Abel Ferrara. Un filmaker a passeggio fra i generi

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Abel Ferrara. Un filmaker a passeggio fra i generi
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Intervista a Fabrizio Fogliato, autore
di “Abel Ferrara. Un filmaker a
passeggio fra i generi”
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Creato il 09 marzo 2015 da Taxi Drivers
A proposito dell'autore
Abel Ferrara. Un filmaker a passeggio fra i generi
Sovera Edizioni, 2013
pp. 458.
Il Critico Fabrizio Fogliato esplora nuovamente l’universo di
Abel Ferrara con un saggio edito da Sovera dove ci si sofferma
ampiamente e come mai fino ad ora sull’opera del regista
newyorkese, includendo l’intera produzione, inclusa molta
produzione spesso considerata “minore” o tralasciabile, ma che
invece dipinge l’autore a tutto tondo. Impreziosiscono vari
interventi di personaggi che hanno circuitato intorno all’universo
Ferrara. Per saperne di più chiediamo alcune domande
all’autore
1 – Fabrizio, tu hai già curato un saggio su Abel Ferrara,
“Flesh & Redemption: il cinema di Abel Ferrara”. Quindi
questo nuovo saggio è un aggiornamento o, come
direbbero i Monty Python, “qualcosa di completamente
diverso”? Cosa ti ha spinto a tornare sull’autore
newyorkese?
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Marilyn Monroe Bernardo Bertolucci
Il fatto di non aver detto tutto e di voler dare una lettura della sua
opera decisamente “diversa”, come dimostra la scelta di
scrivere il libro come un catalogo – con l’intera opera-omnia
sviscerata in rigoroso ordine cronologico – partendo dalla prima
pagina con il primo corto per arrivare alla fine con l’ultimo film
(per l’epoca) in produzione. Per la prima volta in Italia, ho
raccontato non solo il cinema ma anche le esperienze con il
teatro, il videoclip, i mockumentary, le serie-tv, i progetti
multimediali, le docu-fiction, e perché no anche gli scheletri
nell’armadio e/o i misteri irrisolti…. con l’obiettivo di restituire il
ritratto di un autore in maniera completa ed esaustiva. L’ottica è
stata quella di scrivere una biografia per procura (raccontare
l’uomo attraverso la sua arte). Nel libro si entra da subito nella
carriera del regista senza tentennamenti con l’obiettivo di
tracciare quello che è il filo conduttore del racconto di un
cineasta-menestrello che imbraccia, indistintamente, la chitarra
e la macchina da presa con la stesa passione, la stessa voglia
di improvvisazione e anche la stessa disomogeneità.
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2 – Nello stile, Ferrara è il più “europeo” degli autori della
generazione newyorkese, tuttavia, il suo dipinto della realtà
di NY è sempre il più onesto. Come te lo spieghi?
Proprio per quanto tu dici, il suo essere onnivoro di cinema –
senza distinzione né di provenienza né di qualità – il voler
piegare i generi alle sue esigenze fa si che i suoi film nella loro
irresolutezza e irregolarità (cosa che, a mio avviso, non li rende
sempre belli ma comunque sempre interessanti), diventino di
volta in volta ritratti sinceri e senza reticenze della metropoli
newyorkese. Il suo punto di vista “altro” legato ad una visione
critica e anti-retorica di stampo europeo permette ai suoi film,
persino quelli meno riusciti, di raccontare gli anfratti, le
spigolature, le idiosincrasie della città evidenziando ciò che altri
non dicono. Il suo è (quasi) un cine-occhio moderno quando è
rivolto verso New York
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3 – Scorrendo la sua filmografia, si possono trovare alcune
opere che c’entrano come i cavoli a merenda nell’opera
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Ferrariana, soprattutto nel periodo italiano. Come interpreti
questa bizzarra identità di “autore ma un po’ puttana” che
gli è stata spesso mossa come accusa?
Concordo pienamente con quanto esposto nella domanda.
Ferrara ha bisogno della factory per poter essere Ferrara. Il
suo è un cinema che vive nell’anima dei seventies (anche nelle
opere più recenti) e di quell’atmosfera, di quella temperie, di
quelle istanze ha un maledetto bisogno per poter essere
efficace e seriamente scandaloso (nell’accezione evangelica).
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5 – In particolare vorrei soffermarmi su Nicolas St.John, un
autore che non ha avuto la fama che meritava. Non pensi
possa essere lui il vero responsabile di quella “poetica del
peccato originale”? Non pensi che alcune opere di Ferrara
dell’era “post St.John” abbiamo un po’ il sapore di
surrogato, quasi una brutta copia?
Sì, è vero. Lo stesso Ferrara lo ha più volte ammesso – e nel
mio libro ci sono anche un paio di dichiarazioni inedite nel
merito. Nicodemo Oliverio (alias Nick St. John) è stato per lungo
tempo l’unico in grado di tenere le briglie della “follia artistica”
Ferrariana, di rendere il suo cinema “eversivo” e profondo, di
regolare una scrittura filmica altrimenti schizofrenica e a
genialità limitata. Oliverio è stato l’angelo custode i Abel Ferrara,
colui che ha vigliato su un uomo perennemente in bilico tra
dannazione e redenzione ed è stato colui che ha reso il suo
cinema, per certi aspetti, unico e irripetibile. Dopo St. John la
filmografia di Abel Ferrara è altra cosa e denuncia tutti i limiti di
un talento, tanto bizzarro quanto incontrollabile che, solo a
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4 – Ferrara spesso parla dei suoi primi collaboratori come
figure fondamentali per la sua formazione. Parlo di Nicolas
St.John, Ken Kelsh, Joe Delia fino a molti nel suo
entourage. Ferrara a volte li addita come i veri responsabili
della sua opera. Possiamo dire che Ferrara, più che un
regista, è stato un ottimo “prod-autore”
(produttore/autore), come esistevano solo in altri tempi,
che muoveva bene i fili dei suoi collaboratori, favorendone
il talento?
Il risparmio energetico
non è più un’opzione: 2
scadenze decisive in
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In fondo a Ferrara interessa solo girare, o come dice lui
“agitarsi”. Non fa distinzione né quantitativa né qualitativa, forse
peccando anche di presunzione e pensando che ci sia
comunque uno zoccolo duro di fans deciso a seguirlo fino
all’inferno…. In realtà, i suoi film “italiani” hanno appunto il
grosso difetto di essere “italiani” – ultimo il Pasolini – con il
risultato di apparire altro, sia nella forma che nel contenuto,
rispetto al suo percorso artistico. E’ come se in questi lavori –
se non a tratti – venisse meno la sua anima ribelle e
sperimentale per adagiarsi in un conformismo di maniera che,
oltre ad essere rassicurante, gli garantisce la giusta visibilità
(con tanto di comparsate TV). L’Italia “pretende”, dunque, la
normalizzazione del suo estro artistico.. e lui non si tira indietro.
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sprazzi e in determinate condizioni sa riappropriarsi dello spirito
originario e brillare di luce propria restituendo schegge di
cinema che entrano sottopelle e che lasciano il segno nel
cervello e nel cuore.
Gianluigi Perrone
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