Il lavoro degli infermieri in carcere: cercare la qualità nella criticità.

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Il lavoro degli infermieri in carcere: cercare la qualità nella criticità.
Osservatorio
Il lavoro degli infermieri in carcere:
cercare la qualità nella criticità.
di Moreno Crotti Partel*
L
a lettera della collega MariaStella merita un piccolo approfondimento per delineare il contesto e le problematiche di una
realtà poco conosciuta, che coinvolge, seppur con pochi professionisti, l’intera immagine della professione.
“S
ono un’Assistente Sanitaria e opero
all’interno del carcere cittadino dal 1991 e attualmente anche nell’Istituto di Reclusione di
Verziano (dopo il passaggio della Medicina Penitenziaria dal Ministero della Giustizia al Ministero della Salute).
Leggendo “Tempo di Nursing” del settembre u.s.
ho trovato alcuni articoli sul “malato terminale”, mi ha colpito il titolo ”Nessun uomo è inutile se allevia il peso di qualcun altro”(Ghandi).
Per cui con questa mia lettera voglio dare un
personale contributo alla discussione aperta
sulle pagine del nostro giornale.
Il termine carcere deriva dall’ebraico “carcar”
uguale tumulare, luogo senza tempo, quindi che
nega la vita, ed è un evento drammatico che
produce sofferenza e sofferenti restando l’ultima
frontiera della disperazione e di drammi umani.
Molta della popolazione detenuta appartiene
agli strati sociali più deboli e più poveri, dove
dominano la scena, la tossicodipendenza e gli
extra comunitari. Gli Istituti Penitenziari stanno
vivendo situazioni drammatiche per le condizioni di sovraffollamento e di promiscuità.
La quotidianità è allarmante, piena di desolazione, di angoscia , di vuoto esistenziale ed emozionale.
Ed ecco perché, le manifestazioni psicopatologiche sono particolarmente frequenti.
Come Operatore Sanitario quotidianamente mi
trovo a contatto con la fragilità e la sofferenza,
la nostra etica professionale ci insegna che tutti
i cittadini devono ricevere la stessa assistenza
sanitaria in qualsiasi luogo siano collocati, anche dentro il carcere; e qualunque sia il proprio
status sociale di cittadino, libero o rinchiuso,
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qualunque sia la razza e fede di appartenenza.
La mia scelta lavorativa mi spinge non solo ad assistere e curare ma anche ad ascoltare i disagi, il dolore, il pentimento, i sensi di colpa e la sofferenza di
persone, che stanno faticosamente intraprendendo un
cammino di riscatto e di espiazione della propria colpa. Tentare di alleviare questo è estremamente complicato e difficile.
Talvolta cerco di dare aiuto nella risoluzione di
problemi non legati all’assistenza sanitaria ma
che visti dall’esterno possano sembrare banali,
ma in questo contesto assumono un peso diverso e questo aiuto può diventare uno spiraglio di
luce per qualcuno.
Lavorare all’interno degli Istituti Penitenziari,
mi ha portato a conoscere fragilità che altri non
comprendono, a condividere limitazioni spaziali
delle libertà individuali dei detenuti, ha inoltre
contribuito a far crescere in me una sensibilità
diversa verso una realtà e problematiche sconosciute alla comunità esterna, che spesso ignora
gli operatori della assistenza sanitaria che operano nel servizio della medicina penitenziaria.”
Mariastella Anzoni. ASV
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In Italia la sanità penitenziaria è da anni al centro
dell’attenzione, da circa due anni, le competenze
in materia sono passate dal Ministero della Giustizia al Ministero della Salute.
Le condizioni nelle carceri sono critiche, mentre
i bisogni di salute sono enormi e richiedono una
vera e propria presa in carico dei detenuti, che
oltre alle malattie comuni a tutta la popolazione,
spesso presentano stati di salute aggravati dalle
condizioni di vita legate alla reclusione.
Il vissuto di malattia e l’assistenza infermieristica sono destinate ad alterarsi nel carcere, rivestendosi di significati particolari. Un recente studio, condotto dall’Università di Toronto, Facoltà
Bloomberg di infermieristica, ha esaminato il
ruolo di 500 infermieri che lavorano nel sistema
carcerario provinciale dell’Ontario, il quale si
occupa di quasi 9.000 persone, in 30 strutture.
Nello studio, condotto da Joan Almost e Diane
Doran1, prima rassegna globale sugli infermieri che lavorano nelle strutture correzionali in
Canada, si è riscontrato che gli infermieri che
lavorano nel settore sentono di avere uno scarso controllo sulla loro pratica professionale, a
causa delle restrizioni dovute alle ragioni di sicurezza, hanno un minore accesso alle risorse e
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alle attrezzature necessarie, e un’esperienza più
elevata di stress emotivo e di tensione nella relazione col paziente.
Lo studio ha anche rilevato che, nonostante la
soddisfazione sul lavoro sia leggermente inferiore a quella degli infermieri impiegati in altri
settori, coloro che lavorano in carcere registrano
livelli di burnout inferiori, oltre che un maggiore
proposito di rimanere a fare il proprio lavoro.
La ricerca attribuisce questo aspetto al fatto che
il lavoro in carcere è molto diversificato e richiede agli infermieri di attingere ad una vasta gamma delle loro competenze.
La principale differenza tra carcere e altri settori
è che negli istituti penitenziari è importante non
solo l’assistenza sanitaria, ma anche la sicurezza, dice Linda Ogilvie, responsabile dei servizi
sanitari aziendali per il Ministero della Sicurezza della Comunità e dei servizi correzionali e
questo è un equilibrio “unico”, molto particolare. L’ambiente insomma non è favorevole alla
costruzione di una relazione terapeutica: se non
si dispone di un qualche tipo di meccanismo, che
impedisca lo stress emotivo, diventa un ambiente molto difficile in cui lavorare. Ricerche simili
sono state effettuate anche nel nostro paese cercando di rilevare la percezione del ruolo infermieristico all’interno degli Istituti di Pena e la
relazione “paziente/detenuto e infermiere”2.
Venendo al contesto italiano, il Dpcm 1° aprile
2008 (Gazzetta Ufficiale del 30 maggio 2008)
ha stabilito che i rapporti di lavoro, le risorse
finanziarie, le attrezzature e i beni strumentali
in materia di sanità penitenziaria venissero trasferiti dal Ministero della Giustizia al Servizio
Sanitario Nazionale. Il rapporto di lavoro degli
operatori sanitari (medici, ma soprattutto infermieri) che operavano negli Istituti penitenziari è
stato inglobato, con alcune differenze Regionali,
tra quelli gestiti dalle Aziende sanitarie locali o
dalle Aziende Ospedaliere.
La popolazione carceraria coinvolta è molto ampia, sono detenute nelle carceri italiane oltre 55
mila persone, 7.800 delle quali con più di cinquanta anni di età. La quota maggiore si trova
in Lombardia (15,1%) seguita dalla Campania
(12,6%) e dalla Sicilia (10,9%). Al 31 dicembre
2010 nella nostra regione erano presenti 9.412
detenuti (8.786 uomini, 626 donne), 3.766 in
più rispetto alla capacità ricettiva massima3-4.
La media dell’indice di sovraffollamento è del
66,5% e la Lombardia si piazza al quarto posto
tra le regioni con il più alto tasso di affollamento
penitenziario. A Brescia i detenuti nel carcere di
Canton Mombello sono 540 (il 65% è composto
da extracomunitari) a fronte di una capienza di
280, con un indice di affollamento del 174,3%
(il più alto della Lombardia e il secondo in Italia). Il carcere cittadino dovrebbe ospitare solo
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condannati in via definitiva ma dei detenuti ospitati
oltre 200 sono in attesa di giudizio. 5-6
Anche il Direttore Maria Gabriella Lusi, non ha nascosto che la situazione sia complessa: «Il personale ha dato
atto di attenzione e umanità, ma le condizioni di detenzione sono difficili»7.
In ambito sanitario l’epidemiologia penitenziaria dimostra che i bisogni di salute dei detenuti ruotano intorno a una vera presa in carico del paziente diventando
a volte il solo contenitore del disagio sociale, più vicina dunque ai modelli di assistenza territoriale che non
a quelli specialistici ospedalieri, proprio come avviene
per la popolazione che vive al di fuori delle carceri e
che ricorre alla medicina generale molto più spesso di
quanto ricorra all’ospedale. E’ auspicabile che, come si
è provato a fare a Brescia in questi ultimi anni, in una
situazione di così profonda trasformazione limitata dalla
scarsità di risorse e da criticità evidenti, si investa sui
professionisti. Un’appropriata sanità penitenziaria non
potrà che dipendere da un’organizzazione che sia in
grado di assicurare tutti i livelli di assistenza medica (di
base, specialistica, gestione delle patologie croniche), a
questo sarà necessario affiancare l’incentivazione dell’assistenza infermieristica, per favorire la prevenzione,
l’educazione ai corretti stili di vita e interventi igienico
organizzativi efficaci. Per fare ciò, l’unica possibilità è
garantire la quantità e la qualità degli interventi assistenziali, per permettere l’erogazione di prestazioni professionali, erogate da personale riconosciuto, preparato,
motivato e coinvolto.
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Note
1 - J. Almost e D. Doran, Prison nurses face sex
taunts, death threats, CBC. http://www.cbc.
ca/news/health/story/2011/01/04/nurses-prison-threats.html?ref=rss
2 - Massei, A. R. Marucci, M. F. Tiraterra, La
professione infermieristica negli istituti penitenziari: un’indagine descrittiva Prof. Inf.
Vol 60, No 1 (2007)
3 - Bresciaoggi, L’IDV visita il carcere «realtà
disumana», 13/02/2011
4 - Giornale di Brescia, Brescia: Canton Mombello, un carcere “incivile” e da chiudere,
2/02/2008
5 - Giornale di Brescia, Brescia: affollamento al
174%, il carcere di Canton Mombello rischia
il collasso, 12/01/2011
6 - Bresciaoggi, Canton Mombello? E’ il carcere
peggiore, 22/04/2009
7 - Bresciaoggi, Dramma a Canton Mombello:
26enne si impicca nel bagno, 24/02/2010
* Consiglere Collegio Ipasvi. Coordinatore infermieristico U.O. oncoematologia pediatrica
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