Tavolo inclusione, quaderno n.1

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Tavolo inclusione, quaderno n.1
TAVOLO INCLUSIONE
QUADERNO N. 1
ESITI DI UNA RICERCA
A cura di Armando Luisi
INDICE
Presentazione ...................................................................................
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Il Tavolo Inclusione ...........................................................................
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Dalla scuola ......................................................................................
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La ricerca – Scopi e articolazione ................................................... 10
I dati rilevati ...................................................................................... 14
L’analisi dei PAI ......................................................................... 14
Le interviste .............................................................................. 17
I focus group - analisi SWOT .................................................... 20
Focus group genitori .......................................................... 21
Focus group insegnanti ..................................................... 22
Focus group studenti ......................................................... 25
Punti di attenzione .......................................................................... 27
Approfondimento ............................................................................. 29
Prospettive ........................................................................................ 32
Redazione e impaginazione: Armando Luisi
Collaborazione redazionale: Celsa Gualandi Linda Laghi
Immagine di copertina: Ivan Mantovani
Stampato a cura del Comune di San Lazzaro di Savena presso Litografia SAB
Finito di stampare: settembre 2015
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PRESENTAZIONE
Isabella Conti
Sindaco di San Lazzaro di Savena
L’Amministrazione comunale di San Lazzaro di Savena è sempre più attenta ad individuare ed interpretare i bisogni dei “suoi” bambini e ragazzi. Questi giovani cittadini sono un dono prezioso, una risorsa per l’intera
Comunità e i loro bisogni e necessità devono essere, e sono, prioritari per
tutti.
Attraverso lo strumento del Tavolo Inclusione l’Amministrazione sostiene
e promuove la centralità del loro benessere individuale e favorisce lo
scambio e la collaborazione di tutti i soggetti educativi del territorio, per
individuare le politiche e le pratiche migliori per l’inclusione.
Obiettivo fondamentale è la realizzazione di un progetto ideale di crescita
per la diffusione di una cultura pedagogica attenta alla persona, di una
cultura dell’infanzia, dell’integrazione e dei diritti.
Desideriamo garantire un miglioramento costante dei servizi offerti, coinvolgendo la Comunità in questo processo di responsabilizzazione e attenzione al prossimo. Crediamo profondamente che si possa crescere e fare
qualcosa di grande solo attraverso lo scambio e la collaborazione, grazie
anche al supporto e al sostegno della Comunità. Comunità che diventa
co-educante, che fa rete e si assume l’onere e l’onore di crescere assieme i propri figli, per aiutare e sostenere tutti nel cammino della vita.
Per questo da alcuni mesi stiamo lavorando a un Piano di Inclusione Territoriale che promuova la centralità della persona e che consenta sempre
più di potenziare le risorse e le capacità di ognuno.
Ciò che è meraviglioso è che questo lavoro è interdisciplinare, emerge
dall’incontro tra più soggetti competenti e motivati, ed è "aperto" a una
dimensione di distretto/ambito che, in base alle tematiche affrontate,
coinvolge specialisti e portatori di interessi qualificati.
Con questo desidero ringraziare il coordinatore, dottor Armando Luisi, la
Figura di Sistema distrettuale, Daniela del Gaudio, gli assessori e quanti
lavorano ogni giorno per il bene della nostra Comunità e del suo bene più
prezioso, i bambini, i ragazzi e i giovani.
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IL TAVOLO INCLUSIONE
Armando Luisi
Coordinatore Tavolo Inclusione
Il presupposto sul quale si fonda il lavoro del
Tavolo Inclusione è l’effettiva uguaglianza della
dotazione biologica di base degli essere umani.
L’inizio
Il Tavolo Inclusione presso il comune di San Lazzaro di Savena è nato per volere
dell’Amministrazione comunale, a seguito di una felice intuizione degli assessori
al Welfare, Giorgio Archetti, e alla Scuola, Benedetta Simon. Con il Tavolo,
l’amministrazione comunale si è resa promotrice della diffusione di una pedagogia che collochi al centro dell’attenzione la persona, con i suoi bisogni e desideri,
con le sue risorse e potenzialità, e sia attenta al suo percorso di crescita.
Il tavolo è luogo e occasione di confronto, di integrazione di culture, di pratica
interdisciplinare, di studio e di proposta da parte di un gruppo eterogeneo di portatori di interesse, direttamente o indirettamente coinvolti come erogatori o come
fruitori di servizi. Al tavolo sono rappresentati gli studenti, le famiglie, il Comune,
le scuole, l’ASL, le associazioni che operano per favorire i processi di integrazione
e di inclusione nella scuola e nella vita.
La struttura ha carattere comunale ed è aperta ad una dimensione più ampia,
possibilmente distrettuale (di ambito).
La partecipazione al tavolo è un atto volontario non formale: i componenti portano
il loro contributo di idee e di saperi, le competenze sviluppate all’interno delle
organizzazioni di appartenenza, la loro visione del mondo e della vita.
Ciascuno dei partecipanti, se lo desidera, potrà trasferire nel proprio contesto di
vita e di lavoro le diverse visioni, le buone pratiche e gli ulteriori saperi emersi dal
confronto e dal lavoro interdisciplinare.
I lavori del Tavolo sono stati da subito una feconda occasione di scambio, di confronto e di apprendimento. Dalle narrazioni è emersa una grande ricchezza di
pratiche inclusive: gli sportelli di ascolto nelle scuole, le esperienze di peereducation negli Istituti di Istruzione Superiore, gli interventi promossi
dall’Associazione Italiana di Dislessia, i numerosi interventi degli uffici comunali,
attraverso il Servizio Sociale Minori e l’Istituzione Sophia, e dell’ASL, attraverso il
Servizio Sociale Minori e la Neuropsichiatria infantile, ed altro ancora.
Nel primo anno di lavoro, il confronto si è molto incentrato sulla scuola, sugli adempimenti burocratici che le vengono richiesti a seguito della legge 170 del
2010, delle Linee Guida del MIUR “per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con Disturbi Specifici dell’Apprendimento (D.M. 12 luglio 2011) e della Diret-
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tiva Ministeriale del 27 dicembre 2012 “Strumenti di intervento per alunni con
Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica“.
Più volte ci si è soffermati sullo scopo, sulla natura e sulle modalità degli strumenti di programmazione previsti dalle norme citate e sull’esigenza di conciliare gli
obblighi compilativi con le istanze della pratica didattica. In particolare, ci si è
occupati delle modalità di redazione dei Piani Annuali di Inclusione (PAI) e delle
iniziative concrete che le scuole organizzano all’interno dei PAI. L’argomento è
stato anche ripreso nel corso dei focus group, come vedremo nelle prossime pagine, quasi a testimoniare uno iato incolmabile fra desiderato e dovuto, fra desiderio e adempimento.
Questa distanza fra contesto burocratico, fondato su regole, e contesto professionale, fondato su competenze, ricerca, sostegno reciproco, meriterebbe di essere
approfondita, per poter individuare possibili ambiti di intervento che permettano
di far salve le migliori intenzioni delle due prospettive, a vantaggio degli studenti
ma anche degli stessi operatori della scuola. Gli spazi praticabili dalle istituzioni
scolastiche, per effetto dell’autonomia didattica e organizzativa della quale dispongono, possono contribuire a piegare la burocrazia e le regole alle istanze
ideali e valoriali della pedagogia e della didattica. La strada è impervia, ma percorribile.
Altro tema di rilevante interesse è stato il vissuto degli studenti con Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA). Gli studenti presenti hanno presentato la loro esperienza, a partire dalla scuola primaria, per seguire con scuola secondaria di I e di
II grado. È emerso un diffuso quadro di incomprensioni, di condizioni vissute come
umilianti perché il disturbo, non ancora riconosciuto, veniva scambiato per svogliatezza, scarso impegno, inadeguatezza cognitiva. Non sempre le condizioni di
accoglienza e lavoro in classe sono cambiate dopo che il disturbo è stato accertato e certificato. La situazione, per alcuni studenti, è lentamente mutata con il crescere della consapevolezza delle proprie condizioni e delle proprie risorse. Pur
tuttavia, pregiudizi e routine consolidate ritornano in primo piano ciclicamente,
anche per il previsto utilizzo di strumenti compensativi e modalità dispensative.
Le storie personali si sono trasformate in opportunità, per i diretti interessati e per
gli altri loro compagni di scuola, grazie all’incontro con docenti particolarmente
sensibili alla tematica dell’inclusione.
Ai lavori del Tavolo hanno partecipato numerosi rappresentanti del Comune e
delle istituzioni scolastiche di San Lazzaro di Savena, rappresentanti dell’ASL,
degli studenti, dei comitati dei genitori, delle Associazioni di volontariato e liberi
cittadini. A tutti va un sentito e caloroso ringraziamento per il contributo offerto.
Un ringraziamento particolare a quanti hanno collaborato allo svolgimento della
ricerca e a Daniela del Gaudio, competente e tenace tessitrice di relazioni che
hanno permesso la realizzazione del Convegno del 14 settembre e la stampa di
questo Quaderno.
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DALLA SCUOLA
Laboratori - Pratica didattica inclusiva
Silvana Loiero
Dirigente Scolastico
Silvia Cominetti
Insegnante
Primo Istituto Comprensivo1 - S. Lazzaro di Savena
Inclusione è un termine che si svilisce con una semplice definizione teorica.
L’inclusione è infatti un processo complesso, è un fare. Un processo, mai realizzabile pienamente, in costante costruzione grazie all’incontro che favorisce la conoscenza e comprensione degli individui che vivono nel gruppo.
Guarda a tutti gli alunni indistintamente e differentemente, guarda a tutte le loro
potenzialità. Interviene prima sul contesto, poi sul soggetto.
Ha una dimensione sociale: non prima “riabilitare”, poi socializzare, poi far apprendere, ma far entrare in un contesto scolastico ricco nel confronto con i docenti e con i compagni.
La priorità è sui diritti di tutti: “non discriminazione” significa uguali diritti ma non
uguale trattamento o uguale risposta… si possono trattare in modo diverso le diversità per garantire gli stessi diritti, nel modo più completo possibile, attraverso
una pluralità di incontri con adulti significativi, che lavorano insieme, garantendo
un sistema di convivenza plurale e ricca.
L’apprendimento si intensifica con la cooperazione tra insegnanti, genitori e comunità.
L’inclusione è progettata per offrire “un’educazione di qualità” in particolar modo
a quegli studenti che sperimentano barriere (di qualsiasi tipo) di fronte
all’apprendimento e alla partecipazione. Intende offrire risposte educative tante
quante sono i bisogni della pluralità degli alunni.
Spesso la pratica laboratoriale diventa “un’educazione di qualità” per dare risposte adeguate, per migliorare l'aspetto relazionale di ogni alunno, per facilitargli
l'acquisizione di nuove conoscenze ed abilità che potranno evolvere in competenze. Non, quindi, laboratori aggiuntivi, ma laboratori come normale attività educativo-didattica per raggiungere gli obiettivi delle singole discipline con strumenti,
modalità, tempi e spazi personalizzati, quindi più efficaci per assicurare ad ogni
discente il successo scolastico.
“Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi
sugli alberi lui passerà tutta la sua vita a credersi stupido.”
Albert Einstein
1 Per il Primo Istituto Comprensivo, ha partecipato al Tavolo Inclusione l’insegnante Silvia Cominetti
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Le parole dell’inclusione
Amneris Vigarani
Dirigente Scolastico
Celsa Gualandi
Insegnante
Secondo Istituto Comprensivo1 - S. Lazzaro di Savena
Immaginare l’inclusione come l'esatto contrario dell'esclusione potrebbe risultare riduttivo, se non semplicistico. C’è ben altro in questo processo!
Un processo che dovrebbe scaturire dall’attitudine interiore a sospendere il giudizio per guardare l’altro senza i filtri di convinzioni o pregiudizi personali ricordandoci che inclusione è un termine impegnativo, che somma l'integrazione con la
partecipazione attiva. Essere incluso significa essere visto e considerato nella
propria comunità; significa poter decidere insieme agli altri. Questo è un passaggio fondamentale quando ci accingiamo a calare l'inclusione nei contesti di vita.
Ci piace pensare alla scuola in termini di Comunità educante e professionale capace di fare della differenza il suo valore fondante e di scrivere le proprie azioni
attraverso il codice dell'empatia.
Accogliere per dare a tutti, bambine, bambini, studenti, la possibilità di esprimere la propria crescita nel miglior modo possibile.
Calibrare la didattica, curvandola sulle diverse esigenze: le misure dispensative e
compensative sono tali se tracciano un circolo virtuoso, capace di trasformare il
potenziale individuale in capitale per la persona e la comunità in cui essa vive.
Osservare per intercettare e dare senso, affinché ognuno abbia l'opportunità di
coltivare i talenti e sviluppare la piena competenza.
Organizzare l'aula, la scuola, l'extrascuola come ambienti di apprendimento nei
quali gli individui possano strutturare, attraverso relazioni positive e collaborative,
l'interdipendenza soggettiva.
Informare in merito alle azioni promosse, alle scelte effettuate e al senso dei bisogni di tutte le parti interessate.
Formare: investire sulla formazione è una scelta obbligata per una comunità pedagogica in grado di fronteggiare le difficili sfide di società complesse.
Comunicare è un fattore strategico per creare condivisione e compartecipazione.
Coinvolgere gli studenti nei processi di scelta che li riguardano: decidere per imparare ad essere responsabili.
Ci piace concludere così: Johanna, bambina dislessica di 9 anni, nella sua scuola
inglese legge serenamente per un Golden Retriever.
Quale metafora migliore per esprimere l'empatia: il cane ascolta, senza deridere o
giudicare.
1
Per il Secondo Istituto Comprensivo, ha partecipato al Tavolo Inclusione l’insegnante Celsa
Gualandi
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Il percorso dell’inclusione: l’ultimo miglio
Roberto Fiorini
Dirigente Scolastico
IIS “E. Mattei” 1
S. Lazzaro di Savena
Il riconoscimento, avvenuto negli ultimi cinque anni, dei diritti all’apprendimento
di alunni con Disturbi Specifici dell’Apprendimento e con Bisogni Educativi Speciali porta finalmente a compimento il passaggio dalla logica della integrazione a
quella della inclusione di ciascun alunno, come persona avente diritto al successo
formativo. Si tratta di un grande passaggio, di dimensione decisiva, perché sposta
il problema del bisogno educativo sull’ambiente di apprendimento circostante
ciascun singolo alunno, la sua propria persona, responsabilizzando - a cerchi concentrici puntati sulla persona dell’alunno in apprendimento - la classe, la scuola,
la comunità civile, il territorio, la educazione informale e non formale, il mondo del
lavoro, lo Stato. Per la scuola, ciò significa porre al centro l’alunno e la sua persona, il suo diritto specifico al successo formativo e alla soddisfazione del bisogno di
apprendimento, ponendo le discipline al servizio dell’allievo e non l’allievo al servizio delle discipline. Non il medesimo per tutti, ma il diverso per ciascuno. Non solo - uguaglianza, ma - soprattutto - equità. Personalizzazione. Moltiplicazione di
vie e punti di forza, non restrizione e selezione.
A quasi un quarto di secolo dalla Legge 104, si tratta forse di fare l’ultimo miglio,
decisivo, sul percorso della inclusione, che si svolge ormai al di fuori della disabilità. Sappiamo tutti assai bene che a scuola, la massima parte di ciò che insegniamo sta non nella lezione, ma nelle idee implicite che si annidano nel pensiero
organizzativo - come lo chiamava il grande Piero Romei - nell’iceberg del curricolo
implicito fatto di spazi, tempi, gesti, azioni, rifiuti - anche silenzi - sommersi.
L’ultimo miglio che dobbiamo percorrere, con tutta la ricchezza del passato alle
spalle, ci spinge proprio in questa direzione: portare a termine il percorso di inclusione, piegando tutta l’organizzazione degli Istituti e dei Territori su ciascun bisogno educativo - che è diritto di tutti e di ciascuno.
Che il Comune di San Lazzaro abbia scelto di non lasciare sole le scuole in questo
enorme compito, orchestrando una azione articolata e capillare, utilissima per
tutti i soggetti coinvolti, è significativo della sua lungimiranza politica e amministrativa. E lascia uno spazio aperto alla iniziativa delle scuole autonome, da sole o
in rete, all’interno della Pianificazione Triennale prossima ventura, con la responsabilità precisa, per noi Dirigenti, per i Collegi che presiediamo, insieme ai Presidenti dei Consigli di Istituto del territorio e a tutti i docenti, di procedere con decisione nel ‘camminare’ lungo questo ultimo miglio decisivo.
1
Per l’IIS “E.Mattei”, ha partecipato al Tavolo Inclusione l’insegnante Linda Laghi.
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L'educazione alla diversità
Sergio Pagani
Dirigente Scolastico
IIS Majorana 1
S. Lazzaro di Savena
In ambito educativo scolastico alcune metodologie vengono vissute e praticate
come le più naturali e neutre, per esempio la lezione cattedratica. Prevale ancora
l'idea che il rapporto didattico debba e possa svolgersi in maniera lineare, che allo
stimolo educativo segua una risposta prevedibile e quindi programmabile, che gli
studenti siano da plasmare sulla base di obiettivi precostituiti. Si privilegiano il
cognitivo, l'efficienza e la linearità delle procedure mentre si trascura la qualità
della relazione educativa: reciprocità e dialogo, affettività ed espressività. Questo
modello, pur nell'attenzione prestata alle nuove attività d'inclusione, non ha raggiunto la produttività scolastica a cui aspirava, forse anche perché non dà importanza all'aspetto delle motivazioni ad apprendere da parte dello studente.
Il nuovo modello di relazione educativa che si deve configurare nel prossimo futuro pone come necessità il recupero pieno delle soggettività degli insegnanti e degli studenti che, al sapere come qualcosa di già compiuto che la scuola ha solo il
compito di trasmettere, oppone l'idea di un sapere come "saper domandare: saper interrogare sé stessi, gli altri e le cose" con l'obiettivo di promuovere lo sviluppo di personalità capaci di senso critico e di autoaffermazione, di creatività e non
di subordinazione.
La scuola va pensata come luogo in cui non soltanto si trasmette cultura, ma come ambito in cui la si elabora, diventando un "laboratorio" fondato sulla piena
collaborazione tra insegnanti e studenti.
L'insegnante deve essere colui che "è con" gli studenti, come portatore di esperienze per favorire un programma di ricerca e lavoro comune, colui che si basa
sulla cooperazione e valorizza l'esperienza vissuta, parte da un programma nella
cui elaborazione viene stimolata la partecipazione responsabile degli studenti e
tiene conto dei loro bisogni non solo cognitivi.
La "nuova" scuola deve fondarsi sulla cultura della differenza, rifiutando l'obiettivo
di una "norma" programmata e valorizzando nei giovani l'autenticità e la diversità,
per stimolarne l'autonomia di pensiero, la creatività e la capacità di relazione.
La ricerca sui pregiudizi e sugli stereotipi presenti all'interno del gruppo-classe
sarà allora il punto di partenza per la presa di coscienza delle proprie paure e per
il loro superamento attraverso lo sviluppo di una più consapevole socializzazione
nella classe, basata sull'educazione al rispetto e all'interesse per l'altro da sé.
1
Per l’IIS Majorana, hanno partecipato al Tavolo Inclusione l’insegnante Francesco Cappadone
e l’insegnante Margherita Catucci
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LA RICERCA
SCOPI E ARTICOLAZIONE
Armando Luisi
Coordinatore Tavolo Inclusione
Ogni uomo è colpevole di tutto il bene
che non ha fatto.
Voltaire
Conoscere - Comprendere - Migliorare
Il Tavolo Inclusione, fin dalla sua costituzione, ha operato in stretta correlazione
con i contesti di vita in esso rappresentati. Le pratiche inclusive sono state il focus
del confronto e delle analisi, con il duplice scopo di promuovere la conoscenza e
la diffusione delle buone pratiche e di offrire spunti per attivare azioni di miglioramento delle pratiche in atto.
L’itinerario metodologico prescelto è molto vicino a quello della ricerca azione,
caratterizzato dalla nota espressione “prassi - teoria - prassi”. La ricerca azione si
propone di partire dalle pratiche in atto (fondate comunque su corredi teorici,
anche spontanei, su convinzioni, credenze, conoscenze e competenze), per revisionarle alla luce di nuove conoscenze, credenze e competenze acquisite mediante ulteriori percorsi formativi formali o informali. Per il cambiamento di una pratica
non è sufficiente sostituire un fare con un altro fare, occorre la messa in discussione della teoria che regge la pratica che si intende sostituire.1
Lo snodo della ricerca azione risiede, dunque, nella parte centrale della sua espressione, in quel riferimento alla teoria con il quale si considerano i saperi, formali e spontanei, che agiscono da presupposto e giustificazione per le scelte operative. Per quanto riguarda le pratiche inclusive, si presuppone che esse siano
correlate con quanto le persone interessate pensano e sanno in ordine al concetto di inclusione.
Conoscere ciò che le persone fanno è una strada per conoscere ciò che le persone conoscono in ordine al loro fare e ciò che li spinge a fare in un certo modo piuttosto che in un altro. Osservando le persone al lavoro e dialogando con esse e
con quante sono destinatarie del loro fare è possibile transitare dal costrutto di
base (inclusione) a quelli sovraordinati (che ci offrono indicazioni sui perché, sui
valori che motivano il loro modo di fare) e a quelli sottordinati, via via più specifici
e operativi (il fare concreto e minuto).2
1 K.
Popper, Congetture e confutazioni, Il Mulino, Bologna, 1975
A. Kelly, La psicologia dei costrutti personali, Raffaello Cortina Editore, Milano,
2004
2 G.
10
L’itinerario della ricerca-azione si è palesato il più rispondente alle esigenze che
via via sono emerse: il bisogno di conoscere, il desiderio di comprendere, il desiderio di migliorare i processi di inclusione.
La conoscenza degli altri e di ciò che gli altri fanno facilita l’incontro, la collaborazione, la costruzione di reti operative. La conoscenza degli altri amplia la visione
del mondo e della vita, ci aiuta a sentirci meno soli, ci fa sperimentare che alcune
cose si possono fare meglio in collaborazione con gli altri che da soli. La conoscenza aiuta a ridurre gli sprechi di risorse, a non duplicare interventi, a valorizzare le competenze, a produrre un vero lavoro interdisciplinare fondato sulla risoluzione di problemi non banali.
La comprensione si correla al rapporto empatico, ci aiuta a prendere gi altri dentro di noi, a sentire come gli altri sentono, a fare e pensare come se fossimo gli
altri. Nel gioco del come se il rapporto empatico non diventa mai identificazione
con l’altro da sé. Questo permette di mantenere il contatto con la propria identità
e di promuovere azioni di collaborazione o di aiuto, ove richiesto, in un clima di
fiducia e di reciproca affidabilità.
Il miglioramento dei processi nei quali si è impegnati costituisce uno dei risultati
desiderati di numerose attività umane, in special modo di quelle professionali
caratterizzate, da parte di chi le esercita, da un atteggiamento auto-riflessivo e
critico sul proprio modo di operare. Il miglioramento richiede la conoscenza e la
descrizione delle pratiche in atto, per individuare eventuali situazioni-problema, in
relazione agli scopi per i quali le pratiche sono state poste in essere, a cui si intende rispondere attraverso una nuova progettazione.
La dialettica bisogno - desiderio
Il bisogno di bere può spingere a cercare qualcosa da bere subito, ma può anche
essere contemperato con il desiderio di bere in buona compagnia o di bere qualcosa di particolarmente soddisfacente, se necessario, anche procrastinando di
qualche tempo la soddisfazione del bisogno stesso.
La consapevolezza del bisogno favorisce l’esperienza del limite e dei dati di realtà
che incidono sulla soddisfazione dello stesso bisogno: l’acqua è lontana? Mi trovo
in un contesto relazionale che non posso temporaneamente abbandonare? La
consapevolezza del peso delle circostanze segna il limite che ciascuno di noi incontra nello svolgimento dei suoi compiti, nell’esercizio del suo ruolo.
Un gruppo di lavoro potrebbe decidere di passare subito all’azione per soddisfare
la sete operativa. Potrebbe decidere di progettare a prescindere dalla conoscenza
dei contesti, delle persone, delle risorse (cosa che avviene di frequente, purtroppo). Potrebbe essere guidato dalla logica del bisogno che va subito soddisfatto, a
costo di qualche rinuncia. In tal modo si garantirebbe un maggior controllo della
realtà e una riduzione del rischio.
Ma il gruppo di lavoro può anche decidere di utilizzare la spinta propulsiva del
11
bisogno per guardare al futuro senza l’ansia del controllo. Può decidere di intrecciare il bisogno con il desiderio attribuendo all’ignoto e all’imprevisto una nuova
possibilità, rendendosi disponibile ad attendere il tempo necessario per fornire
nuove energie al sistema, per essere generativo di nuove opportunità piuttosto
che conservativo delle condizioni attuali.1 Questo tempo è quello che occorre per
conoscere, comprendere e progettare il miglioramento.
La decisione di impegnarsi in una ricerca, prima di passare alla progettazione e a
nuovi piani di azione è dettata dal desiderio di sperimentare al proprio interno
l’inclusività attraverso la conoscenza reciproca e di pervenire a una cultura di
base comune intorno al concetto di inclusione che sia di premessa ad un futuro
Piano di inclusione territoriale.
Gli strumenti della ricerca
La ricerca ha preso in considerazione l’inclusione dichiarata, quella realizzata e
quella percepita.
Per quanto riguarda gli aspetti dell’inclusione dichiarata, ci si è avvalsi dell’analisi
documentaria. L’oggetto di analisi sono stati i Piani Annuali di Inclusione delle
istituzioni scolastiche di San Lazzaro. Si è costituito un piccolo gruppo di lavoro
che ha esaminato i Piani, senza alcun intento valutativo, ma con lo scopo di metterne in luce i connotati strutturali.
Un elemento di criticità del lavoro del sottogruppo è stato rappresentato dalla
costituzione di due istituti comprensivi che hanno assorbito le due direzioni didattiche e la scuola media. Si sono costituite due nuove entità che, per la loro giovane vita, non avevano ancora pronto il Piano Annuale di Inclusione. Si è deciso,
quindi, di fare riferimento ai piano delle istituzioni preesistenti all’accorpamento.
I tratti dell’inclusione realizzata (l’agito) sono stati esplorati attraverso specifici
focus group con gli insegnanti e con interviste a rappresentanti
dell’Amministrazione comunale e dell’ASL di San Lazzaro di Savena. A i docenti è
stato chiesto di confrontarsi sulla loro idea di inclusione, su quanto essi ritengono
La nostra ricerca si propone come stimolo per l’ATTIVAZIONE di processi di
miglioramento a livello di ciascuna istituzione coinvolta e nelle modalità di
collaborazione fra istituzioni.
NON ha l’obiettivo di confrontare i dati rilevati con un modello, per esprimere valutazioni di congruità rispetto al modello.
Sarà responsabilità di ciascuno (singola persona oppure organizzazione)
decidere quale uso fare delle informazioni.
1 S.
Gheno, L’uso della forza – Il self empowerment nel lavoro psicosociale e comunitario, McGraw-Hill, Milano, 2005
12
significativo di ciò che viene realizzato nelle loro scuole e sui loro vissuti in merito
ai processi di inclusione nei quali sono coinvolti.
Anche le percezioni degli utenti sono state indagate con la tecnica del focus
group. I gruppi di discussione, organizzati distintamente per genitori e per studenti, hanno esplorato sia i personali punti di vista relativi al concetto di inclusione,
sia le percezioni in ordine ai processi di inclusione fruiti direttamente (studenti) o
indirettamente (genitori). Va precisato che i focus per studenti si sono svolti solo
nelle due scuole secondarie di secondo grado di San Lazzaro di Savena.
I soggetti fornitori di informazioni
Sono stati direttamente coinvolti nelle rilevazioni:
 insegnanti, genitori e studenti degli istituti scolastici: Comprensivo 1, Istituto
Comprensivo 2, IIS “E.Mattei” e IIS E. Majorana”;
 responsabili dell’Istituzione Sophia e del Settore Integrazione sociale dei minori del Comune di San Lazzaro di Savena;
 responsabili del Servizio sociale Minori e dell’Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile dell’ASL di San Lazzaro di Savena.
Per individuare i partecipanti al focus non si sono utilizzati criteri statistici di rappresentatività. I punti di vista che si desiderava mettere a confronto sarebbero
potuti derivare da una diretta esperienza nella gestione di un bisogno speciale o
da una conoscenza diretta, da un sentito dire, dalla lettura di un documento programmatico della scuola o dal confronto formale o informale, a scuola o fuori .
Focus effettuati: 10 (4 docenti; 4 genitori; 2 studenti).
Partecipanti ai focus: 30 genitori; 47 docenti e 16 studenti.
Interviste effettuate: 4 (2 Comune e 2 ASL)
PAI esaminati: 3
Le forze in campo
I ricercatori coinvolti hanno partecipato ad un apposita sessione formativa sulla
tecnica del focus group.
A tutti sono stati forniti i materiali informativi e i protocolli per meglio gestire il
proprio ruolo di conduttore o di osservatore.
Ricercatori coinvolti
Focus
Interviste
Analisi PAI
12
3
5
La pratica del focus group ha anche una funzione generativa di nuove idee e
di nuove alternative.
Essa pone le premesse per un ampliamento del senso di potere individuale
e di gruppo.
13
I DATI RILEVATI
1. L’analisi dei PAI
Per l’analisi dei Piani Annuali di Inclusione (PAI) si è utilizzata la tecnica
dell’analisi del contenuto la quale prevede che si definisca una “serie di categorie
esaustive ed esclusive che possono essere usate per analizzare i documenti” e
successivamente si registri “la frequenza con cui si osserva ciascuna di tali categorie nei documenti studiati”.1 Le stesse categorie per l’analisi del contenuto non
sono derivate dalla teoria ma sono state create esaminando i PAI disponibili.
Si è così messo a punto uno strumento sul quale registrare le categorie, le unità
di analisi e le frequenze.
I dati rilevati sono stati organizzati per insiemi di categorie che abbiamo denominato: parti in causa, valori, capacità/strategie, convinzioni, conoscenze, comportamenti. Riportiamo di seguito le frequenze linguistiche per alcune categorie appartenenti ai suddetti insiemi.
Parti in causa - le alte frequenze relative a studenti e specialisti ASL potrebbero
segnalare il peso che per i processi di inclusione viene attribuito all’intervento (di
supporto alla scuola) degli specialisti dell’ASL e alle caratteristiche e/o alla collaborazione degli studenti.
Frequenze:
Comune
Studenti
3
12
Insegnanti
Specialisti ASL
5
22
Valori - l’alta frequenza registrata da inclusione appare tautologica e giustificata
dalla natura stessa del documento esaminato. Sono da segnalare i valori della
corresponsabilità, dell’accoglienza, della valorizzazione che potrebbero essere
considerate le spinte principali che orientano i processi di inclusione.
Frequenze:
Responsabilità
Condivisione
Personalizzazione
Valorizzazione
3
4
14
20
Confronto
Corresponsabilità
Accoglienza
Inclusione
3
10
16
52
Capacità - Stategie (che si reputano necessarie per attivare processi di inclusione) - È interessante notare che il gruppo e la cooperazione rappresentano strategie didattiche molto citate. Altrettanto significativo è il valore attribuito
all’apprendimento: l’inclusione non prescinde dal diritto all’apprendimento e dal
dovere di garantirlo, mediante la necessaria attenzione e con una ragionevole e
sensata progettazione.
1
K.D. Bailey, Metodi della ricerca sociale, Il Mulino, Bologna, 1995
14
Frequenze:
Ascolto
Attenzione
Apprendimento
2
15
27
Cooperazione e gruppo
Progetto
10
24
Convinzioni - Sembra diffusa la convinzione che occorra partire dai bisogni e dalle
difficoltà che gli studenti manifestano. Le convinzioni sono delle ipergeneralizzazioni dell’esperienza che influenzano pesantemente i comportamenti. Le convinzioni sull’importanza della formazione, a partire dai punti di forza degli studenti,
sono precondizioni favorevoli per l’organizzazione di processi di sostegno e di
inclusione miranti a coltivare negli alunni la convinzione di autoefficacia.
Frequenze:
Autoefficacia
Punti di forza
Sostegno
Bisogni
2
7
50
69
Livello
Formazione
Difficoltà/Disabilità
7
34
53
Conoscenze - Un dato rilevante, emerso anche mediante i focus group, è il desiderio di conoscere e di essere competente (o di poter collaborare con coloro che
possiedono le competenze per far fronte alle difficoltà quotidiane). In particolare,
va segnalato il desiderio di essere informati sulle difficoltà e sugli eventuali disturbi che sono alla base degli speciali bisogni degli studenti.
Frequenze:
Competenza
18
Distubi / Deficit
39
Comportamenti (che cosa fare o si fa) - Le buone pratiche sono citate come aspirazione e come ispirazione. Importante il ruolo assegnato alla didattica e alla mediazione didattica, per la strutturazione della relazione insegnante-alunno e fra gli
alunni. Le difficoltà sono segnalate sia in termini di consapevolezza della criticità
del ruolo dell’insegnante che organizza la didattica, sia per porre in evidenza
l’esigenza che è la didattica a doversi far carico delle difficoltà che gli alunni manifestano.
Frequenze:
Buone pratiche
Didattica
4
32
Mediazione
Difficoltà
7
68
Le considerazioni che seguono sono frutto delle informazioni rilevate indirettamente dalla lettura dei PAI e dai focus, oltre che dalle discussioni durante le riunioni del Tavolo Inclusione.
Compilazione - Approvazione
Il PAI è compilato e reso pubblico per effetto di un dettato normativo. Esso risponde, nella percezione di molti insegnanti, più ad un’esigenza burocratica che funzionale e rappresenta un adempimento che sottrae tempo alla didattica. Questo
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porta a semplificare il processo di elaborazione e di approvazione: in genere è un
insegnante che si incarica di metterlo a punto (caso mai coadiuvato da un piccolo
gruppo di colleghi). Il collegio poi si limita ad approvarlo, pur senza averne approfondita conoscenza.
Struttura
Come spesso accade con i documenti imposti da un atto normativo, si tende a
utilizzare un modello standard, seppure con alcuni adattamenti locali. Questo fa sì
che il PAI possa essere compilato nella sua essenzialità, con i dati sintetici e con
qualche accenno agli interventi, oppure che si possano rilevare dati analitici e
dettagliate informazioni relative ai diversi interventi che si pensa di attivare. La
situazione è molto disomogenea e risente anche del processo di fusione delle
scuole medie e delle direzioni didattiche per dar luogo ai due istituti comprensivi.
Pubblicizzazione - Condivisione
I PAI sono resi pubblici e inviati, fra l’altro, all’Ufficio Scolastico Regionale. I genitori intervistati, però, dichiarano di non esserne a conoscenza. Le scuole, che già
sono impegnate nella sottoscrizione del patto educativo di corresponsabilità, si
trovano a dover gestire un processo di condivisione parallelo, con dispendio di
energie e con l’esigenza di garantire coerenza alle diverse forme di progettazione
che necessitano di essere condivise con le famiglie. Un elemento di criticità è
rappresentato dall’adempimento annuale di questa pianificazione che dovrebbe
trovare una sua attenuazione per effetto di quanto dispone la legge 107 recentemente approvata (POF con valore triennale).
Riservatezza e privacy
Il documento potrebbe contenere dati dai quali sarebbe possibile risalire alle classi e a singoli studenti. Questo porta alcune scuole ad utilizzare dati aggregati. Non
sembra esserci un orientamento univoco e le preoccupazioni dei compilatori sembrano essere giustificate da un non chiaro contesto normativo di riferimento.
Sintesi dei soggetti coinvolti e degli strumenti utilizzati.
Scuola
Comune
Insegnanti
Genitori
Studenti
- Sophia
- Settore Integrazione
Sociale Minori
Focus group
Focus group
Focus group
Analisi PAI
16
Intervista
ASL
- Servizio Sociale Minori
- UONPI
Intervista
2. Le interviste
Nessuna ricerca è indenne dai rischi della selezione e della cancellazione. Non lo
è il nostro piccolo tentativo di riportare in poche righe la ricchezza di informazioni
raccolte con quattro interviste a professionisti dei servizi comunali e dell’ASL di
San Lazzaro di Savena. Vi saranno altre sedi nelle quali si potrà prendere visione
delle interviste nella loro interezza. Ciò che si vuole qui mettere in evidenza è, da
una parte, gli aspetti caratterizzanti di ciascun servizio e, dall’altra, gli eventuali
tratti comuni o i possibili aspetti di criticità e/o di integrazione.
Le interviste avevano lo scopo di porre in evidenza ciò che ciascun servizio organizza per supportare i processi di inclusione nella scuola e nella vita, le risorse
messe in campo, le buone pratiche riconosciute e gli aspetti di criticità con i connessi possibili ambiti di miglioramento. Come accade in tutte le dimensioni relazionali, anche le interviste mettono in evidenza visioni della vita, valori, convinzioni, credenze, conoscenze che danno senso alle azioni, ai comportamenti, alle risorse investite e rappresentano il valore aggiunto rispetto ai dati mai del tutto
sufficienti a spiegare l’evolversi di fenomeni sociali e umani.
Aspetti caratterizzanti
Comune di San Lazzaro di Savena
Il Comune organizza e gestisce servizi con sue strutture interne (settore Integrazione sociale dei minori-, 5ª Area del Comune “Welfare e Città Metropolitana” –
responsabile Piera Carlini) e con l’Istituzione Sophia (direttrice Anna Giordano).
Il settore Integrazione sociale dei minori –ISM
Il settore ISM sostiene i percorsi scolastici anche organizzando, per alcuni studenti, esperienze di vita nel territorio attraverso le quali sviluppare l’autonomia nello
studio e una serie di capacità più generali quali la l’organizzazione del proprio
tempo, il confronto con gli altri, lo svolgimento di attività ricreative e ludiche. Tali
attività, “accompagnate”, nella loro fase iniziale, da educatori specializzati possono prevedere, per esempio, incontri individuali in parrocchia, inserimento in gruppi di scout, esperienze di organizzazione del proprio tempo. Si vuole coniugare
scuola e territorio in modo che le esperienze che vi si vivono siano reciprocamente utili e che insieme siano tutte utili per la vita.
I centri di aggregazione giovanile, alla Pulce e alla Ponticella, sono rivolti a ragazzi
e ragazze della scuola media, ma vi accedono anche ragazzi del primo biennio
delle scuole superiori, soprattutto per il sostegno nello svolgimento dei compiti.
Le buone pratiche riconosciute:
1. la
Rete con tutte le realtà del privato sociale. Si tratta di una rete informale
costruita nel corso degli anni, anche mediante specifiche iniziative volte a facilitare la condivisione di obiettivi, la conoscenza reciproca e lo sviluppo di sentimenti di fiducia e di stima;
17
2. gli incontri individuali con ragazzi (tutoraggio) previsti su loro richiesta
nei cen-
tri di aggregazione giovanile;
3. Habilandia – Qui si organizza il gruppo compiti, anche con educatori e volontari
iscritti all’albo del volontariato singolo;
4. la sperimentazione, con l’Associazione Zinella, di interventi a favore di alunni
con DSA (limitatamente alla discalculia).
Istituzione Sophia
Sofia segue direttamente le situazioni di disagio e i bisogni educativi nel nido e
nella scuola dell’infanzia comunale. Quando si evidenziano problemi si coinvolge
la famiglia e si prevede, dove necessario, l’intervento dei servizi dell’ASL. Se la
situazione lo richiede si possono assegnare risorse aggiuntive a supporto della
sezione, anche in assenza di certificazione o segnalazione da parte dei servizi
sanitari o preliminarmente alla loro decisione.
Per quanto riguarda le altre scuole, il compito di Sofia è organizzare i servizi per la
generalità degli alunni: refezione, trasporto scolastico, centri estivi, progetti di
qualificazione per l’infanzia, pre-inter e post scuola, contributi relativi al diritto allo
studio, contributi per attività organizzate dalle scuole ... Si tratta di servizi regolamentati che prevedono criteri di flessibilità per l’adesione, per la gestione e per la
partecipazione economica da parte delle famiglie (commisurata al reddito famigliare certificato con il modello ISEE). Ne sono un esempio le 200 diete speciali
per esigenze di salute o per orientamenti religiosi e culturali.
I criteri ai quali i servizi rispondono, pur nel rispetto delle norme, sono:
- flessibilità (non sempre tutti i bisogni si riescono a conoscere in anticipo);
- generalità (tutti devono poter accedere ai servizi);
- accoglienza di esigenze specifiche (risposta a particolari bisogni).
Per la gestione dei casi particolari si collabora anche con il servizio minori.
ASL
Dell’ASL sono stai coinvolti nella rilevazione l’Unità Operativa di Neuropsichiatria
Infantile (dott.ssa Paola Bianchi e dott.ssa Paola Marinoni ) e il Servizio Sociale
Minori (dott. Alberto Mingarelli).
Neuropsichiatria Infantile
La conversazione si incentra soprattutto sull’iter della certificazione dei DSA. Le
diagnosi partono dalla terza elementare in su. In genere occorrono 90 giorni per
una prima visita e avviare la pressa in carico. I genitori contattano il servizio e
lasciano un messaggio in segreteria. Vengono poi richiamati per una prima valutazione, prima visita, nel corso della quale viene presa in esame la storia scolastica
dello studente, si valuta che non ci sia un ritardo mentale, che non siano presenti
tratti psicotici.
La valutazione delle problematiche sia da un punto di vista clinico sia riabilitativo
18
viene effettuata presso il Centro Regionale Disabilità Cognitive e Linguistiche Corte Roncati (CeReDiLiCo), parte del Dipartimento di Salute Mentale, Via Sant’Isaia,
90, Bologna. La diagnosi comprende la valutazione di scrittura, lettura, calcolo e
la refertazione con parametri.
I genitori possono anche fare effettuare la diagnosi da specialisti privati. In questo
caso, la documentazione della diagnosi segue un protocollo e viene sottoposta
alla commissione di convalida del CeReDiLiCo.
L’esito della commissione viene comunicato in forma scritta alla famiglia che lo
trasmette alla scuola.
La linea d’indirizzo è quella di effettuare una rivalutazione ad ogni passaggio di
ordine scolastico.
Cosa supporta l’inclusione: aspetti legati alle buone pratiche
La restituzione della diagnosi alla famiglia insieme al figlio/a attiva i ragazzi e
migliora il loro livello di consapevolezza.
Convinzioni
 Considerare prioritario lo spazio dedicato all’ascolto piuttosto che alla lettura.
Gli studenti possono registrare e riascoltare.
 Sfatare l’idea che sostenere un’interrogazione con le mappe equivalga ad avere una facilitazione per chi non ha studiato. Anche per usare correttamente
una mappa occorre una rielaborazione che richiede applicazione e impegno.
 Le modalità didattiche che vengono adottate per gli studenti con diagnosi di
DSA sono funzionali per il 99% degli studenti. Esse faciliterebbero i processi di
apprendimento e permetterebbero di superare stereotipi e pregiudizi nei confronti di chi viene “diagnosticato” come diversamente abile all’apprendimento.
Servizio Sociale Minori
L’attività del Servizio Sociale Minori tende alla prevenzione del disagio sociale,
favorendo la crescita del minore in un ambiente familiare idoneo per il suo sviluppo psico-fisico. É altresì suo compito contribuire a rimuovere o, quantomeno, ridurre le cause di disagio che compromettono lo sviluppo equilibrato del minore e
delle sue potenzialità personali e sociali.
Gli interventi messi in atto hanno l'obiettivo di aiutare singoli genitori e famiglie a
superare fasi critiche della propria vita che ne compromettono temporaneamente
le capacità genitoriali; sostengono i minori nello sviluppo delle capacità e delle
loro relazioni familiari ed extrafamiliari; incoraggiano la più soddisfacente inclusione sociale. In particolare prevenire, attenuare e, quando possibile, rimuovere il
disagio per contrasti familiari, per problemi educativo-relazionali genitori-figli e per
difficoltà di natura economica.
Il Servizio Sociale Minori può attivare, con strumenti propri, interventi di mediazione familiare, di sostegno psicopedagogico, di sostegno extrafamiliare attraverso
la collaborazione con nuclei familiari volontari disponibili ad offrire anche per po-
19
che ore alla settimana un sostegno educativo al minore in difficoltà per
l’espletamento positivo di alcuni compiti di sviluppo. In alcuni casi si rivela necessaria l’attivazione di specifici interventi educativi individuali o di gruppo orientati a
consentire al minore maggior capacità sociale ed apprendimento mediato di abilità socio-relazionali e di comunicazione di cui sia risultato deficitario. Contemporaneamente si cerca di rendere maggiormente abili i genitori a svolgere questa funzione in famiglia.
Possono prevedersi interventi mirati di sostegno socioeconomico al fine di ridurre
il rischio di emarginazione sociale e povertà estrema per la perdita di lavoro di
uno o entrambi i genitori: a questo proposito il servizio offre ampio sostegno
all’inclusione lavorativa.
Buone pratiche - interventi attivabili:
- sostegno economico;
- sostegno domiciliare di tipo assistenziale ed educativo;
- interventi socio-educativi territoriali
rivolti a preadolescenti ed adolescenti
in situazione di rischio sociale o conclamata devianza;
- Mediazione Familiare;
- intervento di istruttori, anche in esecuzione di disposizione dell’Autorità Giudiziaria;
- affiancamento delle famiglie negli
impegni e responsabilità di cura dei
figli;
- interventi semiresidenziali e residenziali: comunità educativa, casafamiglia, affidi familiari,
- interventi a carattere di emergenza
assistenziale per minori e donne con
figli;
- counselling di sostegno genitoriale.
I focus group - Analisi SWOT
Nelle prossime pagine utilizzeremo la matrice SWOT per sintetizzare i focus
group effettuati. Lo SWOT è uno strumento utile per valutare i fattori interni,
rappresentati come punti di forza (Strengths) e di debolezza (Weaknesses), e i
fattori esterni espressi come opportunità (Opportunities) e minacce (Threats) di
un dato contesto organizzativo, qualora si abbia intenzione di conseguire un
determinato stato desiderato esprimibile in termini di obiettivi di miglioramento.
Le istituzioni coinvolte nella nostra rilevazione possono decidere di utilizzare la
matrice qualora abbiano intenzione di definire un progetto di miglioramento,
anche in correlazione con quanto dichiarato nel RAV (Rapporto di Autovalutazione).
Definito lo stato desiderato e costruito l’obiettivo di miglioramento, potrà essere
possibile individuare i punti di forza interni utili per il raggiungimento
dell’obiettivo, le debolezze che potrebbero ostacolarlo, i fattori esterni da acquisire come risorse e quelli che potrebbero rappresentare minacce e produrre
danni.
Le azioni di miglioramento possono prevedere come valorizzare pienamente i
punti di forza, trasformare le debolezze in opportunità, far buon uso delle opportunità esterne, neutralizzare o ridurre le minacce esterne.
20
Focus group genitori 1
Nel corso dei colloqui sono emerse numerose definizioni di inclusione e i presenti
si sono espressi anche in merito ai comportamenti che, a loro parere, potrebbero
essere più efficaci per promuovere inclusione.
Fra le espressioni più significative, si riportano le seguenti:
 inclusione è attenzione a tutti i bisogni, anche alle storie di vita;
 inclusione è partecipazione;
 includere significa completare, riconoscersi.
Secondo l’esplicito punto di vista di molti genitori, i processi inclusivi devono coinvolgere prima di tutto le famiglie. Nelle scuole, al di là di quanto si legge nei documenti di programmazione, tali processi sono strettamente dipendenti dalla qualità
della relazione che gli insegnanti strutturano con i loro studenti. È la didattica,
secondo i genitori, la cartina di tornasole di una scuola inclusiva.
Fattori
Interni
Punti di forza (Strengths)
Punti di debolezza (Weaknesses)
I ragazzi come risorsa: l’energia
dei ragazzi negli open day e nei
momenti di accoglienza.
Dirigenza: ascolto fattivo, far convergere il personale su un’idea
condivisa di inclusione come
valore.
La formazione (comunicare la
diversità da non stigmatizzare,
bensì valorizzata): i componenti
della comunità educante diventano più inclusivi se sono più informati (corsi di formazione per docenti, dibattito tra genitori tramite
azione Comitato Genitori, peer
education tra i ragazzi).
Corresponsbilità comunità .
Inclusione: forte alla scuola
dell’infanzia, per il coinvolgimento
di tutto il personale, anche ausiliario.
Suggerimenti: supporto da referente DSA; sportello AID nella
scuola, counsellor, didattica inclusiva.
Processo: non basta avviarlo, va seguito e monitorato, bisogna trovare i
catalizzatori per implementarlo
(incentivi economici per i docenti?).
Matura consapevolezza della deontologia professionale: approntare e
condividere metodologie didattiche
per individualizzare l’insegnamento.
Far rientrare nella valutazione del
docente anche questa capacità, che
fa maturare skills nei ragazzi (da
valutare a loro volta? ).
Formazione docenti: non tutti hanno
l’esperienza e l’informazione necessaria per gestire il DSA; la formazione
è stata erogata, occorre una verifica;
passare del tempo per entrare nella
pratica didattica.
Comunicazione: da migliorare. Non è
noto ai genitori se i docenti sono in
formazione; PDP e consapevolezza
diritti ; materiali sul sito per combattere la disinformazione.
Opportunità (Opportunities) Esterni
1 Per le analisi SWOT siamo debitori alla professoressa Linda Laghi la quale ha curato in particolare la sintesi dei focus con i genitori.
21
Fattori
Interni
Punti di forza (Strengths) Punti di debolezza
(Weaknesses) Riorientamento = esclusione, mentre, se si recuperasse la fiducia
nell’insegnante come professionista in grado anche di consigliare,
farebbe parte di una sinergia per
costruire il progetto di vita.
Mimetismo: a volte i ragazzi rinunciano a fruire di un diritto per non
essere diversi dai compagni. Alcuni
docenti ritengono negativo comunicare caratteristiche e necessità
legate al DSA, ma mettono in campo azioni di sostegno incomprensibili ai compagni, determinandone
l’ostilità, o le estendono a tutti (più
efficace).
Richiesta di aiuto da parte dei genitori, incongruente con la bassa
partecipazione ai momenti di
informazione/aggregazione proposti da comitato genitori.
Ascolto: in senso biunivoco (chi
meno competente nell’interpretare
il bisogno, aiutato), se no esperienze positive o negative solo legate
alla personalità del docente.
Valutazione: bisognerebbe togliere
l’enfasi sul voto. I docenti dovrebbero trasmettere l’amore per la materia, ma i ragazzi stessi tengono al
voto e sono talvolta aggressivi o
polemici con i docenti anche quando il risultato è medio-alto.
Organizzazione: la non continuità è
un problema (avvicendamento negli
anni di docenti che criticano i metodi dei colleghi precedenti; non erogazione del corso ).
Relazione: docenti non dimostrano sensibilità e attenzione al tema e non sono preparati né dal
punto di vista didattico né da
quello relazionale; non sanno
accogliere l’aspetto emotivo della
famiglia preoccupata, frustrata,
disorientata, rispetto alle situazioni specifiche.
Empatia: manca; solitudine e impotenza del genitore del ragazzo straniero che non parla bene italiano ed
è escluso.
Minacce (Threats) Esterni
Focus group insegnanti 1
Quarantasette docenti delle scuole di San Lazzaro hanno colto questa occasione
di confronto e di scambio di conoscenze ed esperienze per mettere a fuoco il patrimonio delle pratiche inclusive poste in essere dai vari istituti di appartenenza.
Emerge un’idea di inclusione ispirata ai valori dell’accoglienza, della valorizzazione e del rispetto dell’identità di ciascuno, della partecipazione attiva ai processi
decisionali.
Nel panorama scolastico sanlazzarese, tre sono le leve fondamentali su cui agire
e dalle quali trarre forza: la Comunità professionale e culturale dei docenti, la Famiglia, la Rete delle scuole e dei servizi.
Riportiamo negli schemi alle pagine 23 e 24 una breve sintesi dei punti evidenziati nei tavoli di discussione.
I contributi emersi dai Focus Group tracciano l’orizzonte di riferimento per delinea1
La sintesi dei focus con gli insegnanti è stata curata dall’insegnante Celsa Gualandi.
22
Punti di forza
Punti di debolezza
La comunità professionale come espressione
di
cultura
radicata
nell’integrazione.
L’insegnante come forte figura di riferimento: al centro c’è l’impegno personale
del docente nell’affrontare situazioni
difficili, per cercare di capire che cosa vi
sia dietro e per tentare strategie efficaci
di intervento. La prima pratica inclusiva è
nell’atteggiamento dell’insegnante che
fissa regole per dare confini.
Confronto tra colleghi come possibilità di
strutturare un’interdipendenza soggettiva: l’educazione e la formazione di bambine, bambini e ragazze/i diventano una
forma di corresponsabilità professionale
(importanza dei team docenti e del Consiglio di Classe)
Attenzione al singolo come leva per accogliere tutte le diverse identità.
Gruppo, valore e risorsa per tutti: promuovere la peer education come pratica
diffusa.
Progetti atti limitare gli effetti negativi
della dispersione scolastica.
Uso delle tecnologie (LIM, TABLET, …)
La presenza e la disponibilità di un bravo
coordinatore che supporta ed è capace di
porsi con autorevolezza (saper dire anche
dei NO): è di aiuto.
Classi o sezioni troppo numerose: più
complesso strutturare lo spazio in
modo flessibile e gestire il lavoro di
gruppo
Rischio dell’analfabetismo di ritorno:
alunni stranieri, ancora da alfabetizzare, da inserire nelle classi avanzate.
Rischio di dispersione scolastica per
fasce deboli (Alunni stranieri e Nomadi)
Carenza di spazi adeguati per attività
laboratoriali.
Fiducia presenza/assenza: passare
da un approccio emotivo ad uno cognitivo, per strutturare forme di corresponsabilità tra famiglia e scuola
(accettare il consiglio degli insegnanti: fiducia; aumentare la trasparenza:
talvolta la famiglia tace una segnalazione per esibirla solo quando i voti
peggiorano).
Pregiudizi e convinzioni personali.
Rischio di eccesso di deroga: attivare
mezzi e tempi personalizzati, ma senza derogare dal giungere alla padronanza delle stesse conoscenze e
competenze dei compagni (INVALSI,
test ingresso università).
re scenari futuri: tanto gli aspetti di qualità, quanto quelli critici si prestano ad una
lettura prospettica in chiave positiva. Considerare il sistema scuola caratterizzato
da un progetto formativo di lungo respiro, tale da accompagnare la crescita del
bambino fino alla “maturità”, può costituire il traguardo finale del Piano Territoriale d’Inclusione: un sistema scuola dove nessuno è lasciato indietro.
Una bella sfida. Da dove cominciare?
Prima di tutto dalla formazione: investire su questo settore può costituire un imprescindibile fattore strategico, per implementare le conoscenze didattiche e specialistiche degli insegnanti.
Altra tappa fondamentale: il dialogo e lo scambio di esperienze tra i docenti dei
23
Opportunità Minacce/Vincoli L’alleanza con le famiglie: leva
per favorire relazioni solidali
(mutuo aiuto; forme di tutorato
compiti condivisi)
L’importanza della rete di
scuole e di servizi: orizzonte di
riferimento per pianificare
interventi efficaci e reperire,
anche dall’esterno, risorse. Il
Comune potrebbe farsi carico
di mettere in pista educatori
aggiuntivi professionali da
poter “spalmare” su più classi.
Necessità di formazione puntuale e specialistica per non
essere lasciati soli: ampliare
padronanza e conoscenza di
metodologie didattiche per
diversi stili di apprendimento,
strategie di studio e gestione
delle difficoltà che insorgono
durante il percorso; confronto
con specialisti.
Difficoltà da parte di alcune famiglie ad accettare
di essere inviate ad un approfondimento diagnostico.
Attribuzione dell’insuccesso scolastico a fattori
esterni: la famiglia pensa che forse non tutti gli
strumenti siano stati utilizzati e che la responsabilità sia del docente.
Solitudine dei bambini (Scuola Primaria).
Ansia e solitudine del docente: i docenti si sentono
più padroni delle strategie compensative/
dispensative per DSA mentre avvertono come minaccia l’indeterminatezza normativa e la complessità dei quadri diagnostici per BES (come fare a far
raggiungere a tutti gli stessi traguardi minimi?);
poca coesione e condivisione dei principi
dell’inclusione tra colleghi.
Grande carico di lavoro: le istituzioni non si rendono conto che nella scuola ci sono già tanti alunni
con DSA?
Studenti segnalati con BES che se ne approfittano.
Non si condivide l’adozione di alcuni strumenti
compensativi (es. Mappe concettuali). Rischio di
eccessiva medicalizzazione: il docente deve rimanere il regista.
La variabile tempo: le interrogazioni sono più lunghe; la classe si distrae e si tolgono opportunità ai
ragazzi più dotati, togliendo tempo a loro.
vari ordini e gradi di scuola, per allargare la comunità professionale e alimentare
la società della conoscenza.
Il Collegio Docenti può essere investito dell’arduo compito di promuovere e attivare percorsi di ricerca-azione: una possibilità per distinguere ciò che funziona autenticamente da ciò che ognuno di noi pensa che funzioni.
La Rete come opportunità per creare rapporti solidali e reperire risorse per tutti.
Infine la Comunità educante, costituita da Famiglia, Scuola e Territorio, può attivare azioni sinergiche per sostenere la crescita di bambine, bambini e ragazzi/e: le
future generazioni, se avranno sviluppato, coerentemente con i principi costituzionali e l’etica della solidarietà, forme di cittadinanza attiva, saranno capaci di creare Comunità accoglienti.
24
Focus group studenti
La seguente analisi SWOT è riferita ai focus group degli studenti dell’IIS “E. Majorana” e IIS “E.Mattei”.
La sintesi SWOT è stata possibile grazie al contributo dell’insegnante Linda Laghi
e della dott.ssa Piera Carlini che hanno supportato gli studenti, rispettivamente,
dell’ IIS “E.Mattei” e dell’IIS “E. Majorana”.
Il loro contributo si è reso necessario anche in considerazione del concomitante
impegno degli studenti nelle verifiche previste nelle rispettive classi negli ultimi
due mesi dell’anno scolastico.
Alcuni studenti ritengono che l'inclusione debba avvenire innanzitutto fuori dalla
Scuola. Le richieste del mondo esterno sono alla base dei condizionamenti ai
quali si sentono sottoposti. A scuola dicono di sentirsi condizionati da un’ottica
prestazionale “siamo condizionati dalle prestazioni scolastiche da raggiungere e
lavoriamo individualmente senza dare importanza al gruppo“. L’eccessiva centratura sui giudizi e sulla valutazione porterebbe a trascurare l’incontro accogliente
con l’altro e a privilegiare atteggiamenti competitivi e individualistici.
Fattori
Interni
Punti di forza (Strengths)
Punti di debolezza (Weaknesses)
I ragazzi come risorsa l’energia dei ragazzi impegnati
in diverse iniziative: open day,
accoglienza classi prime, continuità medie inferiori, assemblea di istituto sull’inclusione, lavori Tavolo Inclusione Comune di
San Lazzaro.
La formazione (comunicare la
diversità): i componenti della
comunità educante diventano
più inclusivi se sono più informati (corsi di formazione per
docenti, dibattito tra genitori
tramite azione Comitato Genitori, peer education tra i ragazzi).
Comincia ad entrare nel linguaggio la terminologia, inizia
l’elaborazione personale circa
cause, disturbi e soluzioni.
Aiuto: l’aiuto che mira all’autonomia
non è eccessivo né è deresponsabilizzante; se va implementata la competenza normativa ed epistemologica
delle componenti della comunità educante, non si deve ledere il diritto alla
privacy delle persone con BES: il rischio di discriminazione ingenerato
dal dubbio di illecito aiuto si trasforma
in opportunità, se si recupera fiducia
nei docenti cui compete l’elaborazione
del PDP sulla base di una diagnosi e
la sua applicazione.
Aumentare la resilienza della classe
attuando un didattica inclusiva per
tutti (interrogazioni programmate non
solo per ragazzi con BES) e fotografando nella valutazione curricolare,
oltre a saperi e competenze, anche
skills come essere empatici e fungere
da tutor.
Opportunità (Opportunities) Esterni
25
Fattori
Interni
Punti di forza (Strengths) Punti di debolezza (Weaknesses) Inclusione: se il microsistema
classe non è accogliente, il
mesosistema1 Istituto può esserlo. Rispetto e assenza di giudizio
si ottengono se i ragazzi della
scuola si appropriano
dell’inclusione.
Futuro:
e sul lavoro? E
all’Università (progetto di continuità con Alma Mater; la
L.170/2010 o la normativa sui
BES non sono leggi-quadro come
la 104/’92; non si può prescindere dal formare per rendere autonomi).
Esclusione: tutti rischiano di sentirsi
esclusi, anche la ragazza troppo timida o chi si veste diversamente. La
violenza verbale non viene classificata “bullismo”. (Problema, fastidio,
pietà, errore sono termini emersi in
relazione alla diversità nel focus gestito dagli studenti).
Non c’è presa in carico: indifferenza
(talvolta anche da parte dei docenti,
che adottano misure compensative
che la classe percepisce come sbrigative); non interessa a molti studenti
cosa prova una persona con DSA.
Minacce (Threats) Esterni
Anche l’accento posto sullo studio individuale rappresenta un ostacolo alle azioni
cooperative e di mutuo aiuto; gli studenti pensano che i docenti dovrebbero incentivare e favorire il lavoro di gruppo.
Gli studenti sollecitano una scuola che sia occasione di vita, che permetta di conoscersi impegnandosi in contesti differenti, seppure rispettosi della missione
della scuola. A loro parere faciliterebbero i processi inclusivi, mediante la collaborazione e una maggiore conoscenza dell’altro, le uscite, i viaggi di istruzione, i
laboratori, uno studio maggiormente legato alle esperienze.
Rispetto alla conoscenza dell’altro, emergono sentimenti ambivalenti: l’esigenza
di conoscere, per superare il timore per l’altro, diverso da sé; la consapevolezza
che l’incontro con l’altro può portare a una chiusura quando si ha la sensazione
che l’altro “si approfitti” di una condizione che gli viene riconosciuta e che goda di
privilegi ingiustificati.
In conclusione, molti studenti non trascurano le loro responsabilità: desiderano
conoscere, sapere che cosa giustifica una dispensa o una compensazione, desiderano avere strumenti per distinguere una difficoltà ad apprendere da una mancata volontà di studiare, ritengono che sia possibile e auspicabile essere attori dei
processi inclusivi, come alcune delle esperienze segnalare nello SWOT testimoniano. I loro interventi sono diretti, esempio esplicito di interazione fra parte razionale e parte emotiva, di congruenza fra espressione verbale e non verbale, di autentica manifestazione di sé. Il loro modo autentico di porsi può essere utile risorsa
dalla quale partire per meglio comprenderli e per costruire percorsi formativi dotati di senso anche per loro.
1
U. Bronfenbrenner, Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino, 2002
26
PUNTI DI ATTENZIONE
Il 22 maggio 2015, nel corso di un seminario presso la Mediateca di San Lazzaro
di Savena, i conduttori dei focus group hanno presentato una prima sintesi della
loro attività di rilevazione. Grazie al loro contributo è possibile chiudere questo
breve report sintetizzando alcuni punti di attenzione che possono essere oggetto
di riflessione all’interno del Tavolo Inclusione e all’interno delle istituzioni coinvolte nella rilevazione.
1. Il bisogno di conoscenza. Conoscere aiuta a dare senso a ciò che si fa e a
non avere paura. La conoscenza dell’altro da sé è requisito essenziale per non
escludere, per non fare della differenza una minaccia dalla quale difendersi. Parliamo di una conoscenza fondata sull’ascolto non giudicante, sulla sospensione
del giudizio, su un rapporto non predatorio o teso a soddisfare morbose curiosità
di sapere dell’altro. Non è necessario fare del vicino un’etichetta (BES, DSA o disabilità che sia), non è necessario conoscere le diagnosi del nostro vicino per conoscerlo come persona… “l’essenziale è invisibile agli occhi”.
2.
La percezione della limitatezza delle risorse. Molti conflitti sono generati dalla
percezione soggettiva della limitatezza delle risorse e della loro incapacità, pertanto, di soddisfare i bisogni di tutte le parti in causa. Anche questa percezione
porta ad adottare comportamenti di difesa e di accaparramento e a non considerare che nella relazione si dispone dell’unica risorsa potenzialmente inesauribile:
l’essere umano.
3. Il senso di solitudine. Si percepisce un diffuso senso di isolamento e di fragilità, sia nei soggetti che accedono ai servizi , sia in coloro che i servizi li organizzano e li erogano. Nessun soggetto è indenne dal rischio di sentirsi inascoltato, non
compreso, solo ad affrontare le tante difficoltà dell’agire quotidiano e a far fronte
alle pressioni che provengono dall’esterno. Come diceva un insegnante, nel corso
di un focus, c’è molto da fare per divenire comunità accoglienti. C’è molto da fare
per essere comunità di pratiche, comunità professionali e comunità più ampie
all’interno delle quali tutti possano sentirsi utili e al tempo stesso protetti. La
strada dell’inclusione passa anche dall’attenzione che si pone al bisogno
dell’altro che ci è accanto (collega, studente, genitore, operatore sociale ecc.),
anche quando mostra credenze, opinioni e visioni della vita differenti dai nostri.
4.
L’individualismo. Il germe del protagonismo e dell’individualismo è connaturato all’agire umano. L’agire individuale è naturale. L’agire collegiale e cooperativo è un fatto culturale e come tale si può apprendere. Tuttavia, non è sufficiente
stare insieme per sentirsi gruppo. Come viene proposto in uno dei laboratori, vi
sono tanti modi diversi per imparare a stare insieme e a collaborare, anche modalità euristiche e ricreative che siano in grado di allentare la tensione produttivistica e performativa alle quali si è sottoposti nello svolgimento dei propri compiti.
27
5.
Il desiderio di fare rete. In antitesi al punto precedente, è stato più volte registrato il desiderio di integrare le risorse che le diverse istituzioni mettono in campo, per evitare duplicazioni e dispersioni. La collaborazione interistituzionale richiede cultura di base comune, disponibilità al lavoro interdisciplinare, sentimenti
di fiducia e capacità autoriflessiva e critica. In questa direzione potrebbe muoversi
un piano territoriale di inclusione fondato su valori essenziali fortemente condivisi
che siano garanzia di comportamenti istituzionali (e privati) orientati nella medesima direzione.
6. Il desiderio di portare a sistema le buone pratiche. Nell’ambito dei fenomeni
che caratterizzano i processi di inclusione si registrano numerose emergenze che
assorbono gran parte delle energie dei soggetti che vi sono coinvolti. Questo determina interventi di tipo emergenziale che, spesso, ripetono iter progettuali lunghi e dispendiosi, dando la sensazione di ricominciare sempre da zero. La lunga
esperienza maturata nei diversi settori interpellati giustificherebbe un investimento poderoso nella formalizzazione dei processi già positivamente sperimentati per
una loro usabilità immediata e una liberazione di risorse per far fronte a nuove e
impreviste situazioni.
7.
La relazione educativa. Come si accennava nelle pagine relative al focus con
i genitori, è diffusa la convinzione che, al di là di quello che viene scritto nei documenti di programmazione, il momento della verità sia ciò che avviene nelle aule,
quando l’insegnante è con i suoi studenti. La relazione fra insegnante e studente
e fra studenti è il primo segnale di quanto una scuola sia accogliente e inclusiva.
Qui si registrano legittime preoccupazioni dei docenti, spesso impegnati a far fronte a difficili condizioni di lavoro, per il numero alunni per classe e per la presenza
di adolescenti non sempre disponibili a interpretare il ruolo di studenti1. Ma sono
legittime anche le preoccupazioni di studenti e genitori quando segnalano di non
sentirsi accolti, ascoltati e compresi. Potrebbero esserci le condizioni, in qualche
caso, di ripensare al sistema di disciplina di istituto e di classe e al patto educativo di corresponsabilità. La scuola potrebbe interrogarsi su come preservare la
dignità di tutti i soggetti coinvolti nella relazione educativa e come alimentare il
sentimento di speranza che qualcosa di buono possa accadere e che la scuola
permetta al bene di prevalere sulle difficoltà e sulle ingiustizie. Scriveva J. Dewey,
“ … Se lo scopo che vi proponete è l’incremento dello spirito di cooperazione sociale e di vita in comune, la disciplina deve sorgere in esso e conformarvisi. …
Dall’occupazione, dal fare cose che devono produrre risultati, e dal farle in modo
sociale e cooperativo, nasce una disciplina di natura e di tipo speciale. L’intera
nostra concezione della disciplina scolastica cambia quando accogliamo questo
punto di vista”.2 Forse può valere la pena scoprire natura ed effetti della disciplina della quale parlava J. Dewey nel 1915 (un secolo fa!).
1
G.P. Charmet, Fragile e spavaldo, Ritratto dell’adolescente di oggi, Laterza, Roma-Bari, 2008
Dewey, Scuola e società, La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1970
2 J.
28
APPROFONDIMENTO
Riportiamo, di seguito, la sintesi di una serie di attività svolte presso l’IIS Mattei,
parallelamente alla partecipazione al Tavolo Inclusione e allo svolgimento della
ricerca oggetto del presente Quaderno, da parte di alcuni studenti e di una delle
loro insegnanti. Il lavoro è stato rivolto prevalentemente alle problematiche di
gestione dei disturbi specifici di apprendimento (DSA), agli aspetti relazionali interni alla classe, alla scuola e fuori dalla scuola, alla collaborazione fra scuola e
famiglia e fra scuola e specialisti sanitari. Per le sue caratteristiche sistemiche, ci
sembra una buona pratica da porre all’attenzione di un contesto più ampio, sia
per la sua auspicabile diffusione, sia per riconoscere il giusto merito agli studenti
coinvolti.
Esito della ricerca e proposte di intervento
AA. VV.
Costruire l’inclusione attraverso la formazione/informazione è l’intento del
“gruppo inclusione” del Mattei; nella tabella seguente si intende coniugare dati
emersi da focus group, questionario sui bisogni, “progetto accoglienza”, progetto
“adotta un diritto” e momenti di restituzione, come l’assemblea di istituto, in concrete proposte operative, tramite la teoria ecosistemica di Bronfenbrenner1 quale
sfondo integratore2.
Legenda dei motivi grafici: Analisi e proposte operative a livello di microsistema,
mesosistema, esosistema e macrosistema:3
1) Identificazione del disturbo
1a) A volte la famiglia non riconosce il
disturbo, lo attribuisce a pigrizia o stupidità
del ragazzo, questo causa sofferenza e
disistima in lui e tensioni in famiglia. Anche non presentare la diagnosi nel passaggio da un grado di scuola all’altro se
non al persistere di valutazioni disastrose
determina un rallentamento del progetto
didattico ad hoc.
Proposta operativa
Per legge i docenti che rilevassero la presenza di un DSA4 sono tenuti a comunicarlo alla famiglia che dovrebbe far valutare le prestazioni di lettoscrittura ad un
neuropsichiatra. Il rapporto scuola-famiglia
deve essere improntato a fiducia. Il disturbo è evolutivo non nel senso che scompare, ma evolve in manifestazioni diverse
sviluppandosi la persona.
1b) Maestri e professori possono non
riconoscere il disturbo o ricondurne gli esiti
a simulazione o incapacità.
Si deve riuscire a socializzare le buone
pratiche per uscire dalla situazione attuale
in cui la personalità o l’umanità di
quell’insegnante ha ottenuto risultati.
1c) I compagni possono notare un trattamento diverso verso uno studente da
parte del docente (scelta mimetica vs
trasparente).
Nel microclima amicale si può chiedere,
ma non si può ledere la privacy di un io in
fieri socializzando disturbi o disagi; empatia.
29
2) Accettazione del disturbo
2a) Spesso il ragazzo con DSA accoglie
con sollievo la segnalazione poiché spiega l’incongruenza tra impegno e risultato: non ha senso “approfittare” della
situazione (pretendere l’applicazione di
mezzi compensativi o dispensativi che
non nasca da un percorso mirato e condiviso) , né rinunciare ai diritti (non usare
il computer, che porterebbe al conseguimento del risultato cognitivo compensando il disturbo, per non sentirsi diverso).
Proposta operativa
La legge 170/2010 non è una legge quadro,
cioè non copre tutta l’esistenza
dell’individuo. Quindi il senso della tutela nel
percorso scolastico è quello di permettere
uno scaffholding, cioè un’impalcatura temporanea che consenta al soggetto di conoscersi e sperimentare la propria via per
arrivare a sviluppare competenze e conoscenze standard tramite percorsi e strumenti individualizzati. Per ridurre lo stigma, una
didattica inclusiva dovrebbe consentire l’uso
del computer personale a tutti gli alunni.
2b) In una scuola vissuta come un percorso ad ostacoli, alcuni compagni potrebbero considerare uno strumento
compensativo (es: mappa concettuale)
come un vantaggio, mentre è la possibilità di partire dalla stessa linea del “via”.
La classe deve essere inclusiva e resiliente,
deve cioè accogliere tutte le diversità come
un’opportunità;5 tutti possono beneficiare
delle mappe per lo studio, anche se non per
tutti è necessario o funzionale usarle in
verifica.
2c) progetto di vita e desiderata famiglie:
nel PDP si concorda un percorso mirato
ma nella scelta iniziale bisogna essere
consapevoli delle energie che il soggetto
vuole impiegare per compensare il disturbo (QI 80=difficoltà astrazione, OK
liceo?).
3) Compensazione del disturbo
Almeno obiettivi minimi per non depotenziare il valore legale del diploma. Fiducia se si
propone il riorientamento. Evitare di attribuire l’insuccesso alla scarsa applicazione del
PDP da parte dei docenti; evitare “6 politico” per quieto vivere.
3a) Il genitore vede lo sconforto del figlio
e lo iato tra sforzi e risultati, spesso affianca il figlio nello studio (senza competenze specifiche), e “contiene” momenti
di rabbia iconoclasta, percependo la
scuola come insensibile e fredda.
Decentramento della prospettiva: il docente
sa dove deve portare il discente (prove
INVALSI, test ingresso università): arrivarci
con modi diversi, ma non rinunciare ad
educare. Individualizzare la didattica, rinforzare la relazione.
3b) Lo specialista suggerisce mezzi
compensativi e dispensativi.
3c) Il docente, considerandole troppo
esaustive e decurtandole ripetutamente,
non facilita l’uso di mappe concettuali
(lunghe e faticose da preparare per i
ragazzi e necessarie a fronte del problema a carico della Memoria di Lavoro)
Arginare il rischio di medicalizzare la
didattica, che compete al docente.
Per sottoporre le mappe al docente si potrebbe utilizzare una piattaforma informatica
(elimina l’incomunicabilità tra sistemi di
produzione e lettura e tempi di contatto
fisico tra docente e discente); valutare skills
di sintesi, piuttosto che il pattern matching
legittimerebbe le mappe deontologicamente.
Proposta operativa
30
4) Creazione del clima inclusivo
Proposta operativa
4a) La formazione e l’ascolto;
Il dirigente disponibile;
studenti: alcuni disinteressati e disinformati;
genitori: alcuni confusi e disinformati;
docenti: non è facile leggere le diagnosi e impostare la didattica.
Curare la relazione
4b) Il docente deve creare una verifica ad
hoc, ma talvolta l’intervento è percepito
come banalizzato dagli studenti.(limitato a
mezz’ora in più …)
I compagni che conoscono il disturbo o
il disagio e la normativa a cui ottemperare accettano meglio.
Comitato genitori: informazione su
diritti, gruppo di ascolto per condividere carico emotivo.
Per docenti corso di formazione specifico su diagnosi a cura Asl.
Il carico di lavoro; classi poco numerose =
accorpate; presenza di più DSA e BES da
gestire in un’unica classe con verifiche
congruenti con percorso.
4c) Bullismo verbale e iconico social
network (Ask); corresponsabilità famiglie
nei comportamenti.
Se la classe non è percepita come inclusiva, l’istituto può esserlo.
La costruzione di un clima inclusivo è un processo che richiede collaborazione e
comprensione reciproca da parte di tutti i soggetti della comunità educante
(studenti, docenti, personale ATA – talvolta chiamato ad ammortizzare emozioni –
dirigente, genitori, consulenti, counsellor, Asl, Enti locali). Attraverso la ricercaazione i componenti del “Gruppo inclusione” del Mattei si sono dotati di strumenti
per “leggere” la realtà e favorire la comunicazione tra i vari soggetti e poter lavorare, superando un approccio emotivo, a livello operativo (conoscere le caratteristiche del DSA e costruire un percorso di apprendimento funzionale).
1
U. Bronfenbrenner, Ecologia dello sviluppo umano, Il Mulino, Bologna, 2002.
2
Introduzione a cura di Linda Laghi, docente di Filosofia e Scienze Umane IIS Mattei e
referente DSA/BES 2013/’15.
3
1a: Arianna Antonellini; 1b: Andrea Bariselli; 1c:Riccardo Basile (Majorana); 2a: Emma Brighenti; 2b: Sofia Cappelli; 2c: Sara Chendi; 3a: Martina Gabrieli; 3b,c: Alice
Girotti; 4a: Claudia Minarini; 4b: Lorenzo Sanna; 4c: Alessandro Torchia.
4
Indichiamo con DSA il Disturbo Specifico di Apprendimento, mentre ci riferiremo a
chi ne è caratterizzato con l’espressione “persona con DSA”.
5
Questionario bisogni: 7) La presenza di un ragazzo disabile in classe è un’opportunità,
una ricchezza; solo il 56% è d’accordo; dal focus degli studenti emergono le parole
“paura” e “pietà” verso l’handicap, mentre da una rilevazione effettuata in una IV del
LES per l’orientamento allo stage formativo, su 27 ragazzi solo 5 dichiarano di non
aver problemi a confrontarsi con la diversabilità, mentre tra le parole che ricorrono tra
quanti rifiutano vi sono: disagio, imbarazzo, paura, inadeguatezza e disinteresse. 31
PROSPETTIVE
Benedetta Simon
Assessore alla Scuola
Giorgio Archetti
Assessore al Welfare e alla Sanità
San Lazzaro di Savena
“Ci stai a cuore”, si legge in filigrana in queste pagine, citando un Maestro della
Scuola italiana, ed è un messaggio che abbraccia tutti: studenti, genitori, insegnanti, dirigenti scolastici e territorio... perché tutti coinvolti in quel processo di
inclusione che intende creare a Scuola un ambiente che risponda ai bisogni di
ciascuno e di tutti.
Negli ultimi decenni in tema di integrazione scolastica molti sono stati i passi in
avanti e tante le buone prassi messe in campo con successo anche riguardo ai
bisogni educativi speciali. Ma manca ancora qualcosa: un lavoro costruttivo e
condiviso tra i diversi attori dentro e attorno il contesto scolastico, che contribuisca alla creazione di ambienti accoglienti e favorevoli allo sviluppo e alla crescita
di ognuno.
Se le statistiche ci dicono che ogni anno il nostro Paese si posiziona tra i più colpiti dal fenomeno dell'abbandono precoce degli studi, noi vogliamo invece ribadire
con forza la Scuola che vogliamo, una Scuola di qualità, equa e “totalmente includente”.
Una Scuola che non lascia indietro nessuno, che con progettualità e azioni mirate
risponde ai differenti bisogni educativi, che favorisce il pieno sviluppo di tutte le
capacità, potenzialità e diverse abilità di ciascun studente.
Una Scuola che educa ponendo al centro il gruppo, che ricerca soluzioni e promuove benessere, una Scuola che valorizza il Territorio come risorsa per
l’apprendimento e riconosce gli apprendimenti comunque acquisiti, una Scuola
che assegna corresponsabilità educativa alla Comunità e con essa si impegna a
formare cittadini consapevoli, autonomi e responsabili, aperti al mondo e in possesso delle risorse necessarie per affrontare le sfide della vita adulta.
Qui il senso del Piano di Inclusione Territoriale obiettivo del Tavolo Inclusione voluto dall’Amministrazione sanlazzarese, un Piano che auspichiamo possa varcare i
confini comunali, che contamini ma anche si contamini nell’incontro con le diverse agenzie educative di ambito/distretto.
Quello passato è stato un anno intenso di studio e di ascolto, grazie al lavoro di
ricerca sociale che ha coinvolto tutte le scuole sanlazzaresi e del quale ora ci vengono restituiti gli esiti.
Dentro questo lavoro ci sono tante storie: sono le esperienze, i vissuti degli studenti, degli insegnanti, delle famiglie che abbiamo coinvolto e che ci hanno coinvolto; sono la vera ricchezza della Scuola ed è con loro, e con tutti gli altri che
vorranno affiancarci, che vogliamo continuare a camminare, insieme.
32