante artefatto, subito dopo vi è la seconda cappelletta denominata gisöl d’inem la val (cappella d’inizio valle) in quanto ormai ci si trova oltre la forra. Dedicata a Maria Ausiliatrice, il destino ha voluto che non venisse travolta dai detriti e così continua a svolgere la funzione di segno religioso unitamente a quella di poșa (luogo di sosta). Il percorso continua sul fondovalle, ora non più così angusto e con buona pendenza. Alcuni Autunno 2011 I nuovi ponti della val Fabiòlo (12 luglio 2011, foto Nicola Giana). tratti dell’antico sentiero sono andati distrutti, ma la ricostruzione vi ha già posto rimedio. Chi ha avuto la fortuna, come il sottoscritto, di visitare la valle prima del 2008 conserva tutt’altri ricordi, ma il fascino e i sentimenti che ancora suscitano taluni luoghi è innegabile. “Cammino solo, ma con me è Mario; ascolto il fragore dell’acqua, il cinguettio degli uccelli. Il caldo umido e i tafani mi tormentano. Una coppia di poiane vola alta sopra di noi. Mi giro, guardo verso valle ed è scuro, alzo lo sguardo verso le cime lontane e la luce mi abbaglia. Penso, inutile fare foto, non vengono. Mando a memoria e riprendo il cammino”. Secondo ponte, stesso "capolavoro", un geniale copia e incolla. Lo si attraversa e si prosegue la salita in dx idrografica su tratti alterni di antico sentiero e pezzi rifatti. Nei pressi della località Bures una ruspa è in azione, ma non si capisce a cosa possa ancora servire l’enorme pista che va spianando lungo tutto il letto del torrente. Non c’è due senza tre ed ecco davanti a noi il terzo ponte, identica procedura dei primi due, ma ancora in fase di costruzione. “Mi colpisce la flemma con la quale ci lavorano tre operai serviti da un quarto che con la ruspa si destreggia tra la ricerca delle pietre migliori e la preparazione del calcestruzzo. Attraversiamo passando accanto al bancale del cemento e non posso fare a meno di rilevare che tipo di prodotto usano. Leggo “cemento tipo ...... Giusto”. Non c’è che dire, qui fanno le cose serie!”. Le Montagne Divertenti Verso il Cùlmén (12 luglio 2011, foto Nicola Giana). Di nuovo una santella, la terza, posta in prossimità delle poche e semplici case di Bùres (m 650), disposte in ordine sparso tra il verde dei prati. Utilizzato da tempo come maggengo, in passato svolgeva il ruolo di svincolo e di sosta per chi saliva in val di Tartano oppure a Sostìla. Ancora evidente è la mano di qualcuno che sale a falciare i prati, ma l’incuria e il tempo non hanno risparmiato gli edifici più vulnerabili. Si sale sui prati lasciandosi a dx ul gisöl e tra l’erba (bolli sbiaditi sui massi) si guadagna il sentiero che in cima ai prati prosegue tra i castagni da frutto sino al villaggio di Sostìla (m 821). Tipico esempio di insediamento di valle accentrato, fu abitato permanentemente sino agli anni ’60, quando la chiusura definitiva della scuola diede l’ultimo segnale che la vita collettiva di questo “piccolo mondo” andava spegnendosi. “Il sentiero è sgombero dall’erba, segno che qualcuno ne ha ancora cura. All’ingresso del villaggio scorgo tra l’erba la coda di un serpente, sembra un saettone. Provo a prenderlo, ma son poco deciso e mi scappa, inutilmente cerco di scovarlo tra lo sporco. Riaffiorano i ricordi della prima volta che salii quassù, stimolato dalle lezioni seguite al corso per la valorizzazione dei beni culturali. Tornai altre volte, e tra queste ricordo in particolare quella in compagnia di Bob Davis, un anziano signore proveniente dalla Scozia col quale nacque un’amicizia profonda che continua ancora oggi. Mario mi segue come fosse la mia ombra; salgo, scendo, mostro i particolari architettonici eviden- ziando segni antichi, portali gemini, croci patensi e datazioni sui portali. Ho nello zaino ben due libri, ma mi è tutto chiaro e non serve consultarli. Nonostante tutto, ogni qualvolta ritorno tra questi stretti caseggiati è come se fosse la prima volta e un misto tra passione e nostalgia si impossessa di me. Non c’è fretta, guai ad averne in queste circostanze, e così accettiamo un caffé cortesemente offertoci da una gentile signora che si trova qui da qualche giorno in compagnia della figlia e la nipotina. Ci avverte però che l’acqua non è fresca perché da due giorni la fontana è secca, a Campo non mollano. Nell’attesa ci fa visitare la casa, orgogliosa di averla conservata come in origine, eccezion fatta per il focolare che suo padre spostò in un angolo dotandolo di camino”. Si rasenta l’enorme chiesa, unico edificio interamente ricostruito nel 1913 con grandi sforzi di tutta la comunità e in piano si raggiunge il cimitero. Sul muro di cinta esterno si leggono i nomi degli ultimi defunti qui deposti, peraltro molto longevi. Enormi piante di pero, importanti in passato per questa magra economia di sussistenza, ombreggiano il cammino sino alla contrada Arèt. Uno sguardo a questo complesso svela particolari interessanti: un architrave in pietra datato 1566, ballatoi a cassetta e differenti tipologie di scale in legno, un agrèe (metato) per l’essicazione delle castagne. “Ci fermiamo ad ascoltare Fausto Mottalini che qui ha deciso di trascorrere gli anni della pensione nella casa della nonna che lo ospitò durante l’infanzia. Coltiva l’orto Viaggio in val Fabiòlo 103 Orobie Escursionismo e ha potato i peri nella speranza che tornino a produrre frutti come quelli di una volta”. Lasciata sulla dx la fontana, asciutta pure questa, si sale tra muri a secco all’ombra dei castagni lungo i bordi dei ripidi appezzamenti prativi. Oltrepassate le ultime stalle e la grande baita isolata di Prato, in breve si guadagna la bocchetta del Crap del Mezzodì (m 977), spartiacque dalla quale la vista spazia sulla bassa Valtellina sino al lago e sugli inconfondibili monte Legnone e Culmen di Dazio. A questo punto il sentiero si divide, ma lasciato sulla dx quello che scende all’edicola dedicata alla Madonna sulla strada provinciale per Tartano (m 865 - percorso più breve per raggiungere Arèt e Sostìla), si prende il ripido crinale che tra giovani betulle e rigogliosi faggi conduce in un’ora di cammino a Il Culmine (m 1301, ore 3:15). L’ambiente è cambiato completamente; alle nostre spalle rocce lisciate e montonate, colonizzate da ciuffi di erica e rade betulle, si spingono verso il ventoso Crap di Mezzodì. Questo tratto di sentiero è decisamente più ripido, pur non presentando passaggi esposti, ma essendo poco frequentato è invaso dall’erba alta e la via non sempre è evidente. Prima di giungere alla croce il sentiero spiana e attraversa i resti di un lariceto sopravvissuto a un incendio. A quota 1250 è un bivio; si prende a sx per la croce che domina su Campo Tartano, mentre per godere del panorama a 360 gradi occorre salire i pochi metri restanti che portano al crinale vero e proprio. ornati al bivio precedente, s’imbocca il ripido sentiero che in breve giunge alle contrade Cà e Somvalle (m 1082), quest’ultima dotata di fontana pubblica presso la quale conviene bere e far scorta d’acqua. Frazioni alte del Comune di Forcola, questi due nuclei sono separati dalla sella di Campo che, stando alla tradizione orale, si sarebbe formata in seguito a un’ enorme frana la quale avrebbe deviato il corso del Tartano dal suo antico letto della val Fabiòlo verso Talamona. Da qui passava la lunga processione che da Campo si snodava sino a Sostìla invocando la “Madonna della Neve”, patrona della parrocchiale, a suffragio della siccità quando prati e T 104 Le Montagne Divertenti Sponda (12 luglio 2011, foto Nicola Giana). campi ingiallivano e l’erba seccava in piedi. Dopo la messa, “la processione arrancava, nel ritorno, sempre cantando, sull’ultima parte del pendio, passava la bocchetta, raggiungeva la mulattiera della Val Tartano e si scioglieva nella chiesa di partenza, dopo l’ultimo rito della benedizione”2. Al centro della sella prativa, dalla quale si gode un ottimo panorama sulle cime della val Màsino, si prende il sentiero in mezzo all’erba raggiungendo ul gisöl dul zapel de val (l’ultima delle cinque santelle per chi sale da Sirta), quindi a dx s’imbocca la mulattiera che scende in val Fabiòlo. Ci si abbassa dapprima in modesta pendenza, lasciandosi alle spalle le case di Somvalle, poi con rapidi tornanti si giunge alla briglia sul torrente e lo si attraversa. In questa zona si sono riversati i detriti della frana del 2008 staccatisi dal versante di fronte e scesi lungo la valle sconvolgendola dal suo antico assetto. Allontanandosi dalla pista per i mezzi meccanici e dall’ingente deposito detritico, si scende lo slargo erboso che, prolungandosi dalla sella, continua oltre il greto sino al nucleo di Sponda e risale sul fianco dx della valle. Impossibile restare indifferenti all’immane lavoro di dissodamento che prende forma dal selciato dell’antica mulattiera e continua tra alti muri a secco3 sino alla frazione di Sponda (m 909) unendosi ad essa senza soluzione di continuità. Questo borgo fu abitato stabilmente sino alla prima metà dell’800, successivamente utilizzato come maggengo e ora è quasi completamente abbandonato. Chiare incisioni e particolari architettonici degli edifici al centro della schiera ne testimoniano l’antichità. Il luogo appare desolato e infonde contemporaneamente tristezza e nostalgia. “Al bordo dei prati grossi sorbi sono carichi di frutti e già immagino la loro bellezza autunnale quando le bacche rosse e turgide saranno avvolte dal grigiore delle brume o esaltate dal bianco della prima neve”. Si riprende la discesa lasciando sulla sx l’antica santella (del sec. XVII - affreschi del 1862; sul fondo la Madonna in trono col Bambino tra S. Agostino e S. Giuseppe, sulle pareti laterali S. Pietro a sx e S. Giovanni Battista a dx). La valle torna a chiudersi e l’antica mulattiera che correva in fregio al torrente è stata cancellata e ricostruita in diversi tratti. Dopo alcuni tornanti si tralascia sulla dx il sentiero, oramai impraticabile, per scendere sul terrapieno del nuovo argine sino a una baita isolata e seminascosta. Lasciata a dx la deviazione per Motta e la Cà Rotonda, attraverso un bosco di pini si guadagna il ponte in pietra, anch’esso ricostruito dopo l’alluvione del 1987, per riportarsi sull’altra sponda e scendere in breve a Bùrés e successivamente alla Sirta per lo stesso itinerario fatto all'andata (m 289, ore 2:45). 2 - G. Spini, La Valle del Fabiòlo in Notiziario BPS, n. 21, 1979, p. 53. 3 - Barek nel dialetto di Tartano. a volte tornano L’Homo Salvadego di Arèt Marino Amonini Fausto Mottalini coglie le verdure nel suo orto di Arét (22 luglio 2011, foto Marino Amonini). Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Viaggio in val Fabiòlo 105 Orobie Personaggi U n tempo quelli di Arèt, grumo di case discosto circa 200 metri a occidente di Sostìla, poco se la intendevano con i residenti del più blasonato capoluogo di valle; solo il camposanto, collocato nel punto intermedio tra i due antichi borghi riusciva a mettere tutti d’accordo. Da cinque anni al civico 308 di Arèt vive Fausto Mottalini. O meglio è tornato a viverci perché, come ci racconta, vi sono tre momenti fondamentali della sua vita che lo hanno visto protagonista lassù. Fausto, che oggi ha sessant’anni, ha cominciato a respirare aria, natura, amicizie e affetti ad Arèt durante l’infanzia, accudito da nonna Rosina. Accompagnato dai genitori scendevano da Sondrio ad Ardenno in treno poi, a piedi, attraversavano la piana fino alla Sirta quindi, risalendo la scolpita mulattiera della val Fabiòlo, raggiungevano l’agognata dimora delle sue estati. Nonna Rosina, minuscola e coriacea ninfa dei boschi, si affacciava all’uscio tra sbuffi di fumo che fuoriuscivano dalla caligginosa cucina per accogliere con affetto l’arrivo dei propri cari. Estati godibilissime tra frotte di coetanei, giochi innocenti e rischiose malandrinate, faticosi lavori agricoli e pii momenti di devozione. E tante paure; inoculate da nonni e genitori, parenti e adulti per evitare che gli scalmanati adolescenti si avventurassero in luoghi pericolosi, si esponessero ai tanti rischi che la montagna, il bosco, i torrenti possono riservare a coloro che incautamente non ne sanno misurare le insidie. Gli studi e il lavoro lo hanno in seguito sottratto a quel mondo e con la scomparsa di nonna Rosina si è tirato il catenaccio, temporaneamente, su quell’uscio. l richiamo delle radici e la nostalgia dell’infanzia hanno poi indotto Fausto, sposato con Carmen e diventato padre di Francesca e Fabiola, a tornare ad Arèt per godere e far godere alle bimbe la magia di quei luoghi nel ruolo di padre. Molti aspetti erano nel frattempo mutati, ma resistevano ancora uomini, animali e consuetudini tali da rendere gradevole passare qualche settimana estiva lassù. I 106 Le Montagne Divertenti Fausto Mottalini si rifresca fuori dalla sua casa ad Arét (23 giugno 2007, foto Marino Amonini). Poi il progressivo e inesorabile oblio si è mangiato prati e orti, ha deteriorato e svuotato le case, ma soprattutto ha sbiadito memoria e anima della valle. Tutto travolto dal benessere, dalla frenesia quotidiana del vivere, dagli affanni che la litania del consumismo genera: lavorare, guadagnare, consumare, buttare, non pensare, viaggiare senza né meta né ragione... Fausto, eclettico sirtarol dai tanti talenti, è stato valente fotografo, maratoneta provetto, per oltre 30 anni è stato tecnico di laboratorio radiologico all’Ospedale di Sondrio. Ha viaggiato e si è misurato in tante sfide. Irrequieto e filosofo, capace e scostante, loquace e selvatico, generoso e individualista: non sono giudizi, ma spigoli e faccie della sua poliedrica personalità che si rivelano di volta in volta. Le oltre 25 maratone corse e le innumerevoli gare, a cui ha partecipato senza l’ansia agonistica del podio ma con quella di verificare se stesso e godere dell’ambiente umano e sportivo, ne sono una riprova. Nel suo “salottino” di Arèt dominano i libri, qualche suo clic degli affetti familiare e alcune pose con personaggi noti; Brigitte Nilsen, Fiona May, Alex Schwazer… Allo stesso modo una sfida è stata licenziarsi dall’ASL a meno di due anni dal pensionamento. Il ritorno ad Arèt inizia sei anni fa con un crollo; un vetusto cantone di baita di sua proprietà frana su l’angusto viottolo che s’infila tra le case. È chiamato a liberare il passo, ma al contempo decide di ridare dignità alla diroccata baita scoprendo in perfetta solitudine due sensazioni sorprendenti; lassù si sente in armonia, ha mente e cuore liberi e inoltre, cimentandosi in questa bonifica/ricostruzione, scopre l’ homo faber che c’è in lui. Scava, erige muri, posa travi, coperture, impianto elettrico, cattura le acque piovane1, restituisce dignità e smalto a oggetti e muri che tornano a vivere. Medita, valuta e decide: "Torno a vivere ad Arèt!" La sua terza stagione della vita è lassù, nella piena consapevolezza che quel mondo merita di essere goduto con distacco dallo sbattimento che agita “i normali” adagiati nel comfort e avvolti dallo stress, intossicati dalla politica e persi in internet. Una terza stagione arricchita dal ruolo di nonno; due nipotini che crescono e uno in cantiere lo fanno esultare. Per loro ha comprato una baita, nella posizione più panoramica del borgo, che sta pazientemente trasformando in dimora fatata per i nipotini, quasi a strapparli dall’insidia della nutellatv per liberarli ai garruli giochi della costa sfalciata e del prossimo bosco. 1 - Le acque piovane sono usate per usi domestici e per annaffiare fiori ed orti; per usi di cucina e di igiene Fausto deve andare a riempire qualche damigianetta e tanica alla fontana di Sostìla, unico punto ove arriva una spina di acqua potabile. Autunno 2011 Ha adattato il motto benedettino ora et labora in leggo e pastrugno; una autoironica e modesta definizione per ribadire che riempie le sue giornate con operosi lavoretti alle baite, agli orti, a far legna, andar per funghi e frutti di bosco, scendere a trovare i familiari, ricevere gradite visite e, quando il tempo non fa giudizio, leggere quintali di libri. Ora ha ritrovato nuovi stimoli per la fotografia; abbandonati i vecchi ma infallibili arnesi del mestiere, si è dotato di evoluta macchina digitale e riprende angoli, fiori e volti della nuova val Fabiòlo. Ha in animo mostre fotografiche e altre diavolerie, ben supportato da una figlia grafica e dagli eredi che presto gli rapiranno il tempo per far altro; il nonnismo attivo è quanto di meglio si possa aspirare quando l’anagrafe appesantisce lo zaino. Cultura e modernità, ai m 821 di Arèt, che si saldano con la sobrietà, la semplicità, l’essenzialità del vivere; una scelta per molti paradossale trova nella formula adottata da Fausto piena applicazione. Le scelte del solitario abitante di Arèt connotano questo stile di vita improntato all’essenzialità; dai quattro orti, lavorati senza alcun ausilio meccanico, Fausto ricava verdure, legumi e delicatessen di ogni tipo. Deve difendere tutto dalle incursioni di animali e lesti catasù. Soddisfatte le sue esigenze, regala generosamente a familiari e amici il surplus; legge, sperimenta, produce espandendo esperienze e prodotti. Rivela insospettabili doti di chef cucinando rigorosamente in lavecc' risotti, paste asciutte e minestroni di assoluta eccellenza, coniugando la bontà delle materie prime raccolte tra orto e bosco a quelle di chi, vivendo da solo, sa apprezzare il gusto della vita! Vivere lassù non significa isolamento, estraniamento; sicuramente è rifuggire da schemi, modelli, gabbie lavorative e mentali in cui ci hanno e ci siamo infilati senza capire a quali perdite si è andati incontro e a quale prezzo. Emblematici sono anche i simboli che Fausto ostenta sulla baita in paziente ristrutturazione destinata al soggiorno ad Arèt dei nipotini: bandiera EU, bandiera italiana, bandiera Banca Etica. Le assordanti schifezze della poliLe Montagne Divertenti Uno degli orti di Mottalini, cintato per proteggerlo dagli animali selvatici (15 maggio 2011, foto Marino Amonini). tica non arrivano fino lassù, può essere invece che l’aria fresca della valle porti giù un messaggio pulito. Le calamità del luglio 2008 hanno prodotto gravi danni per l’intero corso della val Fabiòlo e per l’abitato di Sirta nel fondovalle. Ora, con consistenti interventi (alcuni a detta di molti discutibili), si mettono in sicurezza i piedi di frana, si contiene l’impeto delle acque e si ripristinano i punti di viabilità lesionati. Analogamente sono decollati in Sostìla i lavori per la sistemazione di due edifici significativi dal punto di vista storico ed etnografico; azioni atte a “riqualificare” la valle, la sua fruizione, la sua valorizzazione. Da anni l’uso degli abitati e della permanenza in quei pugni di case che vanno da Bures a Sostìla, da Arèt a Prato è afflitto dalla mancanza di acqua potabile, il che sulle Orobie può essere spiegato solo da assurde lotte politiche. Certo non mancano, almeno da ciò che si osserva, risorse e azioni; ma se non si risveglia nei sirtaröi e in quanti in val Fabiòlo hanno beni e interessi un orgoglio vallivo, una capacità di leggere nei richiami del passato possibili opzioni per recuperare serenità e sentimenti genuini, difficilmente Sostìla e la val Fabiòlo ritroveranno il respiro lento e salubre della montagna. Fausto, con il gusto della sfida che lo anima, lo ha fatto, lo ha scelto, ci vive. Sorriderà al sentirsi appellare Homo Salvadego lui che si è scoperto Homo faber; sornionamente si divertirà a foto- grafare qualche viso accigliato dei signorini da happy hour che annaspano su quelle ripide coste. È mansueto, cordiale e generoso, ma come per il suo omonimo di Sacco, vale bene il monito: Ego sonto un homo salvadego per natura, chi me offende ge fo pagura. Cari lettori siete avvisati! Associazione Amici della val Fabiolo C ostituita l’11 marzo 2010, ha finalità di carattere educativo e formativo, di promozione culturale, di recupero delle tradizioni e cultura locale, di tutela ambientale, paesaggistica e architettonica di Sostìla e della val Fabiòlo. Persegue altresì le finalità legate allo sviluppo del territorio locale, della sua valorizzazione e promozione anche all'esterno. L'associazione ha per presidente Francesca Mottalini, vice presidente Aristide Bertolini e segretario Fiorella Bertolini. Il consiglio direttivo ha 13 membri e al momento l’associazione può contare su una settantina di soci. Organizza la festa della Madonna della Neve, la prima domenica di agosto, e la giornata ecologica nel mese di maggio. L’associazione ha molti sogni quali: allestire un museo con vecchie testimonianze ritrovate in Sostila (pagelle, libri, fotografie…), creare percorsi didattici per le scuole, cercare la storia di qualche uomo vissuto e seppellito nel cimitero di Sostìla, raccogliere informazioni sulle tradizioni locali e la frutticultura. Info: [email protected] Quota annuale € 10 Viaggio in val Fabiòlo 107 Orobie Approfondimenti Li pireri Marino Amonini B asta osservare attentamente le piante adiacenti agli abitati di Sostìla e Arèt per cogliere una particolarità davvero sorprendente: una quindicina di peri, alcuni maestosamente antichi altri più baldanzosamente vecchi, disegnano con le case un paesaggio unico. Li pireri, come sono amabilmente chiamati dai rari abitanti che vi salgono, sono un patrimonio verde oggi, lo sono stati ancor di più in passato quando la miseria era tanta e il cibo misurato. È altrettanto sorprendente cogliere come su un versante riscaldato da poco sole e segnato da lunghi inverni, tra i m 800 e 900, possa essersi sviluppato un così ricco frutteto: ancor oggi pere, ciliegie, albicocche, prugne possono regalare saporiti frutti. d Arèt un pero gigantesco vanta una lunga storia e un vigoroso presente. La storia fa parte dell’infanzia di Fausto Mottalini. Proprio lui ci svela: “Quel pero apparteneva alla nonna. Da piccolo ricordo che quando si approssimavano le feste di agosto si provvedeva alla raccolta delle pere. Sul prato scosceso di disponevano, a far barriera, delle fascine di rami quindi si spandeva sotto alla pianta o uno strato di erba tagliata o fieno. Quindi veniva incaricato il ragazzo più "sgaino" e leggero di salire sulla chioma, risalire fino alla cima, sporgersi sui rami più penduli e con una pertica staccare le pere, non ancora mature, per farle cadere in quel letto predisposto per attenuarne l’impatto al suolo. Altri svelti ragazzi le raccoglievano per deporle sul fieno a completare la maturazione. Nonna Rosina poteva raccogliere fino a 5 quintali di saporiti frutti da quel maestoso pero che oggi misura 227 cm di circonferenza e vanta una decina di metri di altezza. Le Montagne Divertenti Marino Amonini D A 108 Sostìla ha sete! Pero secolare ad Arét (22 luglio 2011, foto Marino Amonini). Le pere acciaccate e più minute erano di consumo familiare, le migliori infilate delicatamente nella gerla e, unitamente alla bilancia, portate a spalla a Campo per essere vendute in occasione delle funzioni religiose. Un lusso quella frutta, una preziosa risorsa per la magra economia familiare, e come lei tutte le donne della contrada." i pireri di Sostìla sono ora attenzionate dalla Fondazione Foianini di Studi Superiori e, grazie alla passione, all’impegno e competenza di Renzo Erini, si è realizzato un piccolo ma prezioso frutteto sperimentale. Una quindicina di polloni de li pireri sono stati piantati sul versante in attesa che rinvigoriscano per poi essere innestati con varietà della valle. Renzo considera li pireri alla L stregua dei beni artistici: un patrimonio da proteggere, un patrimonio da salvare. Per ragioni sentimentali, per rispetto dei luoghi e della gente, per l’importanza varietale di queste piante e frutti di montagna. Suggerisce la formazione di un gruppo di volonterosi ed appassionati; una task force di competenze botaniche, di coloro che sono maestri nell’arrampicare, nel potare, nel curare adeguatamente le piante ferite, nel tenerle osservate, nello stabilire insomma una rete di attenzioni. È positivo che la Fondazione Foianini stia sviluppando un progetto per salvaguardare questo straordinario patrimonio, ma sarà altrettanto importante che i proprietari dei siti comprendano il valore storico e ambientale di questi preziosi e antichi peri. Autunno 2011 a alcuni anni è in corso una trattativa tra il Comune di Forcola ed il Comune di Tartano per far si che l’acqua che viene dispersa da una fontana in frazione “Cà” (Comune di Forcola) possa essere raccolta e dirottata per alimentare le necessità degli abitanti delle frazioni della val Fabiòlo, Sostìla in testa. Sete cronica, sete disperata. Una dimora senza l’acqua penalizza chi ci vive, un’intera contrada muore. Uno stillicidio di missive, incontri, qualche cornata non hanno prodotto risultati. Ci si è appellati a un organo superiore quale la Prefettura. Le carte recitano: “Il giorno 14 luglio 2010 si è tenuta presso la Prefettura di Sondrio una riunione presieduta dal Viceprefetto Vicario Dott. Luigi Scipioni, presenti: Sindaco di Tartano Geom. Oscar Barbetta, Sindaco di Forcola Arch. Tiziano Bertolini, Vicesindaco di Forcola Giulio Raschetti, Vicepresidente C.M. Morbegno Italo Riva, Resp. Area Tecnica C.M. Morbegno Arch. Giuseppe Succetti, Perito incaricato C.M. Morbegno Ing. Amos Baggini, per approfondire gli aspetti del contenzioso. L’Ing. Amos Baggini, perito individuato dalla C.M. di Morbegno cui è stato affidato l’incarico di verificare la compatibilità idraulica dell’acquedotto a servizio della frazione Sostìla, ha riassunto brevemente la relazione tecnica da lui redatta sulla base del sopralluogo e delle relazioni tecniche fornite dai Comuni interessati. A suo parere l’utilizzo dell’acquedotto della frazione di Sostìla non può mettere in crisi la rete idrica esistente a servizio del Comune di Tartano ed in particolare della frazione Campo, in quanto indipendente. L’approvvigionamento della fontana in loco esistente, la cui acqua attualmente si riversa nel sistema fognario e quindi viene “sprecata” può essere effettuato attraverso la limitazione del relativo prelievo con la realizzazione di un pulsante a richiesta di erogazione dell’acqua. Le Montagne Divertenti L'unica fontana di Sostila (22 luglio 2011, foto Marino Amonini). L’Ing. Baggini ha evidenziato inoltre che l’utilizzo in tal senso del serbatoio di Sostìla non pregiudica il buon funzionamento dell’acquedotto in quanto idraulicamente sconnesso da quest’ultimo; in tal senso il servizio pubblico di fornitura dell’acqua è garantito. Il Sindaco di Tartano ha manifestato il suo totale disaccordo in merito a quanto rappresentato dal perito, informando i presenti che tutta l’Amministrazione Comunale è contraria alle operazioni suggerite, senza pertanto fornire, nel caso di specie, valide motivazioni. A suo parere l’unica soluzione al problema è unicamente di potenziare l’acquedotto esistente, mostrando un’evidente mancanza di volontà a risolvere il problema nel rispetto delle modalità concordate nella precedente riunione del 5 novembre 2009." Il Viceprefetto si è poi prodigato perché l’ing. Baggini partecipasse al Consiglio Comunale a Tartano per esporre le sue tesi e relazioni. L’ing. Baggini ha così illustrato la relazione alla giunta municipale di Tartano, ma a ciò non è seguito alcun passo avanti nella trattativa. Recentemente altri segnali di fumo sulla delicata questione sono apparsi sulla stampa; “Sostìla, l’ultimatum di Forcola” (La Provincia, 14 maggio 2011), “Acqua a Sostìla, a Tartano scorre la pace” (La Provincia, 23 giugno 2011), “Sostìla resta ancora senza acqua – Stavolta chiameremo un avvocato” (La Provincia ,10 luglio 2011). E pensare che già nel 2006, a rafforzare la strenua difesa delle nostre acque operata dallo IAPS (Intergruppo Acque della Provincia di Sondrio) dalle rapinose ingordigie di vecchi e nuovi produttori di energia idroelettrica si era unito il vivacissimo Comitato di Tarten. E pensare che nel recente referendum sull’abrogazione della privatizzazione della gestione servizi idrici gli 80 dei 177 elettori di Tartano che hanno votato hanno espresso un sonoro SI (92,1%). La popolazione di Tartano è aperta, l’amministrazione è arroccata al niet del suo sindaco. Quale che siano i torti e le ragioni delle amministrazioni, le pretese degli uni e degli altri, pare davvero anacronistico, rozzo e demenziale il risultato di impedire una rifioritura di Sostìla e dintorni. La miopia amministrativa di non cogliere le buone opportunità di cui la val Tartano possa beneficiare, saldando sentieristica, siti etnografici, paesaggi di rara integrità ambientale della valle con il suo versante nord amministrato da Forcola è lampante. Tutti a declamare “per promuovere il territorio occorre far sistema”: eccone un risultato. Sostìla da anni ha sete, ma più che di sorella acqua, di buonsenso. E’ il momento di usarlo. Viaggio in val Fabiòlo 109 Speciali Valtellinesi nel mondo valtellinesi nel mondo Seduti nella piccola cucina piena di fumo del lodge di Phalut, aspettiamo l’ora di cena leggendo le “Montagne Divertenti” portate dall’Italia. Siamo posizionati al centro del locale, mentre alcuni operai fumano e si scaldano dinnanzi al focolare parlando e sghignazzando in una lingua a noi incomprensibile: il nepalese. In un angolo uno scheletrico gattino grigio si bagna le zampe con la lingua e se le strofina sulle orecchie. Dico a Roberto, mio compagno in questa avventura asiatica: “In Valmalenco, quando i gatti si lavano le orecchie è segno che viene a piovere dopo poco!”. Lui sorride e pensa che sia matto, perché sì il cielo è grigio, ma sono ormai quattro giorni che è così e non ha mai scaricato niente. Evidentemente tutti i gatti del mondo sono parenti, perché dopo un quarto d’ora viene giù il finimondo: una grandinata come non ho mai visto, che in mezz’ora ricopre i pascoli circostanti con dieci centimetri di gelide sferette bianche. Nel paese delle meraviglie Luciano Bruseghini Il Toy Train presso Darjeeling (24 aprile 2010, foto Luciano Bruseghini). M a partiamo dal principio. Abbiamo deciso di venire a visitare l’India, o meglio un piccolo pezzettino di questo immenso stato, grande come un terzo dell’Europa, per capire una volta per tutte perché venga definita “incredible” da tutti coloro che vi si recano. Essendo amanti della montagna, stabiliamo come meta una zona che ci permetta di ammirare le vette himalayane. Avevamo scelto il Ladakh, quel magico regno incastonato tra picchi innevati al confine con il Tibet, ma a metà aprile c’era ancora troppa neve, così abbiamo ripiegato sul Darjeeling, una piccola regione nella parte nord orientale del paese tra Nepal e Bhutan, con l’idea di fare un trekking che ci permettesse di ammirare il Khangchendzonga (m 8598), la terza vetta della terra. Il clima in questo periodo dell’anno è ancora secco, quindi siamo al riparo dai monsoni. Ma sarà comunque un viaggio avventuroso, con anche alcuni imprevisti che accetteremo con serena rassegnazione. È notte quando atterriamo a New Delhi; non ci resta che aspettare il mattino, quando potremo imbarcarci sull’aereo per Bagdogra, piccola cittadina che sorge nelle vicinanze della più popolosa Siliguri, punto di partenza per raggiungere il Darjeeling. Il primo impatto è piuttosto sconcertante: avevamo in mente sì una nazione in via di sviluppo, ma già munita di infrastrutture moderne. Per la grande maggioranza della popolazione la realtà è purtroppo ben diversa. Molta gente vive come in Africa, in condizioni estreme di povertà, in un contesto cittadino dominato dal traffico e dalla sporcizia. Lasciati i bagagli in hotel, prendiamo un risciò a pedali, condotto da un uomo pelle e ossa, per recarci alla stazione dei treni a prenotare i biglietti per il Toy Train, il “trenino giocattolo”, patrimonio dell’Unesco, che con un percorso mozzafiato tra ripide colline e piantagioni di tè conduce in sette ore a Darjeeling, capitale dell’omonimo distretto. Purtroppo tutti i posti per il giorno successivo sono già prenotati, perciò dobbiamo accontentarci di una delle numerose jeep che giornalmente collegano le due località. Quando è ora di cena ci rechiamo per la prima volta in un ristorante del posto, per provare la “favolosa” cucina indiana: zuppa di verdura, pesce e agnello al curry, tutto niente male, soprattutto per il prezzo (8€ in due, bevande comprese!). Il mattino seguente partiamo all’alba in direzione delle West Bengala Hills, le “colline” che si annidano tra le altissime vette himalayane e le grandi pianure indiane. Saliamo immersi in una fitta nebbia, che ha il pregio di nasconderci alla vista alcuni vertiginosi passaggi a strapiombo sulle vallate sottostanti. Dopo un’ora e mezzo di viaggio raggiungiamo Cartolina dall'India col Taj Mahal sullo sfondo (30 aprile 2010, foto Roberto Moiola - www.clickalps.com). 110 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 India e Bhutan 111 Speciali Una donna intenta nella raccolta delle foglie di tè (19 aprile 2010, foto Luciano Bruseghini). Un santone induista nell'atto della benedizione della nostra guida Amid (20 aprile 2010, foto Luciano Bruseghini). Un venditore di pesce presso Kurseong (19 aprile 2010, foto Luciano Bruseghini). Kurseong (m 1458), dove decidiamo di aspettare il transito del treno per poterlo fotografare mentre attraversa la cittadina. Dopo una lunga e snervante attesa, scopriamo che la linea è interrotta, a causa di una frana scesa nella notte: nella sfortuna di non aver trovato i biglietti siamo stati anche un po’ fortunati! Girovagando per questa piccola cittadina, scopriamo e fotografiamo alcuni angoli caratteristici, soprattutto il mercato in pieno centro, dove gentilissimi pescivendoli sono ben felici di farsi immortalare. Ripreso il viaggio, a metà pomeriggio giungiamo a Darjeeling (m 2134) e pure qui ci attende una grossa delu- 112 Le Montagne Divertenti sione. Descritta come tranquilla stazione climatica tra le piantagioni da tè, in realtà anche questo è un centro caotico per il traffico e invaso dai rifiuti. In aggiunta a questo, non riusciamo nemmeno a godere della vista sulle vette dell’Himalaya, incappucciate da grosse nuvole cariche di pioggia: quest’anno il monsone è in tremendo anticipo! Guardandoci intorno notiamo che i lineamenti delle persone locali sono differenti rispetto a quelli delle popolazioni incontrate precedentemente. Veniamo informati che la maggior parte di essi sono di origine nepalese, discendenti degli operai giunti qui dal vicino Nepal per costruire la ferrovia che collega la pianura con le colline. Anche la parlata è diversa, e il loro inglese ci risulta molto più comprensibile. Sotto una pioggia battente, facciamo un giro per la città alla ricerca dell’agenzia turistica individuata tramite internet per l’organizzazione del trekking. Anche in questo caso, fortunatamente, la troviamo chiusa, ma rivolgendoci ad un’altra ci troviamo fra le mani un’offerta per lo stesso servizio a soli 110 dollari anziché 300. L’escursione si chiama Singalila Ridge Trek, ha una durata di cinque giorni e una lunghezza di 83 chilometri, e assicura fantastiche vedute dell’Himalaya. Autunno 2011 Sostiamo ancora un giorno per acclimatarci meglio ed essere in forma per il tour. Sfruttiamo questa pausa per visitare le famose piantagioni di tè che circondano la città, sviluppandosi su ripidi crinali. Vediamo le donne che per poche rupie passano l’intera giornata chine sui piccoli arbusti a raccogliere le foglie mature, e assistiamo pure ai processi di lavorazione con cui dalla foglia si ottiene il trinciato che verrà poi esportato in tutto il mondo. La varietà di tè qui coltivata ha un gusto molto particolare, ma una volta che si sia fatta l’abitudine è doloroso tornare a bere il tè a cui siamo tutti abituati. Le Montagne Divertenti Il giorno seguente di buon’ora ci rechiamo con Amid, la nostra guida, al parcheggio delle jeep per recarci a Mana Bhajang, punto di partenza del nostro trekking. Purtroppo per partire dobbiamo attendere che la vettura sia interamente occupata. Nell’attesa assistiamo al passaggio di un santone induista (in lingua locale Bhari) che benedice la nostra guida pronunciando preghiere e disegnandogli un puntino rosso in fronte. Riusciamo a partire solo quando, alle dieci e mezza, la nostra jeep, da sette posti, avrà caricato il tredicesimo passeggero. Verso mezzogiorno siamo a destinazione dopo aver percorso strette stradine su e giù per le vallate. Ci rechiamo all’Office Border nepalese (dogana) per registrare i nostri passaporti. Si aggrega a noi un’altra guida, Buddha Sing, un giovane nepalese. Il primo tratto del nostro trekking è molto ripido; camminiamo immersi nella nebbia, all’interno di un bosco di cipressi e rododendri (che qui raggiungono anche i dieci metri di altezza). Prima meta è il piccolo villaggio di Chytray, nelle cui vicinanze sorge un bellissimo e coloratissimo tempio buddhista. Riprendiamo lungo un tratturo tra boschi e pascoli d’alta quota, dove yak e capre ci guardano incuriositi. Passato il check point India e Bhutan 113 Speciali militare di Meghma, dove ci vengono controllati passaporti e permessi vari, troviamo un coloratissimo Gompa, luogo di preghiera caratterizzato da disegni su roccia e bandiere di preghiera di differenti tonalità. Nel tardo pomeriggio arriviamo a Toumling (m 2650) e ci sistemiamo nel lodge gestito da una famiglia del posto che ci rifocilla con tante prelibatezze, tra cui una birra locale, ottenuta dal grano fermentato. Il mattino successivo ci alziamo alle sei nella speranza di vedere per la prima volta il Khangchendzonga, ma come di consueto la fortuna pare irriderci, perché la montagna si intravede appena attraverso la foschia. Un po’ abbattuti riprendiamo il trekking, passando prima per il villaggio di Garibas (m 2600), e poi per Kalipokhri. Dopo un fugace pranzo attacchiamo l’erta salita che ci condurrà a Sandakphu (m 3636), il punto più elevato di questo trekking. Ci informano che normalmente servono due ore e mezza per raggiungerlo, ma noi, da veri montanari, e senza nemmeno la distrazione della macchina fotografica a causa del brutto tempo, impieghiamo solo un’ora e trenta, con grande stupore delle guide, che devono sudare sette camicie per starci dietro! Qui alla delusione per il brutto tempo si aggiunge il fastidio di dover dormire in una vecchia baracca puzzolente, che emette strani scricchiolii ad ogni folata di vento. Tuttavia alle prime luci dell’alba ci accorgiamo che il vento della notte ha spazzato i banchi di nebbia, cosicché possiamo finalmente ammirare la spettacolarità del paesaggio: di fronte a noi si erge maestoso il Khangchendzonga (m 8598), mentre in lontananza sorge l’imponente Everest (m 8848) attorniato dal Lhotse (m 8501) e dal Makalu (m 8475). Da buoni fotografi, ne approfittiamo per scattare migliaia di immagini. Soddisfatti dalla sessione fotografica, riprendiamo il trekking molto più sereni. Non ci spaventano i diciassette chilometri di cammino previsti per quel giorno. Il sentiero si sviluppa con continui saliscendi in un fantastico bosco di rododendri giganti in piena fioritura, con i petali che variano dal bianco al rosa al rosso fuoco. Alle tre siamo a destinazione: il lodge di Pha- 114 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti In cammino nella nebbia (20 aprile 2010, foto Roberto Moiola). La tanto attesa apparizione del Khangchendzonga (22 aprile 2010, foto Luciano Bruseghini). lut (m 3600), che si erge solitario sul crinale di una collina, costruito appositamente per ospitare i camminatori. È qui che ci ricolleghiamo a quanto detto al principio: un gatto che si strofina le orecchie è segno di pioggia in arrivo! E infatti, neanche un quarto d’ora e le colline intorno al lodge mutano dal verde al bianco della grandine. Dopo una frugale cena a base di riso e patate, in compagnia di una coppia di ragazzi americani e di alcuni giovani indiani che stanno compiendo il nostro stesso trekking, andiamo in branda, sperando che il forte vento non porti via la baracca: la sera precedente aveva divelto una parte del tetto! Oggi è l’ultimo giorno di trekking, e ci attende una lunga camminata, benché prevalentemente in discesa. Pure oggi una fitta foschia ci impedisce di vedere le montagne: che iella! Dopo diversi su e giù, anche molto impegnativi, durante i quali incrociamo persone e animali carichi di ogni mercanzia, dalle assi da costruzioni ai serramenti, raggiungiamo il villaggio di Rammam (m 2530) dove sorge una delle poche scuole della vallata. Gli studenti stanno facendo l’intervallo; le ragazze siedono in disparte, mentre i maschietti disputano una partita di cricket, lo sport nazionale indiano, simile al baseball. Riprendiamo il cammino abbassandoci fino al villaggio di Rimbik (m 2300), dove termina il trekking e dove ritroviamo la civiltà. Qui ci attende la jeep che ci ricondurrà a Darjeeling. È un lungo viaggio, di circa tre ore, lungo strade dal fondo sconnesso intagliate in vertiginose scarpate, e su traballanti ponti di legno e funi. Non ci facciamo mancare una sosta per cambiare una gomma forata. India e Bhutan 115 Speciali Alle otto siamo in hotel sani e salvi, dove finalmente possiamo lavarci e ripercorrere con la mente il trekking appena compiuto, che ci ha consentito di visitare luoghi mirabili e poco frequentati, con una natura incontaminata assai differente da quella cui siamo abituati. Le persone incontrate durante il cammino, specialmente i locali di etnia nepalese, sono state molto gentili e affabili, sempre disponibili ad aiutare i turisti, importante fonte di reddito. Peccato solamente che il tempo non sia stato dalla nostra parte! Ritornati in jeep a Siliguri trascorriamo un pomeriggio in giro per la città alla ricerca di qualche angolo caratteristico. Lungo le rive del fiume Mahananda ci imbattiamo nelle baraccopoli, dove veniamo in contatto con il mondo degli “Intoccabili”. Restiamo stupiti nel constatare con quale dignità queste persone riescano a sopravvivere tra mille difficoltà con poche rupie al giorno. I più felici sono i bambini, soprattutto dopo che abbiamo regalato loro le caramelle che avevamo con noi. Ma le sorprese non sono finite! Ritornati sulla via principale assistiamo a una scena che ha dell’incredibile: un uomo da un ponte cala un secchio nel fiume e raccoglie l’acqua, poi incurante del continuo via vai di gente si spoglia e si lava sul marciapiede. Più avanti, quando siamo ormai vicini al centro città, ci passa accanto una piccola folla che canta e corre, trasportando un cadavere avvolto in un lenzuolo. È proprio “Incredible” India! Con la stessa rapidità con cui la ruota del Lord of Death (il Signore della Morte) decreta il destino dei defunti a seconda di come giri, passiamo dall’“inferno” indiano di Siliguri al “paradiso” del Bhutan, piccolo stato incastonato nel cuore dell’Himalaya. Già l’atterraggio in una valle stretta come la Valtellina, nell’unico aeroporto della nazione, è uno spettacolo. Solamente gli aeri della compagnia nazionale Druck Air possono partire ed atterrare qui, perché occorrono piloti davvero esperti per affrontare le 116 Le Montagne Divertenti Valtellinesi nel mondo Bellezze locali (26 aprile 2010, foto Roberto Moiola). particolarità geografiche e climatiche di questa vallata. Durante il breve soggiorno siamo assistiti da una guida di nome Singay e dall’autista Namgay; il governo del Bhutan infatti controlla e limita il numero dei visitatori presenti nel territorio, e impone loro di affidarsi a guide e ad agenzie turistiche, i cui introiti sono destinati alla costruzione di opere pubbliche. La prima cosa che ci colpisce è lo strano abito indossato dalla maggior parte degli uomini, il gho, una particolare tunica portata con camicia e calzettoni. Anche le donne indossano una specie di kimono, detto kiri. Passiamo la mattinata visitando il monastero (dzong) Rinchen Pung, il più grande di questo distretto, che sorge in posizione strategica sul ripido fianco di una collina, ai cui piedi scorre il fiume Paro Chhu. Gli interni sono arricchiti da spettacolari dipinti a soggetto religioso, fra cui il già citato Lord of Death. Costruito nel Seicento, ospita attualmente duecento monaci. È lo stato a provvedere alle spese di mantenimento della struttura. Dopo un pranzo frugale a base di riso e asparagi selvatici, ci mettiamo in tenuta da trekking per affrontare al meglio la salita che ci condurrà al monumento più famoso di tutto lo stato: il Taktshang Goemba, meglio noto come Tiger’s Nest (Nido della Tigre). Si tratta di uno splendido monastero, eretto su di una vertigiAutunno 2011 Suggestiva immagine del Tiger's Nest, il "Nido della Tigre" (25 aprile 2010, foto L. Bruseghini). nosa parete rocciosa, 900 metri sopra il fondovalle. Deve il suo nome alla leggenda, secondo la quale il Guru Rimpoche (grande maestro buddista con poteri miracolosi) sarebbe volato fin qui aggrappato al dorso di una tigre per sconfiggere il demone maligno della zona. Lasciata l’automobile a 2600 metri di quota, ci incamminiamo, con lo sguardo sempre rivolto verso l’alto, in direzione della nostra meta. Dopo un’ora e mezza arriviamo a un belvedere a 3150 metri e ci appare davanti il monastero che sembra sbucare dalla roccia. Da buoni fotografi diamo sfogo al nostro impulso e clickiamo fino a riempire le schede di memoria. Attraversata una piccola valle arriviamo Le Montagne Divertenti all’ingresso del monastero, dove c’è un posto di blocco presidiato dai militari; siamo obbligati a lasciare qui tutte le nostre cose, comprese – ahimè – le macchine fotografiche. La visita ci conduce all’interno di numerose cappelle decorate con dipinti e lavorazioni lignee dorate, che ammiriamo col sottofondo del salmodiare dei monaci, che dà al luogo un’aria ancor più spirituale. Il giorno seguente partiamo in automobile alla volta di Thimpu, la capitale del Bhutan, distante 55 chilometri. A causa dell’arrivo di molti capi di stato asiatici per la riunione del SAARC (South Asia Association for Regional Cooperation) troviamo lungo il tragitto numerosi poliziotti e militari e alcune strade sono addirittura chiuse al traffico. Questo meeting ci causerà non pochi disguidi! Thimpu è una cittadina di circa centomila abitanti, dall’aspetto ordinato e pulito. Per prima cosa visitiamo il National Institute for Zorig Chusum, una scuola dove i ragazzi imparano le discipline artistiche tradizionali del paese, come la pittura, la scultura, la lavorazione della creta e dei tessuti. Vediamo anche il Folk Heritage Museum, dove è ricostruita la vita di un tempo, che per costumi, ambientazione e tradizioni ci ricorda a tratti la vita dei nostri nonni. Nel pomeriggio vorremmo recarci al Trashi Chhoe Dzong, il monastero più grande e meglio conservato di tutto lo stato, ma a causa dell’incontro internazionale ne è vietato l’accesso ai turisti. E non possiamo neanche rientrare in India in aereo come avevamo fatto all’andata, poiché tutti i voli di rientro sono destinati alle delagazioni internazionali. Siamo costretti pertanto a tornare in India in auto, ma per far questo dobbiamo prima passare dall’ambasciata indiana per far aggiungere al nostro passaporto il permesso di rientro in India via terra e non più per via aerea: quanta burocrazia, quasi come in Italia! Il mattino seguente partiamo in auto alla volta della cittadina di Punakha, situata nella parte centrale del paese. Per raggiungerla saliamo fino al Dochu La Pass a 3140 metri, dove sorge un impressionante monumento funebre costituito da 108 chorten (santelle) in ricordo dei 108 bhutanesi morti negli scontri con gli invasori provenienti dall’Assam. Ridiscesi nella vallata, risaliamo il corso del torrente fino al Punakha Dzong, uno dei monasteri più belli del paese, pari al Tiger’s Nest. La sua particolare posizione, in mezzo alla confluenza di due fiumi, il Mo Chhu e il Pho Chhu, le cui acque di colore differente si uniscono a formare un effetto cromatico particolare, lo rende un luogo magico. Questa sensazione è accentuata dai fantastici alberi di jaracanda in fiore, con i petali viola che spiccano sui muri bianchi. Com’è tipico per i monasteri più importanti, nel Punakha Dzong si incontrano due diverse funzioni, quella religiosa e quella amministrativa: perciò al tempio e alle costruzioni che ospitano i monaci e gli allievi sono annessi vari palazzi con India e Bhutan 117 Speciali uffici del governo. Discendendo la vallata notiamo numerosi campi coltivati e parecchia gente al lavoro. Non si vedono trattori né macchine agricole: ogni fase della produzione agricola costa il sudore e la fatica della gente e, nel migliore dei casi, di qualche animale. Le abitazioni dei contadini sono molto caratteristiche, con le pareti colorate e decorate con disegni di draghi, animali e “falli umani”, con lo scopo di proteggere la casa dai demoni malefici. Sostiamo a Wangdue per visitarne il monastero, anch’esso edificato in posizione strategica, arroccato su di un alto crinale come un’enorme fortezza. Per una maggior sicurezza, i monaci hanno poi piantato degli spinosissimi cactus nelle ripide pareti delle mura esterne, al fine di scoraggiare gli invasori dal dare la scalata all’erta sponda. È terminata la nostra visita del Bhutan, ed è l’ora di tornare in India. Per farlo andiamo a percorrere in jeep la prima strada ad esser stata costruita in Bhutan: correva l’anno 1962, e da allora non pare aver subito grandi modifiche. Lungo il percorso, che si snoda fra boschi e burroni senza nemmeno parapetti, abbiamo modo di vedere numerose dighe e impianti idroelettrici: l’esportazione di energia elettrica ottenuta dall’acqua è la prima fonte di reddito di questo piccolo stato himalayano. Che il Bhutan sia un regno montuoso lo si capisce quando si arriva a Phuentsholing, città di confine, poiché è qui che finiscono le vette e inizia un’immensa pianura, ma è anche qui che finisce un regno fantastico ed inizia la caotica India! È una città davvero singolare. Innanzitutto fa da confine climatico fra le calde pianure indiane e le vallate del Bhutan, che invece giovano della fresca aria di montagna. Ma la cosa più curiosa è che la città è divisa in due da uno steccato: da una parte si chiama Jaigon ed è India, mentre dall’altra si chiama Phuentsholing ed è Bhutan! Solamente una grande porta, in stile bhutanese, mette in comunicazione le due cittadine. E le sorprese non finiscono qui: l’assurdità più grande è che tra un lato e l’altro della porta c’è mezz’ora di fuso orario! Il giorno seguente noleggiamo un taxi che ci conduce a Bagdogra. Per- 118 Le Montagne Divertenti Valtellinesi nel mondo corriamo circa 150 chilometri tra campi coltivati, piantagioni di tè e tratti di foresta vergine. Attraversiamo diversi villaggi, costituiti soprattutto da baracche, dove la gente vive miseramente, e capiamo perché la nostra guida bhutanese fosse tanto restia nell’uscire dal suo paese. Raggiunto l’aeroporto ci imbarchiamo su un volo locale con destinazione New Delhi. Dopo due ore di viaggio tranquillo ci apprestiamo ad atterrare. Dai finestrini vediamo che un enorme temporale sta per investire la città ma non ci preoccupiamo più di tanto. Invece, quando l’aereo sta per toccare terra, delle forti correnti scuotono il velivolo come se fosse di carta, tanto da costringere il pilota a riprendere quota. Ci vogliono ben tre tentativi di atterraggio, tra il panico generale dei passeggeri a bordo, prima che il velivolo riesca a toccare la pista in sicurezza! Anche a New Dehli registriamo l’antinomia fra due mondi opposti, da una parte appunto la nuova Dehli, bella e ordinata, con ampi viali alberati, dall’altra la Old Delhi (città vecchia), un labirinto di stretti vicoli intasati di gente e bancarelle, ed è qui che abbiamo l’albergo! Dopo aver lasciato i bagagli in stanza e aver consumato una cena veloce, ci rechiamo in stazione a comperare i biglietti del treno per Agra, città del Taj Mahal, per il mattino seguente. Ma per una logica a noi sconosciuta, i biglietti sono venduti non in stazione bensì in un affollato ufficio nelle vicinanze, dove peraltro veniamo rimbalzati da uno sportello all’altro o perché non era la fila giusta o perché quand’era finalmente il nostro turno lo sportello doveva chiudere. Finalmente dopo più di un’ora di attese interminabili e cinque sportelli cambiati, riusciamo ad avere il nostro biglietto per il treno delle 5.30 del mattino! Ormai è notte fonda ed abbiamo quasi paura ad attraversare gli stretti vicoli fino all’albergo; circondati da migliaia di persone sconosciute ci facciamo coraggio a vicenda e camminiamo di buon passo. Dopo una breve dormita, alle 4.45 suona la sveglia e molto assonnati ci rechiamo a prendere il treno. La stazione di New Delhi assomiglia per grandezza a quella centrale di Milano, ma differisce da essa per la sporcizia e la quantità di gente che vi transita o vi trascorre la notte. L’India ha la rete ferroviaria più estesa del mondo e i suoi treni sono molto più spaziosi e comodi di quelli italiani, oltre che più puntuali: arriviamo ad Agra alle 8.30, in perfetto orario. Appena fuori stazione un tipo strano ci propone di visitare la città a bordo del suo motorickshaw (un piccolo ape cinquanta trasformato in taxi). All’inizio siamo abbastanza titubanti, soprattutto perché abbiamo letto degli imbroglioni locali che promettono molto e mantengono poco. Però alla fine decidiamo di fidarci e ci accordiamo con l’autista Kekè per la visita cittadina di tutto il giorno al costo di 900 rupie, circa 15 euro. Sfidando temperature di 45 gradi e un traffico terribile, composto da macchine, furgoni, motorini, biciclette e mucche, giungiamo nei pressi del fiume Yamuna, che oltrepassiamo su di un vecchio ponte in ferro. Nelle torbide acque sottostanti convivono mucche, che qui vengono ad abbeverarsi, e un’infinità di persone che vi lavano il bucato, che vanno poi a stendere sulla riva. A movimentare la scena ci sono numerosi bambini e ragazzi, che sguazzano felici in quelle acque, trovandovi refrigerio. Poco dopo arriviamo alla prima tappa: l’Itimad-ud-Daulah, meglio noto come Baby Taj. Si tratta della tomba del primo ministro Mizra Ghiyas Beg, costruita tra il 1622 e il 1628. Fu il primo edificio edificato con marmo e pietre dure, reso spettacolare da alcuni elementi architettonici ripresi direttamente dal Taj Mahal, che andiamo a visitare subito dopo e che non ha bisogno di presentazioni. Purtroppo è venerdì, giorno in cui il monumento è chiuso alle visite e riservato alla preghiera dei fedeli musulmani. Così ci tocca ammirarlo Nelle stesse acque in cui le donne lavano i panni trovano refigerio mucche e bambini (30 aprile 2010, foto Luciano Bruseghini). Autunno 2011 Le Montagne Divertenti e fotografarlo solamente dall’esterno. Ma quando siamo sul retro della struttura, ad attirare la nostra attenzione è il rito della cremazione dei morti di fede induista, effettuato su dei particolari balconi a ridosso del fiume. È un momento toccante, anche per la presenza di numerosi santoni, avvolti nelle loro vesti gialle e arancioni, che impartiscono benedizioni a tutti i presenti. Un fatto che ci ha lasciato a bocca aperta sono i bambini e i ragazzi che giocano felici nell’acqua a due passi dai defunti e dalle ceneri che lì vengono riversate. Nel pomeriggio ci rechiamo a visitare l’Agra Fort, uno dei forti moghul più belli di tutta l’India. È una struttura massiccia, costruita in arenaria rossa lungo la riva del fiume, e trasformato poi in palazzo residenziale. Mentre passeggiamo nei giardini interni facciamo conoscenza con degli uomini Sik, l’etnia indiana che porta il turbante, e facciamo diverse foto insieme per suggellare l’amicizia “culturale” tra Europa e Asia. Le ultime ore in città le passiamo visitando un laboratorio di tappeti, dove molti artigiani lavorano con mani e piedi la lana kashmire su rudimentali telai in legno. Occorrono da uno e tre mesi per completare un tappeto, in base alle difficoltà del disegno. Ripreso il treno alle nove, verso mezzanotte siamo di ritorno nella capitale, ma non ci fermiamo molto, solo il tempo di recuperare i bagagli in hotel e raggiungere l’aeroporto per il volo di rientro in patria. Purtroppo ci sono rimaste solo 100 rupie e non volendo cambiare altri euro, l’unico autista disposto a scarrozzarci è quello alla guida di un altro motorickshaw: niente male percorrere la tangenziale di Delhi a bordo di un piccolo ape stracarico di bagagli, con le auto che ci sorpassano a velocità ultrasonica! Alle cinque del mattino i nostri piedi toccano per l’ultima volta il suolo indiano, e poco più di dieci ore più tardi siamo già a casa nostra. Non sembra vero che in così breve tempo si possa passare dall’India alla tranquilla Valtellina! Motivo in più per voi per farne meta di un vostro viaggio, con l’augurio che la fortuna vi sorrida un po’ più di quanto abbia fatto con noi. India e Bhutan 119 Speciali Alessandra Morgillo CAMOSCIO RE DELLE RUPI 120 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Camoscio (12 novembre 2010, foto Andrea Zampatti). India e Bhutan 121 Rubriche Facilmente riconoscibile dagli altri ungulati presenti sull’arco alpino per le tipiche corna scure a forma di uncino, il camoscio, così come lo stambecco, appartiene alla famiglia dei bovidi e alla sottofamiglia dei caprini, quindi sono entrambi parenti, seppure alla lontana, della capra domestica. svela finalmente la loro vera essenza: come sagome eleganti danzano veloci tra le rocce, sicure in ogni movimento e in perfetta armonia con l’ambiente impervio dell’alta montagna. Disinvolte acrobazie in bilico su vertiginosi precipizi • Sono tra i mammiferi più grandi a trovarsi a proprio agio sulle vette più impervie, grazie a diversi straordinari adattamenti che nel corso dell’evoluzione Una mamma con il suo cucciolo. I piccoli nascono a maggio e sono allattati per circa tre mesi, ma rimangono accanto alla madre per i primi due anni di vita (12 novembre 2010, foto Andrea Zampatti). La fisionomia generale dei camosci, infatti, soprattutto se osservati da lontano, li accomuna alle capre, specialmente mentre brucano indisturbati, spostandosi piano con quell’andatura un po’ pesante che pare persino goffa se il terreno è pianeggiante, a causa delle zampe posteriori più lunghe di quelle anteriori. Ma basta che un soffio d’aria veicoli al loro olfatto eccezionale un odore che sa di pericolo, ancor prima che la vista o l’udito non così portentosi ne abbiano accreditato la fonte, ecco che si danno ad una fuga precipitosa che 122 Le Montagne Divertenti ne hanno plasmato il corpo al fine di renderlo idoneo ad agili spostamenti su pendenze elevate. Zampe muscolose, dai tendini robusti e articolazioni resistenti, per sopportare notevoli tensioni e torsioni, conferiscono un forte slancio per compiere balzi acrobatici che possono raggiungere i due metri in altezza e oltre i sei in lunghezza. Per garantire una presa sicura su pendii instabili le due metà degli zoccoli sono divaricabili fino a novanta gradi e sono unite da una membrana interdigitale che raddoppia la base d’appoggio e permette al camoscio di spostarsi sulla neve senza sprofondare – a ben vedere, delle ciaspole naturali. Le suole plantari hanno la plasticità della gomma, mentre le punte degli zoccoli sono durissime, come gli speroni dei ramponi, cosicché il camoscio è in grado di reggersi persino sulle rocce più scoscese e su pendii ghiacciati. Ma per risalire senza sforzo i versanti, come fanno i camosci con inusitata grazia, non bastano certo muscoli e tendini. Anche gli organi interni si sono specializzati: i polmoni sono particolarmente sviluppati così come il cuore che, grande il doppio di quello dell’uomo, sopporta tranquillamente 200 battiti al minuto; il sangue, inoltre, dispone di più ossigeno di qualsiasi sherpa perché ha il triplo di globuli rossi. Così il camoscio delle Alpi (Rupicapra rupicapra), giunto dall’Europa orientale durante l’ultima glaciazione, ha potuto diffondersi in tutto l’arco alpino, dalle foreste dei versanti medio-montani agli ambienti rupestri, ai piccoli lembi di prateria delle balze rocciose più elevate fino a 2800 metri di quota. Autunno infuocato • È in estate che i camosci raggiungono le altitudini maggiori, frequentando le fertili praterie che si estendono al di sopra del limite della vegetazione arborea; in autunno, invece, l’innevamento li costringe ad abbassarsi di quota per alimentarsi ed è pertanto la stagione in cui è più facile osservarli. In questo periodo il mantello subisce una muta in vista del rigido inverno alpino e diviene più scuro per meglio catturare i raggi del sole; nei maschi adulti diviene più evidente una sorta di criniera che corre lungo la schiena. Non è comunque semplice discernere il maschio dalla femmina in quanto entrambi esibiscono corna che non vengono mai perse, anzi, si accrescono di anno in anno disegnando degli anelli utili a determinare l’età dell’animale. L’autunno è la stagione riproduttiva per i camosci e nei branchi si registra un gran fermento. I maschi, d’indole pacifica e solitaria, divengono irrequieti e aggressivi, e solo da fine ottobre a metà dicembre si uniscono alle femmine che sono solite vivere in gruppo coi piccoli. Autunno 2011 Tra inseguimenti e scontri, i maschi hanno un gran bel da fare per rivendicare il territorio e allontanare i rivali. Con il sopraggiungere dell’inverno tornerà gradualmente la calma: occorrerà risparmiare le energie, in vista di un periodo in cui tutte le risorse disponibili dovranno essere votate alla sopravvivenza. Il camoscio si nutre di diversi vegetali a seconda della loro disponibilità, si colloca nella categoria dei brucatori intermedi e predilige graminacee, ginepri e rododendri, ma nei periodi di stenti è in grado di trarre nutrimento anche da cortecce, radici e licheni. In primavera, tra maggio e giugno, si verificano le nascite, solitamente di un solo piccolo che, già dopo poche ore, è in grado si seguire la madre e correre per sfuggire agli attacchi dei predatori. Il mantello del camoscio è marrone-rossiccio in estate e bruno scuro in inverno. L’altezza alla spalla è in media 80 centimetri e la lunghezza varia intorno ai 120-130 centimetri, il peso dei maschi adulti non supera i 50 kg. I maschi sono del tutto simili alle femmine tranne che per le corna un po’ più lunghe, ma di norma vagano solitari e i branchi misti si formano solo in autunno per la stagione riproduttiva. Se spaventato emette un rauco fischio dalle narici (12 novembre 2010, foto Andrea Zampatti). Il “cugino” sugli Appennini • Il camoscio d’Abruzzo (Rupicapra pyrenaica ornata) è del tutto simile al “cugino” delle Alpi, se non per le corna più lunghe e il manto invernale decorato da bande chiare, ma con esso ha in comune solo il genere (Rupicapra). È presente solo nell’Appennino centrale, ed è una sottospecie esclusivamente italiana, che presenta una storia piuttosto singolare, da cui possiamo trarre insegnamento. All’inizio del secolo scorso una pressione venatoria sconsiderata l’ha portato sull’orlo dell’estinzione, riducendo la sua popolazione a una cinquantina di capi che si erano rifugiati sui dirupi più inaccessibili. Fortunatamente, significativi sforzi per proteggere la specie, quali delicati trasferimenti e reintroduzioni in altre aree appenniniche, hanno consentito di ristabilire la popolazione e scongiurare così, appena in tempo, l’ennesima irrimediabile perdita naturalistica. Curiosità • L’immagine del camoscio ricorre spesso nella simbologia araldica di molte famiglie dell’Italia settentrionale. È spesso presente negli stemmi comunali, quali, per citarne alcuni, quello del comune di Valfurva (testa di camoscio affiancato a una fontana), o del comune di Gerola Alta, in cui è raffigurato un camoscio poggiato su tre monti di colore verde con una stella alpina accanto al capo. Le Montagne Divertenti India e Bhutan 123 Rubriche LA CICALA E Alessandra Morgillo LA FORMICA La Cicala che imprudente tutto estate al sol cantò, provveduta di niente nell'inverno si trovò, senza più un granello e senza una mosca nella credenza. Affamata e piagnolosa va a cercar la Formica e le chiede qualche cosa, qualche cosa in cortesia, per poter fino alla prossima primavera tirar via: promettendo per l'agosto, in coscienza d'animale, interessi e capitale. La Formica che ha il difetto di prestar malvolentieri, le domanda chiaro e netto: - Che hai tu fatto fino a ieri? - Cara amica, a dire il giusto non ho fatto che cantare tutto il tempo. - Brava ho gusto; balla adesso, se ti pare. Legge ad alta voce Carletto, durante la lezione di italiano, i versi di Jean de La Fontaine, che in rima ricalcano la famosa favola di Esopo “La cicala e la formica”. La scuola è iniziata da poco e gli sembra di avere ancora nelle orecchie il musicale frinire delle cicale che ha accompagnato la sua estate. Un giorno è riuscito a vederne una da vicino: com’era rimasto stupito nello scoprire che quel suono assordante proveniva 124 Le Montagne Divertenti da una sorta di mosca, grande all’incirca come un dattero, con buffi occhi sporgenti e ampie ali trasparenti! Di formiche ne ha viste tante, nere, rosse, di varie dimensioni, sempre attive e indaffarate, nonché intente a trasportare semi, briciole e quant’altro sia per loro commestibile all’interno del formicaio. Un esercito ben organizzato quello delle formiche, governato da un collettivo e rigidissimo senso del dovere. Com’è possibile, invece, che le cicale siano così sprovvedute da lasciarsi cogliere impreparate? Non lo sanno che i primi freddi annunciano una sicura morte di stenti per chi non è stato previdente? Mille pensieri affollano la mente di Carletto mentre la maestra spiega che gli animali delle favole vestono vizi e virtù tipicamente umani; in questo caso l’operosa formica rappresenta chi lavora duramente, sacrificando svago e riposo Autunno 2011 pur di garantirsi un futuro, mentre la cicala chi si gode la vita con leggerezza senza preoccuparsi del domani. Ma se la morale della favola si evince con facilità, non è chiaro invece per quale motivo i suoi protagonisti a sei zampe vivano nella realtà vite così opposte. Carletto, una volta a casa, interroga subito il nonno, che sa sempre svelargli tutti i segreti del mondo in miniatura: “Chi ha ragione tra la formica e la cicala?” Le Montagne Divertenti “Entrambe!” risponde il nonno. “Ma le cicale non pensano al futuro...” commenta scettico il nipotino. “Gli insetti non fanno ragionamenti, ma agiscono secondo l’istinto! Vedi Carletto, ogni specie vivente a suo modo è saggia perché segue la propria natura. Le formiche sono insetti sociali e, come sai, vivono in colonie numerosissime, formate anche da centinaia di migliaia di individui. Se non si prodigassero ad accumulare le risorse con ammirevole rigore non potrebbero di certo sopravvivere al lungo inverno.” “Le cicale allora come fanno?” “Questi insetti hanno una vita del tutto particolare. Per loro non c’è autunno e nemmeno inverno, eppure sono tra gli insetti più longevi…” Ma a Carletto pare che nel discorso ci sia qualcosa di strano: “Come fanno ad essere longevi se non campano nemmeno un anno?” Il mondo in miniatura 125 Speciali La cicala comune (Lyristes plebeius) è la più diffusa in Europa, ma al mondo esistono migliaia di specie appartenenti alla famiglia dei Cicadidi. È stata celebrata in epoche diverse da poeti e scrittori. Gli antichi Greci la raffiguravano tra le corde della cetra quale simbolo della musica, perché secondo la mitologia prima le cicale erano degli uomini che in seguito alla nascita delle Muse, affascinati dalla poesia e dalla musica, dimenticavano persino di cibarsi. Allora Apollo, impietosito, li trasformò in insetti dal lungo, ma effimero canto (27 luglio 2011, foto Alessandra Morgillo). La società delle formiche è divisa in gruppi detti caste. A capo di una colonia vi è la regina che provvede per tutta la vita alla deposizione delle uova. Le figlie sono femmine sterili e prendono il nome di operaie, poichè addette al nutrimento e alla costruzione del formicaio. Vi sono poi le formiche soldato, più grosse e dalle mandibole più sviluppate, che provvedono a difendere il formicaio. In determinati periodi dell’anno la regina genera individui fertili, maschi e femmine, dotati di ali. I maschi moriranno dopo l’accoppiamento e le femmine perderanno le ali e fonderanno, da regine, una nuova colonia. Esistono migliaia di specie di formiche al mondo, nessun altro gruppo di insetti sociali possiede altrettanta varietà di modalità di vita, possono essere infatti carnivore, onnivore, frugivore e persino allevatrici di altri insetti. La loro estrema adattabilità si misura con la capacità di colonizzare con successo quasi tutti gli ambienti e influenzare, più o meno indirettamente, l’equilibrio degli ecosistemi (Sondrio - parco Mallero/Adda, 31 luglio 2011, foto Paolo Rossi). “Vivono in media 3-4 anni e alcune specie di Cicadidi raggiungono persino i 17 anni. Però passano la maggior parte della loro esistenza nascoste nel terreno, a pochi centimetri di profondità. Quando divengono adulte, emergono in superficie grazie alle robuste zampe anteriori scavatrici, le quali, avendo assolto ormai la loro funzione, poco dopo si modificano mediante una muta che conferisce alle cicale l’aspetto che conosciamo. A questo punto volano su un albero e si nutrono della sua linfa con quella tipica bocca allungata adatta ad aspirare i liquidi. L’inconfondibile canto è opera dei maschi che possiedono un sofisticato apparato stridulatore, un vero e proprio strumento musicale naturale incorporato. Appositi organi detti timballi, situati ventralmente all'inizio dell'addome, sono formati da piastre protettive, gli opercoli, che proteggono delle cavità al cui interno sono presenti sottili membrane e dei sacchi aerei. Poderosi muscoli si collegano alla membrana e contraendosi producono vibrazioni da cui deriva quel caratteristico suono metallico che viene magistralmente amplificato dall’addome rigonfio d’aria, come fosse una cassa di risonanza”. “Perché cantano tutta l’estate?” domanda il bimbo. “Non per divertimento, ma perché devono farlo. La sopravvivenza della specie sta tutta in quel canto ipnotico. Hanno soltanto qualche settimana a 126 Le Montagne Divertenti CLICK si Testi e foto Roberto Moiola PARTE 1 • Pianificazione del viaggio PARTE 2 • Consigli di fotografia in viaggio disposizione per farsi notare dalle femmine e riprodursi. Poi il loro destino è compiuto: nessuna cicala raggiunge l'autunno per chiedere aiuto alla formica operosa”. “Non ci avrebbero comunque guadagnato alcunché… Le formiche non hanno fama di esser generose, vero nonno?” “Con gli altri insetti no di certo, e nemmeno con le formiche di specie diverse, verso le quali anzi sono molto aggressive. Ma all’interno della stessa colonia possono considerarsi l’emblema della cooperazione: tutte lavorano in funzione del benessere della comunità, ciascuna con un ruolo diverso, e con totale dedizione obbediscono alla regina, nonché loro madre, che risiede nella parte più protetta del formicaio”. “Collaborano perché sono tutte sorelle?” “Proprio così Carletto. La regina invia dei segnali chimici con i quali tiene sotto controllo l’intero formicaio, è lei il centro nevralgico di tutto il sistema, fautrice di un’organizzazione tanto efficiente”. Carletto ascolta affascinato, come sono diversi gli insetti da noi! Ha imparato dalla favola che l’uomo può scegliere se comportarsi da cicala o da formica, ma in realtà in quello che fanno questi insetti non può esserci nulla di sbagliato poiché la Natura, con la sua straordinaria fantasia, ha già plasmato per loro differenti modi perfetti per sopravvivere. Autunno 2011 ! e t r pa PARTE 3 • Archiviazione e modifica delle foto Sonia, Davide ed Eva in partenza per la Namibia (1 maggio 2004). Continuiamo in questo numero la rubrica sulla fotografia in viaggio. Dopo aver passato in rassegna i consigli utili su come organizzare al meglio il proprio viaggio, entriamo ora nel vivo della vacanza… partiamo! Le Montagne Divertenti Fotografia in viaggio 127 Rubriche L'arte della fotografia Il posto sull'aereo • Già il posto che scegliamo sull’aereo ha la sua importanza fotografica. Inutile dire che avrete la vostra attrezzatura con voi (mai imbarcare il corredo fotografico in valigia, portatelo sempre nel bagaglio a mano) e per questo potrebbe presentarsi il momento buono per fare alcuni scatti dal finestrino. Scegliete un posto verso il fondo dell’aereo; le zone anteriori e centrali trovano infatti nelle ali del velivolo una spiacevole barriera. Con talune compagnie aeree avete anche la possibilità di aggiudicarvi il posto migliore tramite il check-in online che potrete fare sul sito web della compagnia nelle 24 ore prima della partenza. Tenete montato uno zoom e provate qualche scatto negli attimi precedenti l’atterraggio o in fase di decollo. Potrete così immortalare un altro aereo di passaggio o la privilegiata visuale della palla infuocata del sole che cala all’orizzonte. ... o per ultimi! • Non sottovalutate l’idea di rimanere anche dopo il tramonto: il crepuscolo e la notte regalano sempre grandi emozioni, oltre che fotografie particolarmente originali. A cavallo fra il tramonto e la notte mi piace in particolare soffermarmi nei contesti cittadini: le luci della città al crepuscolo e l’ultimo chiarore blu nel cielo si mescolano a formare una simbiosi affascinante. Ricordate che il treppiedi è d’obbligo in queste condizioni di luce scarsa. Meglio portar con sé un modello leggero e poco ingombrante, ma allo stesso tempo il più possibile estensibile e manovrabile. La cattedrale di Potosì al crepuscolo, Bolivia (13 luglio 2009). I profili nebbiosi della Cordillera delle Ande in Perù (26 maggio 2007). La scelta dell'albergo • Una volta atterrati si comincia a fare sul serio, sempre che il fuso orario non vi costringa ad una tappa forzata in albergo. A proposito di alberghi il mio consiglio è prenotare anche in base alla posizione della struttura. Inoltre una stanza ai piani alti potrebbe godere di una veduta privilegiata sul panorama, come per questo albergo di Cusco, affacciato sulla Plaza de Armas. Su siti web come tripadvisor.com o booking.com sarà possibile leggere le recensioni dei turisti che, prima di voi, hanno pernottato in questo o quell’albergo, cosicché potrete selezionare le stanze migliori e le zone più tranquille. Fenicotteri in volo a Walvis Bay, Namibia (21 aprile 2004). La Plaza de Armas a Cusco, Perù (6 giugno 2007). Arrivare per primi... • Prediligete l’alba e il tramonto, non solo per avere una luce dorata nella vostra scena, ma anche per evitare che gente, automobili e pullman affollino le vostre foto. Il mattino avremo poi meno vento e quindi un laghetto potrebbe presentare una superficie perfettamente specchiata. Anche la minaccia delle nuvole sarà meno tangibile di primo mattino e, dopo la formazioni dei classici cumuli nelle ore centrali, tenderanno di nuovo ad affievolirsi verso il tramonto. Sfruttate gli orari fotograficamente meno interessanti per una siesta o per i necessari spostamenti: nei miei viaggi tra i parchi americani ogni giorno mi spostavo di 200-300 km e questo non ha disturbato minimamente la mia vacanza, poiché li ho sempre disposti nei momenti fotograficamente meno utili della giornata. La scelta dell'attrezzatura • Oltre agli accessori è di importanza strategica la scelta di un corredo di lenti utile al vostro viaggio. Solitamente mi muovo con due soli obiettivi, sia per motivi di ingombro che per ragioni di peso. Evitate lenti troppo specifiche come “super-zoom” o “macro-obiettivi” se da una prima impressione non vi saranno i soggetti adatti per farne un abbondante utilizzo. Tra gli accessori presenti nella vostra borsa non fate mancare i seguenti: filtro polarizzatore e, se ne disponete, filtro digradante, flash esterno se non incorporato sulla vostra reflex, un telecomando per scatto remoto o prolungato, un panno per tenere pulito il vetro degli obiettivi. Machu Picchu, la famosa cittadella Inca in Perù (5 giugno 2007). 128 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Fotografia in viaggio 129 Alpinismo Rubriche L'arte della fotografia Colorati oggetti artigianali in un mercato del Chiapas, Messico (2006). Dettagli e particolari • Bilanciare scatti di grandi paesaggi con inquadrature più ravvicinate ed intime ci permetterà di presentare un album più vario del nostro viaggio. Non tralasciamo quindi di cogliere tutti quei piccoli dettagli che la natura ci offre e che spesso passano inosservati: essendo un’arte, la fotografia va continuamente affinata mediante lo studio e l’osservazione, così da raggiungere i massimi risultati. E lo studio e l’osservazione, com’è ovvio, non vanno d’accordo con la fretta: prendetevi quindi il vostro tempo. Molte inquadrature ravvicinate ed astratte sono spesso celate nei mercati tipici, come l'immagine in alto, catturata in un mercato del Chiapas, in Messico, resa equilibrata dal gioco di trame, colori, linee, luci ed ombre. La frutta, le spezie, i coloratissimi prodotti dell’artigianato locale sono solo alcuni degli esempi da cui trarre le vostre immagini. Riti e manifestazioni • Prima di partire informatevi anche sulle date delle principali manifestazioni folcloristiche della regione; sono occasioni perfette, peraltro, per realizzare ottimi ritratti, che in queste circostanze saranno per così dire “autorizzati”. Qui accanto, ad esempio, vediamo una donna che danza abbigliata con vesti tipiche, in occasione delle celebrazioni del Corpus Christi a Cusco. 130 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Negli scatti più ampi ricordiamoci che la composizione è essenziale per avere scatti bilanciati ed armonici. Se possibile cerchiamo di includere un soggetto per raccontare meglio quello scatto: una persona impegnata attivamente nel suo mestiere può rendere al meglio la particolarità del posto, come in questa foto, scattata nella valle Sagrado de los Incas in Perù, dove vediamo un ragazzo al lavoro nelle saline. Per evitare elementi indesiderati nella foto provate a scattare con aperture molto ampie (valore del diaframma al minimo), concentrando la messa a fuoco solo sul soggetto ed isolando quindi i disturbi sullo sfondo. A volte è utile realizzare lo stesso scatto con il buio per non vedere tutti quegli oggetti di troppo che sono impossibili da evitare. Moras, le saline nel Valle Sagrado de los Incas, Perù (3 giugno 2007). Celebrazioni in piazza durante il Corpus Christi, Perù (7 giugno 2007). La scelta delle impostazioni • Personalmente prediligo scattare in modalità AV, con la quale ho sempre sotto controllo la profondità di campo delle mie fotografie. Lascio perciò alla macchina il compito di decidere il tempo dello scatto, tenendo eventualmente presente che tempi al di sotto di 1/100s devono fungere da spia di allarme per il rischio mosso (regola valida quando si usa un grandangolo). Dobbiamo ovviamente velocizzare il tempo di scatto qualora ci trovassimo a scattare con un teleobiettivo: una buona regola da tenere a mente è di scattare con un tempo che sia superiore alla focale utilizzata, quindi con uno zoom “tirato” a 200mm cerchiamo di assestarci su un tempo di almeno 1/250s. Impariamo poi ad analizzare l’importante istogramma della luminosità, intervenendo eventualmente a correggerne l’esposizione tramite l’apposito tasto “+-EV”. Vedremo nel prossimo numero come analizzare meglio il grafico stesso. Per ottenere fotografie di massima qualità cercate sempre di scattare con un valore di ISO più basso possibile e, ancor più importante, scattate sempre in formato RAW: avere un “negativo” digitale sarà indispensabile se la vostra foto non è perfetta e necessita di post-elaborazione (capitolo anch’esso che tratteremo più approfonditamente nel prossimo numero della rivista). Essere in possesso della sola versione in JPG è molto limitante e penalizzante sotto molti punti di vista. Le Montagne Divertenti Fotografia Fotografiain inviaggio viaggio 131 Alpinismo E per finire, alcuni suggerimenti compositivi... Sfruttare i cieli temporaleschi • Badlands NP, South Dakota (9 maggio 2005). Trame e colori • Cappelli messicani, Chiapas (16 marzo 2006). Regola dei terzi e silhouette • Dingli Cliffs, Malta (10 ottobre 2004). Fotografia panoramica • Lo skyline di Manhattan a New York (21 febbraio 2009). Cercare i dettagli nascosti • Sabbia della Skeleton Coast, Namibia (23 aprile 2004). 132 Le Montagne Divertenti Tecnica HDR • Tramonto nel Salar de Atacama, Cile (8 luglio 2009). Allungare il tempo di scatto • Cascatelle a Yellowstone (10 maggio 2005). Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Fotografia in viaggio 133 le foto dei lettori Rubriche NEPAL Dani e Igor sulla cima dell'Island Peack (m 6185) durante il loro viaggio di nozze. Sullo sfondo il Lhotse (m 8516) (24 maggio 2011). L'alba alla mia pozza preferita sul crap poco prima dei Rusgiài (è un biotopo pieno di ranocchie e probabilmente altre cose interessanti). Sullo sfondo il Sasso Farinaccio e la val Grosina Occidentale (26 settembre 2010, foto Luca Carloni - www.nikonista.it/brata). MANDA LE TUE FOTOGRAFIE Due sezioni dedicate ai nostri lettori: • una che premia il fotografo più bravo tra quelli che avranno pubblicato i loro scatti inerenti i monti di Valtellina e Valchiavenna sul forum accessibile dall'indirizzo: www.clickalps.com/forum-montagna. La foto vincitrice, verrà pubblicata con recensione dettagliata e scheda di presentazione del fotografo. • una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate a [email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo. Lo scatto migliore fra quelli giunti negli ultimi 3 mesi è quello di: MILANO IL FOTOGRAFO LA FOTOGRAFIA (recensione di Roberto Moiola) Giulia ed Elisa con Le Montagne Divertenti all'università (31 maggio 2011). Mi chiamo Luca Carloni, marchigiano (nato a Camerino). Da più di vent’anni frequento intensamente la Valtellina, con amore crescente e un po’ fanatico, sempre con una reflex al collo. Mi sono avvicinato alla fotografia inizialmente in maniera un po' distratta, ma la possibilità di controllo dell'immagine data dal digitale mi ha spinto a migliorare l’attrezzatura, la tecnica di scatto e, purtroppo, ad accrescere il peso che mi trascino per le gande (attualmente sono quasi 9 chili). La fotografia mi ha consentito di potenziare la capacità di contemplazione puramente sensoriale della dinamica naturale. La ricerca e l’attesa delle migliori condizioni di scatto acuisce vista, udito e tatto, permettendo di stabilire una relazione più autentica con la natura, non mediata dalle categorie intellettuali ed estetiche che invece determinano l’immagine finale. In questo numero abbiamo scelto uno scatto autunnale di Luca, che da mesi pubblica sul forum di Clickalps.com le fotografie realizzate durante le sue escursioni (il suo curioso nickname è "Murmeltier"). L'immagine ci proietta in un'atmosfera quasi surreale con i colori che si fondono in maniera armonica fra di loro. Il primo soggetto che ci attrae sono i ciuffi d'erba ormai ingialliti dalle prime gelate di ottobre, illuminati in maniera radente dagli ultimi raggi del sole, che proprio all'orizzonte sta dando il meglio di sè con alcune nuvolette in dissolvimento. La superfice della pozza, col suo tappeto blu ormai destinato a gelare, crea un equilibrio perfetto nella composizione della scena. Con questa foto Luca dimostra che non è necessario andare distante per catturare momenti unici, spesso le emozioni più forti sono celate nella Natura intorno a noi, così "Murmeltier" non disdegna ritornare spesso a fotografare i numerosi laghetti della val Grosina (chissà se i locali gli daranno la cittadinanza onoraria...). KENYA 134 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 NORVEGIA Claudio Beretta a Bergen durante una crociera ai fiordi norvegesi (14 luglio 2011). Maurizio, Elisabetta e Raffaella a Loiyangalani sul lago Turcana (01/10/10). Le Montagne Divertenti ARGENTARIO Luca e Simone Micheletti e Quinto Seravalle sul monte Argentario (1 luglio 2011). Le foto dei lettori 135 le foto dei lettori Rubriche SWISS BORDER John Harlin III, forte alpinista e noto scrittore americano, è stato accompagnato da Beno e da Le Montagne Divertenti attraverso le cime del Bernina e del Màsino durante il suo percorrimento integrale del confine svizzero. L'ultima tappa di questa lunghissima cavalcata (oltre 2000 km) tra creste, fiumi e laghi, ha tenuto Harlin impegnato per 3 mesi (www.swissinfo.ch/harlin). Trovate il racconto delle giornate con Beno nella newsletter di settembre de Le Montagne Divertenti. In foto Beno e John in vetta al piz Varuna (m 3453) nel primo dei 4 giorni assieme (28 luglio 2011). GIORDANIA Danila Rabbiosi e Francesco Vaninetti davanti al Tesoro del Faraone di Petra (26 settembre 2010). CAPRI Elisabetta, Bruna e Graziella davanti ai faraglioni di Capri lungo la costiera Amalfitana (6 maggio 2011). GRUPPO PODISTICO TALAMONA Il Gruppo Podistico Talamona a Tezze sul Brenta per i campionati italiani di corsa campestre (1-3 aprile 2011, foto Sergio Vola). CAI SEZIONE BERBENNO Il Gruppo CAI di Berbenno in gita lungo la costiera Amalfitana (2 maggio 2011). BIBIONE Samuele, Ilaria e Mark al Villaggio Internazionale di Bibione (2 luglio 2011). 136 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori 137 le foto dei lettori Rubriche CHIOGGIA Aletschgletscher VALMALENCO Il gruppo Montagna Insieme di Milano in vetta all'Eggishorn (3 luglio 2011). Carmela e Aldo al lago d'Arcoglio (3 luglio 2011). MONTE BIANCO VALMALENCO Gruppo trekking 3 province con la loro guida lungo la traversata della Vallée Blanche (Claudio Pozzi,Claudia Fumagalli, Umberto Monti, Monica Cucchi, Marco Dell'Oro e Marco Bianchi, 26 giugno 2011). Luca Gaggi e Luca Mostacchi alla bocchetta di Caspoggio, m 2983 (4 agosto 2011). Alessia e Mattia a Chioggia (28 giugno 2011). VESUVIO Anna e Matteo leggono Le Montagne Divertenti ai bordi del cratere del vulcano (2 luglio 2011). CORSICA Miryam, Giacomo, Michela, Luca, Davide, Alessandro, Ivana, Stefano, Simone, Francesco, Anna, Renata, Marco, Alice e Marta con Le Montagne Divertenti alle Isole di Lavezzi (29 giugno 2011). KOREA DEL SUD CHIAREGGIO I lupi di Giancarlo Lenatti (Bianco) a Chiareggio (24 luglio 2011). 138 Le Montagne Divertenti Paolo Bongiovanni di Mandello all'aeroporto di Seoul dopo una permanenza di due settimane a Daegu (14 marzo 2011). Autunno 2011 TOSCANA Stefano, Greta, Giulia e Gabriele Gusmeroli in Toscana (9 luglio2011). Le Montagne Divertenti ISOLE EGADI Gli amici del CAI di Sondrio (30 giugno 2011). Le foto dei lettori 139 le foto dei lettori Rubriche gran zebrù Roberto Guerra e Roberto Fornera sul Gran Zebrù (25 giugno 2011). SNOWDOWN RACE La spedizione valtellinese alla Snowdown Race, gara internazionale di corsa in montagna in cui si sale e scende la più alta montagna del Galles, lo Snowdown (m 1085). In fotografia gli atleti sono in visita al castello di Caernarfon dove Carlo nel 1969 fu incoronato Principe del Galles (24 luglio 2011). OROBIE Sara ai piedi del canalino che porta al rifugio Benigni (31 luglio 2011). VAL GEROLA Bergamaschi, lecchesi e valtellinesi si incontrano al passo Salmurano (11 agosto 2011). Russia Eliana e Nemo Canetta con i forestali Russi che tengono d'occhio le torri e migliaia di kmq della Riserva della Biosfera delle Foreste Vergini dei Komi (agosto 2011). 140 Le Montagne Divertenti SVEZIA Beppe e Laura a Stoccolma (21 giugno 2011). Autunno 2011 AUSTRALIA Da Sydney, Alessandro, Alfredo e Lupo, i tre gemelli di Valerio Corniani e Cassandra Lenatti (30 aprile 2011). Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori 141 Rubriche Vincitori e so ma ch'el? lu vinti zi on i de l n. 17 L’utensile misterioso, fotografato da Antonio Boscacci in località Pace a Montagna, è un filtro per l'acqua. Ivan Andreoli ce l'ha descritto così: "L'è el colét o collettore per pozzetti di captazione dell'acqua: faceva da filtro per evitare che fogliame, erba o altri corpi estranei entrassero nel tubo sporcando l'acqua." L'oggetto tuttavia è quasi identico al filtro che veniva posto sotto la tina o sotto il torchio per filtrare il vino ed evitare che entrassero nella pompa, e quindi nella botte, gli acini dell'uva. Abbiamo perciò considerato valide entrambe le soluzioni. TO DONATORIO. NA E PASSAPAROLA. I vincitori sono stati: 1- Ivan Andreoli di Teglio 2- Davide Proh di Mossini 3- Michele Battoraro di Ponte 4- Sonia Soverna di Castione ngue salva molte vite: alimenta e diffondi il moto donatorio. ma che scimma i-è? i chi dona muove anche te. za siamo noi: dona e passa parola! La foto di Beno, scattata il 7 ottobre 2010 da quota 2500 nella valle del Ligoncio ritrae: 1) Pizzo Cengalo (m 3367); 2) Pizzo del Ferro Orientale (m 3200); 3) Monte Disgrazia (m 3678); 4) Corni Bruciati (m 3097 - m 3114). AVIS SEZIONI COMUNALI DELLA PROVINCIA DI SONDRIO: AVIS DI BORMIO 0342 902670 AVIS DI CASPOGGIO 0342 451954 AVIS DI CHIAVENNA 0343 67297 AVIS DI LANZADA 0342 452633 AVIS DI LIVIGNO 334 2886020 AVIS DI MORBEGNO 0342 610243 AVIS DI POGGIRIDENTI 0342 380292 AVIS DI SONDALO 0342 801098 AVIS DI SONDRIO 800593000 I concorrenti sono tutti caduti in errore sulla cima n. 2, il pizzo del Ferro Orientale, ben riconoscibile dalle due fasce nevose oblique parallele. I vincitori: 1- Simone Nonini di Sorico 2- Giovanni Trezzi di Mariano Comense 1 2 3 4 s.it/toscana 142 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Giochi 143 Rubriche Giochi Che scimma i-è? 'N gh'èl? 2 1 3 4 Che cime sono le 4 indicate in fotografia? Trovate la foto a maggior grandezza all'interno dell'articolo sullo spigolo gervasutti alla cima di valbona. I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 25 settembre 2011 vinceranno la foto, nella versione a 270° (più lunga) stampata su tela (larghezza 100 cm - già con telaio e supporti) . Il 3° classificato avrà fascetta e maglietta de “Le Montagne Divertenti”, il 4° e il 5° un libro tra quelli disponibili sul sito www.lemontagnedivertenti.com. Scrivi la tua risposta sul forum “Che scimma i-è?” accessibile da www.lemontagnedivertenti.com/concorsi ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE El ciusè fort e bel de tücc' com'era la valle 60 anni fa? Allora dimmi: che città è? cosa sono i 3 edifici cerchiati in rosso? I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 26 settembre 2011 vinceranno calze+maglietta+pantaloncini de “Le Montagne Divertenti”, il 3° classificato ricevera' fascetta e calze de "Le Montagne Divertenti", il 4° e il 5° un libro a scelta tra quelli disponibili sul sito www.lemontagnedivertenti.com. Scrivi la tua risposta sul forum “ 'N gh'èl? ” accessibile da Sei fichissimo, allenatissimo e molto competitivo? Le Montagne Divertenti mette in palio un buono acquisto di 200 euro al primo che riuscirà a compiere 2 su 3 degli itinerari di alpinismo proposti in questo numero e tutti e tre gli itinerari di escursionismo. Il buono sarà spendibile presso Maiuk a Chiesa in Valmalenco e Sport Side a sondrio. Per provare la tua impresa dovrai pubblicare per ogni itinerario che completi 2 tue foto con la rivista. Queste andranno realizzate nei punti indicati nel regolamento esteso consultabile su www.lemontagnedivertenti.com/concorsi nel forum "El ciusè fort e bel de tücc' ". I forum per inviare foto e soluzioni sono facilmente accessibili anche da: www.lemontagnedivertenti.com e www.clickalps.com. 144 Le Montagne Divertenti Ricordi www.lemontagnedivertenti.com/concorsi Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Giochi 145 Rubriche lE RICETTE DELLA NONNA I curnàt la focaccia per la montagna Adriana e Marino Amonini V A limento da zaino, apprezzato soprattutto quando la fame morde, i curnàt sono semplici, gustosi ed efficaci bocconi capaci di ricaricare le pile e addolcire la bocca. Ricetta diffusa in alta Valtellina oramai ha contaminato una vasta cerchia di amici; i più sfacciati ce li "sbafano", quelli veri li apprezzano, ai lettori di LMD non resta che scoprirli. Ingredienti • • • • • • • 300 gr. farina bianca 7/8 cucchiai di zucchero 200 gr. panna intiepidita 1 presa di sale 1 presa di bicarbonato di sodio 1 spolverata di cannella 1 pugnetto di foglioline di daneda, erba iva, o per dirla da sapientini Achillea erba-rotta. Preparazione Amalgamare i componenti e pastrugnarli fino ad avere un salamotto omogeneo, quindi affettarlo in 13 pezzi (pare sia numero fortunato). Con il mattarello sogliolarli fino ad uno spessore di 4/6 mm. Cuocerli su pioda ben calda bucherellandoli con colpetti di forchetta. In pochissimi secondi dorano, si capovolgono, cuociono e spandono un profumino delizioso. Lasciare raffreddare. Se resistono agli immediati assalti si impacchettano in carta stagnola e si infilano nello zaino; il peso è lieve, ma il successo è garantito. 146 Le Montagne Divertenti Autunno 2011 Alpinismo non è soltanto la soddisfazione dell'arrampicata, del superamento delle difficoltà, ma è anche l'occasione, la possibilità di gustare degli straordinari spettacoli della natura in un ambiente unico e meraviglioso. 148 Le Montagne Divertenti Duilio Strambini Autunno 2011 Le Montagne Divertenti Ricette 149