venerdì 17 febbraio 2017

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venerdì 17 febbraio 2017
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L’OSSERVATORE ROMANO
POLITICO RELIGIOSO
GIORNALE QUOTIDIANO
Non praevalebunt
Unicuique suum
Anno CLVII n. 39 (47.473)
Città del Vaticano
venerdì 17 febbraio 2017
.
Dopo l’incontro alla Casa Bianca con il premier israeliano Benjamin Netanyahu
Ricordate dal Pontefice le vittime innocenti delle guerre
Trump cambia rotta
sulla soluzione dei due stati
È il traffico d’armi
ad alimentare i conflitti
WASHINGTON, 16. La soluzione dei
due stati non è più la strada maestra
alla pace in Vicino oriente. Gli Stati
Uniti ribadiscono la loro volontà di
arrivare quanto prima a un accordo
tra israeliani e palestinesi, ma le modalità sono ancora tutte da scrivere e
nessuna opzione può essere scartata,
come quella di un accordo regionale
che includa anche i paesi arabi, per
trovare un’intesa di ampio raggio in
grado di affrontare insieme i diversi
problemi che compromettono la stabilità dell’intera regione.
Questo il punto nodale dell’incontro, ieri alla Casa Bianca, tra il presidente statunitense, Donald Trump, e
il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Un incontro che — a detta
degli analisti — segna un netto cambio di rotta rispetto alle precedenti
amministrazioni. Finora mai nessun
presidente statunitense aveva messo
in discussione il principio dei due
stati per due popoli, cardine delle risoluzioni delle Nazioni Unite, ribadito più volte nelle tante conferenze
internazionali. «Io — ha detto
Trump — sono per due stati o uno
stato. Quello che preferiscono le
parti. Il mio obiettivo è la pace, e a
negoziarla devono essere israeliani e
palestinesi. Noi possiamo assisterli, e
poi sosterremo le loro decisioni». Il
presidente si è detto sicuro che «faremo un accordo». Quindi ha aggiunto che, in questa fase, sarebbe
auspicabile uno stop immediato agli
insediamenti ebraici in Cisgiordania
per favorire il negoziato. Trump ha
poi ripetuto che con il suo staff
«stiamo considerando con attenzio-
L’insediamento israeliano di Beitar Illit (Reuters)
ne il trasferimento dell’ambasciata
americana a Gerusalemme. Vedremo
cosa succede». Non è però sceso nei
dettagli.
Netanyahu ha ribadito le condizioni chiave della pace per Israele,
puntando il dito soprattutto sulla sicurezza. Il leader del Likud ha detto: «Non mi interessano le etichette,
ma la sostanza. E la sostanza è la
stessa che ripeto da sempre. Le nostre condizioni per la pace sono due:
primo, i palestinesi devono accettare
l’esistenza di Israele come stato
ebraico, smettendo di minacciarne la
distruzione e insegnarla ai loro
bambini; secondo, la sicurezza
dell’intera regione dovrà essere affidata a Israele, altrimenti creeremo
solo le condizioni per una nuova base terroristica».
Netanyahu ha spiegato che «questo momento rappresenta una grande occasione», perché a causa del
terrorismo di matrice jihadista «molti paesi arabi, per la prima volta nel
corso della mia vita, non considerano più Israele un nemico, ma come
un alleato».
Nel loro incontro alla Casa Bianca, Trump e Netanyahu hanno inoltre confermato la determinazione a
lavorare insieme contro il terrorismo,
e la piena convergenza sulla linea
verso l’Iran. Entrambi i leader considerano «l’accordo sul nucleare iraniano negoziato dal presidente Obama un errore», e il capo della Casa
Bianca ha ribadito che «non consentiremo mai a Teheran di avere l’arma
atomica». Netanyahu, dal canto suo,
ha elogiato la decisione di imporre
nuove sanzioni per il recente test
missilistico. Quindi ha chiesto di
prendere provvedimenti anche contro il movimento sciita libanese Hezbollah.
Pablo Picasso, «La colomba della pace» (1949)
«Oggi il mondo è in guerra. Tanti
innocenti muoiono, perché i grandi
e i potenti vogliono un pezzo più
di terra, vogliono un po’ più di potere o vogliono fare un po’ più di
guadagno col traffico delle armi»:
una nuova forte denuncia dei conflitti che insanguinano diverse regioni del pianeta è stata rilanciata
da Papa Francesco stamane, giovedì 16 febbraio. Durante la celebrazione della messa nella cappella di
Casa Santa Marta, il Pontefice ha
preso spunto dalle letture del giorno per ribadire come anche a chi
vive in un’apparente condizione di
A Damasco e ad Aleppo
Un progetto
per tre ospedali
GIAMPIETRO DAL TOSO
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NOSTRE
INFORMAZIONI
Il Pentagono studia l’opzione militare mentre si cerca di sbloccare lo stallo diplomatico
Truppe di terra in Siria
DAMASCO, 16. Il dipartimento alla
difesa degli Stati Uniti sta preparando un rapporto da presentare alla
Casa Bianca per chiedere il dispiegamento di forze convenzionali di terra
nel nord della Siria. L’obiettivo sarebbe quello di imprimere un’accelerazione nella lotta contro i jihadisti
del cosiddetto stato islamico (Is).
«È possibile che vediate forze convenzionali di terra in Siria per un
certo periodo» ha detto ieri un responsabile della difesa ad alcuni organi di stampa. Il responsabile ha
però sottolineato che la decisione ultima spetterà al presidente Donald
Trump. Questi ha ordinato al Pentagono di studiare un piano sulla Siria
da discutere entro la fine del mese.
Finora la Casa Bianca non ha mai
preso in considerazione l’ipotesi di
un intervento di terra in Siria.
L’iniziativa — se approvata — potrebbe modificare in modo significativo le operazioni militari americane
in Medio oriente: nel giro di poche
settimane lo scenario potrebbe sostanzialmente mutare.
Finora, soltanto piccoli gruppi
composti in particolare da forze
speciali hanno agito in Siria, garantendo addestramento e assistenza ai
gruppi dell’opposizione anti-Is pre-
L’Onu lancia il programma più ambizioso della sua storia
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In difesa dei diritti umani
NEW YORK, 16. L’Alto commissariato Onu per i diritti umani ha lanciato ieri un appello ai paesi membri per ottenere 253 milioni di dollari di fondi addizionali. Si tratta del
«programma di aiuti più ambizioso» della storia delle Nazioni Unite
e servirà a sostenere l’impegno nella
lotta «per i diritti umani in un mondo entrato in un periodo di profonda incertezza».
Il programma è stato annunciato
ieri dall’Alto commissario Onu per i
diritti umani, Zeid Raad Al Hussein, il quale ha sottolineato che in
numerosi paesi «le regole stabilite
sono sotto attacco, la xenofobia e
gli appelli alla discriminazione razziale e religiosa sono entrati nel discorso dominante e giorno dopo
giorno guadagnano terreno». L’Alto
commissario ha evocato «il fallimento delle azioni per prevenire e risolvere conflitti e guerre, e il dramma
di milioni di persone costrette a
fuggire dalle loro case».
Questo contesto preoccupante è
motivo di allarme, ma anche di
slancio. L’Alto commissariato Onu
per i diritti umani è presente sul terreno con una sessantina di uffici e
collabora con altre organizzazioni
internazionali e locali in tutto il
mondo per assicurare «che i principi dei diritti umani abbiano un impatto reale sulla vita delle popolazioni». Ma è anche «drammaticamente e cronicamente sottofinanziato» ha denunciato Al Hussein. «Abbiamo bisogno di ampliare la nostra
base di supporto finanziario per includere più stati membri e incoraggiare la partecipazione di una gamma più ampia di donatori privati».
L’obiettivo del nuovo programma è
organizzare gruppi di lavoro su temi
specifici come la tortura o gli aiuti
in zone di guerra difficili da raggiungere.
senti sul terreno. I reparti convenzionali — fanno sapere gli esperti —
agiscono con numeri più larghi e richiederebbero un dispositivo di sicurezza più consistente, sia di terra sia
aereo.
Intanto, sul piano diplomatico,
oggi a Bonn, in occasione del G20 si
terranno diversi importanti bilaterali.
Il più atteso è quello tra il segretario
di stato americano, Rex Tillerson, e
pace «il Signore domanderà conto
del sangue dei nostri fratelli e sorelle che soffrono la guerra».
Ecco allora l’invito a chiedersi:
«Cosa faccio perché non sia versato più sangue nel mondo?» visto
che — ha spiegato — «tutti siamo
coinvolti». E in proposito ha sottolineato che «la preghiera per la pace non è una formalità» così come
non lo è «il lavoro per la pace»
che va fatto «tutti i giorni» per custodirla. Del resto, ha avvertito, «la
guerra
incomincia
nel
cuore
dell’uomo, a casa, nelle famiglie,
fra amici, e poi va oltre». Lo testimoniano «le notizie sui giornali o
sui telegiornali» che mostrano al
mondo come «quel seme di guerra
che fa l’invidia, la gelosia, la cupidigia, è lo stesso — cresciuto, fatto
albero — della bomba che cade su
un ospedale, su una scuola e uccide i bambini».
il ministro degli esteri russo, Serghiei
Lavrov.
Ieri sulla crisi siriana è intervenuto
l’inviato speciale dell’Onu, Staffan
de Mistura, in visita a Roma.
«L’ipotesi di una spartizione, di una
divisione in zone di influenza della
Siria è la peggiore ipotesi possibile»
ha detto il diplomatico. «Perché sappiamo che questo può produrre una
continuazione per anni e anni di una
forma di guerriglia e instabilità. Da
parte dell’Onu non c’è alcuna intenzione di favorire una spartizione».
De Mistura ha parlato in conferenza
stampa alla Farnesina, aggiungendo
che «questo non vuol dire che non
possa esserci nella futura costituzione una decentralizzazione amministrativa».
Un nuovo round di negoziati sulla
Siria è in programma il 23 febbraio a
Ginevra. Saranno presenti — almeno
nelle intenzioni degli organizzatori —
le delegazioni del governo siriano e
dell’opposizione; sarà il primo organizzato dall’Onu dopo dieci mesi di
stallo. Nella capitale kazaka di Astana proseguono invece trattative trilaterali sul rafforzamento della tregua
in corso (nelle zone dove non sono
presenti gruppi jihadisti) sponsorizzata nelle scorse settimane da Russia,
Iran e Turchia.
A colloquio con il rettore di Roma Tre
Immersi
nella città
NICOLA GORI
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Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza gli
Eminentissimi Cardinali:
— Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il
Clero;
— Lluís Martínez Sistach,
Arcivescovo emerito di Barcelona (Spagna);
— Antonio Maria Vegliò,
Presidente emerito del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti.
Il Santo Padre ha ricevuto
questa mattina in udienza il
Professor Carl A. Anderson,
Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo.
Il Santo Padre ha accettato
la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di San
Juan Bautista de las Misiones (Paraguay), presentata da
Sua Eccellenza Monsignor
Mario Melanio Medina Salinas.
Provvista di Chiesa
Il Santo Padre ha nominato Vescovo di San Juan Bautista de las Misiones (Paraguay) Sua Eccellenza Monsignor Pedro Collar Noguera,
trasferendolo dalla sede titolare di Tamugadi e dall’incarico di Ausiliare di Ciudad
del Este.
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La sede del vertice del G20
a Bonn (Ap)
Per Guterres serve una risposta europea alla crisi
Nuova ondata di migranti
verso le coste italiane
BRUXELLES, 16. Rafforzare la politica
dei rimpatri dei migranti economici
dall’Italia: è il piano di lavoro su cui
Frontex si è impegnato con l’Italia
in vista di un nuovo, massiccio flusso di sbarchi che si prevede in arrivo
dalla Libia nei prossimi mesi.
Secondo il direttore esecutivo
dell’Agenzia europea, Fabrice Leggeri, è infatti «realistico dire che sulla
rotta del Mediterraneo centrale, nel
2017, occorre prepararsi ad affrontare
lo stesso numero di arrivi di migranti del 2016», circa 180.000 (più 17
per cento rispetto al 2015). La collaborazione con le autorità libiche per
l’addestramento della guardia costiera, così come i compact per la cooperazione con i paesi africani sono
«un investimento importante, che
darà i suoi frutti nel medio e lungo
termine», ha spiegato Leggeri, ma
«nel breve periodo» si punta a serrare le maglie dei controlli, per mettere assieme identificazioni ben documentate in modo da ottenere lasciapassare e fogli di viaggio dai consolati dei paesi terzi, per le riammissioni. Per questo serviranno nuovi hotspot e team mobili di esperti da impiegare per condurre accertamenti
molto approfonditi.
Secondo il direttore di Frontex,
«una larga parte dei migranti in attesa di mettersi in viaggio dalla Libia, arrivano dall’Africa occidentale,
ed almeno il 60 per cento di questi
si stima siano migranti economici».
Per poter condurre i rimpatri servirà anche un’accelerazione delle decisioni a livello nazionale. Nel 2016,
i Paesi dell’Ue (direttamente responsabili per i rimpatri) hanno emesso
305.365 provvedimenti (più 6,5 rispetto al 2015), ma di questi solo
176.223 sono stati eseguiti, per una
media di meno di 15.000 al mese.
In particolare, Grecia e Italia hanno fatto registrare un numero di esecuzioni in calo del 10 per cento sul
2015, mentre la Germania ha incrementato del 24 per cento e la Svezia
del 55. Leggeri ha messo però in
guardia anche rispetto a un «triste
paradosso» che si è evidenziato nel
2016: «Nonostante l’alto numero di
operazioni sulla rotta del Mediterraneo centrale, con la più alta concentrazione di uomini e mezzi mai vista,
si è registrato il picco storico di morti, con oltre 4500 vittime stimate».
E per affrontare al meglio l’emergenza migranti, «c’è bisogno di una
risposta europea, perché nessuno
può farcela da solo». Lo ha detto ieri il segretario generale dell’O nu,
António Guterres.
Intervistato da alcuni giornali europei, l’ex primo ministro portoghese — che è stato a lungo alla guida
dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni
Unite per i rifugiati — ha osservato
che l’arrivo in Europa nel 2016 di un
milione di persone, ovvero il 2 per
cento della popolazione del continente, non doveva gettare nel caos
l’Unione e poteva essere facilmente
gestito «se ci fosse stato un investimento importante nelle aree di accoglienza» (alloggi, amministrazione,
controlli e poi redistribuzione nei
vari Paesi europei).
Uno dei barconi colmi di migranti soccorsi al largo della Libia (Ap)
Non si fermano i disordini
protesta — non autorizzata, alla
quale, secondo la prefettura, partecipavano almeno 400 persone — è
degenerata con un fitto lancio di
oggetti contro le forze dell’ordine,
che hanno replicato con cariche e
gas lacrimogeni. Incendiati anche
alcuni cassonetti della spazzatura
da parte di casseurs incappucciati.
Durante il corteo sono stati scanditi
slogan ostili contro la polizia. La
stazione della metropolitana di Barbès è stata chiusa e alcuni negozianti hanno abbassato le saracinesche. Scontri e vetrine infrante anche a Rouen, nel nord del paese.
A meno di tre mesi dalle presidenziali, il presidente dell’Assemblèe Nationale, Claude Bartolone,
ha chiesto un rapporto indipendente sulle pratiche legate al mantenimento dell’ordine pubblico.
Tripoli chiede
il sostegno
dell’alleanza
atlantica
TRIPOLI, 16. La Nato ha ricevuto dal
premier del governo di accordo nazionale libico, Al Sarraj, la richiesta
formale di aiuto per la formazione
delle istituzioni di difesa e sicurezza.
Lo ha annunciato oggi il segretario
generale dell’alleanza, Jens Stoltenberg. La disponibilità a sostenere le
richieste di Al Sarraj era stata decisa
al vertice di Varsavia della settimana
scorsa. «Ieri sera — ha detto Stoltenberg in una conferenza stampa — ho
ricevuto la richiesta formale da parte
del premier libico per la consulenza
e la competenza della Nato nella costruzione delle istituzioni per la sicurezza e la difesa». Già al vertice di
Varsavia, ha ricordato, «gli alleati
hanno concordato di fornire sostegno alla Libia se richiesto dal governo di accordo nazionale. Ora la richiesta è arrivata e il Consiglio
atlantico discuterà su come portarla
avanti al più presto».
Intanto, fonti del governo egiziano hanno fatto sapere ieri che, malgrado il mancato incontro alcuni
giorni fa tra l’uomo forte di Tobruk
generale Haftar e il premier libico Al
Sarraj, i due leader hanno trovato
un’intesa per formare «una commissione congiunta» che modifichi l’accordo politico (firmato sotto l’egida
delle Nazioni Unite il 15 dicembre
2015 a Skhirat, in Marocco) per porre fine all’instabilità. La notizia non
ha ricevuto conferme ufficiali.
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Una fase degli scontri tra polizia e manifestanti nel centro di Parigi (Afp)
Il Gambia resterà
nella Cpi
BANJUL, 16. Il Gambia resterà
all’interno della Corte penale internazionale (Cpi), l’organismo
con sede all’Aja che persegue i crimini di guerra e il genocidio. Il
cambio di direzione è stato deciso
dal nuovo presidente, Adama Barrow, rispetto al ritiro proposto dal
suo predecessore, Yaya Jammeh,
che aveva accusato la Cpi di persecuzione nei confronti dei leader
dei paesi africani.
«Il governo del Gambia ha informato l’Onu — si legge in una
nota emessa a Banjul — della deci-
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BERLINO, 16. Si apre oggi a Bonn
la riunione informale dei ministri
degli esteri del G20. La ministeriale, alla quale partecipa l’alto rappresentante dell’Unione europea
per gli affari esteri e la politica di
sicurezza, Federica Mogherini, si
concentrerà sul ruolo della politica
estera nella trattazione delle sfide
globali. Sarà presieduta dal ministro degli esteri tedesco, Sigmar
Gabriel (che ha preso il posto di
BRUXELLES,
16.
L’Alleanza
atlantica «rimane un fondamento essenziale per gli Stati Uniti
e per tutta la comunità transatlantica», ma «è una richiesta
giusta che tutti coloro che beneficiano della migliore difesa del
mondo si accollino una quota
proporzionata dei costi necessari
a difendere la libertà».
Lo ha detto ieri il segretario
alla difesa statunitense, James
Mattis, in un messaggio inviato
da Washington agli alleati europei, riuniti a Bruxelles per la
ministeriale della difesa della
Nato. «È ora di mettere mano
al portafogli e di contribuire di
più alle spese che servono a difendere l’Europa», ha precisato
Mattis. Una richiesta definita
«giusta» dal segretario generale
della Nato, il norvegese Jens
Stoltenberg.
Durante
il
dibattito,
Stoltenberg ha detto che diversi
alleati — tra cui Lituania e Lettonia — hanno fatto sapere che
raggiungeranno l’obiettivo di
portare le spese per la difesa al
2 per cento del prodotto interno
lordo. E molto presto, ha aggiunto, farà lo stesso anche la
Romania. Riguardo alla sicurezza, la Nato dispiegherà dei droni di sorveglianza in Sicilia, per
controllare quello che succede
sul terreno. «Li utilizzeremo in
diversi posti, ma avranno la loro
base in Sicilia», ha precisato
Stoltenberg.
Diga etiopica minaccia
mezzo milione di persone
sione di interrompere il processo
di ritiro dalla Cpi iniziato nel novembre 2016. Il Gambia ha informato
il
segretario
generale
dell’Onu, António Guterres, che
intende continuare a rispettare gli
obblighi assunti con l’adesione e
gli impegni sul fronte del rispetto
dei diritti umani, la buona governance e il rispetto dello stato di
diritto». Il Gambia aveva seguito
la decisione del ritiro dalla Cpi già
adottata dal Burundi e dal Sud
Africa.
Servizio vaticano: [email protected]
Vertice
del G20
La Nato
riunita
a Bruxelles
Tensione a Parigi
PARIGI, 16. Lancio di oggetti, gas
lacrimogeni e violenti scontri tra dimostranti e polizia hanno contraddistinto la manifestazione di ieri a
Parigi per Theo, il ragazzo brutalizzato da una pattuglia di quattro
agenti di polizia all’inizio febbraio
in una banlieue. All’incrocio tra
Boulevard Barbès e Boulevard de
Rochechouart, alle pendici di
Montmartre, la manifestazione di
Attesa per l’incontro tra Tillerson e Lavrov
ADDIS ABEBA, 16. La diga etiopica
Gilgel Gibe III ha drasticamente ridotto il flusso d’acqua verso il lago
Turkana e minaccia la sopravvivenza delle popolazioni che vivono
nell’area, almeno mezzo milione di
persone. Ad affermarlo è Human
Rights Watch in un rapporto, che
conferma le preoccupazioni avanzate dalle organizzazioni per i diritti civili già nel 2015, ancora prima dell’inaugurazione della diga
(la terza più grande dell’Africa),
avvenuta un anno dopo. Il lago
Turkana, il più grande del mondo
Segreteria di redazione
telefono 06 698 83461, 06 698 84442
fax 06 698 83675
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Tipografia Vaticana
Editrice L’Osservatore Romano
don Sergio Pellini S.D.B.
direttore generale
in un luogo desertico, è sprofondato di un metro e mezzo rispetto ai
precedenti livelli del 2015, quando
l’acqua, sottratta al fiume, cominciò a riempire l’invaso della diga.
La fascia costiera si è allargata di
due chilometri, privando la pesca
locale di buona parte delle risorse.
Inoltre, denunciò a suo tempo l’organizzazione umanitaria Survival,
la diga ha messo fine alle esondazioni naturali del fiume Omo, da
cui
dipendono
direttamente
100.000 indigeni e altri 100.000 indirettamente.
Tariffe di abbonamento
Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198
Europa: € 410; $ 605
Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665
America Nord, Oceania: € 500; $ 740
Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30):
telefono 06 698 99480, 06 698 99483
fax 06 69885164, 06 698 82818,
[email protected] [email protected]
Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675
Frank-Walter Steinmeier, appena
eletto presidente della Germania),
e vedrà la partecipazione, tra gli altri,
del
segretario
generale
dell’Onu, António Guterres, del segretario di Stato americano, Rex
Tillerson, e del ministro degli esteri
italiano, Angelino Alfano.
I lavori al World Conference
Center di Bonn si articoleranno in
tre sessioni, dedicate all’attuazione
dell’agenda 2030 per lo sviluppo
sostenibile, alla prevenzione dei
conflitti, con particolare riferimento
al ruolo delle donne, e alla stabilizzazione e sviluppo dell’Africa.
Si parlerà anche di cambiamento
climatico, commercio e regolamento dei mercati finanziari. La riunione tedesca, indicano gli analisti politici, sarà l’occasione per un colloquio tra il nuovo capo della diplomazia statunitense e il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov,
primo incontro ufficiale di un
esponente
dell’amministrazione
Trump — nella bufera a Washington dopo le dimissioni del consigliere per la sicurezza nazionale,
Mike Flynn, per i contatti avuti
con Mosca prima dell’insediamento
— con un rappresentante del governo russo. Una bilaterale molto attesa, anche alla luce del recente
contrasto sull’Ucraina.
Domani, a Monaco di Baviera, è
invece in programma l’annuale
conferenza sulla sicurezza, che sarà
aperta dall’intervento del cancelliere tedesco, Angela Merkel.
Emissioni nocive
all’esame
dell’europarlamento
BRUXELLES, 16. Il Parlamento europeo ha chiesto una riduzione delle
quote di emissione di gas a effetto
serra disponibili sul mercato del
carbonio Ets (Emission trading
scheme), con l’obiettivo di allineare
la politica climatica dell’Ue ai target fissati dall’accordo della conferenza di Parigi. Le nuove misure
dovrebbero aumentare il prezzo degli Ets, incoraggiando l’industria a
investire di più su rinnovabili e efficienza energetica.
L’europarlamento ha dato il suo
sostegno alla proposta della commissione di ridurre del 2,2 per cento ogni anno il numero di «crediti
di carbonio» (quote di emissione)
da mettere all’asta, per poi portarlo
al 2,4 per cento a partire dal 2024.
L’attuale regime, indicano gli
analisti, si è dimostrato poco efficace, con un crollo del valore degli
Ets causato dalla crisi economica e
dal numero in eccesso delle quote
di emissione. L’europarlamento,
inoltre, vuole raddoppiare la capacità della riserva stabilizzatrice del
mercato per il 2019 di assorbire
l’eccesso di quote sul mercato.
Questo consentirebbe di assorbire
fino al 24 per cento di crediti in eccesso venduti all’asta ogni anno,
per i primi quattro anni.
Concessionaria di pubblicità
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Contro la politica dell’immigrazione definita dalla Casa Bianca
Fronte comune
dei paesi centramericani
Revocate
dal Congresso
le misure restrittive
sulle armi
WASHINGTON, 16. Svolta sul mercato delle armi. Il Congresso degli
Stati Uniti, a netta maggioranza
repubblicana, con un voto bipartisan ha revocato una norma voluta
dall’ex presidente Barack Obama
che rendeva più stringenti i controlli sull’acquisto di armi da parte
di persone con problemi mentali.
Il divieto, seppure in modo meno stringente, era in vigore già in
passato e prevedeva che chiunque
fosse stato dichiarato «malato
mentale» da un giudice o da
un’autorità federale non potesse
più ottenere un’arma. Tuttavia, il
mancato aggiornamento del sistema di verifica dei precedenti penali e di salute (National Istant
Criminal Backgroun Check) è
sempre stato un ostacolo di fatto
all’applicazione rigorosa della norma. Un caso eclatante in questo
senso risale al 2012, quando il
ventenne Adam Lamza, malato di
mente, massacrò venti bambini e
sei adulti, inclusa la madre, nella
scuola elementare Sandy Hook in
Connecticut. Lamza possedeva legalmente un fucile d’assalto Ar-15
Bushmaster.
Sull’onda dell’emozione del caso, l’allora presidente Obama ordinò alla Social Security Administration di aggiornare il sistema
informatico, procedimento che
venne portato a termine tre anni
dopo la strage, nel dicembre del
2015. La norma fu molto discussa
anche a causa della resistenza da
parte della potente e trasversale
lobby delle armi.
La norma voluta da Obama è
stata tra le poche riforme che hanno in parte inciso sul II emendamento della Costituzione, varato
nel 1791, che sancisce il diritto dei
privati cittadini a girare armati per
garantire la propria sicurezza e
che è ritenuto da molti ambienti
un caposaldo essenziale della liberta nel paese. Ora il senato con
una netta maggioranza di 57 senatori (ai 52 repubblicani si sono aggiunti anche 5 democratici) ha
abolito la misura. Sulla stessa linea il voto precedente alla camera
dei rappresentanti. C’è quindi il
rischio che anche persone con manifesti problemi mentali tornino
ora ad acquistare e possedere legalmente un’arma.
CITTÀ DEL MESSICO, 16. Messico,
Guatemala, Honduras ed El Salvador faranno fronte comune per affrontare la minaccia di rimpatri di
massa dagli Stati Uniti dei cittadini
dei rispettivi paesi. A rendere noto
l’accordo sono stati i governi delle
nazioni coinvolte nell’intesa. I ministri degli esteri dei quattro esecutivi
hanno annunciato che intendono
«scambiare informazioni» su quanto
sta succedendo a seguito delle politiche sull’immigrazione del presidente
degli Stati Uniti Donald Trump. Lo
scopo dell’accordo, è stato precisato,
è quello di proteggere i diritti dei
propri cittadini negli Stati Uniti.
Per ora, l’accordo non prevede
azioni congiunte in altri ambiti al di
fuori dello scambio delle informazioni. Ma potrebbero configurarsi collaborazioni in altre aree, come quella giuridica.
La situazione rimane tesa e anche
per questo il segretario di Stato
americano, Rex Tillerson, e il segretario per la Sicurezza interna, John
Kelly, hanno fissato per la prossima
settimana una visita in Messico. Si
scorsi. Il ruolo, attualmente ricoperto ad interim dal generale in pensione Keith Kellogg, capo dello staff
del Consiglio di sicurezza nazionale
della Casa Bianca, sarebbe stato offerto al viceammiraglio in pensione
Robert Harward. Con esperienza di
combattimento come Navy Seal,
Harward era stato immediatamente
indicato tra i possibili successori di
Flynn. È stato vicecomandante del
comando centrale sotto la guida
dall’attuale capo del Pentagono, James Mattis, ha servito nel consiglio
per la sicurezza nazionale durante la
presidenza di George W. Bush e
presso il Centro nazionale contro il
terrorismo. «Il presidente sta attualmente valutando un gruppo di candidati molto forti che saranno presi
in considerazione per ricoprire l’incarico di consigliere per la sicurezza
nazionale in modo permanente,
mentre confida nell’abilità del generale Kellogg finché non sarà scelta la
persona definitiva», ha dichiarato da
parte sua il portavoce della Casa
Bianca, Sean Spicer.
Il presidente messicano Enrique Peña Nieto (Reuters)
In difesa del patrimonio minerario dell’Amazzonia
Dopo un’inchiesta scomoda
Proteste
degli indigeni ecuadoriani
Maduro oscura la Cnn
QUITO, 16. La concessione dei diritti di sfruttamento di una miniera a
una società cinese ha suscitato la
protesta delle popolazioni indigene
a Santiago de Panantza, nella regione amazzonica dell’Ecuador. Gli
abitanti, in maggioranza dell’etnia
shuar, stanno manifestando da tempo contro l’attività mineraria e altri
progetti previsti in quei territori
contestando una politica economica
fondata sullo sviluppo delle imprese minerarie e petrolifere in gran
parte straniere. Nei mesi scorsi si
sono registrati scontri con le forze
dell’ordine che hanno provocato
vittime.
Da parte sua il governo per rilanciare l’economia punta proprio sullo sfruttamento di un sottosuolo
ricco di oro, argento e rame. Finora
l’Ecuador, il più piccolo dei membri dell’Organizzazione dei paesi
esportatori di petrolio (Opec), ha
sempre preferito concentrarsi sulle
risorse petrolifere, trascurando l’attività mineraria. Adesso il governo
sta cambiando atteggiamento anche
perché la prolungata fase di discesa
dei prezzi del greggio ha fatto sprofondare l’Ecuador nella recessione.
Manifestazione di indigeni ecuadoriani
Attentato suicida
provoca vittime a Baghdad
BAGHDAD, 16. È di almeno dieci
morti e 35 feriti il bilancio di un attentato suicida ad al Habbibiya, una
zona di Baghdad compresa nel vasto
sobborgo nord-orientale di Sadr City, roccaforte degli sciiti oltranzisti.
Lo hanno riferito fonti del ministero
dell’interno, precisando che il kamikaze si è mescolato ai clienti in una
rivendita di veicoli usati e poi ha fatto detonare la cintura esplosiva che
indossava.
La strage ha fatto seguito alle crescenti manifestazioni di piazza inscenate per reclamare riforme elettorali.
Le proteste sono organizzate da sostenitori dell’imam radicale sciita
Moqtada al Sadr e sono degenerate
sabato scorso in violenti scontri con
le forze di sicurezza durante i quali
sono morte sette persone.
La notizia dell’attentato arriva
mentre il cosiddetto stato islamico
(Is) ha reso noto di avere utilizzato
bambini yazidi rapiti come attentato-
tratta di una missione delicata dopo
l’annuncio del presidente Trump che
intende costruire un muro alla frontiera tra Stati Uniti e Messico per
arginare il flusso di immigrazione e
traffici illegali e dopo la cancellazione della visita a Washington del capo di stato messicano Enrique Peña
Nieto.
Intanto a nemmeno un mese dal
suo insediamento, l’amministrazione
statunitense ha perso il segretario al
Lavoro che aveva designato. Andrew
Puzder, imprenditore nel settore della ristorazione, si è ritirato dall’iter
per la conferma della nomina per la
mancanza della maggioranza necessaria in Senato. Le critiche a Puzder
erano cominciate subito dopo la designazione da parte di Trump, in
particolare per discrepanze emerse
in materia fiscale e in reazione a dichiarazioni dell’imprenditore a capo
di catene di fast food, giudicate da
alcuni denigratorie nei confronti dei
dipendenti e sessiste.
Trump deve inoltre sostituire Michael Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale dimessosi nei giorni
ri suicidi contro le truppe irachene
che hanno riconquistato la parte est
di Mosul. In un video diffuso dall’Is
vengono mostrati ragazzi dall’apparente età di 12-14 anni mentre vengono addestrati in un campo militare.
Si tratterebbe di giovanissimi fatti
prigionieri a Sinjar, città abitata dagli
yazidi nel nord dell’Iraq, occupata
nell’estate 2014 dall’Is e riconquistata
dalle forze curde nel novembre 2015.
Nello stesso video vengono mostrate
le immagini di due attentati suicidi a
Mosul est e si afferma che gli attacchi sono stati compiuti da due di
questi ragazzi.
Intanto l’ufficio delle Nazioni
Unite a Baghdad ha annunciato la
sospensione della distribuzione degli
aiuti umanitari nella parte orientale
di Mosul a causa dei bombardamenti
a cui questi quartieri sono sottoposti
da forze dell’Is che cercano di rientrare in città.
CARACAS, 16. Il Venezuela ha oscurato su tutto il territorio le trasmissioni dell’emittente televisiva Cnn in
lingua spagnola. Lo ha annunciato
la Commissione nazionale sulle telecomunicazioni. La decisione è stata
assunta dopo che diversi esponenti
del governo chávista avevano protestato a seguito di una inchiesta
mandata in onda dall’emittente televisiva statunitense nella quale si sosteneva che l’ambasciata di Caracas
in Iraq avrebbe venduto a caro
prezzo passaporti e visti venezuelani
a cittadini mediorientali, fra i quali
figurerebbero anche alcuni sospetti
terroristi legati a Hezbollah.
I contenuti diffusi dalla Cnn «in
modo sistematico» rappresentano
«aggressioni contro la pace e la stabilità democratica nel paese e favoriscono un clima di intolleranza»,
sostiene una nota diffusa dalla commissione. Il ministro degli esteri, la
signora Delcy Rodríguez, ha inoltre
sottolineato che le trasmissioni della
rete di notizie degli Stati Uniti rappresentano «un’operazione mediatica» che punta «a concretizzare un
intervento in Venezuela».
Alcuni giorni fa, il presidente Nicolás Maduro aveva affermato che
non avrebbe tollerato che l’emittente televisiva statunitense «mettesse il
naso» negli affari interni del Venezuela. «Voglio la Cnn ben lontana
da qui», aveva sottolineato il leader
chávista.
La situazione in Venezuela, paese
che sta affrontando una gravissima
Un cristiano al ballottaggio
nelle elezioni a Jakarta
JAKARTA, 16. Con lo spoglio delle
schede ancora in corso nel voto locale in Indonesia, l’elezione del governatore di Jakarta sembra avviata
a un ballottaggio che vedrà coinvolti il governatore in carica Basuki
“Ahok” Tjahaj Purnama, cristiano
(protestante) di etnia cinese, e
Anies Rasyid Baswedan. Con Ahok
a processo per blasfemia e sotto costante attacco da parte degli islamici conservatori, ulteriori due mesi di
campagna elettorale rischiano di
aumentare ulteriormente la tensione
politica nel paese.
Il conteggio ancora incompleto
dei voti attribuisce oltre il quaranta
per cento ad Ahok, in leggero vantaggio su Baswedan, un ex ministro
dell’istruzione che ha cercato i voti
dei conservatori islamici ed è spalleggiato dall’ex generale Prabowo
Subianto, sconfitto dall’attuale presidente Widodo alle elezioni del
2014. In vista del ballottaggio, potrebbero risultare determinanti le
preferenze degli elettori del candidato sconfitto al primo turno, Agus
Harimurti Yudhoyono, figlio dell’ex
presidente Susilo Bambang Yudhoyono. Secondo gli analisti indonesiani, è probabile un’alleanza tra lui
e Baswedan, che renderebbe ardua
la riconferma per Ahok.
Il voto di Jakarta è interpretato
come un possibile anticipo delle
elezioni presidenziali del 2019: lo
stesso Widodo era governatore
della capitale fino a tre anni fa e fu
rimpiazzato dal suo vice Ahok. Le
elezioni sono però soprattutto
considerate come un test dell’influenza dell’islam radicale nel paese, ancora minoritario ma in forte
crescita, con preoccupanti ripercussioni in un arcipelago dal delicato
equilibrio etnico e religioso.
crisi economica, è stata uno dei
principali argomenti del colloquio
telefonico avvenuto ieri tra il presidente degli Stati Uniti, Donald
Trump, e il capo di stato argentino
Mauricio Macri. Cinque minuti di
conversazione «amichevole e molto
cordiale», con al centro i temi riguardanti l’America Latina e i rapporti con Caracas, hanno sottolineato diversi media di Buenos Aires.
Trump ha invitato Macri a visitare
Washington, e ha convenuto sulla
necessità che i rispettivi ministri degli esteri s’incontrino in Germania
in questi giorni per fissare la data di
un vertice tra i presidenti.
Fonti di stampa argentine hanno
inoltre ricordato che Trump e Macri
si sono conosciuti e frequentati negli anni Ottanta a New York, dove
l’attuale presidente argentino si recava per ragioni di lavoro come imprenditore nel settore immobiliare.
Negli ultimi giorni Trump ha parlato anche con altri due presidenti
dell’America Latina, il colombiano
Juan Manuel Santos e il peruviano
Pedro Pablo Kuczynski.
Vasta offensiva dei talebani
nel Pakistan
ISLAMABAD, 16. Vari gruppi di talebani hanno sferrato un’offensiva
nelle ultime 72 ore in varie zone
del Pakistan, realizzando sei attentati che hanno prodotto un bilancio di almeno 49 morti e 108 feriti,
fra civili, membri delle forze di sicurezza, militanti e attentatori suicidi. Gli attacchi, hanno riferito i
media pakistani, sono stati tutti rivendicati: due dal Tehrek-e-taliban
Pakistan (Ttp), tre dal Jamaat ul
Ahraar (JuA) e uno dal Lashkar-eJhangvi al-Alami.
L’ondata di attacchi è cominciata il 13 febbraio a Lahore con un
attentatore suicida che si è fatto
esplodere vicino a un corteo scortato dalle forze di sicurezza. I
morti sono stati 16, fra cui sette
membri della polizia (anche due
ufficiali), e i feriti 83. Ad essi si
deve aggiungere il decesso dell’attentatore suicida.
Lo stesso giorno, due artificieri
sono morti a Quetta (capoluogo
del Baluchistan) e altre 14 persone
sono rimaste ferite, fra cui cinque
agenti, mentre tentavano di disinnescare un ordigno che però i talebani hanno attivato a distanza.
Quasi nelle stesse ore tre soldati
pakistani hanno perso la vita per
lo scoppio di un ordigno rudimentale (ied) collocato dai militanti
del Ttp nel territorio tribale nordoccidentale del Waziristan settentrionale. Oggi nel primo di tre attentati realizzati nel territorio tribale della Mohmand Agency due
attentatori suicidi hanno causato la
morte di cinque persone (fra cui
tre paramilitari) e il ferimento di
altre cinque. Più tardi nello stesso
territorio un attentatore suicida riconosciuto da un soldato ha attivato la carica che portava indosso
uccidendo se stesso e il militare
che lo aveva bloccato. Infine in
una esplosione a Peshawar un attentatore suicida ha provocato il
decesso di un funzionario governativo e il ferimento di quattro dipendenti del settore giudiziario.
Oltre cinquanta civili rapiti
dagli insorti afghani
KABUL, 16. Un commando di talebani ha rapito un gruppo di almeno 52 persone nella provincia di
Jowzjan, nel nord dell’Afghanistan. Gli ostaggi sono tutti contadini di tre villaggi della provincia.
«I contadini sono stati rapiti dai
talebani che vogliono così fare
pressioni sugli abitanti della zona
per estorcere loro denaro», ha detto Mohammad Reza Ghafoori,
portavoce del governo di Jowzjan.
Il funzionario ha precisato che
le autorità sono in contatto con i
leader tribali della zona per l’avvio
di una mediazione con gli insorti
afghani che porti al rilascio degli
ostaggi. I talebani non hanno comunque sinora rivendicato il sequestro, mentre hanno rivendicato
l’attacco nella vicina provincia di
Faryab dove sono rimasti uccisi
cinque miliziani filogovernativi.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 4
venerdì 17 febbraio 2017
Wassily Kandinsky
«Composizione IV» (1911)
A Roma le sculture di Gustavo Aceves
Cavalli
di battaglia
di ZYGMUNT BAUMAN
on c’è più religione... Dio è
morto». Lo sentiamo ripetere di
continuo, e qualcuno di quelli che si lanciano in affermazioni del genere pretendono di avvalorarle anche con l’autorità dei fatti:
quanti sono oggi, per dire, i neonati
che vengono portati in chiesa per essere battezzati, e non è forse vero che il
numero delle persone che frequentano
la messa domenicale è in calo — perlomeno in Gran Bretagna o nei paesi
nordici?... Questi dati vengono trascelti
proprio con l’intento di appoggiare la
tesi, e la loro reiterata ripetizione mira
a far sì che, come accade con tutti gli
altri pregiudizi, alla fine l’affermazione
sia considerata ben fondata e creduta
vera. Ma, svolgono essi il compito loro
assegnato? Forse lo farebbero, se non
fosse per l’enorme e crescente volume
di altri fatti che suggeriscono — e dimostrano — la diagnosi esattamente
contraria: e cioè che la religione esiste e
continua ad avere forza e influenza, e
che i necrologi per Dio sono, quantomeno, assolutamente prematuri.
Fu a motivo del numero inarrestabilmente crescente di quegli altri fatti, che
di GABRIELE NICOLÒ
«N
L’
Un luogo comune infondato
Non c’è più religione
cui viviamo in un mondo secolarizzato
è falso. Il mondo di oggi, salvo alcune
eccezioni, continua a essere accanitamente religioso quanto è sempre stato,
e da qualche parte anche più di quanto
sia mai stato».
Berger corresse il suo errore. Ci mise
del tempo, ma in fin dei conti gli ven-
Pregiudizio universale
Pubblichiamo un capitolo dal libro Il pregiudizio universale. Un catalogo
d’autore di pregiudizi e luoghi comuni (Bari-Roma, Laterza, 2016, pagine
XIX + 394, euro 18). Nel volume, che tratta temi molto diversi tra loro,
sono raccolti brevi scritti, tra gli altri, di Giulio Anselmi, Luciano
Canfora, Andrea Carandini, Valerio Castronovo, Ilvo Diamanti,
Giuseppe Pignatone, Sergio Romano, Fabrizio Valletti (il cui testo è
stato pubblicato sull’Osservatore Romano dello scorso 4 febbraio) e
Ignazio Visco.
Peter Berger, uno dei più autorevoli sociologi del Ventesimo secolo, si vide costretto a rovesciare la sua diagnosi di
180 gradi. Nel 1968 aveva pronosticato
nel «New York Times» che, nel Ventunesimo secolo, di «credenti religiosi se
ne troveranno probabilmente solo in
piccole sette, stretti assieme per resistere a una cultura secolare mondiale».
Ma trent’anni dopo, alle soglie del
nuovo secolo cui la sua precedente predizione si riferiva, si sentì in dovere di
concludere (in The Desecularization of
the World, 1999) che «l’assunto secondo
Nella festa
di fra Angelico
In occasione della festa del
Beato Angelico, patrono
degli artisti, la Diaconia
della bellezza — fondazione
che riunisce artisti cattolici
di diversi ambiti — ha
organizzato dal 17 febbraio
a Roma un simposio di tre
giorni. Sostenuto dal
Vicariato e dai domenicani,
l’incontro sarà scandito da
alcune celebrazioni che si
terrano a Santa Maria sopra
Minerva. Qui, presso
l’altare maggiore, è sepolto
il pittore sulla cui lastra
tombale si legge un
epitaffio latino attribuito a
Lorenzo Valla. Tra i diversi
appuntamenti e visite che
figurano nel programma,
spicca l’oratorio di musica
sacra previsto per la sera del
18 febbraio nella stessa
chiesa e a cui parteciperà
l’attore francese Michael
Lonsdale. Lo stesso
Lonsdale sarà anche
presente alla tavola rotonda
conclusiva — che si svolgerà
il 19 febbraio nella sala del
Senato di Santa Maria
sopra Minerva — sul tema
«Fra Angelico, uno sguardo
sulla bellezza di Dio».
idea è nata alcuni anni fa lungo le
rive del fiume Niger, frutto dell’illuminante incontro con la popolazione locale chiamata a fronteggiare la
violenza e la crudeltà di un potere
che, senza giustificazione alcuna, generava morte,
emarginazione e quindi migrazione. Al centro della
mostra «Lapidarium» — fino al 5 marzo, allestita
nell’area archeologica di Roma, comprendente l’arco di Costantino, la piazza del Colosseo fino ai
Mercati di Traiano — vi è infatti il tentativo dell’artista messicano, Gustavo Aceves, di creare un monumento imperituro ai vinti, cioè a coloro che sono stati costretti a raccogliere i loro beni, molto
spesso povere cose, e ad abbandonare la propria
amata terra alla ricerca di una vita migliore in un
paese lontano e totalmente ignoto.
Ecco allora che l’esposizione, a cura di Francesco Buranelli, si configura come un’originale occasione per riflettere sulle ingiustizie e le violenze legate a quel fenomeno delle migrazioni e delle diaspore che nella storia dell’umanità ha costituito e
continua a costituire una tragica costante. Composto da quaranta sculture, alte dai tre agli otto metri, e in alcuni casi lunghe fino dodici metri, «Lapidarium» è un progetto in progress che nel corso
del 2017 farà tappa in varie città del mondo, da
Istanbul a Parigi a Venezia, per concludersi, nel
2018, a Città del Messico.
La mostra schiera un’imponente serie di sculture
equestri in bronzo, marmo, legno, ferro e granito,
ne facile; da scienziato, aveva sviluppato metodi che gli consentivano di confermare o smentire enunciati, e quindi
di distinguere le false credenze da quelle vere e pertanto di spianare la strada
alla verità in questione. Questa è appunto la differenza fra le credenze fondate in fatti verificabili e controllati e
quelle derivate da emozioni: fra la conoscenza e la fede, il ragionamento e il
dogma, la scienza e il pregiudizio. Il
pregiudizio è dogmatico; quelli che li
abbracciano rifiutano l’argomentazione
e chiudono le orecchie ai giudizi contrari al proprio per paura di dover ammorbidire le loro convinzioni. Quando
si trovano davanti a un’idea differente
da quella cui sono affezionate, le persone prigioniere di pregiudizi non sottopongono l’argomentazione contraria a
una verifica, ma — risparmiandosi il fastidio di ascoltare e ancor più di capire
— la liquidano sulla base dell’aprioristica infallibilità di quella che per loro è
la verità.
Molta acqua è passata sotto i ponti
di tutti i fiumi del mondo, da quando
Friedrich Nietzsche, uno dei giganti
della filosofia moderna, scrisse nella
Gaia scienza (1882) che «Dio è morto!
Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di
più sacro e di più possente Il mondo
possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà
da noi questo sangue? Con quale acqua
potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi,
la grandezza di questa azione? Non
dobbiamo noi stessi diventare dèi, per
apparire almeno degni di essa?». Ma
Dio è ancora ben vivo, come senza
dubbio lo sono — e anche ben visibili —
le religioni, che poggiano sulla sua immortale onnipresenza: contrariamente
all’orgogliosa rivendicazione della mente moderna secondo cui noi, uomini,
siamo pienamente in grado di afferrare,
comprendere, descrivere, affrontare e
gestire il mondo e la nostra presenza in
esso in perfetta autonomia; e contrariamente alla nostra proclamata intenzione di mettere il mondo sotto l’amministrazione unica di noi, uomini, armati
come siamo di ragione e dei suoi due
germogli: la scienza e la tecnologia. In
netto contrasto con la loro promessa,
quelle armi non sono riuscite a dotare
noi, umani mortali, dell’onnipotenza —
che è il tratto che definisce il Dio immortale — ed è sempre meno probabile
che con tutte le loro scoperte e invenzioni terrificanti lo possano mai fare.
L’impressione è che, ove mai Dio «morisse» — e cioè, esiliato dal nostro pensiero, espatriato dalle nostre vite, cessasse di essere punto di riferimento e di
appello e fosse sostanzialmente dimenticato — ciò accadrebbe solo insieme
con la morte dell’umanità.
Se ci chiediamo perché è così e perché così deve essere, la risposta è che
Dio sta per la nostra insufficienza, l’insufficienza di noi esseri umani — secondo la memorabile formulazione del
grande filosofo polacco Leszek Kolakowski —: insufficienza del nostro pensiero e della nostra capacità pratica; insufficienza che è del tutto improbabile
possa mai essere superata. Ci sono fenomeni di cui non possiamo non essere
consapevoli — come per esempio l’eternità e l’infinito, o al perché e per che
cosa noi esistiamo, e perché c’è qualcosa piuttosto che il nulla —, fenomeni e
interrogativi che nonostante i più grandi sforzi delle menti umane più eccelse
noi mai comprenderemo perché vanno
ben oltre il regno dell’esperienza umana entro il quale la nostra ragione, la
nostra scienza e tecnologia operano e a
cui esse sono costrette a rimanere confinate. E ci sono fenomeni di cui dovremo prima o poi prendere consapevolezza, che non si sottometteranno mai al
nostro — di esseri umani — controllo e
gestione. In parole povere, ci sono limiti insuperabili a quello che noi possiamo sapere e a quello che possiamo fare. Il fatto che Dio sta per questi due
tipi di fenomeni e insieme il fatto che
noi siamo condannati a rimanere insufficienti assicurano nel loro intreccio
l’eterna presenza di Dio nella condizione esistenziale dell’uomo. In altre parole: l’eternità di Dio, e l’eternità delle religioni che cercano di rendere vivibile
la vita vissuta con la consapevolezza di
tutti questi paradossi, sono garantite
dall’immortalità (se misurata con i metri umani) della endemica insufficienza
umana.
Un’altra considerazione dobbiamo
fare per completare il quadro: l’insufficienza umana è duplice: collettiva e individuale. Quella collettiva è l’insufficienza della specie umana nel suo insieme, evidente di fronte all’infinità dello
spazio e del tempo dell’universo; quella
individuale è l’insufficienza della dotazione del singolo uomo, evidente di
fronte al fato (un’etichetta per indicare
in sintesi tutti gli aspetti della nostra
vita individuale che non siamo in grado
di controllare e modificare). La prima è
oggetto d’interesse per i filosofi e per
tutti noi nei (rari) momenti in cui cadiamo in un certo umore filosofico. La
seconda l’abbiamo davanti a noi e con
essa dobbiamo fare i conti ogni giorno
tutti, ciascuno per sé e nel modo che
gli è proprio. Entrambe sottolineano
l’eternità di Dio e delle religioni, ma il
loro peso relativo cambia con il passare
del tempo. Come Ulrich Beck suggeriva, in maniera convincente, nel suo Il
Dio personale (2008), nel nostro mondo
attuale completamente individualizzato,
un mondo in cui il crescente volume
dei compiti della vita tende a essere fatto scivolare dalle spalle delle società e
comunità a quelle dell’individuo, è
ognuno di noi, l’inadeguatezza individualmente sentita ad affrontare problemi creati a livello sociale (e persino
globale), che gioca il ruolo primario nel
suscitare la domanda di Dio e di religione.
Il silenzio diventa un best seller
Occupa un’intera pagina sul «País»
del 16 febbraio il colloquio di Borja
Hermoso con Pablo d’Ors intitolato
con efficacia I silenzi di un sacerdote si
trasformano in supervendite. Il
fenomeno culturale ed editoriale di
cui è protagonista il prete spagnolo,
nipote dello scrittore Eugenio d’O rs
(1881-1954) e a sua volta autore di
successo, è in effetti impressionante,
Pablo d’Ors (foto di Bernardo Pérez dal «País»)
non solo in Spagna (in Italia è
tradotto soprattutto da Vita e
Pensiero). Il quotidiano madrileno
ricorda ovviamente — accanto alla
“trilogia del silenzio” (El amigo del
desierto, 2009, Biografía del silencio,
2012, e infine El olvido de sí, 2013, su
Charles de Foucauld) — Sendino se
muere (2012), nato dall’esperienza del
sacerdote come cappellano
dell’ospedale universitario madrileno
Ramón y Cajal. «Bisogna parlare
dell’anelo, della sete interiore e del
desiderio di pienezza con le parole
che utilizza oggi la gente» dice d’O rs
al «País», perché «spesso il discorso
ecclesiastico si collega poco con la
sensibilità e con il linguaggio della
gente comune». Subito dopo il prete
scrittore spiega il successo di Biografía
del silencio, che ha superato in Spagna
le centomila copie vendute: «Credo
che la chiave di questa accoglienza è
che questo libro, questa parola, è
preceduta da molto silenzio, da
centinaia, migliaia di ore passate in
silenzio. E solo le parole precedute
dal silenzio possono toccare il cuore
della gente». E aggiunge: «Percepisco
nella gente di oggi una fame di
silenzio, ma al tempo stesso un vero
panico di fronte a questo». (g.m.v.)
Gustavo Aceves, «Cavallo monumentale» (Pietrasanta, 2014)
appoggiate sullo scheletro di un’imbarcazione che
— mettendo insieme i ricordi ancestrali di Aceves
legati ai galeoni spagnoli impegnati nella conquista dell’America centrale e l’immagine di una canoa indigena del Niger (collegata invece a un suo
viaggio in Africa) — punta a fare irruzione nella
drammatica attualità, segnata dal tragico destino
dei tanti barconi carichi di migranti naufragati nelle acque del Mediterraneo. Come scrive Claudio
Parisi Presicce nel catalogo, la mostra emette «un
grido dell’arte» che viene poi trasmesso e amplificato da un esercito di cavalli, simbolo di libertà, di
fiera forza e di vittoria: ma anche simbolo di sconfitta, di dolore e di morte.
Così le piazze di Berlino (dove la mostra è stata
inaugurata nel 2015), Roma, Istanbul, Parigi e Venezia divengono le scuderie che accolgono questi
cavalli per ascoltarne il doloroso racconto: ed è
una narrazione che sgorga da corpi smembrati. Sono sì figure monumentali, ma anche precarie, private di zampe per correre. Eppure questi cavalli
non sono ancora vinti del tutto: al contrario, sono
decisi a proseguire il cammino spinti dalla forza
della speranza diventando così araldi di toccanti
storie di umanità incise appunto su un lapidarium,
sul quale ciascuno è poi chiamato a riflettere.
La conquista spagnola, mai venuta meno
nell’immaginario dei messicani, riemerge dagli antichi ricordi di Aceves, quando pone il cavallo su
una simbolica intelaiatura di imbarcazione, ricordo, come detto, dei galeoni spagnoli. E l’artista fa
rivivere quella concezione del cavallo inteso quale
simbolo di quanto di più nobile abbia realizzato,
nella sua storia, la cultura figurativa. Evidenti, infatti, sono le derivazioni dai cavalli bronzei della
quadriga dell’ippodromo di Costantinopoli — opera antica di controversa datazione arrivata, per mare, a Venezia — e dai più famosi monumenti equestri del Rinascimento: in particolare del celeberrimo mai realizzato cavallo di Leonardo da Vinci
per il duca Francesco Sforza. Ed è proprio il riferimento a questi due capolavori dell’arte antica e
moderna a segnare in modo profondo e caratteristico l’opera di Aceves, permeata dall’ammirazione
per la scultura classica e per l’arte rinascimentale.
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 17 febbraio 2017
pagina 5
Vi invito a lottare
contro la povertà
sia materiale, sia spirituale.
Edifichiamo insieme la pace
e costruiamo ponti.
(@Pontifex_it)
Un progetto in Siria per l’assistenza sanitaria ai più poveri
Ospedali chiusi?
Fanno più vittime delle bombe
di GIAMPIETRO DAL TOSO
icostruire i cuori per ricostruire la Siria. È sempre stato questo il principio ispiratore
dell’impegno della Chiesa cattolica per l’amata Siria e per la
sua popolazione, devastata da una guerra
R
Undici milioni e mezzo di persone
non hanno accesso alle cure sanitarie
e il quaranta per cento sono bambini
E a trecentomila donne
non viene garantita l’assistenza per il
In risposta agli appelli del Papa
La testimonianza sul campo di monsignor
Giampietro Dal Toso, segretario delegato
del Dicastero per il servizio dello sviluppo
umano integrale, ha contribuito a
presentare., il progetto Ospedali aperti
lanciato dalla fondazione Avsi e sostenuto
dal policlinico Gemelli di Roma, nella cui
sede è stato presentato giovedì mattina 16
febbraio. Con lo stanziamento di un
milione di euro, l’obiettivo è «garantire
l’assistenza sanitaria anche ai più poveri e
ai più vulnerabili» ha spiegato il segretario
generale della fondazione Giampaolo
Silvestri, facendo notare che si tratta di
«una risposta concreta agli incessanti
appelli di Papa Francesco e anche del
nunzio a Damasco, il cardinale Mario
Zenari». Proprio la denuncia del nunzio
costituisce la concreta road map per gli
interventi a sostegno di tre ospedali
cattolici a Damasco e Aleppo.
Nell’incontro di presentazione hanno
portato le loro testimonianze, in
collegamento video dalla capitale siriana, il
cardinale Zenari e Joseph Fares, direttore
dell’ospedale italiano. Sono intervenuti,
con monsignor Dal Toso, Giovanni
Raimondi, presidente della fondazione
Gemelli; e Rocco Bellantone, direttore di
chirurgia endocrina e metabolica e preside
della facoltà di medicina e chirurgia
dell’Università Cattolica. Gli interventi
sono stati coordinati da Franco Di Mare.
sanguinosa che dura da ormai quasi sette
anni. Ed è lo stesso principio che, oggi,
sottende al progetto Ospedali aperti, lanciato dalla fondazione Avsi e dalla fondazione policlinico universitario Agostino
Gemelli, che punta a rimettere in funzione
e a potenziare tre nosocomi cattolici: il
Saint Louis di Aleppo e gli ospedali francese e italiano a Damasco.
La Santa Sede segue il conflitto siriano
fin dai suoi inizi. Era il 2012 quando, su
impulso di Papa Benedetto XVI, il Pontificio Consiglio Cor unum decideva di organizzare in Libano un primo incontro di
coordinamento tra alcuni organismi cristiani di carità operanti nel contesto della crisi
mediorientale, per fare in modo che l’intervento della Chiesa universale fosse il più
possibile unitario e capillare sul terreno.
Con il nuovo e forte sostegno di Papa
Francesco, gli appuntamenti si sono succeduti con cadenza annuale in Vaticano e
hanno portato a diversi risultati concreti:
la costituzione di un focal point presso lo
stesso Cor unum, con l’obiettivo di una
maggiore condivisione delle informazioni
tra tutti gli operatori sul campo; un corso
di formazione sulla progettazione umanita-
ria rivolto ai vescovi e ai loro delegati in
Siria, tenutosi a Beirut nel giugno 2016;
due rapporti sugli aiuti umanitari distribuiti dalla Chiesa negli epicentri della crisi,
Siria e Iraq, con l’obiettivo di individuare
volta per volta aspetti critici e necessità impellenti, usciti rispettivamente nel 2015 e
nel 2016; oltre alle numerose visite in loco.
Proprio da queste
indagini, a cui hanno partecipato organismi di carità, congregazioni religiose
e diocesi locali, è
emerso come le
priorità, a partire da
subito e a maggior
parto
ragione da quando
le ostilità saranno
terminate in tutto il
paese, siano l’educazione e la sanità.
Oggi sono quasi quattordici milioni le
persone bisognose di aiuti in Siria, di queste undici milioni e mezzo non hanno accesso alle cure sanitarie (il quaranta per
cento sono bambini). La riduzione della
speranza di vita è di quindici anni per gli
uomini e dieci per le donne: di queste ultime, oltre trecentomila in gravidanza non
possono usufruire dell’assistenza necessaria
per il parto.
Come ha denunciato più volte il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in
Siria, «nel paese oggi stanno morendo più
persone per l’impossibilità di accedere alle
cure mediche che non per gli effetti delle
armi». Per tale ragione, sento di esprimere
gratitudine per quanti si sono coinvolti direttamente e generosamente in questa iniziativa. Ma anche l’auspicio che il progetto
Ospedali aperti, di cui il cardinale è il
principale ispiratore, e che è rivolto a tutta
la popolazione senza distinzione alcuna,
trovi il sostegno necessario.
Non è un caso che l’ospedale, fin dal
medioevo, sia per la Chiesa uno dei luoghi
simbolo nei quali più si manifesta la cura
del corpo e dello spirito. Certamente non è
A colloquio con il rettore dell’università di Roma Tre alla vigilia della visita del Pontefice
Immersi nella città
di NICOLA GORI
All’interno della città e al suo
servizio. È questa una delle missioni dell’università Roma Tre,
dove Papa Francesco si reca venerdì 17 febbraio per incontrare
studenti, professori e personale.
Emozione, lusinga e attesa nelle
parole del rettore Mario Panizza, che in questa intervista
all’Osservatore Romano, spiega
alcuni dettagli della prima visita
del Papa a un ateneo statale italiano.
Quale significato assume la visita
del Pontefice a Roma Tre?
È la prima volta che Papa
Francesco entra in un ateneo
pubblico, e confesso che sono
emozionato
ad
accoglierlo.
Questa giornata storica ha un
significato sicuramente sociale,
civile e culturale. L’impegno
che il Pontefice sta dimostrando
nei confronti della società civile,
soprattutto dei soggetti più deboli deve essere una traccia per
i nostri studenti, ma anche per i
nostri educatori. Avevo scritto
al Papa prima dell’estate e avevo raccontato un po’ come è
Roma Tre e qual è il ruolo che
cerca di svolgere all’interno della città. L’avevo invitato non
per una celebrazione ufficiale,
ma a parlare con gli studenti,
con noi professori e con tutto il
personale amministrativo. Ho
avuto il piacere e la gioia di vedere accolta la mia richiesta e
confesso che mi sono sentito
anche lusingato. Per cui il valo-
re è proprio questo: avere un
confronto con una personalità
che oggi è anche una personalità politica oltre a essere alla
guida della Chiesa.
Quali sono le caratteristiche principali che contraddistinguono la
vostra università rispetto alle altre
presenti a Roma?
Tralasciando le private, quelle
pubbliche oggi sono quattro.
Conosciamo la più antica, La
Sapienza ormai da settecento
anni. L’altra è Tor Vergata, nata
poco prima di noi. Poi c’è la
nostra e quella del Foro italico,
che è molto concentrata sulla
salute e sulle facoltà di medicina. Sia Roma Tre sia Tor Vergata sono costole della Sapienza.
D obbiamo riconoscere che La
Sapienza è una città universitaria, quindi ha un proprio recinto, una presenza chiara all’interno della città. Tor Vergata è un
campus ricco di spazi, di laboratori, che si trova in un’area
periferica, quindi distante dal
centro. Roma Tre, invece è nata
nel 1992, quindi venticinque anni fa, con un progetto: rivalorizzare un’area precedentemente
industriale. Quindi abbiamo ricuperato edifici ormai dismessi
vicini al cinodromo. C’è stato
un vero e proprio impegno etico da questo punto di vista: tutto quello che serviva per l’ateneo doveva servire anche per la
città. Ci stiamo riuscendo abbastanza bene. Basti pensare cosa
rappresenta adesso la zona
dell’ex mattatoio e del cinodro-
mo al di là di viale Marconi, c’è
una parte di città vissuta da studenti. Questo è un po’ il carattere particolare di Roma Tre.
Da qui l’attenzione al rapporto
con il territorio, facilitato dalle
varie sedi immerse all’interno
del tessuto urbano.
Quale ruolo o missione svolgete
all’interno della società?
Le missioni sono tre ormai:
didattica e ricerca a seconda
dell’ordine in cui le vogliamo
mettere. La terza è quella del
rapporto con la città, ma anche
del trasferimento tecnologico,
cioè quello che noi sappiamo
e che possiamo trasferire altrove. Sono anni che si parla
di questo, adesso siamo arrivati al momento in cui dobbiamo rendere concrete queste cose, perché non possono
rimanere solo dichiarazioni di
principio. Credo che ci
stiamo arrivando. Considerando anche la partecipazione delle università nella
progettazione delle aree
terremotate, la ricostruzione di una serie di situazioni difficili e anche di partecipazione al ricevimento
dei migranti. Sono spazi
questi fortemente educativi. Credo che attraverso
l’esempio si possa dare
molta moralità ai ragazzi.
Su questo Roma Tre è
molto impegnata, come
del resto lo sono anche gli
altri atenei.
Avete preparato un video per presentare la vostra realtà?
Per la prima volta raccontiamo la vita della nostra università attraverso un video da noi
preparato in lingua italiana e
inglese. È intitolato «Roma Tre.
A young university
for young people».
Ci serve quando
andiamo a presentarci all’estero
e stringiamo accordi e convenzioni con gli altri atenei. In esso
raccontiamo come un’università
tra virgolette giovane può avere
una relazione diversa con la
gente.
Armando Orfeo, «Iper-mondi»
una sfida facile: ma proprio per questo merita di essere affrontata.
Papa Francesco continua incessantemente a manifestare la propria vicinanza alla
popolazione siriana e alle comunità cristiane, non mancando di ammonire gli stati e
le forze in campo circa gli effetti di una
guerra che non sta portando alcun risultato che non sia altra violenza. Tale speciale
vicinanza per «l’amata Siria» il Papa ha
voluto esprimerla anche in occasione della
visita che, assieme al cardinale Zenari, ho
potuto svolgere di recente ad Aleppo, benedicendo la nostra partenza e chiedendo
subito informazioni al mio ritorno.
Nei giorni di permanenza in quella città,
in parte distrutta dal conflitto, si è reso
evidente quanto la carità aiuti non solo a
rimarginare le ferite esteriori, ma anche a
vincere la solitudine, a ridare speranza alle
persone, e a farle sentire parte dell’unico
progetto di Dio.
La popolazione si sta rimettendo in moto, mostra una vivacità inaspettata date le
circostanze, ma ha bisogno in molti ambiti
di un sostegno concreto, nel quale si
esprima il legame tangibile con la Chiesa
universale. Ricostruire le strutture, ricostruire gli ospedali nella prospettiva di una
cura integrale della persona, può essere il
segno che riaccende la scintilla della dignità umana.
Proust
su YouTube
Scene da un matrimonio. Un
professore universitario del
Canada sostiene di aver scoperto
nell’archivio del Centre National
du Cinema l’unica immagine in
movimento esistente di Marcel
Proust. Sulla «Revue d’études
proustiennes», Jean-Pierre SiroisTrahan, docente all’università di
Laval, Québec, scrive che nel
video, del 1904, si vede un uomo,
identificato dall’accademico come
Proust, mentre scende le scale
della chiesa della Madeleine, a
Parigi, durante il corteo nuziale di
Elaine Greffulhe. Figlia della
contessa Greffulhe, secondo
alcuni studiosi, è la donna dalla
quale lo scrittore avrebbe tratto
ispirazione per creare Oriane de
Guermantes, ovvero una delle
figure più rappresentative descritte
nella celeberrima opera Alla ricerca
del tempo perduto. Nel video,
disponibile ora su YouTube,
Marcel Proust appare al
trentasettesimo secondo.
L’immagine è fedele al
personaggio coltivato dalla
fantasia dei suoi innumerevoli
ammiratori: un uomo solo, in
redingote grigio perla e bombetta.
Insomma, in perfetto stile
proustiano. Finora, a ritrarlo così,
c’erano alcune foto e documenti
dell’epoca: quest’ultimi, in
particolare, testimoniano della
passione che lo scrittore aveva per
la bombetta e per il redingote,
mentre i gentiluomini e signori
suoi contemporanei prediligevano
il cappello a cilindro e la giacca.
E sono proprio questi documenti
a rimarcare il fatto che Proust
prendeva parte agli eventi
mondani con la bombetta
immancabilmente portata sul
capo. A confermare questa
predilezione c’è adesso questo
footage che gli esperti — citati dal
quotidiano «The Guardian», tra i
primi a dare la notizia di questa
scoperta — non hanno esitato a
definire «sorprendente e
commovente». Jean-Yves Tadié,
studioso di Proust, nel dirsi
emozionato dalla scoperta, ha
rilevato che ora l’ultima cosa che
manca è la voce dello scrittore.
Chissà se altre scoperte non siano
dietro l’angolo.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 6
venerdì 17 febbraio 2017
Un anno di incontri fra rappresentanti cristiani e musulmani nel nord del Libano
Conoscersi
per capirsi meglio
Cattolici ed evangelici tedeschi sull’espulsione di rifugiati afghani
Diritto di vivere
di CHARLES
DE
PECHPEYROU
Sembra ormai lontano l’anno 2015,
durante il quale i numerosi rifugiati
afghani che avevano trovato ospitalità in Germania beneficiavano di
misure di accoglienza “facilitate”
dalla cancelliera Angela Merkel. A
fine gennaio, per la seconda volta
nell’arco di poche settimane, un
gruppo di richiedenti asilo è stato
rimandato nel proprio paese di origine, conformemente a un recente
accordo tra l’Unione europea e Kabul: un rimpatrio aspramente criticato dalle autorità cattoliche e protestanti tedesche, le quali ritengono
che la guerra civile che dilania l’Afghanistan richiederebbe una più
ampia vigilanza in materia di politica migratoria e un esame caso per
caso.
Nella mattinata del 24 gennaio,
ventisei rifugiati afghani, la cui domanda di asilo era stata respinta, sono giunti a Kabul in aereo, scortati
da settantanove poliziotti tedeschi.
Secondo le autorità di governo, sette rifugiati avevano precedenti penali. La reazione dei cristiani tedeschi
non si è fatta attendere. Pochi giorni fa monsignor Stefan Hesse, arcivescovo di Amburgo e presidente
della Commissione episcopale per i
problemi migratori, e Manfred Rekowski, presidente del Consiglio per
la migrazione e l’integrazione della
Chiesa evangelica in Germania,
Il Wcc a confronto
su religione
e discriminazione
TRONDHEIM, 16. La religione è
discriminante? Esistono discriminazioni all’interno e da parte delle diverse religioni? A queste domande si è cercato di dare una risposta nel corso di un convegno
svoltosi presso il centro culturale
di Trondheim, in Norvegia, promosso dal World Council of
Churches (Wcc).
«La discriminazione — ha spiegato il segretario generale del
Wcc, Olav Fykse Tveit — riguarda interamente la giustizia e la
giustizia si esprime nei diritti. I
diritti umani universali sono ciò
che gli stati nazionali dovrebbero
attuare nella loro legislazione. I
diritti — ha proseguito — sono
definiti nelle convenzioni e nei
trattati internazionali».
Fykse Tveit ha parlato di religione e discriminazione poiché
sono collegate al pellegrinaggio
di giustizia e pace promosso dal
Wcc e attualmente in corso.
«Stabilire giustizia e pace in larga misura significa affrontare tutte le forme di discriminazione.
Essere responsabili verso Dio,
verso il Dio vivente e creatore di
tutto, significa essere responsabili
verso la vita attuale. In particolare — e in primo luogo — siamo
responsabili verso altri esseri
umani, che sono tutti creati a immagine di Dio. Essere umano —
ha concluso Fykse Tveit — vuol
dire realizzarsi sempre con gli altri, anche con gli stranieri e gli
sconosciuti».
hanno alzato la voce: «Nessun uomo deve essere rimandato in un
luogo dove la sua vita è minacciata
dalla guerra o dalla violenza. La sicurezza della persona deve avere la
meglio sulle politiche migratorie», si
legge in un comunicato congiunto
datato 26 gennaio e firmato dai due
rappresentanti religiosi. «I conflitti
armati interni si sono intensificati in
Afghanistan, così come il numero di
persone che hanno abbandonato il
paese», sottolineano entrambi, precisando che in molti si dirigono verso Kabul per trovare rifugio e che la
situazione è peggiorata anche lì.
In queste ultime settimane molte
organizzazioni internazionali hanno
suonato il campanello di allarme.
L’ufficio delle Nazioni unite per gli
affari umanitari ha descritto una situazione «allarmante» in Afghanistan, dove oltre mezzo milione di civili si è spostato nel 2016 per sfuggire alla violenza e ai combattimenti,
cioè più del doppio del 2014. Inoltre l’Organizzazione internazionale
per le migrazioni e l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo hanno
segnalato un deterioramento significativo della situazione della sicurezza nel paese asiatico.
La Chiesa cattolica e la Chiesa
evangelica «non sono sistematicamente contro l’espulsione di migranti che non hanno alcuna prospettiva valida per rimanere in Germania» — viene affermato nella nota
congiunta — ma rimandare un rifugiato verso regioni molto pericolose
dell’Afghanistan rimane «inaccettabile», ribadiscono sia monsignor
Hesse sia Manfred Rekowski. Secondo loro, bisogna esaminare caso
per caso, ovvero se esiste un rischio
per la vita dell’individuo, se la sua
integrità fisica è minacciata, o se si
profila un rimpatrio “ragionevole”,
riaffermano i due responsabili religiosi, auspicando che i migranti
vengano ulteriormente assistiti prima di trovare una vita dignitosa per
loro e per i loro familiari.
«Il governo tedesco vuole far diminuire il numero di richiedenti asilo: questo non è illegale ma bisogna
vedere se tale prospettiva è accettabile da un punto di vista umanitario», osserva dal canto suo Ulrich
Pöner, incaricato dei problemi migratori presso la Conferenza episcopale tedesca, interpellato dal nostro
giornale. «Non tutte le regioni
dell’Afghanistan sono pericolose, il
governo ha ragione su questo punto; in alcune zone, come nella città
di Kabul, i rifugiati rientrati con
una famiglia ancora sul posto hanno ritrovato condizioni di vita decenti, contrariamente a rifugiati di
altre regioni dell’Afghanistan, che
non avendo appigli nella capitale riscontrano molte difficoltà», spiega
Pöner.
A metà dicembre, trentaquattro
richiedenti asilo afghani sono stati
espulsi dalla Germania, dopo il rifiuto delle loro domande di asilo. In
totale, sono stati in cinquanta a dover salire sull’aereo in partenza per
Kabul, ma nel frattempo sedici erano già spariti nel nulla. Questo rimpatrio interveniva in applicazione
dell’accordo firmato il 2 ottobre
scorso a margine della Conferenza
di Bruxelles sull’Afghanistan tra
l’Unione europea e Kabul, in virtù
del quale l’Europa prevede di rimandare indietro ottantamila rifugiati afghani, il cui asilo è stato rifiutato dai paesi del vecchio continente. Gli afghani rappresentano il
20 per cento dei migranti entrati in
Europa nel 2015. Si tratta del secondo più grande gruppo di rifugiati,
dopo i siriani. Secondo il ministero
dell’interno tedesco, la Germania
conta 11.900 profughi afghani che
devono essere espulsi, ma 10.300 beneficiano di un rinvio. «Angela
Merkel vuole dimostrare di non essere soltanto la cancelliera che accoglie i migranti, ma anche colei che
applica in materia di diritto di asilo
le leggi del suo paese, che prevedono che un migrante la cui domanda
viene rifiutata debba essere rimandato nel paese di origine», afferma
Ulrich Pöner.
In effetti, l’inasprimento della politica di accoglienza dei migranti voluto dal governo tedesco (criticato
dopo aver autorizzato oltre un milione di profughi a entrare in Germania nel 2015) ha anche fini politici. Angela Merkel si presenterà per
un quarto mandato nel settembre
prossimo. Nella corsa alla cancelleria, dovrà affrontare un rivale di peso, l’ex presidente del Parlamento
europeo Martin Schulz, designato
ufficialmente candidato del Partito
social-democratico il 24 gennaio
scorso. Una competizione i cui primi perdenti potrebbero essere,
purtroppo, i richiedenti asilo in
Germania.
TRIPOLI, 16. Tripoli, capoluogo
del governatorato di Libano
nord, è stata teatro negli ultimi
anni di episodi di violenza fra
differenti gruppi religiosi. Ziad
Fahed,
docente
assistente
all’università Notre-Dame di
Louaize, vicino a Beirut, ha
pensato di creare una piccola organizzazione non governativa
denominata Dialogo per la vita
e la riconciliazione, fautrice da
tempo di iniziative per il dialogo fra cristiani e musulmani. È
in questo quadro che si è inserito un recente incontro, svoltosi
a Tripoli, al quale ha partecipato anche un fratello della comunità di Taizé, in visita nel paese.
Il suo resoconto parla di una
riunione significativa che ha visto presenti imam e sceicchi
sunniti e alawiti, così come preti
maroniti e ortodossi. L’incontro,
sul tema «Accompagnare i nostri giovani in tempi di crisi», è
stato contraddistinto da un’atmosfera di profonda amicizia.
È dal febbraio 2016 che il
gruppo, in collaborazione con le
principali autorità religiose delle
diverse comunità musulmane e
cristiane di Libano nord, sta ponendo le basi per la creazione di
legami stabili fra i vari rappresentanti. Nell’autunno scorso
questo progetto si è concretizzato con l’istituzione di una rete
proprio nel capoluogo, alla quale hanno aderito trentacinque responsabili religiosi musulmani e
cristiani. Primo obiettivo quello
di riunirsi regolarmente, almeno
una volta al mese, per «scoprire
la bellezza di essere allo stesso
tempo diversi e profondamente
legati gli uni agli altri». Dopo i
locali della chiesa ortodossa è
toccato a quelli della moschea, e
così via. Le esperienze di questi
ultimi mesi hanno mostrato che,
al di là delle riunioni pianificate,
alcuni rappresentanti religiosi
hanno cominciato a sviluppare
tra loro legami personali importanti sia nell’ambito della vita
quotidiana che nell’esercizio del
ministero. Tutti vivono a Tripoli
da molti anni ma la maggior
parte di essi non aveva mai avuto l’occasione di conoscersi sul
serio.
Agli occhi del fratello di Taizé è apparso «subito chiaro» come, in questa regione del Libano, un gruppo di rappresentanti
musulmani e cristiani «vivesse
già il segno di un vero dialogo
interreligioso, dove a poco a poco è cresciuto in tutta semplicità
il desiderio di comprendersi meglio, al di là delle differenze, e
di conoscersi meglio, apprezzandosi reciprocamente».
Le riunioni sono state frequenti: 28 novembre (nella chiesa ortodossa), 13 dicembre (in
una moschea di Tripoli per discutere sul tema «Dialogo interreligioso e consolidamento della
pace»), 27-29 gennaio («Uso
delle reti sociali per trasmettere
uno spirito di moderazione e
dialogo» e «Diritti dell’uomo
nella società libanese») e 11 febbraio, incontro al quale sono intervenuti due vescovi del nord
del Libano (uno maronita, l’altro ortodosso) e rappresentanti
della comunità alawita e del
gran mufti sunnita. La prossima
tappa è mettere in campo degli
strumenti che consentano un
dialogo e un’accoglienza interreligiosa di qualità, nella vita
quotidiana e ordinaria di ogni
persona.
La rinascita vede in prima fila la comunità cattolica
C’è speranza ad Aleppo
ALEPPO, 16. Ottimismo, nonostante
tutto. Ad Aleppo, città siriana che
faticosamente torna a sperare, dopo
oltre quattro anni di guerra, la pace
e la riconciliazione sono sfide da
vincere che vedono in prima fila la
comunità cristiana, la quale continua a fare il possibile per aiutare
tutta la popolazione, alimentando
innanzitutto la convivenza, unico
mezzo per rimettere insieme i pezzi
di una società colpita al cuore.
Al Sir l’arcivescovo di Alep dei
greco-melkiti, Jean-Clément Jeanbart, racconta che «non si sentono
più tanti razzi e bombe» ma «la vita resta difficile», poiché «mancano
acqua, elettricità e lavoro». Tuttavia, «siamo vivi, la città è libera. Le
scuole stanno riaprendo. Come comunità cristiana aiutiamo tante famiglie a fare fronte ai bisogni primari come il cibo e l’elettricità che
acquistiamo dai generatori sulle
strade. Abbiamo dei furgoncini che
portano cisterne di acqua in giro».
Finora sono state risistemate trecento case colpite dai bombardamenti e aiutati ottanta giovani ad
avviare un’attività commerciale con
dei prestiti a fondo perduto. Si sta
lavorando per riattivare strade e comunicazioni ferroviarie. Sono riprese anche le partite di calcio e di
pallacanestro.
E sui prossimi colloqui di pace a
Ginevra, il 20 febbraio, monsignor
Jeanbart si dice ottimista e spera
che «la riconciliazione tra Russia e
Stati Uniti sarà positiva non solo
per la Siria ma per il mondo intero.
I cambiamenti nella politica turca,
russa e statunitense possono essere
un buon viatico verso un negoziato
di pace. Da parte mia sono sempre
più convinto che quando i mercenari stranieri saranno usciti dal nostro
paese i siriani potranno far rivivere
la loro grande tradizione di convivenza e di dialogo. La Siria deve
restare un paese sovrano e non in
balia della potenza di turno».
Dal canto suo padre Sami Hallak, responsabile del centro del Jesuit Refugee Service nel quartiere di
Azizieh, parla di «popolazione contenta» sebbene «priva di lavoro, di
luce e di acqua».
In questa fase l’attenzione si sta
rivolgendo a tante famiglie cadute
in estrema povertà. Per esse, spiega
il gesuita, «stiamo allestendo dei
piccoli centri di aiuto vicino ai
checkpoint dove ci sono militari armati. Ciò scoraggia i malintenzionati che vogliono rubare cibo e acqua destinati ai più bisognosi. Lo
stesso stiamo cercando di fare ad
Aleppo est, con punti di distribuzione di pasti caldi. Ma ciò che più
conta adesso è mettere a tacere le
armi per sempre», conclude Hallak.
Anche se in un rifugio, si riaprono le scuole ad Aleppo (Reuters)
Celebrazione
ecumenica
ad Amman
AMMAN, 16. Una celebrazione a
sostegno dell’unità dei cristiani si
è svolta nei giorni scorsi nella
chiesa evangelica luterana del
Buon Pastore, ad Amman, in
Giordania. Il ”servizio di ringraziamento” è stato copresieduto
dall’amministratore apostolico del
patriarcato di Gerusalemme dei latini, monsignor Pierbattista Pizzaballa e dal vescovo della Chiesa
evangelica luterana in Giordania e
in Terra santa, Munib Younan.
Nei giorni scorsi, Pizzaballa e
Younan avevano esortato la popolazione a prendere parte alla celebrazione congiunta che è stata
fortemente voluta per sottolineare
la vicinanza tra la Chiesa cattolica
e quella luterana nel corso di
cinquant’anni di dialogo ecumenico, e per continuare a pregare insieme per ricordare il 500° anniversario della Riforma. Anniversario celebrato a Lund, in Svezia, da
Papa Francesco, dal presidente
della Federazione luterana mondiale, Munib Younan, e dal segretario generale della Federazione
luterana
mondiale,
reverendo
Martin Junge.
L’OSSERVATORE ROMANO
venerdì 17 febbraio 2017
pagina 7
Forum a Manila su Populorum progressio e Laudato si’
Tutelare l’ambiente
per proteggere i popoli
Concluso l’incontro dei vescovi di Stati Uniti e Messico sulle politiche migratorie
Difendere la dignità di tutti
BROWNSVILLE, 16. «Il migrante ha
diritto a essere rispettato. Noi
continueremo a fornire un servizio
di qualità ai migranti, nel campo
spirituale, legale, dell’assistenza
materiale e familiare»: è quanto
hanno sottolineato i vescovi delle
diocesi frontaliere del Messico e
del Texas, riuniti in questi giorni a
Brownsville, negli Stati Uniti, per
il semestrale incontro noto come
“Tex-Mex”.
Durante i lavori, i presuli hanno puntato l’attenzione sulla «politica inumana dei governi e l’indifferenza del mondo. Abbiamo
visto in prima persona le sofferenze causate da un sistema di immigrazione — alimentata da condizioni strutturali politiche ed economiche — dal quale si generano
minacce, deportazioni, impunità
ed estrema violenza». Pertanto, i
presuli ritengono necessarie e urgenti «politiche governative che
rispettino i diritti umani fondamentali dei migranti irregolari».
Nel messaggio, l’episcopato
messicano e statunitense sottolineano l’amicizia profonda tra le
città frontaliere e ribadiscono ancora una volta gli impegni e le
opere di accoglienza promosse
dalla Chiesa cattolica. «Noi, come
vescovi, continueremo a seguire
l’impegno di Papa Francesco, cercheremo di costruire ponti tra i
popoli, ponti che ci permettano di
abbattere i muri dell’esclusione e
dello sfruttamento».
Perciò, affermano i presuli,
«l’amicizia tra le nostre famiglie e
i nostri vicini può potenziare
l’amicizia tra i nostri popoli e
paesi. Il nostro incontro è una
chiara manifestazione di gioia e
segno di profonda speranza. La
croce che è stata collocata alla
frontiera, tra le città di El Paso e
Ciudad Juárez, ricordando la visita di Papa Francesco nel febbraio
del 2016, è un segno di incontro,
unità e speranza».
L’incontro di Brownsville, che
si è svolto nella parrocchia di
Nuestra Señora de San Juan del
Valle, è stato fortemente voluto
dalla Chiesa statunitense e messicana dopo il dibattito suscitato
dalle prime decisioni del presidente Donald Trump e dalla sua volontà di costruire un muro lungo
tutta la frontiera tra i due paesi.
Vi hanno preso parte dieci vescovi
texani e nove messicani.
Nel corso dei lavori, monsignor
Raymundo Peña, vescovo emerito
di Brownsville e decano dei vescovi frontalieri, ha focalizzato l’attenzione sulla storia degli incontri
“Tex-Mex”,
iniziati
più
di
trent’anni fa, nel 1986, su impulso
di Giovanni Paolo II. Anno dopo
anno è cresciuto il legame tra le
Chiese, si è dibattuto su varie problematiche (immigrati irregolari,
narcotraffico, criminalità) e si sono radicate forme di accoglienza e
ospitalità, come la rete delle Case
del migrante. È del 2002 il primo
Vertice mondiale in Giamaica
Dialogo tra battisti e metodisti
su fede e carità
KINGSTON, 16. «Una cosa è certa: se non fate la volontà di Dio
più seriamente di come fanno i
farisei e i maestri della legge, non
entrerete nel regno di Dio»: il reverendo Thomas Oral dello United Theological College di Kingston, ha accolto così, richiamando il passo evangelico (Matteo, 5,
20), i partecipanti al summit
mondiale per il dialogo battistametodista.
I
rappresentanti
dell’Alleanza battista mondiale e
del Consiglio mondiale metodista
si sono infatti incontrati a Runaway Bay, in Giamaica, per una
settimana di confronto. Si è trattato del quarto ciclo di conversazione e dialogo fra le due comunità religiose. Il tema generale
che guida tutti questi incontri è
«La fede che opera per mezzo
della carità», con una particolare
attenzione, in questa ultima occasione, su «La grazia e la fede:
cantate e predicate, vissute e condivise».
I partecipanti all’incontro — riferisce il sito Riforma.it — hanno
riflettuto e discusso attorno a una
serie di argomenti che riguardano
un’ampia sfera di ambiti di intervento: dalle opere sociali e di misericordia al culto e alla predicazione, alle differenti modalità di
vivere la fede nei vari continenti.
Dai dieci documenti, riguardanti altrettanti macrotemi, discussi dai delegati, è iniziata la
stesura di una relazione finale
che servirà a impostare i lavori
della riunione conclusiva che si
terrà dal 14 al 21 marzo 2018 al
Sarum College, istituto ecumenico di Salisbury in Inghilterra.
Nel corso della settimana i
partecipanti al summit si sono recati a Kingston per visitare gli
uffici della Jamaica Baptist
Union e del Jamaica Methodist
District come pure il campus dello United Theological College. I
delegati hanno partecipato al culto presso la Hoolebury Methodist Church nella baia di Saint
Ann, condotto dal vescovo Everard Galbraith. La predicazione è
stata affidata al reverendo Oral
che ha richiamato i presenti a riflettere sull’importanza dell’esempio, della testimonianza cristiana
e della coerenza tra fede creduta
e fede vissuta.
I lavori del summit si sono
svolti in concomitanza con le celebrazioni per il bicentenario della comunità metodista di Haiti,
la più antica realtà ecclesiale protestante dell’isola caraibica. Fondata nel 1817 da missionari inglesi
e irlandesi, la comunità è sopravvissuta negli anni alla repressione
politica e ai numerosi disastri naturali che si sono succeduti. Gli
eventi organizzati nella capitale,
Port-au-Prince, hanno attirato
l’attenzione su questa realtà. In
particolare i metodisti sono apprezzati per l’opera prestata nel
campo educativo. Attualmente
gestiscono 105 scuole elementari,
15 secondarie, una scuola di formazione per insegnanti e diversi
istituti tecnici. È di questi giorni
l’apertura di un istituto secondario realizzato con il sostegno dei
metodisti di Canada e Irlanda.
documento bi-nazionale intitolato
«Uniti nel cammino di speranza,
noi non siamo stranieri», poi le
riunioni sono continuate dando
vita a numerosi progetti pastorali
comuni.
Dopo l’intervento iniziale — riferisce il Sir — i vescovi hanno a
lungo discusso sulle politiche migratorie. C’è chi ha ricordato che
fino a qualche tempo fa tra le città di Brownsville e Matamoros
non c’era in pratica frontiera: le
famiglie allargate attraversavano il
fiume dall’una e dall’altra parte,
condividendo la vita, lo studio e il
lavoro.
Da parte degli intervenuti, è
stata espressa preoccupazione per
la situazione attuale dei migranti e
hanno ricordato che «Gesù, Maria
e Giuseppe, come migranti e rifugiati, cercarono un luogo per vivere e lavorare, sperando in una risposta di compassione umana.
Oggi, questa storia si ripete. Abbiamo visitato centri di detenzione
e luoghi di accoglienza rivolti soprattutto a madri, adolescenti e
minori migranti. Questi centri —
hanno scritto i vescovi — sono
luoghi che riflettono condizioni di
vita intollerabili e inumane. Una
situazione — prosegue il messaggio — che si riferisce sia alla frontiera tra Messico e Centroamerica
che a quella tra Stati Uniti e Messico. Questa realtà oggi sta diventando molto più evidente, di fronte alle politiche che le autorità civili stanno seguendo. In seguito a
queste scelte tocchiamo con mano
il dolore per la separazione delle
famiglie, per la perdita del lavoro,
per le persecuzioni e le discriminazioni, per le espressioni di razzismo, le deportazioni non necessarie, che paralizzano lo sviluppo
delle persone nelle nostre società e
lo sviluppo delle nostre nazioni,
lasciandole nell’incertezza e senza
speranza».
Di qui, l’appello dei presuli ai
governi di tutto il mondo per il rispetto dei diritti di ciascun migrante.
MANILA, 16. Analizzare la Populorum progressio e identificarne i
temi comuni con la Laudato si’,
per rivedere e rafforzare la risposta alle sfide che si pongono
oggi, in particolare, il cambiamento climatico, il degrado ambientale e il suo effetto sui poveri. Sono questi gli obiettivi
principali che si pone il decimo
incontro di Justice and Peace
Workers’ Asia-Pacific Forum”,
in corso di svolgimento a Manila, nelle Filippine.
«Marzo 2017 — ha spiegato
ad AsiaNews monsignor Allwyn D’Silva, vescovo ausiliare
di Bombay e segretario esecutivo dell’Ufficio per lo sviluppo
umano della Federation of
connessi al riscaldamento globale e i loro mezzi di sostentamento dipendono fortemente
dalle riserve naturali e dai cosiddetti servizi dell’ecosistema,
come l’agricoltura, la pesca e le
risorse forestali. Non hanno altre disponibilità economiche e
altre risorse che permettano loro di adattarsi agli impatti climatici o di far fronte a situazioni catastrofiche, e hanno poco
accesso a servizi sociali e di tutela».
Inoltre, il segretario esecutivo dell’Ufficio per lo sviluppo
umano della Fabc, ha sottolineato che nella Laudato si’ viene dato spazio al tragico aumento del numero dei migranti
Asian Bishops’ Conferences
(Fabc) — segna il cinquantesimo anniversario della Populorum progressio, che ha annunciato la creazione di una nuova
commissione
pontificia
su
giustizia e pace. La Populorum
progressio parla di sviluppo
umano e mostra preoccupazione per gli emarginati. Questa è
stata anche la spinta agli incontri di Jpw. Anche la Laudato si’
aggiunge un’altra dimensione
al nostro lavoro: la cura per il
creato. E la vita delle persone
colpite dai cambiamenti climatici».
Monsignor D’Silva ha spiegato che «Papa Francesco, nella Laudato si’, ricorda che molti
poveri vivono in luoghi particolarmente colpiti da fenomeni
«che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i
quali non sono riconosciuti
come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il
peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa. Purtroppo — ha proseguito il vescovo — c’è una generale indifferenza di fronte a
queste tragedie, che accadono
in diverse parti del mondo.
Mentre la rivoluzione delle comunicazioni negli ultimi anni
ha aiutato a essere consapevoli
delle sfide ambientali. Oggi
non possiamo fare a meno di
riconoscere che un vero approccio ecologico è anche un approccio sociale che deve ascoltare il grido dei poveri e degli
emarginati».
Appello della Chiesa dopo l’attentato di Lahore
Maggiore protezione
contro il terrorismo in Pakistan
LAHORE, 16. La commissione nazionale giustizia e pace (Ncjp)
della Conferenza episcopale pakistana esprime una netta condanna
dell’attentato di Lahore del 13 febbraio scorso, costato la vita a 13
persone, tra cui due poliziotti, e
provocato il ferimento di altri 85.
In una dichiarazione congiunta,
monsignor Joseph Arshad, vescovo di Faisalabad e presidente della
Ncjp, padre Emmanuel Yousaf,
direttore nazionale, e Cecil S.
Chaudhry, direttore esecutivo, affermano che «l’uccisione di manifestanti innocenti e del personale
di polizia è inaccettabile». Secondo la Chiesa, «occorre attuare immediatamente il piano d’azione
nazionale contro il terrorismo, che
deve essere priorità assoluta del
governo, attrezzando in modo
adeguato il personale delle forze
dell’ordine, se si vuole sradicare il
terrorismo e l’estremismo dal paese». La Ncjp e la diocesi di Faisalabad hanno organizzato nei giorni scorsi una fiaccolata e una veglia di preghiera nella cattedrale
di Lahore, per manifestare solidarietà ai martiri e vicinanza ai familiari delle vittime. All’evento hanno partecipato sacerdoti, suore,
studenti, insegnanti e molti esponenti civili e politici.
Anche i presenti hanno chiesto
al governo di adottare azioni decise contro i terroristi e di assicurare
che nel paese venga rispettato lo
stato di diritto.
Lutto nell’episcopato
Monsignor Paul Nguyên Van Hòa,
vescovo emerito di Nha Trang, in
Vietnam, è morto martedì sera, 14
febbraio, alle ore 20.
Il compianto presule era nato il 20
luglio 1931 a Bôi Kênh, arcidiocesi di
Hà Nôi, ed era stato ordinato sacerdote il 20 dicembre 1959. Il 30 gennaio 1975, con l’erezione della nuova
diocesi di Phan Thiêt, ne era stato
nominato primo vescovo e aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il
successivo 5 aprile. Trasferito a Nha
Trang il 24 aprile dello stesso anno,
aveva retto la diocesi per trentacinque anni, rinunciando al governo pastorale il 4 dicembre 2009. Era stato
anche presidente della Conferenza
episcopale vietnamita dal 2001 al
2007.
Le esequie saranno celebrate sabato mattina, 18 febbraio, alle ore 9,
nella cappella del centro pastorale
diocesano di Nha Trang.
L’OSSERVATORE ROMANO
pagina 8
venerdì 17 febbraio 2017
Messa a Santa Marta
Il traffico d’armi alimenta
i conflitti
«La guerra è finita»: il grido gioioso della
vicina di casa a Buenos Aires, e l’abbraccio con mamma Regina, hanno così profondamente colpito e commosso il piccolo
Jorge Mario da essere ancora vivissimi nel
suo ricordo. E proprio il grido «la guerra
è finita» — ha detto Papa Francesco nella
messa celebrata giovedì mattina, 16 febbraio, nella cappella di Santa Marta — dovrebbe essere ripetuto oggi da ogni persona per avere finalmente la pace nel cuore
ma anche in famiglia, nel quartiere, sul
posto di lavoro e, via via, fino al mondo
intero. Perché i conflitti, ha messo in
guardia il Pontefice, cominciano dalle piccole cose e sfociano, con «il traffico delle
armi», nei «bombardamenti di scuole e
ospedali» per «il potere» e «un pezzo di
terra in più». Ecco allora che la pace, ha
suoi discepoli: l’immagine della colomba,
dell’arcobaleno e dell’alleanza».
E infatti, ha spiegato il Papa, «dopo il
diluvio, la prima immagine è quella colomba che, dopo aver girato varie volte,
torna alla fine con un tenero ramoscello di
ulivo nel becco». E «in quel momento si
cominciò a pensare che fosse finita la tragedia, fosse finita la distruzione e tornasse
la pace». Proprio «per questo la colomba
con l’ulivo nel becco è un segno di pace, è
il messaggio di Dio all’umanità». Dio «si
pentì di quella distruzione e promise di
non farla più: “Io voglio la pace”». Così
«questa colomba è il segno di quello che
Dio voleva dopo il diluvio: pace, che tutti
gli uomini fossero in pace».
La «seconda figura», ha affermato
Francesco, è «l’arcobaleno». Sì, quell’«ar-
affermato il Papa, è un lavoro artigianale
che ciascuno di noi è chiamato a costruire
ogni giorno e anche da invocare con la
preghiera che non è mai «una formalità».
Nella prima lettura, ha fatto subito notare Francesco riferendosi al passo tratto
dal libro della Genesi (9, 1-13) e anche al
brano di Marco (8, 27-33), «ci sono tre parole, tre figure, tre immagini che ci aiuteranno a riflettere, a pensare e a capire meglio quello che Gesù spiega nel Vangelo ai
cobaleno che lo stesso Signore fa e dice
che questo è il segno dell’alleanza che farà: “Questo è il segno dell’alleanza che io
pongo tra me e voi per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi”,
perché sia segno, ricordo, di questa pace
che sarà alleanza».
«La terza parola è l’alleanza» ha proseguito il Pontefice. E infatti «Dio promette: “Mai distruggerò, mai, io mai, voglio
pace, faccio questa alleanza con voi”, l’al-
leanza della pace». E,
ha aggiunto, «Noè fece dei sacrifici e questo fu gradito a Dio».
«La colomba e l’arcobaleno sono fragili»
ha affermato Francesco. «L’arcobaleno è
bello dopo la tempesta, ma poi viene una
nuvola, sparisce: è un
segno effimero». Anche «la colomba è fragile perché basta che
passi un rapace affamato». Del resto, ha
ricordato il Papa, «lo
abbiamo visto due anni fa dalla finestra,
nell’Angelus della domenica, quando i
due bambini hanno fatto uscire due colombe: è venuto un gabbiano e le ha uccise». Dunque «sono segni fragili». Invece
«l’alleanza che Dio fa è forte, ma noi la
riceviamo, l’accettiamo con debolezza».
Così «Dio fa la pace con noi, ma non è
facile custodire la pace: è un lavoro di tutti i giorni». Perché «dentro di noi ancora
c’è quel seme, quel peccato originale, lo
spirito di Caino che per invidia, gelosia,
cupidigia e volere di dominazione, fa la
guerra, una guerra che fa sparire l’arcobaleno, la colomba e distrugge l’alleanza con
D io».
«C’è una cosa dell’alleanza, una parola
che si ripete, il “sangue”» ha fatto presente il Pontefice. A tal punto che Dio dice
«del sangue vostro io chiederò conto; ne
domanderò conto a ogni essere vivente e
domanderò conto della vita dell’uomo
all’uomo, a ognuno di suo fratello». Ecco
che, ha affermato Francesco, «noi siamo
custodi dei fratelli e quando c’è versamento di sangue c’è peccato e Dio ci chiederà
conto». Oggi, ha detto il Papa, «nel mondo c’è versamento di sangue, oggi il mondo è in guerra: tanti fratelli e sorelle
muoiono, anche innocenti, perché i grandi
e i potenti vogliono un pezzo in più di
terra, vogliono un po’ più di potere o vo-
Marc Chagall, «Noè e l’arcobaleno»
gliono fare un po’ più di guadagno col
traffico delle armi». Ma «la parola del Signore è chiara: “Del sangue vostro, ossia
della vostra vita, io domanderò conto; ne
domanderò conto a ogni essere vivente e
domanderò conto della vita dell’uomo
all’uomo, a ognuno di suo fratello”». Perciò «anche a noi — sembra di essere in pace, qui — il Signore domanderà conto del
sangue dei nostri fratelli e sorelle che soffrono la guerra».
A questo proposito, il Pontefice ha suggerito le linee per un esame di coscienza:
«La domanda che io farei oggi è: come
custodisco io la colomba? Cosa faccio perché l’arcobaleno sia sempre una guida?
Cosa faccio perché non sia versato più
sangue nel mondo?». È evidente, ha aggiunto, che «tutti noi siamo coinvolti in
questo: la preghiera per la pace non è una
formalità, il lavoro per la pace non è una
formalità». Di più, «la guerra incomincia
nel cuore dell’uomo, incomincia a casa,
nelle famiglie, fra amici e poi va oltre, a
tutto il mondo». Dunque, ha rilanciato le
linee per la riflessione personale, «cosa
faccio io quando sento che viene nel mio
cuore qualcosa di rapace che vuole distruggere la pace? In famiglia, nel lavoro,
nel quartiere, siamo seminatori di pace?».
Domanda cruciale, ha avvertito il Papa,
perché «la guerra incomincia qui e finisce
Il Papa agli atleti che parteciperanno agli Special Olympics invernali in Austria
Per un mondo senza esclusioni
«Insieme, atleti e assistenti, ci mostrate
che non ci sono ostacoli né barriere
che non possano essere superati»
lanciando un «messaggio per un mondo
senza confini e senza esclusioni».
Lo ha detto Papa Francesco
ai partecipanti ai prossimi giochi
mondiali invernali Special Olympics,
ricevuti in udienza giovedì mattina,
16 febbraio, nella Sala Clementina.
Cari amici,
con piacere vi do il benvenuto e saluto
tutti voi, come pure, attraverso di voi,
quanti parteciperanno ai Giochi Mondiali Invernali Special Olympics, che si
svolgeranno nella Stiria, in Austria, nel
prossimo mese di marzo. Ringrazio il
Vescovo di Graz-Seckau e il Presidente
di Special Olympics Austria per le loro
cortesi parole.
Lo sport è una vostra passione, e vi
siete preparati con grande impegno al-
le competizioni, secondo il giuramento
dell’atleta Special Olympics: «Che io
possa vincere, ma, se non riuscissi, che
io possa tentare con tutte le mie forze». L’attività sportiva fa bene al corpo e allo spirito, e vi permette di migliorare la qualità della vostra vita. La
preparazione costante, che richiede anche fatiche e sacrifici, vi fa crescere
nella pazienza e nella perseveranza, vi
dà forza e coraggio e vi fa acquisire e
sviluppare capacità che altrimenti rimarrebbero nascoste. Sono sicuro che
tutti voi avete fatto questa esperienza.
E così ci si sente gratificati e anche riconosciuti, valorizzati nelle proprie
abilità.
Alla base di tutta l’attività sportiva
c’è, in un certo senso, la gioia: la gioia
di muoversi, la gioia di stare insieme,
la gioia per la vita e i doni che il Creatore ci fa ogni giorno. Vedendo un bel
sorriso sui vostri volti e la grande felicità nei vostri occhi quando siete riusciti bene in una competizione — e la
vittoria più bella è proprio quella di
superare sé stessi —, ci rendiamo conto
di cosa vuol dire una gioia sincera e
ben meritata! E possiamo imparare da
voi a gioire per le cose piccole e semplici, e a gioire insieme.
Lo sport, inoltre, ci aiuta a diffondere la cultura dell’incontro e della solidarietà. Insieme, atleti e assistenti, ci
mostrate che non ci sono ostacoli né
barriere che non possano essere superati. Siete un segno di speranza per
quanti si impegnano per una società
più inclusiva. Ogni vita è preziosa,
ogni persona è un dono e l’inclusione
arricchisce ogni comunità e società.
Questo è il vostro messaggio per il
mondo, per un mondo senza confini e
senza esclusioni!
Cari amici, i Giochi Invernali Mondiali Special Olympics saranno un bel
momento nella vostra vita. Voi sarete,
come dice il motto di questa edizione,
il “battito del cuore per il mondo”. Vi
auguro di passare insieme giornate
gioiose e di incontrare amici da tutto il
mondo. Vi affido alla protezione di
Maria Santissima e invoco su di voi,
sui vostri familiari e su tutti i partecipanti la benedizione divina. E, per favore, pregate anche per me. Grazie!
là». Sì, «le notizie le guardiamo sui giornali o sui telegiornali: oggi tanta gente
muore e quel seme di guerra che fa l’invidia, la gelosia, la cupidigia nel mio cuore,
è lo stesso — cresciuto, fatto albero — della
bomba che cade su un ospedale, su una
scuola e uccide i bambini, è lo stesso!».
Perché davvero «la dichiarazione di guerra
incomincia qui, in ognuno di noi». Ecco,
allora, l’importanza di porre a se stessi la
domanda: «Come custodisco io la pace
nel mio cuore, nel mio intimo, nella mia
famiglia?». Perché si tratta «non solo di
custodire la pace» ma anche di «farla con
le mani, artigianalmente, tutti i giorni.
Così riusciremo a farla nel mondo intero».
«La colomba, l’arcobaleno, il sangue»,
dunque. E «non è necessario versare sangue dei fratelli: soltanto un sangue è stato
versato una volta per sempre, è quello del
quale parla Gesù nel Vangelo: “Il Figlio
dell’uomo sarà ucciso”». E proprio «il
sangue di Cristo è quello che fa la pace,
ma non quel sangue che io faccio col mio
fratello, con la mia sorella o che fanno i
trafficanti delle armi o i potenti della terra
nelle grandi guerre». Ecco, ha insistito
Francesco, «ci vuole la pace», ci vogliono
«la colomba, l’arcobaleno e l’alleanza di
pace». In proposito il Papa ha voluto condividere un suo ricordo personale, un
«aneddoto, perché è una cosa che a me fa
bene ricordare: ero bambino, avevo cinque
anni e, ricordo, cominciò a suonare l’allarme dei vigili del fuoco, poi dei giornali e
nella città». E «questo si faceva per attirare l’attenzione su un fatto o una tragedia
o un’altra cosa. E subito sentii la vicina di
casa che chiamava la mia mamma: “Signora Regina, venga, venga, venga!”. E mia
mamma è uscita un po’ spaventata: “Cosa
è successo?”. E quella donna dall’altra
parte del giardino le diceva: “È finita la
guerra!” e piangeva. E ho visto queste due
donne abbracciarsi, baciarsi, piangere insieme perché quella guerra era finita».
In conclusione il Pontefice ha pregato
«che il Signore ci dia la grazia di poter
dire “è finita la guerra” piangendo: “È finita la guerra nel mio cuore, è finita la
guerra nella mia famiglia, è finita la guerra nel mio quartiere, è finita la guerra nel
posto di lavoro, è finita la guerra nel mondo”». E così saranno più forti «la colomba, l’arcobaleno e l’alleanza».
Nomina episcopale
in Paraguay
La nomina di oggi riguarda l’America latina.
Forti
nella vita
«Lo sport ci fa sentire vivi, ci rende sani e ci
mette in contatto col creato: è il messaggio che
questi atleti portano in tutto il mondo». Così il
vescovo di Graz-Seckau, Wilhelm Krautwaschl,
ha presentato a Papa Francesco la delegazione
di Special Olympics. Ricordando il vangelo in
cui Gesù chiede al cieco di Gerico «Cosa posso
fare per te?» il presule ha detto che di fronte
alla disabilità non serve uno sguardo di compassione ma l’impegno ad aiutare a valorizzare
le capacità di ciascuno, a «rendere ognuno forte per la vita». E il presidente di Special Olympics Austria, Jürgen Winter, ha sottolineato che
non si tratta solo di una manifestazione sportiva, ma di «un contributo per rafforzare i diritti
dell’uomo attirando l’attenzione su quanti devono fronteggiare la disabilità». Grazie anche a
questi giochi, infatti, «le scuole cominciano a
interessarsi allo sport come occasione d’inclusione».
Pedro Collar Noguera
vescovo di San Juan Bautista
de las Misiones
Nato il 9 settembre 1963 a Juan León Mallorquín,
nel dipartimento dell’Alto Paraná, ha compiuto gli
studi filosofici e teologici nel seminario maggiore nazionale di Lambaré. Ottenuta la licenza in diritto canonico a Buenos Aires, presso l’Università cattolica
argentina (1995-1998), ha frequentato corsi di dottorato nella stessa materia presso l’Università Pontificia di
Comillas a Madrid (2011-2013). Ordinato sacerdote il
7 giugno 1992 a Ciudad del Este, è stato vicario parrocchiale di San Lucas (1992-1993) e di Virgen Aparecida de los Cedrales (1993-1994); moderatore
dell’équipe sacerdotale della parrocchia di San Blas
della cattedrale di Ciudad del Este (1994-1995). Divenuto parroco della stessa cattedrale (1998-2006), poi
vicario generale di Ciudad del Este (2006-2011), giudice del tribunale ecclesiastico di seconda istanza
(2011-2015), cancelliere diocesano (2014-2015) e nuovamente vicario generale, il 23 aprile 2016 è stato nominato vescovo titolare di Tamugadi e ausiliare di Ciudad del Este. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il
successivo 28 maggio.