L`errata corrige di Cristoforo Ferri
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L`errata corrige di Cristoforo Ferri
Conte Cristoforo Ferri Biblioteca Federiciana di Fano, manoscr. Amiani, 120, busta 1, fascicolo I L’ ERRATA CORRIGE DI CRISTOFORO FERRI LETTERA AL SIG. COMPILATORE DEL GIORNALE DELLE DAME Lettera inviata dal conte Ferri come “Errata-Corrige” al Corriere delle Dame Collocazione:Biblioteca Federiciana di Fano, manoscr. Amiani, 120, busta 1, fascicolo I Senza data Trascrizione integrale del manoscritto Al Sig.r Compilatore del Giornal delle Dame Alcuni amici del vero stimano esser lor debito di avvertire il sig. giornalista delle Dame che ci farà cosa tutta conforme alla gentilissima qualità del suo ufficio, e coll’obbligo d’ogni leale ed onorata persona, se quanto prima si degnerà di pubblicare il seguente Errata-Corrige che riguarda quell’ articolo necrologio inserito nel suo giornale de’ 13 luglio n.28. Il quale Errata-Corrige verrà senza dubbio a ritornargli nella memoria questa comune sentenza, che quando altri non ha certa e ben determinata notizia di un fatto qualsiasi, dee piuttosto tacere, che nettamente esporsi al perico di dire il falso. Errata La morte del conte Giulio Perticari avvenuta in Pesaro Corrige Il conte Giulio Perticari non morì in Pesaro, ma in S.Costanzo; che è una terra posta vicino a Fano sette miglia. Ed al certo è convenevole anzi necessario, che di un uomo come il Perticari si sappia giustamente e il luogo dov’egli nacque, e quello dove finì di vivere. Errata Ma dopo alcuni anni di questa gloria, che noi chiamerem domestica, o municipale, il conte Perticari si fece sposo alla figlia del cavalier Vincenzo Monti ecc.. Allora gli eccitamenti di si gran suocero non 288 Paolo Vitali che quelli della virtuosa ed erudita consorte, trassero il troppo modesto giovine dal silenzio nel quale viveva, ed il suo nome cominciò a sonare glorioso per tutta l’Italia. Corrige Che il conte Perticari abbia mutato la sua gloria domestica o municipale, in pubblica o nazionale, non mercé la naturale virtù del suo meraviglioso intelletto, ma per essersi legato in matrimonio colla sig.ra Costanza Monti, al sicuro non sarà mai nessuno che il creda, fuorché quell’anima semplicetta del sig. giornalista delle Dame. Ora a trarlo d’inganno basti la prova che poniamo qui sotto, la quale si fortifica di molti fatti vulgatissimi non solo in Pesaro, e ne paesi circonvicini, ma in tutte quante le provincie della Romagna, e della Marca. Ed è questa: che il Perticari da che si fece sposo alla Monti, non ebbe più mai ne contentezza, ne bene. Perchè costei che tenne da natura un indole piuttosto ferina che umana si piacque di fargli conoscere a prima giunta, che la sperata beatitudine dell’imeneo non era altro che un sogno. Ed al tutto ne lo volle certificare un anno e mezzo dopo quelle nozze mal augurate, cioè allorché gli intonò alla scoperta (vedi gran bontà, e tenerissimo amore di sposa) che dubitando di morir sopra parto, abborriva dall’aver prole, e che in conseguenza volea da indi innanzi passare le notti senza compagnia. Né da questo detto al fatto fu mai nessuna differenza : non ignorandosi che in quanto s’appartiene al buon Perticari, essa perseverò in quella pudica deliberazione infino al termine de miseri giorni di lui. E qui seguiterebbe che si narrassero partitamente le villanie, le ire, le perfidie, e gli altri abominevoli trattamenti , onde questa rea femmina fece dell’ottimo Giulio l’infelicissimo de’ mariti. Ma l’onestà e la prudenza ce ne fanno divieto. E noi non saremo arditi di romperlo; si veramente che si cessi una volta di falsificare il vizio in sembianza della virtù, e rendere onore a chi per legge di giustizia merita dispregio ed infamia. Non lasceremo però di far intendere, al sig.r giornalista, che gli effetti delle inique operazioni della sig.a Costanza andarono troppo più oltre di quello, ch’essa per avventura non aveva immaginato. Imperocchè, è cosa indubitata, che la malattia e morte del Perticari, non si debbano imputare ad altro, se non se ai gravi e continui affanni procuratigli dalla pessima moglie. Stemma araldico della famiglia Ferri Biblioteca Federiciana di Fano, Borgogelli, Libro d’Oro della Nobiltà Fanese 290 Paolo Vitali Il che si fa irrepugnabile per le tre prove seguenti. La prima delle quali si appoggia alle condizioni di essa malattia che fu una lenta infiammazione di fegato non disgiunta da copioso stravasamento di bile. La seconda consiste tutta nella testimonianza di Giulio già infermo. Il quale vinto un giorno dall’interno dolore si diede a sfogarlo con un suo fedele, così dicendo : ben mi avveggo che se voglio vivere ancora, io non posso stare più unito a questa cattiva donna. E un’altra volta, ad un altro amico che il volea consolare si pose sospirando: credi tu che io non conosca chi mi toglie la vita? L’ultima poi che acquista intera saldezza alle due preallegate, si fonda nella confessione fatta dalla medesima sig.a Costanza. La quale non molto dopo che il misero Giulio ebbe spirata l’anima, si sentì rimordere dalle sue stesse colpe si fattamente che, perduta subito la potenza di usare le consuete malizie, cominciò a fare un pianto grandissimo, e in presenza di parecchie persone proruppe in queste disperate parole: Odiatemi tutti che ne avete ragione, io sono stata quella che ha fatto morire il povero Giulio, io sono l’assassina di mio marito. Di li a poco prese partito di fuggirsene da S. Costanzo. Ma siccome sapeva il certo a chi s’avesse da attribuire la morte di suo marito, e temeva grandemente [che] i concittadini di lui si levassero a rimproverargliela nelle pubbliche vie, così protestò più volte ai circostanti che non si sarebbe mai condotta in Pesaro per nessun patto. Ne quelli sicuramente poterono pur pensare di opporsi a così giusto volere. Onde la sera seguente si mise in cammino, e passando lungo le mura della prefata città, corse a ricoverarsi nella terra di Romagna. Ed è già pubblico, che con le stesse orribili note è andata gridando il suo malefizio in Savignano, in Cesena, ed in altri luoghi siccome veniva incitata dalla coscienza vendicatrice, che fa forza al cuore, anzi alla lingua medesima dei delinquenti, e la sospinge a diventare sollecita palesatrice delle loro occulte iniquità. Né la sig.a Costanza ben si consiglierebbe per certo se pensando d’imprimere nella mente dei uomini gentili d’Italia un’altra opinione de fatti suoi, ritrattasse ora da quella svergognata ch’ella è tutte le solenni accuse che pochi giorni addietro ha date a se stessa, atteso che questo nuovo artificio della sua vecchia tristizia sarebbe in subito discoperto e convinto falso: ben sapendosi per ognuno che le anime supremamente malvage imparano col beneficio del tempo a distinguere i rimorsi della coscienza, si che trascorrono di leggieri a sconfessare la colpa che da prima avevano lor malgrado confessata. E questa considerazione vien molto opportuna al nostro futuro bi- Palazzo Cassi a San Costanzo 291 sogno. Perché stimiamo che ci debba assicurare contro la sofistica loquacità di quelle lingue adulatrici, che predicando per buone le intempestive giustificazioni della sig.a Costanza, presumessero di tor fede a tutte le cose da noi poco innanzi descritte. Per le quali ora non dubiteremo di conchiudere, che, non che la sig.ra Costanza Monti abbia aiutato la fama del Perticari, ma l’ha sempre e a tutto suo potere impedita; anzi, con infinito danno delle italiane lettere l’ha per così dire fermata a mezzo il corso; cioè quando ne pareva avesse dovuto levarsi più in alto, e volar di pari con quella de più gloriosi spiriti che mai furono al mondo. Tristissima immagine, e valevole per se sola a farci spargere molte lagrime! La quale allora ci si partirà d’innanzi alla mente; quando potrà in noi venir meno e la riverenza verso la memoria di quell’uomo divino, e l’indignazione, giustamente concetta contro a colei che fu l’unica e certa cagione della sua morte. Errata E il Perticari fu tolto all’amore della sposa. L’amicizia e l’affetto più che paterno del maggior letterato d’Italia, e l’amore tenerissimo di una sposa, del marito e del padre ben degna, siccome fecero a lui contenta la vita. Corrige Ecco che il sig.r giornalista delle Dame mette in campo di molte altre menzogne. E qui ci è forza di venir meditando che, se nel cielo si curano le cose di questa vilissima aiuola, per fermo quella pietosa anima del Perticari debba compatir forte l’umana famiglia, che divisa in ingannatori, ed ingannati, è pur tutta e mai sempre infelice. Ma noi che per la grazia di Dio non siamo mai stati nel numero di que’primi, e questa volta uscirem fuori eziandio dalla moltitudine di que’secondi. Né perciò il sig.r giornalista ci dovrà porre mal animo addosso, avuto riguardo che non essendo noi ne ingannatori, ne ingannati, gli faremo ragione in maniera che non gli sarà mestieri di richiamarsi ad altri sentenziatori. Laonde ne giova di approvare siccome sante quelle parole, che toccano dell’affetto più che paterno, onde l’egregio cavalier Monti pensava di far contenta la vita del suo Perticari. Ché nel vero egli, il Monti, lo teneva in conto di caro figlio ed amico, e il chiamava dolcissimo conforto della sua vecchiezza e vedeva in lui 292 Paolo Vitali quasi il principale sostegno della propria gloria dopo il sepolcro. Ma in virtù delle prove soprarrecate francamente danniamo tutte le cose che si discorrono in lode della Sig.a Costanza, e vogliamo che quel luogo si legga a un di presso così : Il Perticari fu tolto finalmente alla persecuzione ed all’odio di una scellerata femmina, che si mostrò sempre indegnissima moglie di si virtuoso marito. E queste son verità certissime; e tali che avranno intera vittoria sopra tutte le ipocrite arti della sig.a Costanza. Il che si dice da noi non senza una speciale cagione. Perocché ci è venuto all’orecchio che quella scaltra vedova abbia dal padre impetrata licenza di spendere la metà della racquistata dote, e siasi posta in animo di far eseguire un marmo di singolare bellezza, a fine di ornare la sepoltura del misero Giulio. Or ella s’ingegni pure di usurpare il luogo alla sincera pietà de’ cittadini pesaresi; ché nessuno certamente ne le potrà dar biasimo. Conciossiachè sia giustissimo che colei che tolse la vita al Perticari, quella medesima consacri alla immortalità, così la gloria di lui come la propria infamia. Anzi noi stessi l’aiuteremo a bene adempiere questo secondo importantissimo fine. E ne verrà fatto, proponendole l’iscrizione da scolpirsi sopra il predetto marmo. La quale prenda in gran parte sua forma da un verso dell’Alighieri; ed è dell’infrascritto tenore : “La fiera moglie, null’altro mi nocque”. Nelle pagine seguenti: Errata-corrige del conte Cristoforo Ferri inviata al signor compilatore del Giornale delle Dame, Biblioteca Federiciana di Fano, manoscr. Amiani, 120, busta 1, fascicolo I (il nome corretto della testata è “Corriere delle Dame” e non “Giornale delle Dame” come scritto dal Ferri)