1 AFFITTO E CESSIONE DI AZIENDA NEL PRE

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1 AFFITTO E CESSIONE DI AZIENDA NEL PRE
AFFITTO E CESSIONE DI AZIENDA NEL PRE CONCORDATO
1. Ammissibilità di un affitto o di una cessione di azienda in corso di
preconcordato.
Com’è noto, la domanda di preconcordato non comporta alcun obbligo
dell’imprenditore di indicare al Tribunale il contenuto del piano che egli
presenterà allo scadere del termine che gli deve essere concesso per la
presentazione della proposta ai sensi dell’art. 161, comma VI, l.fall. Tuttavia una
volta presentata la domanda il debitore è tenuto al rispetto di alcuni obblighi. Tra
questi l’art. 161, co. VII, prevede la necessità dell’autorizzazione per il
compimento degli atti urgenti di straordinaria amministrazione, che debbono
essere autorizzati dal Tribunale. La norma precisa che, nello stesso termine, il
debitore può anche compiere gli atti di ordinaria amministrazione. Aggiunge che i
crediti di terzi eventualmente sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal
debitore sono prededucibili ai sensi dell'articolo 111 l.fall.
Una volta intervenuta l’ammissione al concordato preventivo ai sensi dell’art.
163, gli atti di straordinaria amministrazione dovranno essere oggetto di
autorizzazione ai sensi dell’art. 167, co. II, da parte del giudice delegato, a pena
d’inefficacia.
Va poi sottolineato che il legislatore ha dettato all’art. 186 bis norme particolari
per il concordato con continuità, comprendendo in tale ipotesi i casi in cui il piano
di concordato di cui all'articolo 161, secondo comma, lettera e) prevede la
prosecuzione dell'attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell'azienda
in esercizio ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o più società,
anche di nuova costituzione. La norma non considera tra queste ipotesi l’affitto
d’azienda. E’ lecito domandarsi se non si tratti di dimenticanza da parte del
legislatore o se invece l’omissione sia stata volontaria ed abbia una precisa
ragione.
Infine va aggiunto che il legislatore non ha dettato, in tema di concordato, norme
specifiche relative all’affitto d’azienda, a differenza di quanto ha invece fatto per
il fallimento dove l’art. 79 si occupa del contratto d’affitto d’azienda già in essere
al momento della dichiarazione di fallimento, per precisare che tale contratto non
si scioglie per effetto del fallimento. Entrambe le parti possono recedere entro
sessanta giorni, corrispondendo alla controparte un equo indennizzo, che, nel
dissenso tra le parti, è determinato dal giudice delegato, sentiti gli interessati.
L’indennizzo dovuto dalla curatela è regolato dall’articolo 111, n. 1, e beneficia
quindi della prededuzione. Per contro l’art. 104 bis regola la stipulazione del
contratto d’affitto d’azienda in pendenza di fallimento precisando che esso è
autorizzato dal giudice delegato, anche prima della presentazione del programma
di liquidazione, su proposta del curatore e parere favorevole del comitato dei
creditori “quando appaia utile al fine della più proficua vendita dell’azienda o di
parti della stessa”. Il legislatore detta norme in ordine alla scelta dell’affittuario
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che deve avvenire a norma dell’articolo 107, sulla base di stima, assicurando, con
adeguate forme di pubblicità, la massima informazione e partecipazione degli
interessati. Soltanto con riguardo alla scelta dell’affittuario il legislatore detta
regole particolari che non tendono soltanto, come di consueto, alla massima
soddisfazione dei creditori, ma impongono di tenere conto, oltre che
dell’ammontare del canone offerto, delle garanzie prestate e della attendibilità del
piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali, della conservazione dei livelli
occupazionali.
Il legislatore poi, sulla base di regole di esperienza, stabilisce il contenuto
obbligatorio del contratto, che dovrà dunque prevedere il diritto del curatore di
procedere alla ispezione della azienda, la prestazione di idonee garanzie per tutte
le obbligazioni dell’affittuario derivanti dal contratto e dalla legge, il diritto di
recesso del curatore dal contratto che può essere esercitato, sentito il comitato dei
creditori, con la corresponsione all’affittuario di un giusto indennizzo da
corrispondere ai sensi dell’articolo 111, primo comma, n. 1) e dunque in
prededuzione. La durata dell’affitto deve essere compatibile con le esigenze di
liquidazione dei beni, posto che il fallimento è una procedura liquidatoria. Infine il
riconoscimento della prelazione a favore dell’affittuario può essere pattuito
convenzionalmente, previa autorizzazione del giudice delegato e parere
favorevole del comitato dei creditori. Si tratta infatti di concessione che altera le
condizioni della gara per la vendita dell’azienda, perché l’affittuario trovandosi
nel possesso dei beni rimane favorito.
Infine il legislatore detta regole per la retrocessione dell’azienda al termine del
fallimento stabilendo che essa non comporta la responsabilità del fallimento per i
debiti maturati sino alla retrocessione in deroga al disposto degli artt. 2112 e 2560
c.c. La disciplina dei rapporti pendenti è quella dettata dagli artt. 72 e ss. l.fall.
con la conseguenza che i contratti posti in essere dall’affittuario non proseguono
automaticamente, di regola, con la curatela, ma rimangono sospesi sino a quando
il curatore non decide di subentrarvi.
Se il legislatore non ha previsto norme espresse relative all’affitto d’azienda in
caso di concordato, va però aggiunto che l’art. 169 bis prevede il diritto del
debitore di chiedere al Tribunale, con il ricorso per l’ammissione alla procedura,
ovvero al giudice delegato dopo l’ammissione, di essere autorizzato a sciogliersi
dai contratti pendenti. Di tali contratti può anche essere autorizzata la
sospensione. Il secondo comma della norma aggiunge che in tali casi, il contraente
ha diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al
mancato adempimento. Tale credito e' soddisfatto come credito anteriore al
concordato. Sulla base di questa disciplina, il debitore può chiedere di essere
autorizzato a sciogliersi dal contratto di affitto pendente al momento della
presentazione della domanda di concordato ed l’indennizzo spettante
all’affittuario per il mancato godimento dà origine ad un credito chirografario, a
differenza di quanto previsto in caso di fallimento dall’art. 79.
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Un primo quesito che occorre porsi è se l’affitto d’azienda sia compatibile con il
concordato preventivo. A tal fine occorre ricordare che l’art. 160, comma I, lett. a)
prevede che la proposta di concordato può avere ad oggetto la ristrutturazione dei
debiti e la soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma. Il concordato può
avere contenuto liquidatorio, se ad esso non si accompagna la prosecuzione
dell’attività d’impresa, o può assumere le forme della ristrutturazione. Se è
evidente che la ristrutturazione di regola è incompatibile con l’affitto d’azienda a
terzi ( ma si possono immaginare casi in cui l’azienda al termine dell’affitto viene
retrocessa al locatore e prosegue in capo a quest’ultimo), la liquidazione è del
tutto compatibile con la prosecuzione dell’attività in capo a diverso imprenditore,
e tale cessione può essere preceduta o favorita dall’affitto, anche in capo ad un
soggetto diverso dal futuro acquirente. Di conseguenza l’affitto è compatibile con
il concordato.
E’ peraltro vero che in tema di concordato con cessione dei beni l’art. 182, IV e V
comma, stabiliscono che le vendite di aziende e rami di aziende, beni immobili e
altri beni iscritti in pubblici registri, nonché le cessioni di attività e passività
dell’azienda e di beni o rapporti giuridici individuali in blocco devono essere
autorizzate dal comitato dei creditori. Si applicano gli articoli da 105 a 108-ter in
quanto compatibili, cioè le norme che regolano la vendita dei beni nel fallimento.
Non a caso il legislatore non ha richiamato l’art. 104 bis. Ne deriva che, se le
alienazioni di beni in caso di concordato con cessione non possono essere
eseguite, di regola almeno, prima dell’omologazione, perché a tanto si deve
provvedere da parte del liquidatore nel rispetto della disciplina dettata dall’art.
182, tale principio non vale per l’affitto d’azienda. E la ragione è evidente.
L’affitto d’azienda, per quanto atto di rilevante importanza, non è atto di
alienazione dei beni, che al termine dell’affitto debbono invece essere retrocessi,
sì che l’imprenditore perde la disponibilità dell’azienda affittata soltanto per la
durata del contratto e non definitivamente.
2. Condizioni del contratto ai fini dell’autorizzazione del Tribunale.
Se l’affitto è certamente compatibile con la disciplina del concordato in generale,
un ulteriore quesito è se esso sia compatibile con il concordato con continuità
disciplinato dall’art. 186 bis. Come si è accennato, la norma prevede che si
applichi una specifica disciplina, favorevole alla prosecuzione dell’attività
d’impresa, nel caso in cui il piano di concordato preveda la prosecuzione
dell'attivita' di impresa da parte del debitore, la cessione dell'azienda in esercizio
ovvero il conferimento dell'azienda in esercizio in una o piu' societa', anche di
nuova costituzione. La norma non contempla espressamente il caso in cui al
momento della presentazione della domanda di concordato, eventualmente nelle
forme del preconcordato, sia in corso un contratto d’affitto. Si è osservato che
anche in questo caso vi è prosecuzione dell’attività d’impresa, sì che a prima vista
non si comprende perché il legislatore non abbia considerato anche quest’ipotesi
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nella disciplina del concordato con continuità1. Si è replicato che l’impresa
prosegue in capo ad un soggetto terzo e che non vi è motivo per dettare una
disciplina di favore a tutela di tale soggetto, che è in bonis e nei cui confronti si
debbono applicare le regole ordinarie. Soprattutto, mi pare, nelle varie ipotesi
espressamente considerate dall’art. 186 bis l’attività d’impresa prosegue in capo al
debitore concordatario ovvero la costituzione della nuova società conferitaria o la
cessione a terzi sono oggetto di provvedimento soggetto al controllo del giudice
nell’ambito della procedura di concordato. Nel caso invece dell’affitto pendente al
momento dell’ingresso in procedura, anche nelle forme del preconcordato, non vi
è alcun controllo sulla gestione dell’impresa da parte del terzo affittuario.
Tornando alla disciplina dell’affitto, va detto che esso è certamente atto di
straordinaria amministrazione. Con riferimento alla distinzione tra atti di ordinaria
e straordinaria amministrazione la giurisprudenza di merito ha osservato, con
riguardo al disposto dell’art. 161, che devono ritenersi di ordinaria
amministrazione gli atti di comune gestione dell'azienda, strettamente aderenti
alle finalità e dimensioni del suo patrimonio e quelli che - ancorché comportanti
una spesa elevata - lo migliorino o anche solo lo conservino, mentre ricadono
nell'area della straordinaria amministrazione gli atti suscettibili di ridurlo o
gravarlo di pesi o vincoli cui non corrispondano acquisizioni di utilità reali su di
essi prevalenti. (Trib. Terni, 28.12.2012, Il caso; conf. Trib. Milano, 23.11.2012,
Il caso). Va poi aggiunto che recentemente, con riferimento alla validità di una
clausola compromissoria, la Cassazione, riprendendo alcuni suoi risalenti
precedenti, ha osservato che “in tema di attività di impresa il criterio per
distinguere gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione non può essere
quello del carattere conservativo, o no, dell'atto posto in essere - criterio valido,
invece, per l'amministrazione del patrimonio degli incapaci - in quanto l'attività
imprenditoriale presuppone necessariamente il compimento di atti di disposizione
di beni: con la conseguenza che la distinzione va fondata, per contro, sulla
relazione in cui l'atto si pone con la gestione normale del tipo di impresa di cui si
tratta e con le dimensioni dell'impresa stessa. Ne deriva che solo gli atti che
modifichino la struttura economico - organizzativa sono da considerarsi di
straordinaria amministrazione (Cass., sez. 1^, 18 ottobre 1997 n. 10229; Cass.,
sez.1, 4 maggio 1995, n. 4856)” ( Cass. 5.12.2011, n. 25952).
Prendendo le mosse da questo orientamento, possiamo dire che non vi possono
essere dubbi sulla qualità di atto di straordinaria amministrazione dell’affitto
d’azienda. Non soltanto esso incide sul normale ciclo produttivo dell’impresa e
sull’oggetto dell’attività che cessa per essere sostituito da un’attività di godimento
mediato dei risultati dell’impresa esercitata da terzi, ma la stipulazione del
contratto comporta una serie di rischi rilevanti, di dispersione dell’avviamento,
dell’organizzazione aziendale, di perdita dei dipendenti, che debbono essere
oggetto di attento esame e controllo, come testimonia il contenuto obbligatorio del
contratto previsto dall’art. 104 bis per il fallimento. A riprova si può citare una
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In senso favorevole A.PATTI, Rapporti pendenti nel concordato preventivo, in Fallimento, 2013,
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recente decisione in cui si è ritenuto atto di straordinaria amministrazione “il
contratto di comodato di un immobile, la ripresa dell'attività produttiva di una
società in liquidazione non solo allo scopo di evadere gli ordini già acquisiti ma
anche per "soddisfare le esigenze dello spaccio aziendale" ( Trib. Pinerolo,
9.1.2013).
Ovviamente l’autorizzazione del Tribunale presuppone che il debitore abbia
fornito sufficienti informazioni sul contenuto del piano che presenterà alla
scadenza del termine all’uopo concessogli in modo che il giudice possa valutare la
compatibilità dell’affitto con le proposte di ristrutturazione o di liquidazione.
Il contratto poi dovrà contenere, per poter essere autorizzato, tutte le clausole che
sono previste dall’art. 104 bis a garanzia dell’impresa locatrice e dunque dovrà
prevedere il diritto del curatore di procedere alla ispezione della azienda, la
prestazione di idonee garanzie per tutte le obbligazioni dell’affittuario derivanti
dal contratto e dalla legge, il diritto di recesso dal contratto che può essere
esercitato, sentito il comitato dei creditori, con la corresponsione all’affittuario di
un giusto indennizzo.
Va sottolineato che il diritto di recesso non si fonda in questo caso sulla disciplina
dettata dall’art. 104 bis, che non è direttamente applicabile nell’ambito del
concordato, e neppure sul disposto dell’art. 169 bis perché nella specie il contratto
viene stipulato in pendenza di procedura e dunque esula dal novero dei contratti
pendenti al momento della presentazione del ricorso. La previsione del recesso nel
contratto sarà dunque necessaria per consentire il venir meno del rapporto ove
vengano meno le garanzie di buona gestione e conservazione dell’azienda da parte
dell’affittuario.
L’indennizzo contrattualmente previsto dovrà essere corrisposto in prededuzione,
non tanto perché la prededuzione sia prevista dall’art. 104 bis per i motivi già
detti, ma perché l’art. 161, co. VII, dispone che i crediti di terzi eventualmente
sorti per effetto degli atti legalmente compiuti dal debitore sono prededucibili ai
sensi dell'articolo 111.
Va poi aggiunto che altre clausole a garanzia del locatore potranno essere previste
di volta in volta in relazione alle specifiche situazioni oggetto d’esame. Il
legislatore, imponendo al curatore nel fallimento di tener conto delle garanzie
prestate e dell’attendibilità del piano di prosecuzione delle attività imprenditoriali,
non fa altro che codificare l’esperienza formatasi nella pratica nel vigore della
vecchia disciplina concorsuale. Occorre ricordare che la cattiva gestione da parte
dell’affittuario può provocare conseguenze nefaste per l’azienda, causando la
diminuzione o addirittura la perdita dell’avviamento. In ogni caso l’affittuario
viene immesso nel possesso dell’azienda, ivi compresi brevetti, marchi,
macchinari anche complessi. E’ quindi possibile un utilizzo sconsiderato delle
risorse esistenti, l’omissione di doverose manutenzioni, l’illecito utilizzo da parte
di terzi di marchi e brevetti.
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Contro tali rischi la procedura deve garantirsi, più che contro il mancato
pagamento dei canoni, e lo può fare sia tenendo conto della credibilità del
progetto imprenditoriale dell’affittuario e delle garanzie prestate in sede di scelta
del contraente, sia con la previsione di idonee clausole contrattuali e con la
stipulazione di garanzie accessorie2. Va sottolineato che questa materia è
insufficientemente disciplinata dal codice civile ( artt. 1615 e ss.; artt. 2558 e ss.),
sì che gli obblighi di manutenzione vanno chiaramente indicati, così come i poteri
di ispezione e controllo da parte della procedura.
Per questa ragione l’art. 104 bis, comma 3, stabilisce che il contratto deve
prevedere il diritto del curatore di procedere ad ispezione dell’azienda, la
prestazione di idonee garanzie per tutte le obbligazioni dell’affittuario derivanti
dal contratto e dalla legge, ed il diritto di recesso di cui s’è già detto.
L’art. 104 bis stabilisce che l’affitto è autorizzato dal giudice delegato, nel
fallimento, previo parere favorevole del comitato dei creditori “quando appaia
utile al fine della più proficua vendita dell’azienda o di parti della stessa”. Tale
vincolo non pare applicabile al concordato, quando esso non abbia carattere
liquidatorio, perché se il piano che sarà presentato ha ad oggetto la ristrutturazione
e l’affitto rappresenta una soluzione ponte in vista della prosecuzione dell’attività
d’impresa, esso non avrebbe senso. E’ invece ragionevole nel caso di cessio
bonorum, ma si tratta comunque di un limite posto in caso di fallimento e non di
concordato. In quest’ultima ipotesi sarà sufficiente che l’affitto si dimostri utile ai
fini della conservazione del valore dell’impresa in attività, ancorchè non sia
direttamente finalizzato alla vendita.
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Come avevamo osservato in passato ( L.PANZANI, Affitto d’azienda e procedure diverse
dall’amministrazione straordinaria, in Fallimento, 1998, 920) è necessario garantire con idonee
fideiussioni bancarie a prima richiesta l’adempimento da parte dell’affittuario di tutte le
obbligazioni principali. Sovente peraltro l’affittuario non è in grado dal punto di vista economico
di offrire le garanzie richieste. E’ allora necessario contemperare i rischi per la procedura che
possono derivare dall’inadempimento dell’affittuario con il diverso rischio che la procedura corre
ove non si possa far luogo all’affitto e l’azienda debba essere conseguentemente smantellata. Per le
materie prime, i semilavorati, le scorte di prodotti finiti non ha evidentemente senso l’affitto
d’azienda, trattandosi di beni che hanno un valore di scambio e non un valore d’uso e che per
contro corrono notevoli rischi di dispersione e sottrazione. E’ norma in questi casi procedere
all’alienazione immediata all’affittuario ovvero prevedere che questi debba provvedere
all’acquisto entro determinati termini e modalità, assicurando con idonea garanzia l’adempimento.
Per le macchine utensili si pongono problemi per quanto concerne la normativa in materia di
sicurezza sul lavoro, in particolare con riferimento al rispetto degli obblighi introdotti dal D.Lgs.
626/94 che, com’è noto, all’art. 6 vieta la vendita, il noleggio, la concessione in uso e la locazione
finanziaria di macchine, attrezzature di lavoro e di impianti non rispondenti alla legislazione
vigente. Sovente la procedura si trova ad affittare stabilimenti industriali che non sono
perfettamente a norma e in tempi ( già si è detto che per lo più l’affitto d’azienda va stipulato in
tempi brevi) che non consentono un’accurata verifica delle condizioni dei macchinari ed impianti.
Anche in questo caso occorre regolare sul piano contrattuale queste evenienze, anche se è da
escludere che possa essere consentito un utilizzo temporaneo da parte dell’affittuario di impianti o
macchinari non a norma. Può invece ammettersi che i macchinari ed impianti non a norma siano
affidati per la mera custodia all’affittuario, con l’incarico di provvedere alla revisione e messa a
norma, per essere successivamente reintegrati nell’azienda affittata, ma con espresso divieto di
utilizzo ed impiego sino a quel momento.
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Un ulteriore quesito riguarda le modalità con cui si deve procedere
all’individuazione dell’affittuario. La disciplina stabilita all’uopo dall’art. 104 bis
non pare applicabile dato che la norma non è richiamata in tema di concordato. Né
potranno trovare applicazione le regole stabilite per la liquidazione dei beni
dall’art. 182 perché tali norme non fanno parola dell’affitto, l’art. 104 bis non è
richiamato a differenza delle altre norme in tema di liquidazione fallimentare (artt.
105-108 ter), e soprattutto l’affitto non costituisce una forma di liquidazione dei
beni. Ne deriverebbe che il debitore è libero di individuare l’affittuario secondo i
criteri ritenuti preferibili. Tuttavia ci pare che il principio della trasparenza, che
impone che l’individuazione dell’affittuario sia preceduta da gara e che venga
effettuata una stima dell’azienda ai fini della determinazione delle condizioni
dell’affitto, debba essere rispettato. Certamente invece non troverà applicazione,
in difetto di espresso richiamo, la regola dettata dall’art. 104 bis secondo il quale
nella scelta dell’affittuario deve tenersi conto anche delle esigenze di
conservazione dei livelli occupazionali. Si tratta infatti di norma di carattere
eccezionale, la cui presenza nell’ambito della disciplina del fallimento, è già di
difficile comprensione e che probabilmente deriva dalla meccanica riproposizione
dei principi, già discutibili, stabiliti dal legislatore in altro tempo ed in altro clima
culturale, per l’amministrazione straordinaria.
Altra e diversa questione è se sia compatibile con la stipulazione del contratto
d’affitto in sede di concordato preventivo la previsione della clausola di
prelazione a favore dell’affittuario. Come si è già detto, l’art. 182 riserva per la
vendita dell’azienda il rispetto di regole previste per la vendita in caso di
fallimento, che stabiliscono che la vendita sia effettuata dai liquidatori, previa
autorizzazione del comitato dei creditori, nel rispetto delle forme di cui agli artt.
105 e ss. l.fall. Non pare dunque che, in difetto di espressa previsione di legge,
possa riconoscersi all’affittuario un diritto di prelazione che rappresenterebbe una
deroga evidente a tali regole. Va tuttavia sottolineato che la mancata previsione
della prelazione in favore dell’affittuario potrebbe rappresentare un serio limite
alla possibilità di ricorrere al contratto d’affitto d’azienda. Tale difficoltà potrebbe
forse essere superata, in sede di preconcordato, ove il debitore dichiarasse che
intende presentare alla scadenza del termine stabilito dal Tribunale non una
domanda di concordato, ma un accordo di ristrutturazione, come la legge gli
consente.
3. Sorte dei contratti e rischi in caso di mancato deposito del concordato
“definitivo” o di accordo di ristrutturazione ex art. 182-bis L.F.
Ulteriore questione riguarda le sorti del contratto d’affitto che sia stato autorizzato
dal Tribunale in pendenza del preconcordato, quando poi nel termine all’uopo
concesso dal Tribunale non segua la presentazione della proposta di concordato
ovvero il deposito della domanda di omologazione dell’accordo di ristrutturazione
ex art. 182 bis l.fall.
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In questi casi la domanda di concordato sarà dichiarata inammissibile e,
ricorrendone le condizioni il Tribunale potrà anche dichiarare il fallimento. Va
però osservato che l’atto di straordinaria amministrazione una volta autorizzato
rientra nell’ambito degli atti legalmente compiuti, assistiti dalla prededuzione sia
nell’ambito del concordato sia nel caso di successivo fallimento. Va anzi precisato
che gli atti compiuti dall’imprenditore in pendenza di preconcordato, siano stati
autorizzati o meno, ad esempio perché ritenuti erroneamente atti di ordinaria
amministrazione, non sono nulli, ma semmai inefficaci nei confronti dei creditori
nell’ambito del successivo fallimento. Ne deriva che fino alla dichiarazione di
fallimento il contratto d’affitto stipulato dall’imprenditore sarà sicuramente
produttivo di effetti. Una volta dichiarato il fallimento, l’affitto se autorizzato dal
Tribunale in regime di preconcordato, rappresenterà un atto legalmente compiuto
e dunque proseguirà anche nel successivo fallimento, fatto salvo il diritto di
sciogliersene del curatore ai sensi dell’art. 79 l.fall. Viceversa è da ritenere che il
curatore non possa avvalersi dell’azione revocatoria per far dichiarare inefficace il
contratto, posto che l’art. 67 comma 3, lett. e) fa salvi “gli atti, i pagamenti e le
garanzie legalmente posti in essere dopo il deposito del ricorso di cui all'articolo
161”.
Nella sostanza l’affitto è stato validamente stipulato ed esso proseguirà sia nel
caso in cui l’imprenditore rimanga in bonis, nonostante la mancata presentazione
della proposta di concordato nel termine e la conseguente declaratoria
d’inammissibilità, sia nel caso in cui invece si faccia luogo su istanza di un
creditore o del P.M. alla dichiarazione di fallimento. In tale ultima ipotesi non vi
sarà sostanziale differenza tra il caso in cui l’affitto sia stato stipulato ante
fallimento al di fuori del concordato o nell’ambito del preconcordato, salvo per il
fatto che in quest’ultimo caso vi sarà diritto alla prededuzione per i crediti
derivanti dal contratto nei confronti dell’impresa fallita. Nella sola ipotesi in cui
l’affitto sia stato stipulato in regime di preconcordato, ma in difetto
dell’autorizzazione del Tribunale, il curatore potrà far valere l’inefficacia dell’atto
nei confronti dei creditori e la conseguente inopponibilità dello stesso riguardo
alla curatela.
Nell’ambito dei crediti che beneficiano della prededuzione vanno considerati
anche quelli derivanti dalla retrocessione dell’azienda in caso di conclusione
dell’affitto, tenendo peraltro conto sotto tale profilo del disposto dell’art. 79, ult.
co. che stabilisce una disciplina in deroga ai principi generali stabiliti dagli artt.
2112 e 2560 c.c.
4. Trattamento dei rapporti giuridici pendenti trasferiti nel contratto e sorte
dei rapporti esclusi dal perimetro del trasferimento
L’art. 2558 c.c. stabilisce che in caso di cessione d’azienda, ma anche di usufrutto
od affitto dell’azienda stessa, l’acquirente, l’affittuario, l’usufruttuario subentrano
nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda che non hanno carattere
personale. E’ fatta salva la facoltà del terzo contraente di recedere dal contratto
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entro tre mesi dalla notizia del trasferimento se sussiste giusta causa, fatta salva la
responsabilità dell’alienante o del locatore.
Questa disciplina si applica anche nel caso in cui l’affitto sia stipulato in pendenza
del preconcordato. Essa tuttavia deve essere coordinata con il disposto dell’art.
169 bis che regola la facoltà del debitore in preconcordato di sciogliersi dai
contratti pendenti, previa autorizzazione del Tribunale, o di ottenerne comunque
la sospensione, sempre previa autorizzazione del Tribunale. Dopo l’ammissione
alla procedura il potere autorizzativo spetta al giudice delegato. In tali casi, il
contraente ha diritto ad un indennizzo equivalente al risarcimento del danno
conseguente al mancato adempimento. Tale credito e' soddisfatto come credito
anteriore al concordato.
Ne deriva che l’affittuario subentra in tutti i contratti pendenti relativi all’esercizio
dell’impresa, che non abbiano carattere personale. Perché vi sia subentro è però
necessario che il contratto sia pendente al momento della stipulazione del
contratto d’affitto con la conseguenza che se il debitore concordatario si è sciolto,
con l’autorizzazione del Tribunale da alcuni contratti, in questi l’affittuario non
subentrerà perché essi non saranno più pendenti al momento in cui il contratto
d’affitto produce i suoi effetti. E’ così possibile, utilizzando il potere di
scioglimento, evitare che l’affittuario subentri in alcuni rapporti. Va però tenuto
presente che questa disciplina non riguarda tutti i contratti perché l’art. 169 bis
esclude dalla facoltà di scioglimento i contratti di cui agli articoli 72, ottavo
comma, 72 ter e 80 primo comma, vale a dire:
a) il contratto preliminare di vendita trascritto ai sensi dell’articolo 2645-bis del
codice civile avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo destinato a costituire
l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini entro il terzo
grado ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato a costituire la sede
principale dell'attività d'impresa dell'acquirente.
b) il contratto di finanziamento di cui all’articolo 2447-bis, primo comma, lettera
b), del codice civile, destinato al finanziamento di uno specifico affare quando
impedisce la realizzazione o la continuazione dell’operazione.
c) il contratto di locazione d'immobili.
In questi casi pertanto il contratto proseguirà con l’affittuario dell’azienda, sempre
che naturalmente si tratti di contratti relativi all’esercizio dell’impresa, situazione
questa che, data la natura particolare di questi contratti, non sempre si verificherà.
Come s’è detto, l’art. 169 bis consente al debitore concordatario di chiedere al
Tribunale l’autorizzazione alla sospensione del contratto per un periodo non
superiore a sessanta giorni, prorogabili per una sola volta. E’ da ritenere che al
termine del periodo di sospensione si verifichi il subentro dell’affittuario nel
contratto, ove naturalmente esso sia stato stipulato per l’esercizio dell’azienda.
Va poi osservato che il subentro nei contratti pendenti riguardi anche il caso in cui
l’affitto ha ad oggetto soltanto un ramo d’azienda. In questi casi vi potranno
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essere difficoltà per stabilire se un contratto inerisca al ramo d’azienda affittato.
Da questo punto di vista sarà opportuno precisare nel contratto d’affitto quali sono
i contratti che proseguono, fermo restando che il terzo contraente potrà contestare
i risultati della pattuizione tra locatore ed affittuario.
Luciano Panzani
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