Violenze sessuali: Orientamenti per i religiosi
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Violenze sessuali: Orientamenti per i religiosi
V ita consacrata | violenze sui minori Violenze sessuali: Orientamenti per i religiosi Conferenza italiana dei superiori maggiori (CISM) La nota intitolata «Abusi sessuali compiuti da religiosi, chierici o fratelli nei confronti di minori. L’intervento del superiore maggiore. Orientamenti. Norme canoniche e civili» è un documento elaborato all’interno della Conferenza italiana dei superiori maggiori dall’area giuridica – un gruppo composto prevalentemente di religiosi esperti di diritto canonico –, già pronto e distribuito ai superiori maggiori nel 2011, ma per ragioni di opportunità pubblicato solo nel 2012 (nel vol. Questioni attuali di diritto canonico, LEV, 257-287). Il testo, del quale si apprezza lo spessore spirituale dell’argomentazione, «risponde all’esigenza dei superiori maggiori di disporre di un sussidio pratico circa le necessarie conoscenze e le procedure da seguire nei casi di abusi sessuali, compiuti nei confronti di minori da parte di membri dell’istituto da loro governato». La nota è articolata in due sezioni: le indicazioni canoniche «circa la configurazione giuridica del delitto di abuso sessuale, l’intervento del superiore maggiore e le procedure da seguire»; il quadro normativo nazionale, con riferimento particolare «alla questione relativa all’obbligatorietà o meno della denuncia penale e della testimonianza nel diritto penale italiano». Pubblicato in Conferenza italiana superiori maggiori, Questioni attuali per la vita e il governo degli Istituti di vita consacrata, a cura dell’area giuridica, EDB, Bologna 2015, 15-52. Il Regno - documenti 7/2015 I. Legislazione canonica 1) IL FENOMENO DELL’ABUSO SESSUALE SUI MINORI: CONFIGURAZIONE GIURIDICA E INTERVENTO DELL’ISTITUTO A) Abuso sessuale di minore: il fenomeno e la sua gravità 1. Per abuso sessuale di minore si intende, in termini generali, ma già precisi, qualsiasi attività sessuale che coinvolga un adulto e un minore, cioè una persona che non abbia compiuto i 18 anni (l’età è comune al diritto canonico e all’ordinamento giuridico italiano). Dal punto di vista giuridico, l’abuso sessuale è tale per la condizione della vittima abusata, incapace di essere consapevole del reale significato di quanto è proposto, e incapace di dare un consenso consapevole e responsabile delle conseguenze di quanto accetta. In questi casi si abusa della condizione d’incapacità del minore per imporre, oppure per ottenere, un consenso che riguarda direttamente la sfera della propria intimità fisica e psicologica. Quest’incapacità, nel caso dei bambini e degli adolescenti, è fisiologica, ma transeunte, a meno che non si tratti d’incapaci mentali permanenti. L’abuso non fa riferimento né alla frequenza né alla qualità del trauma provocato. Abuso sessuale è approfittarsi di una condizione d’inferiorità della vittima, nella quale, pertanto, questa non può liberamente rifiutarsi. Il comportamento delittuoso assume particolare gravità quando l’adulto che abusa è un chierico o un religioso. Si tratta di persone vincolate dal celibato mediante la legge o il voto e nei confronti delle quali si ha, in genere, stima e fiducia, anche a causa della loro scelta di vita. 11 V ita consacrata 2. I comportamenti associati all’abuso sessuale possono rientrare in diverse categorie (dall’esibizionismo alla pornografia, dall’induzione del minore alla prostituzione al «turismo sessuale») ed esprimersi in diverse forme d’intimità fisica (carezze indebite, masturbazione, fino al rapporto sessuale). In riferimento a queste situazioni, per «abuso» è da intendere ogni comportamento, violenza, minaccia, inganno, frode, uso non appropriato della propria autorità attraverso i quali si approfitta della condizione d’inferiorità fisica o psichica dell’abusato. Non è necessario che l’esibizionista sessuale adulto abbia un contatto fisico con la sua vittima per commettere abuso sessuale. È il caso, per esempio, di una conversazione di carattere sessuale da parte dell’adulto, che molesta un minorenne violando i limiti imposti dal rispetto. È utile ricordare che chi commette l’abuso inizialmente cerca di accattivarsi la fiducia e la simpatia dei minori e dei loro genitori e solo in seguito, con gradualità, passa dal «gioco lecito» alle pretese o alla violenza vera e propria. Dopo l’abuso, spesso, l’adulto tenta di imporre il segreto, in modo che nessuno lo possa accusare e poter così continuare. 3. L’attività sessuale con bambini prepuberi (generalmente di 13 anni o più piccoli) è detta «pedofilia». Quando un adulto si sente attratto sessualmente verso adolescenti nella loro fase della pubertà e in ogni caso minori, si parla di «efebofilia». Questa terminologia non è usata nei documenti legislativi della Chiesa. Qualsiasi atto di pedofilia o di efebofilia costituisce un abuso sessuale di minore.1 Dal punto di vista della psicopatologia e della sessuologia clinica, l’abuso sessuale sui minori, indipendentemente dal modo con cui si manifesta, si configura – nell’adulto che lo ha compiuto – come una grave distorsione nelle dinamiche della personalità, con forte influsso sui livelli motivazionali delle relazioni interpersonali. L’analisi delle cause della perversione è alquanto complessa. 4. Gli abusi sessuali verso i minori hanno ricevuto, in questi anni, un trattamento particolarmente severo da parte di numerose legislazioni civili, soprattutto occidentali. Ciò è dovuto all’inquietante aumento degli abusi soprattutto nei paesi ricchi. Il reato di pedofilia compiuto da chierici è emerso in diverse Chiese, provocando crisi e problemi 1 Il CIC del 1983 nell’arco della minore età (1-18 anni), dà peso solamente all’infanzia (1-7 anni), essendo stata soppressa, quale categoria giuridica, la pubertà cui, nella precedente legislazione, era riconosciuto qualche raro effetto. Il Regno - documenti 7/2015 molteplici.2 La competente autorità ecclesiastica, attenta alla novità e alla complessità del problema, ha emanato nuove norme, apportando modifiche alla legislazione vigente.3 È stabilito che, per questo reato, deve essere ritenuto minore chi non ha compiuto l’età di anni 18 (prima erano 16),4 risulta modificato il tempo della prescrizione dell’azione criminale (si estingue in venti anni a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto il diciottesimo anno di età),5 la causa penale è riservata al Tribunale apostolico della Congregazione per la dottrina della fede. Le pene sono quelle previste nel can. 1394, § 1: graduale punizione con privazioni, fino alla dimissione dall’istituto e dallo stato clericale. Il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto dei 18 anni di età si configura, per la legislazione della Chiesa, come uno dei crimini più gravi «contro la morale». B) Configurazione giuridica dell’abuso sessuale sui minori 5. Nella normativa canonica vigente, l’abuso sessuale sui minori assume tre profili a seconda dei soggetti che vi incorrono: – è reato («delitto» nel senso del diritto canonico),6 se commesso da chierici, siano essi diocesani o 2 Vanno ricordate le parole di Giovanni Paolo II: «Non c’è posto nella Chiesa per i sacerdoti rei di pedofilia». Il dibattito aperto da queste parole (si era diffuso lo slogan «tolleranza zero») ha portato ad approfondire il principio della proporzionalità tra colpa e pena e l’esigenza di tutelare il popolo di Dio. Riguardo l’atteggiamento da assumere di fronte ai sacerdoti religiosi che hanno usato violenza verso minori, si veda anche il discorso di Benedetto XVI ai presuli della Conferenza episcopale irlandese, ricevuti in udienza il 28 ottobre 2006 (cf. L’Osservatore romano 29.10.2006, 5). 3 Nel CIC del 1917, can. 2357, § 1, la pedofilia e lo stupro erano considerati crimini anche quando erano commessi da fedeli laici, i quali, se condannati dai tribunali civili, erano ritenuti infami e potevano essere puniti dall’ordinario del luogo: «Laici legitime damnati ob delicta contra sextum cum minoribus infra aetatem sexdecim annorum commissa, vel ob stuprum, sodomiam, incestum, lenocinium, ipso facto infames sunt, praeter alias poenas quas ordinarius infligendas iudicaverit». Questa norma non è stata ripresa nel Codice vigente. 4 Con l’innalzamento dell’età (da 16 a 18 anni) è stata estesa la possibilità di perseguire penalmente il delitto. 5 Si pensa, giustamente, che il minore non sia in grado di far valere il diritto di avviare l’azione penale se non ha raggiunto un certo limite di età, cioè se non è uscito dalla minore età. 6 Con il nome di delitto, nel diritto canonico, si intende la violazione esterna e moralmente imputabile della legge, alla quale sia annessa una sanzione canonica almeno indeterminata (cf. can. 1321 e CIC 1917, can. 2195). 12 V ita consacrata membri di istituti di vita consacrata o di società di vita apostolica; – è causa di dimissione dall’istituto, se commesso da persone consacrate che non sono chierici (fratelli membri di istituti religiosi, di istituti secolari e di società di vita apostolica); – è peccato contro il sesto comandamento del Decalogo, se commesso da fedeli laici. In questa Nota tratteremo in particolare dell’abuso come delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un religioso sacerdote con un minore al di sotto dei 18 anni di età. Ovviamente molte delle cose che verranno dette possono applicarsi, mutatis mutandis, ai novizi, agli studenti professi e ai religiosi fratelli. Prima di concludere, sarà fatto un rapido accenno allo stesso crimine, ma inteso come causa di dimissione (cf. infra, nn. 34-35). 6. Va segnalata la legislazione sull’abuso sessuale di minore. Nella Chiesa, fin dall’antichità, l’abuso sessuale di minore da parte di un adulto è stato considerato non soltanto un peccato, ma anche un delitto. Il vigente Codice, al can. 1395, § 2, stabilisce: «Il chierico che abbia commesso altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo, se invero il delitto sia stato compiuto con violenza o minacce o pubblicamente o con un minore al di sotto dei 16 anni, sia punito con giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti». Delle quattro fattispecie indicate nel can. 1395, § 2, una soltanto – l’abuso sessuale di minore – è annoverata tra i «delitti più gravi», riservati alla Congregazione per la dottrina della fede. L’età è stata elevata di recente a 18 anni. Il can. 695, § 1, asserisce che un religioso deve essere dimesso dall’istituto per i delitti di cui ai cann. 1397 (omicidio, rapimento, mutilazione o ferimento di una persona), 1398 (aborto procurato) e 1395 (concubinato del chierico, situazione scandalosa del chierico, altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo), a meno che, per i delitti di cui al can. 1395, § 2 (delitti contro il sesto precetto del Decalogo, in particolare abuso su minore), il superiore non ritenga che la dimissione non sia affatto necessaria e che si possa sufficientemente provvedere in altro modo alla correzione del religioso come pure alla reintegrazione della giustizia e alla riparazione dello scandalo (per l’applicazione ai membri degli istituti secolari e delle società di vita apostolica, cf. cann. 729, 746). La costituzione apostolica Pastor bonus (28.6.1988), sulla riforma della curia romana, indica l’autorità competente per trattare i delitti più gravi: «[La Congregazione per la dottrina della fede] giudica i delitti contro la fede e i delitti più gravi commessi sia contro la morale sia nella celebrazione dei sacramenti, che Il Regno - documenti 7/2015 vengono a essa segnalati e, all’occorrenza, procede a dichiarare o a infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto, sia comune che proprio» (art. 52; EV 11/884). La definizione dettagliata dei delitti più gravi (delicta graviora), riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, e le relative norme processuali speciali, sono contenute nella lettera apostolica di Giovanni Paolo II, emanata in forma di motu proprio, Sacramentorum sanctitatis tutela, con la quale vengono promulgate le Normae de gravioribus delictis Congregationi pro Doctrina Fidei reservatis, del 30 aprile 2001.7 L’emanazione delle Normae avvenne a opera della Congregazione per la dottrina della fede, con la lettera Ad exsequendam, inviata ai vescovi di tutta la Chiesa cattolica e agli altri ordinari e gerarchi interessati, circa i delitti più gravi riservati alla medesima Congregazione per la dottrina della fede, 18 maggio 2001.8 La lettera Ad exsequendam è stata inviata anche ai superiori generali degli istituti religiosi clericali di diritto pontificio e delle società di vita apostolica clericali di diritto pontificio, in quanto ordinari (can. 134, § 1). Una lettera del cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, indirizzata al cardinale Eduardo Martínez Somalo, prefetto della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, datata Città del Vaticano 18 novembre 2003 (prot. n. 28/97 – 17781), offre osservazioni e chiarimenti di natura interpretativa riguardo all’attuazione del motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela del 30 aprile 2001 negli istituti di vita consacrata e nelle società di vita apostolica. Può essere qualificata come un’istruzione che determina i procedimenti nell’esecuzione delle leggi (can. 34, § 1). Ha valore obbligante e interessa direttamente la presente Nota (cf. n. 40). Il 21 maggio 2010, la Congregazione per la dottrina della fede ha introdotto modifiche9 alle norme precedenti e le ha rese note con una lettera ai vescovi della Chiesa cattolica e agli altri ordinari e gerarchi interessati circa le modifiche introdotte nella lettera apostolica in forma di motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela (EV 20/575-580). Si noti che nei delicta contra mores si è equiparato al minore la persona maggiorenne che abitualmente ha un uso imperfetto di ragione (cf. art. 6, § 1, 1°) e si è aggiunta la fattispecie comprendente l’acquisizione, la detenzione o la divulgazione, a clerico turpe 93(2001), 737-739; EV 20/575-580. 93(2001), 785-788; EV 20/715-724. 9 Consultabili su www.vatican.va/resources/resources_ norme_it.html; anche in EV 26/1870-1960. 7 AAS 8 AAS 13 V ita consacrata patrata, in qualsiasi modo e mezzo, di immagini pornografiche aventi a oggetto i minori di 14 anni (art. 6, § 1, 2°). Si tenga, altresì, presente che il 30 gennaio 2009 la Congregazione per il clero ha ricevuto le facoltà speciali di trattare i casi di dimissione dallo stato clericale in poenam di chierici che abbiano attentato al matrimonio anche solo civilmente e che, ammoniti, non si ravvedano e continuino nella vita irregolare e scandalosa, e di chierici colpevoli di peccati gravi esterni contro il sesto comandamento; di infliggere una giusta pena o penitenza per la speciale gravità della violazione esterna della legge divina o canonica al fine di evitare un oggettivo scandalo; e di dichiarare la perdita dello stato clericale, compreso il celibato, dei chierici che hanno abbandonato il ministero per un periodo superiore ai cinque anni consecutivi e che persistono in tale assenza volontaria e illecita dal ministero. Tali facoltà sono state rese pubbliche con lettera del 18 aprile 2009 (prot. n. 0556/2009) agli ordinari; con ulteriore lettera del 17 marzo 2010 (prot. n. 0823/2010), la medesima Congregazione per il clero trasmetteva le linee procedurali per la trattazione dei casi in oggetto. Infine, il 3 maggio 2011 la Congregazione per la dottrina della fede ha inviato una lettera circolare10 per aiutare le conferenze episcopali nel preparare linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale nei confronti di minori da parte di chierici. La lettera presenta aspetti generali (le vittime dell’abuso, la protezione dei minori, la formazione di futuri sacerdoti e religiosi, l’accompagnamento dei sacerdoti, la cooperazione con le autorità civili), riassume la legislazione canonica in materia e offre indicazioni agli ordinari sul modo di procedere. C) L’istituto religioso di fronte agli abusi sessuali su minori 7. Gli abusi sessuali su minori, compiuti da religiosi, chierici o fratelli laici, oltre a essere una grave ingiustizia nei confronti delle vittime, mettono a repentaglio la fede della gente e l’affidabilità della Chiesa e dell’istituto. Chiamano in causa gli itinerari formativi nell’istituto, le procedure per l’esame e la selezione dei candidati, le ammissioni, la capacità delle comunità di formare e di sostenere l’evoluzione e la maturazione dei membri. L’istituto non può ignorare gli eventuali casi di abusi sessuali su minori compiuti da qualche suo 10 Consultabile su www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/doc_dis_index_it.htm; anche Regno-doc. 11,2011,333ss. Il Regno - documenti 7/2015 membro. Si tratta di comportamenti contrari al vangelo, ai valori della vita consacrata e alla sua missione. Rappresentano un tradimento della fiducia che la gente ripone in chi per vocazione si è posto al servizio dei più piccoli. C’è un dovere morale che riguarda tutti:11 segnalare a chi di competenza (superiore maggiore, superiore locale), la conoscenza o il sospetto di casi di abuso sessuale, mettendo da parte ogni paura di scandalo pubblico che potrebbe venire alla Chiesa e all’istituto attraverso la denuncia. Nell’adempimento del dovere va tenuto presente che ogni azione intrapresa deve avere come prima preoccupazione il bene del minore. Qualsiasi iniziativa che non sia diretta a ricercare e stabilire la verità sarebbe ingiusta e immorale, mentre ogni tentativo di proteggere dall’obbligo di rispondere della sua condotta chi fosse sospettato o accusato di abuso sessuale è errato. 8. Di fronte a casi di abusi sessuali su minori, l’istituto, per mezzo dell’autorità competente, compiuto un attento discernimento sui singoli casi, può: – chiedere al religioso di accettare l’aiuto necessario, per non pregiudicare altri minori; – incoraggiare autorevolmente il religioso ad accettare una valutazione psichiatrica e psicopatologica o anche medico-legale, qualora le accuse risultino confermate; – mettere il religioso in una situazione in cui non abbia contatto diretto con minori, e ciò soprattutto quando il colpevole nega la sua responsabilità nonostante l’evidenza dei fatti o quando, pur riconoscendo di aver abusato sessualmente di un minore, non accetta l’aiuto offerto o quando c’è la possibilità, anche remota, di recidiva; – fare in modo che, nei casi comprovati di pedofilia, il religioso non operi o non abbia contatti diretti con minori; – sospendere il religioso dall’apostolato; – non confermare una sua eventuale elezione a superiore o membro di qualche consiglio; – ricorrere alle sanzioni disciplinari contemplate dalla legislazione canonica fino alla dimissione dall’istituto e alla richiesta di perdita dello stato clericale, nei casi previsti. Ogni scelta richiede che siano rispettate le procedure stabilite dalla legislazione vigente. 11 Il vigente Codice di diritto canonico non attribuisce più in modo particolare ai fedeli il compito di denunciare il fatto delittuoso (cf. CIC 1917, can. 1935, § 1): la notizia del possibile delitto può pervenire all’ordinario (superiore maggiore) in vari modi, anche per informazione di chi non sia membro della Chiesa. 14 V ita consacrata 2) L’INTERVENTO DEL SUPERIORE MAGGIORE A) Il superiore maggiore competente 9. Il can. 1717, § 1, stabilisce che ogniqualvolta l’ordinario abbia notizia, almeno verosimile, di un delitto, deve indagare con prudenza sui fatti, sulle circostanze e sull’imputabilità, a meno che quest’investigazione non sembri assolutamente superflua. Va precisato chi si intende per ordinario. In conformità al can. 134, § 1, sono ordinari – oltre al romano pontefice, i vescovi diocesani, gli equiparati ai vescovi diocesani e i loro vicari –, anche, «per i propri membri, i superiori maggiori degli istituti religiosi di diritto pontificio clericali e delle società di vita apostolica di diritto pontificio clericali, che possiedono almeno potestà esecutiva ordinaria». La definizione di superiore maggiore è contenuta nel can. 620: «Sono superiori maggiori quelli che governano l’intero istituto o una sua provincia o una parte dell’istituto a essa equiparata o una casa sui iuris e parimenti i loro rispettivi vicari. A questi si aggiungano l’abate primate e il superiore di una congregazione monastica». Dal combinato disposto dei due canoni deriva che il superiore provinciale di un istituto religioso diviso in province è, a un tempo, superiore maggiore e ordinario.12 Al superiore provinciale spetta attuare, personalmente o tramite persona idonea, l’indagine previa di cui al can. 1717, § 1 (cf. anche can. 695, § 2). Il supremo moderatore dell’istituto non può sostituirsi o avocare a sé il compito che spetta al superiore provinciale, a meno che ciò non sia disposto dal diritto proprio. Il termine «superiore maggiore» indica, in questa Nota, il superiore provinciale. In riferimento al superiore generale, sarà usata l’espressione «moderatore supremo». 10. Il superiore maggiore considererà seriamente e con senso di responsabilità le accuse e i sospetti di abuso sessuale a carico di un membro dell’istituto di cui ha ricevuto notizia. Ai fini del giudizio di verosimiglianza del fatto denunciato, terrà conto del numero delle persone che segnalano il delitto, della loro indipendenza, 12 Per una visione d’insieme circa l’autorità e le competenze del superiore maggiore in quanto ordinario, cf. B. Esposito, «Alcune riflessioni sul superiore maggiore in quanto ordinario e sulla valenza ecclesiologica e canonica della qualifica», in Angelicum 78(2001), 669-731; Id., «Il superiore maggiore in quanto ordinario: alcune riflessioni sull’evoluzione storica degli aspetti ecclesiologici e canonici e sulle prospettive future», in Religiosi in Italia 9(2004), 35-79. Il Regno - documenti 7/2015 delle loro qualità intellettuali e morali, della loro disponibilità a sottoscrivere quanto denunciato. Eventuali accuse anonime non saranno scartate, ma saranno oggetto di una verifica prudente e oculata. Le segnalazioni anonime del tutto generiche o palesemente infondate e calunniose non meritano alcuna attenzione.13 L’indagine sarà particolarmente accurata quando i riscontri risultano difficili o carenti. La situazione va affrontata con onestà e responsabilità verso tutti i soggetti coinvolti (le vittime degli abusi, il religioso presunto colpevole, la comunità religiosa, la comunità ecclesiale, la società civile). L’istituto deve assumere come propria la presunzione d’innocenza dell’imputato, che non potrà essere considerato colpevole fino a condanna definitiva. Si applica il principio, accolto in tutti i sistemi giuridici anche in quello della Chiesa, secondo il quale ogni persona si presume innocente e non può essere considerata colpevole prima della condanna definitiva, ossia prima della conclusione dell’intero processo, e nel momento in cui si perviene a una sentenza di accertamento della responsabilità penale e di condanna del soggetto alla sanzione penale prevista. 11. Il superiore maggiore deve assicurare all’accusato un ascolto fraterno, rispettoso e comprensivo. Gli sarà offerto un adeguato sostegno morale, spirituale e psicologico attraverso una persona competente, che possa fare anche da tramite fra lui, l’investigatore e i superiori, nelle diverse fasi del procedimento. All’accusato non va nascosto che sono avviate le procedure previste dalla legge canonica. B) L’indagine preliminare 12. Il superiore maggiore, ogni volta che ha avuto notizia almeno verosimile del delitto di abuso sessuale commesso da un religioso chierico con un minore, ha il dovere di verificare i fatti con un’indagine previa. Tale indagine è richiesta sia dal Codice, sia dalla legislazione speciale sui delicta graviora, sia dal can. 695, § 2, anche se quest’ultimo non usa il termine praevia investigatio.14 13 Sulle denunce, il CIC 1917 conteneva la seguente direttiva (non più presente nel CIC 1983): «Nihil faciendae sunt denunciationes quae ab inimico manifesto, aut ab homine vili et indigno proveniunt, vel anonimae iis adiunctis iisque aliis elementis carentes, quae accusationem forte probabilem reddant» (can. 1942, § 2). 14 Cf. CIC can. 1717, § 1; lettera Ad exsequendam; EV 20/719. Il can. 695, § 2, non parla esplicitamente e direttamente di indagine previa come fa il can. 1717, § 1, ma, obbligando il superiore maggiore a raccogliere le prove relative ai 15 V ita consacrata L’indagine preliminare non va confusa con l’«istruttoria della causa» prevista nel processo e neppure con la fase preliminare propria dei processi speciali.15 L’indagine preliminare è una procedura amministrativa, stragiudiziale, indipendente dalle stesse conclusioni alle quali perverrà l’indagine (potrebbe essere richiesto il processo penale, oppure la comminazione di sanzioni amministrative, oppure l’archiviazione del caso). Si tratta di una fase previa, diretta a verificare il fumus delicti. Ha natura amministrativa e ha lo scopo di evitare processi inutili o pregiudizievoli, non sufficientemente fondati. Nel modo più assoluto non si deve svolgere un processo prima del processo. 13. L’indagine preliminare va attuata secondo i cann. 1717 e 695, § 2, del Codice di diritto canonico. Riportiamo i due canoni, facendo seguire un rapido commento. Can. 1717, § 1. Ogniqualvolta l’ordinario abbia notizia, almeno probabile, di un delitto, indaghi con prudenza, personalmente o tramite persona idonea, sui fatti, le circostanze e sull’imputabilità, a meno che questa investigazione non sembri assolutamente superflua. § 2. Si deve provvedere che con questa indagine non sia messa in pericolo la buona fama di alcuno. § 3. Chi fa l’indagine ha gli stessi poteri e obblighi che ha l’uditore nel processo: lo stesso non può, se in seguito sia avviato un procedimento giudiziario, fare da giudice in esso. Can. 695, § 2. In tali casi [quelli del § 1: dimissione di un religioso dall’istituto per i delitti di cui ai cann. 1397, 1398 e 1395 – ndr] il superiore maggiore, raccolte le prove relative ai fatti e all’imputabilità, renda note al religioso da dimettere e l’accusa e le prove, dandogli facoltà di difendersi. Tutti gli atti, sottoscritti dal superiore maggiore e dal notaio, siano trasmessi al moderatore supremo insieme con le risposte del religioso, verbalizzate e dal religioso stesso sottoscritte. a) La «notizia del delitto», di cui parla il can. 1717, § 1, deve essere almeno verosimile: lo è quando esistono fatti (prove) che giustificano il sospetto del compimento di un concreto atto delittuoso e punibile. Oltre a ciò, la notizia deve indicare la persona dell’indiziato e la presunzione della sua imputabilità. La notizia può avere più fonti: – la vigilanza generale che il superiore maggiore esercita sull’osservanza della disciplina religiosa; fatti e all’imputabilità, viene a coincidere con quanto stabilisce il can. 1717, § 1. 15 Cf. CIC cann. 1428, § 1; 1609, § 5; 1677, § 4; 1681; 1742, § 1. Il Regno - documenti 7/2015 – la denuncia formale, orale o scritta, fatta al superiore o ad altra autorità ecclesiastica o civile, da parte di persona informata sui fatti; – la querela della parte lesa; – il fatto che un certo numero di persone parli dell’episodio delittuoso, anche senza averne i dati precisi; – la richiesta presentata dai fedeli di allontanamento del religioso dal luogo; – le notizie diffuse dai mezzi di pubblica informazione. Il superiore maggiore deve prestare attenzione al contenuto della notizia e alla probabilità della sua veracità. La prima domanda da porsi davanti alla notizia dell’abuso è se, in concreto, essa sia almeno verosimile. b) Il can. 1717, § 1, chiede che il superiore maggiore indaghi con prudenza. La prudenza esige che durante le indagini «non sia messa in pericolo la buona fama di alcuno» (ivi, § 2), quindi di nessuna delle parti coinvolte, sia dell’accusa sia dell’indagato, anche quando la notizia del delitto sia diventata pubblica. L’indagine previa sarà il più riservata possibile. Il diritto alla buona fama16 comporta, in forma generica, la tutela della dignità e della reputazione della persona, che si oppongono all’ingiuria e alla diffamazione; in applicazione alla materia penale comporta, per l’accusato, il diritto di conoscere l’accusatore, l’oggetto dell’accusa e le prove, quindi il diritto di una difesa adeguata, di un’eventuale sanzione a norma di legge, della possibilità del ricorso all’autorità superiore, del risarcimento dei danni in caso di calunnia.17 c) Il can. 1717, § 1, prevede che il soggetto che compie l’indagine possa essere tanto lo stesso superiore maggiore quanto un’altra persona, sia questa uomo o donna. Visto il § 3 dello stesso canone, può essere opportuno che il superiore maggiore affidi ad altra persona l’incarico di procedere all’indagine previa. Quest’altra persona, idonea per preparazione, competenza, discernimento e riservatezza,18 ha le stesse funzioni che il can. 1428, § 3, attribuisce all’uditore nel processo, ma applicate alle circostanze concrete che ne determinano alcuni limiti. d) Per quanto riguarda il modo di realizzare l’indagine previa, in mancanza di norme specifiche si 16 CIC can. 220: «Non è lecito ad alcuno ledere illegittimamente la buona fama di cui uno gode, o violare il diritto di ogni persona a difendere la propria intimità». 17 Cf. CIC cann. 220, 221 e 1390, §§ 2-3. 18 Per l’idoneità valgono le condizioni poste per assumere un ufficio ecclesiastico (cf. can. 149, § 1) e le inibizioni elencate nel can. 1448, § 1, applicate anche all’uditore. 16 V ita consacrata possono applicare, con taluni aggiustamenti, le prescrizioni contenute nei cann. 1526-1586, riguardanti i mezzi di prova nei processi. Possono essere addotte prove di qualunque tipo, purché lecite e purché sembrino utili per esaminare il caso. Può trattarsi di dichiarazioni delle parti, di documenti, testimonianze, perizie, accesso a documenti giudiziali anche civili. e) A discrezione del superiore maggiore19 o su richiesta dell’investigatore, a quest’ultimo può essere affiancato il promotore di giustizia, come si può anche ricorrere alla consulenza dei periti. È invece prevista la presenza del notaio che deve sottoscrivere tutti gli atti perché siano validi e abbiano pubblica fede (can. 695, § 2). Nelle indagini in cui è coinvolto un chierico, il notaio deve essere un sacerdote.20 f) Oggetto dell’indagine previa sono «le prove relative ai fatti e all’imputabilità» (can. 695, § 2). Non vanno omesse le circostanze attenuanti o aggravanti.21 Per «fatti» deve intendersi quanto è accaduto, provocato consapevolmente e volontariamente dall’uomo. Deve trattarsi della violazione esterna (oggettiva) della legge penale. Le «prove» sono argomenti addotti perché chi conduce l’indagine possa convincersi razionalmente della fondatezza e verità di quanto si asserisce. L’onere della prova incombe sul soggetto che afferma.22 Se la parte attrice non è in grado di provare le sue affermazioni, chi conduce l’indagine proscioglierà la parte citata. Sulla parte convenuta verrà a gravare l’onere della prova solamente se affermerà fatti contrari a quelli della parte accusatrice. L’ammissione delle prove spetta a chi conduce l’indagine, garante del legittimo svolgimento dell’investigazione. L’«imputabilità» è il terzo fondamentale oggetto dell’indagine previa. L’imputabilità è il presupposto della responsabilità. Consiste nella capacità di poter rispondere per aver commesso un fatto previsto e riprovato dalla legge. Questa capacità è esclusa nel minorenne, prima dei 7 anni compiuti («lo si ritiene non responsabile dei suoi atti»; can. 97, § 2) e nei minori di 16 anni quando si tratta di infliggere una pena (cf. can. 1323, 1°). Un comportamento può presentare un’imputabilità oggettiva inconfutabile o evidente, ma la persona alla quale tale comportamento è attribuito può essere incapace di delitto dal punto di vista soggettivo (cf. le incapacità legali previste nel can. 1323), oppure vi possono essere, nei suoi confronti, circostanze attenuanti l’imputabilità (cf. cann. 1324 e 1345). Si richiede che l’imputabilità sia grave per 19 Cf. CIC cann. 1717-1719. CIC can. 483, § 2. 21 Cf. CIC cann. 1321-1330. 22 Cf. CIC can. 1526, § 1. 20 Cf. Il Regno - documenti 7/2015 dolo o per colpa (can. 1321, § 1). Posta la violazione esterna, l’imputabilità si presume, cioè si suppone che chi ha agito l’abbia fatto in modo umano, con libertà, consapevolezza e responsabilità, salvo che non appaia altrimenti. Se si può provare la mancanza d’imputabilità grave, non si ha delitto in senso canonico e di conseguenza il caso va archiviato. g) Il superiore maggiore deve, dunque, farsi una convinzione sicura e precisa (certezza morale) dei fatti, delle prove addotte, della gravità dell’accaduto e dell’imputabilità del presunto colpevole. Nel processo penale, l’accusa e le prove devono essere rese note al religioso, dandogli la facoltà di difendersi. È questo un passaggio fondamentale. Nel processo, la sentenza è ritenuta viziata da nullità insanabile «se all’una o all’altra parte si negò il diritto alla difesa» (can. 1620, 7°). Lo stesso principio si applica all’indagine preliminare. Il diritto alla difesa è un diritto naturale che non può mai essere ignorato. Anche un eventuale decreto di dimissione emesso con procedura amministrativa (cann. 696-697) risulterebbe viziato da nullità qualora fosse stato negato o coartato il diritto alla difesa. Va inoltre tenuto presente che, durante l’istruttoria, «rimane sempre fermo il diritto del religioso di comunicare con il moderatore supremo e di esporre a lui direttamente gli argomenti a propria difesa» (can. 698). h) Spetta al prudente giudizio del superiore maggiore, d’intesa con l’investigatore, se è stato nominato, decidere la conclusione dell’indagine preliminare. Gli elementi raccolti devono essere ritenuti sufficienti e deve essere escluso ogni ragionevole dubbio circa la verità. Il modo della conclusione è stabilito nel can. 695, § 2: «Tutti gli atti, sottoscritti dal superiore maggiore e dal notaio, siano trasmessi al moderatore supremo insieme con le risposte del religioso, verbalizzate e dal religioso stesso sottoscritte». Nei cann. 1717 e 695, con riferimento a tutte le fasi dell’indagine preliminare e alla stessa conclusione, non è mai fatto obbligo al superiore maggiore di avvalersi dell’opera del suo consiglio. L’intervento del consiglio potrebbe essere stabilito dal diritto proprio. In ogni caso, si deve evitare qualsiasi fuga di notizie che possa ledere la buona fama del chierico religioso imputato. i) Se gli indizi raccolti dal superiore maggiore sono inconsistenti e se risulta altamente improbabile l’esistenza del fatto delittuoso, oppure quando si tratta di un delitto noto e non dubbio, non è necessario procedere all’indagine preliminare. Va, però, tenuto presente che, nel caso si preveda che sarà avviato il processo penale canonico, sarà comunque necessario raccogliere gli elementi necessari per tale processo. 17 V ita consacrata l) Non spetta al superiore maggiore decidere se si deve ricorrere al processo giudiziario, o se si deve procedere con decreto extragiudiziale. Ciò è di competenza della fase successiva. Anche gli eventuali provvedimenti di dimissione dall’istituto (cann. 696-697), spettano al moderatore supremo con l’intervento della Santa Sede (can. 700). Si comprendono, a questo punto, l’importanza e la rilevanza dell’indagine preliminare: i provvedimenti della seconda fase saranno fondati sugli atti trasmessi dal superiore maggiore. m) Tra i provvedimenti che possono essere presi dal superiore maggiore è da segnalare l’espulsione immediata del religioso chierico dalla casa religiosa, in caso di grave scandalo o di un gravissimo danno imminente per l’istituto. Il can. 703 che regola questa materia sarà preso in esame più avanti. n) Con la trasmissione degli atti al moderatore supremo, si chiude l’indagine preliminare e inizia una nuova fase che ha come interlocutori il moderatore supremo e la Congregazione per la dottrina della fede. o) La legge canonica prescrive di conservare nell’archivio segreto della curia gli atti attinenti a ogni indagine preliminare. Stabilisce il can. 1719: «Gli atti dell’indagine e i decreti dell’ordinario con i quali l’indagine ha inizio o si conclude e tutto ciò che precede l’indagine, se non sono necessari al processo penale, si conservino nell’archivio segreto della curia». L’archiviazione degli atti avviene nel momento in cui il superiore maggiore competente decide di non ricorrere al moderatore supremo dell’istituto. Se si segue la via processuale, gli atti dell’indagine previa vengono trasmessi al promotore di giustizia (can. 1721, § 1), tranne quelli che non si ritengono necessari. Il tempo dell’archiviazione non può essere inferiore al termine stabilito per la prescrizione dell’azione criminale. Va tenuto conto di quanto prescritto al can. 489, § 2, riguardo alla distruzione obbligatoria di taluni documenti. 3) I DELITTI RISERVATI: PROCEDURA SECONDO LE NORME DELLA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE A) Le Normae de delictis Congregationi pro Doctrina Fidei reservatis 14. Le Normae regolano la procedura che si deve seguire una volta conclusa l’indagine preliminare relativamente al delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico religioso con un minore al di sotto dei 18 anni di età. Il Regno - documenti 7/2015 15. Stabilisce l’art. 16 delle Normae: «Ogni volta che l’ordinario o il gerarca ha notizia almeno verosimile di un delitto più grave, svolta l’indagine previa, la renda nota alla Congregazione per la dottrina della fede, la quale, se non avoca a sé la causa per circostanze particolari, ordina all’ordinario o al gerarca di procedere ulteriormente, fermo restando tuttavia, se del caso, il diritto di appello contro la sentenza di primo grado soltanto al Supremo tribunale della medesima congregazione». 16. La lettera stabilisce, in primo luogo, che l’ordinario – per noi ora è il moderatore supremo dell’istituto di vita consacrata clericale di diritto pontificio o della società di vita apostolica clericale di diritto pontificio, al quale sono stati trasmessi gli atti dell’indagine preliminare compiuta dal superiore provinciale (can. 695, § 2) – è tenuto a segnalare alla Congregazione per la dottrina della fede le conclusioni dell’investigazione, qualora questa abbia confermato l’esistenza di seri elementi a carico del religioso chierico indagato. Il moderatore supremo, pertanto, non procede alla dimissione del religioso chierico (can. 695, § 1), ma informa la Congregazione per la dottrina della fede, la quale deciderà la procedura da seguire e i provvedimenti da adottare. 17. Il moderatore supremo, in conformità a quanto stabilito dal diritto proprio dell’istituto, con o senza il voto del suo consiglio, deve trasmettere alla Congregazione per la dottrina della fede non solo gli atti e i decreti dell’indagine, ma anche una sua valutazione sul caso, con possibili orientamenti (per esempio esprimendo il proprio convincimento sulla non necessità dell’azione penale, qualora i tre scopi indicati dal can. 1341, a suo parere, siano già stati raggiunti). È infatti importante segnalare alla Congregazione per la dottrina della fede l’atteggiamento più o meno collaborativo del soggetto, l’eventuale esistenza di indagini e di provvedimenti penali da parte delle autorità civili, la gravità degli episodi e quanto si è fatto per evitare che si ripetano, l’atteggiamento della famiglia del minore ecc. Il moderatore supremo, nel proprio votum, può anche suggerire quale procedura seguire. Se, cioè, convenga un decreto extragiudiziale, oppure il ricorso al processo penale (in questo caso se, poi, ritenga possibile lo svolgimento del processo in sede di istituto o in sede diocesana o interdiocesana, ad esempio presso il Tribunale ecclesiastico regionale per le cause di nullità matrimoniale), oppure se giudichi conveniente rimettere totalmente il caso alla Congregazione per la dottrina della fede. In tal caso, sarà quest’ultima a indicare al moderatore supremo come procedere. 18 V ita consacrata 18. Secondo quanto stabiliscono le Normae de delictis reservatis, la Congregazione per la dottrina della fede, ricevuti gli atti trasmessi dal moderatore supremo con il suo parere, può: – avocare a sé la causa, viste le particolari circostanze («ob peculiaria rerum adiuncta»; cf. art. 16); – comandare al moderatore supremo, dettando opportune norme, di procedere a ulteriori accertamenti attraverso il proprio tribunale; – chiedere che sia avviato il processo per infliggere la pena, indicando il tribunale competente per conoscere la causa di prima istanza;23 – decidere che si proceda per via amministrativa (cf. art. 21, § 2, 1°). 19. La via giudiziaria penale è indicata dalla Congregazione per la dottrina della fede per i casi più gravi e complessi (cf. art. 21, § 1). Non si può negare che il processo penale sia la sede più adatta per decretare provvedimenti di estrema gravità, quali la dimissione del religioso chierico dall’istituto e la dimissione dallo stato clericale. Va tenuto presente che le cause contenziose sul vincolo della sacra ordinazione e sugli oneri a essa annessi sono riservate a un tribunale composto da tre giudici, quindi a un tribunale collegiale (can. 1425, 1°). Le Normae de delictis reservatis stabiliscono che il giudizio di seconda istanza, nel caso che sia stato presentato appello contro la sentenza di primo grado, è riservato al Supremo tribunale della Congregazione per la dottrina della fede, che giudicherà con un proprio tribunale. Restano pertanto esclusi altri tribunali della Chiesa come il Supremo tribunale della Segnatura apostolica, il Tribunale della Rota romana, la Penitenzieria apostolica (cf. art. 20). 20. La Congregazione per la dottrina della fede può inoltre comandare al moderatore supremo di procedere a ulteriori accertamenti «attraverso il proprio tribunale». Si tratta di uno dei «tribunali dei religiosi» aventi un ordinamento proprio (can. 1427, §§ 1-3). I soggetti religiosi con potere giudiziario sono gli ordinari degli istituti religiosi clericali di diritto pontificio e delle società di vita apostolica clericali di diritto pontificio. Un istituto religioso clericale di diritto pontificio o una società di vita apostolica clericale di diritto pontificio non dovrebbero rinunciare a costituire un proprio tribunale. È un modo per esercitare la giusta autonomia di vita, specialmente di governo, riconosciuta dalla Chiesa agli istituti, così che possano valersi nella Chiesa di una propria disciplina e conservare integro il proprio carisma (can. 586, § 1). 23 Cf. CIC cann. 1408 e 103; 1412; 1427. Il Regno - documenti 7/2015 21. Secondo quanto stabilisce il can. 1427, § 1, il giudice di prima istanza per le controversie sorte tra i religiosi o case dello stesso istituto clericale di diritto pontificio è il superiore provinciale o l’abate locale, se si tratta di monastero sui iuris, salva diversa disposizione delle costituzioni. Se le costituzioni non dispongono altro, vale quanto disposto dalla legge canonica generale appena richiamata. La Congregazione per la dottrina della fede può indicare quale sia il tribunale competente per conoscere la causa in prima istanza, se cioè possa essere il tribunale dell’istituto al quale appartiene il religioso chierico da sottoporre a giudizio. Esso può essere formato da membri dell’istituto o da persone esterne, purché abbiano i requisiti stabiliti dalla legge generale della Chiesa. Il processo si svolge in conformità a quanto stabilito nel libro VII, quello sui processi, del Codice di diritto canonico. 22. Nei casi gravi e accertati, la Congregazione per la dottrina della fede può concedere al moderatore supremo di procedere per via amministrativa, a norma del can. 699, § 1 (cf. art. 21, § 2, 1°). La decisione, da parte del moderatore supremo, deve essere presa con il consiglio, con un atto collegiale a norma del can. 119. Qualora il moderatore supremo con il suo consiglio giudichi conveniente la dimissione del reo dallo stato clericale, dovrà chiedere alla Congregazione per la dottrina della fede la comminazione della pena mediante decreto. La Congregazione per la dottrina della fede può anche portare direttamente davanti al santo padre i casi più gravi per la dimissione ex officio (cf. art. 21, § 2, 2°). 23. La normativa sui delicta graviora reservata è stata emanata con motu proprio del 30 aprile 2001. I casi risolti precedentemente a questa data per via giudiziaria o per via extragiudiziale non devono essere riaperti, a meno che non intervengano nuovi elementi. Per le fattispecie precedenti il 30 aprile 2001 nelle quali non si è ancora intervenuti, si senta in ogni caso la Congregazione per la dottrina della fede, che ha il diritto di derogare caso per caso ai termini della prescrizione, su motivata domanda del moderatore supremo. L’azione criminale relativa ai delitti riservati si estingue per prescrizione in vent’anni, a far data dal giorno in cui la vittima ha compiuto 18 anni (cf. art. 7, §§ 1-2). I delicta graviora elencati nel motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela sono di esclusiva competenza della Congregazione per la dottrina della fede. I casi non coperti esplicitamente dal citato motu proprio (come, ad esempio, gli abusi sessuali di minori commessi da religiosi non chierici) sono di esclusiva competenza della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. 19 V ita consacrata B) Il processo di primo grado 24. Il tribunale competente per conoscere la causa di prima istanza è indicato dalla Congregazione per la dottrina della fede. Può essere il tribunale dell’istituto, il tribunale diocesano, quello regionale per le cause di nullità matrimoniale o altro tribunale ecclesiastico. Un tribunale è composto dal vicario giudiziale, da un numero sufficiente di giudici (la pena della dimissione dallo stato clericale è decretata da un collegio di tre giudici: can. 1425, § 1, 2°), dal promotore di giustizia e dal notaio (can. 1419ss). Di norma tutti i membri del tribunale, anche i patroni (avvocati difensori) del religioso chierico sottoposto a giudizio, devono essere sacerdoti: la Congregazione per la dottrina della fede può tuttavia dispensare in singoli casi dal requisito del sacerdozio e da quello della laurea (ma non dalla licenza) in diritto canonico (cf. art. 15). Se contro la sentenza non viene proposto appello, essa diventa esecutiva. Il giudizio di seconda istanza è riservato al Supremo tribunale della Congregazione per la dottrina della fede (cf. art. 20). 25. Vista la delicatezza degli elementi in gioco e il possibile ripetersi di comportamenti da parte dello stesso religioso chierico a distanza di tempo, è opportuno conservare una certa documentazione del caso nell’archivio segreto della curia. Si segnala che nelle diocesi solo il vescovo diocesano deve avere la chiave: cf. can. 490, § 1. Ciò potrebbe valere anche per gli istituti religiosi. Le norme che regolamentano tale conservazione – motivate dalla necessità di tutelare la buona fama del reo (o presunto tale), di avere a disposizione dati per questioni che potrebbero ripresentarsi in seguito e di conservare elementi per future ricerche storiche – sono contenute nel can. 489, § 2: «Ogni anno si distruggano i documenti che riguardano le cause criminali in materia di costumi, se i rei sono morti oppure se tali cause si sono concluse da un decennio con una sentenza di condanna, conservando però un breve sommario del fatto con il testo della sentenza definitiva», e nel can. 1719: «Gli atti dell’indagine e i decreti dell’ordinario, con i quali l’indagine ha inizio o si conclude e tutto ciò che precede l’indagine, se non sono necessari al processo penale, si conservino nell’archivio segreto della curia». 26. Alle esigenze prettamente canoniche si aggiunge quella di avere a disposizione quanto concerne il rapporto con l’ordinamento civile: tutti i documenti relativi al procedimento davanti alla magistratura statale devono essere conservati fino allo spirare dei termini delle prescrizioni canoniche e civili. Il Regno - documenti 7/2015 C) La soluzione del caso per via amministrativa 27. La Congregazione per la dottrina della fede può decidere che si proceda per via amministrativa (cf. art. 21, § 2, 1°). La procedura è quella prevista nel can. 699, § 1: il moderatore supremo con il suo consiglio, che per la validità deve constare di almeno quattro membri, procede collegialmente a un’accurata valutazione delle prove, degli argomenti e delle difese e, se ciò risulta per votazione segreta, emetterà il decreto di dimissione, che deve esprimere almeno sommariamente i motivi, in diritto e in fatto. La votazione è attuata in conformità al can. 119. In base a questo canone, si ha la possibilità che la dimissione non sia decretata dal moderatore supremo con il suo consiglio. La Congregazione per la dottrina della fede rispetta la previsione della non dimissione stabilita nel can. 695, § 1: «Un religioso deve essere dimesso dall’istituto per i delitti di cui nei cann. 1397, 1398 e 1395, a meno che, per i delitti di cui nel can. 1395, § 2, il superiore non ritenga che la dimissione non sia del tutto necessaria e che si possa sufficientemente provvedere in altro modo sia alla correzione del religioso e alla reintegrazione della giustizia, sia alla riparazione dello scandalo». Vediamo distintamente prima il can. 695, § 1, e poi il can. 699, § 1. 28. Il can. 695, § 1, stabilisce che il superiore deve dimettere un religioso per i delitti di cui nei cann. 1397-1398 (omicidio, sequestro, mutilazione, aborto) e 1395 (delitto contro il sesto comandamento e voto di castità). Supposto il delitto specifico, il canone determina in via ordinaria la procedura per la dimissione obbligatoria. Ma proprio in riferimento ai delitti configurati nel can. 1395, § 2 (tra questi è compreso il delitto contro il sesto precetto del Decalogo compiuto con un minore al di sotto dei 18 anni di età), il can. 695, § 1, prevede la riserva che il superiore non proceda alla dimissione in quanto non ritenuta del tutto necessaria e purché si compiano le tre condizioni stabilite nello stesso canone. L’espulsione dall’istituto prevista nel can. 695, § 1, non è, dunque, automatica per il solo fatto che è stato commesso il delitto, ma è decretata dal superiore, secondo diritto. La natura della riserva o eccezione prevista dal canone consiste nel fatto che il superiore può non procedere all’espulsione, purché si compiano le tre condizioni stabilite. Va però precisato che, anche se le condizioni si compiono, il superiore può proce- 20 V ita consacrata dere ugualmente all’espulsione, giacché il principio generale è quello dell’obbligatorietà dell’espulsione. Il superiore maggiore può giudicare che l’espulsione non sia del tutto necessaria per tre precise ragioni: – si può provvedere in altro modo alla correzione del religioso;24 – si può provvedere alla reintegrazione della giustizia;25 – si può riparare lo scandalo.26 Per la procedura non si applica il can. 695, § 2, ma il can. 699, § 1. 29. La procedura stabilita nel can. 699, § 1, richiede che la decisione sia presa con un atto collegiale a votazione segreta, a norma del can. 119. Oggetto di valutazione e di votazione sono le prove, gli argomenti e le difese. Nell’intervento collegiale, il consiglio e il moderatore supremo formano un collegio, cioè un gruppo di eguali, nel quale il superiore è un primus inter pares (primo tra eguali). La decisione è collegiale ed è quella della maggioranza; al moderatore supremo spetta dirimere la parità con il suo voto (can. 119, 2°). Al moderatore supremo spetta emettere il decreto di dimissione. La validità del decreto di dimissione dipende dai seguenti requisiti, richiesti simultaneamente: a) dal fatto che il moderatore supremo agisca assieme al proprio consiglio; b) dal fatto che il consiglio sia composto da almeno quattro membri, dovendo la sua azione essere collegiale; c) dal fatto che la decisione sia presa collegialmente e per votazione segreta; d) dal fatto che il decreto di dimissione sia motivato in iure et in facto, almeno sommariamente; e) dal fatto che nel decreto si faccia menzione del diritto del religioso dimesso di ricorrere all’autorità competente entro dieci giorni dalla ricezione della notifica; f) dal fatto che il decreto di dimissione dall’istituto sia stato confermato dalla Congregazione per la dottrina della fede o dal vescovo diocesano, a seconda della natura dell’istituto, e non produca effetti prima di tale conferma. 24 Ci deve essere la prospettiva moralmente certa del ravvedimento da parte del colpevole di abuso sessuale su minore. 25 Si può addebitare all’istituto il risarcimento dei danni causati a terzi. Ma se dall’abuso sessuale è nata la prole, è doveroso che il religioso si accinga a compiere il suo dovere di padre, non solo sotto l’aspetto economico. 26 Non è sufficiente il semplice allontanamento del colpevole dalla comunità. Il superiore deve ricorrere ad altri rimedi penali o penitenziali. È importante ciò che potrà proporre la comunità. Il Regno - documenti 7/2015 La pena della dimissione dallo stato clericale è decisa e inflitta contestualmente alla conferma del decreto di dimissione dall’istituto. 30. Il decreto di dimissione deve essere notificato all’interessato dopo la conferma della Congregazione per la dottrina della fede. Come per tutti i delicta graviora, il ricorso contro il decreto emanato sarà inoltrato alla Congregazione per la dottrina della fede entro il termine perentorio di sessanta giorni utili dalla notifica e sarà deciso esclusivamente dalla Congregazione ordinaria dei membri della Congregazione per la dottrina della fede (Feria IV). Non è ammesso il ricorso alla Segnatura apostolica (cf. art. 27). Il ricorso ha effetto sospensivo (can. 700). 31. Il decreto di dimissione fa sorgere altri due problemi: il primo riguarda l’eventuale aiuto economico dell’istituto al religioso dimesso, il secondo il risarcimento del danno alle vittime dell’abuso sessuale. 32. Per quanto riguarda la prima questione, il can. 702, dopo aver affermato che chi esce o è stato dimesso legittimamente dall’istituto non ha diritto a pretendere nulla per qualunque attività in esso prestata, asserisce che l’istituto deve «osservare equità e carità evangelica verso il religioso che se ne separa». Aiutare «con equità» implica tener conto delle circostanze di ciascun caso e quindi dell’età, della salute, delle capacità, dei titoli di studio acquisiti, della professionalità, ecc. Aiutare «con carità» significa che non si può rinunciare ad aiutare oltre i limiti della giustizia.27 33. Non facile è la seconda questione, riguardante il risarcimento del danno alle vittime dell’abuso sessuale. L’abuso sui bambini può procurare disturbi profondi e duraturi sulla loro psiche.28 È noto che in 27 La giurisprudenza italiana è uniforme nell’affermare: «L’attività didattica [o di altro genere; ndr] svolta dal religioso non alle dipendenze di terzi, ma nell’ambito della propria congregazione e quale componente di essa, secondo i voti pronunciati, non costituisce prestazione di attività di lavoro subordinato ai sensi dell’art. 2094 c.c., soggetta alle leggi dello stato italiano, bensì opera di evangelizzazione religionis causa, in adempimento dei fini della congregazione stessa, regolata esclusivamente dal diritto canonico, e quindi non legittima il religioso alla proposizione di domande dirette a ottenere emolumenti che trovano la loro causa in un rapporto di lavoro subordinato. (...) L’attività è resa in virtù di una libera scelta del religioso, il quale, attraverso i voti di obbedienza, di povertà e di diffusione della fede, accetta di svolgerla senza un corrispettivo economico» (Quaderni di diritto e politica ecclesiastica 21[2003]3, 782). La posizione della giurisprudenza italiana trova riscontro negli atteggiamenti assunti dalle corti di altri paesi (Francia, Belgio, Spagna). Per una valutazione critica della questione, cf. R. Botta, «Dieci anni di giurisprudenza su fattore religioso e diritto del lavoro», in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica 19(2001), 729-748. 28 Esiste una vasta letteratura che approfondisce la «sindrome del trauma da stupro» nelle due fasi dette «della disorganizzazione» e «della riorganizzazione della personalità». 21 V ita consacrata alcuni paesi l’abuso su minori si è trasformato in una fonte di arricchimento. Occorre evitare atti o dichiarazioni che possano significare assunzione di responsabilità da parte dell’istituto per delitti commessi personalmente dai membri dell’istituto stesso. In ogni sistema penale moderno e civile, la responsabilità penale è personale per fatto proprio colpevole.29 Vanno ricordate le antiche regulae iuris: «Delictum personae non debet in detrimentum Ecclesiae redundare» (n. 76, in Sexti Decretalium); «Damnum, quod quis sua culpa sentit, sibi debet, non aliis, imputare» (ivi, n. 86). 34. La dimissione dall’istituto per un religioso che non sia chierico. Nel caso l’accusa di abuso di un minore sia rivolta a un religioso che non sia anche chierico, sostanzialmente la procedura non cambia. Il delitto, infatti, rientra comunque nella violazione del can. 1395, § 2, che rimanda al can. 695, § 1, il quale, come già visto, stabilisce che sia obbligatoriamente avviata la procedura per la dimissione. Il fatto che il religioso coinvolto non sia anche chierico consente al superiore maggiore di non dover notificare la conoscenza del presunto reato alla Congregazione per la dottrina della fede, ma non lo esime dal dover avviare l’indagine previa per raccogliere gli elementi utili a formulare un giudizio in merito. Anche in queste circostanze il superiore maggiore, valutate le prove ed emesso il giudizio, ha la facoltà di non procedere alla richiesta di dimissione qualora ritenga che il reo possa essere corretto in altro modo e la reintegrazione della giustizia e la riparazione dello scandalo siano ugualmente tutelate. Vista la delicatezza della materia, è assai consigliabile che il superiore maggiore usi tale facoltà di non procedere in via eccezionale. In caso di dubbio, è sempre possibile la consultazione con l’autorità superiore dell’istituto. Un’altra osservazione si può fare in merito alla condizione di complicità in cui può essere coinvolto un religioso quando sia compiuto un delitto di abuso. Il can. 1329 così si esprime: § 1. Coloro che di comune accordo concorrono nel delitto, e non vengono espressamente nominati dalla legge o dal precetto, se sono stabilite pene ferendæ sententiæ contro l’autore principale, sono soggetti alle stesse pene o ad altre di pari o minore gravità. § 2. Incorrono nella pena latæ sententiæ annessa al delitto i complici non nominati dalla legge o dal precetto, se senza la loro opera il delitto non sarebbe 29 «La responsabilità penale è personale» (Costituzione italiana, art. 27). Il Regno - documenti 7/2015 stato commesso e la pena sia di natura che possa essere loro applicata, altrimenti possono essere puniti con pene ferendæ sententiæ. Il superiore maggiore, svolgendo l’indagine previa, deve cercare di stabilire quali siano le circostanze che comportano la possibilità di imputare al religioso la complicità nell’azione criminale e, successivamente, quali siano i gradi di concorso che comportano anche l’imputabilità penale. Gli elementi da valutare sono due: quello soggettivo e quello oggettivo materiale. L’elemento soggettivo vuole determinare l’esistenza, nel complice, della volontà deliberata di realizzare il delitto attraverso l’accettazione o la condivisione della volontà criminale di chi materialmente commette il delitto. L’elemento oggettivo materiale deve invece stabilire il grado di partecipazione all’azione esterna necessaria a produrre l’evento criminale, cioè quanto la cooperazione del complice abbia efficacemente influito perché si potesse compiere il delitto, o quanto essa ne sia stata la causa efficiente. La complicità si realizza quando concorrono insieme entrambi gli elementi soggettivi e oggettivi, ovvero quando la volontà dei partecipanti e le loro azioni permettono il compiersi del delitto. 35. Espulsione immediata dalla casa religiosa. Il can. 703 prevede un rimedio eccezionale in situazioni particolari, cioè nel caso di un grave scandalo esterno o di un danno gravissimo imminente che minaccia l’istituto, proprio a causa della presenza del religioso. Il rimedio consiste nell’espulsione immediata dalla casa religiosa a opera del superiore maggiore senza che abbia a intervenire il suo consiglio o, se c’è pericolo nel ritardo, del superiore locale col parere favorevole del suo consiglio locale, in modo da eliminare lo scandalo o prevenire il danno. Trattandosi di un procedimento oltremodo sommario, le due ipotesi di urgenza devono verificarsi come stabilito dal canone: deve trattarsi di un «grave scandalo esterno» (cf. cann. 695, § 1, e 696, § 1) e di un «gravissimo danno imminente per l’istituto».30 Il provvedimento di «espulsione dalla casa religiosa» non equivale alla dimissione dall’istituto, non è equiparabile al trasferimento in un’altra casa, non si configura come una pena come quelle previste nel can. 1337 e neppure è assimilabile al provvedimento con il quale il vescovo diocesano vieta a un religioso di dimorare in diocesi (cf. can. 679). 30 Secondo una risposta della Pontificia commissione per l’interpretazione del Codice del 21 dicembre 1949, rientrerebbe nel canone il pericolo imminente di infamia che ricadrebbe sulla comunità a causa di un delitto infamante commesso da uno dei suoi membri. 22 V ita consacrata Il rimedio previsto dal can. 703 comporta l’allontanamento dalla casa religiosa di un «membro» dell’istituto, senza distinzioni di età né di dignità, di condizione, di meriti precedenti. Il provvedimento è interlocutorio, cioè diretto a rimediare lo scandalo o al danno gravissimo imminente e quindi richiede un proseguimento ulteriore. L’espulsione è sempre facoltativa, in quanto si possono trovare altri rimedi. Se lo scandalo o il danno hanno come causa uno o alcuni dei reati tipizzati dai cann. 694 e 695, § 1, si deve applicare il procedimento previsto nel can. 695, § 2. Se è necessario, stabilisce il can. 703, il superiore maggiore curi che si istruisca il processo di dimissione a norma del diritto, oppure deferisca la cosa alla Sede Apostolica. D) Conclusione 36. Segnaliamo alcune attenzioni pastorali da adottare da parte del superiore maggiore. L’indagine previa potrebbe far emergere un’evidente non imputabilità del religioso (cf. can. 1323, 6°) per motivi di ordine psicologico. In tale evenienza, ma anche nei casi meno gravi (e in parallelo all’eventuale procedimento canonico), è necessario proporre al religioso un accompagnamento specialistico psicologico. Può essere opportuno chiedere all’interessato l’autorizzazione a domandare allo specialista un attestato che evidenzi possibilità e rischi nell’assumere determinati ministeri. Sulla base delle indicazioni dello specialista, e con le cautele che il caso richiede, il superiore maggiore stabilirà quali incarichi affidare al religioso e con quali protezioni. In riferimento all’età del reo, anche per casi gravi, si dovrà valutare sull’opportunità di ricorrere alla dimissione dall’istituto quando sarebbe oggettivamente difficile un suo reinserimento nella società. 37. È opportuno individuare per tempo centri specializzati o singoli specialisti cui poter inviare religiosi, chierici o laici, per una consulenza e un accompagnamento di carattere psicologico. Così è buona cosa disporre di un elenco di consultori cattolici particolarmente attrezzati per poter seguire minori e famiglie vittime di abusi. È importante avere a disposizione anche alcuni centri protetti che possano seguire il religioso, quando ciò si renda utile o necessario. 38. Si può valutare l’opportunità di offrire un aiuto al minore e alla sua famiglia soprattutto se essa manifesta un atteggiamento di disponibilità. Tale aiuto non deve mai avere carattere economico, ma Il Regno - documenti 7/2015 potrebbe consistere nel consentire l’accesso gratuito a strutture o a persone specializzate. 39. In ultimo è da considerare se i procedimenti civili siano già stati avviati prima dell’indagine canonica. Dal momento in cui si attiva la procedura civile, si valuti attentamente, facendo magari ricorso a esperti in materia, l’opportunità di sospendere quella canonica per evitare che un pronunciamento o una sentenza del tribunale ecclesiastico possa condizionare quello civile. Nel caso che l’inchiesta civile si concluda con il rinvio a giudizio, e si sia scelto in precedenza la sospensione della procedura canonica, si potrà decidere di concludere anche quest’ultima, tenendo conto del can. 1344, 2°, quando ci sia stata una sentenza di condanna. Si faccia attenzione al rito del patteggiamento, in quanto comporta l’ammissione di colpa. 40. Principali disposizioni canoniche circa la procedura da seguire nei casi dei delicta graviora riservati alla Congregazione per la dottrina della fede, con particolare riferimento al delitto di abuso sessuale di minore commesso da un religioso chierico: 1. Ogniqualvolta il superiore competente (can. 620) riceve notizia, almeno verosimile, di un delictum gravius commesso da un chierico religioso, dovrà compiere un’indagine previa a norma di diritto, informandone il religioso e concedendo al medesimo la facoltà di difendersi (cann. 1717; 695, § 2). Tutti gli atti verranno trasmessi al moderatore supremo a norma del can. 695, § 2. Il moderatore supremo trasmetterà detti atti alla Congregazione per la dottrina della fede insieme con il voto proprio e quello del suo consiglio sul merito del caso nonché sulla procedura da seguire nel medesimo. 2. La Congregazione per la dottrina della fede, una volta ricevuti gli atti trasmessi dal moderatore supremo, indicherà la procedura da seguire e i provvedimenti da adottare. a) Nel caso che questa Congregazione indicasse di procedere per un giudizio penale, potrà anche indicare secondo le circostanze quale sia il tribunale competente per conoscere la causa di prima istanza (cf. can. 1427; 1412; 1408 coll. cum can. 103). Detto tribunale potrà decretare la dimissione dall’istituto come pure infliggere la pena di dimissione dallo stato clericale. Il giudizio di seconda istanza è riservato al Supremo tribunale della Congregazione per la dottrina della fede. b) Nel caso che questo dicastero decidesse che si proceda per via amministrativa, chiederà al moderatore supremo di procedere a norma del can. 699, § 1. Il moderatore supremo con il proprio consiglio potrà decidere di non decretare la dimissione dall’i- 23 V ita consacrata stituto ma di emanare un provvedimento disciplinare. Spetterà esclusivamente alla Congregazione per la dottrina della fede confermare il decreto di dimissione dall’istituto a norma del can. 700. Contestualmente deciderà anche se infliggere al religioso la pena della dimissione dallo stato clericale. Copia di ogni eventuale decreto sarà in ogni caso inoltrata ex officio alla Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica. I ricorsi contro i decreti emanati in materia di delicta graviora saranno decisi esclusivamente dalla Congregazione ordinaria dei membri della Congregazione per la dottrina della fede (Feria IV). Non è ammissibile il ricorso al Supremo tribunale della Segnatura apostolica. I ricorsi hanno effetto sospensivo. c) Per quanto riguarda gli istituti di diritto diocesano, ogni intervento del moderatore supremo presso la Congregazione per la dottrina della fede dovrà essere avallato dal vescovo di domicilio o quasi domicilio del religioso a norma del can. 103.31 II. Legislazione italiana 4) APPUNTO SUGLI ABUSI SESSUALI COMPIUTI AI DANNI DI MINORI (ANCHE PER VIA TELEMATICA) A) Il quadro normativo italiano 41. La violenza sessuale è descritta dall’art. 609 bis del Codice penale: «Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi». Il concetto di atti sessuali è molto ampio e la giurisprudenza vi ricomprende un’ampia gamma di azioni. Secondo la Suprema Corte di cassazione, sono atti sessuali tutti quelli che eccitano la concu31 Dalla lettera del cardinale Joseph Ratzinger, indirizzata al cardinale Eduardo Martínez Somalo, datata Città del Vaticano 18 novembre 2003 (prot. n. 28/97 – 17781). Il Regno - documenti 7/2015 piscenza sessuale (toccamenti, palpeggiamenti ecc.); tali atti integrano violenza sessuale se compiuti senza il preventivo consenso della vittima o prevenendone la manifestazione di dissenso. Vi rientrano, pertanto, gli atti compiuti in modo repentino o subdolo e inevitabile. Va, comunque, tenuto presente che, anche senza violenza, il reato dovrebbe ritenersi sussistente, a norma dell’art. 609 quater del Codice penale, per l’affidamento che il minore in genere ripone nel religioso per la sua qualità di persona consacrata e quindi di educatore. Infatti la predetta norma stabilisce: «Soggiace alla pena stabilita dall’art. 609 bis chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto: 1) non ha compiuto gli anni quattordici; 2) non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore adottivo, il tutore, ovvero altra persona cui per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato». Tenuto conto delle indagini (svolte secondo quanto descritto ai nn. 9 e seguenti di questa Nota), anche qualora i fatti potessero ritenersi di minore gravità ai sensi dell’art. 609 bis ultimo comma del Codice penale, la pena andrebbe dal minimo di anni due al massimo di anni sei di reclusione. Pare importante riportare questo dato della pena, perché dice la gravità di atti che, nella mentalità corrente, non portano immediatamente a pensare alla violenza: si pensi a toccamenti, palpeggiamenti, ecc., anche avvenuti quando sia chi opera sia chi subisce tali atti rimanga completamente vestito! Tuttavia, al di là anche dell’eventuale avvenuta prescrizione dal punto di vista del diritto penale italiano, può assumere rilevanza nel caso concreto, al fine dei provvedimenti da adottare, stabilire la pericolosità del colpevole e la gravità della sua condotta. A questo riguardo sarebbe rilevante conoscere se la condotta del religioso è stata reiterata in danno di altri minori e, in caso affermativo, per quanto tempo. Non ci sono limiti circa l’età della persona offesa; l’età assume però rilievo in ordine alla misura della pena, la quale, prevista in generale da cinque a dieci anni, è aumentata da sei a dodici anni in caso di minore di anni quattordici e da sette a quattordici anni in caso di minore di anni dieci (cf. Codice penale art. 609 ter). 42. La stessa pena dell’art. 609 bis del Codice penale è prevista, dall’art. 609 quater, per il compimento, anche senza violenza, minaccia o abuso di autorità (quindi anche nel caso che l’altra parte sia consenziente), di atti sessuali con minore di anni quattordici e di anni sedici se chi abusa, per i casi 24 V ita consacrata che qui interessano, è «persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato». Per gli atti sessuali compiuti con minori di anni dieci, la pena va da sette a quattordici anni. 43. Quanto al materiale pornografico prodotto sfruttando minori, sono puniti: – la produzione (Codice penale art. 600 ter, comma 1): da 6 a 12 anni e multa da € 25.822 a € 258.228; – il commercio (comma 2): stessa pena; – la distribuzione, divulgazione e pubblicizzazione anche per via telematica (comma 3): da 1 a 5 anni e multa da € 2.582 a € 51.645; – la cessione anche a titolo gratuito (comma 4): fino a tre anni o multa da € 1.549 a € 5.164 (art. 600 ter, ultimo comma); – la detenzione (art. 600 quater): fino a tre anni o multa non inferiore a € 1.549. L’art. 600 sexies aumenta le pene previste in alcuni casi: in particolare, sono aumentate da un terzo alla metà, se si tratta di produzione di materiale pornografico (art. 600 ter, comma 1) e il fatto è commesso a danno di minore di anni quattordici, e dalla metà a due terzi, se chi ha commesso qualunque fattispecie prevista dall’art. 600 ter è «persona a cui il minore è stato affidato per ragioni di cura, educazione, istruzione, vigilanza, custodia, lavoro». 44. Per i reati sopra menzionati è prevista la querela di parte entro sei mesi, ma si procede d’ufficio: – in caso di violenza sessuale, se si tratta di minore di anni quattordici; – in caso di atti sessuali con minorenni, se si tratta di minore di anni dieci; – in ogni caso, se il fatto è commesso da «persona cui il minore è affidato per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia» (art. 609 septies, comma 4, n. 2). La prescrizione dei suddetti reati, a seconda della gravità, varia dai cinque ai quindici anni. Si ha favoreggiamento quando si «aiuta taluno a eludere le investigazioni dell’Autorità o a sottrarsi alle ricerche di questa» (Codice penale art. 378). Si tratta, quindi, di un atteggiamento attivo (ad esempio, se l’autorità ecclesiastica, venuta a sapere in via confidenziale delle indagini su un sacerdote, lo avvisa perché possa fuggire all’estero) e non semplicemente omissivo (l’autorità ecclesiastica ha avuto segnalazioni circa il compimento di abusi verso minori da parte di un sacerdote e non interviene per toglierlo da responsabilità educative). Si tenga tuttavia presente il dettato dell’art. 40, comma 2, del Codice penale: «Non impedire un evento, che si ha obbligo giuridico Il Regno - documenti 7/2015 di impedire, equivale a cagionarlo», non potendosi escludere a priori che tale norma possa essere invocata nei confronti del superiore, nel caso in cui questi non risulti avere agito efficacemente al fine di scongiurare contatti pericolosi del sacerdote, dopo avere avuto notizia verosimile dei suoi problemi. L’art. 2 dell’Accordo di modifica del Concordato lateranense del 18 febbraio 1984 riconosce la piena libertà della Chiesa anche per quanto concerne la «giurisdizione in materia ecclesiastica». L’autorità italiana non può quindi interferire con le procedure giudiziarie canoniche, richiedendo documenti, dichiarazioni o materiali relative a esse. L’art. 4, comma 4, dell’Accordo afferma inoltre che «gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero». 5) APPROFONDIMENTI SULL’OBBLIGO DI DENUNCIA E DI TESTIMONIANZA NEL DIRITTO PENALE ITALIANO A) Obbligo di denuncia 45. In primo luogo, occorre analizzare il problema della presenza o meno, in capo al religioso che fosse al corrente della commissione di un fatto di reato, di un obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria civile. In proposito va subito chiarito che, all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, vige la regola generale secondo cui non sussiste in capo ai privati cittadini alcun obbligo di riferire, alla magistratura o agli organi di polizia, le eventuali notizie di reato conosciute. L’art. 333 del Codice di procedura penale, «Denuncia da parte di privati», non lascia spazio a dubbi interpretativi, laddove dispone che la denuncia è una mera facoltà del privato («Ogni persona che ha notizia di un reato perseguibile d’ufficio può farne denuncia»). Il privato cittadino (tale è anche il superiore maggiore e chi è investito di autorità ecclesiastica) non è obbligato a denunciare gli abusi sessuali di cui venisse a conoscenza. L’obbligo di denuncia infatti scatta solo per particolari delitti. Pertanto la regola di cui all’art. 333 del Codice di procedura penale è scalfita dalle sole eccezioni previste dalla legge e che, alla luce dell’attuale stato normativo, si concretano in via esclusiva: – nell’art. 364 del Codice penale, «Omessa denuncia di reato da parte del cittadino»: «Il cittadino che, avendo avuto notizia di un delitto contro la per- 25 V ita consacrata sonalità dello Stato, per il quale la legge stabilisce [la pena di morte o] l’ergastolo, non ne fa immediatamente denuncia all’Autorità indicata nell’art. 361, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da lire duecentomila a due milioni»; – nell’art. 3 Decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito in Legge 15 marzo 1991, n. 82: 1. Chiunque, essendo a conoscenza di atti o fatti concernenti il delitto, anche tentato, di sequestro di persona a scopo di estorsione o di circostanze relative alla richiesta o al pagamento del prezzo della liberazione della persona sequestrata, ovvero di altre circostanze utili per l’individuazione o la cattura dei colpevoli o per la liberazione del sequestrato, omette o ritarda di riferirne all’autorità di cui all’art. 361 del Codice penale, è punito con la reclusione fino a tre anni. 2. Non è punibile chi ha posto in essere le condotte indicate al comma 1 in favore del prossimo congiunto. Il discorso si fa più intricato, invece, in relazione alle figure dei pubblici ufficiali (Codice penale art. 357) e degli incaricati di pubblico servizio (Codice penale art. 358). Per costoro, infatti, a differenza dei privati cittadini vige un generalizzato obbligo di denuncia dei fatti penalmente rilevanti secondo quanto previsto: – dall’art. 331 del Codice di procedura penale, «Denuncia da parte di pubblici ufficiali e di incaricati di pubblico servizio»; – dall’art. 361 del Codice penale, «Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale»; – dall’art. 362 del Codice penale, «Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio». Inquadrato così il problema, la domanda preliminare cui dobbiamo rispondere per chiarire il tema del dovere di denuncia facente capo agli appartenenti a ordini religiosi è la seguente: rivestono o meno la qualifica di pubblici ufficiali? Ed eventualmente, a quali condizioni? Ora, evitando di inoltrarci nella disamina approfondita della sterminata casistica giurisprudenziale in materia, giova rilevare quanto segue. Esistono particolari momenti ben definiti, durante i quali un religioso può svolgere funzione di pubblico ufficiale, con tutte le conseguenze giuridiche che tale qualifica comporta: il riferimento va in primis alla celebrazione del matrimonio canonico – da parte ovviamente di soggetti a ciò abilitati dall’ordinamento – con successiva trasmissione del relativo atto all’ufficiale di stato civile.32 32 Per un precedente giurisprudenziale concernente un sacerdote, si veda Tribunale di Vigevano, 3 febbraio 1983, in Giurisprudenza italiana (1984)2, 426. Il Regno - documenti 7/2015 È chiaro che, in casi del genere, al religioso si paleserebbe l’articolata massa di obblighi di denuncia descritta in precedenza. Tuttavia, al di fuori di questi specifici casi, il religioso non deve essere ritenuto pubblico ufficiale né incaricato di pubblico servizio. La sua condizione, normalmente, è del tutto assimilabile a quella di un privato cittadino, con applicazione dei soli obblighi di denuncia di cui agli artt. 364 del Codice penale e 3 del Decreto legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito in Legge 15 marzo 1991, n. 82. B) Obbligo di testimonianza 46. Un diverso profilo, invece, sia pure in parte intersecante, riguarda l’obbligatorietà della testimonianza e del rilascio di dichiarazioni in sede di assunzione di informazioni, legalmente richiesta ai religiosi dalle autorità inquirenti e giudiziarie, nel corso di procedimenti penali a carico di terzi. In questo ambito, è d’interesse il tema del segreto professionale che permette di tenere nascoste, a certe condizioni, le informazioni conosciute da soggetti che, anche senza rivestire la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, svolgono determinate professioni o ricoprono determinati uffici. A tal proposito, in ragione del loro ministero, gli ecclesiastici sono esentati dall’obbligo di deporre, anche se legalmente richiesti dalla polizia giudiziaria o dalla autorità giudiziaria e ciò in conformità ai seguenti principi normativi: – l’art. 4, comma 4 della Legge 25 marzo 1985, n. 121 (modifica al Trattato lateranense), «costituzionalizzato» ex art. 7, comma 2 della Costituzione; – l’art. 200 del Codice di procedura penale, «Segreto professionale» in ordine alla testimonianza; – gli artt. 351 e 362 del Codice di procedura penale, in ordine alle informazioni richieste nel corso delle indagini preliminari. Vale comunque la pena notare che l’accennata esenzione dal dovere testimoniale copre esclusivamente le informazioni acquisite per ragione del proprio ministero. È del tutto evidente, quindi, che sull’ermeneutica di tale concetto si gioca per intero la partita del segreto professionale. Ne consegue perciò che, qualora venissero eluse le norme concernenti il segreto professionale da religiosi che con esse si fossero truffaldinamente «coperti», potrebbero eventualmente venire alla luce le ipotesi delittuose previste dall’art. 372, «Falsa testimonianza», e 378, «Favoreggiamento personale», del Codice penale. 26 V ita consacrata Sul punto è tornata la Suprema Corte per un caso relativo a un sacerdote stabilendo che «in tema di favoreggiamento personale, poiché l’art. 4 dell’accordo tra stato e Chiesa cattolica, ratificato con Legge 25 marzo 1985, n. 121, prevede che gli ecclesiastici non sono tenuti a fornire a magistrati e ad altre autorità informazioni su persone o materie di cui sono venuti a conoscenza per ragioni del loro ministero, non è punibile il sacerdote cattolico che, avendo così appreso notizie su persona che abbia svolto un ruolo nella protezione di un latitante, fornisca all’autorità giudiziaria informazioni incomplete, senza che sia consentito distinguere tra la semplice reticenza e le dichiarazioni non veritiere».33 In ogni caso, il discernimento tra notizie coperte dal segreto e notizie passibili invece di libera testimonianza spetta al giudice, così come la conseguente valutazione sulle circostanze citate dall’ecclesiastico per esimersi dalla testimonianza stessa (Codice di procedura penale art. 200, comma 2). È appunto il giudice a potere, nel caso, ordinare la deposizione nonostante l’iniziale opposizione del segreto a opera del teste. L’obbligo eventualmente imposto dal giudice fa ovviamente venire meno ogni ipotesi di antigiuridicità. C) Conclusioni sull’obbligo di denuncia e di testimonianza 47. In estrema sintesi, per ciò che riguarda l’obbligo di denuncia e quello di testimonianza, si può concludere che: a) i religiosi (così come i privati cittadini) hanno generalmente un obbligo di denuncia limitato alle ipotesi previste dall’art. 364 del Codice penale e dalle diverse disposizioni contenute in legge speciale (attualmente solo la Legge 15 marzo 1991, n. 82); b) in casi eccezionali, in cui rivestono funzione di pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, i loro doveri di denuncia si estendono a tutti i reati di cui vengono a conoscenza nell’esercizio delle loro funzioni; c) le informazioni richieste nel corso delle indagini preliminari dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero non devono essere fornite dai religiosi qualora le stesse ricadano nell’orbita del segreto professionale, essendo state acquisite in ragione del ministero; 33 Cassazione penale, sez. V, 3 maggio 2001, n. 27656, in Cassazione penale (2002), 3092. Il Regno - documenti 7/2015 d) in caso contrario (al di fuori cioè del segreto professionale) i religiosi devono invece deporre e comunque lo devono sempre fare su richiesta del giudice, che ha accertato l’infondatezza del segreto, pena la possibile incriminazione di falsa testimonianza ex art. 372, o favoreggiamento personale ex art. 378 del Codice penale. 6) AVVERTENZE IN CASO DI INDAGINI E DI PROCEDIMENTI PENALI DA PARTE DELL’AUTORITÀ ITALIANA 48. Nel caso di un procedimento penale a carico di un sacerdote o religioso, l’autorità ecclesiastica deve essere formalmente avvisata, a norma del n. 2, lett. b, del Protocollo addizionale all’Accordo di revisione del concordato lateranense del 1984, e dell’art. 129, comma 2, delle norme di attuazione del Codice di procedura penale. Il procedimento penale, a norma dell’attuale Codice di procedura penale (1989), inizia con il rinvio a giudizio dell’interessato, quindi al termine dell’indagine (cf. art. 405 c.p.p.). Si ricordi, peraltro, che la Santa Sede ha contestato questa lettura della disciplina vigente, richiamandosi al dettato pattizio che parla di «promozione» del provvedimento penale a carico dell’ecclesiastico intendendo riferirsi all’inizio delle indagini. 49. Di fatto può avvenire che l’autorità ecclesiastica sia informata dai funzionari di polizia o dal pubblico ministero già durante le indagini su un sacerdote. In questo caso, l’informazione può essere semplicemente un gesto di cortesia o consistere in una richiesta di collaborazione, atta a impedire la reiterazione del presunto reato o a evitare la necessità dell’arresto o di altra misura cautelare (tali misure possono aver luogo solo se esiste la possibilità di inquinamento delle prove, di fuga dell’indagato o di reiterazione del reato: cf. art. 274 c.p.p.). In tali circostanze, è opportuno provvedere al trasferimento temporaneo del sacerdote, informandone la magistratura. Si presti attenzione al fatto che non sussiste l’obbligo di consegnare agli inquirenti materiali documentari coperti dal segreto d’ufficio. 50. Durante le indagini occorre avere la massima prudenza e valutare con l’autorità inquirente l’opportunità di eventuali azioni. 51. Perdurando le indagini, non sembra opportuno avviare un parallelo procedimento canonico (ovvero far partire una formale indagine previa), anche per evitare possibili incroci e sovrapposizioni. Ciò vale a maggior ragione se, grazie all’atteggiamento collaborativo del sacerdote, sono ridotte 27 V ita consacrata al minimo le possibilità di un ripetersi di eventuali abusi (ammesso che ci siano stati) ed è tutelata il più possibile l’immagine della Chiesa. Dell’atteggiamento collaborativo fa parte anche la disponibilità, soprattutto nei casi presumibilmente più gravi, a lasciare almeno temporaneamente l’incarico ministeriale. Anche per non compromettere la difesa del sacerdote, è opportuno che qualsiasi allontanamento dall’incarico o trasferimento risulti richiesto dal sacerdote stesso, al fine di essere più libero di difendersi e per non coinvolgere la Chiesa. 52. Qualora le indagini dell’autorità italiana si concludano con il rinvio a giudizio del sacerdote o religioso, può essere invece opportuno avviare un’indagine previa canonica, anche a partire dagli elementi di cui si è venuti a conoscenza. L’indagine canonica dovrà essere discreta e attenta a non compromettere soprattutto i diritti di difesa del sacerdote o religioso. 53. Salvo casi particolarmente gravi (ad esempio, con provvedimenti di arresto) o diventati di pubblico dominio, non è necessario informare la Santa Sede durante le indagini di polizia, dal momento che possono concludersi con un nulla di fatto. È invece opportuna l’informazione a partire dall’avvio del procedimento di primo grado. 54. Occorre essere cauti nell’assumere pronunciamenti pubblici a favore del sacerdote o religioso ed evitare – anche perché solitamente controproducenti per la sua difesa – interventi di carattere «polemico» con l’autorità giudiziaria o che possano essere interpretati come tali. È sufficiente ribadire la preoccupazione e il dispiacere della Chiesa di fronte a certi fatti che, se veri, possono aver provocato sofferenze a minori e alle loro famiglie, affermare di ritenere il sacerdote innocente sino a prova contraria ed esprimere fiducia nella possibilità che venga fatta piena luce in tempi brevi sulla questione. 55. Può essere opportuno aiutare il sacerdote a trovare un legale di fiducia. Bisogna, comunque, evitare anche solo l’impressione che la Chiesa si assuma delle responsabilità, che restano personali del sacerdote, anche qualora fosse di fatto necessario assisterlo in caso di condanna. 56. In caso di condanna in primo grado, in proporzione alla gravità dei reati per i quali è stato condannato, qualora il sacerdote o religioso rivesta ancora lo stesso incarico, e ciò costituisca un rischio per il medesimo o per l’immagine della Chiesa (mantenere tale soggetto come responsabile di una comunità di minori o di un oratorio dopo una condanna, sia pure di primo grado, per abusi Il Regno - documenti 7/2015 sessuali su minori, risulterebbe una scelta incomprensibile per l’opinione pubblica), occorrerà convincere il sacerdote ad accettare un trasferimento ad altro ministero o a un incarico temporaneo, o procedere in ogni caso, ove resista (cf. cann. 190 e 1748-1752). La condanna in primo grado non è definitiva. Occorre sottolineare che le ragioni del trasferimento sono di opportunità e di immagine agli occhi dell’opinione pubblica, non giuridiche. 57. Alla luce degli elementi emersi nel procedimento di primo grado, può risultare conveniente avviare l’indagine previa canonica, se già non è stata svolta in precedenza, oppure riaprirla sulla base dei nuovi elementi (cf. can. 1718, § 2). Si tenga conto del fatto che il procedimento penale statale non può mai sostituire quello canonico, neppure nella fase dell’indagine previa. L’indagine prenderà in esame anche gli atti disponibili del procedimento penale italiano (ad esempio, la sentenza), da inviarsi poi alla Congregazione per la dottrina della fede, unitamente agli esiti dell’indagine canonica e alle valutazioni dell’ordinario. 58. Nel caso di patteggiamento, con la rinuncia almeno formale da parte del sacerdote a difendersi dall’accusa dell’aver compiuto il fatto, è inevitabile aprire, se già non è stata fatta, l’indagine previa canonica. 59. Nel caso di condanna definitiva, occorrerà assicurare al religioso tutto il sostegno umano e cristiano necessario. Qualora il condannato fosse affidato ai servizi sociali o gli fossero imposti gli arresti domiciliari, si concorderanno con l’autorità competente modi e forme di esercizio del ministero, a meno che risulti doveroso sospenderne l’esercizio stesso. 60. Nel caso di assoluzione per incapacità di intendere o di volere, occorrerà offrire al religioso l’aiuto specialistico necessario (compresa la possibilità di risiedere presso una struttura protetta, eventualmente da concordare con il giudice che assolvendo l’imputato può applicare le misure di sicurezza: cf. Codice di procedura penale art. 530). Si tenga presente che, in forza del can. 1044, § 2, 1°, il chierico «affetto da pazzia o da altre infermità psichiche», per le quali, a norma del can. 1041, 1°, «consultati i periti, viene giudicato inabile a svolgere nel modo appropriato il ministero», è impedito di esercitare gli ordini «finché l’ordinario, consultato il perito, non avrà consentito l’esercizio del medesimo ordine». 61. In base al can. 1344, 2°, il giudice canonico può «astenersi dall’infliggere la pena, infliggere 28 V ita consacrata una pena più mite o fare uso di una penitenza, se il reo si sia emendato e abbia riparato allo scandalo, oppure se lo stesso sia stato sufficientemente punito dall’autorità civile o si preveda che sarà punito». 62. Anche sulla base dei pronunciamenti dell’autorità giudiziaria italiana potrà essere necessario proporre al religioso un accompagnamento specialistico psicologico, secondo quanto indicato sopra. 63. Dopo un patteggiamento, una condanna definitiva o un’assoluzione per incapacità di inten- R1f_Donne:Layout 1 10-11-2014 11:10 dere e di volere (a prescindere dai risultati dell’eventuale procedimento canonico), il permanere in un determinato ministero sacerdotale o l’affidamento di uno nuovo andrà attuato con grande prudenza e con le cautele del caso. In mancanza di esse, un’eventuale reiterazione del reato, oltre a costituire un grave danno per l’interessato e per le persone loro malgrado coinvolte, potrebbe essere attribuita alla responsabilità almeno morale dell’autorità ecclesiastica, dimostratasi non sufficientemente prudente. R1f_Rosati:Layout 1 Pagina 1 10-11-2014 I cattolici e la politica Storie di sante PREFAZIONE DI RITANNA ARMENI Potere e servizio nello spazio pubblico V entitre ritratti di sante, proposti dalle grandi firme dell’inserto femminile dell’Osservatore Romano, offrono un affresco straordinario e inaspettato di coraggio, libertà e autonomia. Virtù “moderne” che le donne di oggi cercano di esercitare in una sintesi difficile, ma non impossibile, con l’amore, la cura, la gioia di essere se stesse. L a partecipazione dei cattolici alla vita politica italiana ha attraversato numerose fasi. Ripercorrere le strade già battute serve a fare il punto ed è indispensabile per intraprendere un nuovo corso. La posta in gioco è il mutamento della qualità dell’azione politica, il recupero della sua funzione di servizio anziché di pratica del potere. «FARE IL PUNTO» pp. 136 - € 12,50 pp. 192 - € 16,50 GIORGIO CAMPANINI BENE COMUNE DECLINO E RISCOPERTA DI UN CONCETTO Edizioni Dehoniane Bologna Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299 Edizioni Dehoniane Bologna www.dehoniane.it Il Regno - Pagina 1 DOMENICO ROSATI Donne&moderne «LAPISLAZZULI» 11:34 documenti 7/2015 29 NELLA STESSA COLLANA pp. 104 - € 10,00 Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna Tel. 051 3941511 - Fax 051 3941299 www.dehoniane.it