venerdì 17 febbraio 2017
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Spedizione in abbonamento postale Roma, conto corrente postale n. 649004 Copia € 1,00 Copia arretrata € 2,00 L’OSSERVATORE ROMANO POLITICO RELIGIOSO GIORNALE QUOTIDIANO Non praevalebunt Unicuique suum Anno CLVII n. 39 (47.473) Città del Vaticano venerdì 17 febbraio 2017 . Dopo l’incontro alla Casa Bianca con il premier israeliano Benjamin Netanyahu Ricordate dal Pontefice le vittime innocenti delle guerre Trump cambia rotta sulla soluzione dei due stati È il traffico d’armi ad alimentare i conflitti WASHINGTON, 16. La soluzione dei due stati non è più la strada maestra alla pace in Vicino oriente. Gli Stati Uniti ribadiscono la loro volontà di arrivare quanto prima a un accordo tra israeliani e palestinesi, ma le modalità sono ancora tutte da scrivere e nessuna opzione può essere scartata, come quella di un accordo regionale che includa anche i paesi arabi, per trovare un’intesa di ampio raggio in grado di affrontare insieme i diversi problemi che compromettono la stabilità dell’intera regione. Questo il punto nodale dell’incontro, ieri alla Casa Bianca, tra il presidente statunitense, Donald Trump, e il premier israeliano, Benjamin Netanyahu. Un incontro che — a detta degli analisti — segna un netto cambio di rotta rispetto alle precedenti amministrazioni. Finora mai nessun presidente statunitense aveva messo in discussione il principio dei due stati per due popoli, cardine delle risoluzioni delle Nazioni Unite, ribadito più volte nelle tante conferenze internazionali. «Io — ha detto Trump — sono per due stati o uno stato. Quello che preferiscono le parti. Il mio obiettivo è la pace, e a negoziarla devono essere israeliani e palestinesi. Noi possiamo assisterli, e poi sosterremo le loro decisioni». Il presidente si è detto sicuro che «faremo un accordo». Quindi ha aggiunto che, in questa fase, sarebbe auspicabile uno stop immediato agli insediamenti ebraici in Cisgiordania per favorire il negoziato. Trump ha poi ripetuto che con il suo staff «stiamo considerando con attenzio- L’insediamento israeliano di Beitar Illit (Reuters) ne il trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme. Vedremo cosa succede». Non è però sceso nei dettagli. Netanyahu ha ribadito le condizioni chiave della pace per Israele, puntando il dito soprattutto sulla sicurezza. Il leader del Likud ha detto: «Non mi interessano le etichette, ma la sostanza. E la sostanza è la stessa che ripeto da sempre. Le nostre condizioni per la pace sono due: primo, i palestinesi devono accettare l’esistenza di Israele come stato ebraico, smettendo di minacciarne la distruzione e insegnarla ai loro bambini; secondo, la sicurezza dell’intera regione dovrà essere affidata a Israele, altrimenti creeremo solo le condizioni per una nuova base terroristica». Netanyahu ha spiegato che «questo momento rappresenta una grande occasione», perché a causa del terrorismo di matrice jihadista «molti paesi arabi, per la prima volta nel corso della mia vita, non considerano più Israele un nemico, ma come un alleato». Nel loro incontro alla Casa Bianca, Trump e Netanyahu hanno inoltre confermato la determinazione a lavorare insieme contro il terrorismo, e la piena convergenza sulla linea verso l’Iran. Entrambi i leader considerano «l’accordo sul nucleare iraniano negoziato dal presidente Obama un errore», e il capo della Casa Bianca ha ribadito che «non consentiremo mai a Teheran di avere l’arma atomica». Netanyahu, dal canto suo, ha elogiato la decisione di imporre nuove sanzioni per il recente test missilistico. Quindi ha chiesto di prendere provvedimenti anche contro il movimento sciita libanese Hezbollah. Pablo Picasso, «La colomba della pace» (1949) «Oggi il mondo è in guerra. Tanti innocenti muoiono, perché i grandi e i potenti vogliono un pezzo più di terra, vogliono un po’ più di potere o vogliono fare un po’ più di guadagno col traffico delle armi»: una nuova forte denuncia dei conflitti che insanguinano diverse regioni del pianeta è stata rilanciata da Papa Francesco stamane, giovedì 16 febbraio. Durante la celebrazione della messa nella cappella di Casa Santa Marta, il Pontefice ha preso spunto dalle letture del giorno per ribadire come anche a chi vive in un’apparente condizione di A Damasco e ad Aleppo Un progetto per tre ospedali GIAMPIETRO DAL TOSO A PAGINA 5 PAGINA 8 NOSTRE INFORMAZIONI Il Pentagono studia l’opzione militare mentre si cerca di sbloccare lo stallo diplomatico Truppe di terra in Siria DAMASCO, 16. Il dipartimento alla difesa degli Stati Uniti sta preparando un rapporto da presentare alla Casa Bianca per chiedere il dispiegamento di forze convenzionali di terra nel nord della Siria. L’obiettivo sarebbe quello di imprimere un’accelerazione nella lotta contro i jihadisti del cosiddetto stato islamico (Is). «È possibile che vediate forze convenzionali di terra in Siria per un certo periodo» ha detto ieri un responsabile della difesa ad alcuni organi di stampa. Il responsabile ha però sottolineato che la decisione ultima spetterà al presidente Donald Trump. Questi ha ordinato al Pentagono di studiare un piano sulla Siria da discutere entro la fine del mese. Finora la Casa Bianca non ha mai preso in considerazione l’ipotesi di un intervento di terra in Siria. L’iniziativa — se approvata — potrebbe modificare in modo significativo le operazioni militari americane in Medio oriente: nel giro di poche settimane lo scenario potrebbe sostanzialmente mutare. Finora, soltanto piccoli gruppi composti in particolare da forze speciali hanno agito in Siria, garantendo addestramento e assistenza ai gruppi dell’opposizione anti-Is pre- L’Onu lancia il programma più ambizioso della sua storia y(7HA3J1*QSSKKM( +/!z!$!=!/! In difesa dei diritti umani NEW YORK, 16. L’Alto commissariato Onu per i diritti umani ha lanciato ieri un appello ai paesi membri per ottenere 253 milioni di dollari di fondi addizionali. Si tratta del «programma di aiuti più ambizioso» della storia delle Nazioni Unite e servirà a sostenere l’impegno nella lotta «per i diritti umani in un mondo entrato in un periodo di profonda incertezza». Il programma è stato annunciato ieri dall’Alto commissario Onu per i diritti umani, Zeid Raad Al Hussein, il quale ha sottolineato che in numerosi paesi «le regole stabilite sono sotto attacco, la xenofobia e gli appelli alla discriminazione razziale e religiosa sono entrati nel discorso dominante e giorno dopo giorno guadagnano terreno». L’Alto commissario ha evocato «il fallimento delle azioni per prevenire e risolvere conflitti e guerre, e il dramma di milioni di persone costrette a fuggire dalle loro case». Questo contesto preoccupante è motivo di allarme, ma anche di slancio. L’Alto commissariato Onu per i diritti umani è presente sul terreno con una sessantina di uffici e collabora con altre organizzazioni internazionali e locali in tutto il mondo per assicurare «che i principi dei diritti umani abbiano un impatto reale sulla vita delle popolazioni». Ma è anche «drammaticamente e cronicamente sottofinanziato» ha denunciato Al Hussein. «Abbiamo bisogno di ampliare la nostra base di supporto finanziario per includere più stati membri e incoraggiare la partecipazione di una gamma più ampia di donatori privati». L’obiettivo del nuovo programma è organizzare gruppi di lavoro su temi specifici come la tortura o gli aiuti in zone di guerra difficili da raggiungere. senti sul terreno. I reparti convenzionali — fanno sapere gli esperti — agiscono con numeri più larghi e richiederebbero un dispositivo di sicurezza più consistente, sia di terra sia aereo. Intanto, sul piano diplomatico, oggi a Bonn, in occasione del G20 si terranno diversi importanti bilaterali. Il più atteso è quello tra il segretario di stato americano, Rex Tillerson, e pace «il Signore domanderà conto del sangue dei nostri fratelli e sorelle che soffrono la guerra». Ecco allora l’invito a chiedersi: «Cosa faccio perché non sia versato più sangue nel mondo?» visto che — ha spiegato — «tutti siamo coinvolti». E in proposito ha sottolineato che «la preghiera per la pace non è una formalità» così come non lo è «il lavoro per la pace» che va fatto «tutti i giorni» per custodirla. Del resto, ha avvertito, «la guerra incomincia nel cuore dell’uomo, a casa, nelle famiglie, fra amici, e poi va oltre». Lo testimoniano «le notizie sui giornali o sui telegiornali» che mostrano al mondo come «quel seme di guerra che fa l’invidia, la gelosia, la cupidigia, è lo stesso — cresciuto, fatto albero — della bomba che cade su un ospedale, su una scuola e uccide i bambini». il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov. Ieri sulla crisi siriana è intervenuto l’inviato speciale dell’Onu, Staffan de Mistura, in visita a Roma. «L’ipotesi di una spartizione, di una divisione in zone di influenza della Siria è la peggiore ipotesi possibile» ha detto il diplomatico. «Perché sappiamo che questo può produrre una continuazione per anni e anni di una forma di guerriglia e instabilità. Da parte dell’Onu non c’è alcuna intenzione di favorire una spartizione». De Mistura ha parlato in conferenza stampa alla Farnesina, aggiungendo che «questo non vuol dire che non possa esserci nella futura costituzione una decentralizzazione amministrativa». Un nuovo round di negoziati sulla Siria è in programma il 23 febbraio a Ginevra. Saranno presenti — almeno nelle intenzioni degli organizzatori — le delegazioni del governo siriano e dell’opposizione; sarà il primo organizzato dall’Onu dopo dieci mesi di stallo. Nella capitale kazaka di Astana proseguono invece trattative trilaterali sul rafforzamento della tregua in corso (nelle zone dove non sono presenti gruppi jihadisti) sponsorizzata nelle scorse settimane da Russia, Iran e Turchia. A colloquio con il rettore di Roma Tre Immersi nella città NICOLA GORI A PAGINA 5 Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza gli Eminentissimi Cardinali: — Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione per il Clero; — Lluís Martínez Sistach, Arcivescovo emerito di Barcelona (Spagna); — Antonio Maria Vegliò, Presidente emerito del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Il Santo Padre ha ricevuto questa mattina in udienza il Professor Carl A. Anderson, Cavaliere Supremo dei Cavalieri di Colombo. Il Santo Padre ha accettato la rinuncia al governo pastorale della Diocesi di San Juan Bautista de las Misiones (Paraguay), presentata da Sua Eccellenza Monsignor Mario Melanio Medina Salinas. Provvista di Chiesa Il Santo Padre ha nominato Vescovo di San Juan Bautista de las Misiones (Paraguay) Sua Eccellenza Monsignor Pedro Collar Noguera, trasferendolo dalla sede titolare di Tamugadi e dall’incarico di Ausiliare di Ciudad del Este. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 2 venerdì 17 febbraio 2017 La sede del vertice del G20 a Bonn (Ap) Per Guterres serve una risposta europea alla crisi Nuova ondata di migranti verso le coste italiane BRUXELLES, 16. Rafforzare la politica dei rimpatri dei migranti economici dall’Italia: è il piano di lavoro su cui Frontex si è impegnato con l’Italia in vista di un nuovo, massiccio flusso di sbarchi che si prevede in arrivo dalla Libia nei prossimi mesi. Secondo il direttore esecutivo dell’Agenzia europea, Fabrice Leggeri, è infatti «realistico dire che sulla rotta del Mediterraneo centrale, nel 2017, occorre prepararsi ad affrontare lo stesso numero di arrivi di migranti del 2016», circa 180.000 (più 17 per cento rispetto al 2015). La collaborazione con le autorità libiche per l’addestramento della guardia costiera, così come i compact per la cooperazione con i paesi africani sono «un investimento importante, che darà i suoi frutti nel medio e lungo termine», ha spiegato Leggeri, ma «nel breve periodo» si punta a serrare le maglie dei controlli, per mettere assieme identificazioni ben documentate in modo da ottenere lasciapassare e fogli di viaggio dai consolati dei paesi terzi, per le riammissioni. Per questo serviranno nuovi hotspot e team mobili di esperti da impiegare per condurre accertamenti molto approfonditi. Secondo il direttore di Frontex, «una larga parte dei migranti in attesa di mettersi in viaggio dalla Libia, arrivano dall’Africa occidentale, ed almeno il 60 per cento di questi si stima siano migranti economici». Per poter condurre i rimpatri servirà anche un’accelerazione delle decisioni a livello nazionale. Nel 2016, i Paesi dell’Ue (direttamente responsabili per i rimpatri) hanno emesso 305.365 provvedimenti (più 6,5 rispetto al 2015), ma di questi solo 176.223 sono stati eseguiti, per una media di meno di 15.000 al mese. In particolare, Grecia e Italia hanno fatto registrare un numero di esecuzioni in calo del 10 per cento sul 2015, mentre la Germania ha incrementato del 24 per cento e la Svezia del 55. Leggeri ha messo però in guardia anche rispetto a un «triste paradosso» che si è evidenziato nel 2016: «Nonostante l’alto numero di operazioni sulla rotta del Mediterraneo centrale, con la più alta concentrazione di uomini e mezzi mai vista, si è registrato il picco storico di morti, con oltre 4500 vittime stimate». E per affrontare al meglio l’emergenza migranti, «c’è bisogno di una risposta europea, perché nessuno può farcela da solo». Lo ha detto ieri il segretario generale dell’O nu, António Guterres. Intervistato da alcuni giornali europei, l’ex primo ministro portoghese — che è stato a lungo alla guida dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati — ha osservato che l’arrivo in Europa nel 2016 di un milione di persone, ovvero il 2 per cento della popolazione del continente, non doveva gettare nel caos l’Unione e poteva essere facilmente gestito «se ci fosse stato un investimento importante nelle aree di accoglienza» (alloggi, amministrazione, controlli e poi redistribuzione nei vari Paesi europei). Uno dei barconi colmi di migranti soccorsi al largo della Libia (Ap) Non si fermano i disordini protesta — non autorizzata, alla quale, secondo la prefettura, partecipavano almeno 400 persone — è degenerata con un fitto lancio di oggetti contro le forze dell’ordine, che hanno replicato con cariche e gas lacrimogeni. Incendiati anche alcuni cassonetti della spazzatura da parte di casseurs incappucciati. Durante il corteo sono stati scanditi slogan ostili contro la polizia. La stazione della metropolitana di Barbès è stata chiusa e alcuni negozianti hanno abbassato le saracinesche. Scontri e vetrine infrante anche a Rouen, nel nord del paese. A meno di tre mesi dalle presidenziali, il presidente dell’Assemblèe Nationale, Claude Bartolone, ha chiesto un rapporto indipendente sulle pratiche legate al mantenimento dell’ordine pubblico. Tripoli chiede il sostegno dell’alleanza atlantica TRIPOLI, 16. La Nato ha ricevuto dal premier del governo di accordo nazionale libico, Al Sarraj, la richiesta formale di aiuto per la formazione delle istituzioni di difesa e sicurezza. Lo ha annunciato oggi il segretario generale dell’alleanza, Jens Stoltenberg. La disponibilità a sostenere le richieste di Al Sarraj era stata decisa al vertice di Varsavia della settimana scorsa. «Ieri sera — ha detto Stoltenberg in una conferenza stampa — ho ricevuto la richiesta formale da parte del premier libico per la consulenza e la competenza della Nato nella costruzione delle istituzioni per la sicurezza e la difesa». Già al vertice di Varsavia, ha ricordato, «gli alleati hanno concordato di fornire sostegno alla Libia se richiesto dal governo di accordo nazionale. Ora la richiesta è arrivata e il Consiglio atlantico discuterà su come portarla avanti al più presto». Intanto, fonti del governo egiziano hanno fatto sapere ieri che, malgrado il mancato incontro alcuni giorni fa tra l’uomo forte di Tobruk generale Haftar e il premier libico Al Sarraj, i due leader hanno trovato un’intesa per formare «una commissione congiunta» che modifichi l’accordo politico (firmato sotto l’egida delle Nazioni Unite il 15 dicembre 2015 a Skhirat, in Marocco) per porre fine all’instabilità. La notizia non ha ricevuto conferme ufficiali. L’OSSERVATORE ROMANO GIORNALE QUOTIDIANO Unicuique suum POLITICO RELIGIOSO Non praevalebunt Città del Vaticano [email protected] www.osservatoreromano.va Una fase degli scontri tra polizia e manifestanti nel centro di Parigi (Afp) Il Gambia resterà nella Cpi BANJUL, 16. Il Gambia resterà all’interno della Corte penale internazionale (Cpi), l’organismo con sede all’Aja che persegue i crimini di guerra e il genocidio. Il cambio di direzione è stato deciso dal nuovo presidente, Adama Barrow, rispetto al ritiro proposto dal suo predecessore, Yaya Jammeh, che aveva accusato la Cpi di persecuzione nei confronti dei leader dei paesi africani. «Il governo del Gambia ha informato l’Onu — si legge in una nota emessa a Banjul — della deci- GIOVANNI MARIA VIAN direttore responsabile Giuseppe Fiorentino vicedirettore Piero Di Domenicantonio Servizio internazionale: [email protected] Servizio culturale: [email protected] Servizio religioso: [email protected] caporedattore Gaetano Vallini segretario di redazione Servizio fotografico: telefono 06 698 84797, fax 06 698 84998 [email protected] www.photo.va BERLINO, 16. Si apre oggi a Bonn la riunione informale dei ministri degli esteri del G20. La ministeriale, alla quale partecipa l’alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, si concentrerà sul ruolo della politica estera nella trattazione delle sfide globali. Sarà presieduta dal ministro degli esteri tedesco, Sigmar Gabriel (che ha preso il posto di BRUXELLES, 16. L’Alleanza atlantica «rimane un fondamento essenziale per gli Stati Uniti e per tutta la comunità transatlantica», ma «è una richiesta giusta che tutti coloro che beneficiano della migliore difesa del mondo si accollino una quota proporzionata dei costi necessari a difendere la libertà». Lo ha detto ieri il segretario alla difesa statunitense, James Mattis, in un messaggio inviato da Washington agli alleati europei, riuniti a Bruxelles per la ministeriale della difesa della Nato. «È ora di mettere mano al portafogli e di contribuire di più alle spese che servono a difendere l’Europa», ha precisato Mattis. Una richiesta definita «giusta» dal segretario generale della Nato, il norvegese Jens Stoltenberg. Durante il dibattito, Stoltenberg ha detto che diversi alleati — tra cui Lituania e Lettonia — hanno fatto sapere che raggiungeranno l’obiettivo di portare le spese per la difesa al 2 per cento del prodotto interno lordo. E molto presto, ha aggiunto, farà lo stesso anche la Romania. Riguardo alla sicurezza, la Nato dispiegherà dei droni di sorveglianza in Sicilia, per controllare quello che succede sul terreno. «Li utilizzeremo in diversi posti, ma avranno la loro base in Sicilia», ha precisato Stoltenberg. Diga etiopica minaccia mezzo milione di persone sione di interrompere il processo di ritiro dalla Cpi iniziato nel novembre 2016. Il Gambia ha informato il segretario generale dell’Onu, António Guterres, che intende continuare a rispettare gli obblighi assunti con l’adesione e gli impegni sul fronte del rispetto dei diritti umani, la buona governance e il rispetto dello stato di diritto». Il Gambia aveva seguito la decisione del ritiro dalla Cpi già adottata dal Burundi e dal Sud Africa. Servizio vaticano: [email protected] Vertice del G20 La Nato riunita a Bruxelles Tensione a Parigi PARIGI, 16. Lancio di oggetti, gas lacrimogeni e violenti scontri tra dimostranti e polizia hanno contraddistinto la manifestazione di ieri a Parigi per Theo, il ragazzo brutalizzato da una pattuglia di quattro agenti di polizia all’inizio febbraio in una banlieue. All’incrocio tra Boulevard Barbès e Boulevard de Rochechouart, alle pendici di Montmartre, la manifestazione di Attesa per l’incontro tra Tillerson e Lavrov ADDIS ABEBA, 16. La diga etiopica Gilgel Gibe III ha drasticamente ridotto il flusso d’acqua verso il lago Turkana e minaccia la sopravvivenza delle popolazioni che vivono nell’area, almeno mezzo milione di persone. Ad affermarlo è Human Rights Watch in un rapporto, che conferma le preoccupazioni avanzate dalle organizzazioni per i diritti civili già nel 2015, ancora prima dell’inaugurazione della diga (la terza più grande dell’Africa), avvenuta un anno dopo. Il lago Turkana, il più grande del mondo Segreteria di redazione telefono 06 698 83461, 06 698 84442 fax 06 698 83675 [email protected] Tipografia Vaticana Editrice L’Osservatore Romano don Sergio Pellini S.D.B. direttore generale in un luogo desertico, è sprofondato di un metro e mezzo rispetto ai precedenti livelli del 2015, quando l’acqua, sottratta al fiume, cominciò a riempire l’invaso della diga. La fascia costiera si è allargata di due chilometri, privando la pesca locale di buona parte delle risorse. Inoltre, denunciò a suo tempo l’organizzazione umanitaria Survival, la diga ha messo fine alle esondazioni naturali del fiume Omo, da cui dipendono direttamente 100.000 indigeni e altri 100.000 indirettamente. Tariffe di abbonamento Vaticano e Italia: semestrale € 99; annuale € 198 Europa: € 410; $ 605 Africa, Asia, America Latina: € 450; $ 665 America Nord, Oceania: € 500; $ 740 Abbonamenti e diffusione (dalle 8 alle 15.30): telefono 06 698 99480, 06 698 99483 fax 06 69885164, 06 698 82818, [email protected] [email protected] Necrologie: telefono 06 698 83461, fax 06 698 83675 Frank-Walter Steinmeier, appena eletto presidente della Germania), e vedrà la partecipazione, tra gli altri, del segretario generale dell’Onu, António Guterres, del segretario di Stato americano, Rex Tillerson, e del ministro degli esteri italiano, Angelino Alfano. I lavori al World Conference Center di Bonn si articoleranno in tre sessioni, dedicate all’attuazione dell’agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, alla prevenzione dei conflitti, con particolare riferimento al ruolo delle donne, e alla stabilizzazione e sviluppo dell’Africa. Si parlerà anche di cambiamento climatico, commercio e regolamento dei mercati finanziari. La riunione tedesca, indicano gli analisti politici, sarà l’occasione per un colloquio tra il nuovo capo della diplomazia statunitense e il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov, primo incontro ufficiale di un esponente dell’amministrazione Trump — nella bufera a Washington dopo le dimissioni del consigliere per la sicurezza nazionale, Mike Flynn, per i contatti avuti con Mosca prima dell’insediamento — con un rappresentante del governo russo. Una bilaterale molto attesa, anche alla luce del recente contrasto sull’Ucraina. Domani, a Monaco di Baviera, è invece in programma l’annuale conferenza sulla sicurezza, che sarà aperta dall’intervento del cancelliere tedesco, Angela Merkel. Emissioni nocive all’esame dell’europarlamento BRUXELLES, 16. Il Parlamento europeo ha chiesto una riduzione delle quote di emissione di gas a effetto serra disponibili sul mercato del carbonio Ets (Emission trading scheme), con l’obiettivo di allineare la politica climatica dell’Ue ai target fissati dall’accordo della conferenza di Parigi. Le nuove misure dovrebbero aumentare il prezzo degli Ets, incoraggiando l’industria a investire di più su rinnovabili e efficienza energetica. L’europarlamento ha dato il suo sostegno alla proposta della commissione di ridurre del 2,2 per cento ogni anno il numero di «crediti di carbonio» (quote di emissione) da mettere all’asta, per poi portarlo al 2,4 per cento a partire dal 2024. L’attuale regime, indicano gli analisti, si è dimostrato poco efficace, con un crollo del valore degli Ets causato dalla crisi economica e dal numero in eccesso delle quote di emissione. L’europarlamento, inoltre, vuole raddoppiare la capacità della riserva stabilizzatrice del mercato per il 2019 di assorbire l’eccesso di quote sul mercato. Questo consentirebbe di assorbire fino al 24 per cento di crediti in eccesso venduti all’asta ogni anno, per i primi quattro anni. Concessionaria di pubblicità Aziende promotrici della diffusione Il Sole 24 Ore S.p.A. System Comunicazione Pubblicitaria Ivan Ranza, direttore generale Sede legale Via Monte Rosa 91, 20149 Milano telefono 02 30221/3003, fax 02 30223214 [email protected] Intesa San Paolo Ospedale Pediatrico Bambino Gesù Società Cattolica di Assicurazione Credito Valtellinese L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 17 febbraio 2017 pagina 3 Contro la politica dell’immigrazione definita dalla Casa Bianca Fronte comune dei paesi centramericani Revocate dal Congresso le misure restrittive sulle armi WASHINGTON, 16. Svolta sul mercato delle armi. Il Congresso degli Stati Uniti, a netta maggioranza repubblicana, con un voto bipartisan ha revocato una norma voluta dall’ex presidente Barack Obama che rendeva più stringenti i controlli sull’acquisto di armi da parte di persone con problemi mentali. Il divieto, seppure in modo meno stringente, era in vigore già in passato e prevedeva che chiunque fosse stato dichiarato «malato mentale» da un giudice o da un’autorità federale non potesse più ottenere un’arma. Tuttavia, il mancato aggiornamento del sistema di verifica dei precedenti penali e di salute (National Istant Criminal Backgroun Check) è sempre stato un ostacolo di fatto all’applicazione rigorosa della norma. Un caso eclatante in questo senso risale al 2012, quando il ventenne Adam Lamza, malato di mente, massacrò venti bambini e sei adulti, inclusa la madre, nella scuola elementare Sandy Hook in Connecticut. Lamza possedeva legalmente un fucile d’assalto Ar-15 Bushmaster. Sull’onda dell’emozione del caso, l’allora presidente Obama ordinò alla Social Security Administration di aggiornare il sistema informatico, procedimento che venne portato a termine tre anni dopo la strage, nel dicembre del 2015. La norma fu molto discussa anche a causa della resistenza da parte della potente e trasversale lobby delle armi. La norma voluta da Obama è stata tra le poche riforme che hanno in parte inciso sul II emendamento della Costituzione, varato nel 1791, che sancisce il diritto dei privati cittadini a girare armati per garantire la propria sicurezza e che è ritenuto da molti ambienti un caposaldo essenziale della liberta nel paese. Ora il senato con una netta maggioranza di 57 senatori (ai 52 repubblicani si sono aggiunti anche 5 democratici) ha abolito la misura. Sulla stessa linea il voto precedente alla camera dei rappresentanti. C’è quindi il rischio che anche persone con manifesti problemi mentali tornino ora ad acquistare e possedere legalmente un’arma. CITTÀ DEL MESSICO, 16. Messico, Guatemala, Honduras ed El Salvador faranno fronte comune per affrontare la minaccia di rimpatri di massa dagli Stati Uniti dei cittadini dei rispettivi paesi. A rendere noto l’accordo sono stati i governi delle nazioni coinvolte nell’intesa. I ministri degli esteri dei quattro esecutivi hanno annunciato che intendono «scambiare informazioni» su quanto sta succedendo a seguito delle politiche sull’immigrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Lo scopo dell’accordo, è stato precisato, è quello di proteggere i diritti dei propri cittadini negli Stati Uniti. Per ora, l’accordo non prevede azioni congiunte in altri ambiti al di fuori dello scambio delle informazioni. Ma potrebbero configurarsi collaborazioni in altre aree, come quella giuridica. La situazione rimane tesa e anche per questo il segretario di Stato americano, Rex Tillerson, e il segretario per la Sicurezza interna, John Kelly, hanno fissato per la prossima settimana una visita in Messico. Si scorsi. Il ruolo, attualmente ricoperto ad interim dal generale in pensione Keith Kellogg, capo dello staff del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, sarebbe stato offerto al viceammiraglio in pensione Robert Harward. Con esperienza di combattimento come Navy Seal, Harward era stato immediatamente indicato tra i possibili successori di Flynn. È stato vicecomandante del comando centrale sotto la guida dall’attuale capo del Pentagono, James Mattis, ha servito nel consiglio per la sicurezza nazionale durante la presidenza di George W. Bush e presso il Centro nazionale contro il terrorismo. «Il presidente sta attualmente valutando un gruppo di candidati molto forti che saranno presi in considerazione per ricoprire l’incarico di consigliere per la sicurezza nazionale in modo permanente, mentre confida nell’abilità del generale Kellogg finché non sarà scelta la persona definitiva», ha dichiarato da parte sua il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer. Il presidente messicano Enrique Peña Nieto (Reuters) In difesa del patrimonio minerario dell’Amazzonia Dopo un’inchiesta scomoda Proteste degli indigeni ecuadoriani Maduro oscura la Cnn QUITO, 16. La concessione dei diritti di sfruttamento di una miniera a una società cinese ha suscitato la protesta delle popolazioni indigene a Santiago de Panantza, nella regione amazzonica dell’Ecuador. Gli abitanti, in maggioranza dell’etnia shuar, stanno manifestando da tempo contro l’attività mineraria e altri progetti previsti in quei territori contestando una politica economica fondata sullo sviluppo delle imprese minerarie e petrolifere in gran parte straniere. Nei mesi scorsi si sono registrati scontri con le forze dell’ordine che hanno provocato vittime. Da parte sua il governo per rilanciare l’economia punta proprio sullo sfruttamento di un sottosuolo ricco di oro, argento e rame. Finora l’Ecuador, il più piccolo dei membri dell’Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio (Opec), ha sempre preferito concentrarsi sulle risorse petrolifere, trascurando l’attività mineraria. Adesso il governo sta cambiando atteggiamento anche perché la prolungata fase di discesa dei prezzi del greggio ha fatto sprofondare l’Ecuador nella recessione. Manifestazione di indigeni ecuadoriani Attentato suicida provoca vittime a Baghdad BAGHDAD, 16. È di almeno dieci morti e 35 feriti il bilancio di un attentato suicida ad al Habbibiya, una zona di Baghdad compresa nel vasto sobborgo nord-orientale di Sadr City, roccaforte degli sciiti oltranzisti. Lo hanno riferito fonti del ministero dell’interno, precisando che il kamikaze si è mescolato ai clienti in una rivendita di veicoli usati e poi ha fatto detonare la cintura esplosiva che indossava. La strage ha fatto seguito alle crescenti manifestazioni di piazza inscenate per reclamare riforme elettorali. Le proteste sono organizzate da sostenitori dell’imam radicale sciita Moqtada al Sadr e sono degenerate sabato scorso in violenti scontri con le forze di sicurezza durante i quali sono morte sette persone. La notizia dell’attentato arriva mentre il cosiddetto stato islamico (Is) ha reso noto di avere utilizzato bambini yazidi rapiti come attentato- tratta di una missione delicata dopo l’annuncio del presidente Trump che intende costruire un muro alla frontiera tra Stati Uniti e Messico per arginare il flusso di immigrazione e traffici illegali e dopo la cancellazione della visita a Washington del capo di stato messicano Enrique Peña Nieto. Intanto a nemmeno un mese dal suo insediamento, l’amministrazione statunitense ha perso il segretario al Lavoro che aveva designato. Andrew Puzder, imprenditore nel settore della ristorazione, si è ritirato dall’iter per la conferma della nomina per la mancanza della maggioranza necessaria in Senato. Le critiche a Puzder erano cominciate subito dopo la designazione da parte di Trump, in particolare per discrepanze emerse in materia fiscale e in reazione a dichiarazioni dell’imprenditore a capo di catene di fast food, giudicate da alcuni denigratorie nei confronti dei dipendenti e sessiste. Trump deve inoltre sostituire Michael Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale dimessosi nei giorni ri suicidi contro le truppe irachene che hanno riconquistato la parte est di Mosul. In un video diffuso dall’Is vengono mostrati ragazzi dall’apparente età di 12-14 anni mentre vengono addestrati in un campo militare. Si tratterebbe di giovanissimi fatti prigionieri a Sinjar, città abitata dagli yazidi nel nord dell’Iraq, occupata nell’estate 2014 dall’Is e riconquistata dalle forze curde nel novembre 2015. Nello stesso video vengono mostrate le immagini di due attentati suicidi a Mosul est e si afferma che gli attacchi sono stati compiuti da due di questi ragazzi. Intanto l’ufficio delle Nazioni Unite a Baghdad ha annunciato la sospensione della distribuzione degli aiuti umanitari nella parte orientale di Mosul a causa dei bombardamenti a cui questi quartieri sono sottoposti da forze dell’Is che cercano di rientrare in città. CARACAS, 16. Il Venezuela ha oscurato su tutto il territorio le trasmissioni dell’emittente televisiva Cnn in lingua spagnola. Lo ha annunciato la Commissione nazionale sulle telecomunicazioni. La decisione è stata assunta dopo che diversi esponenti del governo chávista avevano protestato a seguito di una inchiesta mandata in onda dall’emittente televisiva statunitense nella quale si sosteneva che l’ambasciata di Caracas in Iraq avrebbe venduto a caro prezzo passaporti e visti venezuelani a cittadini mediorientali, fra i quali figurerebbero anche alcuni sospetti terroristi legati a Hezbollah. I contenuti diffusi dalla Cnn «in modo sistematico» rappresentano «aggressioni contro la pace e la stabilità democratica nel paese e favoriscono un clima di intolleranza», sostiene una nota diffusa dalla commissione. Il ministro degli esteri, la signora Delcy Rodríguez, ha inoltre sottolineato che le trasmissioni della rete di notizie degli Stati Uniti rappresentano «un’operazione mediatica» che punta «a concretizzare un intervento in Venezuela». Alcuni giorni fa, il presidente Nicolás Maduro aveva affermato che non avrebbe tollerato che l’emittente televisiva statunitense «mettesse il naso» negli affari interni del Venezuela. «Voglio la Cnn ben lontana da qui», aveva sottolineato il leader chávista. La situazione in Venezuela, paese che sta affrontando una gravissima Un cristiano al ballottaggio nelle elezioni a Jakarta JAKARTA, 16. Con lo spoglio delle schede ancora in corso nel voto locale in Indonesia, l’elezione del governatore di Jakarta sembra avviata a un ballottaggio che vedrà coinvolti il governatore in carica Basuki “Ahok” Tjahaj Purnama, cristiano (protestante) di etnia cinese, e Anies Rasyid Baswedan. Con Ahok a processo per blasfemia e sotto costante attacco da parte degli islamici conservatori, ulteriori due mesi di campagna elettorale rischiano di aumentare ulteriormente la tensione politica nel paese. Il conteggio ancora incompleto dei voti attribuisce oltre il quaranta per cento ad Ahok, in leggero vantaggio su Baswedan, un ex ministro dell’istruzione che ha cercato i voti dei conservatori islamici ed è spalleggiato dall’ex generale Prabowo Subianto, sconfitto dall’attuale presidente Widodo alle elezioni del 2014. In vista del ballottaggio, potrebbero risultare determinanti le preferenze degli elettori del candidato sconfitto al primo turno, Agus Harimurti Yudhoyono, figlio dell’ex presidente Susilo Bambang Yudhoyono. Secondo gli analisti indonesiani, è probabile un’alleanza tra lui e Baswedan, che renderebbe ardua la riconferma per Ahok. Il voto di Jakarta è interpretato come un possibile anticipo delle elezioni presidenziali del 2019: lo stesso Widodo era governatore della capitale fino a tre anni fa e fu rimpiazzato dal suo vice Ahok. Le elezioni sono però soprattutto considerate come un test dell’influenza dell’islam radicale nel paese, ancora minoritario ma in forte crescita, con preoccupanti ripercussioni in un arcipelago dal delicato equilibrio etnico e religioso. crisi economica, è stata uno dei principali argomenti del colloquio telefonico avvenuto ieri tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il capo di stato argentino Mauricio Macri. Cinque minuti di conversazione «amichevole e molto cordiale», con al centro i temi riguardanti l’America Latina e i rapporti con Caracas, hanno sottolineato diversi media di Buenos Aires. Trump ha invitato Macri a visitare Washington, e ha convenuto sulla necessità che i rispettivi ministri degli esteri s’incontrino in Germania in questi giorni per fissare la data di un vertice tra i presidenti. Fonti di stampa argentine hanno inoltre ricordato che Trump e Macri si sono conosciuti e frequentati negli anni Ottanta a New York, dove l’attuale presidente argentino si recava per ragioni di lavoro come imprenditore nel settore immobiliare. Negli ultimi giorni Trump ha parlato anche con altri due presidenti dell’America Latina, il colombiano Juan Manuel Santos e il peruviano Pedro Pablo Kuczynski. Vasta offensiva dei talebani nel Pakistan ISLAMABAD, 16. Vari gruppi di talebani hanno sferrato un’offensiva nelle ultime 72 ore in varie zone del Pakistan, realizzando sei attentati che hanno prodotto un bilancio di almeno 49 morti e 108 feriti, fra civili, membri delle forze di sicurezza, militanti e attentatori suicidi. Gli attacchi, hanno riferito i media pakistani, sono stati tutti rivendicati: due dal Tehrek-e-taliban Pakistan (Ttp), tre dal Jamaat ul Ahraar (JuA) e uno dal Lashkar-eJhangvi al-Alami. L’ondata di attacchi è cominciata il 13 febbraio a Lahore con un attentatore suicida che si è fatto esplodere vicino a un corteo scortato dalle forze di sicurezza. I morti sono stati 16, fra cui sette membri della polizia (anche due ufficiali), e i feriti 83. Ad essi si deve aggiungere il decesso dell’attentatore suicida. Lo stesso giorno, due artificieri sono morti a Quetta (capoluogo del Baluchistan) e altre 14 persone sono rimaste ferite, fra cui cinque agenti, mentre tentavano di disinnescare un ordigno che però i talebani hanno attivato a distanza. Quasi nelle stesse ore tre soldati pakistani hanno perso la vita per lo scoppio di un ordigno rudimentale (ied) collocato dai militanti del Ttp nel territorio tribale nordoccidentale del Waziristan settentrionale. Oggi nel primo di tre attentati realizzati nel territorio tribale della Mohmand Agency due attentatori suicidi hanno causato la morte di cinque persone (fra cui tre paramilitari) e il ferimento di altre cinque. Più tardi nello stesso territorio un attentatore suicida riconosciuto da un soldato ha attivato la carica che portava indosso uccidendo se stesso e il militare che lo aveva bloccato. Infine in una esplosione a Peshawar un attentatore suicida ha provocato il decesso di un funzionario governativo e il ferimento di quattro dipendenti del settore giudiziario. Oltre cinquanta civili rapiti dagli insorti afghani KABUL, 16. Un commando di talebani ha rapito un gruppo di almeno 52 persone nella provincia di Jowzjan, nel nord dell’Afghanistan. Gli ostaggi sono tutti contadini di tre villaggi della provincia. «I contadini sono stati rapiti dai talebani che vogliono così fare pressioni sugli abitanti della zona per estorcere loro denaro», ha detto Mohammad Reza Ghafoori, portavoce del governo di Jowzjan. Il funzionario ha precisato che le autorità sono in contatto con i leader tribali della zona per l’avvio di una mediazione con gli insorti afghani che porti al rilascio degli ostaggi. I talebani non hanno comunque sinora rivendicato il sequestro, mentre hanno rivendicato l’attacco nella vicina provincia di Faryab dove sono rimasti uccisi cinque miliziani filogovernativi. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 4 venerdì 17 febbraio 2017 Wassily Kandinsky «Composizione IV» (1911) A Roma le sculture di Gustavo Aceves Cavalli di battaglia di ZYGMUNT BAUMAN on c’è più religione... Dio è morto». Lo sentiamo ripetere di continuo, e qualcuno di quelli che si lanciano in affermazioni del genere pretendono di avvalorarle anche con l’autorità dei fatti: quanti sono oggi, per dire, i neonati che vengono portati in chiesa per essere battezzati, e non è forse vero che il numero delle persone che frequentano la messa domenicale è in calo — perlomeno in Gran Bretagna o nei paesi nordici?... Questi dati vengono trascelti proprio con l’intento di appoggiare la tesi, e la loro reiterata ripetizione mira a far sì che, come accade con tutti gli altri pregiudizi, alla fine l’affermazione sia considerata ben fondata e creduta vera. Ma, svolgono essi il compito loro assegnato? Forse lo farebbero, se non fosse per l’enorme e crescente volume di altri fatti che suggeriscono — e dimostrano — la diagnosi esattamente contraria: e cioè che la religione esiste e continua ad avere forza e influenza, e che i necrologi per Dio sono, quantomeno, assolutamente prematuri. Fu a motivo del numero inarrestabilmente crescente di quegli altri fatti, che di GABRIELE NICOLÒ «N L’ Un luogo comune infondato Non c’è più religione cui viviamo in un mondo secolarizzato è falso. Il mondo di oggi, salvo alcune eccezioni, continua a essere accanitamente religioso quanto è sempre stato, e da qualche parte anche più di quanto sia mai stato». Berger corresse il suo errore. Ci mise del tempo, ma in fin dei conti gli ven- Pregiudizio universale Pubblichiamo un capitolo dal libro Il pregiudizio universale. Un catalogo d’autore di pregiudizi e luoghi comuni (Bari-Roma, Laterza, 2016, pagine XIX + 394, euro 18). Nel volume, che tratta temi molto diversi tra loro, sono raccolti brevi scritti, tra gli altri, di Giulio Anselmi, Luciano Canfora, Andrea Carandini, Valerio Castronovo, Ilvo Diamanti, Giuseppe Pignatone, Sergio Romano, Fabrizio Valletti (il cui testo è stato pubblicato sull’Osservatore Romano dello scorso 4 febbraio) e Ignazio Visco. Peter Berger, uno dei più autorevoli sociologi del Ventesimo secolo, si vide costretto a rovesciare la sua diagnosi di 180 gradi. Nel 1968 aveva pronosticato nel «New York Times» che, nel Ventunesimo secolo, di «credenti religiosi se ne troveranno probabilmente solo in piccole sette, stretti assieme per resistere a una cultura secolare mondiale». Ma trent’anni dopo, alle soglie del nuovo secolo cui la sua precedente predizione si riferiva, si sentì in dovere di concludere (in The Desecularization of the World, 1999) che «l’assunto secondo Nella festa di fra Angelico In occasione della festa del Beato Angelico, patrono degli artisti, la Diaconia della bellezza — fondazione che riunisce artisti cattolici di diversi ambiti — ha organizzato dal 17 febbraio a Roma un simposio di tre giorni. Sostenuto dal Vicariato e dai domenicani, l’incontro sarà scandito da alcune celebrazioni che si terrano a Santa Maria sopra Minerva. Qui, presso l’altare maggiore, è sepolto il pittore sulla cui lastra tombale si legge un epitaffio latino attribuito a Lorenzo Valla. Tra i diversi appuntamenti e visite che figurano nel programma, spicca l’oratorio di musica sacra previsto per la sera del 18 febbraio nella stessa chiesa e a cui parteciperà l’attore francese Michael Lonsdale. Lo stesso Lonsdale sarà anche presente alla tavola rotonda conclusiva — che si svolgerà il 19 febbraio nella sala del Senato di Santa Maria sopra Minerva — sul tema «Fra Angelico, uno sguardo sulla bellezza di Dio». idea è nata alcuni anni fa lungo le rive del fiume Niger, frutto dell’illuminante incontro con la popolazione locale chiamata a fronteggiare la violenza e la crudeltà di un potere che, senza giustificazione alcuna, generava morte, emarginazione e quindi migrazione. Al centro della mostra «Lapidarium» — fino al 5 marzo, allestita nell’area archeologica di Roma, comprendente l’arco di Costantino, la piazza del Colosseo fino ai Mercati di Traiano — vi è infatti il tentativo dell’artista messicano, Gustavo Aceves, di creare un monumento imperituro ai vinti, cioè a coloro che sono stati costretti a raccogliere i loro beni, molto spesso povere cose, e ad abbandonare la propria amata terra alla ricerca di una vita migliore in un paese lontano e totalmente ignoto. Ecco allora che l’esposizione, a cura di Francesco Buranelli, si configura come un’originale occasione per riflettere sulle ingiustizie e le violenze legate a quel fenomeno delle migrazioni e delle diaspore che nella storia dell’umanità ha costituito e continua a costituire una tragica costante. Composto da quaranta sculture, alte dai tre agli otto metri, e in alcuni casi lunghe fino dodici metri, «Lapidarium» è un progetto in progress che nel corso del 2017 farà tappa in varie città del mondo, da Istanbul a Parigi a Venezia, per concludersi, nel 2018, a Città del Messico. La mostra schiera un’imponente serie di sculture equestri in bronzo, marmo, legno, ferro e granito, ne facile; da scienziato, aveva sviluppato metodi che gli consentivano di confermare o smentire enunciati, e quindi di distinguere le false credenze da quelle vere e pertanto di spianare la strada alla verità in questione. Questa è appunto la differenza fra le credenze fondate in fatti verificabili e controllati e quelle derivate da emozioni: fra la conoscenza e la fede, il ragionamento e il dogma, la scienza e il pregiudizio. Il pregiudizio è dogmatico; quelli che li abbracciano rifiutano l’argomentazione e chiudono le orecchie ai giudizi contrari al proprio per paura di dover ammorbidire le loro convinzioni. Quando si trovano davanti a un’idea differente da quella cui sono affezionate, le persone prigioniere di pregiudizi non sottopongono l’argomentazione contraria a una verifica, ma — risparmiandosi il fastidio di ascoltare e ancor più di capire — la liquidano sulla base dell’aprioristica infallibilità di quella che per loro è la verità. Molta acqua è passata sotto i ponti di tutti i fiumi del mondo, da quando Friedrich Nietzsche, uno dei giganti della filosofia moderna, scrisse nella Gaia scienza (1882) che «Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente Il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremmo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa?». Ma Dio è ancora ben vivo, come senza dubbio lo sono — e anche ben visibili — le religioni, che poggiano sulla sua immortale onnipresenza: contrariamente all’orgogliosa rivendicazione della mente moderna secondo cui noi, uomini, siamo pienamente in grado di afferrare, comprendere, descrivere, affrontare e gestire il mondo e la nostra presenza in esso in perfetta autonomia; e contrariamente alla nostra proclamata intenzione di mettere il mondo sotto l’amministrazione unica di noi, uomini, armati come siamo di ragione e dei suoi due germogli: la scienza e la tecnologia. In netto contrasto con la loro promessa, quelle armi non sono riuscite a dotare noi, umani mortali, dell’onnipotenza — che è il tratto che definisce il Dio immortale — ed è sempre meno probabile che con tutte le loro scoperte e invenzioni terrificanti lo possano mai fare. L’impressione è che, ove mai Dio «morisse» — e cioè, esiliato dal nostro pensiero, espatriato dalle nostre vite, cessasse di essere punto di riferimento e di appello e fosse sostanzialmente dimenticato — ciò accadrebbe solo insieme con la morte dell’umanità. Se ci chiediamo perché è così e perché così deve essere, la risposta è che Dio sta per la nostra insufficienza, l’insufficienza di noi esseri umani — secondo la memorabile formulazione del grande filosofo polacco Leszek Kolakowski —: insufficienza del nostro pensiero e della nostra capacità pratica; insufficienza che è del tutto improbabile possa mai essere superata. Ci sono fenomeni di cui non possiamo non essere consapevoli — come per esempio l’eternità e l’infinito, o al perché e per che cosa noi esistiamo, e perché c’è qualcosa piuttosto che il nulla —, fenomeni e interrogativi che nonostante i più grandi sforzi delle menti umane più eccelse noi mai comprenderemo perché vanno ben oltre il regno dell’esperienza umana entro il quale la nostra ragione, la nostra scienza e tecnologia operano e a cui esse sono costrette a rimanere confinate. E ci sono fenomeni di cui dovremo prima o poi prendere consapevolezza, che non si sottometteranno mai al nostro — di esseri umani — controllo e gestione. In parole povere, ci sono limiti insuperabili a quello che noi possiamo sapere e a quello che possiamo fare. Il fatto che Dio sta per questi due tipi di fenomeni e insieme il fatto che noi siamo condannati a rimanere insufficienti assicurano nel loro intreccio l’eterna presenza di Dio nella condizione esistenziale dell’uomo. In altre parole: l’eternità di Dio, e l’eternità delle religioni che cercano di rendere vivibile la vita vissuta con la consapevolezza di tutti questi paradossi, sono garantite dall’immortalità (se misurata con i metri umani) della endemica insufficienza umana. Un’altra considerazione dobbiamo fare per completare il quadro: l’insufficienza umana è duplice: collettiva e individuale. Quella collettiva è l’insufficienza della specie umana nel suo insieme, evidente di fronte all’infinità dello spazio e del tempo dell’universo; quella individuale è l’insufficienza della dotazione del singolo uomo, evidente di fronte al fato (un’etichetta per indicare in sintesi tutti gli aspetti della nostra vita individuale che non siamo in grado di controllare e modificare). La prima è oggetto d’interesse per i filosofi e per tutti noi nei (rari) momenti in cui cadiamo in un certo umore filosofico. La seconda l’abbiamo davanti a noi e con essa dobbiamo fare i conti ogni giorno tutti, ciascuno per sé e nel modo che gli è proprio. Entrambe sottolineano l’eternità di Dio e delle religioni, ma il loro peso relativo cambia con il passare del tempo. Come Ulrich Beck suggeriva, in maniera convincente, nel suo Il Dio personale (2008), nel nostro mondo attuale completamente individualizzato, un mondo in cui il crescente volume dei compiti della vita tende a essere fatto scivolare dalle spalle delle società e comunità a quelle dell’individuo, è ognuno di noi, l’inadeguatezza individualmente sentita ad affrontare problemi creati a livello sociale (e persino globale), che gioca il ruolo primario nel suscitare la domanda di Dio e di religione. Il silenzio diventa un best seller Occupa un’intera pagina sul «País» del 16 febbraio il colloquio di Borja Hermoso con Pablo d’Ors intitolato con efficacia I silenzi di un sacerdote si trasformano in supervendite. Il fenomeno culturale ed editoriale di cui è protagonista il prete spagnolo, nipote dello scrittore Eugenio d’O rs (1881-1954) e a sua volta autore di successo, è in effetti impressionante, Pablo d’Ors (foto di Bernardo Pérez dal «País») non solo in Spagna (in Italia è tradotto soprattutto da Vita e Pensiero). Il quotidiano madrileno ricorda ovviamente — accanto alla “trilogia del silenzio” (El amigo del desierto, 2009, Biografía del silencio, 2012, e infine El olvido de sí, 2013, su Charles de Foucauld) — Sendino se muere (2012), nato dall’esperienza del sacerdote come cappellano dell’ospedale universitario madrileno Ramón y Cajal. «Bisogna parlare dell’anelo, della sete interiore e del desiderio di pienezza con le parole che utilizza oggi la gente» dice d’O rs al «País», perché «spesso il discorso ecclesiastico si collega poco con la sensibilità e con il linguaggio della gente comune». Subito dopo il prete scrittore spiega il successo di Biografía del silencio, che ha superato in Spagna le centomila copie vendute: «Credo che la chiave di questa accoglienza è che questo libro, questa parola, è preceduta da molto silenzio, da centinaia, migliaia di ore passate in silenzio. E solo le parole precedute dal silenzio possono toccare il cuore della gente». E aggiunge: «Percepisco nella gente di oggi una fame di silenzio, ma al tempo stesso un vero panico di fronte a questo». (g.m.v.) Gustavo Aceves, «Cavallo monumentale» (Pietrasanta, 2014) appoggiate sullo scheletro di un’imbarcazione che — mettendo insieme i ricordi ancestrali di Aceves legati ai galeoni spagnoli impegnati nella conquista dell’America centrale e l’immagine di una canoa indigena del Niger (collegata invece a un suo viaggio in Africa) — punta a fare irruzione nella drammatica attualità, segnata dal tragico destino dei tanti barconi carichi di migranti naufragati nelle acque del Mediterraneo. Come scrive Claudio Parisi Presicce nel catalogo, la mostra emette «un grido dell’arte» che viene poi trasmesso e amplificato da un esercito di cavalli, simbolo di libertà, di fiera forza e di vittoria: ma anche simbolo di sconfitta, di dolore e di morte. Così le piazze di Berlino (dove la mostra è stata inaugurata nel 2015), Roma, Istanbul, Parigi e Venezia divengono le scuderie che accolgono questi cavalli per ascoltarne il doloroso racconto: ed è una narrazione che sgorga da corpi smembrati. Sono sì figure monumentali, ma anche precarie, private di zampe per correre. Eppure questi cavalli non sono ancora vinti del tutto: al contrario, sono decisi a proseguire il cammino spinti dalla forza della speranza diventando così araldi di toccanti storie di umanità incise appunto su un lapidarium, sul quale ciascuno è poi chiamato a riflettere. La conquista spagnola, mai venuta meno nell’immaginario dei messicani, riemerge dagli antichi ricordi di Aceves, quando pone il cavallo su una simbolica intelaiatura di imbarcazione, ricordo, come detto, dei galeoni spagnoli. E l’artista fa rivivere quella concezione del cavallo inteso quale simbolo di quanto di più nobile abbia realizzato, nella sua storia, la cultura figurativa. Evidenti, infatti, sono le derivazioni dai cavalli bronzei della quadriga dell’ippodromo di Costantinopoli — opera antica di controversa datazione arrivata, per mare, a Venezia — e dai più famosi monumenti equestri del Rinascimento: in particolare del celeberrimo mai realizzato cavallo di Leonardo da Vinci per il duca Francesco Sforza. Ed è proprio il riferimento a questi due capolavori dell’arte antica e moderna a segnare in modo profondo e caratteristico l’opera di Aceves, permeata dall’ammirazione per la scultura classica e per l’arte rinascimentale. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 17 febbraio 2017 pagina 5 Vi invito a lottare contro la povertà sia materiale, sia spirituale. Edifichiamo insieme la pace e costruiamo ponti. (@Pontifex_it) Un progetto in Siria per l’assistenza sanitaria ai più poveri Ospedali chiusi? Fanno più vittime delle bombe di GIAMPIETRO DAL TOSO icostruire i cuori per ricostruire la Siria. È sempre stato questo il principio ispiratore dell’impegno della Chiesa cattolica per l’amata Siria e per la sua popolazione, devastata da una guerra R Undici milioni e mezzo di persone non hanno accesso alle cure sanitarie e il quaranta per cento sono bambini E a trecentomila donne non viene garantita l’assistenza per il In risposta agli appelli del Papa La testimonianza sul campo di monsignor Giampietro Dal Toso, segretario delegato del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale, ha contribuito a presentare., il progetto Ospedali aperti lanciato dalla fondazione Avsi e sostenuto dal policlinico Gemelli di Roma, nella cui sede è stato presentato giovedì mattina 16 febbraio. Con lo stanziamento di un milione di euro, l’obiettivo è «garantire l’assistenza sanitaria anche ai più poveri e ai più vulnerabili» ha spiegato il segretario generale della fondazione Giampaolo Silvestri, facendo notare che si tratta di «una risposta concreta agli incessanti appelli di Papa Francesco e anche del nunzio a Damasco, il cardinale Mario Zenari». Proprio la denuncia del nunzio costituisce la concreta road map per gli interventi a sostegno di tre ospedali cattolici a Damasco e Aleppo. Nell’incontro di presentazione hanno portato le loro testimonianze, in collegamento video dalla capitale siriana, il cardinale Zenari e Joseph Fares, direttore dell’ospedale italiano. Sono intervenuti, con monsignor Dal Toso, Giovanni Raimondi, presidente della fondazione Gemelli; e Rocco Bellantone, direttore di chirurgia endocrina e metabolica e preside della facoltà di medicina e chirurgia dell’Università Cattolica. Gli interventi sono stati coordinati da Franco Di Mare. sanguinosa che dura da ormai quasi sette anni. Ed è lo stesso principio che, oggi, sottende al progetto Ospedali aperti, lanciato dalla fondazione Avsi e dalla fondazione policlinico universitario Agostino Gemelli, che punta a rimettere in funzione e a potenziare tre nosocomi cattolici: il Saint Louis di Aleppo e gli ospedali francese e italiano a Damasco. La Santa Sede segue il conflitto siriano fin dai suoi inizi. Era il 2012 quando, su impulso di Papa Benedetto XVI, il Pontificio Consiglio Cor unum decideva di organizzare in Libano un primo incontro di coordinamento tra alcuni organismi cristiani di carità operanti nel contesto della crisi mediorientale, per fare in modo che l’intervento della Chiesa universale fosse il più possibile unitario e capillare sul terreno. Con il nuovo e forte sostegno di Papa Francesco, gli appuntamenti si sono succeduti con cadenza annuale in Vaticano e hanno portato a diversi risultati concreti: la costituzione di un focal point presso lo stesso Cor unum, con l’obiettivo di una maggiore condivisione delle informazioni tra tutti gli operatori sul campo; un corso di formazione sulla progettazione umanita- ria rivolto ai vescovi e ai loro delegati in Siria, tenutosi a Beirut nel giugno 2016; due rapporti sugli aiuti umanitari distribuiti dalla Chiesa negli epicentri della crisi, Siria e Iraq, con l’obiettivo di individuare volta per volta aspetti critici e necessità impellenti, usciti rispettivamente nel 2015 e nel 2016; oltre alle numerose visite in loco. Proprio da queste indagini, a cui hanno partecipato organismi di carità, congregazioni religiose e diocesi locali, è emerso come le priorità, a partire da subito e a maggior parto ragione da quando le ostilità saranno terminate in tutto il paese, siano l’educazione e la sanità. Oggi sono quasi quattordici milioni le persone bisognose di aiuti in Siria, di queste undici milioni e mezzo non hanno accesso alle cure sanitarie (il quaranta per cento sono bambini). La riduzione della speranza di vita è di quindici anni per gli uomini e dieci per le donne: di queste ultime, oltre trecentomila in gravidanza non possono usufruire dell’assistenza necessaria per il parto. Come ha denunciato più volte il cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico in Siria, «nel paese oggi stanno morendo più persone per l’impossibilità di accedere alle cure mediche che non per gli effetti delle armi». Per tale ragione, sento di esprimere gratitudine per quanti si sono coinvolti direttamente e generosamente in questa iniziativa. Ma anche l’auspicio che il progetto Ospedali aperti, di cui il cardinale è il principale ispiratore, e che è rivolto a tutta la popolazione senza distinzione alcuna, trovi il sostegno necessario. Non è un caso che l’ospedale, fin dal medioevo, sia per la Chiesa uno dei luoghi simbolo nei quali più si manifesta la cura del corpo e dello spirito. Certamente non è A colloquio con il rettore dell’università di Roma Tre alla vigilia della visita del Pontefice Immersi nella città di NICOLA GORI All’interno della città e al suo servizio. È questa una delle missioni dell’università Roma Tre, dove Papa Francesco si reca venerdì 17 febbraio per incontrare studenti, professori e personale. Emozione, lusinga e attesa nelle parole del rettore Mario Panizza, che in questa intervista all’Osservatore Romano, spiega alcuni dettagli della prima visita del Papa a un ateneo statale italiano. Quale significato assume la visita del Pontefice a Roma Tre? È la prima volta che Papa Francesco entra in un ateneo pubblico, e confesso che sono emozionato ad accoglierlo. Questa giornata storica ha un significato sicuramente sociale, civile e culturale. L’impegno che il Pontefice sta dimostrando nei confronti della società civile, soprattutto dei soggetti più deboli deve essere una traccia per i nostri studenti, ma anche per i nostri educatori. Avevo scritto al Papa prima dell’estate e avevo raccontato un po’ come è Roma Tre e qual è il ruolo che cerca di svolgere all’interno della città. L’avevo invitato non per una celebrazione ufficiale, ma a parlare con gli studenti, con noi professori e con tutto il personale amministrativo. Ho avuto il piacere e la gioia di vedere accolta la mia richiesta e confesso che mi sono sentito anche lusingato. Per cui il valo- re è proprio questo: avere un confronto con una personalità che oggi è anche una personalità politica oltre a essere alla guida della Chiesa. Quali sono le caratteristiche principali che contraddistinguono la vostra università rispetto alle altre presenti a Roma? Tralasciando le private, quelle pubbliche oggi sono quattro. Conosciamo la più antica, La Sapienza ormai da settecento anni. L’altra è Tor Vergata, nata poco prima di noi. Poi c’è la nostra e quella del Foro italico, che è molto concentrata sulla salute e sulle facoltà di medicina. Sia Roma Tre sia Tor Vergata sono costole della Sapienza. D obbiamo riconoscere che La Sapienza è una città universitaria, quindi ha un proprio recinto, una presenza chiara all’interno della città. Tor Vergata è un campus ricco di spazi, di laboratori, che si trova in un’area periferica, quindi distante dal centro. Roma Tre, invece è nata nel 1992, quindi venticinque anni fa, con un progetto: rivalorizzare un’area precedentemente industriale. Quindi abbiamo ricuperato edifici ormai dismessi vicini al cinodromo. C’è stato un vero e proprio impegno etico da questo punto di vista: tutto quello che serviva per l’ateneo doveva servire anche per la città. Ci stiamo riuscendo abbastanza bene. Basti pensare cosa rappresenta adesso la zona dell’ex mattatoio e del cinodro- mo al di là di viale Marconi, c’è una parte di città vissuta da studenti. Questo è un po’ il carattere particolare di Roma Tre. Da qui l’attenzione al rapporto con il territorio, facilitato dalle varie sedi immerse all’interno del tessuto urbano. Quale ruolo o missione svolgete all’interno della società? Le missioni sono tre ormai: didattica e ricerca a seconda dell’ordine in cui le vogliamo mettere. La terza è quella del rapporto con la città, ma anche del trasferimento tecnologico, cioè quello che noi sappiamo e che possiamo trasferire altrove. Sono anni che si parla di questo, adesso siamo arrivati al momento in cui dobbiamo rendere concrete queste cose, perché non possono rimanere solo dichiarazioni di principio. Credo che ci stiamo arrivando. Considerando anche la partecipazione delle università nella progettazione delle aree terremotate, la ricostruzione di una serie di situazioni difficili e anche di partecipazione al ricevimento dei migranti. Sono spazi questi fortemente educativi. Credo che attraverso l’esempio si possa dare molta moralità ai ragazzi. Su questo Roma Tre è molto impegnata, come del resto lo sono anche gli altri atenei. Avete preparato un video per presentare la vostra realtà? Per la prima volta raccontiamo la vita della nostra università attraverso un video da noi preparato in lingua italiana e inglese. È intitolato «Roma Tre. A young university for young people». Ci serve quando andiamo a presentarci all’estero e stringiamo accordi e convenzioni con gli altri atenei. In esso raccontiamo come un’università tra virgolette giovane può avere una relazione diversa con la gente. Armando Orfeo, «Iper-mondi» una sfida facile: ma proprio per questo merita di essere affrontata. Papa Francesco continua incessantemente a manifestare la propria vicinanza alla popolazione siriana e alle comunità cristiane, non mancando di ammonire gli stati e le forze in campo circa gli effetti di una guerra che non sta portando alcun risultato che non sia altra violenza. Tale speciale vicinanza per «l’amata Siria» il Papa ha voluto esprimerla anche in occasione della visita che, assieme al cardinale Zenari, ho potuto svolgere di recente ad Aleppo, benedicendo la nostra partenza e chiedendo subito informazioni al mio ritorno. Nei giorni di permanenza in quella città, in parte distrutta dal conflitto, si è reso evidente quanto la carità aiuti non solo a rimarginare le ferite esteriori, ma anche a vincere la solitudine, a ridare speranza alle persone, e a farle sentire parte dell’unico progetto di Dio. La popolazione si sta rimettendo in moto, mostra una vivacità inaspettata date le circostanze, ma ha bisogno in molti ambiti di un sostegno concreto, nel quale si esprima il legame tangibile con la Chiesa universale. Ricostruire le strutture, ricostruire gli ospedali nella prospettiva di una cura integrale della persona, può essere il segno che riaccende la scintilla della dignità umana. Proust su YouTube Scene da un matrimonio. Un professore universitario del Canada sostiene di aver scoperto nell’archivio del Centre National du Cinema l’unica immagine in movimento esistente di Marcel Proust. Sulla «Revue d’études proustiennes», Jean-Pierre SiroisTrahan, docente all’università di Laval, Québec, scrive che nel video, del 1904, si vede un uomo, identificato dall’accademico come Proust, mentre scende le scale della chiesa della Madeleine, a Parigi, durante il corteo nuziale di Elaine Greffulhe. Figlia della contessa Greffulhe, secondo alcuni studiosi, è la donna dalla quale lo scrittore avrebbe tratto ispirazione per creare Oriane de Guermantes, ovvero una delle figure più rappresentative descritte nella celeberrima opera Alla ricerca del tempo perduto. Nel video, disponibile ora su YouTube, Marcel Proust appare al trentasettesimo secondo. L’immagine è fedele al personaggio coltivato dalla fantasia dei suoi innumerevoli ammiratori: un uomo solo, in redingote grigio perla e bombetta. Insomma, in perfetto stile proustiano. Finora, a ritrarlo così, c’erano alcune foto e documenti dell’epoca: quest’ultimi, in particolare, testimoniano della passione che lo scrittore aveva per la bombetta e per il redingote, mentre i gentiluomini e signori suoi contemporanei prediligevano il cappello a cilindro e la giacca. E sono proprio questi documenti a rimarcare il fatto che Proust prendeva parte agli eventi mondani con la bombetta immancabilmente portata sul capo. A confermare questa predilezione c’è adesso questo footage che gli esperti — citati dal quotidiano «The Guardian», tra i primi a dare la notizia di questa scoperta — non hanno esitato a definire «sorprendente e commovente». Jean-Yves Tadié, studioso di Proust, nel dirsi emozionato dalla scoperta, ha rilevato che ora l’ultima cosa che manca è la voce dello scrittore. Chissà se altre scoperte non siano dietro l’angolo. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 6 venerdì 17 febbraio 2017 Un anno di incontri fra rappresentanti cristiani e musulmani nel nord del Libano Conoscersi per capirsi meglio Cattolici ed evangelici tedeschi sull’espulsione di rifugiati afghani Diritto di vivere di CHARLES DE PECHPEYROU Sembra ormai lontano l’anno 2015, durante il quale i numerosi rifugiati afghani che avevano trovato ospitalità in Germania beneficiavano di misure di accoglienza “facilitate” dalla cancelliera Angela Merkel. A fine gennaio, per la seconda volta nell’arco di poche settimane, un gruppo di richiedenti asilo è stato rimandato nel proprio paese di origine, conformemente a un recente accordo tra l’Unione europea e Kabul: un rimpatrio aspramente criticato dalle autorità cattoliche e protestanti tedesche, le quali ritengono che la guerra civile che dilania l’Afghanistan richiederebbe una più ampia vigilanza in materia di politica migratoria e un esame caso per caso. Nella mattinata del 24 gennaio, ventisei rifugiati afghani, la cui domanda di asilo era stata respinta, sono giunti a Kabul in aereo, scortati da settantanove poliziotti tedeschi. Secondo le autorità di governo, sette rifugiati avevano precedenti penali. La reazione dei cristiani tedeschi non si è fatta attendere. Pochi giorni fa monsignor Stefan Hesse, arcivescovo di Amburgo e presidente della Commissione episcopale per i problemi migratori, e Manfred Rekowski, presidente del Consiglio per la migrazione e l’integrazione della Chiesa evangelica in Germania, Il Wcc a confronto su religione e discriminazione TRONDHEIM, 16. La religione è discriminante? Esistono discriminazioni all’interno e da parte delle diverse religioni? A queste domande si è cercato di dare una risposta nel corso di un convegno svoltosi presso il centro culturale di Trondheim, in Norvegia, promosso dal World Council of Churches (Wcc). «La discriminazione — ha spiegato il segretario generale del Wcc, Olav Fykse Tveit — riguarda interamente la giustizia e la giustizia si esprime nei diritti. I diritti umani universali sono ciò che gli stati nazionali dovrebbero attuare nella loro legislazione. I diritti — ha proseguito — sono definiti nelle convenzioni e nei trattati internazionali». Fykse Tveit ha parlato di religione e discriminazione poiché sono collegate al pellegrinaggio di giustizia e pace promosso dal Wcc e attualmente in corso. «Stabilire giustizia e pace in larga misura significa affrontare tutte le forme di discriminazione. Essere responsabili verso Dio, verso il Dio vivente e creatore di tutto, significa essere responsabili verso la vita attuale. In particolare — e in primo luogo — siamo responsabili verso altri esseri umani, che sono tutti creati a immagine di Dio. Essere umano — ha concluso Fykse Tveit — vuol dire realizzarsi sempre con gli altri, anche con gli stranieri e gli sconosciuti». hanno alzato la voce: «Nessun uomo deve essere rimandato in un luogo dove la sua vita è minacciata dalla guerra o dalla violenza. La sicurezza della persona deve avere la meglio sulle politiche migratorie», si legge in un comunicato congiunto datato 26 gennaio e firmato dai due rappresentanti religiosi. «I conflitti armati interni si sono intensificati in Afghanistan, così come il numero di persone che hanno abbandonato il paese», sottolineano entrambi, precisando che in molti si dirigono verso Kabul per trovare rifugio e che la situazione è peggiorata anche lì. In queste ultime settimane molte organizzazioni internazionali hanno suonato il campanello di allarme. L’ufficio delle Nazioni unite per gli affari umanitari ha descritto una situazione «allarmante» in Afghanistan, dove oltre mezzo milione di civili si è spostato nel 2016 per sfuggire alla violenza e ai combattimenti, cioè più del doppio del 2014. Inoltre l’Organizzazione internazionale per le migrazioni e l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo hanno segnalato un deterioramento significativo della situazione della sicurezza nel paese asiatico. La Chiesa cattolica e la Chiesa evangelica «non sono sistematicamente contro l’espulsione di migranti che non hanno alcuna prospettiva valida per rimanere in Germania» — viene affermato nella nota congiunta — ma rimandare un rifugiato verso regioni molto pericolose dell’Afghanistan rimane «inaccettabile», ribadiscono sia monsignor Hesse sia Manfred Rekowski. Secondo loro, bisogna esaminare caso per caso, ovvero se esiste un rischio per la vita dell’individuo, se la sua integrità fisica è minacciata, o se si profila un rimpatrio “ragionevole”, riaffermano i due responsabili religiosi, auspicando che i migranti vengano ulteriormente assistiti prima di trovare una vita dignitosa per loro e per i loro familiari. «Il governo tedesco vuole far diminuire il numero di richiedenti asilo: questo non è illegale ma bisogna vedere se tale prospettiva è accettabile da un punto di vista umanitario», osserva dal canto suo Ulrich Pöner, incaricato dei problemi migratori presso la Conferenza episcopale tedesca, interpellato dal nostro giornale. «Non tutte le regioni dell’Afghanistan sono pericolose, il governo ha ragione su questo punto; in alcune zone, come nella città di Kabul, i rifugiati rientrati con una famiglia ancora sul posto hanno ritrovato condizioni di vita decenti, contrariamente a rifugiati di altre regioni dell’Afghanistan, che non avendo appigli nella capitale riscontrano molte difficoltà», spiega Pöner. A metà dicembre, trentaquattro richiedenti asilo afghani sono stati espulsi dalla Germania, dopo il rifiuto delle loro domande di asilo. In totale, sono stati in cinquanta a dover salire sull’aereo in partenza per Kabul, ma nel frattempo sedici erano già spariti nel nulla. Questo rimpatrio interveniva in applicazione dell’accordo firmato il 2 ottobre scorso a margine della Conferenza di Bruxelles sull’Afghanistan tra l’Unione europea e Kabul, in virtù del quale l’Europa prevede di rimandare indietro ottantamila rifugiati afghani, il cui asilo è stato rifiutato dai paesi del vecchio continente. Gli afghani rappresentano il 20 per cento dei migranti entrati in Europa nel 2015. Si tratta del secondo più grande gruppo di rifugiati, dopo i siriani. Secondo il ministero dell’interno tedesco, la Germania conta 11.900 profughi afghani che devono essere espulsi, ma 10.300 beneficiano di un rinvio. «Angela Merkel vuole dimostrare di non essere soltanto la cancelliera che accoglie i migranti, ma anche colei che applica in materia di diritto di asilo le leggi del suo paese, che prevedono che un migrante la cui domanda viene rifiutata debba essere rimandato nel paese di origine», afferma Ulrich Pöner. In effetti, l’inasprimento della politica di accoglienza dei migranti voluto dal governo tedesco (criticato dopo aver autorizzato oltre un milione di profughi a entrare in Germania nel 2015) ha anche fini politici. Angela Merkel si presenterà per un quarto mandato nel settembre prossimo. Nella corsa alla cancelleria, dovrà affrontare un rivale di peso, l’ex presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, designato ufficialmente candidato del Partito social-democratico il 24 gennaio scorso. Una competizione i cui primi perdenti potrebbero essere, purtroppo, i richiedenti asilo in Germania. TRIPOLI, 16. Tripoli, capoluogo del governatorato di Libano nord, è stata teatro negli ultimi anni di episodi di violenza fra differenti gruppi religiosi. Ziad Fahed, docente assistente all’università Notre-Dame di Louaize, vicino a Beirut, ha pensato di creare una piccola organizzazione non governativa denominata Dialogo per la vita e la riconciliazione, fautrice da tempo di iniziative per il dialogo fra cristiani e musulmani. È in questo quadro che si è inserito un recente incontro, svoltosi a Tripoli, al quale ha partecipato anche un fratello della comunità di Taizé, in visita nel paese. Il suo resoconto parla di una riunione significativa che ha visto presenti imam e sceicchi sunniti e alawiti, così come preti maroniti e ortodossi. L’incontro, sul tema «Accompagnare i nostri giovani in tempi di crisi», è stato contraddistinto da un’atmosfera di profonda amicizia. È dal febbraio 2016 che il gruppo, in collaborazione con le principali autorità religiose delle diverse comunità musulmane e cristiane di Libano nord, sta ponendo le basi per la creazione di legami stabili fra i vari rappresentanti. Nell’autunno scorso questo progetto si è concretizzato con l’istituzione di una rete proprio nel capoluogo, alla quale hanno aderito trentacinque responsabili religiosi musulmani e cristiani. Primo obiettivo quello di riunirsi regolarmente, almeno una volta al mese, per «scoprire la bellezza di essere allo stesso tempo diversi e profondamente legati gli uni agli altri». Dopo i locali della chiesa ortodossa è toccato a quelli della moschea, e così via. Le esperienze di questi ultimi mesi hanno mostrato che, al di là delle riunioni pianificate, alcuni rappresentanti religiosi hanno cominciato a sviluppare tra loro legami personali importanti sia nell’ambito della vita quotidiana che nell’esercizio del ministero. Tutti vivono a Tripoli da molti anni ma la maggior parte di essi non aveva mai avuto l’occasione di conoscersi sul serio. Agli occhi del fratello di Taizé è apparso «subito chiaro» come, in questa regione del Libano, un gruppo di rappresentanti musulmani e cristiani «vivesse già il segno di un vero dialogo interreligioso, dove a poco a poco è cresciuto in tutta semplicità il desiderio di comprendersi meglio, al di là delle differenze, e di conoscersi meglio, apprezzandosi reciprocamente». Le riunioni sono state frequenti: 28 novembre (nella chiesa ortodossa), 13 dicembre (in una moschea di Tripoli per discutere sul tema «Dialogo interreligioso e consolidamento della pace»), 27-29 gennaio («Uso delle reti sociali per trasmettere uno spirito di moderazione e dialogo» e «Diritti dell’uomo nella società libanese») e 11 febbraio, incontro al quale sono intervenuti due vescovi del nord del Libano (uno maronita, l’altro ortodosso) e rappresentanti della comunità alawita e del gran mufti sunnita. La prossima tappa è mettere in campo degli strumenti che consentano un dialogo e un’accoglienza interreligiosa di qualità, nella vita quotidiana e ordinaria di ogni persona. La rinascita vede in prima fila la comunità cattolica C’è speranza ad Aleppo ALEPPO, 16. Ottimismo, nonostante tutto. Ad Aleppo, città siriana che faticosamente torna a sperare, dopo oltre quattro anni di guerra, la pace e la riconciliazione sono sfide da vincere che vedono in prima fila la comunità cristiana, la quale continua a fare il possibile per aiutare tutta la popolazione, alimentando innanzitutto la convivenza, unico mezzo per rimettere insieme i pezzi di una società colpita al cuore. Al Sir l’arcivescovo di Alep dei greco-melkiti, Jean-Clément Jeanbart, racconta che «non si sentono più tanti razzi e bombe» ma «la vita resta difficile», poiché «mancano acqua, elettricità e lavoro». Tuttavia, «siamo vivi, la città è libera. Le scuole stanno riaprendo. Come comunità cristiana aiutiamo tante famiglie a fare fronte ai bisogni primari come il cibo e l’elettricità che acquistiamo dai generatori sulle strade. Abbiamo dei furgoncini che portano cisterne di acqua in giro». Finora sono state risistemate trecento case colpite dai bombardamenti e aiutati ottanta giovani ad avviare un’attività commerciale con dei prestiti a fondo perduto. Si sta lavorando per riattivare strade e comunicazioni ferroviarie. Sono riprese anche le partite di calcio e di pallacanestro. E sui prossimi colloqui di pace a Ginevra, il 20 febbraio, monsignor Jeanbart si dice ottimista e spera che «la riconciliazione tra Russia e Stati Uniti sarà positiva non solo per la Siria ma per il mondo intero. I cambiamenti nella politica turca, russa e statunitense possono essere un buon viatico verso un negoziato di pace. Da parte mia sono sempre più convinto che quando i mercenari stranieri saranno usciti dal nostro paese i siriani potranno far rivivere la loro grande tradizione di convivenza e di dialogo. La Siria deve restare un paese sovrano e non in balia della potenza di turno». Dal canto suo padre Sami Hallak, responsabile del centro del Jesuit Refugee Service nel quartiere di Azizieh, parla di «popolazione contenta» sebbene «priva di lavoro, di luce e di acqua». In questa fase l’attenzione si sta rivolgendo a tante famiglie cadute in estrema povertà. Per esse, spiega il gesuita, «stiamo allestendo dei piccoli centri di aiuto vicino ai checkpoint dove ci sono militari armati. Ciò scoraggia i malintenzionati che vogliono rubare cibo e acqua destinati ai più bisognosi. Lo stesso stiamo cercando di fare ad Aleppo est, con punti di distribuzione di pasti caldi. Ma ciò che più conta adesso è mettere a tacere le armi per sempre», conclude Hallak. Anche se in un rifugio, si riaprono le scuole ad Aleppo (Reuters) Celebrazione ecumenica ad Amman AMMAN, 16. Una celebrazione a sostegno dell’unità dei cristiani si è svolta nei giorni scorsi nella chiesa evangelica luterana del Buon Pastore, ad Amman, in Giordania. Il ”servizio di ringraziamento” è stato copresieduto dall’amministratore apostolico del patriarcato di Gerusalemme dei latini, monsignor Pierbattista Pizzaballa e dal vescovo della Chiesa evangelica luterana in Giordania e in Terra santa, Munib Younan. Nei giorni scorsi, Pizzaballa e Younan avevano esortato la popolazione a prendere parte alla celebrazione congiunta che è stata fortemente voluta per sottolineare la vicinanza tra la Chiesa cattolica e quella luterana nel corso di cinquant’anni di dialogo ecumenico, e per continuare a pregare insieme per ricordare il 500° anniversario della Riforma. Anniversario celebrato a Lund, in Svezia, da Papa Francesco, dal presidente della Federazione luterana mondiale, Munib Younan, e dal segretario generale della Federazione luterana mondiale, reverendo Martin Junge. L’OSSERVATORE ROMANO venerdì 17 febbraio 2017 pagina 7 Forum a Manila su Populorum progressio e Laudato si’ Tutelare l’ambiente per proteggere i popoli Concluso l’incontro dei vescovi di Stati Uniti e Messico sulle politiche migratorie Difendere la dignità di tutti BROWNSVILLE, 16. «Il migrante ha diritto a essere rispettato. Noi continueremo a fornire un servizio di qualità ai migranti, nel campo spirituale, legale, dell’assistenza materiale e familiare»: è quanto hanno sottolineato i vescovi delle diocesi frontaliere del Messico e del Texas, riuniti in questi giorni a Brownsville, negli Stati Uniti, per il semestrale incontro noto come “Tex-Mex”. Durante i lavori, i presuli hanno puntato l’attenzione sulla «politica inumana dei governi e l’indifferenza del mondo. Abbiamo visto in prima persona le sofferenze causate da un sistema di immigrazione — alimentata da condizioni strutturali politiche ed economiche — dal quale si generano minacce, deportazioni, impunità ed estrema violenza». Pertanto, i presuli ritengono necessarie e urgenti «politiche governative che rispettino i diritti umani fondamentali dei migranti irregolari». Nel messaggio, l’episcopato messicano e statunitense sottolineano l’amicizia profonda tra le città frontaliere e ribadiscono ancora una volta gli impegni e le opere di accoglienza promosse dalla Chiesa cattolica. «Noi, come vescovi, continueremo a seguire l’impegno di Papa Francesco, cercheremo di costruire ponti tra i popoli, ponti che ci permettano di abbattere i muri dell’esclusione e dello sfruttamento». Perciò, affermano i presuli, «l’amicizia tra le nostre famiglie e i nostri vicini può potenziare l’amicizia tra i nostri popoli e paesi. Il nostro incontro è una chiara manifestazione di gioia e segno di profonda speranza. La croce che è stata collocata alla frontiera, tra le città di El Paso e Ciudad Juárez, ricordando la visita di Papa Francesco nel febbraio del 2016, è un segno di incontro, unità e speranza». L’incontro di Brownsville, che si è svolto nella parrocchia di Nuestra Señora de San Juan del Valle, è stato fortemente voluto dalla Chiesa statunitense e messicana dopo il dibattito suscitato dalle prime decisioni del presidente Donald Trump e dalla sua volontà di costruire un muro lungo tutta la frontiera tra i due paesi. Vi hanno preso parte dieci vescovi texani e nove messicani. Nel corso dei lavori, monsignor Raymundo Peña, vescovo emerito di Brownsville e decano dei vescovi frontalieri, ha focalizzato l’attenzione sulla storia degli incontri “Tex-Mex”, iniziati più di trent’anni fa, nel 1986, su impulso di Giovanni Paolo II. Anno dopo anno è cresciuto il legame tra le Chiese, si è dibattuto su varie problematiche (immigrati irregolari, narcotraffico, criminalità) e si sono radicate forme di accoglienza e ospitalità, come la rete delle Case del migrante. È del 2002 il primo Vertice mondiale in Giamaica Dialogo tra battisti e metodisti su fede e carità KINGSTON, 16. «Una cosa è certa: se non fate la volontà di Dio più seriamente di come fanno i farisei e i maestri della legge, non entrerete nel regno di Dio»: il reverendo Thomas Oral dello United Theological College di Kingston, ha accolto così, richiamando il passo evangelico (Matteo, 5, 20), i partecipanti al summit mondiale per il dialogo battistametodista. I rappresentanti dell’Alleanza battista mondiale e del Consiglio mondiale metodista si sono infatti incontrati a Runaway Bay, in Giamaica, per una settimana di confronto. Si è trattato del quarto ciclo di conversazione e dialogo fra le due comunità religiose. Il tema generale che guida tutti questi incontri è «La fede che opera per mezzo della carità», con una particolare attenzione, in questa ultima occasione, su «La grazia e la fede: cantate e predicate, vissute e condivise». I partecipanti all’incontro — riferisce il sito Riforma.it — hanno riflettuto e discusso attorno a una serie di argomenti che riguardano un’ampia sfera di ambiti di intervento: dalle opere sociali e di misericordia al culto e alla predicazione, alle differenti modalità di vivere la fede nei vari continenti. Dai dieci documenti, riguardanti altrettanti macrotemi, discussi dai delegati, è iniziata la stesura di una relazione finale che servirà a impostare i lavori della riunione conclusiva che si terrà dal 14 al 21 marzo 2018 al Sarum College, istituto ecumenico di Salisbury in Inghilterra. Nel corso della settimana i partecipanti al summit si sono recati a Kingston per visitare gli uffici della Jamaica Baptist Union e del Jamaica Methodist District come pure il campus dello United Theological College. I delegati hanno partecipato al culto presso la Hoolebury Methodist Church nella baia di Saint Ann, condotto dal vescovo Everard Galbraith. La predicazione è stata affidata al reverendo Oral che ha richiamato i presenti a riflettere sull’importanza dell’esempio, della testimonianza cristiana e della coerenza tra fede creduta e fede vissuta. I lavori del summit si sono svolti in concomitanza con le celebrazioni per il bicentenario della comunità metodista di Haiti, la più antica realtà ecclesiale protestante dell’isola caraibica. Fondata nel 1817 da missionari inglesi e irlandesi, la comunità è sopravvissuta negli anni alla repressione politica e ai numerosi disastri naturali che si sono succeduti. Gli eventi organizzati nella capitale, Port-au-Prince, hanno attirato l’attenzione su questa realtà. In particolare i metodisti sono apprezzati per l’opera prestata nel campo educativo. Attualmente gestiscono 105 scuole elementari, 15 secondarie, una scuola di formazione per insegnanti e diversi istituti tecnici. È di questi giorni l’apertura di un istituto secondario realizzato con il sostegno dei metodisti di Canada e Irlanda. documento bi-nazionale intitolato «Uniti nel cammino di speranza, noi non siamo stranieri», poi le riunioni sono continuate dando vita a numerosi progetti pastorali comuni. Dopo l’intervento iniziale — riferisce il Sir — i vescovi hanno a lungo discusso sulle politiche migratorie. C’è chi ha ricordato che fino a qualche tempo fa tra le città di Brownsville e Matamoros non c’era in pratica frontiera: le famiglie allargate attraversavano il fiume dall’una e dall’altra parte, condividendo la vita, lo studio e il lavoro. Da parte degli intervenuti, è stata espressa preoccupazione per la situazione attuale dei migranti e hanno ricordato che «Gesù, Maria e Giuseppe, come migranti e rifugiati, cercarono un luogo per vivere e lavorare, sperando in una risposta di compassione umana. Oggi, questa storia si ripete. Abbiamo visitato centri di detenzione e luoghi di accoglienza rivolti soprattutto a madri, adolescenti e minori migranti. Questi centri — hanno scritto i vescovi — sono luoghi che riflettono condizioni di vita intollerabili e inumane. Una situazione — prosegue il messaggio — che si riferisce sia alla frontiera tra Messico e Centroamerica che a quella tra Stati Uniti e Messico. Questa realtà oggi sta diventando molto più evidente, di fronte alle politiche che le autorità civili stanno seguendo. In seguito a queste scelte tocchiamo con mano il dolore per la separazione delle famiglie, per la perdita del lavoro, per le persecuzioni e le discriminazioni, per le espressioni di razzismo, le deportazioni non necessarie, che paralizzano lo sviluppo delle persone nelle nostre società e lo sviluppo delle nostre nazioni, lasciandole nell’incertezza e senza speranza». Di qui, l’appello dei presuli ai governi di tutto il mondo per il rispetto dei diritti di ciascun migrante. MANILA, 16. Analizzare la Populorum progressio e identificarne i temi comuni con la Laudato si’, per rivedere e rafforzare la risposta alle sfide che si pongono oggi, in particolare, il cambiamento climatico, il degrado ambientale e il suo effetto sui poveri. Sono questi gli obiettivi principali che si pone il decimo incontro di Justice and Peace Workers’ Asia-Pacific Forum”, in corso di svolgimento a Manila, nelle Filippine. «Marzo 2017 — ha spiegato ad AsiaNews monsignor Allwyn D’Silva, vescovo ausiliare di Bombay e segretario esecutivo dell’Ufficio per lo sviluppo umano della Federation of connessi al riscaldamento globale e i loro mezzi di sostentamento dipendono fortemente dalle riserve naturali e dai cosiddetti servizi dell’ecosistema, come l’agricoltura, la pesca e le risorse forestali. Non hanno altre disponibilità economiche e altre risorse che permettano loro di adattarsi agli impatti climatici o di far fronte a situazioni catastrofiche, e hanno poco accesso a servizi sociali e di tutela». Inoltre, il segretario esecutivo dell’Ufficio per lo sviluppo umano della Fabc, ha sottolineato che nella Laudato si’ viene dato spazio al tragico aumento del numero dei migranti Asian Bishops’ Conferences (Fabc) — segna il cinquantesimo anniversario della Populorum progressio, che ha annunciato la creazione di una nuova commissione pontificia su giustizia e pace. La Populorum progressio parla di sviluppo umano e mostra preoccupazione per gli emarginati. Questa è stata anche la spinta agli incontri di Jpw. Anche la Laudato si’ aggiunge un’altra dimensione al nostro lavoro: la cura per il creato. E la vita delle persone colpite dai cambiamenti climatici». Monsignor D’Silva ha spiegato che «Papa Francesco, nella Laudato si’, ricorda che molti poveri vivono in luoghi particolarmente colpiti da fenomeni «che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali e portano il peso della propria vita abbandonata senza alcuna tutela normativa. Purtroppo — ha proseguito il vescovo — c’è una generale indifferenza di fronte a queste tragedie, che accadono in diverse parti del mondo. Mentre la rivoluzione delle comunicazioni negli ultimi anni ha aiutato a essere consapevoli delle sfide ambientali. Oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico è anche un approccio sociale che deve ascoltare il grido dei poveri e degli emarginati». Appello della Chiesa dopo l’attentato di Lahore Maggiore protezione contro il terrorismo in Pakistan LAHORE, 16. La commissione nazionale giustizia e pace (Ncjp) della Conferenza episcopale pakistana esprime una netta condanna dell’attentato di Lahore del 13 febbraio scorso, costato la vita a 13 persone, tra cui due poliziotti, e provocato il ferimento di altri 85. In una dichiarazione congiunta, monsignor Joseph Arshad, vescovo di Faisalabad e presidente della Ncjp, padre Emmanuel Yousaf, direttore nazionale, e Cecil S. Chaudhry, direttore esecutivo, affermano che «l’uccisione di manifestanti innocenti e del personale di polizia è inaccettabile». Secondo la Chiesa, «occorre attuare immediatamente il piano d’azione nazionale contro il terrorismo, che deve essere priorità assoluta del governo, attrezzando in modo adeguato il personale delle forze dell’ordine, se si vuole sradicare il terrorismo e l’estremismo dal paese». La Ncjp e la diocesi di Faisalabad hanno organizzato nei giorni scorsi una fiaccolata e una veglia di preghiera nella cattedrale di Lahore, per manifestare solidarietà ai martiri e vicinanza ai familiari delle vittime. All’evento hanno partecipato sacerdoti, suore, studenti, insegnanti e molti esponenti civili e politici. Anche i presenti hanno chiesto al governo di adottare azioni decise contro i terroristi e di assicurare che nel paese venga rispettato lo stato di diritto. Lutto nell’episcopato Monsignor Paul Nguyên Van Hòa, vescovo emerito di Nha Trang, in Vietnam, è morto martedì sera, 14 febbraio, alle ore 20. Il compianto presule era nato il 20 luglio 1931 a Bôi Kênh, arcidiocesi di Hà Nôi, ed era stato ordinato sacerdote il 20 dicembre 1959. Il 30 gennaio 1975, con l’erezione della nuova diocesi di Phan Thiêt, ne era stato nominato primo vescovo e aveva ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 5 aprile. Trasferito a Nha Trang il 24 aprile dello stesso anno, aveva retto la diocesi per trentacinque anni, rinunciando al governo pastorale il 4 dicembre 2009. Era stato anche presidente della Conferenza episcopale vietnamita dal 2001 al 2007. Le esequie saranno celebrate sabato mattina, 18 febbraio, alle ore 9, nella cappella del centro pastorale diocesano di Nha Trang. L’OSSERVATORE ROMANO pagina 8 venerdì 17 febbraio 2017 Messa a Santa Marta Il traffico d’armi alimenta i conflitti «La guerra è finita»: il grido gioioso della vicina di casa a Buenos Aires, e l’abbraccio con mamma Regina, hanno così profondamente colpito e commosso il piccolo Jorge Mario da essere ancora vivissimi nel suo ricordo. E proprio il grido «la guerra è finita» — ha detto Papa Francesco nella messa celebrata giovedì mattina, 16 febbraio, nella cappella di Santa Marta — dovrebbe essere ripetuto oggi da ogni persona per avere finalmente la pace nel cuore ma anche in famiglia, nel quartiere, sul posto di lavoro e, via via, fino al mondo intero. Perché i conflitti, ha messo in guardia il Pontefice, cominciano dalle piccole cose e sfociano, con «il traffico delle armi», nei «bombardamenti di scuole e ospedali» per «il potere» e «un pezzo di terra in più». Ecco allora che la pace, ha suoi discepoli: l’immagine della colomba, dell’arcobaleno e dell’alleanza». E infatti, ha spiegato il Papa, «dopo il diluvio, la prima immagine è quella colomba che, dopo aver girato varie volte, torna alla fine con un tenero ramoscello di ulivo nel becco». E «in quel momento si cominciò a pensare che fosse finita la tragedia, fosse finita la distruzione e tornasse la pace». Proprio «per questo la colomba con l’ulivo nel becco è un segno di pace, è il messaggio di Dio all’umanità». Dio «si pentì di quella distruzione e promise di non farla più: “Io voglio la pace”». Così «questa colomba è il segno di quello che Dio voleva dopo il diluvio: pace, che tutti gli uomini fossero in pace». La «seconda figura», ha affermato Francesco, è «l’arcobaleno». Sì, quell’«ar- affermato il Papa, è un lavoro artigianale che ciascuno di noi è chiamato a costruire ogni giorno e anche da invocare con la preghiera che non è mai «una formalità». Nella prima lettura, ha fatto subito notare Francesco riferendosi al passo tratto dal libro della Genesi (9, 1-13) e anche al brano di Marco (8, 27-33), «ci sono tre parole, tre figure, tre immagini che ci aiuteranno a riflettere, a pensare e a capire meglio quello che Gesù spiega nel Vangelo ai cobaleno che lo stesso Signore fa e dice che questo è il segno dell’alleanza che farà: “Questo è il segno dell’alleanza che io pongo tra me e voi per tutte le generazioni future. Pongo il mio arco sulle nubi”, perché sia segno, ricordo, di questa pace che sarà alleanza». «La terza parola è l’alleanza» ha proseguito il Pontefice. E infatti «Dio promette: “Mai distruggerò, mai, io mai, voglio pace, faccio questa alleanza con voi”, l’al- leanza della pace». E, ha aggiunto, «Noè fece dei sacrifici e questo fu gradito a Dio». «La colomba e l’arcobaleno sono fragili» ha affermato Francesco. «L’arcobaleno è bello dopo la tempesta, ma poi viene una nuvola, sparisce: è un segno effimero». Anche «la colomba è fragile perché basta che passi un rapace affamato». Del resto, ha ricordato il Papa, «lo abbiamo visto due anni fa dalla finestra, nell’Angelus della domenica, quando i due bambini hanno fatto uscire due colombe: è venuto un gabbiano e le ha uccise». Dunque «sono segni fragili». Invece «l’alleanza che Dio fa è forte, ma noi la riceviamo, l’accettiamo con debolezza». Così «Dio fa la pace con noi, ma non è facile custodire la pace: è un lavoro di tutti i giorni». Perché «dentro di noi ancora c’è quel seme, quel peccato originale, lo spirito di Caino che per invidia, gelosia, cupidigia e volere di dominazione, fa la guerra, una guerra che fa sparire l’arcobaleno, la colomba e distrugge l’alleanza con D io». «C’è una cosa dell’alleanza, una parola che si ripete, il “sangue”» ha fatto presente il Pontefice. A tal punto che Dio dice «del sangue vostro io chiederò conto; ne domanderò conto a ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello». Ecco che, ha affermato Francesco, «noi siamo custodi dei fratelli e quando c’è versamento di sangue c’è peccato e Dio ci chiederà conto». Oggi, ha detto il Papa, «nel mondo c’è versamento di sangue, oggi il mondo è in guerra: tanti fratelli e sorelle muoiono, anche innocenti, perché i grandi e i potenti vogliono un pezzo in più di terra, vogliono un po’ più di potere o vo- Marc Chagall, «Noè e l’arcobaleno» gliono fare un po’ più di guadagno col traffico delle armi». Ma «la parola del Signore è chiara: “Del sangue vostro, ossia della vostra vita, io domanderò conto; ne domanderò conto a ogni essere vivente e domanderò conto della vita dell’uomo all’uomo, a ognuno di suo fratello”». Perciò «anche a noi — sembra di essere in pace, qui — il Signore domanderà conto del sangue dei nostri fratelli e sorelle che soffrono la guerra». A questo proposito, il Pontefice ha suggerito le linee per un esame di coscienza: «La domanda che io farei oggi è: come custodisco io la colomba? Cosa faccio perché l’arcobaleno sia sempre una guida? Cosa faccio perché non sia versato più sangue nel mondo?». È evidente, ha aggiunto, che «tutti noi siamo coinvolti in questo: la preghiera per la pace non è una formalità, il lavoro per la pace non è una formalità». Di più, «la guerra incomincia nel cuore dell’uomo, incomincia a casa, nelle famiglie, fra amici e poi va oltre, a tutto il mondo». Dunque, ha rilanciato le linee per la riflessione personale, «cosa faccio io quando sento che viene nel mio cuore qualcosa di rapace che vuole distruggere la pace? In famiglia, nel lavoro, nel quartiere, siamo seminatori di pace?». Domanda cruciale, ha avvertito il Papa, perché «la guerra incomincia qui e finisce Il Papa agli atleti che parteciperanno agli Special Olympics invernali in Austria Per un mondo senza esclusioni «Insieme, atleti e assistenti, ci mostrate che non ci sono ostacoli né barriere che non possano essere superati» lanciando un «messaggio per un mondo senza confini e senza esclusioni». Lo ha detto Papa Francesco ai partecipanti ai prossimi giochi mondiali invernali Special Olympics, ricevuti in udienza giovedì mattina, 16 febbraio, nella Sala Clementina. Cari amici, con piacere vi do il benvenuto e saluto tutti voi, come pure, attraverso di voi, quanti parteciperanno ai Giochi Mondiali Invernali Special Olympics, che si svolgeranno nella Stiria, in Austria, nel prossimo mese di marzo. Ringrazio il Vescovo di Graz-Seckau e il Presidente di Special Olympics Austria per le loro cortesi parole. Lo sport è una vostra passione, e vi siete preparati con grande impegno al- le competizioni, secondo il giuramento dell’atleta Special Olympics: «Che io possa vincere, ma, se non riuscissi, che io possa tentare con tutte le mie forze». L’attività sportiva fa bene al corpo e allo spirito, e vi permette di migliorare la qualità della vostra vita. La preparazione costante, che richiede anche fatiche e sacrifici, vi fa crescere nella pazienza e nella perseveranza, vi dà forza e coraggio e vi fa acquisire e sviluppare capacità che altrimenti rimarrebbero nascoste. Sono sicuro che tutti voi avete fatto questa esperienza. E così ci si sente gratificati e anche riconosciuti, valorizzati nelle proprie abilità. Alla base di tutta l’attività sportiva c’è, in un certo senso, la gioia: la gioia di muoversi, la gioia di stare insieme, la gioia per la vita e i doni che il Creatore ci fa ogni giorno. Vedendo un bel sorriso sui vostri volti e la grande felicità nei vostri occhi quando siete riusciti bene in una competizione — e la vittoria più bella è proprio quella di superare sé stessi —, ci rendiamo conto di cosa vuol dire una gioia sincera e ben meritata! E possiamo imparare da voi a gioire per le cose piccole e semplici, e a gioire insieme. Lo sport, inoltre, ci aiuta a diffondere la cultura dell’incontro e della solidarietà. Insieme, atleti e assistenti, ci mostrate che non ci sono ostacoli né barriere che non possano essere superati. Siete un segno di speranza per quanti si impegnano per una società più inclusiva. Ogni vita è preziosa, ogni persona è un dono e l’inclusione arricchisce ogni comunità e società. Questo è il vostro messaggio per il mondo, per un mondo senza confini e senza esclusioni! Cari amici, i Giochi Invernali Mondiali Special Olympics saranno un bel momento nella vostra vita. Voi sarete, come dice il motto di questa edizione, il “battito del cuore per il mondo”. Vi auguro di passare insieme giornate gioiose e di incontrare amici da tutto il mondo. Vi affido alla protezione di Maria Santissima e invoco su di voi, sui vostri familiari e su tutti i partecipanti la benedizione divina. E, per favore, pregate anche per me. Grazie! là». Sì, «le notizie le guardiamo sui giornali o sui telegiornali: oggi tanta gente muore e quel seme di guerra che fa l’invidia, la gelosia, la cupidigia nel mio cuore, è lo stesso — cresciuto, fatto albero — della bomba che cade su un ospedale, su una scuola e uccide i bambini, è lo stesso!». Perché davvero «la dichiarazione di guerra incomincia qui, in ognuno di noi». Ecco, allora, l’importanza di porre a se stessi la domanda: «Come custodisco io la pace nel mio cuore, nel mio intimo, nella mia famiglia?». Perché si tratta «non solo di custodire la pace» ma anche di «farla con le mani, artigianalmente, tutti i giorni. Così riusciremo a farla nel mondo intero». «La colomba, l’arcobaleno, il sangue», dunque. E «non è necessario versare sangue dei fratelli: soltanto un sangue è stato versato una volta per sempre, è quello del quale parla Gesù nel Vangelo: “Il Figlio dell’uomo sarà ucciso”». E proprio «il sangue di Cristo è quello che fa la pace, ma non quel sangue che io faccio col mio fratello, con la mia sorella o che fanno i trafficanti delle armi o i potenti della terra nelle grandi guerre». Ecco, ha insistito Francesco, «ci vuole la pace», ci vogliono «la colomba, l’arcobaleno e l’alleanza di pace». In proposito il Papa ha voluto condividere un suo ricordo personale, un «aneddoto, perché è una cosa che a me fa bene ricordare: ero bambino, avevo cinque anni e, ricordo, cominciò a suonare l’allarme dei vigili del fuoco, poi dei giornali e nella città». E «questo si faceva per attirare l’attenzione su un fatto o una tragedia o un’altra cosa. E subito sentii la vicina di casa che chiamava la mia mamma: “Signora Regina, venga, venga, venga!”. E mia mamma è uscita un po’ spaventata: “Cosa è successo?”. E quella donna dall’altra parte del giardino le diceva: “È finita la guerra!” e piangeva. E ho visto queste due donne abbracciarsi, baciarsi, piangere insieme perché quella guerra era finita». In conclusione il Pontefice ha pregato «che il Signore ci dia la grazia di poter dire “è finita la guerra” piangendo: “È finita la guerra nel mio cuore, è finita la guerra nella mia famiglia, è finita la guerra nel mio quartiere, è finita la guerra nel posto di lavoro, è finita la guerra nel mondo”». E così saranno più forti «la colomba, l’arcobaleno e l’alleanza». Nomina episcopale in Paraguay La nomina di oggi riguarda l’America latina. Forti nella vita «Lo sport ci fa sentire vivi, ci rende sani e ci mette in contatto col creato: è il messaggio che questi atleti portano in tutto il mondo». Così il vescovo di Graz-Seckau, Wilhelm Krautwaschl, ha presentato a Papa Francesco la delegazione di Special Olympics. Ricordando il vangelo in cui Gesù chiede al cieco di Gerico «Cosa posso fare per te?» il presule ha detto che di fronte alla disabilità non serve uno sguardo di compassione ma l’impegno ad aiutare a valorizzare le capacità di ciascuno, a «rendere ognuno forte per la vita». E il presidente di Special Olympics Austria, Jürgen Winter, ha sottolineato che non si tratta solo di una manifestazione sportiva, ma di «un contributo per rafforzare i diritti dell’uomo attirando l’attenzione su quanti devono fronteggiare la disabilità». Grazie anche a questi giochi, infatti, «le scuole cominciano a interessarsi allo sport come occasione d’inclusione». Pedro Collar Noguera vescovo di San Juan Bautista de las Misiones Nato il 9 settembre 1963 a Juan León Mallorquín, nel dipartimento dell’Alto Paraná, ha compiuto gli studi filosofici e teologici nel seminario maggiore nazionale di Lambaré. Ottenuta la licenza in diritto canonico a Buenos Aires, presso l’Università cattolica argentina (1995-1998), ha frequentato corsi di dottorato nella stessa materia presso l’Università Pontificia di Comillas a Madrid (2011-2013). Ordinato sacerdote il 7 giugno 1992 a Ciudad del Este, è stato vicario parrocchiale di San Lucas (1992-1993) e di Virgen Aparecida de los Cedrales (1993-1994); moderatore dell’équipe sacerdotale della parrocchia di San Blas della cattedrale di Ciudad del Este (1994-1995). Divenuto parroco della stessa cattedrale (1998-2006), poi vicario generale di Ciudad del Este (2006-2011), giudice del tribunale ecclesiastico di seconda istanza (2011-2015), cancelliere diocesano (2014-2015) e nuovamente vicario generale, il 23 aprile 2016 è stato nominato vescovo titolare di Tamugadi e ausiliare di Ciudad del Este. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il successivo 28 maggio.