n. 18 - Autunno 2011 - Le Montagne Divertenti

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n. 18 - Autunno 2011 - Le Montagne Divertenti
Trimestrale di Valtellina e Valchiavenna
T rimestrale
di
A lpinismo
e
C ultura A lpina
e
v
r
i
D tenti
n°18 - autunno 2011 - EURO 5
Poste Italiane SpA - Spedizione in Abbonamento Postale 70% DCB-Sondrio
Serpenti
Le 7 specie della
provincia di Sondrio
Valmalenco
Spigolo Gervasutti alla
cima di val Bona
Meteo e clima
Il punto della
situazione
Fotografia
In viaggio col fotografo
Alta Valtellina
Pizzo Matto, cima di
Saoseo e trekking
in val Grosina
Pizzo Alto
A picco sopra Chiavenna
Alpi Orobie
L'anello della val Belviso
Valtellinesi nel
mondo
India: nel paese delle
meraviglie
Nel mondo
La rivista a spasso coi
nostri lettori
Fauna
Camoscio: re delle rupi
Insetti
La cicala e la formica
Orobie
Fausto Mottalini:
l'Homo Salvadego
di Arét
Inoltre
Ricette, poesie, giochi,
leggende...
Duilio Strambini
il sorriso della val Grosina
valchiavenna
- bassa valtellina - ValMàsino - alpi retiche e orobie - valmalenco - alta valtellina
1
Le Montagne Divertenti IL G R UPP O B ANC ARIO
AL CENTRO DELLE ALPI
I - 23100 Sondrio SO
piazza Giuseppe Garibaldi 16
Editoriale
La val Grosina fu tra le prime, in Valtellina, a esser esplorata dagli alpinisti, meta privilegiata
di una ristretta schiera di italiani, inglesi e tedeschi. Poi cadde nell’oblio.
Ad avviare la riscoperta di quella “gemma dimenticata” ci pensò, negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso,
Duilio Strambini, che possiamo considerare il genius loci della val Grosina, profondo conoscitore di queste
montagne che percorse e indagò nel corso della sua troppo breve esistenza.
“Che cosa resterà di me? Del transito terrestre? Di tutte le impressioni che ho avuto in questa vita?”
dice una canzone di Battiato. Sono parole che, pur nella loro apparente leggerezza, vanno al profondo, al senso
dell’esistenza. E di un alpinista, che cosa resta? Di tutte le sue scalate? Della luce dei suoi occhi?
E di Duilio che cosa resta oggi?
Il ricordo, certo, ma soprattutto l’esempio della sua passione, semplicità, generosità.
A Duilio, al suo sorriso, alla val Grosina è dedicato questo numero della rivista.
Raffaele Occhi
tel. +39 0342 528111
fax +39 0342 528204
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CH - 6900 Lugano
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la terrazza del pirovano
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2
Gestore del SERVIZIO di CASSA
del CLUB ALPINO ITALIANO
Sede Centrale - Milano
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
In copertina: le cime di Lago Spalmo ritratte
dalle pendici sud occidentali del dosso dell'Oca
(29 agosto 2011, foto Beno).
Autunno al lago delle Acque Sparse, sullo
sfondo le cime di Redasco (19 ottobre 2010,
foto Giacomo Meneghello).
Scendendo da Lagùnc in Valchiavenna
(6
2010,
foto Roberto
Lenovembre
Montagne
Divertenti
Ganassa).
3
Editore
Beno
Direttore Responsabile
Enrico Benedetti
Redazione
Alessandra Morgillo
Beno
Giorgio Orsucci
Roberto Moiola
Responsabile della fotografia
Roberto Moiola
Realizzazione grafica
Beno e Giorgio Orsucci
Revisore di bozze
Mario Pagni
Responsabile della cartografia
Matteo Gianatti
Hanno collaborato a questo numero:
Andrea Zampatti, Antonio Boscacci, Claudio Pia, Dino
Buzzetti, Eliana e Nemo Canetta, Fabio Pusterla, Francesco
Vaninetti, Franco Benetti, Franco Franzini, Giacomo
Meneghello, Gioia Zenoni, Giordano Gusmeroli, Giuliano
Bordoni, Kim Sommerschield, Luca Carloni, Luciano
Bruseghini, Luisa Angelici, Marcello Di Clemente, Marino
Amonini, Matteo Gianatti, Matteo Tarabini, Mario Sertori,
Maurizio Cittarini, Raffaele Occhi, Renzo Benedetti, Riccardo
Scotti, Roberto Ganassa, Sergio Scuffi, Simone Bondio.
Si ringraziano inoltre
CAI Valtellinese, Ezio Gianatti, Mario Maffezzini, Maurizio
Torri, Fabrizia Vido, Eva Fattarelli, Giulia Crosa Strambini,
Chiara Strambini, Daniela e Mauro Barzani, Battista Gilardi,
Nino Zappa, Francesco Bradanini, Piero Della Vedova, la
Tipografia Bonazzi, gli edicolanti che ci aiutano nel promuovere
la rivista e gli sponsor che credono in noi e in questo progetto.
ARIO
LE MONTAGNE DIVERTENTI
Trimestrale sull’ambiente alpino di Valtellina e Valchiavenna
Registrazione Tribunale di Sondrio n° 369
Speciali
10
12
Val Grosina
Cenni sul territorio
Duilio Strambini
Il sorriso della val Grosina
Itinerari
d’alpinismo
Itinerari
d’escursionismo
Rubriche
62
82
110
70
Valmalenco
Gervasutti alla cima di val Bona
Approfondimento
Giusto Gervasutti: il Fortissimo
84
Val Grosina
Escursione attorno al Matto
Orobie
L'anello della val Belviso
Valtellinesi nel mondo
India: nel paese delle meraviglie
121
Fauna
Camoscio, re delle rupi
Un saluto speciale a
Pubblicità e distribuzione
[email protected]
tel. 0342 380151
Stampa
Bonazzi Grafica -Via Francia, 1 -23100 Sondrio
M
Giuseppe Songini
36
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Contatti, informazioni e merchandising
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Val Grosina
Alpinismo moderno
72
Val Grosina
Pizzo Matto (m 2993)
92
Valchiavenna
Pizzo Alto (m 2479)
124
Il mondo in miniatura
La cicala e la formica
annuale (4 numeri della rivista):
costo € 22 da versarsi sul
c/c 3057/50 Banca Popolare di Sondrio
IT17 I056 9611 0000 0000 3057 X50
intestato a:
Beno di Benedetti Enrico
via Panoramica 549/A
23020 Montagna (SO)
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Abbonamenti per l’Italia
nella causale specificare: nome, cognome,
indirizzo, “abbonamento a Le Montagne Divertenti”
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fatto il bonifico è necessario
registrare il proprio abbonamento su
77
Val Grosina
Cima di Saoseo (m 3263)
99
Orobie
Viaggio in val Fabiòlo
127
134
143
144
O
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- oppure mandando email con indirizzo di spedizione e copia
del versamento a: [email protected]
- oppure telefonando al 0342 380151 (basta lasciare i dati
in segreteria).
Clima
Facciamo il punto
Arretrati
[email protected] - € 6 cad.
Numeri esauriti: PDF scaricabili dal sito della rivista
Prossimo numero
S
21 dicembre 2011
46
105
Serpenti
Le 7 specie della provincia di Sondrio
Autunno 2011
Le Montagne Divertenti 146
Fausto Mottalini
L'Homo Salvadego di Arét
L'arte della fotografia
Click si parte ( II parte)
Le foto dei lettori
Vincitori e vinti
Giochi
Ma ch'el, ma che scimma i-è
Ricette della nonna
I curnàt
Sommario
5
Localizzazione luoghi
Zillis
Wergenstein
Bergün
Parsonz
Sufers
Curtegns 1864
3062
2115
Mulegns
Pizzo Tambò
3278
3378
Cresta
St. Moritz
Fraciscio
Passo del Maloja
1815
Pizzo Stella
3183
Mera
92
Casaccia
Pizzo Galleggione
3107
Castasegna
Prosto
CHIAVENNA
Mese
Prata
Camportaccio
Gordona
San Cassiano
2845
Verceia
Cevo
Bùglio
Caspano Ardenno
Dubino Mantello Mello
Traona
Dazio
Sirta
MORBEGNO
Delébio Rògolo
Còsio
Regolédo
Albaredo
Premana
Geròla
Bellàno
Taceno
Pescegallo
Pizzo dei Tre Signori
2554
Introbio
Lierna
Ornica
Colorina
Caiolo
Tartano
Pasturo
Le Montagne Divertenti Barzio
Monte Cadelle
2483
Passo San Marco
1985
Carona
Cùsio
Piazzatorre
Cassiglio
Pizzo Campaggio
2502
Olmo
al Brembo
Pizzo del Diavolo
di Tenda
2829
Le Prese
3136
Brusio
Ponte in Valt.
Teglio
Chiuro
Arigna
Aprica
Gromo
Autunno 2011
Vezza
d'Oglio
Còrteno
Carona
Pizzo Coca
3050
Monte Sellero
2743
Pizzo Camino
2492
Passo del Tonale
1883
Spigolo Gervasutti alla
cima di val Bona (m 3033)
(Antonio Boscacci, Beno e Mario Sertori)
72 Val Grosina
Pizzo Matto (m 2993)
(Beno)
77 Val Grosina
Cima di Saoseo (m 3263)
(Beno)
82 Val Grosina
Attorno al Matto
(Giacomo Meneghello)
84Orobie
L'anello della val Belviso
(Antonio Stefanini)
92 Valchiavenna
Adamello
3554
Monte Carè Alto
3462
Berzo
Saviore
Valle
Pizzo Alto (m 2479)
(Gioia Zenoni)
99Orobie
Monte Fumo
3418
Garda
Paisco
Concarena
2549
Ponte
di Legno
Edolo
Loveno
Villa
Vione
Sonico
Palone del Torsolazzo
2670
Monte Torena
2911
Vilminore
Colere
Cortenedolo
Malonno
84
Pezzo
Incudine
Monno
Passo dell'Aprica
Monte Gleno
2883
Valbondione
Passo del Vivione
1828
Gandellino
Corno dei Tre Signori
3359
Punta di Pietra Rossa
Monte Tonale
3212
2694
Monte Serottini
2967
Mazzo
Tovo
Lovero
Sernio
TIRANO
Bianzone
Tresenda
Adda
Pizzo Redorta
3039
Fumero
Adda
Boirolo
Pizzo Rodes
2829
Grosotto
Punta San Matteo
3678
Passo del Gavia
2621
Le Prese
Sondalo
Monte Masuccio
2816
Schilpario
Branzi
Roncorbello
T. Roasco
San Caterina
Grosio
Vetta di Ron
Albosaggia
Foppolo
Mezzoldo
Valtorta
Sondrio
T. V
enin
a
Bema
99
Pizzo Scalino
3323
Tresivio
Tremenico
Bellagio
6
Talamona
Postalesio
Berbenno
Castione
T. Livrio
Dervio
3114
Cepina
frana
di Val Pola
Eita
Malghera
Poschiavo
Lanzada
Caspoggio
Chiesa
in Valmalenco
Torre
di S. Maria
San Martino Corni Bruciati
82
T. Fo
ntana
Cima del Desenigo
Monte Legnone
2610
Lago
di Como
3678
Pizzo Ligoncio
3032
Primolo
T. Mallero
Còlico
Monte Disgrazia
Bagni
del Màsino
77
Monte Cevedale
3769
Monte Confinale
3370
Valdisotto
Cima Saoseo
3263
Gran Zebrù
3851
San Antonio
BORMIO
San Carlo
Sasso Nero
2917
3378
ra
T. Code
La Rösa
72
Chiareggio
Cima di Castello
T. Caldenno
Dongo
3308
Novate
Mezzola
Lago
di Mezzola
62
o
T. Màsin
Montemezzo
Livo Gera
Dosso d. Liro
Lario
Somaggia
Vicosoprano
Bondo
Villa
di Chiavenna Pizzo Badile
4050
Passo del Muretto
2562
Passo del Bernina
Piz Palù
2323
3906
Oga
62Valmalenco
Ortles
3905
Bagni di Bormio
Premadio
Cima Piazzi
3439
i
od
Lag chiavo
Pos
San Pietro
Samòlaco
Era
Pizzo Martello
2459
Soglio
Pizzo Bernina
T.
La
nte
rna
Pizzo Quadro
3013
Sils
Maloja
Isolaccia
Arnoga
Forcola
di Livigno
2315
Passo dello Stelvio
2757
Valdidentro
Passo del
Foscagno
2291
Solda
Giogo di San Maria
2502
Trepalle
Pianazzo
Campodolcino
1816
Piz Languard
3268
Silvaplana
Juf
Lag
3180
hi d
i Ca
nca
no
Pontresina
Julierpass
Bivio
Lago d
i Lei
Madesimo
Livigno
3057
Mera
3210
Cima la Casina
Samedan
Piz Nair
3392
Pizzo d'Emet
Isola
Sur
Stelvio
San Maria
Lago del Gallo
Piz Piatta
Montespluga
3159
Inn
Montechiaro
Müstair
Piz d'Err
Piz Grisch
Innerferrera
Passo dello Spluga
Zuoz
Albulapass
2312
Reno
Ausserferrera
Piz Quattervals
3418
Julia
Splügen
Medels
Piz Kesch
Cunter
Andeer
e itinerari
Viaggio in val Fabiòlo
(Nicola Giana e Marino Amonini)
Capo
di Ponte
Làveno
Le Montagne Divertenti Monte Re di Castello
2889
Niardo
© Beno 2010 - riproduzione vietata
Localizzazione di luoghi e itinerari
7
L
e g e n d a
Schede sintetiche e tempistiche
Ogni itinerario è corredato da una scheda sintetica in cui vengono riassunte le caratteristiche principali
del percorso, tra cui dislivello, tempo di percorrenza e difficoltà. A fianco trovate una breve e divertente
spiegazione dei 7 gradi della “scala Beno” con cui viene valutato l'impegno complessivo richiesto dalla gita.
Non sono contemplate le difficoltà estreme, che esulano dalle finalità di questa rivista e dalle nostre stesse
capacità. Sotto la voce "Dettagli", invece, viene espressa la difficoltà tecnica secondo la scala alpinistica
convenzionale, corredata da una breve spiegazione.
Le tempistiche, indicate nel testo descrittivo, sono progressive, cioè indicano il tempo necessario1 per
raggiungere la località partendo dall'ultimo riferimento crono-geografico2.
Le schede sintetiche sono affiancate da un box grafico che, esprimendo una valutazione su bellezza,
pericolosità e fatica, vi permetterà a colpo d’occhio di scegliere l’itinerario a voi più consono.
1 - Se non emergono difficoltà tecniche, la velocità ipotizzata è di 350 metri di dislivello all'ora, oppure 3 km orari su itinerario pianeggiante.
2 - " [...] raggiungo la punta della Sfinge (m 2805, ore 0:30)" indica che per raggiungere la Sfinge occorrono 30 minuti partendo dal precedente riferimento
crono-geografico, che in questo caso era, qualche riga prima, la sella Ligoncino "[...] fino alla sella Ligoncino (m 2770, ore 2:15)." Per facilitare l'individuazione
dei riferimenti crono-geografici, questi sono tutti formattati in grassetto.
Bellezza
pericolosità
Quasi meglio il centro commerciale
Carino
Basta stare un po’ attenti
Assolutamente fantastico
Fatica
Richiesta discreta tecnica alpinistica
Pericoloso (si consiglia una guida)
ore di percorrenza
Una passeggiata!
Nulla di preoccupante
Impegnativo
Un massacro
Si comincia a dover stare
attenti alle storte,
alle cavallette carnivore
e nello zaino è meglio mettere
qualche provvista
e qualche vestito.
Assolutamente sicuro
Ne vale veramente la pena
Ottimo anche per anziani non più autosufficienti
o addirittura sprovveduti turisti di città. Ideale
per la camporella, anche per le coppiette meno
esperte.
dislivello in salita
meno di 5 ore
meno di 800 metri
dalle 5 alle 10 ore
dagli 800 ai 1500 metri
dalle 10 alle 15 ore
dai 1500 ai 2500 metri
oltre le 15 ore
oltre i 2500 metri
Le scarpe da ginnastica
cominciano ad essere
sconsigliate (sono d’obbligo
abito da sera e mocassini).
E’ meglio stare attenti
a dove si mettono i piedi.
Vertigini vietate!
su RADIO TSN
Itinerario abbastanza
lungo, ma senza
particolari difficoltà
alpinistiche.
E’ richiesta una buona
conoscenza dell’ambiente
alpino, discreta capacità
di arrampicare
e muoversi su ghiacciaio
o terreni friabili come
la pasta sfoglia.
E’ consigliabile una guida.
FM 101.100/97.700
ogni martedì con Beno & special guests
ore 7:45 - 8:45 - 11:15 - 12:45 - 18:45
WWW.RADIOTSN.IT
Montagna divertente,
itinerario molto lungo
e ricco di insidie di varia
specie. Sconsigliato a tutti gli
appassionati di montagna non
esperti e non dopati.
8
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Valida alternativa
al suicidio. Solo per
persone con un’ottima
preparazione fisicoatletica e esperienza
alpinistica. Servono
sprezzo del pericolo
e, soprattutto, barbe
lunghe e incolte.
Speciali
I luoghi
Cenni sulla val Grosina
Eliana e Nemo Canetta
L
a val Grosina è la laterale della
Valtellina che si diparte dalla
valle dell'Adda in direzione N, esattamente tra i comuni di Grosio e
Grosotto. All'altezza di Fusino la
valle si divide in val di Sacco (O) e in
valle d'Eita (N), a loro volta madri di
numerose vallecole tributarie.
i sono montagne destinate a
diventare famose, altre meno.
È quanto successo alle Alpi di val
V
Grosina: un insieme di costiere che
forse, poste in altri luoghi, avrebbero
avuto la loro brava fetta di notorietà e
di frequentatori. Ma queste vette si trovano incastrate tra il massiccio MàsinoBregaglia e il Bernina a ovest e il gruppo
Ortles-Cevedale a est.
Come dire, alcune delle maggiori
località di alpinismo su ghiaccio e roccia di tutte le Alpi. Ed ecco che i monti
grosini, dopo aver goduto di una certa
notorietà nell’epoca dei pionieri, da
decenni vivono appartati, pur costituendo un vasto e ricco insieme di valli
e di cime e pur trovandosi a due passi
da località di grande valore turistico
quali l’Engadina, Livigno o Bormio.
La vetta regina del nodo montuoso
a cui appartengono le cime della val
Grosina è la cima dei Piazzi e si trova
appena a nord del "confine" della valle.
Grazie alla sua splendida glaciale nord
la Piazzi è testimonial di una nota acqua
minerale valtellinese, ma il suo nome
resta occultato e dunque chi subisce il
bombardamento pubblicitario continua a ignorarne l’esistenza.
Le Alpi di val Grosina annoverano
inoltre una buona serie di cime oltre
i 3000 metri, sovente pure di bello e
ardito aspetto, vasti boschi oggi poco
sfruttati, un buon numero di ghiacciai, sebbene di modeste dimensioni.
E ancora molti laghetti alpini e ampi
alpeggi, maggenghi e alcune pareti di
solida roccia niente affatto disprezzabili. In pratica a queste montagne non
mancherebbe nulla per divenire un
gruppo molto frequentato da alpinisti
ed escursionisti. Come detto, la loro
posizione tra i colossi delle Alpi Retiche ha sicuramente inciso, ma d’altra
parte è giusto riconoscere che grosini e
grosottini sino ad oggi si sono astenuti
dall’avviare quelle discutibili “valorizzazioni turistiche", che tanto hanno
segnato l’ambiente in altre zone della
provincia di Sondrio.
In effetti gli abitanti di
Grosio e Grosotto amano la
loro valle, la frequentano,
la curano e in larga parte
la utilizzano ancora per le
tradizionali attività agrosilvo-pastorali. Dunque è
proprio tale attaccamento
che ha permesso di
preservare la val Grosina,
pure se la zona non è mai
stata inclusa nei territori
da proteggere delle Alpi e
Prealpi lombarde.
Strana decisione, se pensiamo che vi
fu un momento in cui si voleva trasformare in parco regionale il non lontano
alto Livignasco, area sicuramente bella
e interessante, ma forse meno ricca di
spunti naturalistici e antropici della val
Grosina. L’opposizione della popolazione fece fallire il progetto a Livigno;
quanto alla val Grosina da decenni tutto
prosegue in totale tranquillità come se
i grandi centri turistici, cui abbiamo
sopra accennato, fossero lontanissimi.
Le nostre montagne sono quindi un
luogo ideale per alpinisti ed escursio-
10
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti nisti che vogliano immergersi in un
mondo d’altri tempi, con pochi rifugi
né eccessive facilitazioni.
Certo oggi si giunge a Eita e Malghera su stradelle percorribili anche da
una normale auto (dal 2012 probabilmente solo previo permesso, in base
a una recente norma regionale) e, alla
testata della val di Sacco, nei pressi del
Santuario della Madonna della Neve,
vi è un rifugio sempre aperto d’estate
(rifugio Malghera) e a Eita ve ne è un
secondo che richiede invece una chiamata di prenotazione. Questi rifugi
sono ben conosciuti dai ragazzi degli
oratori che quassù hanno trascorso
estati indimenticabili all'insegna del
gioco e della Natura.
A Fusino, da qualche anno, funziona
un ristoro con alloggio. Ma se pensiamo
che la val Grosina copre un’ estensione
di circa 150 chilometri quadrati, ovvero
poco meno della metà della vicina Valmalenco che - paesi a parte - pullula
di alberghi e rifugi, ristoranti, sentieri
segnalati, strade e impianti a fune, è
evidente come l’escursionista in cerca di
itinerari poco battuti e di spazi all’insegna della wilderness può trovare in val
Grosina pane per i suoi denti.
olo luci allora in questa sorta di
questo Paradiso perduto? In effetti
qualche ombra la vediamo, sia oggi che
in prospettiva.
Da segnalare innanzitutto il selvaggio
uso e abuso delle motoslitte nel periodo
invernale, forte nota di demerito nella
gestione del territorio.
Gli abitanti di Grosio e Grosotto,
inoltre, hanno di fatto evitato di promuovere turismo ed escursionismo
nelle loro amate valli, sia pure in forme
rispettose dell’ambiente. Il rischio è
che, terminate le "valorizzazioni" in
alta, media e bassa Valtellina, qualcuno
metta gli occhi pure sulla val Grosina,
restata totalmente estranea a tali fenomeni. Cosa potranno impugnare grosini e grosottini per opporsi ai volgari
condizionamenti connessi alla circolazione di grandi somme di denaro?
Sarebbe perciò auspicabile sin da
ora lo sviluppo di ristori, agriturismi
e rifugi sempre aperti nella buona stagione, tali da creare una certa attività
economica, senza nulla togliere all’ambiente. Queste attività un domani contrapporsi ai discutibili e altrove diffusi
“valorizzatori”.
Il lago Calosso (1998, foto Marino Amonini).
I laghi di Tres (11 luglio 2011, foto Giacomo
Meneghello).
S
Il lago delle Acque Sparse (5 luglio 2011, foto
Franco Franzini).
Il lago Negro (1985, foto Marino Amonini).
Scialpinismo in val Guinzana (foto Franco
Benetti).
Cenni sulla val Grosina
11
Speciali
Duilio Strambini
Raffaele Occhi
il sorriso della val Grosina
Duilio Strambini in vetta al pizzo del Teo (15 agosto 1969, foto archivio Strambini).
C
hi nasce a Grosio rimane legato
per tutta la vita alla val Grosina
e alle sue montagne, un amore che
traspare anche solo osservando
gli anziani che pazientemente
sfalciano ancora i prati più ripidi.
Creste, ghiacciai, pascoli curati,
baite, laghi e torrenti sono
artisticamente accostati per
formare splendidi quadri naturali,
tra i più belli della nostra provincia
e ciò nonostante poco conosciuti e
visitati.
gli albori dell'alpinismo
furono gli stranieri a salire
per primi le cime della valle. Poi,
ultimata la fase pionieristica, la val
Grosina cadde per molto tempo
nell'oblio, senza per questo perdere
minimamente il suo fascino.
egli anni '70, grazie alla straordinaria guida alpina Duilio Strambini, ci fu la
rinascita alpinistica della valle: egli ne
percorse creste, pareti e ghiacciai in ogni
direzione e stagione.
Di Duilio vi parleremo in queste pagine
e per farlo vi mostreremo anche la
terra che ha tanto amato e a cui il
suo nome è indissolubilmente
legato.
A
N
12
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina
Eita e il sasso Maurigno (11 luglio 2011, foto Giacomo Meneghello).
Duilio Strambini ai piedi delle
pareti nord dei pizzi Palù (foto
archivio Strambini).
13
Speciali
Personaggi
Prologo
L’
La val Grosina Orientale vista dalla vetta del Sasso Maurigno (21 luglio 2011, foto Giacomo Meneghello - www.clickalps.com).
La cima Viola (m 3374), la più alta vetta della val Grosina. In primo piano fioritura di eriofori presso il lago Venere (9 agosto 2011, foto G. Meneghello).
invito di Duilio a fare un giro
insieme fra le sue montagne per
me novellino era stato davvero allettante. Come fossi arrivato a Grosio,
da dove si partiva, non lo ricordo;
ricordo però che già percorrere la
val Grosina al buio (si era verso fine
settembre) a bordo di una vecchia
moto svizzera riassemblata, che Duilio
aveva avuto in prestito da un cugino,
era stata un’avventura; la mulattiera
verso Eita era tutta sconnessa e a un
certo punto, dovendo procedere ad
andatura sostenuta per evitare che il
motore si arrestasse, un sasso ci aveva
fatto perdere l’equilibrio ed eravamo
andati a gambe all’aria: giusto qualche
botta, e un paio di ramponi appesi
fuori dallo zaino (per fortuna poco
affilati) in testa! Per nulla scoraggiati,
avevamo poi raggiunto il rifugio Falck
per la notte. Il giorno seguente, a causa
del gran vento, della Piazzi non si era
fatto nulla, e avevamo così ripiegato
sulla traversata del Sasso Maurigno.
L’anno dopo fu la volta della cima
Viola dalla capanna Dosdé, seguita
dalla cima settentrionale di Lago
Spalmo. Quel giorno, che conservo
nello scrigno dei regali più preziosi, fu
per me una rivelazione, e da allora la
mia passione per la montagna, e per la
val Grosina in particolare, non è mai
venuta meno, cosa di cui – dopo tanto
tempo che ci ha lasciati – sono ancor
oggi grato a Duilio e al suo sorriso.
Da dove aveva ereditato la passione per la montagna?
Sicuramente Duilio portava dentro di sé il forte legame dei grosini
alla propria valle, e questo legame lo
esplicò – lui che aveva studiato – non
nelle tradizionali attività contadine e
pastorali dei suoi avi, bensì nell’esplorazione della montagna, un’attività
che gli permise di abbinare – per usare
le parole di Massimo Mila – “le due
facoltà supreme dell’uomo: la facoltà
teoretica e la facoltà pratica, il conoscere e il fare”. Del resto la val Grosina, la sua valle, era stata la culla di
un certo alpinismo di ricerca di fine
‘800, nel quale Duilio si riconosceva;
e poi, Grosio aveva già espresso personaggi singolari come Bartolomeo
14
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Germano e Duilio Strambini (1951, foto archivio Strambini).
Sassella (il primo salitore solitario
della cima Viola), il canonico Cristoforo Pini (quello del colle tra le due
cime del Redasco) o Pietro Rinaldi (la
guida di Sinigaglia), dei quali Duilio
potrebbe considerarsi un epigono.
ur fiero della sua identità montanara e grosina, Duilio andò
però ben oltre i confini della valle,
nell’alpinismo come nella vita. Se il
legame con la sua terra, da un lato, lo
nutrì e lo fece crescere con salde radici,
la passione per l’alpinismo, dall’altro,
lo aprì al mondo; alimentate da quelle
radici, infatti, le sue fronde si estesero
ad incontrare altre fronde e a dare
nuovi frutti.
P
Gli inizi
Le montagne della val Grosina – “un
labirinto di valli, di balze, di varchi,
di boschi, di pascoli, sormontati da
ghiacciai e da cime superbe” (così la
Guida alla Valtellina del 1884) – sono
sempre rimaste un po’ nell’ombra a
causa della vicinanza dei più famosi
gruppi dell’Ortles e del Bernina;
ma forse proprio per questo hanno
attratto, come una donna bella ma
poco appariscente, chi ne ha saputo
apprezzare i pregi nascosti. Questi
pregi Duilio li ha saputi interpretare
e cogliere appieno fin da ragazzo col
suo entusiasmo, curiosità e passione,
non accontentandosi però di tenerli
per sé ma cercando di farli conoscere
e apprezzare in una cerchia più vasta
di amici e appassionati di montagna.
Dal libro del rifugio della capanna
Dosdé, settembre 1964: «Partiti da
Grosio a piedi (purtroppo!) alle ore 9
dopo circa ore 9 di viaggio, ostacolati da
un vento incessante, dalla fitta nebbia e
dall’oscurità, ci accampiamo con nostra
tenda canadese presso i due laghetti
sopra il lago Negro, poco distante da
questo rifugio (quota 2662)».
Non sono che ragazzi (ràis, diremmo
in grosino), ai quali sicuramente
non mancano l’entusiasmo, la voglia
di avventura e lo spirito di gruppo
(si qualificano membri di un certo
“SWOB Club”, «in attesa che si costituisca in Grosio una sezione C.A.I.»).
“Capoguida” è Duilio, 17 anni; con
lui ci sono suo fratello Germano e
i cugini Battista ed Egisto Gilardi,
rispettivamente 15, 12 e 10 anni.
Nei giorni seguenti, approfittando di
qualche sprazzo di bel tempo, salgono
prima verso il Saoseo fino alla quota
3056 e poi verso la Viola fino ai piedi
del ghiacciaio, ma le nebbie li tengono
lontani dalle cime; allora, per lasciare
Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina
15
Speciali
Personaggi
Alpinismo dei pionieri
Eliana e Nemo Canetta
utti lo sanno: gran parte delle
Alpi sono state calcate per la
prima volta dagli alpinisti inglesi! I
nostri colleghi d’oltre Manica già a
metà dell’Ottocento disponevano
di due fattori a quei tempi assai rari
nell’Europa continentale: denaro
e tempo. Essi infatti, sbarcati a
Calais, non si affrettavano neppure troppo verso le agognate mete
alpine: visitavano la valle del
Reno, le cantine di Borgogna, e
perché no, facevano una puntata
sui celeberrimi laghi svizzeri. Poi
finalmente raggiungevano la meta
tanto sognata. Ben comprensibile,
se pensiamo che il Ben Nevis, la
vetta più alta delle isole britanniche, non raggiunge i 1500 metri;
una modesta cima delle Prealpi.
Sulle Alpi i touristes, provenienti da Albione, assoldavano le
migliori guide e robusti portatori,
che gli trasportassero sin sotto le
vette l’ingombrante attrezzatura
e sovente pantagruelici pasti, ed
iniziavano delle campagne alpinistiche che potevano durare settimane se non mesi.
Va detto che questi inglesi non si
limitavano alle grandi vette, quali il
Bianco o il Cervino, ma, con vero
spirito esplorativo, penetravano
un po’ in ogni valle ove vi fossero
cime vergini e vette di bell’aspetto,
tra l’attonita meraviglia dei nostri
montanari.
Sta di fatto che le Alpi di val
Grosina non sfuggirono a questa
regola generale, offrendo un territorio pressoché inesplorato e cime
dal fiero aspetto. E così il pizzo di
Teo, le cime del lago Spalmo, il
corno di Dosdé, il pizzo Paradisino,
senza contare altre cime minori,
nel 1866 caddero sotto l’assalto
determinato di D. W. Freshfield,
Y. D. Walker, H. P. Thomas, F. A.
Lewin, J. D. Finney. La cima dei
Piazzi, restata incredibilmente
vergine, venne conquistata l’anno
successivo dallo svizzero J. J.
Weilenmann, condotto dalla guida
tirolese F. Pöll, che (finalmente!)
utilizzarono come portatore Santo
16
Le Montagne Divertenti Alfredo Corti (1908, archivio Corti - CAI Valtellinese).
T
Romani di Premadio: il primo
connazionale che abbia salito
qualche vetta importante delle Alpi
di val Grosina.
Ancora per anni, allontanatisi gli
inglesi probabilmente verso altre
mete e vette vergini, svizzeri e
tedeschi proseguirono metodici
l’esplorazione.
Ma iniziarono pure ad affacciarsi
gli italiani. Nel 1875 B. Sassella
conquistò la cima Viola e nel 1876
il celebre D. Marinelli, con la fida
guida B. Pedranzini, vinse in prima
italiana la cima dei Piazzi. Verso
la fine del secolo si impose, tra i
pionieri dell’alpinismo su queste
montagne, Giorgio Sinigaglia, un
valido alpinista milanese che effettuò numerose prime salite e che
sparì all’improvviso dall’orizzonte
della sezione milanese del CAI
falciato in giovane età dal tifo.
In sostanza, prima della Grande
Guerra, la vera e propria fase
esplorativa sulle alpi di val Grosina
può dirsi conclusa; non è un caso
quindi che Alfredo Corti e Walther
Laeng nel 1909 abbiano dato alle
stampe “Le Alpi di Val Grosina” la
prima (e per moltissimi anni unica)
guida di quel territorio. Tuttavia già
allora vi erano i segni premonitori
di quanto avvenne successivamente. Corti e Laeng scrissero
infatti: « .. Le Alpi della Val Grosina non mancano già di illustratori, mancano invece di numerosi
visitatori… ».
Abbiamo già ipotizzato in
precedenza le motivazioni di tale
fenomeno; resta il fatto che allora
la val Grosina disponeva di un’attrezzatura turistica (con tutti i limiti
dell’epoca) non certo inferiore a
quella di mezzo secolo dopo. I due
rifugi di Malghera ed Eita erano in
piena funzione e in quest’ultimo
il CAI Milano aveva disponibili
alcune stanze. La stessa sezione
aveva costruito la modesta, ma
per il tempo confortevole, capanna
Dosdé e ad Eita esisteva perfino
un albergo, ancor oggi identificabile non lungi dal rifugio.
Ma nel primo dopoguerra turismo
ed alpinismo si fecero di massa;
tutte persone però che, al contrario
dei touristes inglesi, avevano pochi
soldi e poco tempo. Si dirigevano
ovviamente verso mete più facili
da raggiungere e meglio servite.
La val Grosina scivolò gradatamente in un oblio che è continuato,
con qualche eccezione, sino alla
fine del XX secolo.
Autunno 2011
un segno del loro passaggio, si divertono ad erigere dei matòch (ometti
di pietra). Alla capanna Dosdé Duilio c’era già stato l’anno prima, col
cugino Bruno Gilardi e con Silvano
Borsi, ma questa volta – sarà per il
senso di avventura con la tenda, sarà
per l’avvicinamento alle cime, sarà per
il fascino di quei luoghi così isolati –
la montagna l’ha davvero conquistato.
E così, eccolo ritornare “in Dosdé”
ai primi di luglio dell’anno successivo,
con Bruno, Silvano e Lucia Strambini;
pur lamentando lo stato precario della
capanna – coperte bagnate, muffa
dappertutto e cucina economica fuori
uso – ringraziano comunque il CAI
Milano per l’ospitalità in quel suo
rifugio che, su iniziativa di Antonio
Cederna, era stato costruito lassù nel
1891.
Verso fine luglio, tornano nuovamente alla carica. Stavolta il gruppo
si è allargato: oltre ai grosini (un
misto di compagni delle spedizioni
precedenti con nuovi acquisti come
Stefano Pruneri), c’è pure una ragazza
australiana ventitreenne, Patricia
Edwards. Stavolta la sgambata fino
a Eita gliela risparmia una vecchia
Volkswagen poi, carichi come muli
(18-20 kg ciascuno), raggiungono la
capanna Dosdé, punto di partenza per
le loro ascensioni ma anche punto di
riposo dove stare «in allegria fra piatti
di polenta, bistecche, spaghetti al sugo,
ecc.». Il giorno dopo – così ancora dal
libro del rifugio – Duilio e Bruno si
uniscono a tre religiosi del PIME1 e
insieme raggiungono la vetta della
Viola. «Nella discesa, a metà ghiacciaio Duilio scivola trascinando con sé
3 componenti della cordata ma Bruno
(detto Maciste) evita una catastrofe
aggrappandosi alla piccozza con un
potentissimo violentissimo e sicurissimo
colpo di reni». Al ritorno – ricorda
Duilio – incontrano «due guide del
CAI Praolini e De Lorenzi», salite lassù
a rinnovare la segnaletica di accesso al
rifugio: sono Bepin e Delo, coi quali
si intreccia una «interessante chiaccherata», preludio di future amicizie con
l’ambiente alpinistico di Bormio.
Il giorno seguente, attacco al Corno
Dosdé: «Bruno dopo vari tentativi
abbandona, Duilio invece riesce a rag1 - Pontificio Istituto Missioni Estere.
Le Montagne Divertenti Storiella tratta dal diario di Duilio Strambini.
giungere la vetta dove su un apposito
registro custodito in una scatola di Ovomaltina, scrive i nomi di tutta la compagnia». Un bello schizzo a penna di
quella vetta rocciosa (sempre sul libro
del rifugio) ci rivela la mano felice di
Duilio e il suo talento grafico, anticipatore della successiva scelta degli
studi di architettura.
Sulle tracce dei pionieri
N
el 1909 il GLASG (Gruppo
lombardo alpinisti senza
guide) aveva pubblicato la guida Le
Alpi di Val Grosina, curata da Alfredo
Corti e Walther Laeng. Perché – si
erano allora chiesti gli autori – quei
monti venivano ancora così poco frequentati dagli alpinisti, nonostante
fossero stati già in precedenza per-
corsi e dotati di rifugi, studiati e illustrati, non solo sul nostro Bollettino e
sulla Rivista Mensile, ma anche sulla
Zeitschrift dei tedeschi, e addirittura
sull’Alpine Journal, la prestigiosa rivista dell’Alpine Club di Londra?
La stessa domanda, sessant’anni
dopo, doveva essersela posta anche
Duilio. Se non siamo noi di Grosio
i primi ad interessarci delle nostre
montagne, a conoscerle e a farle conoscere, perché meravigliarci se altri non
le frequentano? Lui per primo doveva
quindi darsi da fare, con la sua curiosità di giovane alpinista, la sua passione e il suo entusiasmo.
La guida di Corti e Laeng rappresentò in un certo senso la sua bibbia,
il punto costante di riferimento e di
partenza; ma per completezza e per
andar oltre Duilio attinse pure ai “libri
Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina
17
Speciali
Personaggi
versante sud. E poi, in più occasioni
percorse il ghiacciato spigolo nord,
aggregandosi a vecchi amici o accompagnandone di nuovi. Un’altra volta
si trovò invece ad accompagnare in
vetta, lungo il canalone SO, una trentina di alpini del Battaglion Tirano.
Di altre imprese si parlerà più avanti.
i sono poi le vette della val di
Sacco, che toccò più volte alla
fine degli anni ‘60, con partenza da
Malghera, dove la Fabbriceria di Grosio aveva a suo tempo realizzato un
Ricovero a uso degli alpinisti. Eccolo
dunque affrontare Sassalbo e Sperella, ai cui piedi si annidano alcuni
bei laghi tra cui il läch del dräch dove
la leggenda popolare fa dimorare un
drago, che risale dalle acque in occasione dei temporali.
a Sperella è una montagna particolare per Duilio, legata alla
memoria di una zia, Jolanda Gilardi,
precipitata dai suoi dirupi appena
ventunenne raccogliendo stelle alpine:
toccarne la vetta rappresentò quindi
per lui quasi una specie di intimo
pellegrinaggio familiare. Una volta,
reduce dalla nord del Cristallo, Duilio si sovvenne che il giorno seguente
era proprio l’anniversario della morte
della zia; certo a Daniela che l’accompagnava, dopo tanto scarpinare una
vetta via l’altra, un giorno di riposo
non sarebbe dispiaciuto, ma tant’è:
quale miglior modo di ricordare la
zia, insistette Duilio, se non facendo
la Sperella?
E poi, eccoci al pizzo del Teo, forse
il gioiello alpinistico della valle. Duilio ha letto le relazioni di Freshfield,
l’inglese che primo lo salì dalla valle
di Poschiavo con la guida F. Dévouassoud, e di Ronchetti che, ritenutolo a
prima vista “assolutamente inaccessibile a chi va senz’ala”, ne vinse poi
con L. Compagnoni lo spigolo sudest, “quasi a picco, vertiginoso fin che
si vuole, ma rotto e ricco di appigli”.
Preso dall’entusiasmo, Duilio non
ci pensa due volte e da Malghera,
scavalcato il "boecc' del Teo" e aggirati
i grandi salti di roccia sul versante
svizzero, ne guadagna la vetta: «una
magnifica solitaria!» per festeggiare
il giorno di ferragosto del 1969. Il
giorno dopo è la volta del Corno
Lago Negro, salito dal lago Scalpellino per lo spigolo sud-ovest.
C
L
Il versante nord della cima dei Piazzi. Sulla lunga cresta di destra (cresta Sinigaglia) si distinguono, da destra, i corni di Verva e il corno Sinigaglia. Il
primo percorrimento integrale di tale cresta è impresa di Duilio Strambini con Bruno Gilardi del 1971 (7 aprile 2010, foto Giacomo Meneghello).
Pian del Lago, sullo sfondo si distingue l'accuminata vetta Sperella (22 maggio 2011, foto Luca Carloni - www.nikonista.it/brata).
La cima Piazzi disegnata da Duilio Strambini.
sacri” più antichi e più recenti sulla val
Grosina, con una sorta di riverenza
per i loro autori – inglesi, tedeschi e
italiani – e le loro imprese, a partire
dai Freshfield, Coolidge e Prielmayer, passando per i Cederna, i Sinigaglia e i Ronchetti, fino ai Vallepiana
e Bonacossa degli anni ‘20 e ‘40.
Eccolo dunque seguirne le tracce,
ripercorrerne gli itinerari, tanto in
compagnia di amici, quanto in solitaria. Quello di Duilio, oltre che alpinismo di riscoperta, fu anche alpinismo
di ricerca: non si accontentò infatti
dei percorsi più evidenti alle principali cime della regione, ma andò a
scovare angoli reconditi e dimenticati, lasciandosi pure ammaliare dal
fascino della montagna invernale,
forse memore del racconto entusiasta
18
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti di Sinigaglia sull’ascensione al Sasso
di Conca nel febbraio del 1896.
Quante volte salì la
Piazzi, vetta più elevata
della regione, da solo o
in compagnia, da tutti
i versanti, in tutte le
stagioni!
Quasi nessuno la raggiunge di solito
per la cresta ovest (non banale) dal
Corno Sinigaglia: lui, solo soletto, lo
fece ai primi di novembre del 1969,
in «una meravigliosa giornata di sole»
(e lo ripeté, sempre da solo, quattro
anni dopo); quasi nessuno vi sale poi
nelle brevissime giornate d’inverno:
lui, col cugino Bruno, lo fece il giorno
dopo Natale dello stesso anno, per il
Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina
19
Speciali
Personaggi
Schizzo originale di Duilio Strambini.
20
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
A
lla testata della val di Sacco c’è
poi il Saoseo, che si innalza tra
Italia e Svizzera a dividere quattro vallate: Duilio, il giorno dopo ancora, vi
sale dal passo di Sacco lungo la cresta
di confine. Mentre l’anno precedente
l’aveva traversato in senso inverso, in
compagnia, stavolta è solo. Scende
alla capanna Dosdé e da lì, pur col
tempo incerto, prosegue nel suo progetto ambizioso: la traversata delle
cime di Lago Spalmo. Ma il tempo,
come si legge in un post scriptum sul
libro del rifugio, non glielo permette:
«tentativo fallito! Tutto da rifare».
Nell’ottobre di due anni dopo,
però, la traversata va a buon fine,
con Bruno Gilardi e Franco Rinaldi.
«Forse nella discesa – scriveva Duilio
– troveremo il bivacco “fantasma” che
una sezione del CAI misteriosamente
ha deciso di piazzare nella zona». Il
bivacco, che due soci dei CAI Desio
precisavano un po’ piccati non essere
affatto “fantasma”, era il bivacco Caldarini, posto in opera poco tempo
prima ai piedi della cima orientale di
Lago Spalmo.
Anni dopo, il caso volle che una
sera di giugno del 1975 ci si ritrovasse
casualmente proprio in quel bivacco,
semidistrutto dal soffio d’aria di una
valanga. Già io e Badoglio eravamo
arrivati tardi, col buio, svegliando
alcuni austriaci che vi si erano sistemati alla bell’e meglio, guidati da
quel Felix Holzermayr di Salisburgo
di cui trovavamo sempre la firma sui
libri di vetta o dei rifugi; e in qualche
modo ci eravamo sistemati anche noi
quando… “Trambusto in bivacco.
Accidenti, stanno già partendo?
No, sono solo le undici. C’è gente.
Non siamo solo noi i ritardatari del
Calda…. uehilà, Duilio…”. Ed erano
addirittura in quattro! Ad ogni buon
conto – continua Badoglio – “in
montagna ci vuol poco per sistemare
in qualche modo le situazioni più
problematiche”, e così il giorno dopo
anche noi “ci aggreghiamo alla ditta
Duilio: tutti all’Orientale”.
Non solo val Grosina, però.
Alle ascensioni fra le montagne
di casa Duilio inframmezzò fin
dagli inizi diverse uscite nei gruppi
dell’Ortles, del Bernina o del Màsino:
eccolo aggregarsi ora al CAI Tirano
(presieduto da Emilietto Nani «che
Le Montagne Divertenti Duilio in vetta alla cima settentrionale di Lago Spalmo (26 settembre 1969, foto Raffaele Occhi).
vien su passo passo con il suo carico
d’anni»), ora alle guide di Bormio
(«Bepin, Ciano, Ughino, Egidio e
Tullio»), ora alla Scuola di alpinismo "Luigi Bombardieri" diretta da
Celso Ortelli («occasione per conoscere
le montagne della ValMàsino e della
Valmalenco, ma soprattutto per fare
conoscenza e amicizia con tutto il clan
alpinistico della sezione valtellinese»).
Fra quelle montagne Duilio ci tornerà spesso; alla Thurwieser e al Gran
Zebrù, ad esempio, dove la sua figura
si distingueva per il cappello di feltro
tirolese con laccio sottomento, oppure
al Bernina, che raggiunse con Daniela
e Margherita nel tardo pomeriggio di
un giorno d’estate in barba alla pioggia del mattino: e quando, verso le 9
di sera, rientrarono alla Marco e Rosa,
si godettero l’affascinante spettacolo
dell’ultimissimo sole che, sotto il cielo
ormai stellato, stendeva grandi pennellate di giallo e di rosso – un «fantastico festival di colori» – sulle valli
sottostanti già immerse nel buio. E
il giorno successivo, dopo aver salito
il pizzo Argento, se ne tornarono
infine a casa ormai squattrinati, non
senza essersi concessi – su proposta di
Duilio – il “lusso” di una coppa del
nonno ciascuno, dando fondo agli
ultimi spiccioli. Un’altra volta, con
Giulia, Paola, Mauro e Nino, fece
la traversata dei Palù lungo l’aerea e
vertiginosa cresta di confine, con l’ac-
cordo che, nel caso uno fosse scivolato
da un lato, gli altri si sarebbero gettati
da quello opposto per far da contrappeso (come aveva fatto nel 1878 la
grande guida Hans Grass salvando la
vita ai suoi clienti). Il rientro per la
Fortezza fu però lungo e penoso, vuoi
per la neve molle, vuoi per il mal di
piedi, vuoi infine per il tempo volto
al brutto; e quando finalmente giunsero alla Diavolezza, il vento che nel
frattempo si era alzato aveva bloccato
la funivia così che, stanchi e assonnati,
trascorsero la notte sui gradini del
rifugio!
La sua prima puntata fra le montagne del lecchese – cresta Segantini alla
Grignetta con Nino Zappa – lo lasciò
invece un po’ deluso per l’ambiente.
«Ho sentito molto la mancanza dello
spettacolo di cime, creste e ghiacciai che
di solito offre l’ambiente di montagna
– ricorda. Alpinismo non è soltanto
la soddisfazione dell’arrampicata, del
superamento delle difficoltà ma è anche
l’occasione, la possibilità di gustare degli
straordinari spettacoli della natura in
un ambiente unico e meraviglioso».
E allora il suo cuore torna a battere
per le montagne della val Grosina,
anche quelle apparentemente più
umili, come lo Storile (che raggiunge
in tutte le stagioni, da tutti i versanti, da solo o in compagnia, spesso
partendo a piedi fin da Grosio), o il
Sasso Calosso e il monte Fo, il Sasso
Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina
21
Speciali
Cima Rossa
(3095)
C I M E
D I
Personaggi
R E D A S C O
Punta Maria
(3139)
Punta Elsa
(3095)
Colle Pini
(2930)
Le cime di Redasco viste da Susen. Sono 2 vette di forme ardite di cui la maggiore è la bifida punta Maria (m 3139) e la minore, posta più a O oltre la
breccia del colle Pini, è la punta Elsa (m 3095). Sono costituite da roccia friabilissima e salirle è molto rischioso (19 gennaio 2010, foto Meneghello).
Il lago Negro in val d'Avedo e, tra le nebbie, la cima Viola (m 3374) (3 giugno 2007, foto Luca Carloni - www.nikonista.it/brata).
Campana, l’Alpisella, il Farinaccio;
per non parlare dei rinnovati colloqui
con le vecchie conoscenze, come il
Sassalbo e la Sperella, il Teo e il Maurigno, la Piazzi o «la mia cara Viola».
28 luglio 1970: sulla nord del
Corno Dosdé, fino ad allora inviolata, sono impegnati nelle ultime difficoltà Gianni Costantini, Sergio Pozzi
e Walter Palfrader. Duilio si propone
di accoglierli in vetta, che raggiunge
in solitaria e con una buona dose di
rischio per le pessime rocce del contrafforte a destra della nord («la mia
quotidiana pazzia»); ma dei tre alpinisti nessuna traccia, nessuna risposta
ai suoi ripetuti richiami. Sceso a valle,
trova tutti in allarme, con le squadre
di soccorso – lui compreso – pronte a
partire, «quand’ecco che con gran gioia
e sollievo di tutti» i tre alpinisti rientrano sani e salvi.
Poco più di un mese dopo, a chiudere la sua stagione alpinistica, Duilio
sale la punta Maria del Redasco per
la cresta nord. Sul suo diario, nessun
particolare; su un’agenda: «17 settembre Punta Maria del Redasco! Da ricordare!», su un foglio sparso, infine, un
laconico commento: «E qui purtroppo
mi sono fermato. Fin quando?»
Il sorriso di Duilio
D
uilio Strambini (soprannome
di famiglia: Fis) era nato a
Grosio il 2 agosto 1947. Dopo le
medie, volendo proseguire gli studi
superiori, optò per il liceo classico al
Collegio Gallio di Como. Fu in quegli
anni che, grazie all’incontro con mio
fratello sulle sponde del Lario e alle
comuni origini valtellinesi, cominciò
a frequentare l’ambiente di Bormio:
l’appuntamento abituale era all’Alpenrose dove, con la scusa di un caffè,
ci si ritrovava in compagnia nei pomeriggi di settembre; e così Duilio, col
suo modo di fare semplice e schietto
ma pieno di calore umano, il suo
entusiasmo e il suo sorriso aperto agli
altri, strinse amicizie salde e durature.
Sguardo dolce e sorridente, quando
ti parlava delle sue montagne Duilio si
illuminava, e i suoi occhi riandavano a
quel nevaio, a quella ganda, a quella
cresta che l’avevano portato in vetta,
o anche solo a quel colle da dove,
22
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Duilio e Giuliano Maresi in vetta alla Grignetta. Sullo sfondo il Grignone (foto archivio Strambini).
magari accolto da una raffica di vento,
la vista gli si era aperta su un mondo
nuovo, promettendogli nuove avventure; e nel prosieguo del racconto i
suoi occhi riflettevano la luce delle
montagne che li avevano illuminati:
quella gelida dell’alba, quella calda
della roccia di mezzogiorno o quella
infocata del tramonto. Tutte queste
sensazioni, difficilmente comprensibili a chi non le ha vissute, Duilio le
comunicava con entusiasmo e naturalezza, e si entrava subito in sintonia.
Avendone salito tutte le cime ed
esplorato gli angoli più appartati,
Duilio era un po’ il genius loci della
val Grosina. Se ti rivolgevi a lui per
chiedere qualche informazione su
una montagna che ben conosceva era
prodigo di consigli e di suggerimenti.
Era stato lui a raccomandarci la cresta
sud-ovest della Viola, a spiegarci che a
metà percorso – dove un blocco incastrato sembra impedire la prosecuzione – bisognava strisciare per alcuni
metri in una specie di galleria tra il
blocco e la parete. E ne era ben valsa
la pena seguire i suoi consigli! Era
stato ancora lui a farci sapere le condizioni della cresta sud della Sperella,
dopo una precoce nevicata autunnale;
e quando al ritorno eravamo passati
a Grosio a salutarlo, e ringraziarlo,
il sorriso con cui ci accolse insieme
a Giulia ci fece subito capire quanto
fosse contento che anche noi amassimo le montagne della sua valle e
quanto importanti fossero per lui le
amicizie nate dalla comune passione
per la montagna.
La sera al rifugio, o nel corso del
bivacco, Duilio non mancava mai di
rallegrare la compagnia strimpellando
qualche motivetto con l’inseparabile
armonica, magari accompagnando
un canto seduti intorno a un tavolo
con un bicchier di vino; durante l’ascensione poi si soffermava volentieri
a contemplare con occhi incantati lo
spettacolo dalla natura all’intorno,
affascinato «da una meravigliosa luna
piena» o dallo «scenario delle montagne circostanti che assumono col sole
nascente colori stupendi». Poi ti indicava con gioia quella cima o quell’altra
dov’era stato in precedenza, i percorsi
per raggiungerle, le difficoltà, le bellezze del paesaggio. In vetta, spesso
prendeva un foglio e, studiando con
occhio indagatore i particolari di
una montagna che lo interessava, li
fissava in uno schizzo accompagnato
da appunti e annotazioni. Pure nella
fotografia esprimeva il suo talento,
catturando sulla pellicola con occhio
artistico l’essenza e gli aspetti più
peculiari della sua valle e delle sue
montagne, in tutte le stagioni e in
tutte le ore, dalle vedute panoramiche ai più minuscoli fiori, non solo
come memoria per sé ma anche come
ricchezza da condividere con gli altri
(salvo alcune foto d’arrampicata che
dovevano essere “censurate” e tenute
nascoste alle mamme apprensive).
Con la sua precisione e meticolosità,
Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina
23
Speciali
Personaggi
Pecore sopra Redasco (29 agosto 2011, foto Beno). Un tempo la ricchezza della val Grosina era data dai numerosi capi monticati nei suoi grandi
pascoli. Dati alla mano si evince che a inizio anni '60 venivano monticati 819 vacche, 440 vitelli, 200 manze, 972 ovini e caprini, 189 equini e ca.
600 suini! Ora il numero di capi è notevolmente diminuito (si stimano meno di 200 vacche).
Fienagione a Malghera. I pascoli e i boschi della val Grosina sono ancor oggi curati dalla instancabile tenacia ed operosità degli abitanti di Grosio
e Grosotto che dimostrano grande attaccamento ai loro monti (20 luglio 2011, foto Beno).
uniti alla passione, curiosità e profonda preparazione culturale, sarebbe
stato certamente il più degno continuatore dell’opera di Corti e Laeng
nell’aggiornare e rinnovare la guida
sulle Alpi di val Grosina.
Laureatosi in architettura a Milano,
per un breve periodo lavorò presso
uno studio a Coira, ma poi le difficoltà
per restare in Svizzera non disgiunte
dalla passione per la montagna che
lo prendeva sempre più lo convinsero a rimanere a Grosio, coniugando
il lavoro di insegnante con quello di
architetto e, più tardi, con quello
di guida alpina. Anche durante il
periodo del Politecnico, Duilio non
aveva mostrato alcuna propensione a
diventare cittadino: il richiamo della
montagna era così forte che in cinque anni non passò mai un fine settimana a Milano! Ma ciononostante,
il tempo della vita di città lo visse
intensamente, arricchito dalla frequentazione quotidiana con gli amici,
ed in particolare con i fratelli Barzani
– Mauro, Giuliano e Daniela – conosciuti in quel di Bormio, coi quali si
instaurò un forte legame di reciproca
stima. Con Mauro condivise non
solo la passione per la montagna ma
anche quella per il restauro architettonico, e così svolsero insieme un po’
di attività professionale; rimangono
però nel ricordo soprattutto le loro
scampagnate in moto lungo le valli
del Bormiese (un modo per portarsi
più rapidamente in quota) e le tante
avventure in montagna.
na volta, verso metà novembre, partirono da Milano
diretti in val Grosina per un giro
di ricognizione in quota; al rifugio
Falck arrivarono però che nevicava
fitto fitto, e continuò tutta la notte.
Il ritorno fu memorabile: slavinava
in tutti i valloncelli e quindi, prima
di attraversarli, uno sguardo attento
verso l’alto e poi via di corsa fino al
successivo tratto riparato nel bosco.
Quando arrivarono a Fusino, la macchina non si vedeva più da tanta neve
era caduta!
Contrariamente a quanto le sue
numerose salite in solitaria potrebbero
far pensare, Duilio non fu affatto un
amante della solitudine, anzi; gli piaceva stare in compagnia, e il suo viso
sempre sorridente, la sua dolcezza, la
U
24
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Duilio in vetta alla punta Thurwieser (giugno 1970, foto archivio Strambini).
sua semplicità lo facevano benvoluto
da tutti. L’allegria di certe giornate
con gli amici ricorre spesso nei suoi
diari, talvolta scherzosamente affidata
ad un linguaggio alpinistico dove le
placche, gli spigoli e i colatoi lasciano
il posto a più prosaici termini gastronomico-culinari: «affronto e supero un
gran piatto di spaghetti, un numero
imprecisato di squisite costine alla griglia e alcuni impegnativi bottiglioni di
buon vino»!
li piaceva cantare, divertirsi,
andare a ballare con gli amici.
Allora andava per la maggiore una
balera con juke-box a Premadio, e un
giorno, di ritorno da un’ascensione,
decisero di andarci tutti insieme a fare
quattro salti; chi aveva casa a Bormio
poteva andare a cambiarsi, lui invece
– impensabile andare e tornare da
Grosio – rimase in tenuta da montagna e si ritrovò a ballare coi pantaloni
alla zuava e gli scarponi da montagna!
Nell’agosto del 1973, Duilio si
aggregò ad un gruppo di amiche ed
amici per un viaggio in Spagna. I
medici gli avevano consigliato – a lui
patito di montagna – un po’ di mare,
per i tardivi postumi di una frattura
subita tempo addietro, quando un
sasso gli aveva colpito una gamba
durante un’ascensione (quel misterioso «17 settembre Punta Maria del
Redasco! Da ricordare!»). Daniela, vincendo la sua titubanza, lo convinse ad
G
unirsi alla loro compagnia che aveva
in programma un giro con le tende in
Spagna, dove avrebbe potuto così fare
un po’ di mare come gli avevano consigliato, ma anche godersi il piacere di
un viaggio, conoscere nuove persone e
nuovi luoghi, visitare città d’arte.
Anche in riva al mare, però, l’anima
montanara di Duilio non si smentì:
in costume da bagno, scarponcini ai
piedi, dovunque trovava una roccia vi
si cimentava ad arrampicare. Poi, un
bel giorno, dinanzi alla tenda delle
ragazze, comparvero dei fiori di geranio, un gentile pensiero, un sorriso…
E lì scoccò la scintilla che lo porterà al
matrimonio con Giulia; una scintilla,
comunque, all’insegna della montagna, che già in quell’occasione li portò
a salire insieme un tremila nella Sierra
Nevada, il Pico de Veleta sopra Granada, la seconda montagna più alta
della penisola iberica.
Le grandi salite
“Che cosa resterà di me?
Del transito terrestre? Di
tutte le impressioni che ho
avuto in questa vita?”
La musica e le parole di Franco
Battiato, pur nella loro apparente leggerezza, vanno al profondo, al senso
dell’esistenza. E di un alpinista, che
Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina
25
Speciali
Schizzo originale di Duilio Strambini.
cosa resta? Di tutte le sue scalate?
Della luce dei suoi occhi?
La montagna è qualcosa che,
quando ti ha preso, diventa parte
della tua vita. Come la pittura, come
la musica. Mallory scriveva che “una
giornata bene impiegata nelle Alpi è
come una grande sinfonia”. Una sinfonia: dopo che l’hai ascoltata, e l’aria
non vibra più di suoni, sembra non
sia rimasto nulla, ma invece resta: in
chi l’ha composta, in chi l’ha suonata,
in chi l’ha ascoltata, e in chi l’ascolterà. Così una scalata: dopo che l’hai
compiuta, e alla sera il buio avvolge
le montagne, sembra non sia rimasto
nulla, ma invece resta: in chi l’ha pensata, in chi l’ha compiuta, in chi l’ha
ripetuta, e in chi la ripeterà.
Ecco, mi piace pensare alle scalate
di Duilio come a pezzi musicali, di
cui le sinfonie – con la loro articolazione e l’ampio respiro – sono le
grandi salite: non più solo riscoperta
di vecchi itinerari, ma anche apertura
a più vasti orizzonti, ricerca di vie
nuove, grandiose cavalcate in cresta,
prime invernali. Il salto di qualità non
fu che la naturale evoluzione del suo
alpinismo, in forza dell’esperienza
acquisita, della consapevolezza delle
proprie capacità alpinistiche e della
forte determinazione. Pur aperto ai
fermenti dell’innovazione, alle provocazioni sessantottine di Rassegna
Alpina Due, l’alpinismo di Duilio
rimase però fondamentalmente radicato al solco della tradizione classica.
i comincia dal pizzo Matto.
Ardita ed elegante vetta rocciosa
tra la val d’Avedo e la val di Sacco,
offriva ancora versanti e itinerari inesplorati. Duilio doveva aver più volte
messo gli occhi sul crestone sud-ovest
e l’11 luglio 1971 ne compie il primo
percorso col cugino Bruno Gilardi,
aprendo quella che lui battezza la
“via dei matt”: «un’arrampicata interessante, tutta varia, bella e divertente
che quel senso di scoperta proprio di
una prima ascensione m’ha fatto gustare
ancor di più». Sempre con Bruno, il
2 agosto, effettua la seconda ripetizione della nord della Viola, una bella
ed elegante via di ghiaccio (la rifarà,
in solitaria, nel luglio del 1973). Lo
stesso anno, ai primi di ottobre, torna
al pizzo del Teo con Tonino Besse­
ghini, aprendovi una nuova via diret-
S
26
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Duilio in vetta alla cima Viola (24 dicembre 1972, foto archivio Strambini).
tamente per le rocce della parete est.
Non è finita; le stupende seppur
brevi giornate autunnali invitano a
cogliere ogni occasione per andare
in montagna. Duilio, che conosce
bene la Piazzi, è rimasto affascinato
da quella lunga cresta rocciosa che
dal Colle delle Pecore, attraverso i
Corni di Verva e il Corno Sinigaglia,
porta in vetta. Sa che non è mai stata
percorsa integralmente e col cugino
Bruno, il 21 ottobre 1971, si cimenta
con successo, «sempre su e giù tra becchi, spigoli e rocce più o meno solide»,
in quella stupenda “sinfonia” alpina.
«Partiti dal Colle delle Pecore alle ore
6 – abbiamo raggiunto la vetta alle
21 – Ci apprestiamo a ridiscendere ad
Arnoga nel Buio più assoluto – Speriamo vada tutto bene», annotò sul
libro di vetta.
Arriviamo così al 1972 che – scrive
Duilio – «è per me l’anno del “grigioverde”!»; ma è pure l’anno – per
dirla con Rébuffat – degli “orizzonti
conquistati”. Dopo il corso ufficiali
alla Scuola Militare Alpina di Aosta,
Duilio viene assegnato al “Tirano”
di stanza a Malles. Campo estivo
tra il gruppo dell’Adamello e quello
dell’Ortles, con scavalcamenti e
ascensioni varie, per poi passare (con
un intermezzo all’Ortles per l’Hintergrat) al Corso alpinistico di Brigata
in val di Fassa. Per un appassionato
di montagna, è come un invito a
nozze: «ed eccomi subito in fuga con
Massimo Cappon sulle Torri del Sella
a fare conoscenza con le Dolomiti». Il
fascino di quelle fantastiche strutture
rocciose, così diverse dalla montagne
di casa, lo ammalia; fessure, placche,
diedri, camini riempiono i suoi sogni
per poi farsi realtà. E realtà diventa,
di lì a poco, anche la cima piccola
di Lavaredo, salita per la parete nord
lungo la via Helversen. Per Duilio è
un’iniezione di autostima che gli fa
superare l’avvilimento, non ancora
del tutto risolto, che l’aveva preso due
anni prima al Redasco, come si rileva
dai suoi diari: «L’ascensione, di un certo
livello, e con un grado di difficoltà maggiore di quelle sinora fatte, è stata un po’
il banco di prova delle mie condizioni
attuali e delle mie possibilità. Prova
che sento di aver superato in modo
soddisfacente convincendomi così, che,
per quanto non ancora completamente
rimesso da quell’incidente sulla Punta
Maria del Redasco, non sono del tutto
tagliato fuori, che, anche se molto lentamente sto guarendo, ho ancora delle
possibilità per raggiungere traguardi
maggiori». Da quel momento è tutto
un crescendo: Marmolada, Torri del
Vajolet sulle orme di Piaz e di Winkler, e così via.
Durante le licenze, però, Duilio
torna a dedicarsi alle montagne di
casa, dove mette a segno una serie
di “sinfonie” d’inverno: la vigilia di
Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina
27
Speciali
Personaggi
Caratteristica distintiva della val Gosina è la copiosità di laghetti alpini, di tutte le forme e colori. In questa immagine è ritratto il lago basso di
Pedruna (läch di piän del läch) (12 giugno 2011, foto Luca Carloni - www.nikonista.it/brata).
Il lago e le baite di Tres si trovano in val d'Avedo ai piedi di dosso Sabbione (sx) e cima Viola (dx). In fondo alla valle, a N del lago Nero,
c'è il passo Dosdè dove sorge la capanna Dosdé (26 settembre 2010, foto Beno).
28
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Natale del 1972 compie la prima
invernale e prima solitaria della cresta sud-ovest della Viola. L’aveva già
percorsa un paio d’anni prima, quella
bella cresta (salita per la prima volta
nel 1921 da Aldo Bonacossa con
Maria Sbrojavacca), e ne era rimasto
entusiasta. Ora le valli sono immerse
nel mantello invernale, e Duilio racconta la sua lunga giornata, la sofferenza, la felicità, con parole venate di
lirismo:
“24 dicembre. È ancora notte, la
valle è immersa in un profondo silenzio, tutta bianca di neve s’illumina
alla luce di una magnifica luna piena.
Sulle coste, sui dossi, nel bosco, si susseguono stupendi effetti di luce ed ombra.
Avanziamo lungo la strada sulla neve
soffice e scintillante provando nuove
e fantastiche sensazioni. Alla malga
Dosdé Luciano si ferma, aspetterà il mio
ritorno, e qui comincia per me l’avventura solitaria. Più che mai deciso nel
mio intento riprendo subito la lunga
marcia d’avvicinamento. La neve è soffice e farinosa, gli sci affondano, avanzo
così lentamente e faticosamente. Salendo
da solo questa valle sperduta, fuori dal
mondo, nel silenzio e nella pace più
assoluta, provo una grande gioia. Qui
tra le mie care montagne, bellissime
nella veste invernale, mi prende una
straordinaria sensazione di fiducia, di
sicurezza. A mezzogiorno, dopo parecchie ore di marcia (7), raggiungo finalmente la capanna Dosdé.
La Viola è lì, alta e bella, mi aspetta,
mi invita a salire. Lasciati gli sci, raggiungo la cresta che si presenta in buone
condizioni, tutta libera e pulita, tranne
qualche breve tratto a nord coperto di
neve e verglass. Inizio così a salire, bene
e senza difficoltà sul primo tratto, ma
subito si fa sentire la faticaccia della
lunga marcia. Decisamente provato,
salgo alternando in continuazione tratti
d’arrampicata e brevi soste per riprendere forza e proseguire. Non c’è quella
gioia della salita altre volte provata
proprio qui, su questa bella cresta, ma
soltanto un terribile senso di fatica, di
affanno. È una prova snervante che però
voglio e devo portare a termine perché
sicuramente sarà compensata; ci sarà un
premio, sì, lassù sulla cima sempre più
vicina. Continuo così a salire sorretto
soltanto da questa convinzione. In mon-
Le Montagne Divertenti Duilio sulla torre Costanza (7 aprile 1974, foto archivio Strambini).
tagna, come del resto nella vita, bisogna
dare per poter avere.
Risalito il primo lungo tratto raggiungo la cengetta sullo strapiombo
dalla quale supero il passaggio del
“buco” fortunatamente non ghiacciato.
Guadagno il colletto nevoso e proseguo
sulla cresta via via più esposta sino al
termine, al chiodo per la discesa a corda
doppia. Sceso alla bocchetta, risalgo il
breve tratto delle innevate roccette terminali ed eccomi finalmente in vetta.
Qui, nel più grande silenzio, appoggiato
alla croce della cima, provo qualcosa
di meraviglioso e indimenticabile, una
gioia profonda e una felicità oltre ogni
limite che compensano e danno un
significato a tutte le fatiche della salita.
È tutto bello: il sole ormai al tramonto,
le cime bianche che si perdono nell’im-
mensità del cielo, la neve, l’aria fredda,
il gran silenzio, la pace e la solitudine
che regnano tutt’intorno. Provo un gran
senso di libertà, provo quella gioia di
vivere che purtroppo la realtà di questo
mondo troppe volte mi nega. Qui in
cima alla mia cara Viola, oggi più bella
che mai, riprovo la gioia della montagna, di quella montagna che è diventata
per me una ragione di vita».
Esattamente un anno prima, Duilio
aveva compiuto la prima ascensione
invernale e solitaria ai Serottini per il
versante nord, mentre un anno dopo,
il 30 dicembre 1973, con Enrico
Cometti e Piero Della Vedova, supera
in prima invernale la ghiacciata parete
nord-ovest (“direttissima”) della
Piazzi. «Giornata splendida ma molto
fredda – annota Duilio sul libro di
Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina
29
Speciali
Personaggi
L'alpe e la valle di Cassavrolo, in fondo alla quale si nota il colle Maria. Ben visibili la cima Rossa e le due cime di Redasco, salite per la prima
volta nel 1898 dai fratelli Bono con la guida Rinaldi (19 ottobre 2010, foto Giacomo Meneghello).
Il lago Spalmo e, a sx, la cima Viola (20 settembre 2009, foto Luca Carloni - www.nikonista.it/brata).
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Le Montagne Divertenti Autunno 2011
vetta. Dal bivacco Ferrario abbiamo
impiegato 11 ore». Tornati ad Arnoga,
devono attendere la mezzanotte per
riprendere la macchina verso casa:
erano i tempi dell’austerity, con il
blocco totale della circolazione privata
di domenica!
Non passa neanche un mese che,
racchette ai piedi, Duilio e Piero
sono di nuovo in pista. Da Arnoga,
il 25 gennaio 1974, raggiungono in
6 ore la capanna Dosdé e lì pernottano – nonostante i vetri rotti e la
neve penetrata all’interno – «preferendo le “comode” cuccette al previsto
bivacco sulla Cima Viola». Il giorno
dopo, partenza ancora nel pieno della
notte. Cresta ovest della Viola, cima
settentrionale di Lago Spalmo,
discesa diretta per lo spigolo est (con
diverse corde doppie) e cima orientale di Lago Spalmo. Poco sotto la
vetta, bivacco. Domenica 27: punta
d’Avedo, Sasso di Conca, discesa al
Sasso Calosso per la cresta est, e finalmente rifugio Falck: dopo due giorni
di saliscendi, con 20 ore effettive di
marcia, la prima traversata invernale
(ed integrale) delle cime di Lago
Spalmo è compiuta!
Durante e dopo la naja, Duilio
aveva ampliato i propri orizzonti
alpinistici, che ora spaziano un po’
per tutte le Alpi. Ormai sicuro di sé,
eccolo tornare in Dolomiti con Massimo Cappon (reduce dalla spedizione
Monzino all’Everest) a cimentarsi
con lo spigolo del Pollice alle Cinque Dita e subito dopo con la sud
della Marmolada lungo la classica via
Bettega-Zagonel. Poi ne seguiamo le
tracce sulle pareti dell’Agordino, alla
Pala del Rifugio o alla Torre Jolanda
«con tanti simpatici amici e tanta baldoria», o nei dintorni di Cortina, alla
punta Frida o al Popena Basso, dove
si affida agli appigli che già sostennero Còmici e Casara. E ancora, negli
ultimi anni, qualche rapida incursione con Battista e altri compagni,
alla punta Fiames, alla Torre Fanis o
al Sass de Stria, oppure nelle Pale di
San Martino o al Catinaccio, lungo
vie di tutto rispetto che portano i
nomi di Jori, Dibona o Dimai, Franceschini o Steger.
Pur proiettato verso mete sempre
più ambiziose, Duilio non venne
mai meno al legame con la sua valle,
Le Montagne Divertenti Duilio e Piero Della Vedova alla capanna Porro (dicembre 1973, foto archivio Strambini).
anzi; la fiducia nelle proprie capacità,
le nuove conoscenze e la più recente
frequentazione dell’ambiente vivo e
stimolante dell’alpinismo lecchese,
furono di sprone a ricercare anche
fra le montagne di casa itinerari di
più moderna concezione e maggiori
difficoltà tecniche. Ad inaugurare
questa nuova stagione, con Donato
Erba, Bepi Galasso e Luigino Zen, il
15 settembre 1974 traccia una nuova
via sulla parete sud del Saoseo, lungo
il canale diretto a destra dello spigolo,
mentre l’anno dopo, il giorno di Ferragosto, compie la prima dello spigolo
nord-ovest della punta sud dei Sassi
Rossi con Luigino.
Nel frattempo, dopo la “delusione”
del primo incontro, si era riconciliato
con la Grigna dove ora, con capacità tecniche superiori, è in grado di
gustare appieno il piacere dell’arrampicata, dell’innalzarsi sicuro e leggero
lungo i più svariati ed impegnativi
itinerari: al Nibbio, alla Torre al
Fungo e alla Lancia, ai Magnaghi e
al Medale, ripercorrendo, anche più
volte, le vie di Cassin o di Boga, per
lo più con i nuovi amici Giuliano
Maresi e Donato, “Ragni” di Lecco.
Nel dicembre del 1974 Duilio li
coinvolge, insieme a Luigino e Lino
Trovati, nella prima invernale delle
“Tredici Cime”, una fantastica cavalcata di più giorni dal Tresero al Cevedale; poi, l’anno successivo, un’altra
invernale, il canalone nord-ovest del
Corno dei Tre Signori sopra il Gavia.
A chi non è capitato,
almeno una volta, di contemplare una montagna da
lontano, lasciar vagare lo
sguardo tra creste e pareti,
e figurarsi quindi un itinerario per raggiungerne la
vetta?
A
Duilio dovette certamente
accadere nell’autunno del 1969
quando, durante la sua prima uscita
nel gruppo del Bernina, dalla capanna
Boval ebbe ad «ammirare i tre arditi
speroni del Pizzo Palù», restandone
stregato. Anni dopo, su quei tre speroni – Kuffner, Bumiller e Zippert
(dal nome dei primi salitori) – Duilio
si trovò a vivere alcuni dei suoi giorni
grandi, fra il 1973 e il 1977, avendo
per compagni Luigino sui primi
due, Andreina e Donato sull’ultimo.
«Tanto impegnativa quanto bella»,
fu il commento di Duilio sulla via
Bumiller, una delle più impegnative
del gruppo; partiti dalla Diavolezza
alle 4 e tre quarti raggiunsero la vetta
dopo 19 ore, a mezzanotte meno un
quarto! Aveva proprio ragione Alfredo
Corti quando, sulla vecchia Guida
delle Alpi Retiche Occidentali, scrisse:
“L’alpinista che alla sera sarà sbucato
sull’ultima facile china nevosa sottostante alla vetta potrà esser fiero d’aver
dietro di sé una delle più lunghe e difficili salite delle Alpi, non inferiore né
alla parete del Rosa da Macugnaga né
ad altre famose salite”!
C’è poi il granito della val Màsino e
Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina
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Speciali
Personaggi
La chiesa di Eita (m 1703) dedicata alla Madonna di Lourdes domina la val Grosina Orientale (20 luglio 2011, foto Beno).
Il santuario di Malghera dedicato alla Madonna è armoniosamente inserito nello splendido contesto naturale della val Grosina Occidentale.
L'edificio fu costruito nel 1888 sopra l'impianto originario del 1836 e ricorda l'apparizione della Vergine con Bambino ad un pastore verso la
metà del XVIII sec. A fianco del santuario vi sono una massiccia torre campanaria risalente al 1910 e il grande ricovero alpino appartenente
alla Fabbricerìa di val di Sacco che, assieme alla Casa d'Eita e alla capanna Dosdè, costituiva un fondamentale punto d'appoggio ai tempi
dell'alpinismo pionieristico (3 giugno 2010, foto Giacomo Meneghello).
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Le Montagne Divertenti Autunno 2011
della val Bregaglia, anch’esso teatro di
tante scalate di Duilio, su itinerari via
via più impegnativi, d’estate e anche
d’inverno, ripetendo itinerari classici
o aprendo vie nuove, con Giuliano,
Lino, Battista, Maurizio, Luigino o
Daniela. Cominciò con la palestra del
Sasso Remenno, per cimentarsi poi
con lo spigolo Vinci al Cengalo o la
cresta est del Badile, la via Bramani
alla Rasica o la Merendi all’Innominata di Cacciabella (per non citarne
che alcune), così da arrivare alla prima
assoluta dello spigolo nord-nord-ovest
alla Roda Val della Neve in Albigna e
alla prima invernale del pizzo Bacone
per la via Bonacossa lungo la cresta
sud-ovest.
Nel 1974 Duilio visitò i monti della
“beautiful Slovakia” (insieme agli
amici del viaggio in Spagna) raggiungendo, solo soletto, il Gerlachovský
štít, la cima più elevata degli Alti
Tatra e di tutti i Carpazi. Ne doveva
esser rimasto così affascinato da ripromettersi, come scrisse a Czechoslovak
life, di tornare prima o poi fra quelle
montagne «which have excellent conditions for mountaineering». Fedele alla
promessa ci tornò, due anni dopo, in
viaggio di nozze con Giulia.
Pochi giorni prima del matrimonio,
aveva salito la parete sud della Reit
lungo l’impegnativa via CostantiniConedera insieme a Luigino e Battista, già percorsa in precedenza con
lo stesso Luigino e un’altra volta con
Piero.
Di ritorno dalla luna di miele,
eccolo di nuovo in giro per le Alpi:
alla nord della Presanella con Battista, Luigino e Andreina, al Breithorn
con Giulia, poi nel gruppo del monte
Bianco dove, oltre a salire la Pyramide du Tacul e il pic Adolphe per la
via Salluard, partecipa al corso nazionale per tecnici di soccorso alpino
(c’è anche Toni Valeruz, che durante
un’esercitazione viene calato verso
il Freney, nel punto in cui nel 1961
morì Andrea Oggioni, e lì Duilio
lo recupera con la barella Mariner).
Tornato a casa, a metà estate Duilio
apre una nuova via diretta sulla parete
nord-est del Corno Dosdé con Battista, Ciano e Luigino, Raffaele “ragno”
Bonetti e Valentino Sosio. Poi, l’anno
dopo, nord del Tresero con Battista,
Giovanni Majori e Luigino, e seconda
Le Montagne Divertenti La cima Viola in uno schizzo di Duilio Strambini.
ripetizione della via Della VedovaCometti sul seracco nord della Viola
con Giuliano e Lino.
La strada di Duilio era tracciata.
Nell’imminenza della nascita di
Chiara parte per Macugnaga dove
si tiene il corso per guide alpine (già
nel 1974 era diventato “aspirante”); a
fine settembre, la sospirata meta è raggiunta: «Eccomi finalmente guida. Né
problemi né paure, ho raccolto quanto
ho seminato». Poco dopo, per festeggiare, una magnifica arrampicata in
Austria col cugino Battista, che negli
ultimi anni fu uno dei suoi compagni d’arrampicata più assidui: lo
spigolo nord della Roggalspitze nel
Vorarlberg.
orreva per le valli, correva
per i monti – il sole brillava sui suoi sci”, dice un’antica saga
norvegese. Con l’arrivo delle nevi
Duilio, come il protagonista di quella
saga, inforcava volentieri gli sci per
vagabondare nello scenario grandioso
della montagna invernale, in una
serie innumerevole di gite sci alpinistiche, che lo portarono a spaziare fra
i gruppi dell’Ortler, del Bernina, del
Disgrazia o del Silvretta, senza ovviamente trascurare le montagne di casa.
“C
E così riempì i suoi inverni con un
modo diverso – forse più pacato – di
andare in montagna, ma soprattutto
con tante amicizie: Carlo Pedroni
e Diego Scarì, Tullio Spechenauser
e Camillo Selvetti, Alberto Rossi,
Diego e Michele, Franco Giacomelli
e Renata Rossi, Battista, Pietro, e poi
tutti gli allievi dei corsi di sci-alpinismo del CAI Sondrio o Chiavenna.
Così come fra le carte musicali di
Schubert, anche fra le scalate di Duilio è rimasta una "incompiuta”: la
cima Viola, che aveva salito per quasi
tutti i versanti, in tutte le stagioni,
non ebbe infatti il tempo di vincerla
per l’allora inviolata parete sud. L’aveva osservata, studiata (con Battista),
sognata, quella parete; era stata per lui
«un grande vecchio progetto che forse un
giorno diverrà realtà».
Le sinfonie restano,
le scalate restano. Ma
ricordiamo che dietro una
sinfonia, dietro una scalata
c’è l’uomo, il palpito di vita
che l’ha generata. E dietro
le scalate di Duilio in val
Grosina, per noi c’è il suo
sorriso.
Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina
33
Speciali
Personaggi
La ricchezza della quotidianità
Q
Il bivacco Strambini, posto lungo il sentiero di salita per il passo di Sacco, offre 9 posti letto, illuminazione e fornello a gas (2 luglio 2011, foto G. Meneghello).
Il lago del Drago ai piedi del Sassalbo. Leggenda narra che dalle sue acque emerga un drago durante i temporali.
In foto, oltre alla toponomastica, sono indicati i tracciati Mandre Vecchie - attacco via dei Matt al pizzo Matto (giallo) e passo di Vermolera passo di Lago Nero (rosso) (5 agosto 2006, foto Luca Carloni - www.nikonista.it/brata).
Cima di Saoseo
Cima Viola
(3263)
(3374)
Passo di lago
Pizzo Matto
Corno di lago
Negro
(2993)
Sasso Farinaccio Sasso Campana
(2913)
Negro
(2780)
S
Pian
34
Le Montagne Divertenti ertif
o
l Lag
de
Pian
Autunno 2011
uella di Duilio è stata una vita
semplice e sobria, ma ricca di
giorni intensi legati alla montagna e
alla famiglia, al lavoro, alle amicizie.
Gli alpinisti – come ben dice Enrico
Camanni – sono persone che hanno
“occhi speciali perché sono state
misteriosamente accese, possedute,
plasmate e infine trasformate da una
passione: la montagna”; ma sono pur
sempre persone “che soffrono, sperano, si commuovono, si arrabbiano
e hanno paura proprio come le altre
persone”. E così, l’esistenza di Duilio, all’insegna della modestia e della
generosità, è stata illuminata non solo
dalla montagna, ma anche dalla quotidianità fatta di piccole cose e dettagli apparentemente scontati: gesti,
parole, affetti, doveri, responsabilità,
che arricchiscono l’esistenza per sé e
per gli altri.
Duilio, composto e riservato, era
tendenzialmente riluttante a far parlare
di sé, a mettersi in prima fila, ad “apparire”, anche se di fronte alla necessità,
e non solo in montagna, era il primo
a spendersi e a prodigarsi per gli altri.
Purtuttavia, per far conoscere la sua
val Grosina, condividere le esperienze
vissute, trasmettere ad altri la ricchezza
del suo vissuto fra quelle montagne,
era pronto a gettare la maschera della
riservatezza, come quella volta che
venne a Milano a tenere una conferenza all’Hotel dei Cavalieri, continuatore se vogliamo dell’opera divulgativa
di Antonio Cederna che per primo, nel
lontano 1892, aveva parlato ai soci del
CAI Milano sul tema: “Le montagne di
Val Grosina”.
L’affetto verso la madre Lisetta e il
padre Agostino, il legame con Giulia
e la felicità per la nascita di Chiara,
le piccole e grandi gioie che diedero
pienezza alla sua vita, sono aspetti più
personali del suo “transito terrestre”,
non meno pregnanti però delle sue
“sinfonie” in montagna: ci piace qui
ricordare la sensibilità e l’attenzione di
Duilio nel far giocare la piccola Chiara,
quando aveva ancora pochi mesi, con
la corda da montagna e i nodi.
Nella quotidianità di Duilio c’è
anche un’altra delle sue grandi passioni sportive, non da tutti conosciuta:
il ciclismo. Una volta, solo soletto,
Le Montagne Divertenti aveva raggiunto l’Aprica, poi giù a
Edolo, su di nuovo a Ponte di Legno e
da lì, quando la strada era ancora tutta
sterrata, con costanza e tenacia, una
pedalata dopo l’altra fin su al Gavia,
da dove era divallato a Bormio per
poi rientrare a Grosio. Un’altra volta,
con mio fratello, avevano fatto un
gran giro in Svizzera: dopo aver raggiunto la Quarta Cantoniera, avevano
passato il confine e si erano tuffati
giù verso Santa Maria per poi riprendere la salita fino all’Ofenpass; da lì
una lunga discesa fino a Zernez, fra i
boschi del Parco Nazionale Svizzero,
la lunga risalita lungo l’Engadina fino
a Samaden, col vento contro a rallentare l’andatura, e poi l’ultima fatica,
Pontresina, e finalmente il passo del
Bernina; a quel punto non rimaneva
che una lunghissima e meravigliosa
discesa fino a Tirano!
La bicicletta era il suo abituale
mezzo di trasporto ed era quindi per
lui del tutto naturale venir su pedalando fino a Bormio, spesso gradito
ospite a casa nostra: ricordo ancora
come fosse ieri – io che allora non le
potevo soffrire – quanto si era gustato
un bel piatto di carote fritte in padella
di cui era davvero ghiotto! Quante
volte poi, dopo una serata in compagnia nella “taberna” di casa Barzani,
Duilio riprendeva la sua bici per tornare a Grosio, e a chi gli offriva una
giacca per ripararsi dall’aria, rispondeva con semplicità, da autentico
ciclista, che gli bastava un foglio di
giornale da metter sotto il maglione...
Il drago
Sopra Malghera, in una conca glaciale a sud-est della sasa biänca – il
Sassalbo – si annida in prossimità
del confine con la Svizzera il läch del
dräch, dalle cui acque la leggenda
popolare fa fuoriuscire un drago
durante i temporali. Ebbene, quel
drago, riconoscendo Duilio come uno
del luogo, uso ad affrontare responsabilmente i pericoli, a guardare verso
l’alto, a rispettare la montagna e le sue
leggi, gli fu benevolo.
Non fu così in Grigna, lontano
dalla sua valle, dove un altro drago
ben più terribile e senza pietà, non
riconoscendolo se lo portò via proprio
durante un temporale, il 27 maggio del 1978, infischiandosene dell’
altruismo di Duilio che, messi in sicurezza i propri clienti al termine della
scalata al Torrione Magnaghi, si era
attardato in vetta per vedere se una
cordata che li seguiva, un po’ in difficoltà, potesse aver bisogno di aiuto. E
in quel momento lo spostamento d’aria del fulmine lo gettò nel vuoto: una
vera beffa del destino, se si pensa che
aveva sempre avuto un atavico timore
dei temporali, sottolineato agli amici
in più occasioni. Chiara aveva solo 8
mesi.
Senza volerne esaltare acriticamente
la figura – anche lui come ognuno di
noi ha certamente avuto i suoi limiti,
per formazione, temperamento e
carattere – ci piace ricordare Duilio
col suo sorriso e la sua generosità,
prendere spunto dal suo esempio per
proseguire il nostro cammino, alla
ricerca di qualcosa che sia utile non
solo a noi ma anche agli altri.
Per serbare la memoria di Duilio, e
per colmare un poco il vuoto lasciato
nella comunità, gli amici e la Pro loco
di Grosio hanno realizzato in suo
ricordo, dedicandoglielo, un bivacco
in alta val di Sacco, poco sotto il lago
Zapélàsc, proprio ai piedi di quel
Pizzo del Teo che l’aveva visto fin da
ragazzo cimentarsi con le sue creste ed
al quale era particolarmente affezionato. Un po’ di lui continua a vivere
lassù, fra i monti della val Grosina,
così come nel cuore di tutti noi che
l’abbiamo conosciuto; un po’ di lui
continua infine a vivere nelle due belle
nipotine Adelaide e Matilde – figlie di
Chiara – che lui non ha potuto conoscere, ma verso le quali è sicuramente
rivolto il suo sorriso.
Ringraziamenti
In primo luogo, un grazie di cuore
a Giulia Crosa Strambini e a Chiara
Strambini che hanno permesso la
consultazione dei diari di montagna
di Duilio, e consentito la riproduzione di schizzi, pagine autografe e
fotografie. Grazie poi a Daniela e
Mauro Barzani, Battista Gilardi, Nino
Zappa, Francesco Bradanini, Piero
Della Vedova per i ricordi, le informazioni, i suggerimenti e i consigli.
Duilio Strambini: il sorriso della val Grosina
35
Speciali
Approfondimenti
Alpinismo moderno
Giuliano Bordoni
Saoseo la "Via Duilio".
no stop di quasi trent'anni
ed ecco di nuovo Giuseppe
"Popi" Miotti tornar in quella che lui
stesso ama ricordare come valle
romantica. Cerca nuove linee sul
Pizzon e sul Sasso Calosso. Nel
2004 prova una direttissima sulla
sud della Viola, che deve abbandonare causa meteo. La stessa
che viene poi attaccata due anni
più tardi e salita dal trio di guide
alpine Giuliano Bordoni, Gianluca
Maspes e Rossano Libera: "Viola
Bacia tutti".
U
Gianluca Maspes, Rossano Libera e Giuliano Bordoni (2006, foto archivio Giuliano Bordoni).
N
ei
salotti
ottocenteschi
degli aristocratici stranieri,
il territorio grosino fu ampiamente
conosciuto ed amato per le sue
vallate pittoresche e le sue cime
romantiche. Cime lasciate alla
"conquista" (come piaceva identificare, in quel periodo, il loro andar
per monti, ndr) di questi personaggi dal sangue blu, che trovarono
nella val Grosina abbondante
materia prima per aneddoti eroici
che impegnassero le piatte giornate dei dandy inglesi.
iorgio Sinigaglia, celebre
alpinista-esploratore
milanese fortemente legato alla
nostra valle, ma sopratutto cantore
delle Alpi, esultò dinanzi al ritrovamento tra le rocce di vetta della
cima Viola di una bottiglia contenente un biglietto che portava la
firma di Bartolomeo Sassella. Fra
tanti nomi britannici finalmente un
italiano! Era il 27 settembre 1875,
quando il Sassella, un Grosino,
calpestò il punto culminante di
una montagna inesplorata di casa
propria.
L'alpinismo
pionieristico,
in
questa regione, seguitò nelle
decadi successive alle prime
salite e alle aperture di vie nuove,
G
Rossano Libera in apertura di "Viola Bacia tutti" (30-31 luglio 2006,
36 Bordoni).
Le Montagne Divertenti foto Giuliano
Autunno 2011
Le Montagne Divertenti arrestando tuttavia la sua corsa
intorno agli anni dieci del ‘900.
n nuovo slancio si ebbe
negli anni settanta e nei
primi anni ottanta.
Duilio Strambini, Egidio Pedranzini, Franco Sertorelli, Francesco
Bradanini, Raffaele Occhi, Luigi
Zen, Adriano Greco, Eraldo Meraldi, Piero Della Vedova ed Enrico
Cometti: ecco alcuni protagonisti
della riscoperta del valore alpinistico di queste montagne. Grazie
a loro si vide l'apertura di importanti vie di ghiaccio sulla nord della
cima Viola: "Via del Canalone",
"Via del Seracco" e "Via Diretta del
Seracco". Sempre ad alcuni di loro
dobbiamo vie come la cresta del
pizzo Matto o la salita per la parete
SSE della cima di Saoseo. Ci volle
un sassista del calibro di Giuseppe
Miotti per dare "il la" sulla parete
sud della Viola, con la sua "Via
ritorno alle origini" del 1977. Dopo
la scomparsa del compianto Duilio,
il testimone fu raccolto da Antonio
Strambini, che insieme all'amico
Giuseppe Pruneri firmò la "Via
dei Grosini" sulla medesima cima.
Sempre lo Strambini "Toni" con
Elio Pasquinoli e lo Zen dedicarono sul pilastro SSE della cima di
U
I
l resto è cronaca moderna che
vede me, Giuliano Bordoni,
giovane guida alpina locale, salire
la sud ovest del sasso Maurigno
con Mario Sertori e Francesca
Marcelli: "Il volo delle cornacchie".
Quindi, in compagnia di Maspes,
eccomi sulla sud del Maurigno con
"I fiori di Giada".
Apro tre nuove vie, destinate
alla valorizzazione del territorio
per gli arrampicatori in erba, sul
compatto Sasso Calosso con l'iperattivo Martino Pini e compagni.
Poi mi sposto sotto la costiera del
dosso Sabbione per salire con gli
amici del piz Mudanda la torre che
verrà in seguito dedicata all'amico
scomparso Stefano Zanini: "Torre
Menny". Con Popi e Maspes salgo
infine "Ehy Doug", una via di roccia
al pian Sertif.
E
cco, in sintesi, i più recenti
traguardi raggiunti dall’alpinismo in val Grosina. Una valle
che non gode delle altitudini e dei
possenti ghiacciai dei vicini gruppi
Bernina e Ortles-Cevedale, ma
che tuttavia offre ancora terreno di gioco non solo per giovani
alpinisti e rocciatori, ma anche per
trekker, biker e famiglie che vogliono scostarsi da ambienti sovraffollati per quel ritorno alla terra
di cui ancor oggi i grosini vanno
orgogliosi.
Alpinismo moderno in val Grosina
37
Speciali
Clima e meteo
Matteo Gianatti - www.matteogianatti.com
regione alpina). Si tratta di quello
che i meteorologi chiamano in gergo
"anticiclone delle Azzorre", il quale,
sempre più spesso a braccetto con
il cugino africano, è responsabile di
giornate soleggiate e miti, con temperature di molti gradi superiori alla
media. Al suo posto, questa volta, a
scandire il tempo sull'Italia ci hanno
pensato i venti atlantici, fucina dei
sistemi nuvolosi, carichi di pioggia e
umidità, che si muovono dall'oceano
verso est, verso l'Europa, dove infatti
sono prevalse frequenti situazioni
di surplus pluviometrico, specie nei
paesi orientali e sul Mediterraneo.
Nel complesso, le temperature non
si sono troppo allontanate dalle medie
previste; diversamente, ha fatto più
caldo nei Balcani (da +1°C a +3°C)3
e più freddo sulla Scandinavia (da
-1°C a -3°C). In particolare, il gelo ha
cominciato a prendervi possesso nella
seconda decade di novembre, pronto
a dilagare in tutta Europa agli inizi
della stagione invernale.
Così, tra la fine di novembre e i
primi giorni di dicembre, mentre
nel sud Italia si respiravano ancora i
tepori di un'estate apparentemente
infinita4, le regioni settentrionali si
sono trovate sul filo di lana tra le correnti umide e miti atlantiche, e l'aria
gelida proveniente dal grande Nord e
facciamo il punto
Dopo un autunno piovoso, una colata gelida dilaga in Europa agli albori
dell'inverno. Intanto, molto lontano, strani meccanismi preparano il terreno a
un totale stravolgimento della situazione. Gli effetti non tardano a manifestarsi:
agli inizi dell'anno nuovo, neve e freddo lasciano il campo a caldo e siccità,
protagonisti indiscussi nei primi mesi del 2011. Attraverso dati, nozioni e statistiche
ripercorriamo insieme l'evoluzione meteo-climatica fra ottobre 2010 e luglio 2011.
3 - Variazioni misurate rispetto al metro di
riferimento nel periodo 1968-1996 secondo la
NOAA, National Oceanic and Atmospheric
Administration.
4 - Punte di 25-27 gradi in Sicilia: record di caldo
per dicembre.
Un'immagine dell'incredibile nevicata del 25 ottobre 2010 presso la diga di Scais (m 1500 circa), causata da un poderoso afflusso di aria
gelida, di estrazione artico-marittima, richiamata da un'ampia depressione tra la Scandinavia e il mare di Barents (foto Matteo Gianatti).
Quasi un anno fa, tra la
fine di novembre e l'inizio
dell'inverno meteorologico1, la neve in provincia
di Sondrio arriva inaspettata e tutta insieme, al
culmine di una stagione
autunnale che nel suo
complesso si era rivelata
particolarmente generosa
in fatto di precipitazioni.
1 - Di norma, in meteorologia, alle medie
latitudini si attribuisce l'inizio dell'inverno al 1°
dicembre. Allo stesso modo, le altre stagioni sono
sfasate in anticipo di 21-23 giorni rispetto ai
relativi solstizi ed equinozi, pur mantenendo la
durata di tre mesi.
38
Le Montagne Divertenti Durante il trimestre, piogge e nevicate si erano già manifestate in forma
reiterata e diffusa a sud delle Alpi: basti
pensare che nel solo mese di novembre sono caduti fino a 300/400 mm
di pioggia in diverse aree prealpine e
pedemontane della Lombardia. Certo
nulla di trascendentale, se paragonati ai
mostri sacri dell'autunno nostrano nei
primi anni Duemila2, né tantomeno ai
quantitativi, assolutamente impensabili
per noi, registrati in alcune stazioni prealpine tra Veneto e Friuli (oltre 1000
2 - La grande alluvione veneta nel ponte di
Ognissanti, le piene del Tevere a Roma, le piogge
record in Campania, Calabria e Sicilia.
che nel frattempo aveva invaso l'Europa centro-occidentale, arrecando
freddo e nevicate storiche sul Regno
Unito. Lo scontro fra queste masse
d'aria ha dato origine a una serie di
perturbazioni che, per più di una
settimana, seguendo sempre la medesima traiettoria dalle isole Baleari
verso nord-est, hanno attraversato
il nord Italia provocando nevicate a
bassa quota.
Quando dell’aria fredda
entra sul Mediterraneo
occidentale dalla porta
del Rodano, è altamente
probabile che sia associata a fenomeni di maltempo, che con un po’ di
fortuna, stando a complicati meccanismi orografici, possono interessare
anche il settore meridionale alpino.
Accade che le precipitazioni provocano comunque una diminuzione
della temperatura della colonna d'aria. Il fenomeno s'è di fatto verificato
in forma abbastanza repentina, senza
una lunga fase di gelate notturne in
val Padana nei giorni immediatamente
precedenti l'evento nevoso. Così, in
assenza del classico cuscinetto freddo
padano5, i fiocchi consentono accumuli
apprezzabili soltanto al di sopra dei
200/300 metri di quota.
5 - Quello all'origine delle grandi nevicate in
pianura al Nord dopo giorni e giorni di freddo
intenso.
Sondrio - precipitazioni cumulate, dicembre.
mm in provincia di Pordenone).
Per finire, come accennato, le
abbondanti nevicate sulle Alpi fra
ottobre e dicembre. Pressoché tutta
l'Italia ha ricevuto ingenti dosi di
precipitazioni, in particolare il settore alpino centrale, gran parte della
pianura Padana e il Centro-Sud. La
spiegazione di tanta vivacità atmosferica va cercata nell'assenza di un
noto protagonista che negli ultimi
anni ci aveva disabituati alle consuete piogge autunnali (secondo le
statistiche pluridecennali, l'autunno
dovrebbe essere la stagione più piovosa, almeno per quanto riguarda la
Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Alpinismo moderno in val Grosina
39
Speciali
Clima e meteo
Montagna in Valtellina (567 m) - Nevosità di dicembre.
Montagna in Valtellina (567 m) - Neve fresca cumulata fra il 26 novembre e il 6
dicembre 2010 (accumuli 24 ore e somme parziali ogni 6 ore).
Il castel Grumello a Montagna pare incendiarsi sotto l'abbondante nevicata (1 dicembre 2010, foto Matteo Gianatti).
La Dama Bianca regala ai valtellinesi
il suo primo omaggio la mattina del
26 novembre, in verità cumulando nel
fondovalle solo pochi centimetri. Per
una portata più abbondante bisogna
attendere il primo giorno del nuovo
mese, quando tutta la provincia è sorpresa da una copiosa precipitazione,
come da almeno vent'anni non si
vedeva nella prima decade di dicembre (25-35 cm oltre i 400 metri). Le
ultime nevicate a bassa quota precedono il ponte dell'Immacolata, anticipando uno smisurato riscaldamento
che farà piovere sin verso i 2500 metri
tra il 7 e l'8 dicembre.
Cos'era successo? Una bassa pressione a ovest del Portogallo aveva
inviato un emissario caldo verso le
regioni settentrionali italiane, mentre
l'aria fredda continuava a spadroneggiare sull'Europa centro-settentrionale. È in quei giorni che a Parigi si
verifica la nevicata più abbondante dal
40
Le Montagne Divertenti 1987 (10-15 cm).
I dati dell'osservatorio meteorologico amatoriale di Montagna alta
(m 567) ripercorrono la lunga kermesse nevosa, restituendo le somme
parziali (misurate ogni 6 ore) e i massimi spessori giornalieri misurati tra
il 26 novembre e il 6 dicembre 2010
su tavoletta1 (secondo la normativa
dell'OMM, Organizzazione Meteorologica Mondiale). Dalla distribuzione si nota la caduta di neve per
otto giorni consecutivi.
1 - La serie nivologica di Montagna in Valtellina si
avvale di pratiche differenti di campionamento
dati. Le misurazioni su tavoletta sono in vigore dal
2008, mentre per gli anni precedenti fino al 2000
sono note con precisione le altezze massime di ogni
singolo evento nevoso (conseguenti lievi sottostime
dei quantitativi giornalieri nel caso di nevicate
a più riprese e/o a cavallo di due o più giorni).
In assenza di appunti provenienti dall'osservatorio,
le quantità cumulate fra il 1990-91 e il 1999-00
sono estrapolate dai corrispettivi pluviometrici
giornalieri di Sondrio- Fojanini. Appurata la
non-omogeneità della serie originale, la stessa
potrebbe subire future modifiche, e con essa le
statistiche che ne derivano.
Stando alla ricostruzione della
nevosità di Montagna dal 1990 ad
oggi (i dati sono riferiti alla sommatoria della neve giornaliera cumulata)
il periodo fra il 1° ottobre e il 10
dicembre 2010, con un accumulo
di 64,5 cm, si è dimostrato il più
nevoso dell'ultimo ventennio sulla
Media Valtellina. Oltre alla nevosità
media invernale 1990/91-2009/10
(37,4 cm di cui 17,1 cm a dicembre),
in soli undici giorni è stato oltrepassato l'intero accumulo della stagione
2000/2001 (63,0 cm).
Nel prosieguo mensile dicembrino, la circolazione atmosferica e i
repentini sbalzi di temperatura non
hanno favorito ulteriori nevicate
di rilievo a bassa quota sulle Alpi.
Diversamente, accumuli copiosi
sono stati osservati lungo le Prealpi
comasche, lecchesi e bergamasche il
giorno 17 (10-15 cm e oltre), mentre una potente irruzione di aria
Autunno 2011
gelida dalla Russia, poi dalla Groenlandia investiva regioni adriatiche,
e successivamente il Centro-Nord e
quelle tirreniche fin sulle coste fra il
15 e 17, ricoprendole di una spessa
coltre di neve (20-30 cm a Pescara
e Ancona, 40-50 cm a Cattolica, 20
cm a Firenze).
Il denominatore comune è stato
il freddo, come dimostrano le temperature osservate al Nord (-14°C
all'aeroporto di Malpensa il 18
dicembre) e sui litorali (qui spiccano
i -13°C di Rimini del 19 dicembre,
record dal 1963). Nelle Alpi s'è particolarmente avvertito lungo i pendii, mentre l'anomalia è parsa meno
evidente nei fondovalle (il dicembre
2010 a Sondrio risulta soltanto il
terzo più freddo dal 1988).
L'ultimo step mensile vede una
nuova flessione delle temperature,
che accompagna una fase prettamente
autunnale con piogge abbondanti a
Le Montagne Divertenti cavallo delle festività natalizie.
Con l'inizio di gennaio,
giunge una svolta inaspettata, che pregiudicherà il
tempo per tutta la prima
parte del 2011. Un robusto
campo di alta pressione
si stabilisce in prossimità
delle isole Britanniche,
sbarrando la strada alle piovose perturbazioni dirette
dall'oceano verso l'Europa
e impedendo altresì ulteriori discese di aria fredda
verso sud. In questo modo,
gran parte del continente,
incluse le Alpi, si appresta
a subire una prolungata
siccità, accompagnata da
temperature oltre la media,
in particolare tra la fine di
marzo e la seconda decade
di maggio.
Causa di questa brusca e durevole
inversione di rotta rispetto all’avvio
freddo e nevoso della stagione invernale è un fenomeno molto dibattuto
che prende origine nelle lontane
acque dell'oceano Pacifico, e che è
noto con il nome di "Niña" (l'antagonista di "El Niño"). In estrema
sintesi, si tratta di un raffreddamento
delle acque oceaniche superficiali,
oggetto di studio della meteorologia nell'ambito delle teleconnessioni
(una branca ancora in via sperimentale), i cui effetti sembrano capaci
d'influenzare il tempo atmosferico in
altre regioni del globo, benché molto
distanti fra loro, anche qualche mese
dopo l'insorgere di tale anomalia.
In questa che è una rapida narrazione delle vicende atmosferiche che
hanno caratterizzato gli ultimi mesi
non c’è tempo e modo di approfondire questo e altri complicati
meccanismi, per cui si rimanda all’arAlpinismo moderno in val Grosina
41
Speciali
Clima e meteo
9 aprile 2011: l'Anticiclone
delle Azzorre si fonde
con quello africano,
determinando una precoce
ondata di calore fuori da ogni
logica sull'Europa, compresa
l'Italia settentrionale
(fonte: Wetterzentrale,
www.wetterzentrale.de,
rielaborazione grafica:
Matteo Gianatti).
6 febbraio 2011: l'anticiclone
delle Azzorre abbraccia l'Europa
occidentale e il Mediterraneo, tenendo
lontane le perturbazioni. All'interno
della cella di alta pressione i venti
spirano in senso orario. Vista la
posizione dell'anticiclone, le Alpi
sono soggette a un tipo di circolazione
settentrionale, che costringe l'aria a
risalirne il versante estero, per poi
ridiscendere il pendio sottovento. In
questo modo, l'aria originariamente
mite proveniente dall'oceano, in
caduta dal versante sud-alpino, si
comprime ulteriormente, perde
umidità e si riscalda (effetto favonico).
Ecco spiegato il motivo di tanto
sole, temperature miti e bassi tassi
di umidità relativa, che comportano
un incremento della capacità
evapotraspirante dei suoli, aggravando
la situazione di siccità causata dalla
perdurante assenza di precipitazioni
organizzate sul nostro territorio
(fonte: Wetterzentrale,
www.wetterzentrale.de, rielaborazione
grafica: Matteo Gianatti).
ticolo "Caldo e siccità alla conquista
dell'Europa
centro-occidentale",
www.matteogianatti.com/meteo.
L'andamento stagionale in provincia di Sondrio ha inciso molto sugli
accumuli nevosi al di sotto dei 2000
metri, dove le altezze del manto sono
risultate nettamente inferiori rispetto
ai due inverni precedenti. In particolare a dicembre, nonostante le precipitazioni abbondanti, i grossi sbalzi
di temperatura non hanno consentito
un efficace mantenimento della neve
al suolo, specie nei giorni caratterizzati da forti piogge fino a quote ele-
vate. A seguire, gennaio e febbraio
hanno registrato clima mite e precipitazioni nevose inferiori alle attese.
All'inizio di marzo,
prima di cedere definitivamente il passo a una
primavera sempre più
incalzante, l'inverno si
congeda con l'Italia pilotando un ultimo blocco
di aria gelida continentale dalla Russia verso le
regioni adriatiche.
In questa fase, l'Appennino romagnolo è sepolto sotto quasi un metro
di neve (notevoli anche i 40 cm
rilevati sulla pianura forlivese), mentre più a sud venti caldi di Scirocco
causano piogge alluvionali lungo la
dorsale adriatica. Un secondo peggioramento nella terza settimana di
marzo coinvolge più direttamente
il Nord, con piogge ingenti su Piemonte, Liguria, Valle d'Aosta e al
Nord-Est (punte superiori a 250/300
mm in tre giorni), e nevicate copiose
sulle Alpi occidentali (60/80 cm oltre
1300/1400 metri).
La prima parte di aprile
consegna alle regioni settentrionali italiane un'ondata di caldo fuori dal
comune, in compagnia
di Spagna, Portogallo e
Francia, con temperature
massime diffusamente
comprese fra 30 e 32
gradi in pianura e in collina, e picchi di 34 gradi
fra Piemonte e Lombardia sabato 9.
Anomalie di temperatura e precipitazioni,
ottobre 2010-luglio 2011, Sondrio sud
(m 290). Nell'ultimo trimestre del 2010 è
caduto quasi l'82% di pioggia in più rispetto
alle attese, secondo la norma di riferimento
(+144% solo a novembre). Al contrario, per
i primi cinque mesi del 2011 si registra un
deficit del 47% circa, con un picco negativo
in aprile (-87%). Dicembre è stato il mese
più freddo (-2,52°C), aprile quello più caldo
(+3,80°C). Fonti dati: Fabio Pozzoni - rete
Meteo Network, 2010/2011; Annali Idrologici
APAT, 1971-1987; ERSAF/ARPA Lombardia,
1988-2000 - serie omogeneizzata.
Omogeneizzare significa identificare
ed eliminare gli influssi non climatici che
alterino la bontà di una serie climatologica.
Tali influssi sono principalmente legati alla
dislocazione della stazione nel tempo, ma
spesso dipendono dalla sostituzione dei
sensori, dai cambiamenti dell'ambiente
circostante e delle pratiche di misura. In
una zona climaticamente complessa come
quella alpina, spostamenti anche minimi
della stazione possono indurre modifiche
artificiali rilevanti nelle serie di dati,
sfalsando la reale tendenza del clima.
Al fine di minimizzare il più possibile gli
42
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti In questo frangente, lo zero termico
si è innalzato fino a raggiungere l'inusitata soglia dei 4000 metri sulle Alpi
occidentali. Di contro, sulle regioni del
Centro-Sud, a margine dell'alta pressione, e lungo le coste tirreniche e della
Sardegna, data l'influenza mitigatrice
delle acque marine, i termometri non
hanno superato i 20/25 gradi.
Per quanto riguarda la statistica
locale, dal 7 al 10 aprile la città di
Sondrio ha segnato un massimo storico nelle temperature di aprile, con
un picco di +31,5°C il giorno 9, una
temperatura superiore addirittura alla
media delle massime delle due settimane più calde, cioè quelle a cavallo
fra luglio e agosto. Sempre sabato 9,
la temperatura media giornaliera si è
attestata su 8,7°C al di sopra del valore
di riferimento trentennale, mentre
quella massima rivela una differenza
ancor più spaventosa, pari a 14,4°C.
L'ondata di calore che ha investito
l'Italia è stata certamente più estrema
di quella osservata quattro anni fa,
sebbene nel 2007 l'anomalia termica
mensile nazionale risultò di +3,17°C,
contro i +2,52°C di quest'anno (fonte
CNR), che di fatto colloca aprile 2011
al quarto posto nella serie dei più caldi
degli ultimi 210 anni. Tornando al territorio valtellinese, secondo le misurazioni ufficiali (Annali Idrologici APAT,
1926-1987; ERSAF/ARPA Lombardia dal 1988), per la città di Sondrio si
è trattato del terzo aprile più caldo dal
1926 ad oggi (+14,9°C), preceduto dal
1949 (+15,5°C) e dal 2007 (+16,2°C).
Il mese è risultato altresì estremamente
siccitoso (10,9 mm) collocandosi al
quarto posto fra i meno piovosi di
sempre.
La prima parte di maggio è l'ennesima dimostrazione di una primavera
mite e particolarmente asciutta. I
primi segnali di una svolta sono rappresentati dall'importante peggioramento del 26-27 maggio che, sebbene
non sufficiente a sanare il grave deficit
idrico cumulato, provoca la caduta,
nella sola giornata di venerdì 27,
di oltre 50-70 mm di pioggia sulla
media-alta Valtellina, e punte superiori ai 100/110 mm in provincia di
Bergamo.
effetti indotti sulle serie climatiche, è stato
applicato un metodo di omogeneizzazione
chiamato SNHT (Standard Normal
Homogeneity Test), che elimina questi
influssi (Alexandersson e Moberg, 1997).
L'omogeneizzazione è indispensabile per
verificare correttamente le tendenze del
clima, e le differenze tra i dati originali
e quelli omogeneizzati possono essere
notevoli.
I mesi di giugno e luglio
vedono l’instaurarsi di una
poderosa anomalia di bassa
pressione, con centro sulle
isole Britanniche, che riporta
piogge abbondanti in Europa
e sulla regione alpina.
Alpinismo moderno in val Grosina
43
Speciali
Clima e meteo
In questo periodo, la provincia
di Sondrio è interessata da rovesci
diffusi, talvolta intensi e accompagnati da grandine (in particolare,
si segnala l’evento devastante del
10 luglio sulla bassa valle nonché
fra Sernio e Lovero, con perdite
del raccolto fino al 70% sui meleti
- fonte Fondazione Fojanini), tuttavia non associati a quantitativi di
pioggia importanti.
Se anche giugno è risultato termicamente sopra media, con scarti
più evidenti in montagna (Bormio
+1,85°C rispetto alla media 19712000 sulla serie omogeneizzata,
contro i +0,54°C di Sondrio), il
mese di luglio propone una netta
controtendenza, come dimostra l’anomalia di -1,49°C rilevata presso il
capoluogo valtellinese (rete Meteo
Network), in linea con quelle osservate sull’Europa occidentale, generalmente comprese fra -1°C e -3°C
(fonte NOAA CPC-NCEP).
Alpi OROBIE Valtellinesi
montagne da conoscere
È fresco di stampa il nuovo
libro edito dalla Fondazione
Luigi Bombardieri e curato
da Guido Combi, che in 335
pagine raggiunge l'ambizioso
l'obbiettivo di raccontare le
Orobie Valtellinesi.
Il volume, realizzato con la
collaborazione di numerosi
esperti, appassionati e fotografi,
è la prima trattazione completa
di questa importante regione del
territorio montano della nostra
provincia.
Archittettura, cultura, tradizioni,
alpinismo, escursionismo,
storia, fauna, flora e tutto ciò
che sia un valtellinese che un
turista dovrebbero conoscere del
formidabile versante bacio della
nostra valle (Beno).
44
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
La prima parte dell’estate
ha dunque lasciato in
eredità una stagione
povera di giornate calde
e soleggiate su Alpi e
regioni settentrionali
italiane. Al contrario,
non ha manifestato
grossi scossoni nel Sud
Italia, dove le piogge
sono risultate scarse e
le temperature hanno
talvolta raggiunto o
superato i 40 gradi.
Il ghiacciaio del Forno, qui visto del rifugio del Forno, mostra ancora una buona copertura
nella parte alta. Questo è dovuto alle basse temperature di luglio e allo scarso soleggiamento
che ha caratterizzato i primi due mesi dell'estate 2011: elementi che lasciano ben sperare in un
possibile rallentamento del ritiro dei ghiacciai per questa stagione (7 luglio 2011, foto Beno).
Qui si ferma questo diario meteorologico, che soffre inevitabilmente
di recentismo, a causa dei necessari tempi editoriali. Si confida
comunque di aver trasmesso alcuni
strumenti e nozioni che possano
risultare utili per una lettura più
critica e consapevole dei fenomeni
climatici che interessano le nostre
valli.
A fine luglio il ghiacciaio del pizzo Scalino
risultava ancora quasi completamente coperto
di neve fresca (28 luglio 2011, foto Giacomo
Meneghello).
Le Montagne Divertenti Alpinismo moderno in val Grosina
45
s
Speciali
r
e
t
p r e e o d
Antonio Boscacci
Tra le cose che mi capitava di fare quando ero più piccolo (trent’anni fa o
giù di lì), c’era l’arrampicata. Così, ogni tanto, mi trovavo a Migiondo, piccolo paese tranquillo e speciale, con quattro case e una chiesetta, dove i miei
amici di Grosio e di Sondalo avevano aperto numerose e interessanti vie sulle
rocce lì intorno.
Normalmente, per non ostacolare il passaggio delle auto, lasciavo il furgone
che allora usavo in uno slargo prima di entrare in paese.
Quel giorno, un sabato pomeriggio di giugno, stavano tagliando l'erba.
C’era naturalmente chi usava la falciatrice a motore, ma lì, nel grande prato
che precedeva il piccolo bosco e le rocce, il taglio era sbrigato a mano.
In mezzo al prato c’era un vecchio falciatore che aveva già fatto più di metà
del lavoro e procedeva di buona lena, nonostante l’età.
Poco lontano da lui c’erano una signora e una bimbetta che con una forca
più grande di lei cercava di smuovere l’erba appena tagliata.
Eravamo ancora lontani, ma mi è sembrato di conoscerla.
Mentre pensavo che potesse essere la Sara dei Bordighi, l’ho sentita urlare.
- Noo, nonno noo, non devi farlo.
Poi si è messa a piangere inginocchiandosi nell’erba di fianco al nonno.
Ho fatto una corsa fino a raggiungerli.
Era proprio lei, la mia alunna dei Bordighi, che singhiozzava.
- Non dovevi farlo, nonno non dovevi farlo.
Il nonno la guardava costernato e non diceva una parola.
- Professore, il serpente è morto. Glielo avevo detto al mio nonno che non
si devono uccidere i serpenti. Glielo avevo detto.
Piangeva a dirotto, come una fontana, disperata.
La mamma cercava di calmarla ma, in risposta alle sue parole, lei piangeva
ancora di più.
Mi spiaceva per il povero serpente, un disgraziatissimo Biacco, ma mi spiaceva ancor di più vedere la piccola Sara ridotta in quello stato.
Così le ho detto che qualche volta sfortunatamente capita di fare cose che
non vorremmo fare. Certamente il nonno non aveva fatto apposta a tagliare
il serpente in due, semplicemente non l’aveva visto, perché era nascosto
nell’erba alta.
Un po’ queste parole, un po’ le carezze della mamma, un po’ le scuse del
nonno … fatto sta che lentamente la tensione si è sciolta, le lacrime sono
cessate ed è tornato il sorriso.
- Dobbiamo almeno seppellirlo, ha proposto la mamma.
Vipera aspis (27 agosto 2008,
foto
Pia - www.clickalps.com).
46 Claudio
Le Montagne
Divertenti Autunno 2011
Così abbiamo scavato una buca vicino a un sasso nel bosco dei castagni,
abbiamo messo dentro i due pezzi del povero animale e abbiamo concluso
la cerimonia con la merenda, perché nel frattempo si era fatta l’ora adatta a
quello scopo.
Le 7 specie della provincia di Sondrio
47
Le Montagne Divertenti Speciali
Serpenti
Conosciamoli da vicino
Classificare
Se la vipera la ghe sentìs e l’urbanèla la ghe vedés, piü nisügn el ghe sarés
Prima di iniziare a parlare dei serpenti, diamo uno sguardo generale al come si classificano gli animali.
Vengono considerate 7 voci. Ad esempio il comunissimo merlo, è così indicato:
Le ombre che si agitano fuori e dentro di
noi, le paure che abbiamo, molto spesso le
dobbiamo anche alla poca attenzione per
tutto ciò che ci circonda, per i fenomeni a
cui assistiamo e per le loro cause.
È come se avessimo una specie di cattiva coscienza collettiva dalla quale non riusciamo a liberarci, spesso per semplice indolenza o pigrizia.
La paura per questi curiosi animali, che sono i serpenti,
nasce anche dalla nostra scarsa conoscenza dei loro caratteri, delle loro abitudini e delle loro qualità.
Nella prima parte di questo lavoro (pubblicata sul
numero scorso della rivista) si è parlato in generale dei serpenti e del rapporto conflittuale, per usare un eufemismo,
che l’uomo ha sempre avuto con loro.
Vogliamo imparare a fare uno sforzo per cercare di conoscere un po’ meglio quei serpenti che ci sono più vicini,
quelli che girovagano intorno a noi e che più spesso
abbiamo (o avremo) occasione di incontrare?
Li possiamo trovare ovunque, dal fondovalle fino alla
zona degli alpeggi. Oltretutto sono numericamente pochi,
semplici da distinguere e di facile identificazione.
Regno
Phylum
Classe
Ordine
Famiglia
Genere
Specie
Animalia
Chordata
Aves
Passeriformes
Turdidae
Turdus
T. merula
I Serpenti appartengono alla classe dei Rettili (alla quale appartenevano anche i Dinosauri che si sono estinti), e sono
animali che respirano attraverso i polmoni e hanno il corpo rivestito di squame o protezioni cornee. La classificazione dei
Rettili (in Italia sono presenti una cinquantina di specie) è faccenda alquanto controversa e in continua evoluzione.
Classe
Rettili
L
Vipera berus (foto Antonio Boscacci).
Q
uesto antichissimo detto, presente in quasi tutti
i paesi della provincia di Sondrio, illustra molto
bene da solo quale sia stato per secoli, e continui purtroppo
a essere, la conoscenza di questi animali.
La vipera, descritta come un serpente sordo, in realtà
“sente” benissimo attraverso il suo corpo; d’altra parte l’orbettino, che il nome che porta vuole cieco, ci vede.
Se l’innocuo orbettino ha dovuto subire pesanti conseguenze per questo modo un po’ sommario di pensare,
ancor più travagliata e ricca di sofferenze è stata la storia
della povera vipera, che possiamo incontrare praticamente
ovunque e che spesso viene scambiata con le altre specie di
serpenti che popolano i monti e le valli della Valtellina.
L’esperienza mi ha insegnato che la maggior parte degli
incontri con le vipere avvengono in realtà con altri serpenti
e innocenti orbettini.
Ricordo di aver visto a scuola, dentro un vaso, una
“vipera” che due ragazzini della val Màsino, due cuginetti
Fiorelli, avevano catturato e classificato con l’aiuto del
nonno di San Martino. Per loro non c’erano dubbi, era una
vipera e lo confermavano la testa, il colore e soprattutto
l’esperienza del nonno.
La realtà era però ben diversa.
Come spesso avviene in questi casi, il serpentello nel
vaso, quasi spezzato a metà da una bastonata, era una piccola Biscia dal collare, ben diversa da una vipera.
e scaglie cornee che ricoprono
il corpo dei serpenti vengono
cambiate più volte durante l’anno.
È il fenomeno della muta, che ha
dato origine a numerose leggende e
stramberie.
Così il ritrovare tra due
sassi la “pelle” (exuvia)
di un serpente ha creato
il convincimento che il
serpente per partorire
strisci sui sassi o sia in
grado addirittura di
approntare una specie di
taglio cesareo.
Aggiungo come curiosità che il
nome dialettale del Biacco, Scurzùn,
rimanda al fatto che perde la “scorza”,
compiendo la muta.
Un interessante motivo di curiosità
riguarda la mandibola del serpente,
le cui due parti sinistra e destra non
sono saldate anteriormente, ma unite
in modo molto elastico.
Questo permette all’animale di
ingoiare prede di dimensioni assolutamente incredibili se rapportate all’apparente apertura della bocca.
E non parlo solo dell’anaconda
48
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Ordine
Sottordine
Squamati
Anfisbene
Sauri
Serpenti
Coccodrilli
Testudinati
Rincocefali
capace di mangiarsi un grosso capibara (che può superare i 70 kg di
peso), ma anche dei nostri serpenti, in
grado di ingoiare topi e roditori, animali di gran lunga più grossi di loro.
Se non fosse in grado di approfittare
della preda che gli è capitata a tiro,
infatti, il serpente rischierebbe di
restare per lunghi periodi senza cibo.
Occorre ancora ricordare che i serpenti (come gli altri rettili) hanno
la temperatura del loro corpo che
dipende da quella esterna.
Questo naturalmente li rende poco
adatti a vivere dove fa freddo. In quei
casi comunque, il serpente adotta
delle strategie interessanti per sopravvivere, le più importanti delle quali
sono il ricorrere al letargo e alla riproduzione ovovivipara.
e depositasse le uova in buche
o cavità, queste avrebbero
scarse possibilità di sopravvivere e di
schiudersi. Allora il serpente preferisce tenersi gli embrioni dentro il
proprio corpo, avvolti da un sottile
sacco membranoso, che si romperà
al momento della nascita, lasciando
uscire piccoli perfettamente formati e
autosufficienti.
Questo dà un contributo essenziale
S
alla sopravvivenza dei piccoli che,
comunque dovranno andare incontro, per la stagione e la mancanza di
cibo, ad altre difficoltà non meno
dure.
È un adattamento che si registra
nella nostra provincia tra le vipere, ma
che riguarda anche il Colubro liscio,
l’Orbettino e, in parte, la Lucertola
vivipara.
Un'altra piccola curiosità riguarda
la lingua biforcuta del serpente, che
come tutti sanno è sempre in azione.
Ebbene questa serve a raccogliere
le molecole olfattive lasciate nell’aria
dal passaggio di una possibile preda. I
segnali raccolti vengono poi analizzati
dal piccolo organo di Jacobson che si
trova sul palato e permettono al serpente di decidere il da farsi.
Delle 2500 specie di serpenti presenti nel mondo, solo 27 si trovano
in Europa alla stato naturale, 20 nella
famiglia dei Colubridi e 7 in quella
dei Viperidi.
Per quanto riguarda la
provincia di Sondrio sono
presenti 7 serpenti in tutto,
5 Colubridi e 2 Viperidi.
Le 7 specie della provincia di Sondrio
49
Speciali
Sottordine
Serpenti
Famiglia
Colubridi
Genere
Specie
Zamenis
longissimus
Hierophis
viridiflavus
Natrix
natrix
– verde della parte superiore del corpo e quella bianco giallastra, a volte con riflessi verde chiaro della parte inferiore,
gli conferiscono leggerezza e grazia veramente insolite.
Il suo cibo più comune è costituito dai topi e da qualche
altro piccolo roditore, Questa sua opera di controllo della
popolazione dei topi, dovrebbe spingerci a tutelarlo e non
a perseguitarlo.
In teoria può arrivare fino a due metri di lunghezza, ma
nella maggior parte dei casi non supera i 140-160 cm.
La femmina depone 10-15 uova, dalle quali, dopo circa
60 giorni, nascono dei piccoli lunghi una ventina di cm,
che sono autonomi e subito in grado di cacciare (ma sono
anche facili prede di molti loro nemici).
Lo si può trovare un po’ ovunque, nell’erba, tra i sassi,
dentro le foglie del sottobosco, dove si mimetizza alla per-
tessellata
Coronella
austriaca
Serpenti
fezione, e qualche volta anche sugli arbusti, alla ricerca del
suo cibo preferito, le uova e ancor più i nidiacei.
Quando si sente minacciato, scappa velocemente per cercare rifugio tra i sassi e le ramaglie o per infilarsi in qualche
buco nel terreno.
Avevo raccolto un Colubro di Esculapio a Castello
dell’Acqua e l’avevo messo in un terrario per studiarlo e
poi portarlo a scuola. Era un esemplare lungo 138 cm che
è rimasto con me solo per una decina di giorni. Infatti una
mattina, quando sono andato a vedere come stava, mi sono
accorto che non c’era più. Stanco della prigionia e approfittando della finestra aperta se n’era andato, verso il crap
sotto il Convitto o negli orti dei Tornadù.
berus
Vipera
IL BIACCO
(Hierophis viridiflavus [Coluber viridiflavus])
aspis
È
La famiglia dei Colubridi
A
sclepio (Ἀσκληπιός in greco, Aesculapius in latino)
era il dio greco della medicina e il suo culto era celebrato a Epidauro, nel Peloponneso, nel santuario a lui dedicato dove, in suo onore, si allevavano anche dei serpenti.
Sofferenti e malati accorrevano da ogni parte della Grecia
in pellegrinaggio in cerca di guarigione e durante le feste
in onore del Dio, la folla che si accalcava davanti al santuario era enorme. Dopo essersi lavati e purificati, i pellegrini potevano accedere al santuario, all’interno del quale
trascorrevano la notte.
Mentre dormivano, appariva loro in sogno il Dio che
consigliava le cure più adatte oppure operava direttamente
guarendo gli ammalati, spesso aiutandosi con un serpente
che aveva il compito di pulire e disinfettare le ferite.
Le guarigioni erano successivamente trascritte in apposite tavolette, così da lasciare memoria della grandezza del
Dio e della sua magnanimità.
Simbolo di Esculapio era il caduceo, un bastone con il
serpente attorcigliato intorno (ricordiamo che nella versione con due serpenti attorcigliati, era il simbolo di Hermes, il dio romano Mercurio).
Il Colubro di Esculapio, conosciuto anche come Saettone, è elegante e mordace. La colorazione giallo - bruno
50
Le Montagne Divertenti Colubro di Esculapio a Sondrio (foto A. Boscacci).
Dei cinque colubridi presenti sulle montagne e nelle vallate della Valtellina e della
Valchiavenna, tre sono relativamente facili da incontrare (Biacco, Colubro di Esculapio
e Biscia dal collare). Gli altri due (Colubro liscio e Biscia tessellata) sono così rari che il
loro incontro non potrà che essere assolutamente occasionale.
Il Colubro di Esculapio
(Zamenis longissimus [Elaphe longissima])
Biacco a Faedo (agosto 2010, foto F. Benetti).
Viperidi
Autunno 2011
un serpente comunissimo, conosciuto in Valtellina
e Valchiavenna con il nome di Scurzùn, Scurzùu,
Šcurzòon …, e che possiamo trovare in ogni ambiente.
È facile vederlo vicino all’acqua, nei prati, tra le vigne,
nei boschi e tra i pascoli.
In verità il Biacco che vive da noi non è affatto viridiflavus (verdegiallo), ma ha una colorazione scura, tanto che,
in passato, si parlava di una sottospecie carbonarius, colore
del carbone appunto.
È facile da riconoscere anche per la sua mole e la sua lunghezza (arriva fino a 2 metri, anche se, come il Colubro di
Esculapio, misura in genere intorno ai 150 cm).
Uno dei miei primi incontri con i serpenti è avvenuto
proprio con un Biacco, che era stato schiacciato dalle ruote
di un’auto. Ricordo che fui colpito da quella massa nera
che, ai miei occhi di bambino molto piccolo, dovette sembrarmi ancora più voluminosa di quanto in realtà fosse.
Quello fu sicuramente l’episodio che diede il via alla mia
attenzione verso il mondo dei serpenti (e degli animali
bistrattati) e il motivo principale per cui sono sempre rimasto legato al mordace Biacco.
Dopo aver percorso la Sardegna in lungo e in largo con la
Vespa durante il mio viaggio di nozze, me ne sono tornato
a casa proprio con un Biacco, che avevo raccolto morto
ai bordi della strada. Non sto a dire tutto il trafficare per
metterlo in formalina dentro un grosso vaso di vetro e del
successivo trasporto tra i bagagli legati sul portapacchi della
Vespa). Sta di fatto che il Biacco è arrivato a casa e ancora
se ne sta dentro il vaso del farmacista sardo.
Questo animale si nutre di ogni sorta di animaletti, compresi i serpenti, anche appartenenti alla sua stessa specie.
Diciamo però che, come il Colubro di Esculapio, la sua
dieta è costituita prevalentemente di topi e piccoli roditori.
Trascorre l’ultima parte dell’autunno e l’inverno in
letargo, dentro buche sotterranee, spesso in compagnia di
altri suoi simili, ma anche curiosamente di serpenti di altre
specie o di altri animali.
Intorno all’inizio di luglio, la femmina depone una
Le Montagne Divertenti decina di uova che si schiudono dopo due mesi. I piccoli,
che alla nascita misurano una ventina di centimetri, sono
autosufficienti.
Impiegando tre anni per raggiungere un metro di
lunghezza, sono purtroppo scambiati spesso per vipere
(Marasso) e questo rende il loro vivere ancora più difficile.
Si dice che, se ha una vita fortunata, il Biacco possa raggiungere anche i 30 anni. L’unica mia esperienza personale
in questo campo è quella dell’esemplare che ho potuto
osservare nel mio orto per 12 anni.
È ritenuto uno dei più aggressivi serpenti italiani, e in
effetti, quando crede di non avere vie d’uscita, attacca e
morsica. In ogni caso il suo morso scalfisce appena appena
la pelle, lasciando una corona di innocui puntini rossi.
Però, per lo più, il Biacco è un tipo solitario che si fa i
fatti suoi e chiede soltanto di essere lasciato in pace.
Le 7 specie della provincia di Sondrio
51
Speciali
Serpenti
la biscia dal collare
(Natrix natrix)
52
Le Montagne Divertenti Mentre ero intento a fotografare la corolla bianco rosata
della Cardamine dei prati, nei pressi del cimitero della
Sirta, ho incontrato il primo esemplare di Biscia tessellata.
Per essere sincero devo dire che, curioso di stabilire di che
specie fosse l’animale che mi era fuggito davanti agli occhi,
non ho fatto in tempo nemmeno a fargli una foto. Però,
sono tornato più volte in quel luogo e, dopo tre tentativi
andati a vuoto, ho avuto modo di rifare l’incontro con quel
serpentello.
Si trattava, come mi era parso o forse come mi ero augurato, proprio di un esemplare di Biscia tessellata.
Sempre alla Sirta, ma questa volta nella zona della
Caurga, mi è capitato di nuovo di incontrare la Biscia tessellata. Questa volta è comparsa nei pressi della mulattiera
che dalla Sirta porta a Lavisolo, mentre stavamo scendendo
dopo un’arrampicata.
È legata in genere a luoghi umidi o comunque ombrosi,
anche perché le sue prede sono rane, rospi, girini e piccoli
pesci. Si nutre però anche di topi e piccoli roditori.
Il modo di riprodursi e la colorazione sono molto simili a
quelli della Biscia dal collare, dalla quale però differisce per
la mancanza delle macchie colorate che formano il collare.
Si nota invece la presenza sulla nuca di una specie di V
rovesciata di colore scuro con la punta rivolta in avanti.
È un serpente che è stato segnalato pochissime volte in
questi ultimi decenni in provincia di Sondrio.
il colubro liscio
(Coronella austriaca)
È un animale assolutamente inoffensivo, che però è stato
spesso circondato, a causa anche del suo collare, da stranissime fantasie.
Come quella che voleva che gli uccelli lasciassero un
uovo nel nido, senza covarlo, per attirare la sua benevolenza e non riceverne più danno.
Oppure quella nella quale si raccontava che se si taglia
la testa alla Biscia dal collare, rispunteranno ben due teste,
rendendo l’animale ancora più pericoloso di prima.
Autunno 2011
Era il mese di luglio 1985 e, come spesso mi capitava in
quegli anni, stavo arrampicando con alcuni amici in val di
Mello e stavamo aprendo una via nuova.
Nel primo tiro occorreva risalire una fessura non banale,
dentro la quale crescevano piccoli ciuffi d’erba qua e là.
Ricordo di aver posato una mano su uno di questi ciuffi
e di aver sentito subito che avevo stretto con la mano un
serpente.
Me lo sono trovato davanti agli occhi, spaventato almeno
quanto lo ero io o forse di più. Sta di fatto che, per uno
di quegli strani colpi del destino, pur avendo abbandonato
la presa immediatamente, sono rimasto inspiegabilmente
attaccato alla parete.
C’è un serpente sulla via, ho urlato.
I miei amici, anziché esprimermi quella doverosa solidarietà che sempre si dovrebbe fornire in questi casi, si sono
messi rumorosamente a ridere.
Lì dov’ero, non potevo nemmeno immaginarmi di riuscire a scendere, per cui sono stato costretto a proseguire.
Alle difficoltà della salita si è così aggiunta la preoccupazione per la biscia che nel frattempo se n’era andata lungo
la fessura verso l’alto.
E se fosse una vipera?
Questa domanda mi frullava nella testa mentre salivo,
poi finalmente un nuovo incontro.
La poveretta, non sapendo più che cosa fare, si era fermata e mi guardava, spaventata ma anche un po’ incredula
di trovarsi di fronte un animale così grande.
Per fortuna conoscevo le caratteristiche della vipera e non
è stato difficile stabilire che non era di lei che si trattava.
Non è una vipera, ho gridato verso il basso, è una Coronella austriaca.
Peccato, è stata la risposta dei miei gentilissimi compagni.
Il serpentello si è spostato un po’ a destra sulla placca di
Le Montagne Divertenti Coronella austriaca a Santo Stefano (giugno 1997, foto Franco Benetti).
chiamata anche Biscia d’acqua, non tanto per il
fatto che abbia particolare familiarità con questo elemento, quanto perché le sue prede sono costituite per gran
parte da animali legati in qualche modo all’acqua come gli
anfibi.
È abbastanza facile da riconoscere per la presenza di un
collare che è costituito da due macchie chiare, che vanno
dal bianco al giallo, all’arancio (i due esemplari da me allevati per qualche settimana, presentavano un collare giallastro). Il colore di queste due macchie è accentuato dalla
presenza, subito dopo, di due altre macchie, che formano
una specie di secondo collare più scuro.
La parte superiore del corpo ha una colorazione molto
variabile che va dal grigio, al bruno, al verde oliva, al nero.
Pur vivendo a volte in prossimità di pozze, ruscelli e
laghetti, non è difficile trovarla anche molto distante
dall’acqua.
Comunque il suo nutrimento principale è legato all’acqua ed è costituito da girini, rane e rospi.
Di norma la sua lunghezza di animale adulto è di
150 cm ca, anche se può raggiungere i due metri.
Nelle mie osservazioni in giro per la nostra provincia,
non mi è mai capitato di vedere animali al di sopra dei 160
cm di lunghezza.
La Biscia dal collare è una specie ovipara.
Dopo gli accoppiamenti, che avvengono durante il mese
di maggio, la femmina depone 20-30 uova nel mese di
luglio. Queste si schiudono una sessantina di giorni dopo e
i piccoli, autosufficienti, misurano 15-20 cm.
Come gli altri serpenti, anche la Biscia dal collare va in
letargo e questo avviene con l’arrivo delle settimane più
fredde, verso la metà o la fine di ottobre. Rimane in letargo
fino a primavera.
Biscia dal collare (foto Caludio Pia).
È
La Biscia tessellata
(Natrix tessellata)
Le 7 specie della provincia di Sondrio
53
Speciali
testa e che forma, appunto, una specie di corona.
Una striscia scura attraversa ciascun occhio e va dall’attaccatura della bocca fino alla narice.
La Coronella austriaca è un animale ovoviviparo. Dopo
un periodo di gestazione piuttosto lungo, che dura circa
90 giorni e che dipende dalla temperatura dell’ambiente e
da altre cause, partorisce 7-10 piccoli lunghi circa 15 cm
che sono autonomi fin dalla nascita. Se la nascita avviene
a settembre inoltrato, può capitare che i piccoli vadano in
letargo completamente a digiuno.
Si nutre di lucertole, topi, nidiacei, orbettini e serpenti,
anche della sua stessa specie.
P
ur appartenendo, come i serpenti, alla classe dei Rettili, l’Orbettino fa parte dei Sauri e non dei Serpenti.
Da questi differisce per alcune caratteristiche, tra le quali le
palpebre mobili che gli ricoprono gli occhi.
Anche il fragilis del suo nome ci fornisce un'altra interessante differenza.
Infatti l’Orbettino, come la lucertola, ha la coda che si
spezza facilmente e, in condizioni disperate, preferisce
lasciarla all’avversario (con l’ovvia considerazione che sia
meglio perdere la coda che la vita).
Questo animaletto, che è lungo 30-40 cm, vive in Valtellina e Valchiavenna fino a quote molto elevate e in terreni
generalmente ombrosi e umidi, utilizzando, come nascondigli tra i sassi, le tane abbandonate di altri animali oppure
scavandosene una, spingendo a forza il muso nel terreno.
Per questo è dotato di squame ossee particolarmente robuste (che però hanno l’inconveniente di renderlo più impacciato nei movimenti).
Riesce anche a muoversi dentro i formicai senza riportare alcun danno, cosa che altri vertebrati, anche molto più
grandi di lui, non riuscirebbero mai a fare, cacciati dalla
pronta reazione delle formiche.
Trascorre la maggior parte della sua vita sotto i sassi e tra
la vegetazione cacciando lombrichi, lumache e insetti.
La sua colorazione è molto varia: grigio – bianco – bruno
– nero, con riflessi argentei e a volte azzurri. Presenta inoltre delle striature scure che percorrono tutto il corpo, dalla
testa fino alla estremità della coda.
È un animale ovoviviparo, la cui femmina partorisce,
verso settembre, una decina di piccoli lunghi 6-8 cm, che
raggiungeranno la maturità nel giro di 3-4 anni.
La vita degli Orbettini, almeno quelli
tenuti in terrario (quelli allo stato libero
hanno ben più numerosi e gravi problemi
da risolvere) può essere molto lunga e
raggiungere anche il mezzo secolo.
Sul finire di ottobre, con l’abbassamento della temperatura e l’accorciarsi delle giornate, primi accenni dell’inverno in arrivo, l’Orbettino va alla ricerca di una buca dove
54
Le Montagne Divertenti Orbettino a Sondrio (foto A. Boscacci).
L'orbettino
(Anguis fragilis)
La famiglia dei Viperidi
La famiglia dei Viperidi conta nel mondo circa 160 specie, quattro delle quali sono presenti in
Italia: la Vipera comune, il Marasso, la Vipera dal corno e la Vipera dell’Orsini. Due sole di queste
vivono sui monti e nelle valli della provincia di Sondrio e sono: la Vipera comune e il Marasso.
Si era discusso una ventina di anni fa dell’avvistamento in val Bregaglia, sul confine con la
Svizzera, di un esemplare di Vipera dal corno (Vipera ammodytes), ma questa segnalazione non è
stata confermata in seguito.
Quando si parla di vipere, il pensiero corre subito alla loro pericolosità e al veleno che sono capaci
di produrre e di adoperare.
I mille incubi che spesso ci colgono e che riguardano i serpenti, sono quasi sempre legati a questi
animali. Le leggende fiorite intorno alle vipere, hanno contribuito a farne uno dei più temibili
nemici dell’uomo. Questo anche perché nel nostro territorio non ci sono molti altri animali
(penso, oltre ai topi, ai nostri ragni, ai disgraziati scorpioni, alle scolopendre e pochi altri) sui
quali sfogare le proprie paure e le proprie ossessioni.
Una volta ho sentito un contadino spiegarmi, di fronte a una Vipera comune morta, che quel
lì l’è el bis di trì pas (quello lì è la biscia dei tre passi), confondendola e pensandola ancora più
terribile del Mamba nero, un serpente velenoso che vive nella savana sub-sahariana, tra la Somalia
e il Sudafrica. È lungo 3 metri ed è molto pericoloso anche per l’uomo il quale, dopo essere stato
morsicato, non sarebbe in grado di fare più di sette passi (da qui il nome del Mamba di Serpente
dai sette passi).
La realtà, come spesso succede, è sempre molto diversa. La vipera attacca l’uomo solo in casi molto
rari e quando lo fa è per una difesa disperata del proprio territorio e della propria vita.
la vipera comune
(Vipera aspis)
L’
passare i mesi freddi in letargo, magari in compagnia di altri
suoi simili o addirittura di suoi nemici, come i serpenti.
Come abbiamo già detto, contrariamente alle fantasiose
credenze popolari, l’Orbettino, anche se non ha di certo la
vista di un’aquila, non è nemmeno cieco come vorrebbero
farci credere sia il suo nome italiano che quello dialettale
(Urbanèla).
Inoltre non è velenoso e non assomiglia per niente alla
vipera, che ha caratteristiche ben diverse.
Protetto in molti luoghi e considerato un buon regolatore
dell’ecosistema nel quale vive, purtroppo nelle nostre valli
e nei nostri paesi è ancora considerato spesso pericoloso e
per questo cacciato. Il che dimostra, caso questo apparentemente piccolo e insignificante, come l’umana stupidità sia
davvero senza limiti.
Autunno 2011
Aspide è l’animale con il quale Cleopatra d’Egitto, si
sarebbe uccisa. Questo almeno stando alla versione
di Plutarco che così scrive nella vita di Antonio.
Ma torniamo a noi.
Se camminando per i boschi, attraversando i prati o
percorrendo i pascoli, ci dovesse capitare di incontrare un
serpentello di circa mezzo metro, beh, abbiamo qualche
possibilità che si tratti di una vipera (ma potrebbe essere
semplicemente un giovane di altra specie).
Se poi la coda è tozza, questa possibilità può trasformarsi
anche in certezza. A questo punto basterà che noi continuiamo per la nostra strada e la vipera se ne andrà sicuramente per la sua, cercando altri luoghi più tranquilli e più
adatti al suo vivere.
Oltre alla lunghezza (le vipere che ho misurato nel corso
del mio lungo girovagare per la provincia di Sondrio non
hanno mai superato i 55 cm), c’è un’altra caratteristica
che permette di distinguerla dai comuni colubridi: il suo
corpo tozzo, dovuto alla coda che è molto corta.
La testa, le squame, il colore, la pupilla … sono onestamente poco adatte a una determinazione da parte di un
normale osservatore.
È relativamente facile anche distinguerla dall’altra vipera
presente in provincia di Sondrio, il Marasso, perché l’Aspide ha, tra l’altro, la punta del muso leggermente rivolta
verso l’alto.
Il colore del dorso è molto variabile, grigio – bruno –
olivastro – giallastro – nero.
Le Montagne Divertenti Vipera comune (foto Claudio Pia).
granito e mi ha osservato mentre arrampicavo.
Fosse stato lui a salire lì, non avrebbe di certo consumato
tutte le energie che io ho dovuto impiegare.
Forse ha riso anche un po’ di me, ma questo non posso
dirlo con certezza.
Tra i serpenti che vivono in provincia di Sondrio il Colubro liscio è quello che purtroppo può essere più facilmente
scambiato per una vipera.
Da una parte per la sua lunghezza, che si solito è intorno
ai 50-60 cm, ma anche per il colore del suo dorso grigio
– olivastro – bruno rossastro, con numerose macchioline
nere.
Il suo nome si deve a una macchia scura che porta sulla
Serpenti
Le 7 specie della provincia di Sondrio
55
Speciali
56
Le Montagne Divertenti A
A
U
La vipera comune, in terrario, riesce a
superare i vent’anni.
Non ci sono però indicazioni sulla durata della sua vita
allo stato naturale, perché dipende da troppi fattori, non
ultimo il fatto che riesca a sfuggire ai suoi nemici, primo
tra tutti l’uomo.
Autunno 2011
Il Marasso
(Vipera berus)
N
on è facile distinguere a prima vista un Marasso da
una Vipera comune (Aspide).
Entrambi sono tozzi e corti (normalmente intorno ai
45-55 cm di lunghezza).
Guardando però un po’ più da vicino i due animali, si
possono osservare alcune caratteristiche che permettono
una loro identificazione sicura.
Il Marasso presenta infatti la punta del muso arrotondata,
una testa meno marcatamente triangolare e, di solito, tre
grosse placche allineate sul capo tra gli occhi. Guardando
poi sotto l’occhio, si nota una serie di piccole placche che
corrono tra questo e la fila delle placche sopralabiali (vedi
disegni).
Il colore dei Marassi è molto vario, dal grigio al giallobruno, con riflessi verde oliva. Esistono però anche esemplari molto scuri e quasi completamente neri che sono
abbastanza comuni in tutte le valli e i pascoli delle Orobie
Valtellinesi.
In ognuno c’è sempre una lunga greca nera che percorre
tutto il dorso, dalla testa fino alla estremità della coda.
Il Marasso vive anche a quote molto elevate. Ricordo un
esemplare incontrato sulla punta Cerech (m 2412) tra la
valle del Livrio e la val Cervia (Orobie Valtellinesi).
In ambienti difficili come questi, due sono i grossi problemi che deve affrontare questo animale, procurarsi il cibo
e andare in letargo.
Per quanto riguarda il letargo, una temperatura troppo
rigida, dovuta per esempio a un Inverno molto freddo o
alla mancanza di neve, potrebbe compromettere la sua
sopravvivenza.
Sulle nostre montagne, la riproduzione del Marasso è
spesso biennale a causa del fatto che le femmine, dato il
breve periodo estivo che hanno a disposizione, non riescono a reintegrare le loro riserve corporee di grasso.
I nati sono di solito una decina. In un grosso esemplare
di femmina, proveniente dalla Valmalenco, ho contato
sette piccoli lunghi 11 cm, completamente formati e pronti
per la nascita.
Basandomi sui miei incontri e sulle mie osservazioni,
Il veleno
L
a paura per la vipera è strettamente intrecciata a
quella per il suo veleno. Un piccolo episodio che mi è
capitato due o tre anni fa, può aiutare a capire. Spesso può
essere utile fermarsi un momento a ragionare, per rendere
i problemi molto meno complessi di come in un primo
tempo ci appaiono.
Un pomeriggio di luglio, ricevo una telefonata da una
signora che è stata morsicata da un serpente. Dice di conoscermi e mi chiede se può venire a casa mia a mostrarmi i
segni del morso. Aggiunge anche di avere con sé il serpente
che l’ha morsicata e che il marito ha ammazzato. Mi dice
anche che si trova al Pronto Soccorso dell’ospedale di Sondrio e che arriverà entro pochi minuti.
Le Montagne Divertenti Marasso a Castione (foto Nicola Giana).
La vipera ha pochi mesi a disposizione prima del letargo
invernale, in montagna questo periodo può essere anche di
poco più di tre mesi, e compie all’incirca una muta al mese.
Il fenomeno della muta dura molte ore. In un caso da me
osservato, la muta è iniziata intorno alle 9 del mattino ed
è proseguita fino alle 4 del pomeriggio. La “pelle” (exuvia)
rimasta dopo questo cambiamento, riproduce esattamente,
compreso il capo, le fattezze dell’animale.
Il fatto che anche la vipera, come gli altri serpenti, per
aiutare la muta, si sfreghi contro un legno o contro un
sasso, ha contribuito alla nascita di strane leggende sul suo
modo di mettere al mondo i piccoli. Una di queste racconta che, passando con l’addome sopra un sasso dal bordo
tagliente, si farebbe una specie di taglio cesareo.
Molti sono comunque gli aneddoti legati alla vipera.
scuola mi è capitato spesso di sentire che la vipera
quando beve, avvelena l’acqua del ruscello o della
fontana dove andrebbe a dissetarsi.
ncor più presente nelle nostre valli e nei nostri paesi
è la credenza che se una vipera fissa negli occhi una
persona, questa rimane paralizzata ed è quindi facilmente
vittima del veleno del rettile.
n’altra storia molto diffusa un tempo tra i pastori,
ma ancora oggi un po’ ovunque, è quella del rapporto tra la vipera e il latte, di cui si racconta andrebbe
ghiotta. Ma poiché la vipera non si nutre di latte, la nascita
di queste storie deve essere ricercata in fatti molto più semplici, quali il ritrovo occasionale di una vipera dentro una
conca usata per conservare il latte in vista della preparazione del burro.
Vipera comune a Dascio (giugno 2008, foto Franco Benetti).
La sola colorazione del corpo non è un indice sufficiente,
agli occhi di un non esperto, per la sua individuazione.
Infatti mi è capitato di incontrare animali dai colori più
diversi, grigiastri, bruni, olivastri e giallastri e perfino
alcuni quasi completamente neri (tutti però con macchie
continue zigzaganti lungo tutto il dorso).
Nella vita annuale della vipera ci sono due periodi:
quello primaverile-estivo e quello autunnale-invernale, non
ben definiti temporalmente (risentono della quota e delle
condizioni climatiche che possono essere molto diverse
negli anni).
Il periodo di difficoltà climatiche (freddo e neve) termina
solitamente verso marzo-aprile, ma in montagna, oltre i
m 1700-2000, può arrivare tranquillamente fino alla fine
di maggio e alle prime settimane di giugno.
Con l’allungarsi delle giornate e l’arrivo del caldo, le
vipere escono dalle tane, dove hanno passato i mesi di
letargo, in cerca di cibo.
È questo il periodo nel quale si muovono più lentamente
e, in genere, è più facile incontrarle.
Avrebbero bisogno di una temperatura esterna di almeno
15 gradi, ma si adattano a prendere quello che trovano,
magari cercando un po’ di sole e di calore su un sasso al
riparo del vento (che in questo periodo è un fattore di
grande disturbo).
Appena dopo il letargo, come è facile immaginare, la
vipera ha bisogno di cibo.
Il meccanismo di cattura è più o meno questo. Lentamente si avvicina alla preda, per esempio un topo o un
altro piccolo roditore, fino a una ventina di centimetri poi,
con uno scatto fulmineo la morsica iniettando, attraverso i
due denti superiori cavi, una certa quantità di veleno, proporzionato alla dimensione della vittima.
Poco più di mezzo secondo per colpire e iniettare il
veleno.
La vipera non trattiene la preda, perché i bruschi movimenti della stessa potrebbero provocare dei danni ai lunghi, sottili e delicati denti del veleno.
Il topo scappa e normalmente va a morire non molto
lontano. A questo punto la vipera lo segue individuando
il percorso attraverso la raccolta, con la lingua, di molecole olfattive presenti nell’aria e rilasciate dalla preda e dal
veleno stesso.
Dopo aver raggiunto il topo, inizia a inghiottirlo, partendo in genere dalla testa.
La digestione è una faccenda lunga che necessita di
alcuni giorni di tempo, di solito due o tre, ma a volte anche
di più. In queste condizioni l’animale si presenta lento e
pigro e diventa più facilmente vittima dei suoi nemici.
Dopo un periodo di superalimentazione, avviene l’accoppiamento. La vipera è un animale ovoviviparo, i cui
piccoli 4-8 si sviluppano all’interno del corpo della madre
in sottili sacche trasparenti. Queste si rompono durante il
parto lasciando uscire dei piccoli che hanno una lunghezza
di 10-13 cm.
Fin dalla nascita i piccoli possiedono una certa quantità
di veleno, che possono utilizzare con le loro prime prede,
che sono costituite da cavallette, piccole lucertole e insetti
vari.
Serpenti
mi pare di poter affermare che, in provincia di Sondrio, il
Marasso sia molto più diffuso della Vipera comune.
Concludo queste righe con un’ultima annotazione.
Ho avuto la fortuna di registrare il soffio di un Marasso,
che abitava a san Salvatore, nella valle del Livrio.
Quando un Marasso si sente aggredito e pensa di non
avere possibilità di fuga, raddrizza la parte anteriore del
corpo ed emette un caratteristico soffio, forte e prolungato.
Non serve spaventarsi e fare gesti inconsulti, basta allontanarsi e l’animale ritornerà tranquillo a pensare ai fatti
suoi.
La signora è molto spaventata, ma la sua paura è in questo caso del tutto infondata, perché il serpentello non è
altro che un innocuo giovane Biacco.
Anche la corona di piccoli segni rossi, lasciati dal morso
del serpente, testimonia che il morso non è stato procurato
da una vipera (che lascia due chiari segni distanti tra loro
circa 6 millimetri).
Parlando di morsi da vipera, non si può non parlare di
siero antivipera. Per decenni ci è stato spiegato, anche da
esimi luminari, che era opportuno avere in casa e portare
sempre con sé una confezione di siero antivipera. Poi si è
scoperto che il fai-da-te dell’uso del siero è ben più pericoloso dello stesso morso (rischio di shock anafilattico).
Le 7 specie della provincia di Sondrio
57
Speciali
O
ra, sgombrato il campo da un
sacco di convinzioni strane (dietro le quali c’erano forti interessi economici di alcune industrie farmaceutiche),
si è giunti a una lista di comportamenti
da tenere in caso di morso di vipera,
accettati e condivisi dai maggiori studiosi della materia.
Intanto, occorre premettere che il
morso di una vipera è un avvenimento
molto raro. Pochissimi sono i casi registrati in provincia di Sondrio e su una
parte di questi ci sono anche seri dubbi.
Poi si deve aggiungere che
il morso della vipera non è
quasi mai mortale per un
uomo adulto e sano. Ricordo
il caso di un mio amico che è
rimasto “addormentato” per
un paio di giorni e poi si è
ripreso completamente.
A fianco trovate uno specchietto con
illustrate le principali cose da fare e
quelle da non fare in caso di morso di
vipera.
Nonostante possieda l’arma
del veleno, la vipera è un
essere molto mite e riservato,
che non chiede altro che
di essere lasciato in pace.
Solo in questo modo non si
vedrà costretta a difendersi,
provocando guai agli
occasionali disturbatori della
sua quiete.
A proposito di vipere e di veleno,
ricordo quanto mi ha detto, molto
tempo fa, durante una passeggiata in
montagna, un maestro Zen: "Prendi
una grossa vipera e lasciala per una settimana a bagno nell’acqua, poi appendila
al sole fino a ché sia completamente secca.
A questo punto macinala riducendola in
polvere e consumala come credi, cruda,
cotta o mescolata ad altre vivande."
Non avendo mai provato, non sono
in grado di spiegarvi il gusto, anche se
il maestro Zen mi ha assicurato che si
tratta di una vera prelibatezza, da leccarsi le dita per una settimana. In più
la polvere di vipera avrebbe, sempre
secondo lui, ottime qualità ricostituenti
per il fisico in generale e servirebbe a
migliorare la memoria.
58
Le Montagne Divertenti Serpenti
COSA FARE
COSA NON FARE
NON agitarsi o mettersi a correre
Mantenere la calma
Evitare il più possibile di muoversi
NON stringere lacci o mettere
bendaggi troppo stretti
ella
ello d inti
u
q
:
o
t
ors
Mantenere
en dis
illamcalma
b
e
i
n
n
e
g
ue se
o di
vare b
Osser presenta d
in cas
e
h
c
lpita
vipera
na co e bluastra ibile,
o
z
a
l
nfia
orsi
vare
poss
Osser diventa go e bene, se i è stati m
s
le
var
veleno
Osser ale dal qua
m
l’ani
NON cercare né di incidere
il morso, né di spremere il veleno
Se è stato colpito un arto,
immobilizzarlo con delle stecche come
se fosse fratturato
NON cercare di succhiare il veleno
NON bere
alcolici
Recarsi velocemente
presso il più vicino
Pronto Soccorso
(quando possibile, può
essere molto utile,
ovviamente, il trasporto
in elicottero).
Autunno 2011
NON somministrare
il siero antivipera
Le Montagne Divertenti Le 7 specie della provincia di Sondrio
59
Speciali
Serpenti
e vipere hanno certamente dei nemici. Potremmo
citare, in linea puramente teorica perché non presente sulle nostre montagne e abbastanza raro anche in giro
per l’Italia, un grande rapace, il Biancone (Circaetus gallicus) che si nutre in prevalenza di serpenti e lucertole.
Altri uccelli sono occasionali nemici della vipera, come
la Poiana e alcuni rapaci. Anche il Riccio è un suo nemico,
così come, occasionalmente, il Tasso, la Donnola, la Gallina o il Tacchino. Tutti questi animali non sono immuni
dal morso della vipera, essendo però generalmente più abili
di lei, riescono quasi sempre ad avere la meglio.
Il maiale e il cinghiale sono invece discreti cacciatori
di vipere. Tra l’altro, anche se dovessero essere morsicati,
potrebbero contare, per sopravvivere, sull’abbondanza del
loro grasso sottocutaneo.
Però il più grande nemico della vipera (e
dei serpenti in genere), è stato e continua a
essere l’uomo.
Il padre di un mio vecchio alunno, poi diventato veterinario e appassionato difensore degli animali, mi raccontava, tutto contento, che durante il periodo passato
in alpeggio in val Lesina, era riuscito a uccidere oltre una
decina di vipere.
Gli equilibri
M
olto spesso si sente parlare del preoccupante
aumento delle vipere sulle nostre montagne. L’abbandono degli alpeggi e dei maggenghi da parte dei pastori
e l’assenza di predatori avrebbe fatto aumentare considerevolmente il loro numero.
Le cose non stanno però così. Insieme all’uomo se ne
sono andati per esempio i topi e il bosco ha ripreso il suo
sviluppo, rimangiandosi spazi aperti e habitat.
Possiamo quindi pensare che non solo non c’è stato un
aumento, ma le vipere e con loro anche gli altri serpenti
valtellinesi e valchiavennaschi, non se la stiano passando
bene e siano a rischio (per la Natrice tessellata e il Colubro
liscio forse siamo già oltre la possibilità di recupero).
Bene ha fatto la Lombardia ad inserire nella legge regionale n. 10 del 31 marzo 2008 alcune norme per la tutela
dei Rettili, prevedendo anche apposite sanzioni. Resta però
un ulteriore grande passo da fare, che è quello della sensibilizzazione delle persone (a iniziare certamente dalle scuole).
Purtroppo però i già esigui finanziamenti a disposizione
sono quasi sempre impegnati per occuparsi di animali di
grande richiamo e fascino. Questo lascia facilmente immaginare che non ci si darà mai seriamente da fare per i serpenti presenti sul nostro territorio.
Questi animali hanno un loro ruolo in natura per mantenere quell’equilibrio ecologico che l’uomo, molto spesso,
cerca di intaccare o distruggere.
Anche le vipere, nonostante la scarsa considerazione che
nutriamo nei loro confronti, fanno parte pienamente dei
60
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti delicati equilibri che legano tra loro tutti gli esseri viventi.
Non si può distruggere ogni cosa senza pensare che, alla
lunga, gli effetti non ricadano sull’uomo, che si troverà
sempre più circondato da un mondo invivibile e assurdo.
Conclusioni
Conoscere un po’ di più i serpenti che possiamo incontrare sui monti e nelle valli della nostra provincia è un piccolo passo avanti.
Certamente per loro, che così avranno da temere qualche sasso o qualche bastonata in meno, ma anche per noi
che abbiamo un sacco di cose da imparare da questi curiosi
animali. E chissà che un giorno non lontano possano arrivare anche per loro tempi più luminosi. Se noi fossimo al
loro posto, disprezzati e uccisi, di certo ce lo augureremmo.
Bibliografia essenziale
• AA.VV., Atlante degli Anfibi e dei Rettili della Lombardia, Cremona 2004
• A. Boscacci, I Serpenti di Valtellina e Valchiavenna, in
Notiziario della Banca Popolare di Sondrio n. 28, 1982
• S. Bruno, Guida ai Serpenti d’Italia, Firenze 1984
• S. Bruno e S. Maugeri, Serpenti d’Italia e d’Europa, Rozzano 1990
• A. Gentilli e S. Scali, I rettili della bassa Valtellina, ecologia, rapporti con l’uomo e conservazione, Sondrio 2008
Colubro di Esculapio e Biacco (foto Antonio Boscacci).
I nemici
L
Le 7 specie della provincia di Sondrio
61
Alpinismo
Cima di val Bona:
spigolo Gervasutti
orreva il 15 giugno 1933 quando Giusto
Gervasutti, detto “il Fortissimo”, su
consiglio e accompagnato da Alfredo Corti
scalò la cresta orientale della cima di val
Bona, un lungo spigolo di granito, circa 14 tiri
di corda (senza contare quelli in conserva),
che supera varie torri e incisioni lungo i 450
metri di dislivello dall'attacco alla vetta.
La via, complessa e a tratti molto esposta,
richiede intuito perché in quel continuo su
e giù di torrioni non è sempre facile capire
dove si passa. Sul tracciato si trovano ancora
le vecchie protezioni con cunei di legno. Il
passaggio chiave è un lastrone (V+) poco oltre
portava spesso i clienti perché era un'ascensione molto in voga.
L'anno dopo, incuriosito, provai a salirci
in compagnia di Fausto e Matteo. Era una
gelida giornata di novembre e un sasso ci
tagliò la corda all'altezza della grande calata:
non potemmo procedere oltre.
Passano 4 anni e, dopo una nevicata settembrina, io e Floriano ci accordiamo per
condurre l'avventura insieme.
Così, all'alba del 22 settembre 2010, quando
il sole ancora dorme, ci troviamo al pian del
Lupo a Chiareggio e iniziamo l'avvicinamento.
La nostra
C
la metà dello sviluppo, ma pure la grande
calata - oltre 20 metri nel vuoto - lascia un
deciso ricordo della giornata. Data la fama
dell’apritore, il migliore scalatore su roccia
di quegli anni, lo spigolo Gervasutti divenne
subito un classico della regione, ma oggi,
forse per il suo isolamento, quasi più nessuno
lo percorre.
L’amico e guida alpina Floriano Lenatti,
gestore del rifugio Porro all'alpe Ventina, mi
aveva raccontato di quella cresta un pomeriggio del 2005, indicandomela dalla finestra
del rifugio. Mi diceva di non averla mai fatta,
ma che suo padre, anch'egli guida alpina, ci
Beno
meta è già visibile lassù in alto, come le bellissime cime di Vazzeda (m 3301), di Rosso
(m 3366), i monti Sissone (m 3331), Pioda
(m 3431) e il re di questa valle: il monte Disgrazia (m 3678).
L’attacco dello spigolo Gervasutti è alla base
della lunga cresta ENE della cima di val Bona,
cresta che divide il bacino glaciale del Vazzeda a S dalla val Bona a N. E’ nevicato e sul
versante N il ghiaccio ci complicherà la vita.
niziamo a camminare sulla pista sterrata
per Forbesina (O) e, poco oltre il ponte
sul torrente Muretto, troviamo sulla dx il
sentiero per l'alpe Vazzeda. Questo sale nel
bosco fitto fino ad incontrare il bivio (sx) per
il rifugio Tartaglione. Lo ignoriamo e sul ramo
di dx attraversiamo subito il ruscello. Usciti
sui prati dell'alpe Vazzeda Inferiore, senza
raggiungere le baite, saliamo il pascolo verso
E (sx), quasi paralleli al solco del ruscello.
l sentiero ora serpeggia nella vegetazione un po' fastidiosa fino ad
una scaletta che agevola il superamento di un massone e deposita sui pascoli abbandonati
dell'alpe Vazzeda superiore
(m 2035, ore 1:15).
I
I
L'alba sullo spigolo Gervasutti alla cima di
62
Divertenti
val Bona Le
(21Montagne
novembre 2009,
foto Beno).
Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Cima di val Bona (m 3033)
63
Alpinismo
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Valmalenco
Partenza: Chiareggio - pian del Lupo (m 1630).
Itinerario automobilistico: da Sondrio si prende
la SP15 della Valmalenco. Arrivati a Chiesa in
Valmalenco si prosegue per il ramo occidentale della
valle fino a Chiareggio. Oltre il paese si scende al pian
del Lupo, nell’ampio greto del torrente Mallero, dove
si lascia l’auto.
Itinerario sintetico: pian del Lupo (m 1630) alpe Vazzeda inferiore (m 1835) - alpe Vazzeda
superiore (m 2035) - cima di val Bona per lo spigolo
Gervasutti (m 3033) - passo di Vazzeda (m 2967) alpe Vazzeda - pian del Lupo.
Tempo
previsto: 12 ore per l'intero giro.
Attrezzatura richiesta: cordini, imbraco, casco,
corda (60 m), fettucce, set di friend, scarpe da roccia,
[scarponi, ramponi e piccozza in caso di neve].
Difficoltà/dislivello
in salita: 5 su 6 /
complessivamente oltre 1400 m.
Dettagli: Alpinistica D. Affascinante via su granito
con passi fino al V+. Circa 14 lunghezze di corda (50
m), più tratti da fare in conserva. Via non attrezzata,
se non la grande calata.
Mappe consigliate:
Carta Escursionistica Valmalenco, 1:30000;
Kompass n. 93, Bernina, 1:50000.
Le cime a ovest di Chiareggio (14 settembre 2009, foto Luciano Bruseghini).
Qui vi è la vecchia baita, oramai
ridotta ad un rudere fatiscente. Qualche anno fa, quando ero salito con
mio papà, c'erano sia le mucche che
i pastori; nel 2006 era già in malora,
ma io e Matteo l'avevamo sfruttata
per la notte ed il vento gelido era stato
messo a tacere dagli antichi muri a
secco. Ora stanno crollando tutti.
A monte della baita vi è il trivio
Chiareggio - rifugio Del Grande passo del Forno. Noi seguiamo il
sentiero per il Del Grande che punta
a O salendo a stretti tornanti una dorsalina che, man mano guadagniamo
quota, perde la copertura di larici.
A m 2200 circa la via bollata piega a
sx, mentre noi insistiamo sulla ripida
traccia1 che risale dritta a O.
I prati lasciano il posto alle pietraie, finche iniziano i lastroni di granito levigati dal ritiro del ghiacciaio.
L'attacco della via è ben visibile alla
nostra dx (NNO): è il primo canalediedro tra i due presenti alla base della
cresta orientale della cima di val Bona.
Ci arriviamo presto per placche.
Siamo a circa m 2600 (ore 1:45).
1 - Qualche ometto segnala il percorso.
64
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti I ruderi del baitone all'alpe Vazzeda superiore (3 novembre 2006, foto Beno).
Cerchiamo di procedere leggeri,
perciò svuotiamo gli zaini di tutto il
superfluo. Vista la giornata tiepida ciò
vuol dire sbarazzarsi pure di giacche,
cibo in esubero, bastoncini ...
Su mio suggerimento, ci sbarazziamo anche degli scarponi, anche se
questa non si rivelerà certo una scelta
vincente!
Messi gli imbrachi e le scarpette da
roccia, risaliamo facilmente tutto il
canale (II-III) e usciamo sullo spigolo.
Ci leghiamo e ci accordiamo per un
tiro a testa. Io, eccitatissimo, decido di
iniziare le danze.
Subito ecco una paretina verticale di
6-7 m (V) che scalo per il diedro a sx
(uso un friend, poi rinvio nel chiodo in
uscita). Segue nordic walking aereo (IIIII) fino alla cima del primo torrione.
Cima di val Bona (m 3033)
65
Alpinismo
Valmalenco
Il tracciato dello spigolo Gervasutti alla cima di val Bona. E' una via su granito, roccia inusuale in Valmalenco e presente solo dal passo del Forno alla
sella di Pioda. Indicate le soste utilizzate (3 novembre 2006, foto Beno).
Disarrampichiamo (III) fino ad un
intaglio (per la calata in doppia ci
sarebbero 2 chiodi + cordino marcio:
io mi fido di più delle mie mani).
Dall’ intaglio ci portiamo sulle placche solive a sx del filo (III) e, dopo
un traverso un po’ esposto, saliamo
un canale che rimonta sullo spigolo (III+). Due tiri più impegnativi
(IV e IV+) tra camini, cenge e placche ci portano alla grande calata nel
vuoto: 25 metri sospesi per aria fino
al canalone di rottami del versante S.
Il posizionamento dei chiodi indica
che si poteva scendere anche verso N,
ma le placche ghiacciate ce l’hanno
impedito.
Infilandoci fra enormi massi incastrati torniamo sullo spigolo in corrispondenza della breccia a cui si
perveniva anche da N. Siamo circa a
metà via. Alcuni tiri semplici (III) ci
guidano al passaggio chiave: un traverso di 3 metri che contorna da sx (S)
un torrione e raggiunge un diedro. Il
tutto su placca liscissima proteggibile
dall’alto per il capo cordata, mentre
il secondo, se scivolasse, prenderebbe
66
Le Montagne Divertenti una bella botta pendolando contro
l'altra faccia del diedro. Floriano
chiude il passaggio e risale tutto il
diedro. Io, terrorizzato dalla possibile
dentata contro la roccia, mi muovo a
chiappe strette e, quando raggiungo la
sosta, tiro un sospiro di sollievo.
Tocca a me: potrei andare a sx su
una placca liscia ed assolata, ma visto
che son stufo di placche, mi porto
sul versante ombroso, traverso su
cengia innevata e inizio un camino
ghiacciato.
Fa un freddo cane, trovo i
vecchi cunei di legno dei
pionieri e tanto ghiaccio da
non riuscire a superare il
camino.
Ravana ravana e arrivano le urla di
Floriano che mi chiede cosa stia combinando. Mi calo allora su un pianerottolo e lo invito a provarci anche
lui, ma il passaggio non si risolve. Che
fare?
Siamo pragmatici, così ci inventiamo un numero da circo: io salgo
sulle spalle di Floriano, poi lui alza
una mano per farmi andar sù di altri
50 cm. Non basta: lo svaso è ancora
ghiacciato e non ho per aggrapparmi.
Così lego un friend a una fettuccia
e lo lancio finchè si incastra. Mi trascino su con quel sistema, quindi
corro verso il sole e faccio sosta.
Tappa di trasferimento per arrivare
all’ultima difficoltà seria. Una lunghezza con passaggio atletico e leggermente strapiombante, poi alcune
placche liscie e bagnate (esposizione
N), ma piuttosto appoggiate e ben
proteggibili con friend in fessura. Per
concludere vi è un diedro verticale
(IV+). Un tiro su gradoni ci porta sull'
anticima meridionale della cima di
val Bona (ore 3:30 dall’attacco).
Da qui, tutto in conserva, seguiamo
il lungo filo accidentato (II/III+), a
tratti marcio e innevato che ci porta
fino alla grande e appuntita roccia che
s’erge nel punto d’incrocio della cresta
ENE con quelle dello spartiacque tra
Italia e Svizzera: la cima di Valbona
(m 3033, ore 0:45 dall’anticima).
La vista è spaziale, specialmente per
Autunno 2011
La grande calata che si incontra a metà dello spigolo Gervasutti.
Sono oltre 20 metri nel vuoto (22 settembre 2010, foto Beno).
Le Montagne Divertenti Cima di val Bona (m 3033)
67
Alpinismo
Dalla cima di val Bona si gode uno strepitoso paesaggio sul bacino del Forno col suo gigantesco ghiacciaio (22 settembre 2010, foto Beno).
20-21 ottobre 1971
le nuvole bizzarre che si rincorrono
sopra le vette del bacino del Forno.
bbiamo lasciato Sondrio il pomerigA
gio alle 14 e questa volta non con la
mia solita Vespa perché, data la salita e le
D
obbiamo scendere con le
pedule i ghiaioni innevati che
ci separano dalla nostra attrezzatura.
Mi sento un fesso a non aver portato
gli scarponi.
Penso Floriano mi stia
maledicendo in silenzio...
Andiamo così a S stando sugli sfasciumi a O della cresta. Raggiunto il
passo di Vazzeda, punto di comunicazione tra il bacino del Forno e la
valle di Chiareggio, torniamo in Italia
con un canale di rottami che taglia la
parete in diagonale verso S.
Con atroce fastidio ai piedi, vinciamo le gande e le placche lisciate dal
ritiro dei ghiacciai.
Passiamo il bel lago di Vazzeda e
altre piccole pozze in cui si vedono
riflessi il monte del Forno e il monte
dell'Oro. Anche senza vette, una semplice passeggiata fin quassù meriterebbe di certo!
Alle 14:45 siamo alla base dello spigolo e alle 16:10, dopo una corsetta di
piacere, a Chiareggio.
Gita bellissima!
68
Le Montagne Divertenti Il monte del Forno da una pozza sulle Piatte di Vazzeda (13 agosto 2008, foto Roberto Moiola).
Autunno 2011
asperità della strada per Chiareggio, non
ce l’avrebbe mai fatta a portarci tutte e
due, il mio amico William Balgera ed io.
Non saremmo forse riusciti nemmeno ad
arrivare a Chiesa. In più c’erano gli zaini.
Cosa non da poco.Ecco perché avevamo
in dotazione la Lambretta di mio padre,
più robusta e potente.
Vai piano, mi aveva detto nel consegnarmela, sia in salita che in discesa. Soprattutto in discesa. Il perché l’abbiamo
capito solo al ritorno: non aveva freni.
Così, scendendo lungo i tornanti sotto
San Giuseppe, abbiamo dovuto mettere
tutti e due i piedi per terra per aiutare la
Lambretta a frenare. Pronti in ogni caso
ad abbandonare il veicolo e a buttarci in
qualche prato a fianco della strada.
Da Chiareggio, seguendo il sentiero che
sale al rifugio Del Grande, abbiamo raggiunto le baite di Vazzeda inferiore e poi
quelle di Vazzeda superiore (m 2035)
dove avevamo deciso di passare la notte.
Dopo esserci riforniti di legna e acqua, abbiamo iniziato a preparare i giacigli. Nella
poverissima baita aperta dove avevamo
scelto di dormire, non c’era una sola manciata di erba secca o altre cose del genere
che di solito fungono da materasso.
Però fuori, attorno alla baita, c’era una
bella erbetta fresca e così abbiamo cominciato a strapparla.
Avremmo anche potuto farne a meno di
quel lavoro, ma la prospettiva di dormire
sui tronchetti arrotondati e mal messi che
facevano da pavimento alla baita, non era
per nulla allettante.
Le Montagne Divertenti Antonio Boscacci
Così, prima che abbuiasse, avevamo già
raccolto una bella quantità di erbetta per
la nostra schiena.
Avevamo dimenticato a Sondrio l’orologio e quindi non sapevamo neppure che
ora potesse essere.
In ogni caso non c’erano problemi di orario per la cena. Abbiamo semplicemente deciso che quella era l’ora adatta per
mangiare.
Preparato il letto e accesso il fuoco, abbiamo imbandito la mensa: uova, latte,
bresaola, formaggio, succo di frutta, mele
e banane. E alla fine, un pezzo di cioccolato.
Per recuperare un minimo di dignità,
dopo quella abbuffata, avevamo bisogno
di un po’ di movimento.
Con i resti di una piccola falce, scoperta
per caso infilata nel muro, abbiamo tagliato dell’altra erba.
Era una scena sorprendente.
Due piccoli uomini indaffarati a falciare
sotto un cielo di migliaia di stelle che, l’aria fredda di ottobre faceva luccicare ancora più del solito.
Miliardi di uomini sotto lo stesso cielo, e
noi due soli lì ad ammirarlo splendente
come mai.
Che ore saranno? Mi chiede il mio compagno di escursione per l’ennesima volta.
È tutto il pomeriggio che mi rivolge questa domanda.
Boh, forse sono le sette, forse le nove,
forse le dieci … chi lo sa.
Che importa saperlo.
Ci infiliamo nel sacco a pelo e poi ognuno
si immerge nei suoi pensieri.
Quante cose nella mente.
Con gli occhi aperti guardo il soffitto di
quella piccola e povera baita. Quattro
muri a secco, una stalla bassa, per animali
bassi, un pavimento di piccoli tronchi, sul
tetto le solite pesantissime piode selvatiche. E tutto questo consumato dal tempo.
Giorni, mesi, anni, fatiche di generazioni
di pastori attaccati a questa povera terra
che dovevano amare (odiare) perché non
avevano scelta.
Poi i sogni mi sommergono.
Mi sveglio alle raffiche di un vento freddo
che continuerà a soffiare per tutta la notte e anche il giorno dopo.
Simpatici topi, rumorosi e litigiosi, ci tengono compagnia per molto tempo. Se ne
vanno solo alle prime luci dell’alba.
Fa freddo quando ci alziamo, ma un fuoco allegro e vivace si incarica di mitigare
la temperatura.
Sembra una bella giornata. In realtà oltre
a quel noiosissimo e freddissimo vento, ci
sono all’orizzonte delle bianche nuvolaglie, che però stanno già dissolvendosi in
una leggera foschia.
Sulla nostra destra c’è la cresta di val
Bona, che ci sembra si possa raggiungere
per un facile canale. 450 m di dislivello,
almeno 800 di sviluppo.
Un continuo salire e scendere, aggirare
ora a destra e ora a sinistra, qualche deviazione per l’impossibilità nel proseguire.
Alle 13 siamo in vetta. Che siano le 13 lo
stabiliamo noi tenendo conto della posizione del sole.
Non è comunque un orario al quale crediamo più di tanto, perché potrebbe anche essere semplicemente mezzogiorno.
In ogni caso decidiamo di fermarci a mangiare al riparo di un grosso masso.
Che ci importa se sono le 12 o le 13?
Cima di val Bona (m 3033)
69
Alpinismo
Il personaggio
Giusto Gervasutti
Mario Sertori
N
G
1 - Gianpiero Motti, La Storia dell’Alpinismo,
IGDA 1977 e Vivalda editori 1994.
70
Le Montagne Divertenti "il Fortissimo"
si riassume in alcuni denti spezzati, costole rotte e contusioni varie,
traumi che avrebbero consigliato
chiunque una immediata visita in
ospedale. Chiunque, ma non il Fortissimo, che trova la forza per proseguire ingaggiandosi da capocordata e
uscendo vittorioso dopo due giorni
di battaglia da quella che è ancor
oggi ritenuta una delle più severe vie
di ghiaccio e misto delle occidentali.
Nel libro Scalate nelle Alpi 2 scriverà a
proposito di questa avventura: ”Debbo
fare appello a tutte le mie forze per non
cedere al dolore e lasciarmi andare….
Il dolore del corpo martoriato scompare
annullato dalla volontà d’azione.”
ella sua Storia dell’Alpinismo Gianpiero Motti1, uno
dei più autorevoli divulgatori della
verticale, definisce Gervasutti “Il
Michelangelo dell’Alpinismo”. E’
difficile andare oltre il quadro efficace da lui tracciato: le sue parole
soffiano lontano la polvere della
retorica che il tempo e l’agiografia
ufficiale hanno depositato sul personaggio, per restituirlo alla sua
umana dimensione, dove bagliori
di lotte epiche su severe muraglie
si confondono a tristi ritorni nella
società di tutti i giorni, dominata
dalle comodità del vivere moderno.
iusto Gervasutti nasce a Cervignano del Friuli il 17 aprile
1909 e nel 1931 si trasferisce a Torino
per gli studi universitari. E’ già un
provetto arrampicatore con un buon
bagaglio di esperienze sui più duri itinerari del tempo nelle selvagge montagne della Carnia e in Dolomiti. Nella
città della Mole, trova subito nuove
amicizie tra gli scalatori dell’élite
piemontese, frequenta Boccalatte,
Chabod, il francese Devies e ben presto si trova a proprio agio anche sul
granito e negli ambienti severi delle
Alpi Occidentali. Soprannominato
“il Fortissimo”, porta una ventata di
aria nuova nell’ambiente torinese e
soprattutto svela agli “occidentalisti”
l’arte del salire su pareti sempre più
ripide, facendo uso, dove necessario,
anche di una raffinata tecnica artificiale. Con lui l’alpinismo nell’ovest
fa un salto di qualità: dopo il 1930 e
fino alla sua scomparsa, egli diventa
una delle figure di riferimento del
mondo verticale italiano ed europeo.
Uomo inquieto, solo nel momento
dell’azione trova pace al suo tormento
interiore, ma la gioia del successo non
dura che pochi attimi, mentre gli è
difficile resistere nella monotonia del
quotidiano.
detto
A
nche sul monte Bianco Gervasutti porta a compimento
alcune grandi realizzazioni. Tra queste quella che ha mantenuto intatto
il suo valore è sicuramente il primo
itinerario sulla parete est delle Grandes Jorasses, un bastione granitico
immenso di difficile soluzione. In due
giorni nell’estate del 1942, insieme a
Gagliardone, il Fortissimo firma il suo
2 - Giusto Gervasutti, Scalate nelle Alpi, Torino 1945
“Bisogna essere severi con noi
stessi, crudelmente severi. Spesso
sono inquieto; l'inquietudine,
per me, è uno stato d'animo
abbastanza normale; mi sembra
sempre che ci sia qualcosa che non
vada; sono sempre insoddisfatto
di me. E' una volontà recondita
che alimenta questa passione per
ciò che è grande, vasto, immenso.
Vorrei staccarmi da tutto ciò che
è basso, meschino, debole; dal
corpo ma anche dalla società che
mi costringe a sprecare una gran
parte di questo tempo che passa
inesorabile portando via i miei
sogni migliori".
capolavoro. Trova risposta ad una gran
quantità di problemi tecnici che gli si
presentano lungo il percorso e consegna ai posteri una linea, moderna
per difficoltà tecniche, seppur tracciata con i mezzi del tempo e soprattutto con pochissimi chiodi. Ma la
sua “pennellata” Gervasutti la lascia
anche nel selvaggio e ancora inviolato
versante meridionale del massiccio,
dove nel 1940 con Paolo Bollini apre
una via sull’ austero pilone nord del
Freney. Nel suo mirino c’è anche il
problema più ambito del tempo: la
nord delle Grandes Jorasses. Partecipa a questa sorta di corsa che non
gli riesce per cause a lui estranee, ma
intasca comunque la prima ripetizione dello Sperone Croz inseguendo
la cordata degli apritori, i tedeschi
Meier e Peters. Sua è anche la prima
ripetizione dell’interminabile cresta
sud dell’Aiguille Noire. Nel 1938 è
la volta di un’altra prima importante,
sulla nord ovest del Pic Gugliermina,
insieme ad un altro grande scalatore,
Gabriele Boccalatte. Oltre a queste pietre miliari, di lui rimangono
un sacco di altre prime salite un po’
ovunque, anche nelle Alpi Centrali;
alcune sue vie sono diventate delle
classiche come lo spigolo sud della
punta Allievi, altre meno ripetute
come lo spigolo est-nord-est della
cima di val Bona o quella sulla Torre
Re Alberto, ma tutte hanno tramandato agli arrampicatori di oggi il suo
stile elegante e l’audacia di una scalata
by fear means (con mezzi leali).
G
iusto Gervasutti muore il 16
settembre del 1946 durante
una ascensione, ma non cadendo su
un passaggio estremo. Un destino beffardo chiude il suo capitolo terreno
mentre sta cercando di aprire una
via su un bel pilastro di granito del
Mont Blanc du Tacul. Il maltempo lo
costringe alla ritirata in doppia, una
corda si impiglia e Giusto risale per
liberarla: proprio quell’operazione
così banale, ma anche pericolosa,
segna il capolinea della sua esistenza.
Da allora quell’obelisco vagamente
rosso porterà il nome del Fortissimo.
“Lo stato di grazia è un'utopia
inafferrabile; è una fata morgana
che si fa inseguire per anni e anni,
finché, con la giovinezza, scompare
senza darci l'addio."
Di particolare rilievo la sua attività
esplorativa nel massiccio degli Ecrins
nel Delfinato: nel 1934 con Lucien
Devies sale la nord ovest del Pic
d’Olan e l’anno successivo l’inviolata
cresta sud del Pic Gaspard, ma è nel
1936 che gli riesce la più straordinaria
delle imprese, con la prima ascensione
della parete nord ovest dell’Ailefroide,
una grandiosa muraglia di roccia e
ghiaccio ripida e repulsiva.
È proprio in questa scalata che la
sorte lo mette alla prova: mentre sta
cercando nel buio il percorso migliore
per attaccare, viene colpito da un
grosso sasso che lo scaraventa nella
morena. Il bilancio dell’incidente
Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Giusto Gervasutti (1909-1946)
71
Alpinismo
Pizzo Matto
via dei Matt
Beno
Il pizzo Matto (versante N) dalla capanna Dosdé.
La via dei Matt corre sulla cresta di dx e qui se ne vede l'ultimo
tratto
2011, foto Beno
- www.clickalps.com).
72 (9 agosto
Le Montagne
Divertenti
Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Pizzo Matto (m 2993)
73
Alpinismo
Val Grosina
I
l pizzo Matto è la vetta rocciosa a NO del passo di Vermolera. Il punto culminante
è all'incrocio delle tre creste che formano l'ossatura del monte. Sulla cresta O, in
particolare, corre la via dei Matt, bel tracciato aperto l’11 luglio 1971 da Bruno Gilardi e
Duilio Strambini.
L
e rocce della cresta sono solide solo a tratti. Le difficoltà si concentrano all'attacco
(passo di IV+) e all'uscita (fessura di IV). Nella prima parte della salita il percorso
non è mai obbligato e ognuno può inventarsi una propria linea. La straordinaria bellezza
dell'ambiente naturale e l'isolamento garantito rendono questa gita molto consigliabile.
Dalla baita del pian del Lago: l'anticima di quota m 2796, oltre cui lo sperone della
cresta occidentale del pizzo Matto precipita al pian Sertif (9 luglio 2011, foto Beno).
Il primo tiro della via (9 luglio 2011, foto Beno).
La quota 2796 e la vetta del pizzo Matto viste da S dal laghetto di quota 2500 (9 luglio 2011, foto Beno). La mappa schematica è a pag. 10.
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Malghera (m 1936).
Itinerario automobilistico: dalla chiesa
parrocchiale di San Giuseppe all'ingresso di Grosio
si entra nel paese e lo si attraversa fino a trovare e
seguire le indicazioni sulla sx per la val Grosina. La
via asfaltata prende quota verso Ravoledo offrendo
ampia visuale su Grosio. Dopo vari tornanti, si
taglia a mezza costa fino a Fusino, dove si prende
la deviazione per Malghera (sx). Attrraversato il
Roasco appena sotto la diga (ponte, m 1163) , la
strada asfaltata penetra in val Grosina Occidentale
e avvicina vari nuclei che presentano tutt'ora le
originali caratteristiche costruttive (Presacce, Ortesei,
Sacco). Un bretella pianeggiante sterrata anticipa il
guado sul torrente che scende dalla val Pedruna. Al
ponte seguono dei ripidi tornanti asfaltati con bella
vista sull'imponente cascata del Roasco Occidentale.
Oltre le baite di Pirla si è nella conca di Malghera e in
breve a Malghera (m 1936, 18 km da Grosio). Si può
lasciare l'auto nel parcheggio che precede la chiesa
9 luglio 2011
itrovo a Grosio all'alba con
la guida alpina grosina Giuliano Bordoni e suo cugino Cristian.
Obbiettivo ripercorrere una delle vie
R
Bizzarro roccione appoggiato sulle placche dell'ultimo tratto della cresta
74del pizzo
Le Montagne
Divertenti
occidentale
Matto (9 luglio
2011, foto Beno).
In discesa nel primo tratto della via normale al pizzo Matto (cresta SSE)
2011
dopo una nevicata autunnale (26 settembre 2010, fotoAutunno
Beno).
Le Montagne Divertenti della Madonna del Muschio (m 1960).
Itinerario sintetico: Malghera (chiesa - m 1960)
- Casera di Sacco - Mandre Vecchie (m 2063) - pian
del Lago (m 2316) - pian Sertif (laghetti - m 2360)
- pizzo Matto per la cresta O (m 2993) - discesa per
la normale (cresta S) - passo di Vermolera (m 2782) pian del Lago (m 2316) - Mandre Vecchie -Malghera
(chiesa - m 1960).
Tempo
di percorrenza previsto:
8 ore per l’intero giro.
Attrezzatura richiesta: casco, imbraco,
cordini, qualche friend o dado, corda (30 m).
Difficoltà: 4 su 6.
Dislivello in salita: 1050 metri ca.
Dettagli: PD+ la salita per la cresta O (passi di
IV), F la normale (I-II), EE sia l'avvicinamento che la
discesa dal passo.
mappe: Kompass n. 96, Bormio-Livigno, 1:50000.
aperte da Duilio Strambini e a cui
lo stesso Duilio era particolarmente
affezionato: la via dei Matt al pizzo
Matto. La faremo con gli scarponi
così come è stata aperta.
Siamo una bella compagnia di cinque sciamannati che, mezzi addormentati, lasciano le auto a Malghera
(m 1936), nel parcheggio del ristoro
vicino alla chiesa della Madonna del
Pizzo Matto (m 2993)
75
Alpinismo
M
pian Sertif, oltre cui la cresta spiana.
Per rottami raggiungiamo la successiva e conclusiva impennata della
dorsale, la parte più interessante della
via. Un enorme gendarme di roccia
rossa segna la ripresa dell'arrampicata.
Anche in questo tratto l'ingresso è
la cosa più ostica: un diedro sulla dx
(III+) a cui seguono placche di roccia
a tratti anche buona. Vi sono alcune
piodesse curiose, scure e liscissime,
quasi degli specchi. Pure in questo settore non vi è una linea obbligata, per
cui non siamo sicuri che la nostra via
coincida con l'originale, anzi le relazioni dicono che l'attacco dell'ultimo
settore stava a sx e aveva un passo di
IV. Smettiamo così di badare ai testi
e ci dedichiamo alla vista che presto
diviene dominante sull'intera valle e
sulle cime dentellate che la racchiudono. A pochi metri dalla vetta vi è, in
direzione del dosso Sabbione, anche
un pulpito panoramico che sporge
in bilico dalla cresta. Vi saliamo a
far qualche foto stupida, poi, velocemente, raggiungiamo la vetta per
pranzo (pizzo Matto, m 2993, ore
1:30).
Rannicchiati vicino all'ometto contempliamo l'isolamento dei luoghi
e cerchiamo di arrangiare le pietre
per ricavarne dei giacigli. Simone mi
fa notare che Alex, che nemmeno
si è impegnato a farsi il letto, dorme
pacifico con uno spuntone conficcato
nella schiena.
Sfogliando il libro di vetta abbiamo
un tuffo al cuore. Troviamo proprio
la firma di Duilio, salito quassù il 2
settembre 1977 per questa stessa via.
Accanto a noi vi è un cordino marcio che segna l'uscita della via Toni,
un bel tracciato su rocce solide (come
ci conferma Cristian che l'ha salita
qualche anno fa) e con difficoltà fino
al VI. La via, che supera la parete E
del pizzo Matto, è stata dedicata ad
Antonio Strambini, forte alpinista
grosino caduto sulle cime di Redasco.
uando Alex si sveglia, dicendo
tra l'altro di non aver mai trovato posto più comodo per dormire,
inizia la discesa per la cresta SSE, la
via normale. Dopo le prime roccette
ripide e a tratti un po' esposte (II), la
cresta spiana. Qui smontiamo a dx
(O) dove, oltre un ripiano di ghiaia
(ometti) traversiamo parecchi metri
sotto lo spartiacque in direzione S.
Aiutati da alcune cenge aggiriamo le
due terrificanti anticime S della montagna e, tornati sulla dorsale, dopo
una rampa di detriti mobili, siamo
al passo di Vermolera (m 2782, ore
0:30), valico che mette in comunicazione la valle di Avedo con quella di
Sacco.
Si sentono delle voci: alcuni geologi
francesi stanno facendo man bassa dei
sassi. Chissà se c'è qualcosa di prezioso in queste gande infami.
Dal valico, per traccia (O), scendiamo con diagonale verso sx (SO - si
passa sotto la barra rocciosa che protegge il passo), per poi piegare a dx sui
rottami che ci portano al ripiano dove
giace un bel laghetto azzurro (m 2500
circa).
Pausa per bagnetto rinfrescante
nelle gelide acque al cospetto del versante meridionale del pizzo Matto,
poi, tenedoci nella parte sx della valle
(segnavia), siamo al pian del Lago e,
velocemente, alla baita in legno già
incontrata all'andata.
Assetatissimi ci lasciamo trascinare
dalla forza di gravità fino al rifugio
di Malghera (m 1936, ore 2), dove,
tra orde di bimbi vivaci, beviamo l'
agognata birra di fine giornata e Giuliano, Simone e Cristian ricordano
quando da ragazzi avevano trascorso
quassù con l'oratorio le loro vacanze
estive tra passeggiate, giochi, scherzi e
punizioni esemplari.
Q
Dalle prime pagine del libro di vetta
del pizzo Matto (2011, foto Beno).
Muschio. Ci incamminiamo sulla
strada sterrata che, dopo un cancello
per le mucche, corre sulla dx idrografica del torrente Roasco fino alla
casera di Sacco. Breve discesa (dx) e
attraversiamo il Roasco Occidentale
su un ponte di cemento. Alla baita di
Mandre Vecchie (m 2036) il sentiero
inizia a salire a tornanti la sponda
erbosa per poi andare incontro all'emissario del lago inferiore del pian dei
Laghi.
La nostra guida lamenta dolori al
costato. C’è chi pensa a uno strappo
mentre scalava una parete estrema, chi
a una botta per proteggere un cliente
da un masso staccatosi dall’alto, ma
l’infortunio di Giuliano è seguito a
un’impresa ben più ardita: domare un
toro meccanico al palio dei coscritti di
Grosio!
Nello sfondo di pascoli fioriti ai
piedi del Sasso Farinaccio corrono le
prime ore di questa giornata estiva,
tra chiacchere e battute esilaranti che
aumentano le sofferenze di Guiliano
a cui i dolori rendono un calvario
persino le risate. Non siamo proprio
buoni amici, ma sadici barzellettieri
che feriscono il poverino con gli
ultimi ritrovati della goliardia.
In alto (NE), tra i pascoli, vediamo
una bella baita in legno e, sullo
sfondo, i roccioni del pizzo Matto: il
massiccio sperone della cresta O va a
spegnersi nel pian Sertif. Puntiamo
proprio quel punto, che raggiungiamo dopo una traversata verso NE
fino al pian Sertif coi suoi laghetti e
salendo una faticosa pietraia (attacco
via, m 2500 ca, ore 2).
essi gli imbrachi e legati in
cordata iniziamo la nostra
avventura sulle rocce, cercando di
seguire le indicazioni che Duilio ha
scritto nel suo diario e che Raffaele ci
ha inviato.
Oggi la montagna è ostile, perché
le rocce sono bagnate e coperte di
licheni scivolosissimi.
Appena a sx del grande canalecamino che incide il contrafforte,
dopo un ingresso non banale (IV+),
seguiamo, senza via obbligata1, un
sistema di placche e cenge (III/III+)
che ci fanno raggiungere la quota
m 2796 (ore 1:30), chiamata Sasa del
1 - È perciò richiesto buon intuito.
76
Le Montagne Divertenti Cima di Saoseo
diedro SSE
Beno
Giuliano Bordoni nel diedro SSE della cima di Saoseo
(9 agosto 2011, foto Beno - www.clickalps.com).
Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Cima di Saoseo (m 3263)
77
Cima Viola
(m 3374)
Alpinismo
Dosso Sabbione
(2960)
Pizzo Matto
(2993)
Sasso Campana
(m 2913)
Cima di Saoseo
(3263)
Pizzo Ricolda
(m 2967)
Passo di Vermolera
(m 2734)
Corno
di Lago Negro
Passo
(2927)
di Lago Negro
(2902)
Panorama dal lago inferiore di Tres (9 agosto 2011, foto Beno). La mappa schematica è a pag. 10.
Bellezza
Partenza: parcheggio sotto Stabine (m 1750 ca).
Itinerario automobilistico: dalla chiesa
parrocchiale di San Giuseppe all'ingresso di Grosio
si entra nel paese e lo si attraversa fino a trovare e
Fatica
seguire le indicazioni sulla sx per la val Grosina. La
via asfaltata prende quota verso Ravoledo offrendo
ampia visuale su Grosio. Vari tornanti precedono il
taglio a mezza costa per Fusino, dove si ignora la
deviazione per Malghera e si insiste a N lungo la
Pericolosità
val Grosina Orientale. Traversato il Roasco, sulla
dx idrografica, dopo alcuni ripidi tornanti, a poche
centinaia di metri dal suggestivo abitato di Eita,
una stretta carrozzabile si diparte sulla sx e prende
quota nel bosco con alcuni tornanti. Segue un taglio a mezza costa, alto
sopra l'alpe Avedo. Poco prima del guado sul rigagnolo che scende dalla
sella tra la cima di Lago Spalmo Orientale e il Sasso di Conca, vi è un
parcheggio sulla sx dove si consiglia di lasciare l'auto (m 1750 ca).
Itinerario sintetico: parcheggio prima di Stabine (m 1750 ca)
- Stabine (m 1821) - case di Vermolera - Tres (m 2194) - lago Negro
(m 2560) - cima di Saoseo per il dietro SSE (m 3263) - capanna Dosdé
(m 2824) - lago Negro - parcheggio sotto Stabine (m 1750 ca).
Tempo
di percorrenza previsto:
11 ore per l’intero giro.
Attrezzatura richiesta: scarponi, casco, imbraco, cordini, friend,
corda (50 m), utili piccozza e ramponi ad inizio stagione.
Difficoltà: 5- su 6.
Dislivello in salita: 1500 metri circa.
Dettagli: AD il diedro SSE (III-IV+), F la normale (un breve passo di II),
Il tracciato lungo la parete SSE della cima di Saoseo
(9 agosto 2011, foto Beno).
78
Le Montagne Divertenti EE il resto della gita.
mappe: Kompass n. 96, Bormio-Livigno, 1:50000.
Autunno 2011
I
l 15 settembre 1974 Duilio Strambini con Luigi Zen, Beppe Galasso e Donato Erba
aprì un'elegante via sulla parete SSE della cima di Saoseo (m 3263) che percorre
integralmente il diedro-camino a dx del grande spigolo che divide la parete.
Arrampicata divertente, roccia discreta e isolamento garantito accompagnano l'alpinista
nella scalata ad una delle più panoramiche cime della val Grosina.
9 agosto 2011
Il cammino inizia che il sole è già
alto. Ci alziamo verso O sulla pista
che da sterrata diviene cementata e
molto ripida. Passiamo vicini alle case
di Stabine (m 1821), di fronte alle
quali rumoreggiano le cascate del Rio
d'Avedo. Guadato un ruscelletto, un
ultimo sforzo ci porta nella strozzatura che fa da sipario al pianoro su cui
sorgono le minuscole e graziose case
di Vermolera (m 1900 ca).
Accanto ad un carro agricolo c'è
una coppia di anziani circondata da
galline e tacchini che accudisce premurosamente due agnelli. La signora
si lamenta con noi delle troppe pioggie di quest'estate e del freddo patito
ieri sera.
Attraversiamo il Rio d'Avedo sul
ponte di cemento a O del pianoro e
Le Montagne Divertenti costeggiamo per sentiero il torrente
sulla dx idrografica. La valle si fa
cupa e incassata. Oltrepassato un torrentello e zigzagato sui fianchi di un
dosso erboso ci riavviciniamo al Rio
d'Avedo in corrispondenza di un'altra
gola. Questa volta però, al di là della
strettoia il paesaggio si apre grandioso
sul lago di Tres e sulla corona di vette
che cinge la valle. A S vi sono i contrafforti rocciosi del Sasso Campana
(m 2913), poi, in senso orario, incontriamo il passo di Vermolera, il pizzo
del Matto (m 2993) (proprio sulla
parete che vediamo corre la via Toni),
il dosso Sabbione (m 2960), il Corno
di Lago Negro (m 2027), il pizzo
Ricolda (m 2967) e, a NO in fondo
alla valle, l'inconfondibile cima di
Saoseo (m 3263). Ne si vede la parete
SSE, divisa da un grande spigolo deli-
mitante la faccia sx del grande diedro che andremo a scalare. A N (dx)
incombono le cime di Lago Spalmo,
tra cui spicca l'impressionante parete
S della cima Viola (m 3374), la vetta
più alta della regione.
È un'altissima muraglia di roccia
rossa solcata da celebri via d'arrampicata. Giuliano, che nel 2006 con
Gianluca Maspes e Rossano Libera ha
aperto "Viola bacia tutti", ci mostra
il cengione biancastro a metà parete
dove avevano bivaccato la prima
notte.
Passata l'alpe Tres (m 2194, ore
1:30) io e Giuliano continuiamo
sulla sx orografica per tracce fra
magri pascoli appena al di sopra
delle gande, Gioia e Giacomo si dirigono a SO verso il passo di Vermolera e ci raggiungeranno fra qualche
Cima di Saoseo (m 3263)
79
Alpinismo
Val Grosina
I primi metri della via (9 agosto 2011, tutte le foto Giuliano Bordoni).
Il traverso delicato su roccia friabile per entrare nel diedro (9 agosto 2011).
Nel diedro la roccia è bagnata e ghiacciata (9 agosto 2011).
Ultimo tiro, ai piedi del grande tetto (9 agosto 2011).
ora al lago Negro (vedi gita descritta a
pagg. 82 e 83).
A m 2500 ca. saliamo il ripido
pendio per il dosso di quota m 2571.
Ci affacciamo così al lago Negro
(m 2560) e ne costeggiamo dall'alto
la sponda meridionale. Il paesaggio è
quasi lunare, caratterizzato da grandi
massi grigi e rossicci. La cima di Saoseo
ci scruta fiera a NO. Ci inerpichiamo
sui ghiaioni che arrivano ai piedi della
parete. L'attacco della via si trova alla
base dello spigolone che la divide verticalmente1 (m 2900, ore 2).
Messo casco e "patello"2 ci arrampichiamo in diagonale verso dx (II/
III - cenge e camini3) fin sotto ad un
grande scudo di roccia rossastra. Giuliano fantastica già sulle nuove vie che
potrebbe aprire lassù.
Siamo all'altezza della base del diedrone a dx dello spigolo e vi entriamo
dopo un delicato traverso a sx (III+,
friabile ed esposto) e una cengia obliqua4. I resti di una scatoletta di sardine, di cui purtroppo non leggiamo
la scadenza, ci confermano che siamo
sulla strada giusta.
Vedendomi infilare le protezioni
veloci alla bene e meglio, Giuliano
- che è ancora convalescente da una
frattura al polso5 - mi spiega come
perfezionarmi e mi raccomanda di
proteggere sempre la sosta con friend
appena riparto: una mia caduta in
questo modo non graverebbe direttamente sulla sosta.
È agosto, ma ci sono i
candellotti di ghiaccio sulla
via e dove non è gelato è
bagnato!
un grande tetto. che aggiriamo sulla
sx per placche (III/IV). Una rampa di
detriti ci fa uscire sui pianori sommitali a pochi metri dalla cima italiana
(sx) (cima di Saoseo, m 3263, ore
2:30) e a un centinaio da quella svizzera (dx), poco più bassa7.
Pranziamo accanto all'ometto italiano. Scende qualche fiocco di neve.
Chiamiamo con la ricetrasmittente
Gioia e Giacomo che, a breve, si affacciano dal passo di Lago Negro e ci
salutano.
Attorno a noi il paesaggio è molto
esteso, dalla verde val di Campo coi
pittoreschi lago Saoseo, Scispadus e
val Viola, ai vicini ghiacciai della val
Cantone di Dosdé, alle pietraie delle
alte val d'Avedo e di Sacco. Più lontano i gruppi del Bernina (O), del
Cevedale (E), dell'Adamello (S) e
dello Scalino sono in parte celati dalle
nebbie.
La discesa è per il versante E (via
normale). Dall'"acrocoro", come
definisce Renato Armelloni8 l'ampia calotta sommitale, per roccette,
neve e ganda scendiamo un primo
dossone. Oltre la sella con vista sul
malconcio ghiacciaio di val Viola,
risaliamo fin quasi alla quota m 3140,
per poi contornarla da dx (lato val
d'Avedo). Ripreso il filo ci abbassiamo facilmente per rocce e rottami
finché vediamo l'accuminata punta
quotata m 3056. Lo aggiriamo da dx
7 - Abbiamo contato 6 tiri dall'attacco, di cui 4 nel
diedro.
8 - Renato Armelloni, Guida dei monti d'Italia.
Alpi retiche, CAI-TCI, San Donato Milanese 1997.
per una cengia esposta (un passo di II
in discesa), per poi risalire e tornare
(sx) sull'ampia dorsale. Giù per ganda
seguendo gli ometti di pietra, poi su
per ganda a scavalcare il successivo
dossone, poi, tanto per cambiare, per
ganda raggiungiamo il passo Dosdé
(m 2824, ore 1:30), dove si trova la
capanna Dosdé, una casetta in muratura, unico punto d'appoggio per le
salite nel gruppo.
Il sentiero bollato ora scende per
scomode pietraie, dapprima con una
breve diagonale verso sx, poi portandosi decisamente a dx (O), appena al
di sopra di un laghetto (m 2672).
Passato un ripiano, una valletta di
sfasciumi declina verso il lago Negro
(m 2560, ore 0:40), dove ci ricongiungiamo con Gioia e Giacomo. Per
la via di salita torniamo ai Tres, incontrando due caprai intenti a mungere
una capra che non lascia più allattare
il piccolo, rischiando così di prendersi
una mastite. Le cornute del branco
son tutte di gran qualità, "frise" quasi
tutte col pelo bianco e nero lucente.
Il proprietario, Tommaso Rinaldi,
ci mostra orgoglioso il suo bucc', un
esemplare di tre anni così robusto da
sembrare un cavallo con le corna!
In men che non si dica siamo di
ritorno a Vermolera dove la coppia di
pastori sta allattando i due agnelli con
una tettarella di gomma innestata in
un secchiello. Le galline li osservano
con invidia.
La monotona e ripida gippabile ci
riporta sotto Stabine, dove avevamo
lasciato l'auto (m 1750 ca., ore 2).
Dopo 2 tiri da 50 metri con difficoltà alterne (III/IV)6, facciamo sosta
sotto uno strapiombino, il passaggio
chiave (5m, IV+, uscita friabile).
Lo saliamo con la tecnica per l'arrampicata in camino e, dopo alcuni
metri più semplici, siamo ai piedi di
1 - Sullo spigolone corre la via "Duilio" aperta da
Luigi Zen, E. Pasquinoli e Toni Strambini il 2
ottobre 1983 e dedicata alla memoria di Duilio
Strambini.
2 - Nomignolo dato all'imbraco.
3 - Calcolare 2 tiri.
4 - Piegando a sx prima dello scudo di rocce si
sarebbe evitato il traverso pericoloso e si sarebbe
probabilmente seguita la via originale.
5 - Era la sua prima pedalata in bici senza rotelle.
6 - Tiri 4 e 5 dall'attacco.
80
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Un pastore allatta un agnello "orfano" a Vermolera (9 agosto 2011, foto Beno).
Cima di Saoseo (m 3263)
81
Escursionismo
Val Grosina
Cima di Saoseo
(3263)
Cima Viola
(m 3374)
Pizzo Matto
(2993)
Passo Dosdé
(2824)
Passo
di Lago Negro
(2902)
Passo di Vermolera
(m 2734)
Tres
(2194)
Pian del Lago
Pian Sertif
Lago Negro
(2560)
Escursione attorno al Matto
Panoramica dal pizzo Ricolda. In rosso la salita alla cima di Saoseo per il diedro SSE, in giallo la discesa dalla cima di Saoseo al lago Negro, in verde
l'escursione descritta in questa scheda. Il passo di Vermolera è indicato anche se non è visibile da questa inquadratura perché nascosto dal crestone
SO del pizzo Matto (6 settembre 2009, foto Luca Carloni - www.nikonista.it/brata).
Sotto: momenti dell'anello escursionistico (tutte le foto 9 agosto 2011, foto Giacomo Meneghello). La mappa schematica è a pag. 10.
Giacomo Meneghello
F
orse non tutti se la sentono
di scalare le vette di Duilio
Strambini; allora per chi volesse semplicemente ammirare dal
basso sia la cima di Saoseo che
il pizzo Matto, consigliamo questa
bella passeggiata con partenza e
ritorno a Stabine, in val d'Avedo,
salendo ai passi di Vermolera e
di Lago Negro e attraversando
la testata della val di Sacco. Una
delle maggiori attrattive della gita
sono i laghi che si andranno a
visitare, incastonati fra pietraie,
praterie e bancate di rocce.
'escursione richiede 8-9 ore
e ha in comune col tracciato
alla cima di Saoseo la salita fino a
Tres e la discesa dal lago Negro,
per cui ci limiteremo a descrivere
la tratta Tres - passo di Vermolera - passo di lago Negro - lago
Negro. I sentieri non sono sempre
chiari e in molti tratti si dovrà
muoversi con intuito.
asciata l'alpe di Tres si
costeggia il lago sulla sua
L
L
82
Le Montagne Divertenti sponda settentronale (dx), quindi1
per traccia non sempre chiara si
segue il sentiero bollato che piega
a sx salendo a SO tra liste d'erba
e pietraie. Raggiunto il bellissimo
lago Venere (m 2408), incastonato fra i gradoni rocciosi del sasso
Campana, oltre il pianoro detritico
che ne segue, si imbocca un ripido
canale di sfasciumi2. A circa m 2600
c'è una strettoia, quindi una rampa
di detriti. Si piega a dx (SO) e si
esce dal solco per raggiungere la
cima del dosso di quota 2700 ca.
i attraversa (dx, O) la scomoda conca pietrosa che porta
al passo di Vermolera (m 2734,
ore 2).
'accesso alla val di Sacco
si trova a dx della bancata
rocciosa che protegge il passo. La
traccia, inizialmente labile, dopo
essersi abbassata traversa (S, sx)
sopra la scarpata di detrito, per poi
raggiungere il pianoro basale.
enza via obbligata3, per i
pratoni sulla dx orografica, si
scende fino alla baita del pian del
Lago, posta nei pressi del lago del
pian del Lago (m 2316).
i si dirige ora a N e si attraversa il pian Sertif per salire
infine al lago Scalpellino (m 2480)4.
N domina l'appuntito Corno
di Lago Negro, mentre alla
sua sx c'è il pizzo Ricolda. Il passo
di Lago Negro è alla sinistra di
quest'ultimo e lo si raggiunge dopo
aver attraversato vari dossoni
verso NO e incontrato vari laghetti. Una ripida valletta di sfaciumi
porta infine al valico (passo di
Lago Negro, m 2902, ore 3).
untando il lago Negro si
perde quota sugli sfasciumi
e ci si ricongiunge alla traccia che
dal passo Dosdé scende all'alpe
Tres (m 2194, ore 1:40).
1 - Cartello indicatore.
2 - Da qui fino al passo la segnaletica è evidente.
3 - Qualche bollo e ometto di pietra.
4 - Per maggior chiarezza vedere l'immagine a pag. 34.
S
L
S
C
A
Verso il dossone erboso che precede l'alpe Tres.
Il lago Venere (m 2408) in alta val d'Avedo.
Il traverso nella pietraia che porta al passo di Vermolera.
La bella baita al pian del Lago. Sullo sfondo i contrafforti del pizzo Matto.
P
Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Escursione attorno al Matto
83
L'anello della
val Belviso
Antonio Stefanini
Tendata al lago Nero. Sullo sfondo, il monte Torena
(m 2911) si staglia contro il cielo stellato
(20 giugno 2011, foto Beno - www.clickalps.com).
Orobie
Escursionismo
L'
anello della val Belviso è un'escursione di due giorni piena di attrattive naturalistiche e
culturali. La fauna selvatica è varia (aquila, camoscio, marmotta e persino muflone) e la flora
altrettanto pregevole (su tutto la Viola di Comolli, endemica della zona alta, oltre a buona parte
della vegetazione tipica alpina). Il paesaggio regala grandi vedute sulle Alpi Retiche (in particolare
il gruppo del Bernina), Adamello e Orobie (Presolana, Camino, Concarena e i vicini Torena,
Tornello, Demignone). Spettacolari i laghi che si visitano, tra i quali spicca il lago Nero alle pendici
del monte Torena, con il suo singolare isolotto, ma anche il lago Verde, i laghi Veneròcolo e il lago
Belviso, attorno a cui ruota l'intero tracciato.
Da ascrivere al coté culturale le evidenze archeologiche: dalle copiose incisioni rupestri ai bordi
dell’emissario del lago Nero - tra le più ad alta quota che siano mai state rinvenute -, ai resti
pre-industriali rappresentati da alcuni forni fusori in zona Venano-Belviso (dal cui passo sono
visibili a SO le rovine della diga del Gleno). Sono ben individuabili pure delle vestigia militari
– soprattutto mulattiere – che facevan parte della linea difensiva Cadorna e oggi sono integrate
nella rete escursionistica.
Bellezza
Fatica
Pericolosità
GIORNO 1
P
Il lago Nero, col suo singolare isolotto, era considerato dal Galli-Valerio uno dei più artistici delle Alpi (20 settembre 2010, foto A. Stefanini).
Partenza: palazzina Falck (m 1381).
Itinerario automobilistico: dall'Aprica prendere in
discesa la SS 39 in direzione Tresenda. Al bivio per Liscedo (2 km)
virare di quasi 180° a sx e, una volta giunti al ponte di Ganda
presso la centrale elettrica omonima (1 km), dopo un tornantino
svoltare a sx per la val Belviso. La strada è in terra battuta e risale
con pendenza limitata la valle fino a Baite San Paolo e al rifugio
Cristina. Qui si fa un po’ più ripida e, con alcuni tornanti, giunge
alla palazzina Falck (ca. 7 km), appena prima della quale inizia il
sentiero. Parcheggio in loco a lato della carrabile o appena al di là
del vicino Ponte Frera, nei pressi dell’area picnic.
Itinerario
sintetico:
Difficoltà/dislivello
in salita:
2 su 6 / 1100 m il primo giorno, 3 su 6 / 250 m il secondo.
Dettagli: EE. Gita escursionistica di più giorni su sentieri a
tratti anche impegnativi (catene).
Mappe consigliate:
Carta Escursionistica GUIDA AI SENTIERI DI APRICA E
DINTORNI, 1:30.000, in vendita unitamente alla Guida nei
negozi e alberghi di Aprica e dintorni;
Kompass n. 94, Édolo-Aprica, 1:50.000 (poco aggiornata).
Numeri utili: rifugio Cristina (337-337997), rifugio Tagliaferri
(0346-55355)
GIORNO 1: palazzina Falck (m 1381) malga Fraitina (m 1698) Aial di Fior (m 1910) - lago
Nero (m 2036) - malga
Torena (m 2054) - lago
Verde (m 2073) - malga Pila
(m 2010) - passo di Venano
(m 2328) - rifugio Tagliaferri
(m 2320).
C
inquanta metri prima della
palazzina Falck, sulla dx proveniendo dal ponte di Ganda, imbocchiamo la pista sterrata lungo cui
corre il sentiero 317. Inizialmente mi
par di rimpiangere il vecchio e ripido
tracciato che s’immergeva nel bosco,
ma presto apprezzo gli ampi tornanti
disegnati lungo l'erto pendio dalla
recente carrozzabile di servizio delle
malghe. La strada è stata certo una
ferita nel corpo della montagna, ma
si è già ben rimarginata e le scarpate
sono tutte erbose e stabili.
Pochi minuti di cammino e possiamo apprezzare l’ampio specchio blu
GIORNO 2:
rifugio Tagliaferri (m 2320) passo del Vò (m 2358) passo del Demignone
(m 2485) - passo del
Veneròcolo (m 2314) Foppo Alto (m 2191) malga Nembra (m 1807) Ponte Frera (m 1373).
Tempo
previsto: 5 ore e
mezza il primo giorno, 6 ore
e mezza il secondo giorno.
Attrezzatura richiesta:
1 - Il toponimo potrebbe derivare dalla parola
dialettale che indica la ferriera.
da escursionismo.
86
Le Montagne Divertenti artiamo lunedì 20 settembre
2010, mattinata splendida e
fresca. Il rifugio Tagliaferri, situato
a metà del trekking programmato, è
aperto. In effetti il Tagliaferri, funzionante circa quattro mesi filati (più i
fine-settimana precedenti e successivi,
quando possibile) è uno di quegli abri
che, garantendo un letto e sostanziosi
pasti, favoriscono il prolungamento
della stagione escursionistica.
Dopo il trasferimento in auto fino
alla palazzina Falck (m 1381), di
fronte alla diga di Belviso (o Frera)1,
si parcheggia agevolmente a lato della
strada proprio in corrispondenza del
primo segnavia n. 317. Si può anche
optare di proseguire in auto oltre
ponte Frera (m 1373), dove ci sono
diversi posteggi esterni alla grande
area picnic del Parco Orobie Valtellinesi, ma il ponte è oltremodo stretto.
Autunno 2011
Le Montagne Divertenti del lago artificiale di Belviso gonfio d’acqua2.
Ho commesso il solito errore di non fare colazione come si deve, così dopo
mezz’ora di salita avverto la fiacchezza. Addento pane e formaggio. Poi una
2 - L'impianto è stato realizzato nei comuni di Teglio e Aprica dalla Falck dal 1953 al 1959. La produzione
annua è di 109,5 milioni di kWh (dato 1988). La capacità dell’invaso supera i 50 milioni di m³, forniti
dalle laterali val del Lat, val del Camp, Pìsciul e altre minori. La popolazione ittica presente è costituita da
trota fario, trota iridea e salmerino.
L'anello della val Belviso
87
Orobie
Escursionismo
Una delle rocce incise presenti a pochi metri dalle rive dell'estuario del lago Nero. Vi sono coppelle,
affilatoi e altri segni non meglio decifrabili (20 giugno 2011, foto Beno).
Lago Nero, lago Verde (deve il nome al proprio colore) e il grande invaso artificiale del lago Belviso
(29 agosto 2010, foto Giacomo Meneghello)
mela, ma ci vuole un po’ perché i
nuovi zuccheri facciano effetto. Tom,
il mio compagno di viaggio, al contrario, vola leggero verso l’alto. Ma,
da nordico, ha già caldo e si mette in
maglietta anche se ci sono solo 10°C.
Lasciata alle spalle la desolata malga
Fraitina (m 1698), con rari segni
di pascolo3, raggiungiamo la malga
dell’Aial di Fior (m 1910), col suo
fontanone e il grande stallone adibito
a sala da pranzo. Anche qui ben poche
cacche di mucca in giro e pascolo
pressoché vergine, sempre a causa
dell’infortunio del malgaro.
La carrozzabile finisce e il sentiero
vira decisamente a sx, proseguendo
dolcemente tra radi larici e immettendoci impercettibilmente nel 301
GVO4 in corrispondenza del bivio per
malga Pila. Lo trascuriamo momentaneamente e insistiamo tra massi
e rivoli d’acqua fino al lago Nero
(m 2036, ore 2), che appare improvvisamente a N dietro un cumulo di
rocce. L’ambiente, che in primaveraestate somiglia a un giardino per
le tante fioriture, è incantevole: i
grandi ciuffi di pino mugo si alternano a rocce levigate in un dedalo
di lingue erbose. Qualche raro larice
dalla chioma giallo ocra si sporge
rischiosamente sulle acque blu del
lago, specchiandosi accanto alla mole
imbiancata del bifido monte Torena
(m 2911). Il larice al centro dell’isoletta, al contrario, è da decenni dritto
come un fuso e sempre uguale. Il
periplo del lago è d’obbligo, sia per le
fotografie, sia per cercar di sorprendere qualche camoscio lungo la piana
umida dove scorre l’emissario prima
di precipitare verso N.
La cosa più emozionante
è trovare le incisioni
rupestri. Sono poco oltre
il lago Nero, a qualche
decina di metri dalle rive
dell'emissario, sui sassoni
levigati sia di dx che di sx.
Uno dei numerosi guadi che si affrontano nel lungo sentiero pressoché pianeggiante che dall'Aial di
Fior porta alla malga Pila (20 settembre 2010, foto Antonio Stefanini).
88
Le Montagne Divertenti 3 - Sebbene il prato sia in fase di progressiva
riduzione a vantaggio del bosco, il fabbricato è
ristrutturato e frequentato. Nel 2010 il malgaro s’è
rotto una gamba pochi giorni dopo la monticazione e ha dovuto tornare a valle con l’intera mandria,
e il pascolo così non è stato utilizzato.
4 - Gran Via delle Orobie, il sentiero di 130 km
attraverso il parco delle Orobie Valtellinesi che
collega Àndalo con Aprica.
Autunno 2011
Passo di Venano
(2328)
Passo di Belviso
(2518)
Rododendri in fiore sul sentiero per la malga Pila e il passo Venano, valico situato sul confine tra la val Belviso e la val di Scalve, pochi metri sopra il
rifugio Tagliaferri, punto d'appoggio per questa escursione (20 giugno 2011, foto Beno).
Vi sono coppelle, i noti affilatoi e
altri segni indefinibili; alcune composizioni a me ricordano dei fiori o il
sole.
Poco sopra alcuni ruderi di baite
corre la GVO, che in direzione N
si biforca poco dopo nel 319 per i
laghi Lavazza (m 2131) e della Cima
(m 2360), raggiungendo il monte
Lavazza (m 2410), meta frequentatissima dagli scialpinisti.
Noi prendiamo la direzione opposta
(S) e, passando per la grande malga
Torena, dove i segni del pascolo sono
anche qui minimi, raggiungiamo lo
smeraldino lago Verde (m 2073,
ore 0:15).
Data la stagione piuttosto prodiga
di pioggia è bello gonfio e, anzi, c’è
pure una pozza antistante, che non
avevo mai visto prima. Le piantine di
uva ursina, volgarmente detta mirtillo
dell’orso, hanno le foglie ormai secche, ma sono ancora colme di minuscoli, dolcissimi frutti. Probabilmente
non piacciono alle marmotte della
zona, come non piacciamo noi visto
che ci fischiano continuamente.
ifacciamo il sentiero a ritroso
fino al bivio (m 1950 ca.) per
R
Le Montagne Divertenti la malga di Pila, attraversiamo lo spumeggiante torrentello Fraitina su un
ponte di tronchi5 e, dopo un trasferimento pianeggiante, lungo e monotono, arriviamo, seguiti da un'aquila
che volteggia sopra le nostre teste, a
malga Pila (m 2010, ore 2).
Non molto sopra, in prossimità del
torrente Belviso, lasciamo la GVO
(che prosegue a sx verso malga Demignone) e imbocchiamo a dx il sentiero
315, che ci porta ripidamente al passo
Venano6 e, pochi metri sotto, al rifugio Tagliaferri (m 2320, ore 1).
Costruito intorno alla metà degli
anni ‘80, il rifugio7 è dedicato
alla memoria dell’alpinista Nani
Tagliaferri, morto tragicamente nel
1981 durante una spedizione sul
Pukajirka (Ande peruviane). La strut5 - Il ponte a fine giugno 2011 risultava piuttosto
malconcio. Se fosse ancora pericolante si deve
optare per attraversare direttamente e con cautela il
torrente poco più a valle.
6 - D'ora in avanti diffidate delle indicazioni dei
cartelli che probabilmente sono stati piantati a
casaccio e con indicazioni talvolta deliranti, come
spesso accade lungo i sentieri della nostra
provincia.
7 - Di proprietà del CAI Bergamo – sottosezione
val di Scalve- e gestito da Francesco Tagliaferri, è
dotato di 60 posti letto. È ufficialmente aperto dal
15 giugno al 15 settembre. Telefono: 0346-55355.
tura è stata recentemente ampliata e
rinnovata per fornire agli escursionisti migliore accoglienza e maggior
comfort.
Veniamo accolti cordialmente dal
premuroso Cesco Tagliaferri.
La nebbia si è già sostituita al sole.
Se la visibilità fosse buona non bisognerebbe mancare una puntata al
passo Belviso (m 2518) o, magari, al
pizzo Tornello (m 2687). Per fortuna,
la sera il panorama si apre e dal mare
di nuvole basse spuntano le cime delle
Orobie bergamasche.
GIORNO 2
La marcia riprende all'alba lungo
il tragitto spettacolare del sentiero
n. 4168, tutto appoggiato al versante
bergamasco dello spartiacque. Vi
sono frequenti tratti con catena di
sicurezza, ponticelli sospesi e scalette di ferro che fanno del percorso
Venano - Veneròcolo una emozionante camminata tra pareti di roccia
e strapiombi, simpatici incontri e
grandi panorami (Adamello, Con8 - Tratto del Sentiero Naturalistico Antonio Curò,
oltre che Sentiero Italia-Lombardia Sud.
L'anello della val Belviso
89
Orobie
Escursionismo
alle nostre spalle il passo Veneròcolo,
ormai molto lontano, e il segno del
sentiero fatto, tagliato con regolarità attraverso le pendici del monte
Colombaro (m 2686).
È un po’ prima di questo punto,
dove il sentiero incrocia l’ideale linea
tra il primo blu dell’invaso di Belviso
a valle e la mole del Telènek a monte
(m 2754), che troviamo il bivio per
il laghetto di Pisa (m 2446) dato
a un'ora, segnavia 333. Il nome è
curioso e non ha nulla da spartire con
la città della torre pendente.
Passo di Belviso
(2518)
Passo di Venano
(2328)
Il rifugio Tagliaferri, qui visto dal sentiero passo Venano - passo del Vò, si trova pochi metri a S del passo Venano e non molto distante dal passo Belviso
in val di Scalve (21 settembre 2010, foto Antonio Stefanini).
carena, Badile Camuno, Tredenus,
Camino, Presolana, Guglielmo). La
flora è davvero ricca, appariscente specialmente in primavera-estate, con la
viola di Comolli (Viola comollia Massara) su tutto, ma anche vistosi doronici (Doronicus sp.), soffici cuscini di
silene (Silene acaulis L.), ranuncoli
dei ghiacciai (Ranunculus glacialis L.),
ecc.. Altrettanto copiosa la fauna, con
camoscio, aquila, marmotta, volpe e
altri. Dal Tagliaferri saliamo dapprima
dolcemente in direzione E verso il
passo del Vò (m 2368, ore 0:30),
una sella dalla quale è assai arduo scollinare a N verso il sottostante Grasso
del Batài e addirittura impossibile a
S sulla val di Vò, visto che quest'ultima cade a precipizio. Sovrastati dal
monte Demignone (m 2584), da qui
assai meno vistoso che da N, con uno
strappo più ripido ci portiamo, dopo
un tratto molto aereo e attrezzato,
verso il passo Demignone (m 2485,
ore 0:45), da cui a settentrione si può
scendere nella valle Demignone, dov'è
la bella malga, mentre a S verso la Bergamasca vi è un precipizio!
Dopo aver superato quota 2500, il
sentiero piega a sx e prosegue prima
90
Le Montagne Divertenti ondulato, quindi in discesa verso il
passo del Veneròcolo9 (m 2314,
ore 0:45).
È questo un vero e proprio crocevia
di sentieri, oggi esclusivamente escursionistici, ma che ebbero in passato
importanza per la pastorizia, l’attività
mineraria, la difesa militare, il contrabbando. Dal Veneròcolo si diramano ben cinque tracciati: il 332 a
N verso la val di Campo; il 301 a NE
per la malga di Pisa; il 416 a O (da
dove proveniamo) e a E in direzione
delle pendici di monte Treconfini
(m 2590), malga e passo Sèllero, passo
Torsoleto e bivacco Davide; il 413 a S
verso la valle Venerocolino.
al passo del Veneròcolo scolliniamo verso sx (NE) in direzione Magnolta di Aprica (m 2000
ca.). La lunga camminata è in dolce
discesa, con dominio iniziale sulla
grande valle di Campo e la sua malga.
Qui, in particolare, è evidente che il
tracciato ha avuto funzioni militari,
correndo per lunghi tratti ampio e
sostenuto a valle – ma sovente anche a
monte in corrispondenza degli avval-
D
9 - Si avvistano in discesa i laghetti azzurri che si
trovano nei pressi del passo.
lamenti – da perfetti muri in pietra.
Ci abbassiamo lentamente verso
quota 2200 e tra lo sfasciume roccioso
cominciano a comparire frequenti
lembi di prato, trapuntati di grossi
escrementi bovini. Si odono in lontananza i campanacci della mandria
di malga Campo e, a un certo punto,
poco sotto il sentiero, compaiono
alcune manze al pascolo tra rododendri, pietre e piccole radure.
Iniziando a circumnavigare l’ampio Foppo Alto, ecco apparire la
prima costruzione: una casetta di
caccia dell’Azienda Faunistica Val
Belviso-Barbellino. Prima di giungervi, dall’alto precipitano sul sentiero, poche decine di metri davanti
a noi, due saettanti camosci che lo
attraversano e, passando a fianco della
casupola, s’immergono in una valletta
per ricomparire sul lato opposto poco
dopo, ormai lontani.
Ora siamo in cima alla valle di Pisa,
coi pochi ruderi delle sue antiche baite
e in saliscendi, tra ruscelli e declivi
erbosi dove frequenti famiglie di
marmotte sembrano giocare con noi
a rimpiattino, usciamo dalla grande
insenatura del Foppo. Rivediamo
Autunno 2011
La mia personale idea
è che, pur non facendo
onore alla sua bellezza, il
nome abbia un’origine un
po’ scurrile: lago di piscia
(pìsa in dialetto), forse per
il fondale brunastro. E la
valle omonima potrebbe
essere stata chiamata allo
stesso modo per il colore
ferruginoso delle sue acque.
Comunque sia, ci sono circa 300
metri di dislivello e, pur rimanendo
teoricamente il tempo per una puntata a quello che è uno dei più belli
ed elevati specchi d’acqua orobici, le
gambe un po’ provate dicono di no.
Sarà per un’altra volta.
l nostro sentiero, a malincuore,
scende pian piano sempre di più
e ce ne accorgiamo anche dalla vegetazione. Fanno la loro comparsa i
primi arbusti e poi radi larici. Sotto,
però, il lago Belviso si estende in tutta
la sua magnificenza turchina e manda
spettacolari riflessi argentati. La vista
è ancora totalmente aperta sulla valle,
le spalle del Torena e un tratto di Valtellina, con sopra il Bernina. Tra il
sentiero e l’invaso scivolano ora ampie
pietraie di granito, ora boschi di
ontano. A un certo punto compare la
prima stranita betulla, un po’ malconcia ma viva, e poi cespugli di ontano
man mano sempre più fitti. Ormai
siamo al di sotto dei 2000 metri e
l’interesse alpinistico inevitabilmente
scema.
all’alta val di Campo in poi
non abbiamo più visto o percepito la presenza di animali, se non
i soliti escrementi ovini un po’ ovunque. Ma si riodono campanacci e
I
D
Le Montagne Divertenti Lungo l'ardito sentiero che dal passo Venano porta al passo del Venerocolo si trovano tratti esposti e
attrezzati con catene (21 settembre 2010, foto Antonio Stefanini).
Il lago al passo del Venerocolo e i chiari resti dell'antica e bella mulattiera sorretta da muretti in
pietra (21 settembre 2010, foto Antonio Stefanini).
capiamo di essere vicini ai pascoli di
malga Nembra, che raggiungiamo nel
cespuglieto ormai fitto.
La cartina segna un sentiero, il 331,
che stacca dal 301 a sx. Troviamo il
segnavia e abbandoniamo il comodo
tracciato precedente, scoprendo
nostro malgrado quanto può essere
dolorosa la discesa ripida e su terreno
sconnesso nel pascolo bucherellato
dagli zoccoli dei bovini, dopo ore di
cammino.
Sotto malga Nembra, raggiunta
senza problemi di orientamento,
prendiamo erroneamente un sentiero
che dalle case di caccia10 va in direzione sbagliata, ma che inizialmente
è tanto buono da ingannarci. Infatti
10 - Nel bosco, abbarbicate sugli alberi, si trovano
alcune postazioni di legno dei cacciatori.
non ha segnavia e dopo 150-200
metri si dissolve nel bosco che precipita ripido nella val Soffia, inaccessibile. Essendoci portati già piuttosto in
basso, invece di risalire decidiamo di
tentare una manovra di spostamento
tutto a dx, ritrovando non senza
qualche difficoltà il sentiero segnato
(bisognava stare più attenti prima, in
corrispondenza delle case di caccia).
Il bosco di abeti è fitto, ma il sentiero ora non si perde più e scende a
tornanti insaccandoci per bene. Piuttosto defatigante. È una liberazione
quando, finalmente, sbuca sul prato
pianeggiante dell’area picnic, da dove
in pochi minuti torniamo all’auto
lasciata nei pressi della palazzina
Falck (m 1381, ore 4:30).
L'anello della val Belviso
91
Escursionismo
Pizzo Alto
a picco sopra Chiavenna
Gioia Zenoni
Dalla vetta del pizzo Alto si gode un magnifico paesaggio
sull'intera val Chiavenna.
In basso è l'abitato di Chiavenna, sulla sx svetta il pizzo di Prata
(18 luglio 2010, foto Roberto Ganassa - www.clickalps.com).
92
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Pizzo Alto (m 2479)
93
Valchiavenna
Escursionismo
P
asseggiando per l’elegante Chiavenna, alla bellezza dei palazzi e all’atmosfera
serena si contrappone l’austerità dell’ambiente naturale, con rocce severe che
da nord incombono sulla città minacciandola, ma anche proteggendola.
Bellezza
S
Fatica
Pericolosità
Avero, splendido borgo alpino al centro della valle omonima (18 luglio 2010, foto Roberto Ganassa - 1977 foto archivio Dino Buzzetti).
Partenza: Cimaganda (m 915).
Itinerario automobilistico: da Chiavenna seguire la
SS36 dello Spluga in direzione del passo dello Spluga fino a
Cimaganda (9,5 km). C'è un parcheggio sulla sx al temine del
paese. E’ possibile raggiungere Cimaganda anche con autobus di
linea (per gli orari consultare il sito www.valchiavenna.com).
Itinerario sintetico: Cimaganda (m 915) - Zoccane
(m 1470) - Avero (m 1678) - passo d’Avero (m 2332) - pizzo
Alto (m 2479) .
Tempo
previsto: 5 ore per la salita.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello in salita:
2 su 6 / 1700 metri circa.
Dettagli: sentiero ben segnalato fino al passo d’Avero (E),
quindi si prosegue su traccia evidente ma priva di segnaletica
fino in vetta (EE). Nell'ultimo tratto occorre un po' di
attenzione.
Mappe consigliate:
Kompass n. 92 Chiavenna - Val Bregaglia, 1:50000.
iamo nel cortile di Kim
Sommerschield e ci stiamo
divertendo a riconoscere le vette
immortalate nei suoi acquerelli:
Badile, Cengalo, Sciore, pizzo di
Prata, Bernina… Quando arriviamo
dinnanzi al pizzo Alto, Kim ci prende
per mano e ci porta in giardino, fra le
rose profumate: volgendo lo sguardo
verso l’alto, oltre il tetto di piode, lo
riconosciamo in tutta la sua maestosità, apprezzando inoltre il modo
incredibile in cui, in un sol colpo
d’occhio, paesaggio e opera umana si
compenetrano e si fondono.
Ogni chiavennasco che si rispetti
deve, almeno una volta in vita,
togliersi il gusto di ammirare lo spettacolo inverso: la città vista da un pulpito posto 2000 metri più in alto.
Chiediamo a Kim, chiavennasco
d’adozione, di accompagnarci nella
salita: il suo prezioso occhio d’artista,
nonchè la sua piacevole parlantina, ci
hanno aiutato a percepire suggestioni
che altrimenti non avremmo colto,
dati i nuvoloni impietosi che più di
una volta ci hanno impedito la vista
nei punti panoramici di cui è costellato il percorso.
asciamo la macchina nel piccolo
parcheggio retrostante la piccola
cappella di Cimaganda (m 915), sulla
sx appena al termine dell'abitato. Speriamo non sia oggetto delle attenzioni
dello spietato bombarolo che si aggi-
L
rava tempo fa per queste valli con la
sua miccia letale!
Seguiamo la strada per circa 200
metri, poi intraprendiamo il sentiero
bollato (bolli bianco-rossi appena
rinfrescati) che, sulla dx, si avvia in
corrispondenza della briglia del torrente, per svilupparsi dolcemente in
un rado bosco di latifoglie. Raggiunta
la ganda, opportunamente sistemata
per agevolare il transito, zigzaghiamo
fino a riguadagnare il terreno morbido e a intraprendere una scoscesa
traversata verso S (dx), durante la
quale incrociamo alcuni grossi massi
a cui è affissa un’immagine devozionale della Madonna (m 1350 ca.).
Dopo una breve discesa ecco una bella
scalinata di roccia. Raggiungiamo
quindi la croce (m 1430, ore 1:40),
collocata a picco su Cimaganda nel
punto d’accesso alla val d’Avero: fate
attenzione a non scivolare sull’erba
bagnata, perchè potreste trovarvi in
un attimo di nuovo al paese! Sotto
di noi, al di là del ponte sul torrente
Virasca, il campanile del Santuario
di Gallivaggio conserva ancora la sua
imponenza, nonostante la prospettiva
lo schiacci notevolemente. Sorto sul
luogo dell’apparizione della Madonna
a due fanciulle, preserva intatte le sue
fattezze secentesche nonostante la
zona sia stata profondamente segnata
da numerose frane. Oltre Lirone e
Cimaganda, presso il versante occi-
La croce sopra Cimaganda a quota 1430 (18 luglio 2010, foto Ganassa).
94
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti dentale della valle, scorgiamo Vho, un
piccolo nucleo di cui non si sospetta
l’esistenza transitando per la strada
dello Spulga.
Alzando lo sguardo, riconosciamo
da sx a dx: i paesi di Olmo e San Bernardo, il monte Mater, il Pizzaccio,
la cresta delle Camoscere, il Ferrè, il
Tambò. Il resto è nebbia!
Il sentiero s’addentra sulla dx orografica della val d’Avero, con andamento pianeggiante e alcuni tratti
in leggera discesa, attraversando
un torrentello e intercettando una
magnifica casa in pietra con cantina,
fienile e apprestamenti per il fissaggio
di funi per teleferica. Si giunge così a
un ponte di legno che permette, guadando il fiume, di giungere sul ripido
crinale che conduce ad Avero.
A quota 1490, sulla dx si apre
una radura con grandi strutture in
legno assemblate con la tecnica del
blockbau su uno zoccolo di pietre a
secco: bisogna immaginare che fino
a cinquant’anni fa la zona fosse tutta
un prato e in questi fienili venisse
riposto il frutto del duro lavoro di
sfalcio dell’erba sui fianchi scoscesi di
questa vallata. Spingendosi fra i fienili
di Zocchèi1 si raggiunge il dirupo che
li separa dal corso d’acqua principale,
ora pressochè asciutto perchè l’acqua
viene captata dalla presa ben visibile
1 - Zoccane nella toponomastica italianizzata.
La valle e il passo d'Avero (18 luglio 2010, foto Roberto Ganassa).
Pizzo Alto (m 2479)
95
Valchiavenna
Escursionismo
I fienili di Zoccane (2 agosto 2011, foto Beno).
sul fondo del vallone.
Fatta una pausa in questo luogo da
favola, dove fantastichiamo su come
sarebbe bello mettere a posto qualche casetta prima che tutto il legno
marcisca e non vi sia più traccia delle
vecchie attività, proseguiamo per il
crinale facendo attenzione a non mettere i piedi fuori dal tracciato: se lo
immaginassimo coperto da neve non
sarebbe molto diverso dalla cresta del
Bernina! Il paesaggio si fa poi meno
impervio e la vegetazione si ingentilisce in grandi radure dai bei giochi di
luci e ombre. D’improvviso si sbuca
sull’enorme pascolo che costeggia il
villaggio di Avero (m 1678, ore 1).
'Na vacca e 'n bècc, entrambi
neri, si stagliano sul bianco
della facciata della chiesa,
dandoci il benvenuto.
Pare che entrambi non si siano
accorti di appartenere a specie diverse.
In estate un cospicuo gruppo di
persone, organizzate in un consorzio, abita queste graziose cassette,
costruite e ristrutturate secondo rigidissimi criteri volti a salvaguardare
l’aspetto originario dell’abitato. Percorrendo le viuzze si respira una vitalità rara per un insediamento d’alta
quota: uomini dediti a lavoretti di
manutenzione, donne affaccendate
nella preparazione di golose marmel-
96
Le Montagne Divertenti Gli ultimi metri verso il pizzo Alto (18 luglio 2010, foto Ganassa).
late, bimbi che giocano fra le verdure
degli orti, animano in modo garbato il tranquillo scorrere del tempo.
Notiamo una simpaticissima cuccia
per cani, anch’essa col suo piccolo
tetto di piattoni. Alcune case del lato
meridionale sono state spazzate via
da una valanga nell’aprile del 1986,
altre sono state danneggiate e mai
più messe a posto. Ruderi e casette
tenute con grande amore coesistono
armoniosamente. Ci abbeveriamo a
una fontana in cima al paese, dove
ha avvio il sentiero che, attraverso
una leggera salita verso il Motto di
Bondeno, conduce alla carrozzabile
per Gualdera. È grazie ad esso che gli
abitanti di Avero hanno la possibilità
di trasportare la maggior parte delle
scorte di viveri senza far ricorso all’elicottero, impiegato per i carichi più
pesanti e ingombranti.
L’acqua, invece, non manca di certo
ad Avero, che conta alcune sorgenti
proprio sotto le fondamenta delle
case. Un efficiente impianto idrico
permette altresì il deflusso delle acque
nere in una fossa biologica comunitaria realizzata in fondo al paese.
Le mucche, non più di una quindicina, pascolano in libertà fuori dal
recinto di legno che protegge le case
dai loro pacifici, ma dannosi assalti.
La nostra meta sembra ancora
molto lontana a causa dei giochi prospettici, ma in realtà ci restano solo
800 metri di dislivello per raggiungere
la vetta che s’intravede in alto a dx.
Armati di una buona dose di fiducia,
saliamo per sentiero bollato di fresco
diritti verso il passo d’Avero; talvolta
ci facciamo trarre in inganno da una
vecchia scrostata bollatura di un percorso leggermente diverso, ma non è
difficile rimettersi in carreggiata dato
che la vista non è impedita da nulla.
La vegetazione è infatti bassa, prevalentemente costituita da rododendri e
piantine di mirtillo che sbucano dalla
ganda, talvolta assai fitta. Quando il
sentiero inizia a salire con decisione,
non vediamo più il passo e lo immaginiamo appena dietro a ognuno dei
dossi che scavalchiamo nel nostro
percorso.
Con l’altezza, la val d’Avero ci
appare in tutta la sua vastità: un
gentile signore conosciuto nel paese
ci ha raccontato che quando lui era
ragazzo, circa cinquant’anni fa, tutta
la vallata era un pascolo, ad eccezione
delle parti più vicine al paese, che
venivano sfalciate, per venire incontro
al fabbisogno di almeno 120 erbate.
Di quelle giovani piante che vediamo
noi oggi neanche l’ombra. Dall’alto,
il paese si confonde con la ganda in
virtù dei tetti di pietra locale serrati
l’uno all’altro: dei piccoli pannelli
solari, orientati verso valle, non si
intuisce nemmeno la presenza. Tutto
sembra dunque immacolato.
Autunno 2011
Sguardo verso le cime della val Bregaglia dalla cresta del pizzo Alto (18 luglio 2010, foto Roberto Ganassa).
Raggiunto il passo d'Avero
(m 2332, ore 2:30) non vi sono più
esitazioni: davanti a noi si apre la scoscesa valle di Carmezzano, chiusa dai
contrafforti del pizzo Sommavalle che
è alla nostra sx. Anche Carmezzano, ci
dice Kim, è stato recentemente spazzato via da una valanga.
Dal passo c’è un sentiero bollato che
porta al pizzo Sommavalle e da qui,
per cresta, al bivacco Chiara e Walter
e quindi al pizzo Stella.
Dall’altro lato della val Bregaglia i
monti di Villa fanno da spartiacque
con la val Codera e proseguono (E)
verso i giganti di granito della Bondasca e dell’Albigna.
Peccato che delle rapide nebbie
salgano a chiuderci lo sguardo e ci
costringano a un buono sforzo di
immaginazione per ricomporre il resto
del paesaggio: là, sul fondo della valle,
stanno Piuro, Prosto, palazzo Vertemate, le cascate dell’Acqua Fraggia e
tante altre note mete turistiche a cui
sappiamo comunque dare un volto.
Colti da una profonda ispirazione, ci rilassiamo sdraiati sull’erba
- forse troppo: ci svegliamo infatti
al suono delle parole di Kim, che,
al contrario di noi lazzaroni illetterati, non perde tempo per filosofeggiare, richiamando una poesia
di Frost che ben s’addice ai passi e
alle riflessioni sui bivi dell’esistenza.
Le Montagne Divertenti Due strade divergevano in un bosco giallo
e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo
a guardarne una fino a che potei.
Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella,
e aveva forse l’ aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata,
sebbene il passaggio le avesse rese quasi simili.
Ed entrambe quella mattina erano lì uguali,
con foglie che nessun passo aveva annerito.
Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!
Pur sapendo come una strada porti ad un’altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.
Lo racconterò con un sospiro
da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io io presi la meno percorsa,
e quello ha fatto tutta la differenza.
I
l passo costituisce un ottimo
punto panoramico e da solo
vale la pena della gita, che può essere
altresì interrotta a piacimento ovunque lo si desideri. Chi non teme le
vertigini, può procedere verso la
vetta, intraprendendo la traccia bollata dalle sole cacche delle capre che
punta dolcemente verso SO. Si tratta
di un tracciato privo di difficoltà, se
non in caso di neve (sconsigliato agli
escursionisti) o di pioggia (attenzione agli scivoloni che potrebbero
farvi ritrovare in un batter d’occhio
a consumare i biscottini di Prosto
direttamente dal produttore!), ma da
affrontare con un occhio di riguardo
se si hanno con sé dei bambini o
persone particolarmente sensibili
alle pendenze. In breve raggiungiamo la sommità erbosa del pizzo
Alto (m 2479, ore 0:30), dove ci
sdraiamo a sonnecchiare cullati dal
vento. Ogni tanto apriamo gli occhi
e scorgiamo, in uno squarcio fra le
nubi, gli irti fianchi delle montagne circostanti, Chiavenna e i paesi
del fondovalle, 2 km verticali sotto
di noi. Proviamo a fare ciao ciao a
lla moglie di Kim, immaginandola
intenta ad annaffiare le rose nel suo
giardino cittadino. Di fronte a noi,
l’impressionante parete del pizzo
Parandone si staglia fra le nebbie e
i lembi di prati verdissimi, mentre la
voce di Kim ci aiuta ad immaginarci
in contemplazione dell’oceano su un
cliff d’oltremanica.
Basta poco per viaggiare, giusto
due (mila) passi sopra casa!
stremamente
compiaciuti
della piacevole giornata, rincasiamo ripercorrendo il sentiero
dell’andata, sebbene la tentazione
di avventurarci su qualche altra
via che ci permetta di compiere un
anello sia grande. Siamo però sicuri
che ci sarà un’altra occasione: la
val d’Avero è infatti troppo ricca di
spunti perché non risulti piacevole
ripercorrerla ancora, nelle differenti
stagioni e con differenti condizioni
meteorologiche.
E
Pizzo Alto (m 2479)
97
Escursionismo
Viaggio
in val Fabiòlo
Nicola Giana
5-6/12-13/19-20/26-27 novembre 2011
5-6/12-13/19-20/26-27 novembre 2011
12-13/19-20 novembre 2011
Albergo Ristorante Miralago
Campo Tartano
Tel. 0342645052
www.miralago.net - [email protected]
Albergo Ristorante La Gran Baita
Tartano
Tel. 0342645043 - Fax 0342645307
www.albergogranbaita.com
Albergo Ristorante Vallunga
Via Roma, 12 - Tartano
Tel. 0342645010 - 0342645100
www.hotelvallunga.it - [email protected]
MENÙ
MENÙ
MENÙ
Tartine di polenta con trota nostrana e
caprino
Bruschette di polenta con carciofi e scaglie di Bitto stagionato
Coscia d'agnello in umido con polenta
crupa e formaggio casera
Polenta cunscia con salsiccia all'aceto e
funghi porcini della valle
Crèpes di grano saraceno alle mele renette
Acqua
Vino rosso casa vinicola Pietro Nera
Sassella ALISIO
Valtellina Superiore D.O.C.G.
Caffè
Grappa al larice della casa
Pizzette di polenta
Gnocchi di polenta gratinati al formaggio
Sandwich di polenta con stoccafisso e
tartufo nero
Polentina alla veneta con ricotta affumicata
Spezzatino di cinghiale con polenta gialla
Torta di formaggio e patate (frico) con
polenta mista
Bocconcini di asino con polenta grigliata
Semifreddo al limoncello
Acqua
Vino rosso casa vinicola Pietro Nera
Sassella ALISIO
Valtellina Superiore D.O.C.G.
Caffè
Digestivo della casa
Cestino di grano saraceno con insalatina di
Bitto e bresaola
Polenta con salmì di camoscio
Polenta taragna con salamino di capra
Polenta gialla con funghi porcini trifolati
della valle
Tagliere di formaggi misti locali
Cialda croccante con frutti di bosco e gelato
alla vaniglia
Acqua
Vino rosso casa vinicola Pietro Nera
Sassella ALISIO
Valtellina Superiore D.O.C.G.
Caffè
Genepì della casa
€ 25
€ 25
€ 25
98
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Autunno a Sostìla(6 novembre 2010,
foto Francesco Vaninetti www.clickalps.com).
Le Montagne Divertenti Viaggio in val Fabiòlo
99
Orobie
Escursionismo
Bellezza
Fatica
Pericolosità
-
Partenza: Sirta, piazza del
Municipio (m 289).
Itinerario
automobilistico: da
Morbegno si prende la SS38 in
direzione Sondrio. Dopo 4 km si passa il
viadotto sul torrente Tartano e, poco
oltre, si segue la deviazione sulla dx con
indicazioni per Tartano. Dopo 400 metri
sulla dx si ignora la strada che sale a
Tartano e si prosegue dritti sulla
pedemontana. Sirta è il primo paese. Si
esce sulla dx e si raggiunge il
parcheggio nei pressi del municipio e
della parrocchiale (8 km da Morbegno).
Itinerario
sintetico: Sirta (m 289)
– Bures (m 650) – Sostìla (m 821) –
Sopra Arét (m 880) – Il Culmine (m
1301) – Cà (m 1080) – Somvalle (m
1082) – Sponda (m 909) - Bures –
Sirta.
Tempo
previsto:
6 ore per l'intero giro.
Attrezzatura
richiesta:
da escursionismo.
Difficoltà/dislivello
2 su 6 / 1100 m
in salita:
Dettagli: EE.
Mappe consigliate:
Kompass n. 92
Letture consigliate:
Mario Gianasso, Guida Turistica della
Provincia di Sondrio, B.P.S., II ed.
2000:
Mario Vannuccini, Guida al Parco
Regionale delle Orobie Valtellinesi,
Lyasis, Sondrio 2002;
Eliana e Nemo Canetta, Il versante
orobico. Dalla Val Fabiòlo alla Val
Malgina, CDA, Torino 2005;
Aurelio e Dario Benetti, Valtellina e
Valchiavenna, dimore rurali, Jaca
Book, Milano 1984;
Natale Perego, Sostìla e la Val Fabiòlo,
A.G. Bellavite, Missaglia 2002;
Dario Benetti, Dimore rurali
medioevali del versante orobico
valtellinese, Lito Polaris, Sondrio 2009.
100
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Sirta e la sua chiesa con cupola emisferica, punto di partenza dell'escursione in val Fabiòlo (28 maggio 2006, foto Roberto Moiola).
“La val Fabiòlo, che dovrebbe significare valle del piccolo faggio, è una piccola
perla della natura racchiusa nelle pieghe della media Valtellina. Piccola in
dimensioni – di fatto è una delle minori affluenti della valle dell’Adda – culmina
a soli 1070 m in corrispondenza di Campo Tartano”. Così la descrive Mario
Vannuccini nella sua ormai introvabile Guida al Parco Regionale delle Orobie
Valtellinesi. Effettivamente pare che torrente e valle abbiano preso il nome da
una località denominata “faggiolo o piccolo faggio” per la presenza di numerosi
faggi piccoli e sgraziati, pieni di nodi. Il termine dialettale Fabgiöl, utilizzato per
indicare il suddetto luogo, italianizzato s’è tramutato poi in Fabiòlo.
A
nche al viaggiatore più frettoloso
in transito sulla strada statale
non può certamente sfuggire, nei pressi
di Ardenno, la vista verso S del compatto nucleo di case della Sirta strette
attorno alla smisurata quanto insolita
cupola della chiesa parrocchiale dedicata
a San Giuseppe. Ma non può neanche
lontanamente immaginare quali tesori
si nascondono nella profonda gola che
appare immediatamente alle sue spalle
il cui accesso è infossato tra le rocce strapiombanti della Caurga e i fianchi scoscesi del Crap del Mezzodì, questi ultimi
solcati da numerose vallette e nude rocce
che sembrano impiantarsi nella piana
sottostante.
La val Fabiòlo, corta e impervia,
dall’accesso semi nascosto e privo di
collegamenti stradali, offre al visitatore
accorto e scrupoloso luoghi particolarLe Montagne Divertenti mente suggestivi, spazi segnati dal tempo
e dalla mano dell’uomo, dai quali trapelano le tracce di quella cultura arcaica
che contraddistingue molti insediamenti
delle valli orobiche.
E grazie all’isolamento, che l’ha resa
poco conosciuta agli stessi valtellinesi, ha
potuto conservare le sue caratteristiche e
tradizioni secolari per lo sfruttamento del
territorio, nelle forme e nella disposizione
dei villaggi, nell’architettura degli edifici
rurali, i quali hanno ancora reminiscenze
di origine medioevale. E come in tutti i
luoghi inospitali, soggetti a forze sconosciute, maligne e incontrollabili, si sono
sviluppate e si conservano tuttora leggende di streghe e magie, tra le quali la
più radicata è quella dello zampugnìi, un
campanello per le capre che si ode tintinnare anche nella solitudine assoluta1.
L’abitato di Sostìla (m 821), disposto
a metà della valle, pare appeso al ripido
pendio prativo circondato da castagni e
alberi da frutto; unico villaggio abitato
permanentemente sino al secondo dopoguerra (ad eccezione delle piccole frazioni
di Lavisolo, Muta e Arét), ha subito l’abbandono con la costruzione della carrozzabile per Tartano avvenuta negli anni
’60 e ora combatte contro l’incuria e la
rinaturalizzazione che inesorabile avanza,
sebbene la tenacia degli ultimi irriducibili
affezionati a questi luoghi “senza tempo”
ne mantenga viva la memoria. Sul lato
opposto della valle, invece, gli fa eco la
frazione Sponda (m 909), oramai in stato
di abbandono e degrado avanzato nonostante la relativa vicinanza all’abitato di
Somvalle servito dalla strada provinciale
diretta a Tartano.
1 - Natale Perego, Sostìla e la Val Fabiòlo, op. cit., p. 22.
Viaggio in val Fabiòlo
101
Orobie
Escursionismo
in pietra di protezione permette l’affaccio a mo’ di balcone sul paese per
ammirare l’enorme cupola della chiesa
e l’incombente parete della Caurga, da
tempo utilizzata come palestra di roccia. Si riprende fiato, mentre la vista
spazia oltre l’Adda sino ad Ardenno e
più su sino alle cime della val Màsino.
In leggera discesa il sentiero volge a S
e s’incunea nella forra scavata dal torrente che scorre più in basso.
Il selciato che da Sirta sale in val Fabiòlo (12 luglio 2011, foto Nicola Giana).
Bùrés (2 agosto 2011, foto Marino Amonini).
Itinerario
escursione ha inizio alla Sirta
(m 289), frazione principale del
Comune di Forcola, partendo dalla
chiesa parrocchiale di San Giuseppe,
caratterizzata dalle forme classicheggianti e sormontata da una gigantesca
cupola alta ben 38 metri, la più ampia
della valle. L’interno è semplicemente
grandioso e lascia di stucco per la sua
spazialità. Di particolare pregio artistico sono il pulpito, gli stalli del coro e
il leggìo finemente intagliato. L’edificio
sacro, così come il borgo, si svilupparono solo nella seconda metà dell’800
quando in seguito alla bonifica del fondovalle da parte degli austriaci si resero
disponibili nuovi terreni coltivabili
dando così inizio alla discesa di nuclei
famigliari dalle frazioni alte.
L’
102
Le Montagne Divertenti Sul lato destro della latteria sociale
s’imbocca “Via alla Sostìla”, l’antica
mulattiera che sino agli anni ’60 del
secolo scorso costituiva la principale
via di comunicazione con tutti gli
insediamenti disseminati sulle pendici
della val Fabiòlo e della val Tartano.
Evitando a sx l’"elegante" colata di
cemento che conduce alla briglia selettiva sul torrente, si superano le ultime
case di Sirta camminando su fondo
ancora ben lastricato e all’ombra di
frondosi castagni. Superata la prima
cappella devozionale dai dipinti oramai
irriconoscibili, con una serie di tornanti
si guadagna quota prima di portarsi in
direzione della val Fabiòlo. Si raggiunge
così un tratto roccioso particolarmente
stretto, ove i gradini sono intagliati
direttamente nella roccia e un muro
Questo tratto di valle,
contrassegnato da
incombenti pareti rocciose,
fragore d’acqua, umidità
e scarsità di luce, dà
l’impressione di essersi
avventurati fuori dal
mondo civile, conosciuto e
rincuorante. È il tratto più
stretto della valle che ci fa
comprendere, non a torto, la
nascita di tutte quelle storie
di spiriti, magie e folletti che
hanno popolato la fantasia
dei valligiani.
Poco dopo, la valle accenna ad aprirsi e
la via fiancheggia il torrente, ma, aimé,
l’alluvione del 13 luglio 2008 ha provocato ingenti danni travolgendo ponti
e tratti dell’antica mulattiera e sconvolgendo pesantemente tutto il letto del
torrente. Sono tuttora in corso i lavori
di sistemazione idraulica e ci vorrà del
tempo affinché si possano rivedere le
“ferite” rimarginate. La passerella che,
attraversando il torrente, permetteva di
salire a Lavisolo non c’è più, ma è stata
degnamente sostituita da un ponte a
schiena di mulo e parapetti tutto (o
quasi) rigorosamente in pietra, in vero
stile antico confacente alle caratteristiche dell’antico tracciato e della valle.
Tipico intervento che “piace alla gente”
e perciò sui costi non si discute.
Lasciato sulla sx l’interessante artefatto, subito dopo vi è la seconda
cappelletta denominata gisöl d’inem la
val (cappella d’inizio valle) in quanto
ormai ci si trova oltre la forra. Dedicata
a Maria Ausiliatrice, il destino ha voluto
che non venisse travolta dai detriti e
così continua a svolgere la funzione di
segno religioso unitamente a quella di
poșa (luogo di sosta). Il percorso continua sul fondovalle, ora non più così
angusto e con buona pendenza. Alcuni
Autunno 2011
I nuovi ponti della val Fabiòlo (12 luglio 2011, foto Nicola Giana).
tratti dell’antico sentiero sono andati
distrutti, ma la ricostruzione vi ha già
posto rimedio. Chi ha avuto la fortuna, come il sottoscritto, di visitare la
valle prima del 2008 conserva tutt’altri ricordi, ma il fascino e i sentimenti
che ancora suscitano taluni luoghi è
innegabile.
“Cammino solo, ma con me è Mario;
ascolto il fragore dell’acqua, il cinguettio
degli uccelli. Il caldo umido e i tafani mi
tormentano. Una coppia di poiane vola
alta sopra di noi. Mi giro, guardo verso
valle ed è scuro, alzo lo sguardo verso le
cime lontane e la luce mi abbaglia. Penso,
inutile fare foto, non vengono. Mando a
memoria e riprendo il cammino”.
Secondo ponte, stesso "capolavoro",
un geniale copia e incolla. Lo si attraversa e si prosegue la salita in dx idrografica su tratti alterni di antico sentiero
e pezzi rifatti. Nei pressi della località
Bures una ruspa è in azione, ma non
si capisce a cosa possa ancora servire
l’enorme pista che va spianando lungo
tutto il letto del torrente.
Non c’è due senza tre ed ecco davanti
a noi il terzo ponte, identica procedura
dei primi due, ma ancora in fase di
costruzione. “Mi colpisce la flemma con
la quale ci lavorano tre operai serviti da
un quarto che con la ruspa si destreggia
tra la ricerca delle pietre migliori e la preparazione del calcestruzzo. Attraversiamo
passando accanto al bancale del cemento
e non posso fare a meno di rilevare che
tipo di prodotto usano. Leggo “cemento
tipo ...... Giusto”. Non c’è che dire, qui
fanno le cose serie!”.
Le Montagne Divertenti Verso il Cùlmén (12 luglio 2011, foto Nicola Giana).
Di nuovo una santella, la terza, posta
in prossimità delle poche e semplici case
di Bùres (m 650), disposte in ordine
sparso tra il verde dei prati. Utilizzato
da tempo come maggengo, in passato
svolgeva il ruolo di svincolo e di sosta
per chi saliva in val di Tartano oppure
a Sostìla. Ancora evidente è la mano di
qualcuno che sale a falciare i prati, ma
l’incuria e il tempo non hanno risparmiato gli edifici più vulnerabili. Si sale
sui prati lasciandosi a dx ul gisöl e tra
l’erba (bolli sbiaditi sui massi) si guadagna il sentiero che in cima ai prati
prosegue tra i castagni da frutto sino
al villaggio di Sostìla (m 821). Tipico
esempio di insediamento di valle accentrato, fu abitato permanentemente
sino agli anni ’60, quando la chiusura
definitiva della scuola diede l’ultimo
segnale che la vita collettiva di questo
“piccolo mondo” andava spegnendosi.
“Il sentiero è sgombero dall’erba, segno
che qualcuno ne ha ancora cura. All’ingresso del villaggio scorgo tra l’erba la
coda di un serpente, sembra un saettone.
Provo a prenderlo, ma son poco deciso e
mi scappa, inutilmente cerco di scovarlo
tra lo sporco. Riaffiorano i ricordi della
prima volta che salii quassù, stimolato
dalle lezioni seguite al corso per la valorizzazione dei beni culturali. Tornai altre
volte, e tra queste ricordo in particolare
quella in compagnia di Bob Davis, un
anziano signore proveniente dalla Scozia
col quale nacque un’amicizia profonda
che continua ancora oggi. Mario mi segue
come fosse la mia ombra; salgo, scendo,
mostro i particolari architettonici eviden-
ziando segni antichi, portali gemini, croci
patensi e datazioni sui portali. Ho nello
zaino ben due libri, ma mi è tutto chiaro
e non serve consultarli. Nonostante tutto,
ogni qualvolta ritorno tra questi stretti
caseggiati è come se fosse la prima volta e
un misto tra passione e nostalgia si impossessa di me. Non c’è fretta, guai ad averne
in queste circostanze, e così accettiamo un
caffé cortesemente offertoci da una gentile
signora che si trova qui da qualche giorno
in compagnia della figlia e la nipotina.
Ci avverte però che l’acqua non è fresca
perché da due giorni la fontana è secca,
a Campo non mollano. Nell’attesa ci fa
visitare la casa, orgogliosa di averla conservata come in origine, eccezion fatta
per il focolare che suo padre spostò in un
angolo dotandolo di camino”.
Si rasenta l’enorme chiesa, unico edificio interamente ricostruito nel 1913
con grandi sforzi di tutta la comunità
e in piano si raggiunge il cimitero.
Sul muro di cinta esterno si leggono i
nomi degli ultimi defunti qui deposti,
peraltro molto longevi. Enormi piante
di pero, importanti in passato per
questa magra economia di sussistenza,
ombreggiano il cammino sino alla
contrada Arèt. Uno sguardo a questo
complesso svela particolari interessanti:
un architrave in pietra datato 1566,
ballatoi a cassetta e differenti tipologie
di scale in legno, un agrèe (metato)
per l’essicazione delle castagne. “Ci
fermiamo ad ascoltare Fausto Mottalini
che qui ha deciso di trascorrere gli anni
della pensione nella casa della nonna che
lo ospitò durante l’infanzia. Coltiva l’orto
Viaggio in val Fabiòlo
103
Orobie
Escursionismo
e ha potato i peri nella speranza che tornino a produrre frutti come quelli di una
volta”.
Lasciata sulla dx la fontana, asciutta
pure questa, si sale tra muri a secco
all’ombra dei castagni lungo i bordi
dei ripidi appezzamenti prativi. Oltrepassate le ultime stalle e la grande baita
isolata di Prato, in breve si guadagna
la bocchetta del Crap del Mezzodì
(m 977), spartiacque dalla quale la vista
spazia sulla bassa Valtellina sino al lago
e sugli inconfondibili monte Legnone
e Culmen di Dazio. A questo punto il
sentiero si divide, ma lasciato sulla dx
quello che scende all’edicola dedicata
alla Madonna sulla strada provinciale
per Tartano (m 865 - percorso più
breve per raggiungere Arèt e Sostìla),
si prende il ripido crinale che tra giovani betulle e rigogliosi faggi conduce
in un’ora di cammino a Il Culmine
(m 1301, ore 3:15).
L’ambiente è cambiato completamente; alle nostre spalle rocce lisciate
e montonate, colonizzate da ciuffi di
erica e rade betulle, si spingono verso
il ventoso Crap di Mezzodì. Questo
tratto di sentiero è decisamente più
ripido, pur non presentando passaggi
esposti, ma essendo poco frequentato è
invaso dall’erba alta e la via non sempre
è evidente. Prima di giungere alla croce
il sentiero spiana e attraversa i resti di
un lariceto sopravvissuto a un incendio.
A quota 1250 è un bivio; si prende a sx
per la croce che domina su Campo Tartano, mentre per godere del panorama
a 360 gradi occorre salire i pochi metri
restanti che portano al crinale vero e
proprio.
ornati al bivio precedente,
s’imbocca il ripido sentiero
che in breve giunge alle contrade Cà
e Somvalle (m 1082), quest’ultima
dotata di fontana pubblica presso la
quale conviene bere e far scorta d’acqua. Frazioni alte del Comune di Forcola, questi due nuclei sono separati
dalla sella di Campo che, stando alla
tradizione orale, si sarebbe formata in
seguito a un’ enorme frana la quale
avrebbe deviato il corso del Tartano dal
suo antico letto della val Fabiòlo verso
Talamona. Da qui passava la lunga
processione che da Campo si snodava
sino a Sostìla invocando la “Madonna
della Neve”, patrona della parrocchiale,
a suffragio della siccità quando prati e
T
104
Le Montagne Divertenti Sponda (12 luglio 2011, foto Nicola Giana).
campi ingiallivano e l’erba seccava in
piedi. Dopo la messa, “la processione
arrancava, nel ritorno, sempre cantando,
sull’ultima parte del pendio, passava la
bocchetta, raggiungeva la mulattiera
della Val Tartano e si scioglieva nella
chiesa di partenza, dopo l’ultimo rito
della benedizione”2.
Al centro della sella prativa, dalla
quale si gode un ottimo panorama sulle
cime della val Màsino, si prende il sentiero in mezzo all’erba raggiungendo
ul gisöl dul zapel de val (l’ultima delle
cinque santelle per chi sale da Sirta),
quindi a dx s’imbocca la mulattiera che
scende in val Fabiòlo. Ci si abbassa dapprima in modesta pendenza, lasciandosi alle spalle le case di Somvalle, poi
con rapidi tornanti si giunge alla briglia
sul torrente e lo si attraversa. In questa zona si sono riversati i detriti della
frana del 2008 staccatisi dal versante di
fronte e scesi lungo la valle sconvolgendola dal suo antico assetto. Allontanandosi dalla pista per i mezzi meccanici
e dall’ingente deposito detritico, si
scende lo slargo erboso che, prolungandosi dalla sella, continua oltre il greto
sino al nucleo di Sponda e risale sul
fianco dx della valle. Impossibile restare
indifferenti all’immane lavoro di dissodamento che prende forma dal selciato dell’antica mulattiera e continua
tra alti muri a secco3 sino alla frazione
di Sponda (m 909) unendosi ad essa
senza soluzione di continuità. Questo
borgo fu abitato stabilmente sino alla
prima metà dell’800, successivamente
utilizzato come maggengo e ora è quasi
completamente abbandonato. Chiare
incisioni e particolari architettonici
degli edifici al centro della schiera ne
testimoniano l’antichità.
Il luogo appare desolato e infonde
contemporaneamente tristezza
e
nostalgia. “Al bordo dei prati grossi sorbi
sono carichi di frutti e già immagino la
loro bellezza autunnale quando le bacche rosse e turgide saranno avvolte dal
grigiore delle brume o esaltate dal bianco
della prima neve”.
Si riprende la discesa lasciando sulla
sx l’antica santella (del sec. XVII - affreschi del 1862; sul fondo la Madonna in
trono col Bambino tra S. Agostino e S.
Giuseppe, sulle pareti laterali S. Pietro a
sx e S. Giovanni Battista a dx).
La valle torna a chiudersi e l’antica
mulattiera che correva in fregio al torrente è stata cancellata e ricostruita in
diversi tratti. Dopo alcuni tornanti si
tralascia sulla dx il sentiero, oramai
impraticabile, per scendere sul terrapieno del nuovo argine sino a una baita
isolata e seminascosta. Lasciata a dx la
deviazione per Motta e la Cà Rotonda,
attraverso un bosco di pini si guadagna
il ponte in pietra, anch’esso ricostruito
dopo l’alluvione del 1987, per riportarsi
sull’altra sponda e scendere in breve a
Bùrés e successivamente alla Sirta per lo
stesso itinerario fatto all'andata (m 289,
ore 2:45).
2 - G. Spini, La Valle del Fabiòlo in Notiziario BPS,
n. 21, 1979, p. 53.
3 - Barek nel dialetto di Tartano.
a volte tornano
L’Homo Salvadego
di Arèt
Marino Amonini
Fausto Mottalini coglie le verdure
nel suo orto di Arét (22 luglio 2011,
foto Marino Amonini).
Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Viaggio in val Fabiòlo
105
Orobie
Personaggi
U
n tempo quelli di Arèt, grumo
di case discosto circa 200
metri a occidente di Sostìla, poco se
la intendevano con i residenti del più
blasonato capoluogo di valle; solo
il camposanto, collocato nel punto
intermedio tra i due antichi borghi
riusciva a mettere tutti d’accordo.
Da cinque anni al civico 308 di Arèt
vive Fausto Mottalini.
O meglio è tornato a viverci perché,
come ci racconta, vi sono tre momenti
fondamentali della sua vita che lo hanno
visto protagonista lassù.
Fausto, che oggi ha sessant’anni, ha
cominciato a respirare aria, natura, amicizie e affetti ad Arèt durante l’infanzia,
accudito da nonna Rosina.
Accompagnato dai genitori scendevano da Sondrio ad Ardenno in treno
poi, a piedi, attraversavano la piana fino
alla Sirta quindi, risalendo la scolpita
mulattiera della val Fabiòlo, raggiungevano l’agognata dimora delle sue estati.
Nonna Rosina, minuscola e coriacea
ninfa dei boschi, si affacciava all’uscio
tra sbuffi di fumo che fuoriuscivano
dalla caligginosa cucina per accogliere
con affetto l’arrivo dei propri cari.
Estati godibilissime tra frotte di
coetanei, giochi innocenti e rischiose
malandrinate, faticosi lavori agricoli e
pii momenti di devozione.
E tante paure; inoculate da nonni e
genitori, parenti e adulti per evitare che
gli scalmanati adolescenti si avventurassero in luoghi pericolosi, si esponessero
ai tanti rischi che la montagna, il bosco,
i torrenti possono riservare a coloro che
incautamente non ne sanno misurare le
insidie. Gli studi e il lavoro lo hanno in
seguito sottratto a quel mondo e con la
scomparsa di nonna Rosina si è tirato
il catenaccio, temporaneamente, su
quell’uscio.
l richiamo delle radici e la nostalgia dell’infanzia hanno poi indotto
Fausto, sposato con Carmen e diventato
padre di Francesca e Fabiola, a tornare
ad Arèt per godere e far godere alle
bimbe la magia di quei luoghi nel ruolo
di padre.
Molti aspetti erano nel frattempo
mutati, ma resistevano ancora uomini,
animali e consuetudini tali da rendere
gradevole passare qualche settimana
estiva lassù.
I
106
Le Montagne Divertenti Fausto Mottalini si rifresca fuori dalla sua casa ad Arét (23 giugno 2007, foto Marino Amonini).
Poi il progressivo e inesorabile
oblio si è mangiato prati e orti, ha
deteriorato e svuotato le case, ma
soprattutto ha sbiadito memoria e
anima della valle.
Tutto travolto dal benessere, dalla frenesia quotidiana del vivere, dagli affanni
che la litania del consumismo genera:
lavorare, guadagnare, consumare, buttare, non pensare, viaggiare senza né
meta né ragione...
Fausto, eclettico sirtarol dai tanti
talenti, è stato valente fotografo, maratoneta provetto, per oltre 30 anni è
stato tecnico di laboratorio radiologico
all’Ospedale di Sondrio. Ha viaggiato
e si è misurato in tante sfide. Irrequieto
e filosofo, capace e scostante, loquace e
selvatico, generoso e individualista: non
sono giudizi, ma spigoli e faccie della
sua poliedrica personalità che si rivelano
di volta in volta.
Le oltre 25 maratone corse e le innumerevoli gare, a cui ha partecipato senza
l’ansia agonistica del podio ma con
quella di verificare se stesso e godere
dell’ambiente umano e sportivo, ne
sono una riprova.
Nel suo “salottino” di Arèt dominano
i libri, qualche suo clic degli affetti
familiare e alcune pose con personaggi
noti; Brigitte Nilsen, Fiona May, Alex
Schwazer…
Allo stesso modo una sfida è stata
licenziarsi dall’ASL a meno di due anni
dal pensionamento.
Il ritorno ad Arèt inizia sei anni fa con
un crollo; un vetusto cantone di baita di
sua proprietà frana su l’angusto viottolo
che s’infila tra le case.
È chiamato a liberare il passo, ma al
contempo decide di ridare dignità alla
diroccata baita scoprendo in perfetta
solitudine due sensazioni sorprendenti;
lassù si sente in armonia, ha mente e
cuore liberi e inoltre, cimentandosi in
questa bonifica/ricostruzione, scopre l’
homo faber che c’è in lui.
Scava, erige muri, posa travi, coperture, impianto elettrico, cattura le acque
piovane1, restituisce dignità e smalto a
oggetti e muri che tornano a vivere.
Medita, valuta e decide: "Torno a
vivere ad Arèt!"
La sua terza stagione della vita è lassù,
nella piena consapevolezza che quel
mondo merita di essere goduto con
distacco dallo sbattimento che agita “i
normali” adagiati nel comfort e avvolti
dallo stress, intossicati dalla politica e
persi in internet.
Una terza stagione arricchita dal ruolo
di nonno; due nipotini che crescono e
uno in cantiere lo fanno esultare. Per
loro ha comprato una baita, nella posizione più panoramica del borgo, che sta
pazientemente trasformando in dimora
fatata per i nipotini, quasi a strapparli
dall’insidia della nutellatv per liberarli ai
garruli giochi della costa sfalciata e del
prossimo bosco.
1 - Le acque piovane sono usate per usi domestici
e per annaffiare fiori ed orti; per usi di cucina e di
igiene Fausto deve andare a riempire qualche
damigianetta e tanica alla fontana di Sostìla, unico
punto ove arriva una spina di acqua potabile.
Autunno 2011
Ha adattato il motto benedettino
ora et labora in leggo e pastrugno; una
autoironica e modesta definizione per
ribadire che riempie le sue giornate con
operosi lavoretti alle baite, agli orti, a far
legna, andar per funghi e frutti di bosco,
scendere a trovare i familiari, ricevere
gradite visite e, quando il tempo non fa
giudizio, leggere quintali di libri.
Ora ha ritrovato nuovi stimoli per
la fotografia; abbandonati i vecchi ma
infallibili arnesi del mestiere, si è dotato
di evoluta macchina digitale e riprende
angoli, fiori e volti della nuova val
Fabiòlo. Ha in animo mostre fotografiche e altre diavolerie, ben supportato da
una figlia grafica e dagli eredi che presto
gli rapiranno il tempo per far altro; il
nonnismo attivo è quanto di meglio si
possa aspirare quando l’anagrafe appesantisce lo zaino.
Cultura e modernità, ai m 821 di
Arèt, che si saldano con la sobrietà, la
semplicità, l’essenzialità del vivere; una
scelta per molti paradossale trova nella
formula adottata da Fausto piena applicazione. Le scelte del solitario abitante
di Arèt connotano questo stile di vita
improntato all’essenzialità; dai quattro
orti, lavorati senza alcun ausilio meccanico, Fausto ricava verdure, legumi e
delicatessen di ogni tipo. Deve difendere
tutto dalle incursioni di animali e lesti
catasù. Soddisfatte le sue esigenze, regala
generosamente a familiari e amici il surplus; legge, sperimenta, produce espandendo esperienze e prodotti. Rivela
insospettabili doti di chef cucinando
rigorosamente in lavecc' risotti, paste
asciutte e minestroni di assoluta eccellenza, coniugando la bontà delle materie
prime raccolte tra orto e bosco a quelle
di chi, vivendo da solo, sa apprezzare il
gusto della vita!
Vivere lassù non significa isolamento,
estraniamento; sicuramente è
rifuggire da schemi, modelli, gabbie
lavorative e mentali in cui ci hanno e
ci siamo infilati senza capire a quali
perdite si è andati incontro e a quale
prezzo.
Emblematici sono anche i simboli che
Fausto ostenta sulla baita in paziente
ristrutturazione destinata al soggiorno
ad Arèt dei nipotini: bandiera EU, bandiera italiana, bandiera Banca Etica.
Le assordanti schifezze della poliLe Montagne Divertenti Uno degli orti di Mottalini, cintato per proteggerlo dagli animali selvatici (15 maggio 2011,
foto Marino Amonini).
tica non arrivano fino lassù, può essere
invece che l’aria fresca della valle porti
giù un messaggio pulito.
Le calamità del luglio 2008 hanno
prodotto gravi danni per l’intero corso
della val Fabiòlo e per l’abitato di Sirta
nel fondovalle.
Ora, con consistenti interventi (alcuni
a detta di molti discutibili), si mettono
in sicurezza i piedi di frana, si contiene
l’impeto delle acque e si ripristinano i
punti di viabilità lesionati.
Analogamente sono decollati in
Sostìla i lavori per la sistemazione di due
edifici significativi dal punto di vista storico ed etnografico; azioni atte a “riqualificare” la valle, la sua fruizione, la sua
valorizzazione.
Da anni l’uso degli abitati e della
permanenza in quei pugni di case che
vanno da Bures a Sostìla, da Arèt a Prato
è afflitto dalla mancanza di acqua potabile, il che sulle Orobie può essere spiegato solo da assurde lotte politiche.
Certo non mancano, almeno da ciò
che si osserva, risorse e azioni; ma se
non si risveglia nei sirtaröi e in quanti
in val Fabiòlo hanno beni e interessi un
orgoglio vallivo, una capacità di leggere
nei richiami del passato possibili opzioni
per recuperare serenità e sentimenti
genuini, difficilmente Sostìla e la val
Fabiòlo ritroveranno il respiro lento e
salubre della montagna.
Fausto, con il gusto della sfida che lo
anima, lo ha fatto, lo ha scelto, ci vive.
Sorriderà al sentirsi appellare Homo
Salvadego lui che si è scoperto Homo
faber; sornionamente si divertirà a foto-
grafare qualche viso accigliato dei signorini da happy hour che annaspano su
quelle ripide coste.
È mansueto, cordiale e generoso, ma
come per il suo omonimo di Sacco,
vale bene il monito: Ego sonto un homo
salvadego per natura, chi me offende ge fo
pagura.
Cari lettori siete avvisati!
Associazione Amici della val Fabiolo
C
ostituita l’11 marzo 2010, ha
finalità di carattere educativo e
formativo, di promozione culturale,
di recupero delle tradizioni e cultura
locale, di tutela ambientale, paesaggistica e architettonica di Sostìla e della val
Fabiòlo. Persegue altresì le finalità legate
allo sviluppo del territorio locale, della
sua valorizzazione e promozione anche
all'esterno.
L'associazione ha per presidente Francesca Mottalini, vice presidente Aristide
Bertolini e segretario Fiorella Bertolini.
Il consiglio direttivo ha 13 membri e al
momento l’associazione può contare su
una settantina di soci.
Organizza la festa della Madonna della
Neve, la prima domenica di agosto, e la
giornata ecologica nel mese di maggio.
L’associazione ha molti sogni quali:
allestire un museo con vecchie testimonianze ritrovate in Sostila (pagelle, libri,
fotografie…), creare percorsi didattici
per le scuole, cercare la storia di qualche
uomo vissuto e seppellito nel cimitero
di Sostìla, raccogliere informazioni sulle
tradizioni locali e la frutticultura.
Info: [email protected]
Quota annuale € 10
Viaggio in val Fabiòlo
107
Orobie
Approfondimenti
Li pireri
Marino Amonini
B
asta osservare attentamente le piante adiacenti
agli abitati di Sostìla e Arèt per
cogliere una particolarità davvero
sorprendente: una quindicina di
peri, alcuni maestosamente antichi
altri più baldanzosamente vecchi,
disegnano con le case un paesaggio unico.
Li pireri, come sono amabilmente chiamati dai rari abitanti che vi
salgono, sono un patrimonio verde
oggi, lo sono stati ancor di più in
passato quando la miseria era
tanta e il cibo misurato.
È altrettanto sorprendente
cogliere come su un versante
riscaldato da poco sole e segnato
da lunghi inverni, tra i m 800 e
900, possa essersi sviluppato
un così ricco frutteto: ancor oggi
pere, ciliegie, albicocche, prugne
possono regalare saporiti frutti.
d Arèt un pero gigantesco
vanta una lunga storia e un
vigoroso presente.
La storia fa parte dell’infanzia
di Fausto Mottalini. Proprio lui ci
svela:
“Quel pero apparteneva alla
nonna. Da piccolo ricordo che
quando si approssimavano le
feste di agosto si provvedeva alla
raccolta delle pere.
Sul prato scosceso di disponevano, a far barriera, delle fascine
di rami quindi si spandeva sotto
alla pianta o uno strato di erba
tagliata o fieno.
Quindi veniva incaricato il ragazzo più "sgaino" e leggero di salire
sulla chioma, risalire fino alla cima,
sporgersi sui rami più penduli e con
una pertica staccare le pere, non
ancora mature, per farle cadere in
quel letto predisposto per attenuarne l’impatto al suolo.
Altri svelti ragazzi le raccoglievano per deporle sul fieno a completare la maturazione.
Nonna Rosina poteva raccogliere
fino a 5 quintali di saporiti frutti
da quel maestoso pero che oggi
misura 227 cm di circonferenza e
vanta una decina di metri di altezza.
Le Montagne Divertenti Marino Amonini
D
A
108
Sostìla ha sete!
Pero secolare ad Arét (22 luglio 2011, foto Marino Amonini).
Le pere acciaccate e più minute
erano di consumo familiare, le
migliori infilate delicatamente nella
gerla e, unitamente alla bilancia,
portate a spalla a Campo per
essere vendute in occasione delle
funzioni religiose.
Un lusso quella frutta, una
preziosa risorsa per la magra
economia familiare, e come lei
tutte le donne della contrada."
i pireri di Sostìla sono ora
attenzionate dalla Fondazione Foianini di Studi Superiori e,
grazie alla passione, all’impegno
e competenza di Renzo Erini, si è
realizzato un piccolo ma prezioso
frutteto sperimentale.
Una quindicina di polloni de
li pireri sono stati piantati sul
versante in attesa che rinvigoriscano per poi essere innestati con
varietà della valle.
Renzo considera li pireri alla
L
stregua dei beni artistici: un
patrimonio da proteggere, un
patrimonio da salvare.
Per ragioni sentimentali, per
rispetto dei luoghi e della gente,
per l’importanza varietale di
queste piante e frutti di montagna.
Suggerisce la formazione di un
gruppo di volonterosi ed appassionati; una task force di competenze
botaniche, di coloro che sono
maestri nell’arrampicare, nel
potare, nel curare adeguatamente
le piante ferite, nel tenerle osservate, nello stabilire insomma una
rete di attenzioni.
È positivo che la Fondazione
Foianini stia sviluppando un
progetto per salvaguardare questo
straordinario patrimonio, ma
sarà altrettanto importante che i
proprietari dei siti comprendano
il valore storico e ambientale di
questi preziosi e antichi peri.
Autunno 2011
a alcuni anni è in corso una
trattativa tra il Comune di
Forcola ed il Comune di Tartano per
far si che l’acqua che viene dispersa
da una fontana in frazione “Cà”
(Comune di Forcola) possa essere
raccolta e dirottata per alimentare le
necessità degli abitanti delle frazioni
della val Fabiòlo, Sostìla in testa.
Sete cronica, sete disperata.
Una dimora senza l’acqua penalizza
chi ci vive, un’intera contrada muore.
Uno stillicidio di missive, incontri,
qualche cornata non hanno prodotto
risultati.
Ci si è appellati a un organo
superiore quale la Prefettura.
Le carte recitano:
“Il giorno 14 luglio 2010 si è tenuta
presso la Prefettura di Sondrio una
riunione presieduta dal Viceprefetto
Vicario Dott. Luigi Scipioni, presenti:
Sindaco di Tartano Geom. Oscar
Barbetta, Sindaco di Forcola Arch.
Tiziano Bertolini, Vicesindaco di
Forcola Giulio Raschetti, Vicepresidente C.M. Morbegno Italo Riva,
Resp. Area Tecnica C.M. Morbegno
Arch. Giuseppe Succetti, Perito
incaricato C.M. Morbegno Ing. Amos
Baggini, per approfondire gli aspetti
del contenzioso.
L’Ing. Amos Baggini, perito individuato dalla C.M. di Morbegno cui è
stato affidato l’incarico di verificare la
compatibilità idraulica dell’acquedotto
a servizio della frazione Sostìla, ha
riassunto brevemente la relazione
tecnica da lui redatta sulla base del
sopralluogo e delle relazioni tecniche
fornite dai Comuni interessati.
A suo parere l’utilizzo dell’acquedotto della frazione di Sostìla non può
mettere in crisi la rete idrica esistente
a servizio del Comune di Tartano ed
in particolare della frazione Campo,
in quanto indipendente.
L’approvvigionamento della fontana
in loco esistente, la cui acqua attualmente si riversa nel sistema fognario
e quindi viene “sprecata” può essere
effettuato attraverso la limitazione del
relativo prelievo con la realizzazione
di un pulsante a richiesta di erogazione dell’acqua.
Le Montagne Divertenti L'unica fontana di Sostila (22 luglio 2011, foto Marino Amonini).
L’Ing. Baggini ha evidenziato inoltre
che l’utilizzo in tal senso del serbatoio
di Sostìla non pregiudica il buon
funzionamento dell’acquedotto in
quanto idraulicamente sconnesso da
quest’ultimo; in tal senso il servizio
pubblico di fornitura dell’acqua è
garantito.
Il Sindaco di Tartano ha manifestato
il suo totale disaccordo in merito a
quanto rappresentato dal perito, informando i presenti che tutta l’Amministrazione Comunale è contraria alle
operazioni suggerite, senza pertanto
fornire, nel caso di specie, valide
motivazioni.
A suo parere l’unica soluzione al
problema è unicamente di potenziare
l’acquedotto esistente, mostrando
un’evidente mancanza di volontà a
risolvere il problema nel rispetto delle
modalità concordate nella precedente
riunione del 5 novembre 2009."
Il Viceprefetto si è poi prodigato
perché l’ing. Baggini partecipasse al
Consiglio Comunale a Tartano per
esporre le sue tesi e relazioni. L’ing.
Baggini ha così illustrato la relazione
alla giunta municipale di Tartano,
ma a ciò non è seguito alcun passo
avanti nella trattativa.
Recentemente altri segnali di fumo
sulla delicata questione sono apparsi
sulla stampa; “Sostìla, l’ultimatum di
Forcola” (La Provincia, 14 maggio
2011), “Acqua a Sostìla, a Tartano
scorre la pace” (La Provincia, 23
giugno 2011), “Sostìla resta ancora
senza acqua – Stavolta chiameremo
un avvocato” (La Provincia ,10 luglio
2011).
E pensare che già nel 2006, a
rafforzare la strenua difesa delle
nostre acque operata dallo IAPS
(Intergruppo Acque della Provincia di
Sondrio) dalle rapinose ingordigie di
vecchi e nuovi produttori di energia
idroelettrica si era unito il vivacissimo
Comitato di Tarten.
E pensare che nel recente
referendum sull’abrogazione della
privatizzazione della gestione servizi
idrici gli 80 dei 177 elettori di Tartano
che hanno votato hanno espresso un
sonoro SI (92,1%).
La popolazione di Tartano è aperta,
l’amministrazione è arroccata al niet
del suo sindaco.
Quale che siano i torti e le ragioni
delle amministrazioni, le pretese
degli uni e degli altri, pare davvero
anacronistico, rozzo e demenziale
il risultato di impedire una rifioritura di Sostìla e dintorni.
La miopia amministrativa di non
cogliere le buone opportunità di cui
la val Tartano possa beneficiare,
saldando sentieristica, siti etnografici,
paesaggi di rara integrità ambientale
della valle con il suo versante nord
amministrato da Forcola è lampante.
Tutti a declamare “per promuovere il
territorio occorre far sistema”: eccone
un risultato.
Sostìla da anni ha sete, ma più che
di sorella acqua, di buonsenso.
E’ il momento di usarlo.
Viaggio in val Fabiòlo
109
Speciali
Valtellinesi nel mondo
valtellinesi
nel mondo
Seduti nella piccola cucina
piena di fumo del lodge di Phalut,
aspettiamo l’ora di cena leggendo
le “Montagne Divertenti” portate
dall’Italia. Siamo posizionati al
centro del locale, mentre alcuni
operai fumano e si scaldano
dinnanzi al focolare parlando e
sghignazzando in una lingua a
noi incomprensibile: il nepalese.
In un angolo uno scheletrico
gattino grigio si bagna le zampe
con la lingua e se le strofina sulle
orecchie. Dico a Roberto, mio
compagno in questa avventura
asiatica: “In Valmalenco, quando
i gatti si lavano le orecchie è
segno che viene a piovere dopo
poco!”. Lui sorride e pensa che sia
matto, perché sì il cielo è grigio,
ma sono ormai quattro giorni
che è così e non ha mai scaricato
niente. Evidentemente tutti i gatti
del mondo sono parenti, perché
dopo un quarto d’ora viene giù il
finimondo: una grandinata come
non ho mai visto, che in mezz’ora
ricopre i pascoli circostanti con
dieci centimetri di gelide sferette
bianche.
Nel paese
delle meraviglie
Luciano Bruseghini
Il Toy Train presso Darjeeling (24 aprile 2010, foto Luciano Bruseghini).
M
a partiamo dal principio.
Abbiamo deciso di venire a
visitare l’India, o meglio un piccolo
pezzettino di questo immenso stato,
grande come un terzo dell’Europa,
per capire una volta per tutte perché venga definita “incredible” da
tutti coloro che vi si recano. Essendo
amanti della montagna, stabiliamo
come meta una zona che ci permetta
di ammirare le vette himalayane. Avevamo scelto il Ladakh, quel magico
regno incastonato tra picchi innevati
al confine con il Tibet, ma a metà
aprile c’era ancora troppa neve, così
abbiamo ripiegato sul Darjeeling,
una piccola regione nella parte nord
orientale del paese tra Nepal e Bhutan, con l’idea di fare un trekking
che ci permettesse di ammirare il
Khangchendzonga (m 8598), la terza
vetta della terra. Il clima in questo
periodo dell’anno è ancora secco,
quindi siamo al riparo dai monsoni. Ma sarà comunque un viaggio
avventuroso, con anche alcuni imprevisti che accetteremo con serena
rassegnazione.
È notte quando atterriamo a New
Delhi; non ci resta che aspettare il
mattino, quando potremo imbarcarci
sull’aereo per Bagdogra, piccola cittadina che sorge nelle vicinanze della
più popolosa Siliguri, punto di partenza per raggiungere il Darjeeling.
Il primo impatto è piuttosto sconcertante: avevamo in mente sì una
nazione in via di sviluppo, ma già
munita di infrastrutture moderne.
Per la grande maggioranza della
popolazione la realtà è purtroppo
ben diversa. Molta gente vive come
in Africa, in condizioni estreme
di povertà, in un contesto cittadino dominato dal traffico e dalla
sporcizia.
Lasciati i bagagli in hotel, prendiamo un risciò a pedali, condotto
da un uomo pelle e ossa, per recarci
alla stazione dei treni a prenotare i
biglietti per il Toy Train, il “trenino
giocattolo”, patrimonio dell’Unesco,
che con un percorso mozzafiato tra
ripide colline e piantagioni di tè conduce in sette ore a Darjeeling, capitale
dell’omonimo distretto. Purtroppo
tutti i posti per il giorno successivo
sono già prenotati, perciò dobbiamo
accontentarci di una delle numerose
jeep che giornalmente collegano le
due località.
Quando è ora di cena ci rechiamo
per la prima volta in un ristorante
del posto, per provare la “favolosa”
cucina indiana: zuppa di verdura,
pesce e agnello al curry, tutto niente
male, soprattutto per il prezzo (8€ in
due, bevande comprese!).
Il mattino seguente partiamo
all’alba in direzione delle West Bengala Hills, le “colline” che si annidano
tra le altissime vette himalayane e
le grandi pianure indiane. Saliamo
immersi in una fitta nebbia, che ha il
pregio di nasconderci alla vista alcuni
vertiginosi passaggi a strapiombo
sulle vallate sottostanti. Dopo un’ora
e mezzo di viaggio raggiungiamo
Cartolina dall'India col Taj Mahal sullo sfondo (30 aprile 2010, foto Roberto Moiola - www.clickalps.com).
110
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
India e Bhutan
111
Speciali
Una donna intenta nella raccolta delle foglie di tè (19 aprile 2010, foto Luciano Bruseghini).
Un santone induista nell'atto della benedizione della nostra guida Amid (20 aprile 2010, foto Luciano Bruseghini).
Un venditore di pesce presso Kurseong (19 aprile 2010, foto Luciano Bruseghini).
Kurseong (m 1458), dove decidiamo
di aspettare il transito del treno per
poterlo fotografare mentre attraversa
la cittadina. Dopo una lunga e snervante attesa, scopriamo che la linea è
interrotta, a causa di una frana scesa
nella notte: nella sfortuna di non aver
trovato i biglietti siamo stati anche un
po’ fortunati! Girovagando per questa
piccola cittadina, scopriamo e fotografiamo alcuni angoli caratteristici,
soprattutto il mercato in pieno centro,
dove gentilissimi pescivendoli sono
ben felici di farsi immortalare.
Ripreso il viaggio, a metà pomeriggio giungiamo a Darjeeling (m 2134)
e pure qui ci attende una grossa delu-
112
Le Montagne Divertenti sione. Descritta come tranquilla stazione climatica tra le piantagioni da tè,
in realtà anche questo è un centro caotico per il traffico e invaso dai rifiuti. In
aggiunta a questo, non riusciamo nemmeno a godere della vista sulle vette
dell’Himalaya, incappucciate da grosse
nuvole cariche di pioggia: quest’anno il
monsone è in tremendo anticipo!
Guardandoci intorno notiamo che
i lineamenti delle persone locali sono
differenti rispetto a quelli delle popolazioni incontrate precedentemente.
Veniamo informati che la maggior
parte di essi sono di origine nepalese, discendenti degli operai giunti
qui dal vicino Nepal per costruire la
ferrovia che collega la pianura con
le colline. Anche la parlata è diversa,
e il loro inglese ci risulta molto più
comprensibile.
Sotto una pioggia battente, facciamo un giro per la città alla ricerca
dell’agenzia turistica individuata tramite internet per l’organizzazione del
trekking. Anche in questo caso, fortunatamente, la troviamo chiusa, ma
rivolgendoci ad un’altra ci troviamo fra
le mani un’offerta per lo stesso servizio
a soli 110 dollari anziché 300. L’escursione si chiama Singalila Ridge Trek,
ha una durata di cinque giorni e una
lunghezza di 83 chilometri, e assicura
fantastiche vedute dell’Himalaya.
Autunno 2011
Sostiamo ancora un giorno per acclimatarci meglio ed essere in forma per
il tour. Sfruttiamo questa pausa per
visitare le famose piantagioni di tè che
circondano la città, sviluppandosi su
ripidi crinali. Vediamo le donne che
per poche rupie passano l’intera giornata chine sui piccoli arbusti a raccogliere le foglie mature, e assistiamo
pure ai processi di lavorazione con cui
dalla foglia si ottiene il trinciato che
verrà poi esportato in tutto il mondo.
La varietà di tè qui coltivata ha un
gusto molto particolare, ma una volta
che si sia fatta l’abitudine è doloroso
tornare a bere il tè a cui siamo tutti
abituati.
Le Montagne Divertenti Il giorno seguente di buon’ora ci
rechiamo con Amid, la nostra guida,
al parcheggio delle jeep per recarci a
Mana Bhajang, punto di partenza del
nostro trekking. Purtroppo per partire dobbiamo attendere che la vettura
sia interamente occupata. Nell’attesa
assistiamo al passaggio di un santone
induista (in lingua locale Bhari) che
benedice la nostra guida pronunciando
preghiere e disegnandogli un puntino
rosso in fronte. Riusciamo a partire
solo quando, alle dieci e mezza, la
nostra jeep, da sette posti, avrà caricato
il tredicesimo passeggero. Verso mezzogiorno siamo a destinazione dopo aver
percorso strette stradine su e giù per le
vallate. Ci rechiamo all’Office Border
nepalese (dogana) per registrare i nostri
passaporti.
Si aggrega a noi un’altra guida,
Buddha Sing, un giovane nepalese.
Il primo tratto del nostro trekking è
molto ripido; camminiamo immersi
nella nebbia, all’interno di un bosco
di cipressi e rododendri (che qui
raggiungono anche i dieci metri di
altezza). Prima meta è il piccolo villaggio di Chytray, nelle cui vicinanze
sorge un bellissimo e coloratissimo
tempio buddhista. Riprendiamo lungo
un tratturo tra boschi e pascoli d’alta
quota, dove yak e capre ci guardano
incuriositi. Passato il check point
India e Bhutan
113
Speciali
militare di Meghma, dove ci vengono
controllati passaporti e permessi vari,
troviamo un coloratissimo Gompa,
luogo di preghiera caratterizzato da
disegni su roccia e bandiere di preghiera di differenti tonalità. Nel tardo
pomeriggio arriviamo a Toumling
(m 2650) e ci sistemiamo nel lodge
gestito da una famiglia del posto che
ci rifocilla con tante prelibatezze, tra
cui una birra locale, ottenuta dal grano
fermentato.
Il mattino successivo ci alziamo alle
sei nella speranza di vedere per la prima
volta il Khangchendzonga, ma come di
consueto la fortuna pare irriderci, perché la montagna si intravede appena
attraverso la foschia. Un po’ abbattuti
riprendiamo il trekking, passando
prima per il villaggio di Garibas (m
2600), e poi per Kalipokhri. Dopo un
fugace pranzo attacchiamo l’erta salita
che ci condurrà a Sandakphu (m 3636),
il punto più elevato di questo trekking.
Ci informano che normalmente servono due ore e mezza per raggiungerlo,
ma noi, da veri montanari, e senza
nemmeno la distrazione della macchina
fotografica a causa del brutto tempo,
impieghiamo solo un’ora e trenta, con
grande stupore delle guide, che devono
sudare sette camicie per starci dietro!
Qui alla delusione per il brutto tempo
si aggiunge il fastidio di dover dormire
in una vecchia baracca puzzolente, che
emette strani scricchiolii ad ogni folata
di vento.
Tuttavia alle prime luci dell’alba ci
accorgiamo che il vento della notte ha
spazzato i banchi di nebbia, cosicché
possiamo finalmente ammirare la spettacolarità del paesaggio: di fronte a noi
si erge maestoso il Khangchendzonga
(m 8598), mentre in lontananza sorge
l’imponente Everest (m 8848) attorniato dal Lhotse (m 8501) e dal Makalu
(m 8475). Da buoni fotografi, ne
approfittiamo per scattare migliaia di
immagini.
Soddisfatti dalla sessione fotografica,
riprendiamo il trekking molto più
sereni. Non ci spaventano i diciassette
chilometri di cammino previsti per
quel giorno. Il sentiero si sviluppa con
continui saliscendi in un fantastico
bosco di rododendri giganti in piena
fioritura, con i petali che variano dal
bianco al rosa al rosso fuoco. Alle tre
siamo a destinazione: il lodge di Pha-
114
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti In cammino nella nebbia (20 aprile 2010, foto Roberto Moiola).
La tanto attesa apparizione del Khangchendzonga (22 aprile 2010, foto Luciano Bruseghini).
lut (m 3600), che si erge solitario sul
crinale di una collina, costruito appositamente per ospitare i camminatori. È
qui che ci ricolleghiamo a quanto detto
al principio: un gatto che si strofina le
orecchie è segno di pioggia in arrivo!
E infatti, neanche un quarto d’ora e
le colline intorno al lodge mutano dal
verde al bianco della grandine.
Dopo una frugale cena a base di riso
e patate, in compagnia di una coppia
di ragazzi americani e di alcuni giovani
indiani che stanno compiendo il nostro
stesso trekking, andiamo in branda,
sperando che il forte vento non porti
via la baracca: la sera precedente aveva
divelto una parte del tetto!
Oggi è l’ultimo giorno di trekking, e
ci attende una lunga camminata, benché prevalentemente in discesa. Pure
oggi una fitta foschia ci impedisce di
vedere le montagne: che iella! Dopo
diversi su e giù, anche molto impegnativi, durante i quali incrociamo persone
e animali carichi di ogni mercanzia,
dalle assi da costruzioni ai serramenti,
raggiungiamo il villaggio di Rammam
(m 2530) dove sorge una delle poche
scuole della vallata. Gli studenti stanno
facendo l’intervallo; le ragazze siedono
in disparte, mentre i maschietti disputano una partita di cricket, lo sport
nazionale indiano, simile al baseball.
Riprendiamo il cammino abbassandoci fino al villaggio di Rimbik
(m 2300), dove termina il trekking
e dove ritroviamo la civiltà. Qui ci
attende la jeep che ci ricondurrà a
Darjeeling. È un lungo viaggio, di circa
tre ore, lungo strade dal fondo sconnesso intagliate in vertiginose scarpate,
e su traballanti ponti di legno e funi.
Non ci facciamo mancare una sosta per
cambiare una gomma forata.
India e Bhutan
115
Speciali
Alle otto siamo in hotel sani e salvi,
dove finalmente possiamo lavarci e
ripercorrere con la mente il trekking
appena compiuto, che ci ha consentito di visitare luoghi mirabili e poco
frequentati, con una natura incontaminata assai differente da quella cui siamo
abituati. Le persone incontrate durante
il cammino, specialmente i locali di
etnia nepalese, sono state molto gentili
e affabili, sempre disponibili ad aiutare
i turisti, importante fonte di reddito.
Peccato solamente che il tempo non sia
stato dalla nostra parte!
Ritornati in jeep a Siliguri trascorriamo un pomeriggio in giro per la
città alla ricerca di qualche angolo
caratteristico. Lungo le rive del fiume
Mahananda ci imbattiamo nelle baraccopoli, dove veniamo in contatto con
il mondo degli “Intoccabili”. Restiamo
stupiti nel constatare con quale dignità
queste persone riescano a sopravvivere
tra mille difficoltà con poche rupie
al giorno. I più felici sono i bambini,
soprattutto dopo che abbiamo regalato
loro le caramelle che avevamo con noi.
Ma le sorprese non sono finite! Ritornati sulla via principale assistiamo a
una scena che ha dell’incredibile: un
uomo da un ponte cala un secchio nel
fiume e raccoglie l’acqua, poi incurante
del continuo via vai di gente si spoglia
e si lava sul marciapiede. Più avanti,
quando siamo ormai vicini al centro
città, ci passa accanto una piccola folla
che canta e corre, trasportando un
cadavere avvolto in un lenzuolo. È proprio “Incredible” India!
Con la stessa rapidità
con cui la ruota del Lord
of Death (il Signore della
Morte) decreta il destino
dei defunti a seconda
di come giri, passiamo
dall’“inferno” indiano
di Siliguri al “paradiso”
del Bhutan, piccolo stato
incastonato nel cuore
dell’Himalaya.
Già l’atterraggio in una valle stretta
come la Valtellina, nell’unico aeroporto della nazione, è uno spettacolo.
Solamente gli aeri della compagnia
nazionale Druck Air possono partire
ed atterrare qui, perché occorrono
piloti davvero esperti per affrontare le
116
Le Montagne Divertenti Valtellinesi nel mondo
Bellezze locali (26 aprile 2010, foto Roberto Moiola).
particolarità geografiche e climatiche di
questa vallata.
Durante il breve soggiorno siamo
assistiti da una guida di nome Singay
e dall’autista Namgay; il governo del
Bhutan infatti controlla e limita il
numero dei visitatori presenti nel territorio, e impone loro di affidarsi a guide
e ad agenzie turistiche, i cui introiti
sono destinati alla costruzione di opere
pubbliche.
La prima cosa che ci colpisce è lo
strano abito indossato dalla maggior
parte degli uomini, il gho, una particolare tunica portata con camicia e calzettoni. Anche le donne indossano una
specie di kimono, detto kiri.
Passiamo la mattinata visitando il
monastero (dzong) Rinchen Pung,
il più grande di questo distretto, che
sorge in posizione strategica sul ripido
fianco di una collina, ai cui piedi
scorre il fiume Paro Chhu. Gli interni
sono arricchiti da spettacolari dipinti
a soggetto religioso, fra cui il già citato
Lord of Death. Costruito nel Seicento,
ospita attualmente duecento monaci. È
lo stato a provvedere alle spese di mantenimento della struttura.
Dopo un pranzo frugale a base di
riso e asparagi selvatici, ci mettiamo
in tenuta da trekking per affrontare
al meglio la salita che ci condurrà al
monumento più famoso di tutto lo
stato: il Taktshang Goemba, meglio
noto come Tiger’s Nest (Nido della
Tigre). Si tratta di uno splendido
monastero, eretto su di una vertigiAutunno 2011
Suggestiva immagine del Tiger's Nest, il "Nido della Tigre" (25 aprile 2010, foto L. Bruseghini).
nosa parete rocciosa, 900 metri sopra il
fondovalle. Deve il suo nome alla leggenda, secondo la quale il Guru Rimpoche (grande maestro buddista con
poteri miracolosi) sarebbe volato fin
qui aggrappato al dorso di una tigre per
sconfiggere il demone maligno della
zona.
Lasciata l’automobile a 2600 metri
di quota, ci incamminiamo, con lo
sguardo sempre rivolto verso l’alto,
in direzione della nostra meta. Dopo
un’ora e mezza arriviamo a un belvedere a 3150 metri e ci appare davanti
il monastero che sembra sbucare dalla
roccia. Da buoni fotografi diamo sfogo
al nostro impulso e clickiamo fino a
riempire le schede di memoria. Attraversata una piccola valle arriviamo
Le Montagne Divertenti all’ingresso del monastero, dove c’è un
posto di blocco presidiato dai militari;
siamo obbligati a lasciare qui tutte le
nostre cose, comprese – ahimè – le
macchine fotografiche. La visita ci
conduce all’interno di numerose cappelle decorate con dipinti e lavorazioni
lignee dorate, che ammiriamo col sottofondo del salmodiare dei monaci, che
dà al luogo un’aria ancor più spirituale.
Il giorno seguente partiamo in automobile alla volta di Thimpu, la capitale
del Bhutan, distante 55 chilometri. A
causa dell’arrivo di molti capi di stato
asiatici per la riunione del SAARC
(South Asia Association for Regional
Cooperation) troviamo lungo il tragitto numerosi poliziotti e militari e
alcune strade sono addirittura chiuse al
traffico. Questo meeting ci causerà non
pochi disguidi!
Thimpu è una cittadina di circa centomila abitanti, dall’aspetto ordinato
e pulito. Per prima cosa visitiamo il
National Institute for Zorig Chusum,
una scuola dove i ragazzi imparano le
discipline artistiche tradizionali del
paese, come la pittura, la scultura,
la lavorazione della creta e dei tessuti. Vediamo anche il Folk Heritage
Museum, dove è ricostruita la vita di
un tempo, che per costumi, ambientazione e tradizioni ci ricorda a tratti
la vita dei nostri nonni. Nel pomeriggio vorremmo recarci al Trashi Chhoe
Dzong, il monastero più grande e
meglio conservato di tutto lo stato, ma
a causa dell’incontro internazionale
ne è vietato l’accesso ai turisti. E non
possiamo neanche rientrare in India
in aereo come avevamo fatto all’andata, poiché tutti i voli di rientro sono
destinati alle delagazioni internazionali.
Siamo costretti pertanto a tornare in
India in auto, ma per far questo dobbiamo prima passare dall’ambasciata
indiana per far aggiungere al nostro
passaporto il permesso di rientro in
India via terra e non più per via aerea:
quanta burocrazia, quasi come in Italia!
Il mattino seguente partiamo in auto
alla volta della cittadina di Punakha,
situata nella parte centrale del paese.
Per raggiungerla saliamo fino al Dochu
La Pass a 3140 metri, dove sorge un
impressionante monumento funebre
costituito da 108 chorten (santelle) in
ricordo dei 108 bhutanesi morti negli
scontri con gli invasori provenienti
dall’Assam. Ridiscesi nella vallata,
risaliamo il corso del torrente fino al
Punakha Dzong, uno dei monasteri
più belli del paese, pari al Tiger’s Nest.
La sua particolare posizione, in mezzo
alla confluenza di due fiumi, il Mo
Chhu e il Pho Chhu, le cui acque di
colore differente si uniscono a formare
un effetto cromatico particolare, lo
rende un luogo magico. Questa sensazione è accentuata dai fantastici alberi
di jaracanda in fiore, con i petali viola
che spiccano sui muri bianchi. Com’è
tipico per i monasteri più importanti,
nel Punakha Dzong si incontrano
due diverse funzioni, quella religiosa e
quella amministrativa: perciò al tempio
e alle costruzioni che ospitano i monaci
e gli allievi sono annessi vari palazzi con
India e Bhutan
117
Speciali
uffici del governo.
Discendendo la vallata notiamo
numerosi campi coltivati e parecchia
gente al lavoro. Non si vedono trattori
né macchine agricole: ogni fase della
produzione agricola costa il sudore e
la fatica della gente e, nel migliore dei
casi, di qualche animale. Le abitazioni
dei contadini sono molto caratteristiche, con le pareti colorate e decorate
con disegni di draghi, animali e “falli
umani”, con lo scopo di proteggere la
casa dai demoni malefici.
Sostiamo a Wangdue per visitarne
il monastero, anch’esso edificato in
posizione strategica, arroccato su di un
alto crinale come un’enorme fortezza.
Per una maggior sicurezza, i monaci
hanno poi piantato degli spinosissimi
cactus nelle ripide pareti delle mura
esterne, al fine di scoraggiare gli invasori dal dare la scalata all’erta sponda.
È terminata la nostra visita del Bhutan, ed è l’ora di tornare in India. Per
farlo andiamo a percorrere in jeep la
prima strada ad esser stata costruita in
Bhutan: correva l’anno 1962, e da allora
non pare aver subito grandi modifiche. Lungo il percorso, che si snoda
fra boschi e burroni senza nemmeno
parapetti, abbiamo modo di vedere
numerose dighe e impianti idroelettrici:
l’esportazione di energia elettrica ottenuta dall’acqua è la prima fonte di reddito di questo piccolo stato himalayano.
Che il Bhutan sia un regno montuoso lo si capisce quando si arriva a
Phuentsholing, città di confine, poiché è qui che finiscono le vette e inizia un’immensa pianura, ma è anche
qui che finisce un regno fantastico
ed inizia la caotica India! È una città
davvero singolare. Innanzitutto fa
da confine climatico fra le calde pianure indiane e le vallate del Bhutan,
che invece giovano della fresca aria
di montagna. Ma la cosa più curiosa
è che la città è divisa in due da uno
steccato: da una parte si chiama Jaigon
ed è India, mentre dall’altra si chiama
Phuentsholing ed è Bhutan! Solamente una grande porta, in stile bhutanese, mette in comunicazione le due
cittadine. E le sorprese non finiscono
qui: l’assurdità più grande è che tra un
lato e l’altro della porta c’è mezz’ora di
fuso orario!
Il giorno seguente noleggiamo un
taxi che ci conduce a Bagdogra. Per-
118
Le Montagne Divertenti Valtellinesi nel mondo
corriamo circa 150 chilometri tra
campi coltivati, piantagioni di tè e
tratti di foresta vergine. Attraversiamo
diversi villaggi, costituiti soprattutto
da baracche, dove la gente vive miseramente, e capiamo perché la nostra
guida bhutanese fosse tanto restia
nell’uscire dal suo paese.
Raggiunto l’aeroporto ci imbarchiamo su un volo locale con destinazione New Delhi. Dopo due ore di
viaggio tranquillo ci apprestiamo ad
atterrare. Dai finestrini vediamo che
un enorme temporale sta per investire
la città ma non ci preoccupiamo più
di tanto. Invece, quando l’aereo sta
per toccare terra, delle forti correnti
scuotono il velivolo come se fosse di
carta, tanto da costringere il pilota a
riprendere quota. Ci vogliono ben tre
tentativi di atterraggio, tra il panico
generale dei passeggeri a bordo, prima
che il velivolo riesca a toccare la pista
in sicurezza!
Anche a New Dehli registriamo
l’antinomia fra due mondi opposti, da una parte appunto la nuova
Dehli, bella e ordinata, con ampi viali
alberati, dall’altra la Old Delhi (città
vecchia), un labirinto di stretti vicoli
intasati di gente e bancarelle, ed è
qui che abbiamo l’albergo! Dopo aver
lasciato i bagagli in stanza e aver consumato una cena veloce, ci rechiamo
in stazione a comperare i biglietti del
treno per Agra, città del Taj Mahal,
per il mattino seguente. Ma per una
logica a noi sconosciuta, i biglietti
sono venduti non in stazione bensì
in un affollato ufficio nelle vicinanze,
dove peraltro veniamo rimbalzati da
uno sportello all’altro o perché non
era la fila giusta o perché quand’era
finalmente il nostro turno lo sportello
doveva chiudere. Finalmente dopo
più di un’ora di attese interminabili
e cinque sportelli cambiati, riusciamo
ad avere il nostro biglietto per il treno
delle 5.30 del mattino!
Ormai è notte fonda ed abbiamo
quasi paura ad attraversare gli stretti
vicoli fino all’albergo; circondati da
migliaia di persone sconosciute ci
facciamo coraggio a vicenda e camminiamo di buon passo.
Dopo una breve dormita, alle 4.45
suona la sveglia e molto assonnati ci
rechiamo a prendere il treno. La stazione di New Delhi assomiglia per
grandezza a quella centrale di Milano,
ma differisce da essa per la sporcizia e
la quantità di gente che vi transita o
vi trascorre la notte. L’India ha la rete
ferroviaria più estesa del mondo e i
suoi treni sono molto più spaziosi e
comodi di quelli italiani, oltre che più
puntuali: arriviamo ad Agra alle 8.30,
in perfetto orario.
Appena fuori stazione un tipo strano
ci propone di visitare la città a bordo
del suo motorickshaw (un piccolo
ape cinquanta trasformato in taxi).
All’inizio siamo abbastanza titubanti,
soprattutto perché abbiamo letto degli
imbroglioni locali che promettono
molto e mantengono poco. Però alla
fine decidiamo di fidarci e ci accordiamo con l’autista Kekè per la visita
cittadina di tutto il giorno al costo di
900 rupie, circa 15 euro.
Sfidando temperature
di 45 gradi e un traffico
terribile, composto da
macchine, furgoni, motorini, biciclette e mucche,
giungiamo nei pressi
del fiume Yamuna, che
oltrepassiamo su di un
vecchio ponte in ferro.
Nelle torbide acque sottostanti convivono mucche, che qui vengono ad
abbeverarsi, e un’infinità
di persone che vi lavano
il bucato, che vanno poi
a stendere sulla riva. A
movimentare la scena ci
sono numerosi bambini
e ragazzi, che sguazzano
felici in quelle acque, trovandovi refrigerio.
Poco dopo arriviamo alla prima
tappa: l’Itimad-ud-Daulah, meglio
noto come Baby Taj. Si tratta della
tomba del primo ministro Mizra
Ghiyas Beg, costruita tra il 1622 e il
1628. Fu il primo edificio edificato
con marmo e pietre dure, reso spettacolare da alcuni elementi architettonici ripresi direttamente dal Taj
Mahal, che andiamo a visitare subito
dopo e che non ha bisogno di presentazioni. Purtroppo è venerdì, giorno in
cui il monumento è chiuso alle visite
e riservato alla preghiera dei fedeli
musulmani. Così ci tocca ammirarlo
Nelle stesse acque in cui le donne lavano i panni
trovano refigerio mucche e bambini
(30 aprile 2010, foto Luciano Bruseghini).
Autunno 2011
Le Montagne Divertenti e fotografarlo solamente dall’esterno.
Ma quando siamo sul retro della struttura, ad attirare la nostra attenzione è
il rito della cremazione dei morti di
fede induista, effettuato su dei particolari balconi a ridosso del fiume. È
un momento toccante, anche per la
presenza di numerosi santoni, avvolti
nelle loro vesti gialle e arancioni, che
impartiscono benedizioni a tutti i
presenti. Un fatto che ci ha lasciato a
bocca aperta sono i bambini e i ragazzi
che giocano felici nell’acqua a due
passi dai defunti e dalle ceneri che lì
vengono riversate.
Nel pomeriggio ci rechiamo a visitare l’Agra Fort, uno dei forti moghul
più belli di tutta l’India. È una struttura massiccia, costruita in arenaria
rossa lungo la riva del fiume, e trasformato poi in palazzo residenziale. Mentre passeggiamo nei giardini interni
facciamo conoscenza con degli uomini
Sik, l’etnia indiana che porta il turbante, e facciamo diverse foto insieme
per suggellare l’amicizia “culturale” tra
Europa e Asia.
Le ultime ore in città le passiamo
visitando un laboratorio di tappeti,
dove molti artigiani lavorano con
mani e piedi la lana kashmire su rudimentali telai in legno. Occorrono da
uno e tre mesi per completare un tappeto, in base alle difficoltà del disegno.
Ripreso il treno alle nove, verso
mezzanotte siamo di ritorno nella
capitale, ma non ci fermiamo molto,
solo il tempo di recuperare i bagagli in
hotel e raggiungere l’aeroporto per il
volo di rientro in patria.
Purtroppo ci sono rimaste solo 100
rupie e non volendo cambiare altri
euro, l’unico autista disposto a scarrozzarci è quello alla guida di un altro
motorickshaw: niente male percorrere
la tangenziale di Delhi a bordo di un
piccolo ape stracarico di bagagli, con
le auto che ci sorpassano a velocità
ultrasonica!
Alle cinque del mattino i nostri
piedi toccano per l’ultima volta il
suolo indiano, e poco più di dieci ore
più tardi siamo già a casa nostra. Non
sembra vero che in così breve tempo si
possa passare dall’India alla tranquilla
Valtellina! Motivo in più per voi per
farne meta di un vostro viaggio, con
l’augurio che la fortuna vi sorrida un
po’ più di quanto abbia fatto con noi.
India e Bhutan
119
Speciali
Alessandra Morgillo
CAMOSCIO
RE DELLE
RUPI
120
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Camoscio
(12 novembre
2010,
foto Andrea Zampatti).
India e Bhutan
121
Rubriche
Facilmente riconoscibile
dagli altri ungulati presenti sull’arco alpino per le
tipiche corna scure a forma
di uncino, il camoscio, così
come lo stambecco, appartiene alla famiglia dei
bovidi e alla sottofamiglia
dei caprini, quindi sono
entrambi parenti, seppure
alla lontana, della capra
domestica.
svela finalmente la loro vera essenza:
come sagome eleganti danzano veloci
tra le rocce, sicure in ogni movimento
e in perfetta armonia con l’ambiente
impervio dell’alta montagna.
Disinvolte acrobazie in bilico
su vertiginosi precipizi • Sono tra
i mammiferi più grandi a trovarsi a
proprio agio sulle vette più impervie,
grazie a diversi straordinari adattamenti che nel corso dell’evoluzione
Una mamma con il suo cucciolo.
I piccoli nascono a maggio e sono allattati per circa tre mesi, ma rimangono accanto alla madre
per i primi due anni di vita (12 novembre 2010, foto Andrea Zampatti).
La fisionomia generale dei camosci,
infatti, soprattutto se osservati da lontano, li accomuna alle capre, specialmente mentre brucano indisturbati,
spostandosi piano con quell’andatura
un po’ pesante che pare persino goffa se
il terreno è pianeggiante, a causa delle
zampe posteriori più lunghe di quelle
anteriori. Ma basta che un soffio d’aria
veicoli al loro olfatto eccezionale un
odore che sa di pericolo, ancor prima
che la vista o l’udito non così portentosi
ne abbiano accreditato la fonte, ecco che
si danno ad una fuga precipitosa che
122
Le Montagne Divertenti ne hanno plasmato il corpo al fine di
renderlo idoneo ad agili spostamenti
su pendenze elevate. Zampe muscolose, dai tendini robusti e articolazioni
resistenti, per sopportare notevoli tensioni e torsioni, conferiscono un forte
slancio per compiere balzi acrobatici
che possono raggiungere i due metri
in altezza e oltre i sei in lunghezza. Per
garantire una presa sicura su pendii
instabili le due metà degli zoccoli sono
divaricabili fino a novanta gradi e sono
unite da una membrana interdigitale
che raddoppia la base d’appoggio e
permette al camoscio di spostarsi sulla
neve senza sprofondare – a ben vedere,
delle ciaspole naturali. Le suole plantari hanno la plasticità della gomma,
mentre le punte degli zoccoli sono
durissime, come gli speroni dei ramponi, cosicché il camoscio è in grado
di reggersi persino sulle rocce più scoscese e su pendii ghiacciati.
Ma per risalire senza sforzo i versanti,
come fanno i camosci con inusitata
grazia, non bastano certo muscoli e
tendini. Anche gli organi interni si sono
specializzati: i polmoni sono particolarmente sviluppati così come il cuore che,
grande il doppio di quello dell’uomo,
sopporta tranquillamente 200 battiti al
minuto; il sangue, inoltre, dispone di
più ossigeno di qualsiasi sherpa perché
ha il triplo di globuli rossi.
Così il camoscio delle Alpi (Rupicapra rupicapra), giunto dall’Europa
orientale durante l’ultima glaciazione, ha potuto diffondersi in tutto
l’arco alpino, dalle foreste dei versanti
medio-montani agli ambienti rupestri,
ai piccoli lembi di prateria delle balze
rocciose più elevate fino a 2800 metri
di quota.
Autunno infuocato • È in estate
che i camosci raggiungono le altitudini maggiori, frequentando le fertili
praterie che si estendono al di sopra
del limite della vegetazione arborea;
in autunno, invece, l’innevamento li
costringe ad abbassarsi di quota per
alimentarsi ed è pertanto la stagione in
cui è più facile osservarli.
In questo periodo il mantello
subisce una muta in vista del rigido
inverno alpino e diviene più scuro
per meglio catturare i raggi del sole;
nei maschi adulti diviene più evidente
una sorta di criniera che corre lungo
la schiena. Non è comunque semplice
discernere il maschio dalla femmina in
quanto entrambi esibiscono corna che
non vengono mai perse, anzi, si accrescono di anno in anno disegnando
degli anelli utili a determinare l’età
dell’animale.
L’autunno è la stagione riproduttiva
per i camosci e nei branchi si registra un
gran fermento. I maschi, d’indole pacifica e solitaria, divengono irrequieti e
aggressivi, e solo da fine ottobre a metà
dicembre si uniscono alle femmine che
sono solite vivere in gruppo coi piccoli.
Autunno 2011
Tra inseguimenti e scontri, i maschi
hanno un gran bel da fare per rivendicare il territorio e allontanare i rivali.
Con il sopraggiungere dell’inverno tornerà gradualmente la calma: occorrerà
risparmiare le energie, in vista di un
periodo in cui tutte le risorse disponibili dovranno essere votate alla sopravvivenza. Il camoscio si nutre di diversi
vegetali a seconda della loro disponibilità, si colloca nella categoria dei brucatori intermedi e predilige graminacee,
ginepri e rododendri, ma nei periodi di
stenti è in grado di trarre nutrimento
anche da cortecce, radici e licheni. In
primavera, tra maggio e giugno, si verificano le nascite, solitamente di un solo
piccolo che, già dopo poche ore, è in
grado si seguire la madre e correre per
sfuggire agli attacchi dei predatori.
Il mantello del camoscio è marrone-rossiccio in estate e bruno
scuro in inverno. L’altezza alla spalla è in media 80 centimetri e la
lunghezza varia intorno ai 120-130 centimetri, il peso dei maschi
adulti non supera i 50 kg. I maschi sono del tutto simili alle femmine
tranne che per le corna un po’ più lunghe, ma di norma vagano
solitari e i branchi misti si formano solo in autunno per la stagione
riproduttiva. Se spaventato emette un rauco fischio dalle narici
(12 novembre 2010, foto Andrea Zampatti).
Il “cugino” sugli Appennini •
Il camoscio d’Abruzzo (Rupicapra
pyrenaica ornata) è del tutto simile al
“cugino” delle Alpi, se non per le corna
più lunghe e il manto invernale decorato da bande chiare, ma con esso ha in
comune solo il genere (Rupicapra). È
presente solo nell’Appennino centrale,
ed è una sottospecie esclusivamente
italiana, che presenta una storia piuttosto singolare, da cui possiamo trarre
insegnamento. All’inizio del secolo
scorso una pressione venatoria sconsiderata l’ha portato sull’orlo dell’estinzione, riducendo la sua popolazione a
una cinquantina di capi che si erano
rifugiati sui dirupi più inaccessibili.
Fortunatamente, significativi sforzi
per proteggere la specie, quali delicati
trasferimenti e reintroduzioni in altre
aree appenniniche, hanno consentito
di ristabilire la popolazione e scongiurare così, appena in tempo, l’ennesima
irrimediabile perdita naturalistica.
Curiosità • L’immagine del camoscio ricorre spesso nella simbologia
araldica di molte famiglie dell’Italia
settentrionale. È spesso presente negli
stemmi comunali, quali, per citarne
alcuni, quello del comune di Valfurva
(testa di camoscio affiancato a una
fontana), o del comune di Gerola
Alta, in cui è raffigurato un camoscio
poggiato su tre monti di colore verde
con una stella alpina accanto al capo.
Le Montagne Divertenti India e Bhutan
123
Rubriche
LA CICALA E
Alessandra Morgillo
LA FORMICA
La Cicala che imprudente
tutto estate al sol cantò,
provveduta di niente
nell'inverno si trovò,
senza più un granello
e senza una mosca nella credenza.
Affamata e piagnolosa
va a cercar la Formica
e le chiede qualche cosa,
qualche cosa in cortesia,
per poter fino alla prossima
primavera tirar via:
promettendo per l'agosto,
in coscienza d'animale,
interessi e capitale.
La Formica che ha il difetto
di prestar malvolentieri,
le domanda chiaro e netto:
- Che hai tu fatto fino a ieri?
- Cara amica, a dire il giusto
non ho fatto che cantare
tutto il tempo. - Brava ho gusto;
balla adesso, se ti pare.
Legge ad alta voce Carletto, durante
la lezione di italiano, i versi di Jean de
La Fontaine, che in rima ricalcano la
famosa favola di Esopo “La cicala e la
formica”.
La scuola è iniziata da poco e gli
sembra di avere ancora nelle orecchie
il musicale frinire delle cicale che ha
accompagnato la sua estate. Un giorno
è riuscito a vederne una da vicino:
com’era rimasto stupito nello scoprire
che quel suono assordante proveniva
124
Le Montagne Divertenti da una sorta di mosca, grande all’incirca come un dattero, con buffi occhi
sporgenti e ampie ali trasparenti!
Di formiche ne ha viste tante, nere,
rosse, di varie dimensioni, sempre
attive e indaffarate, nonché intente a
trasportare semi, briciole e quant’altro
sia per loro commestibile all’interno
del formicaio. Un esercito ben organizzato quello delle formiche, governato da un collettivo e rigidissimo
senso del dovere.
Com’è possibile, invece, che le
cicale siano così sprovvedute da
lasciarsi cogliere impreparate? Non lo
sanno che i primi freddi annunciano
una sicura morte di stenti per chi
non è stato previdente? Mille pensieri
affollano la mente di Carletto mentre
la maestra spiega che gli animali delle
favole vestono vizi e virtù tipicamente
umani; in questo caso l’operosa formica rappresenta chi lavora duramente, sacrificando svago e riposo
Autunno 2011
pur di garantirsi un futuro, mentre la
cicala chi si gode la vita con leggerezza
senza preoccuparsi del domani. Ma
se la morale della favola si evince con
facilità, non è chiaro invece per quale
motivo i suoi protagonisti a sei zampe
vivano nella realtà vite così opposte.
Carletto, una volta a casa, interroga
subito il nonno, che sa sempre svelargli tutti i segreti del mondo in miniatura: “Chi ha ragione tra la formica e
la cicala?”
Le Montagne Divertenti “Entrambe!” risponde il nonno.
“Ma le cicale non pensano al futuro...”
commenta scettico il nipotino.
“Gli insetti non fanno ragionamenti, ma agiscono secondo l’istinto!
Vedi Carletto, ogni specie vivente
a suo modo è saggia perché segue la
propria natura. Le formiche sono
insetti sociali e, come sai, vivono in
colonie numerosissime, formate anche
da centinaia di migliaia di individui.
Se non si prodigassero ad accumulare
le risorse con ammirevole rigore non
potrebbero di certo sopravvivere al
lungo inverno.”
“Le cicale allora come fanno?”
“Questi insetti hanno una vita del
tutto particolare. Per loro non c’è
autunno e nemmeno inverno, eppure
sono tra gli insetti più longevi…”
Ma a Carletto pare che nel discorso
ci sia qualcosa di strano: “Come fanno
ad essere longevi se non campano
nemmeno un anno?”
Il mondo in miniatura
125
Speciali
La cicala comune (Lyristes plebeius) è la più
diffusa in Europa, ma al mondo esistono
migliaia di specie appartenenti alla famiglia
dei Cicadidi. È stata celebrata in epoche
diverse da poeti e scrittori. Gli antichi
Greci la raffiguravano tra le corde della
cetra quale simbolo della musica, perché
secondo la mitologia prima le cicale erano
degli uomini che in seguito alla nascita
delle Muse, affascinati dalla poesia e dalla
musica, dimenticavano persino di cibarsi.
Allora Apollo, impietosito, li trasformò in
insetti dal lungo, ma effimero canto
(27 luglio 2011, foto Alessandra Morgillo).
La società delle formiche è divisa in gruppi detti caste. A capo di una colonia vi è la regina che
provvede per tutta la vita alla deposizione delle uova. Le figlie sono femmine sterili e prendono
il nome di operaie, poichè addette al nutrimento e alla costruzione del formicaio. Vi sono poi
le formiche soldato, più grosse e dalle mandibole più sviluppate, che provvedono a difendere il
formicaio. In determinati periodi dell’anno la regina genera individui fertili, maschi e femmine,
dotati di ali. I maschi moriranno dopo l’accoppiamento e le femmine perderanno le ali e
fonderanno, da regine, una nuova colonia.
Esistono migliaia di specie di formiche al mondo, nessun altro gruppo di insetti sociali possiede
altrettanta varietà di modalità di vita, possono essere infatti carnivore, onnivore, frugivore
e persino allevatrici di altri insetti. La loro estrema adattabilità si misura con la capacità di
colonizzare con successo quasi tutti gli ambienti e influenzare, più o meno indirettamente,
l’equilibrio degli ecosistemi (Sondrio - parco Mallero/Adda, 31 luglio 2011, foto Paolo Rossi).
“Vivono in media 3-4 anni e alcune
specie di Cicadidi raggiungono persino i
17 anni. Però passano la maggior parte
della loro esistenza nascoste nel terreno, a
pochi centimetri di profondità. Quando
divengono adulte, emergono in superficie grazie alle robuste zampe anteriori
scavatrici, le quali, avendo assolto ormai
la loro funzione, poco dopo si modificano mediante una muta che conferisce
alle cicale l’aspetto che conosciamo.
A questo punto volano su un albero
e si nutrono della sua linfa con quella
tipica bocca allungata adatta ad aspirare
i liquidi. L’inconfondibile canto è opera
dei maschi che possiedono un sofisticato
apparato stridulatore, un vero e proprio
strumento musicale naturale incorporato. Appositi organi detti timballi,
situati ventralmente all'inizio dell'addome, sono formati da piastre protettive,
gli opercoli, che proteggono delle cavità
al cui interno sono presenti sottili membrane e dei sacchi aerei. Poderosi muscoli
si collegano alla membrana e contraendosi producono vibrazioni da cui deriva
quel caratteristico suono metallico
che viene magistralmente amplificato
dall’addome rigonfio d’aria, come fosse
una cassa di risonanza”.
“Perché cantano tutta l’estate?”
domanda il bimbo.
“Non per divertimento, ma perché
devono farlo. La sopravvivenza della
specie sta tutta in quel canto ipnotico.
Hanno soltanto qualche settimana a
126
Le Montagne Divertenti CLICK
si
Testi e foto
Roberto Moiola
PARTE 1 • Pianificazione del viaggio
PARTE 2 • Consigli di fotografia in viaggio
disposizione per farsi notare dalle femmine e riprodursi. Poi il loro destino
è compiuto: nessuna cicala raggiunge
l'autunno per chiedere aiuto alla formica
operosa”.
“Non ci avrebbero comunque guadagnato alcunché… Le formiche non
hanno fama di esser generose, vero
nonno?”
“Con gli altri insetti no di certo, e
nemmeno con le formiche di specie
diverse, verso le quali anzi sono molto
aggressive. Ma all’interno della stessa
colonia possono considerarsi l’emblema
della cooperazione: tutte lavorano in
funzione del benessere della comunità,
ciascuna con un ruolo diverso, e con
totale dedizione obbediscono alla regina,
nonché loro madre, che risiede nella
parte più protetta del formicaio”.
“Collaborano perché sono tutte
sorelle?” “Proprio così Carletto. La
regina invia dei segnali chimici con i
quali tiene sotto controllo l’intero formicaio, è lei il centro nevralgico di tutto
il sistema, fautrice di un’organizzazione
tanto efficiente”.
Carletto ascolta affascinato, come
sono diversi gli insetti da noi! Ha imparato dalla favola che l’uomo può scegliere
se comportarsi da cicala o da formica,
ma in realtà in quello che fanno questi
insetti non può esserci nulla di sbagliato
poiché la Natura, con la sua straordinaria
fantasia, ha già plasmato per loro differenti modi perfetti per sopravvivere.
Autunno 2011
!
e
t
r
pa
PARTE 3 • Archiviazione e modifica delle foto
Sonia, Davide ed Eva in partenza per la Namibia (1 maggio 2004).
Continuiamo in questo numero la rubrica sulla
fotografia in viaggio. Dopo aver passato in rassegna i consigli utili su come organizzare al meglio
il proprio viaggio, entriamo ora nel vivo della
vacanza… partiamo!
Le Montagne Divertenti Fotografia in viaggio
127
Rubriche
L'arte della fotografia
Il posto sull'aereo • Già il posto che scegliamo sull’aereo
ha la sua importanza fotografica. Inutile dire che avrete la
vostra attrezzatura con voi (mai imbarcare il corredo fotografico in valigia, portatelo sempre nel bagaglio a mano)
e per questo potrebbe presentarsi il momento buono per
fare alcuni scatti dal finestrino. Scegliete un posto verso il
fondo dell’aereo; le zone anteriori e centrali trovano infatti
nelle ali del velivolo una spiacevole barriera. Con talune
compagnie aeree avete anche la possibilità di aggiudicarvi
il posto migliore tramite il check-in online che potrete fare
sul sito web della compagnia nelle 24 ore prima della partenza. Tenete montato uno zoom e provate qualche scatto
negli attimi precedenti l’atterraggio o in fase di decollo.
Potrete così immortalare un altro aereo di passaggio o la
privilegiata visuale della palla infuocata del sole che cala
all’orizzonte.
... o per ultimi! • Non sottovalutate l’idea di rimanere anche dopo il tramonto: il
crepuscolo e la notte regalano sempre grandi
emozioni, oltre che fotografie particolarmente originali.
A cavallo fra il tramonto e la notte mi
piace in particolare soffermarmi nei contesti
cittadini: le luci della città al crepuscolo e
l’ultimo chiarore blu nel cielo si mescolano a
formare una simbiosi affascinante. Ricordate
che il treppiedi è d’obbligo in queste condizioni di luce scarsa. Meglio portar con sé
un modello leggero e poco ingombrante, ma
allo stesso tempo il più possibile estensibile e
manovrabile.
La cattedrale di Potosì al crepuscolo, Bolivia (13 luglio 2009).
I profili nebbiosi della Cordillera delle Ande in Perù (26 maggio 2007).
La scelta dell'albergo • Una
volta atterrati si comincia a fare sul
serio, sempre che il fuso orario non
vi costringa ad una tappa forzata
in albergo. A proposito di alberghi
il mio consiglio è prenotare anche
in base alla posizione della struttura. Inoltre una stanza ai piani alti
potrebbe godere di una veduta privilegiata sul panorama, come per
questo albergo di Cusco, affacciato
sulla Plaza de Armas. Su siti web
come tripadvisor.com o booking.com
sarà possibile leggere le recensioni
dei turisti che, prima di voi, hanno
pernottato in questo o quell’albergo,
cosicché potrete selezionare le stanze
migliori e le zone più tranquille.
Fenicotteri in volo a Walvis Bay, Namibia (21 aprile 2004).
La Plaza de Armas a Cusco, Perù (6 giugno 2007).
Arrivare per primi... • Prediligete l’alba
e il tramonto, non solo per avere una luce
dorata nella vostra scena, ma anche per evitare che gente, automobili e pullman affollino le vostre foto. Il mattino avremo poi
meno vento e quindi un laghetto potrebbe
presentare una superficie perfettamente
specchiata. Anche la minaccia delle nuvole
sarà meno tangibile di primo mattino e,
dopo la formazioni dei classici cumuli nelle
ore centrali, tenderanno di nuovo ad affievolirsi verso il tramonto. Sfruttate gli orari
fotograficamente meno interessanti per una
siesta o per i necessari spostamenti: nei miei
viaggi tra i parchi americani ogni giorno
mi spostavo di 200-300 km e questo non
ha disturbato minimamente la mia vacanza,
poiché li ho sempre disposti nei momenti
fotograficamente meno utili della giornata.
La scelta dell'attrezzatura • Oltre
agli accessori è di importanza strategica
la scelta di un corredo di lenti utile al
vostro viaggio. Solitamente mi muovo
con due soli obiettivi, sia per motivi
di ingombro che per ragioni di peso.
Evitate lenti troppo specifiche come
“super-zoom” o “macro-obiettivi” se da
una prima impressione non vi saranno
i soggetti adatti per farne un abbondante utilizzo.
Tra gli accessori presenti nella vostra
borsa non fate mancare i seguenti: filtro polarizzatore e, se ne disponete,
filtro digradante, flash esterno se non
incorporato sulla vostra reflex, un
telecomando per scatto remoto o prolungato, un panno per tenere pulito il
vetro degli obiettivi.
Machu Picchu, la famosa cittadella Inca in Perù (5 giugno 2007).
128
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Fotografia in viaggio
129
Alpinismo
Rubriche
L'arte della fotografia
Colorati oggetti artigianali in un mercato del Chiapas, Messico (2006).
Dettagli e particolari • Bilanciare scatti di grandi paesaggi
con inquadrature più ravvicinate ed intime ci permetterà di
presentare un album più vario del nostro viaggio. Non tralasciamo quindi di cogliere tutti quei piccoli dettagli che
la natura ci offre e che spesso passano inosservati: essendo
un’arte, la fotografia va continuamente affinata mediante lo
studio e l’osservazione, così da raggiungere i massimi risultati.
E lo studio e l’osservazione, com’è ovvio, non vanno d’accordo con la fretta: prendetevi quindi il vostro tempo.
Molte inquadrature ravvicinate ed astratte sono spesso
celate nei mercati tipici, come l'immagine in alto, catturata in
un mercato del Chiapas, in Messico, resa equilibrata dal gioco
di trame, colori, linee, luci ed ombre. La frutta, le spezie, i
coloratissimi prodotti dell’artigianato locale sono solo alcuni
degli esempi da cui trarre le vostre immagini.
Riti e manifestazioni • Prima di partire informatevi anche sulle date delle principali manifestazioni folcloristiche della regione; sono occasioni
perfette, peraltro, per realizzare ottimi ritratti,
che in queste circostanze saranno per così dire
“autorizzati”. Qui accanto, ad esempio, vediamo
una donna che danza abbigliata con vesti tipiche,
in occasione delle celebrazioni del Corpus Christi a Cusco.
130
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Negli scatti più ampi ricordiamoci
che la composizione è essenziale per
avere scatti bilanciati ed armonici.
Se possibile cerchiamo di includere
un soggetto per raccontare meglio
quello scatto: una persona impegnata attivamente nel suo mestiere
può rendere al meglio la particolarità
del posto, come in questa foto, scattata nella valle Sagrado de los Incas
in Perù, dove vediamo un ragazzo al
lavoro nelle saline.
Per evitare elementi indesiderati nella foto provate a scattare
con aperture molto ampie (valore
del diaframma al minimo), concentrando la messa a fuoco solo
sul soggetto ed isolando quindi i
disturbi sullo sfondo. A volte è utile
realizzare lo stesso scatto con il buio
per non vedere tutti quegli oggetti
di troppo che sono impossibili da
evitare.
Moras, le saline nel Valle Sagrado de los Incas, Perù (3 giugno 2007).
Celebrazioni in piazza durante il Corpus Christi, Perù (7 giugno 2007).
La scelta delle impostazioni • Personalmente
prediligo scattare in modalità AV, con la quale ho
sempre sotto controllo la profondità di campo
delle mie fotografie. Lascio perciò alla macchina
il compito di decidere il tempo dello scatto,
tenendo eventualmente presente che tempi al di
sotto di 1/100s devono fungere da spia di allarme
per il rischio mosso (regola valida quando si usa
un grandangolo). Dobbiamo ovviamente velocizzare il tempo di scatto qualora ci trovassimo
a scattare con un teleobiettivo: una buona regola
da tenere a mente è di scattare con un tempo
che sia superiore alla focale utilizzata, quindi con
uno zoom “tirato” a 200mm cerchiamo di assestarci su un tempo di almeno 1/250s.
Impariamo poi ad analizzare l’importante istogramma della luminosità, intervenendo eventualmente a correggerne l’esposizione tramite
l’apposito tasto “+-EV”. Vedremo nel prossimo
numero come analizzare meglio il grafico stesso.
Per ottenere fotografie di massima qualità cercate sempre di scattare con un valore di ISO più
basso possibile e, ancor più importante, scattate
sempre in formato RAW: avere un “negativo”
digitale sarà indispensabile se la vostra foto non
è perfetta e necessita di post-elaborazione (capitolo anch’esso che tratteremo più approfonditamente nel prossimo numero della rivista). Essere
in possesso della sola versione in JPG è molto
limitante e penalizzante sotto molti punti di
vista.
Le Montagne Divertenti Fotografia
Fotografiain
inviaggio
viaggio
131
Alpinismo
E per finire, alcuni suggerimenti compositivi...
Sfruttare i cieli temporaleschi • Badlands NP, South Dakota (9 maggio 2005).
Trame e colori • Cappelli messicani,
Chiapas (16 marzo 2006).
Regola dei terzi e silhouette • Dingli Cliffs, Malta (10 ottobre 2004).
Fotografia panoramica • Lo skyline di Manhattan a New York (21 febbraio 2009).
Cercare i dettagli nascosti • Sabbia della Skeleton Coast, Namibia (23 aprile 2004).
132
Le Montagne Divertenti Tecnica HDR • Tramonto nel Salar de Atacama, Cile (8 luglio 2009).
Allungare il tempo di scatto • Cascatelle a
Yellowstone (10 maggio 2005).
Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Fotografia in viaggio
133
le
foto dei lettori
Rubriche
NEPAL
Dani e Igor sulla cima dell'Island Peack (m 6185) durante il loro viaggio di nozze.
Sullo sfondo il Lhotse (m 8516) (24 maggio 2011).
L'alba alla mia pozza preferita sul crap poco prima dei Rusgiài (è un biotopo pieno di ranocchie e probabilmente altre cose interessanti).
Sullo sfondo il Sasso Farinaccio e la val Grosina Occidentale (26 settembre 2010, foto Luca Carloni - www.nikonista.it/brata).
MANDA LE TUE FOTOGRAFIE
Due sezioni dedicate ai nostri lettori:
• una che premia il fotografo più bravo tra quelli che avranno pubblicato i loro scatti inerenti i monti
di Valtellina e Valchiavenna sul forum accessibile dall'indirizzo: www.clickalps.com/forum-montagna.
La foto vincitrice, verrà pubblicata con recensione dettagliata e scheda di presentazione del fotografo.
• una che mostra chi ha portato “Le Montagne Divertenti” a spasso per il mondo; le foto vanno inviate a
[email protected] e devono avere un soggetto umano, la rivista e uno scorcio del luogo.
Lo scatto migliore fra quelli giunti negli ultimi 3 mesi è quello di:
MILANO
IL FOTOGRAFO
LA FOTOGRAFIA (recensione di Roberto Moiola)
Giulia ed Elisa con Le Montagne Divertenti
all'università (31 maggio 2011).
Mi chiamo Luca Carloni, marchigiano (nato a
Camerino). Da più di vent’anni frequento intensamente la Valtellina, con amore crescente e un
po’ fanatico, sempre con una reflex al collo.
Mi sono avvicinato alla fotografia inizialmente
in maniera un po' distratta, ma la possibilità di
controllo dell'immagine data dal digitale mi ha
spinto a migliorare l’attrezzatura, la tecnica di
scatto e, purtroppo, ad accrescere il peso che mi
trascino per le gande (attualmente sono quasi 9
chili). La fotografia mi ha consentito di potenziare la capacità di contemplazione puramente
sensoriale della dinamica naturale. La ricerca e
l’attesa delle migliori condizioni di scatto acuisce vista, udito e tatto, permettendo di stabilire
una relazione più autentica con la natura, non
mediata dalle categorie intellettuali ed estetiche
che invece determinano l’immagine finale.
In questo numero abbiamo scelto uno scatto autunnale di
Luca, che da mesi pubblica sul forum di Clickalps.com le
fotografie realizzate durante le sue escursioni (il suo curioso
nickname è "Murmeltier").
L'immagine ci proietta in un'atmosfera quasi surreale
con i colori che si fondono in maniera armonica fra di loro.
Il primo soggetto che ci attrae sono i ciuffi d'erba ormai
ingialliti dalle prime gelate di ottobre, illuminati in maniera
radente dagli ultimi raggi del sole, che proprio all'orizzonte
sta dando il meglio di sè con alcune nuvolette in dissolvimento. La superfice della pozza, col suo tappeto blu ormai
destinato a gelare, crea un equilibrio perfetto nella composizione della scena.
Con questa foto Luca dimostra che non è necessario andare
distante per catturare momenti unici, spesso le emozioni più
forti sono celate nella Natura intorno a noi, così "Murmeltier" non disdegna ritornare spesso a fotografare i numerosi
laghetti della val Grosina (chissà se i locali gli daranno la cittadinanza onoraria...).
KENYA
134
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
NORVEGIA
Claudio Beretta a Bergen durante una crociera ai fiordi
norvegesi (14 luglio 2011).
Maurizio, Elisabetta e Raffaella a Loiyangalani sul lago Turcana (01/10/10).
Le Montagne Divertenti ARGENTARIO
Luca e Simone Micheletti e Quinto Seravalle
sul monte Argentario (1 luglio 2011).
Le foto dei lettori
135
le
foto dei lettori
Rubriche
SWISS BORDER
John Harlin III, forte alpinista e noto scrittore americano, è stato accompagnato da Beno e da Le Montagne Divertenti
attraverso le cime del Bernina e del Màsino durante il suo percorrimento integrale del confine svizzero. L'ultima tappa di
questa lunghissima cavalcata (oltre 2000 km) tra creste, fiumi e laghi, ha tenuto Harlin impegnato per 3 mesi
(www.swissinfo.ch/harlin). Trovate il racconto delle giornate con Beno nella newsletter di settembre de Le Montagne
Divertenti. In foto Beno e John in vetta al piz Varuna (m 3453) nel primo dei 4 giorni assieme (28 luglio 2011).
GIORDANIA
Danila Rabbiosi e Francesco Vaninetti davanti al
Tesoro del Faraone di Petra (26 settembre 2010).
CAPRI
Elisabetta, Bruna e Graziella davanti ai faraglioni di Capri
lungo la costiera Amalfitana (6 maggio 2011).
GRUPPO PODISTICO TALAMONA
Il Gruppo Podistico Talamona a Tezze sul Brenta per i campionati italiani di corsa campestre
(1-3 aprile 2011, foto Sergio Vola).
CAI SEZIONE BERBENNO
Il Gruppo CAI di Berbenno in gita lungo la costiera Amalfitana (2 maggio 2011).
BIBIONE
Samuele, Ilaria e Mark al Villaggio Internazionale di
Bibione (2 luglio 2011).
136
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori
137
le
foto dei lettori
Rubriche
CHIOGGIA
Aletschgletscher
VALMALENCO
Il gruppo Montagna Insieme di Milano in vetta all'Eggishorn (3 luglio 2011).
Carmela e Aldo al lago d'Arcoglio
(3 luglio 2011).
MONTE BIANCO
VALMALENCO
Gruppo trekking 3 province con la loro guida lungo la traversata della
Vallée Blanche (Claudio Pozzi,Claudia Fumagalli, Umberto Monti,
Monica Cucchi, Marco Dell'Oro e Marco Bianchi, 26 giugno 2011).
Luca Gaggi e Luca Mostacchi alla
bocchetta di Caspoggio, m 2983
(4 agosto 2011).
Alessia e Mattia a Chioggia (28 giugno 2011).
VESUVIO
Anna e Matteo leggono Le Montagne Divertenti
ai bordi del cratere del vulcano (2 luglio 2011).
CORSICA
Miryam, Giacomo, Michela, Luca, Davide, Alessandro, Ivana, Stefano, Simone, Francesco, Anna, Renata, Marco,
Alice e Marta con Le Montagne Divertenti alle Isole di Lavezzi (29 giugno 2011).
KOREA DEL SUD
CHIAREGGIO
I lupi di Giancarlo Lenatti (Bianco) a Chiareggio (24 luglio 2011).
138
Le Montagne Divertenti Paolo Bongiovanni di Mandello all'aeroporto
di Seoul dopo una permanenza di due
settimane a Daegu (14 marzo 2011).
Autunno 2011
TOSCANA
Stefano, Greta, Giulia e Gabriele Gusmeroli in Toscana
(9 luglio2011).
Le Montagne Divertenti ISOLE EGADI
Gli amici del CAI di Sondrio (30 giugno 2011).
Le foto dei lettori
139
le
foto dei lettori
Rubriche
gran zebrù
Roberto Guerra e Roberto Fornera sul
Gran Zebrù (25 giugno 2011).
SNOWDOWN RACE
La spedizione valtellinese alla Snowdown Race, gara internazionale
di corsa in montagna in cui si sale e scende la più alta montagna del
Galles, lo Snowdown (m 1085).
In fotografia gli atleti sono in visita al castello di Caernarfon dove
Carlo nel 1969 fu incoronato Principe del Galles (24 luglio 2011).
OROBIE
Sara ai piedi del canalino che porta al
rifugio Benigni (31 luglio 2011).
VAL GEROLA
Bergamaschi, lecchesi e valtellinesi si incontrano al passo Salmurano (11 agosto 2011).
Russia
Eliana e Nemo Canetta con i forestali Russi che tengono
d'occhio le torri e migliaia di kmq della Riserva della Biosfera
delle Foreste Vergini dei Komi (agosto 2011).
140
Le Montagne Divertenti SVEZIA
Beppe e Laura a Stoccolma (21 giugno 2011).
Autunno 2011
AUSTRALIA
Da Sydney, Alessandro, Alfredo e Lupo, i tre gemelli di Valerio Corniani e Cassandra Lenatti (30 aprile 2011).
Le Montagne Divertenti Le foto dei lettori
141
Rubriche
Vincitori e
so
ma ch'el?
lu
vinti
zi
on
i
de
l
n.
17
L’utensile misterioso, fotografato da Antonio Boscacci
in località Pace a Montagna, è un filtro per l'acqua. Ivan
Andreoli ce l'ha descritto così:
"L'è el colét o collettore per pozzetti di captazione dell'acqua:
faceva da filtro per evitare che fogliame, erba o altri corpi
estranei entrassero nel tubo sporcando l'acqua."
L'oggetto tuttavia è quasi identico al filtro che veniva posto
sotto la tina o sotto il torchio per filtrare il vino ed evitare
che entrassero nella pompa, e quindi nella botte, gli acini
dell'uva. Abbiamo perciò considerato valide entrambe le
soluzioni.
TO DONATORIO.
NA E PASSAPAROLA.
I vincitori sono stati:
1- Ivan Andreoli di Teglio
2- Davide Proh di Mossini
3- Michele Battoraro di Ponte
4- Sonia Soverna di Castione
ngue salva molte vite: alimenta e diffondi il moto donatorio.
ma che scimma i-è?
i chi dona muove anche te.
za siamo noi: dona e passa parola!
La foto di Beno, scattata il 7 ottobre 2010 da quota 2500
nella valle del Ligoncio ritrae:
1) Pizzo Cengalo (m 3367);
2) Pizzo del Ferro Orientale (m 3200);
3) Monte Disgrazia (m 3678);
4) Corni Bruciati (m 3097 - m 3114).
AVIS SEZIONI COMUNALI DELLA PROVINCIA DI SONDRIO:
AVIS DI BORMIO 0342 902670
AVIS DI CASPOGGIO 0342 451954
AVIS DI CHIAVENNA 0343 67297
AVIS DI LANZADA 0342 452633
AVIS DI LIVIGNO 334 2886020
AVIS DI MORBEGNO 0342 610243
AVIS DI POGGIRIDENTI 0342 380292
AVIS DI SONDALO 0342 801098
AVIS DI SONDRIO 800593000
I concorrenti sono tutti caduti in errore sulla cima n. 2, il
pizzo del Ferro Orientale, ben riconoscibile dalle due fasce
nevose oblique parallele.
I vincitori:
1- Simone Nonini di Sorico
2- Giovanni Trezzi di Mariano Comense
1
2
3
4
s.it/toscana
142
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Giochi
143
Rubriche
Giochi
Che scimma i-è?
'N gh'èl?
2
1
3
4
Che cime sono le 4 indicate in fotografia? Trovate la foto a maggior grandezza
all'interno dell'articolo sullo spigolo gervasutti alla cima di valbona.
I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 25 settembre 2011 vinceranno la foto, nella versione a 270° (più lunga) stampata su tela (larghezza 100 cm - già con telaio e supporti) .
Il 3° classificato avrà fascetta e maglietta de “Le Montagne Divertenti”, il 4°
e il 5° un libro tra quelli disponibili sul sito www.lemontagnedivertenti.com.
Scrivi la tua risposta sul forum “Che scimma i-è?” accessibile da
www.lemontagnedivertenti.com/concorsi
ATTENZIONE: LE RISPOSTE DATE IN ANTICIPO VERRANNO RITENUTE NULLE
El ciusè fort e bel de tücc'
com'era la valle 60 anni fa? Allora dimmi:
che città è? cosa sono i 3 edifici cerchiati in rosso?
I 2 più veloci dalle ore 21:00 del 26 settembre 2011 vinceranno
calze+maglietta+pantaloncini de “Le Montagne Divertenti”, il 3° classificato
ricevera' fascetta e calze de "Le Montagne Divertenti", il 4° e il 5° un libro a
scelta tra quelli disponibili sul sito www.lemontagnedivertenti.com.
Scrivi la tua risposta sul forum “ 'N gh'èl? ” accessibile da
Sei fichissimo, allenatissimo e molto competitivo?
Le Montagne Divertenti mette in palio un buono acquisto di 200 euro al primo che
riuscirà a compiere 2 su 3 degli itinerari di alpinismo proposti in questo numero e tutti
e tre gli itinerari di escursionismo. Il buono sarà spendibile presso Maiuk a Chiesa in
Valmalenco e Sport Side a sondrio.
Per provare la tua impresa dovrai pubblicare per ogni itinerario che completi 2 tue foto con la
rivista. Queste andranno realizzate nei punti indicati nel regolamento esteso consultabile su
www.lemontagnedivertenti.com/concorsi nel forum "El ciusè fort e bel de tücc' ".
I forum per inviare foto e soluzioni sono facilmente accessibili anche da:
www.lemontagnedivertenti.com e www.clickalps.com.
144
Le Montagne Divertenti Ricordi
www.lemontagnedivertenti.com/concorsi
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Giochi
145
Rubriche
lE RICETTE
DELLA NONNA
I curnàt
la focaccia per la montagna
Adriana e Marino Amonini
V
A
limento da zaino, apprezzato soprattutto
quando la fame morde, i curnàt sono semplici, gustosi ed efficaci bocconi capaci di ricaricare le pile e addolcire la bocca.
Ricetta diffusa in alta Valtellina oramai ha contaminato una vasta cerchia di amici; i più sfacciati ce li "sbafano", quelli veri li apprezzano, ai
lettori di LMD non resta che scoprirli.
Ingredienti
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•
300 gr. farina bianca
7/8 cucchiai di zucchero
200 gr. panna intiepidita
1 presa di sale
1 presa di bicarbonato di sodio
1 spolverata di cannella
1 pugnetto di foglioline di daneda, erba iva,
o per dirla da sapientini Achillea erba-rotta.
Preparazione
Amalgamare i componenti e pastrugnarli fino ad
avere un salamotto omogeneo, quindi affettarlo in
13 pezzi (pare sia numero fortunato).
Con il mattarello sogliolarli fino ad uno spessore
di 4/6 mm.
Cuocerli su pioda ben calda bucherellandoli con
colpetti di forchetta.
In pochissimi secondi dorano, si capovolgono,
cuociono e spandono un profumino delizioso.
Lasciare raffreddare.
Se resistono agli immediati assalti si impacchettano in carta stagnola e si infilano nello zaino; il
peso è lieve, ma il successo è garantito.
146
Le Montagne Divertenti Autunno 2011
Alpinismo non è soltanto la soddisfazione dell'arrampicata,
del superamento delle difficoltà, ma è anche l'occasione,
la possibilità di gustare degli straordinari spettacoli della natura
in un ambiente unico e meraviglioso.
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Le Montagne Divertenti Duilio Strambini
Autunno 2011
Le Montagne Divertenti Ricette
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