La responsabilità del mediatore

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La responsabilità del mediatore
 I DOSSIER
La responsabilità
del mediatore
La mediazione e l’annosa questione
L’obbligo
di
corretta
informazione
della fonte del rapporto
valutazione e la sicurezza dell’affare
circa
la
a cura dell'avv. Federico Ciaccafava
in collaborazione con il Centro Studi Fiaip e Il Sole 24 Ore
Numero 3 - 2014
Dossier n. 3 – 2014 Proprietario ed Editore: Il Sole 24 Ore S.p.A.
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Sommario
1. La mediazione e l’annosa questione della fonte del rapporto
Premessa
Teoria negoziale
Teoria non negoziale
La mediazione come fenomeno composito: mediazione tipica e mediazione atipica
La posizione della Suprema Corte di Cassazione: la mediazione come attività giuridica in senso
stretto e la responsabilità da “contatto sociale”
Considerazioni conclusive: il ripudio della categorizzazione del fenomeno e la c.d. “mediazione
di contratto”
2. L’obbligo di corretta informazione circa la valutazione e la sicurezza dell’affare
Libertà dell’immobile, trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli
Categoria catastale dell’immobile e concessione dei benefici fiscali
Vizi dell’immobile venduto
Preliminare di vendita immobiliare e irregolarità urbanistica
Vendita immobiliare a corpo
Scritture e titoli
Rappresentanza del mediatore
L’ipotesi del contraente non nominato
Fideiussione del mediatore
Trattamento sanzionatorio
Imposta di registro
Obblighi specifici del mediatore professionale di merci/titoli
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 1 La mediazione e l’annosa
questione della fonte del rapporto
Premessa
Affrontare i profili di responsabilità connessi allo svolgimento dell’attività del mediatore
richiede necessariamente di soffermarsi, in via preliminare, su quel particolare fenomeno che
giustifica e costituisce il fondamento di
quel tipo di responsabilità: la mediazione, istituto
regolato dal codice civile e da apposite leggi speciali. Oltre alla nota legge 3 febbraio 1989,
n. 39, recante modifiche ed integrazioni alla legge 21 marzo 1958, n. 253, concernente la
disciplina della professione di mediatore, altri provvedimenti normativi disciplinano la
mediazione nei diversi settori in cui la stessa si esplica (mediazione borsistica, mobiliare,
marittima, assicurativa, ecc.). Tuttavia, né il codice civile né le leggi speciali che hanno
previsto e disciplinato il fenomeno in esame offrono una definizione di mediazione,
limitandosi, il dettato codicistico, ad enucleare la nozione di mediatore. Tale è colui che
“mette in relazione due o più parti per la conclusione di un affare, senza essere legato ad
alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di dipendenza o di rappresentanza” (art. 1754
cod. civ.).Ora, omettendo di qualificare es
pressamente la fattispecie come contrattuale, il legislatore ha inevitabilmente aperto, e
lasciato irrisolta, una questione di notevole rilevanza che non può non riverberarsi anche in
punto di regime di responsabilità: ovvero, la fonte del rapporto di mediazione. Sul punto,
infatti, sia in dottrina che in giurisprudenza si registrano ancora, rispettivamente, opinioni
discordanti ed orientamenti non uniformi.
Codice Civile Art. 1754 - Mediatore
È mediatore colui che mette in relazione due o più parti per la conclusione di un
affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione, di
dipendenza o di rappresentanza.
Teoria negoziale
Secondo alcuni autori, il rapporto di mediazione deve essere qualificato quale contratto, il
quale esige che il consenso delle parti sia manifestato in forma espressa o tacita, come si sul
dire per “facta concludentia”. La prima ipotesi, ha luogo allorché le parti conferiscono
preventivamente l’incarico al mediatore; la seconda, allorché la parte si avvalga in modo
consapevole dell’attività del mediatore. La teoria negoziale risulta suffragata da una serie di
elementi: un dato sistematico, la collocazione dell’istituto nell’impianto del codice; un dato
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testuale, ricavabile tanto dal dettato codicistico (la particolare disciplina del rimborso delle
spese sopportate dal mediatore) quanto dalla legge speciale (art. 5 della legge 3 febbraio
1989, n. 39), laddove si contempla che il mediatore per l’esercizio della propria attività si
avvalga di moduli o formulari, nei quali sono indicate le condizioni del contratto.
MODULI O FORMULARI
LEGGE 3 febbraio 1989, n. 39
Art. 5
4. Il mediatore che per l'esercizio della propria attività si avvalga di moduli o formulari, nei
quali siano indicate le condizioni del contratto, deve preventivamente depositarne copia
presso la commissione di cui all'articolo 7.
In tema di mediazione, ai sensi dell'art. 5, comma 4, della legge 3 febbraio 1989, n. 39,
il mediatore che per l'esercizio della propria attività si avvalga di moduli o formulari, nei
quali siano indicate le condizioni del contratto, deve preventivamente depositarne copia
presso la commissione istituita in ciascuna Camera di commercio, industria, artigianato e
agricoltura. Con tale disposizione, il legislatore ha inteso realizzare una forma di pubblicità ed
un sistema di controllo amministrativo della contrattazione in base a moduli o formulari, al
fine di assicurare maggiore chiarezza e trasparenza all'attività di mediazione professionale e di
trasferire al pubblico di potenziali clienti l'immagine positiva di affidabilità della categoria dei
mediatori, intendendo con ciò tutelare direttamente una attività configurata dalla stessa legge
come professionale, in quanto subordinata per il suo esercizio al possesso di specifici requisiti
di capacità ed alla iscrizione in apposito ruolo e, solo di riflesso, garantire i clienti dal pericolo
che vengano ad essi sottoposti per la sottoscrizione clausole ingannevoli o particolarmente
gravose. La suddetta norma non prevede anche che i moduli ed i formulari debbano essere
approvati dalla commissione perché se ne possa fare uso di essi per le parti che intendano
stipulare nella forma scritta il contratto di mediazione. La norma, pertanto, in quanto non
tutela un interesse generale, ma un interesse di categoria e in quanto non deve essere
osservata inderogabilmente da tutti, rivolgendosi essa unicamente ai mediatori, non può
considerarsi imperativa o assoluta circa la previsione del determinato requisito formale
consistente nell'uso necessario di moduli o formulari conformi a quelli depositati per la
formazione del documento suddetto, con cui le parti vogliano provare il contenuto complessivo
del contratto. Ne consegue che, salve la sanzione amministrativa e quella disciplinare
eventuale a carico del mediatore, non è nullo per difetto di forma essenziale il contratto
concluso mediante sottoscrizione di moduli o formulari non depositati ai sensi della
disposizione in esame.
Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 26 maggio 2011, n. 11600 - Presidente Trifone Relatore Uccella
Nel solco di tale indirizzo dottrinale, gli autori tendono poi ad assumere atteggiamenti diversi in
ordine alla natura del negozio: natura plurilaterale del contratto, ovvero tante parti quante
sono quelle del contratto da concludere oltre il mediatore; natura unilaterale del contratto,
ovvero accordo del mediatore con una sola delle parti intermediate; natura di contratto
plurisoggettivo bilaterale, ovvero da una parte il mediatore, dall’altra, i soggetti interessati
all’affare. Oltre che in dottrina, la natura contrattuale del rapporto di mediazione è stata
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sostenuta anche in seno alla giurisprudenza di legittimità: in particolare, la Suprema Corte
dalla natura negoziale della figura in esame ha evinto che il relativo contratto non può
ritenersi concluso senza il consenso espresso o tacito delle parti del contratto principale,
consenso che, per quanto riguarda la parte rimasta estranea all’originario incarico di
mediazione, si manifesta validamente allorquando la medesima si avvalga in maniera
consapevole dell’opera del mediatore ai fini della conclusione dell’affare. Nel caso in cui invece
manchi uno specifico incarico conferito al mediatore, il consenso necessario per concludere il
contratto di mediazione
può essere manifestato, come anticipato,
anche
per
“facta
concludentia” (Cass. civ. n. Sent. 6963/2001).
Teoria non negoziale
Al contrario, altri autori hanno individuato nella mediazione una fattispecie di indole
indefettibilmente non negoziale: secondo tale teoria, il rapporto di mediazione nasce
ogni qual volta vi sia un’attività del mediatore oggettivamente idonea a mettere in relazione
le parti interessate ad un affare e strumentale alla conclusione dello stesso. Anche in tale
ipotesi, la tesi sostenuta in dottrina ha ricevuto l’avallo di una parte della giurisprudenza
secondo la quale l’attività del mediatore non è una attività contrattualmente dovuta, bensì una
attività disciplinata autonomamente dalla legge, atteso che il rapporto sussiste (c.d.
“mediazione tipica”) – indipendentemente sia dal preventivo accordo delle parti sulla
persona del mediatore, sia del previo conferimento dell’incarico – in virtù dell’effettiva
interposizione del mediatore e dalla conclusione del contratto, che deve essere il
risultato della sua autonoma attività, di cui le parti beneficiano, a prescindere da
ogni elemento di natura negoziale tra parti e mediatore. In altri termini, la mediazione
non ha natura contrattuale, ricollegandosi la stessa all’attività del mediatore, funzionale
rispetto alla conclusione del contratto, autonomamente disciplinata dalla legge e scaturente
dalla semplice opera di intermediazione.
La
mediazione
come
fenomeno
composito:
mediazione
tipica
e
mediazione atipica
Tanto
premesso,
come
osservato
dalla
migliore
dottrina,
l’esame
dei
materiali
giurisprudenziali, alimentato dal dibattito dottrinale, rivela come il fenomeno indagato si
presenti quale fenomeno composito ad articolato non riconducibile ad uno schema unitario:
così, accanto ad una mediazione ordinaria o tipica, ricavabile dalla disciplina legislativa, di
natura non contrattuale, si affianca una mediazione atipica di tipo negoziale, ravvisabile
allorquando il mediatore sia esplicitamente incaricato di svolgere attività di promozione di un
affare. All’interno di tale categoria, si è poi ulteriormente operata una distinzione tra
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mediazione atipica unilaterale e mediazione atipica bilaterale, a seconda che l’incarico
sia conferito da una soltanto oppure da entrambe le parti interessate all’affare, nonché tra
mediazione atipica con o senza esclusiva, a seconda che l’affare possa o non possa essere
contemporaneamente promosso anche da altri mediatori. Pur rimanendo intatta la libertà
riconosciuta alle parti dall’art. 1322 cod. civ. di arricchire il contenuto del contratto con altre
pattuizioni come, ad esempio, quella di irrevocabilità temporanea dell’incarico, la prestazione
caratteristica resa tanto dal mediatore tipico quanto da quello atipico è sempre stata fatta
oggetto di unitaria considerazione, con la conseguenza che alla disciplina generale della
mediazione tipica si è rimandato per colmare eventuali lacune delle pattuizioni contrattuali di
una mediazione atipica (Chiarini G.).
MEDIAZIONE ORDINARIA O TIPICA
Gli elementi essenziali della mediazione tipica ricavabili dal dato normativo assumono un
duplice profilo: da un lato, sul piano strutturale, essi vengono individuati nell’onerosità, la
subordinazione della provvigione alla conclusione dell’affare (art. 1755 cod. civ. ), la libertà
per il mediatore di attivarsi o meno e l’autonomia e l’indipendenza del mediatore (art. 1754
cod. civ.); dall’altro, sul piano funzionale, invece, essi vengono individuati nello svolgimento di
un’attività mirante a mettere due o più parti in relazione, al fine di concludere un affare (art.
1754 cod. civ.)
[Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 24 ottobre 2013, n. 24118]
MEDIAZIONE ATIPICA
La mediazione negoziale cosiddetta atipica è fondata invece su un contratto a prestazioni
corrispettive, con riguardo anche ad una soltanto delle parti interessate (c.d. mediazione
unilaterale). Tale ipotesi ricorre nel caso in cui una parte, volendo concludere un affare,
incarichi altri di svolgere un'attività intesa alla ricerca di un persona interessata alla
conclusione del medesimo affare a determinate, prestabilite condizioni.
[Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 27 febbraio 2014, n. 4745]
La posizione della Suprema Corte di Cassazione: la mediazione come
attività giuridica in senso stretto e la responsabilità da “contatto
sociale”
A rinvigorire la spinosa questione della natura della mediazione è intervenuta una importante
pronuncia della Suprema Corte (Cass. civ. Sent. n. 16382/2009), la quale, nel suscitare
l’attenzione, anche in termini critici, degli studiosi, ha sostanzialmente affermato un principio di
rilevante portata: ossia, che la “messa in relazione” delle parti, ai fini della conclusione di un
affare, deve essere qualificata come attività giuridica in senso stretto, e non già come
negoziale. In altri termini, gli effetti giuridici che l’attività del mediatore produce risultano
predeterminati non già da un regolamento di interessi divisato dalle parti in sede contrattuale,
bensì dallo stesso legislatore; ne consegue che il mediatore, una volta che sia stato concluso
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l’affare tra i contraenti, acquista il diritto alla provvigione non in virtù di un contratto, ma sulla
base di un mero comportamento legalmente tipizzato, nel quale andrebbe ravvisato uno di
quegli atti o fatti idonei – ex art. 1173 cod. civ. al pari dei contratti o dei fatti illeciti – a
determinare la nascita del rapporto obbligatorio con le parti, nell’ambito del quale, come
vedremo meglio in seguito, si colloca altresì il dovere del mediatore di comunicare alle stesse,
ai sensi dell’art. 1759 cod. civ., le circostanze a lui note relative alla valutazione ed alla
sicurezza dell’affare. La responsabilità del mediatore in ordine alla violazione di tale ultimo
dovere è quindi responsabilità contrattuale, in quanto fondata sul c.d. “contatto sociale”,
ravvisabile nella situazione di fatto che si realizza tra l’operatore professionale, soggetto a
specifici requisiti formali ed abilitativi, e coloro che su tali requisiti ripongono particolare
affidamento, cioè a dire le parti dell’affare intermediato.
Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale
In generale, ogni ipotesi di responsabilità civile presuppone la lesione di un interesse
giuridicamente rilevante e si risolve nell'obbligo del risarcimento dei danni. In particolare, si
distingue una responsabilità contrattuale - o da inadempimento - da una responsabilità
extracontrattuale o aquiliana. La prima si ha nel caso di violazione di un dovere specifico,
derivante da un precedente rapporto obbligatorio, qualunque sia la fonte di quest'ultimo
(contratto, fatto illecito, altro). Il codice, infatti, dispone che il debitore che non esegue
esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che
l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante
da causa a lui non imputabile (art. 1218 c.c.). La seconda ha luogo nel caso di violazione del
dovere generico del "neminem laedere", ovvero del dovere di non ledere l'altrui sfera
giuridica. Il codice, infatti, dispone che qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri
un danno ingiusto obbligo colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno (art. 2043 c.c.).
La regolamentazione dei due regimi di responsabilità presenta notevoli differenze. In punto
di capacità, mentre per incorrere in responsabilità extracontrattuale è sufficiente la capacità
naturale, ovvero quella di intendere di e di volere, per aversi responsabilità contrattuale
occorre la specifica capacità di obbligarsi, ovvero la capacità di agire (art. 2046 c.c.). Per
quanto riguarda il danno, mentre la responsabilità contrattuale importa la risarcibilità del solo
danno prevedibile nel tempo in cui è sorta l'obbligazione, salvo che in ipotesi di dolo del
debitore-danneggiante, la responsabilità extracontrattuale importa la risarcibilità sia dei danni
prevedibili sia dei danni imprevedibili (artt. 1225 e 2056 c.c.). In altri termini, qui la maggiore
antigiuridicità che connota l'inadempimento doloso rispetto a quello colposo giustifica la
dilatazione del risarcimento - ordinariamente contenuto nei limiti della prevedibilità del danno
- anche a quei danni che il debitore non era in grado di prevedere al tempo in cui è sorta
l'obbligazione. In ordine al regime probatorio, chi fa valere la responsabilità contrattuale è
solo tenuto a dimostrare l'esistenza del titolo da cui deriva la sua pretesa, incombendo
sull'altra parte l'onere di provare di aver esattamente eseguito la prestazione dovuta o di non
aver potuto adempiere per l'intervento di un fatto impeditivo a lui non imputabile (art. 1218
c.c.); chi agisce, invece, in via extracontrattuale, deve provare la sussistenza dell'illecito e,
quindi, il fatto produttivo di danno, il danno ingiusto cagionato ed il dolo o la colpa del
danneggiante. In ordine al regime prescrizionale, mentre il diritto al risarcimento del danno
da illecito aquiliano si prescrive di regola in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato,
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il diritto ad ottenere il risarcimento conseguente all'inadempimento si estingue con il decorso
del termine ordinario di prescrizione decennale, salvo che la legge non preveda termini diversi
in relazione al titolo dell'obbligazione (artt. 2946 ss. c.c.). Quanto alla norma che prevede il
risarcimento in forma specifica, risulta dettata solo per i fatti illeciti; ma il codice prevede
l'esecuzione in forma specifica degli obblighi di dare, di fare, di concludere un contratto e di
non fare (artt. 2930-2933 c.c.): non si tratta di riparare un danno, ma di realizzare la
situazione che si sarebbe realizzata con l'adempimento (Iudica G., Zatti P.). Una ipotesi di
responsabilità oggettiva in tema di inadempimento opera nel caso in cui il debitore si avvalga
nell'adempimento dell'obbligazione dell'opera di terzi (ausiliari): in tal caso, infatti, egli
risponde del fatto doloso o colposo di costoro per il solo fatto di essersi servito della loro opera
(art. 1228 c.c.) (Macioce F.). Dottrina e giurisprudenza prevalenti accreditano il concorso tra
i due regimi di responsabilità, ben potendo uno stesso comportamento violare, nel
contempo, tanto un obbligo contrattuale quanto il generico dovere di "neminem laedere".
(Grisi G.).
Sotto tale profilo, come la migliore dottrina ha messo in luce, al pari del medico nei confronti
del paziente, il mediatore risponde nei confronti dei propri “clienti” secondo le regole di cui agli
artt. 1218 e segg. cod. civ., pur in assenza di un preventivo accordo negoziale, in virtù del
rapporto qualificato venutosi ad instaurare. Siffatta configurazione determina un triplice ordine
di conseguenze: dal punto di vista dell’onere probatorio: è infatti il mediatore a dover
dimostrare, per liberarsi dalla responsabilità, l’impossibilità della prestazione derivante da
causa a lui non imputabile, potendo invece le parti limitarsi ad allegare l’inadempimento; in
punto di regime della prescrizione: il termine per l’estinzione del diritto è quello ordinario
decennale e non già quello quinquennale della responsabilità ex art. 2043 cod. civ.; in punto di
risarcimento del danno: vale la previsione legale della irrisarcibilità del danno oltre la misura
di quanto poteva prevedersi nel tempo in cui l’obbligazione è sorta (art. 1225 cod. civ.). Se da
un lato, quindi, la sentenza in esame scorge nel “contatto sociale” la fonte delle obbligazioni
che incombono sul mediatore e che, se violate, ne determinano la responsabilità contrattuale,
dall’altro, riposiziona la mediazione c.d. “atipica” nell’alveo del puro mandato, con la
conseguenza che – in presenza di un incarico conferito da una delle parti (mandante) – il
mediatore (mandatario) perde il diritto di richiedere la provvigione all’altra parte, nei confronti
della quale risponderebbe peraltro ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. In altri termini, la decisione
del Supremo Collegio riconduce la mediazione di tipo contrattuale non già ad una figura
atipica, bensì ad un vero e proprio mandato, dovendosi ravvisare nella fattispecie
quell’affidamento di un incarico «col quale una parte si obbliga a compiere uno più atti giuridici
per conto dell’altra» che darebbe luogo – per definizione – al contratto regolato dall’art. 1703
c.c. Tale ricostruzione dogmatica – che troverebbe fondamento sia nella prassi contrattuale
degli operatori, sia nella disciplina codicistica e della legislazione speciale – comporta, quale
dirompente corollario, che il mediatore-mandatario potrebbe vantare il diritto alla provvigionecompenso (sempre in via subordinata all’iscrizione nel ruolo professionale di cui alla legge n.
39/1989) non già nei confronti di ciascuna delle parti, ma soltanto verso il proprio mandante,
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quale parte dalla quale abbia ricevuto l’incarico, in linea con la previsione degli artt. 1709 e
1720 cod. civ. dettate in tema di mandato (Chiarini G.).
Considerazioni
conclusive:
il
ripudio
della
categorizzazione
del
fenomeno e la c.d. “mediazione di contratto”
Delineato sommariamente il dibattito dottrinale e giurisprudenziale che tuttora si agita in
ordine al fenomeno in esame, si rende opportuno, prima di procedere all’analisi delle questioni
in esame, precisare che, al di là dell’annosa discussione apertasi intorno alla natura giuridica
del rapporto di mediazione, merita di essere incoraggiato quel filone di giurisprudenza di
legittimità, che, nell’ottica pragmatica di fornire soluzione concreta alle singole vicende,
sembra maggiormente incline a rinunziare alla rigida categorizzazione contrattuale o non
contrattuale dell’istituto, tendendo piuttosto ad enucleare gli elementi essenziali perché
possa configurarsi un’attività mediazione, dalla quale discenda poi il diritto alla provvigione.
Sotto tale profilo, come osservato, significative appaiono quelle pronunce che, prescindendo
esplicitamente dall’attribuire natura contrattuale o meno alla fattispecie disciplinata
dagli artt. 1754 e segg. cod. civ., configurano l’attività di mediazione ed il conseguente diritto
alla provvigione come conseguenza dell’incontro delle volontà dei soggetti interessati
(sia che esse risultino da dichiarazioni esplicite, sia che si manifestino per fatti concludenti) e
dell’utile messa in contatto delle parti del contratto da stipulare. Si tratta, in particolare,
dell’utile
contatto
individuabile,
quanto
alla
sua
portata
semantico-giuridica,
nell’espressione “mediazione di contratto” (piuttosto che in quella “contratto di
mediazione”), considerata l’esistenza di fattispecie mediatizie che non postulano un formale
accordo tra le parti (ciò che attribuisce, come detto, alla mediazione il carattere della atipicità).
Da tutto ciò consegue che, a differenza dal mandato (nel quale il mandatario è tenuto a
svolgere una determinata attività giuridica, con diritto a ricevere il compenso dal mandante
indipendentemente dal risultato conseguito e, quindi, anche se l’affare non sia andato a buon
fine), il mediatore, interponendosi in maniera neutra ed imparziale tra due contraenti, ha
soltanto l’onere (non il dovere) di metterli in relazione tra loro, appianarne le eventuali
divergenze, farli pervenire alla conclusione dell’affare divisato (alla quale è oltretutto
subordinato il suo diritto al compenso), senza che la sua indipendenza venga sostanzialmente
meno anche in ipotesi di incarico unilaterale, ovvero di compenso previsto a carico di una sola
delle parti (ovvero ancora in misura diseguale tra esse). Sotto tale profilo, di recente, la
Cassazione ha espresso un principio che vale in questa sede enunciare nella sua limpida
compiutezza. Si è infatti precisato che l'attività di assistenza e di consulenza finalizzata alla
preparazione e alla presentazione di una domanda rivolta alla concessione di finanziamenti
pubblici da presentare ad un organo predeterminato dalla legge costituisce prestazione
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d'opera professionale e non può essere qualificata come attività di mediazione né tipica
né atipica, mancando l'elemento essenziale della “messa in relazione” dei contraenti.
“.. In tema di mediazione, costituisce insegnamento risalente e ricevuto, nella giurisprudenza
di legittimità e nella dottrina unanime, che due parti possono dirsi “messe in contatto”
dall’intervento del mediatore quando, senza l’opera di quest’ultimo, l’affare non si sarebbe
concluso. L’attività del mediatore, dunque, deve essere “causa determinante” della
conclusione dell’affare: se fosse mancata la prima, non vi sarebbe stata la seconda. È noto,
tuttavia, che il concetto giuridico di causalità non coincide con quello naturalistico, e che la
sua funzione è in primo luogo quella di delimitare l’ambito delle fattispecie giuridicamente
rilevanti. Pertanto, affermare che si ha attività di mediazione solo quando l’intervento del
mediatore sia stato la causa della conclusione dell’affare non significa elevare al rango di
attività mediatoria qualsiasi antecedente causale che ha condotto alla conclusione di quello.
Se così non fosse, infatti, si dovrebbe pervenire all’irrazionale conclusione di qualificare come
“mediatore” ex art. 1754 cod. civ.. finanche il tassista che accompagni il contraente nel luogo
scelto per le trattative, o il cartolaio che fornisca ai contraenti i fogli per la stesura della minuta
contrattuale. Questa evidente “reductio ad absurdum” dimostra l’erroneità della premessa, e
cioè che qualunque collaborazione prestata ad uno dei potenziali contraenti possa essere
qualificata come “causa” della conclusione dell’affare. Un affare può dirsi concluso “per
effetto” dell’intervento del mediatore, secondo la previsione dell’art. 1755 cod. civ., non
quando questi abbia svolto un generico ruolo di assistenza, consiglio o consulenza di una delle
parti, ma quando abbia svolto un’opera di reperimento od avvicinamento tra queste, nel senso
sopra indicato. In altri termini, è necessario, quindi, che “tra l’attività del mediatore ed il
negozio giuridico ai fini del quale egli ha prestato la sua opera vi sia un rapporto di causalità
per cui il contratto principale, nel suo contenuto essenziale, appaia come il risultato utile
dell’attività
dell’intermediario,
e
che
questa
possa
ritenersi
conseguenza
dell’opera
dell’intermediario, tale che, senza di essa, secondo l’ordine normale delle cose, il contratto non
si sarebbe concluso..”
[Corte di Cassazione, Sezione III, sentenza 24 ottobre 2013, n. 24118].
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 2 L’obbligo di corretta informazione circa
la valutazione e la sicurezza dell’affare
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Esaurite le criticità messe in luce in merito alla natura del rapporto, le quali, come già messo
in luce a proposito della tesi del “contatto sociale”, inevitabilmente non possono non
ripercuotersi anche in punto di ascrizione di obblighi e responsabilità del mediatore in ragione
dell’opzione ermeneutica adottata, occorre precisare che la disciplina della mediazione dettata
dal codice civile ruota fondamentalmente intorno a due nuclei normativi di primario rilievo:
da un lato, il regime della provvigione ed il diritto alla sua percezione da parte del mediatore;
dall’altra, la disciplina relativa agli obblighi, ai poteri ed alle conseguenti responsabilità che
dal
concreto
atteggiarsi
del
rapporto
si
ricollegano
allo
svolgimento
dell’attività
di
intermediazione. Sotto questo secondo profilo, occorre precisare che tra gli obblighi posti dalla
legge a carico del mediatore figura espressamente anche quello, assai delicato e spesso fonte
di contenzioso giudiziario, «di comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla
valutazione ed alla sicurezza dell’affare, che possono influire sulla conclusione di esso» (art.
1759, comma 1, cod. civ.). La disposizione citata è stata oggetto di attenzione da parte dei
giudici della Suprema Corte i quali sono approdati ad elaborare una serie di principi e regole
che assumono una valenza anche d’ordine pratico di estrema rilevanza. La giurisprudenza di
legittimità, infatti, muovendo da una lettura della norma in esame coordinata con il dettato del
codice relativo alla disciplina delle obbligazioni (artt. 1175 e 1176 cod. civ.) e della già più
volte evocata legge speciale (legge n. 39 del 1989), la quale ha posto in risalto la natura
professionale dell’attività del mediatore, ha espressamente affermato che il mediatore,
pur non essendo tenuto, in difetto di un incarico particolare in proposito, a svolgere,
nell’adempimento della sua prestazione (che si dipana in ambito contrattuale), specifiche
indagini di natura tecnico-giuridica (come l’accertamento della libertà dell’immobile oggetto
del trasferimento, mediante le cosiddette visure catastali ed ipotecarie) al fine di individuare
circostanze rilevanti ai fini della conclusione dell’affare a lui non note, è pur tuttavia tenuto ad
un obbligo di corretta informazione secondo il criterio della media diligenza
professionale. In particolare, osserva la Cassazione, tale fondamentale obbligo di corretta
informazione si specifica in due attività, una di segno positivo ed una di segno negativo. In
particolare, in positivo, si traduce nell’obbligo di comunicare le circostanze a lui note o
comunque conoscibili con la comune diligenza richiesta al mediatore; in negativo, nel divieto
di fornire non solo informazioni non veritiere, ma anche informazioni su circostanze delle quali
non abbia consapevolezza e che non abbia controllato, poiché il dovere di correttezza e quello
di diligenza gli imporrebbero in tal caso di astenersi dal darle. Da ciò discende, quale rilevante
conseguenza, che, qualora il mediatore fornisca informazioni su circostanze di cui non abbia
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consapevolezza e che non abbia controllato, le quali si rivelino poi inesatte e non veritiere,
ovvero ometta di comunicare circostanze da lui non conosciute ma conoscibili con l’ordinaria
diligenza professionale, è legittimamente configurabile una sua responsabilità per i danni
sofferti, per l’effetto, dal cliente. In particolare, in sintonia con i principi espressi, la
giurisprudenza ha preso posizione in ordine ad una serie di rilevanti e comuni fattispecie di
danno attinenti alla materia della intermediazione in compravendita immobiliare.
Libertà dell’immobile, trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli
In tale ambito, si è ritenuto innanzitutto, non potersi ricomprendere nella prestazione
professionale del mediatore, in difetto di particolare incarico, l’obbligo di accertare, previo
esame dei registri immobiliari, la libertà dell’immobile oggetto della trattativa da trascrizioni ed
iscrizioni pregiudizievoli (cfr., Cass. civ. Sent. n. 15926/2009 e cfr., Cass. civ. Sent. n.
15274/2006).
“… In tema di mediazione, poiché la legge n. 39 del 1989 subordina l'esercizio dell'attività
di mediazione al possesso di specifici requisiti di capacità professionale, configurandola come
attività professionale, l'obbligo di informazione gravante sul mediatore a norma dell'art.
1759 cod. civ., va commisurato alla normale diligenza alla quale è tenuto a conformarsi
nell'adempimento della sua prestazione il mediatore di media capacità, e pertanto deve
ritenersi che il suddetto obbligo deve riguardare non solo le circostanze note, ma tutte le
circostanze la cui conoscenza, in relazione all'ambito territoriale in cui opera il mediatore, al
settore in cui svolge la sua attività ed ad ogni altro ulteriore utile parametro sia acquisibile da
parte di un mediatore dotato di media capacità professionale con l'uso della normale
diligenza. Tuttavia, non rientra nella comune ordinaria diligenza, alla quale il mediatore deve
conformarsi nell'adempimento della prestazione ai sensi dell'art. 1176 cod. civ., lo
svolgimento, in difetto di particolare incarico, di specifiche indagini di tipo tecnico giuridico,
quale, con riguardo al caso di intermediazione in compravendita immobiliare, quella relativa
all'accertamento, previo esame dei registri immobiliari, della libertà dell'immobile oggetto
della trattativa, da trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli…”
Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza 6 novembre 2012, n. 19075
Categoria catastale dell’immobile e concessione dei benefici fiscali
Ancora, nel medesimo settore immobiliare, si è parimenti affermato che, sempre in difetto di
una diversa ed espressa richiesta del cliente in tal senso, il mediatore professionale
immobiliare non è tenuto ad esaminare le conservatorie dei registri immobiliari per verificare
in quale categoria catastale rientri l’immobile, e, di conseguenza, se l’acquisto di esso
consentirà all’acquirente il godimento dei benefici fiscali previsti per l’acquisto della prima casa
(cfr., Cass. civ. Sent. n. 6926/2012).
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Vizi dell’immobile venduto
Il mediatore immobiliare è invece responsabile nei confronti del cliente se, conoscendo o
potendo conoscere con l'ordinaria diligenza l'esistenza di vizi che diminuiscono il valore della
cosa venduta, non ne informi l'acquirente; tale responsabilità si affianca a quella del venditore
e può essere fatta valere dall'acquirente sia chiedendo al mediatore il risarcimento del danno,
sia rifiutando il pagamento della provvigione (cfr., Cass. civ. Sent. n. 6926/2012).
Preliminare di vendita immobiliare e irregolarità urbanistica
Parimenti, sempre in applicazione dei principi espressi, si è statuito che la mancata
informazione del promissario acquirente circa l’esistenza di una irregolarità urbanistica non
ancora sanata relativa all’immobile oggetto della promessa di vendita, della quale il mediatore
stesso doveva e poteva essere edotto, in quanto agevolmente desumibile dal riscontro tra la
descrizione dell’immobile contenuta nell’atto di provenienza e lo stato effettivo dei luoghi,
legittima il rifiuto del medesimo promissario di corrispondere la provvigione (cfr., Cass. civ.
Sent. n. 16623/2010).
Quanto al grado di diligenza del mediatore, la giurisprudenza, come accennato, ha precisato
che la norma in esame (art. 1759 cod. civ.) impone al mediatore un obbligo di informativa
delle circostanze al medesimo note o comunque conoscibili secondo criteri di comune
diligenza: diligenza che deve uniformarsi oltre che al livello dell’organizzazione alle
caratteristiche dell’affare di guisa che vengono verificati tutti quegli elementi che possano
incidere sulla sicurezza del medesimo.
Vendita immobiliare a corpo
Da ciò consegue anche che, nella mediazione per una vendita immobiliare, allorquando sia
stato espressamente convenuto che il prezzo sia determinato in relazione al corpo
dell’immobile e non già alla sua misura, di guisa che le differenze non eccedenti il ventesimo
restino irrilevanti, alcuna responsabilità per omessa informazione è configurabile, ex art. 1759
cod. civ., nei confronti del mediatore (cfr., Trib. Bari, Sez. I, sentenza 6 febbraio 2007).
VENDITA A CORPO
La vendita è a corpo quando il prezzo è stabilito in modo globale con riguardo all'immobile
considerato nel suo complesso. In tale ipotesi, anche se la misura è stata indicata nel
contratto, non si fa luogo a diminuzione o a supplemento di prezzo. Tale regola è tuttavia
derogata nel caso in cui la misura reale ecceda o sia inferiore di un ventesimo rispetto alla
misura indicata nel contratto. Il compratore può recedere dal contratto nel caso in cui dovesse
essere tenuto a pagare il supplemento di prezzo (art. 1538 cod. civ.).
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In caso di inadempimento del mediatore al dovere di informazione, la condanna del
medesimo
al
risarcimento
del
danno
nei
confronti
di
una
delle
parti
non
implica
automaticamente che il contratto debba essere risolto con conseguente perdita del diritto alla
provvigione. Infatti, come osservato, mentre l’azione di risoluzione (art. 1453 cod. civ.), la
quale costituisce il rimedio più radicale contro le distorsioni e gli squilibri del sinallagma
funzionale, presuppone che l’inadempimento di una delle parti non abbia scarsa importanza,
avuto riguardo all’interesse dell’altra (art. 1455 cod. civ.), l’azione risarcitoria (art. 1218
cod. civ.) può essere vittoriosamente esperita per il solo fatto che vi sia stata una inesatta
esecuzione della prestazione che abbia prodotto al creditore un danno (cfr., Cass. civ. Sent. n.
18515/2009).
DOVERE DI INFORMAZIONE DEL MEDIATORE
[ART. 1759 COD. CIV.]
Il mediatore deve comunicare alle parti le circostanze a lui note, relative alla valutazione e alla
sicurezza dell’affare, che possono influire sulla conclusione di esso.
COMANDO
Deve comunicare le circostanze a lui note o comunque conoscibili con la comune diligenza
richiesta;
DIVIETO
Non deve fornire informazioni non veritiere o informazioni su circostanze delle quali non abbia
consapevolezza e che non abbia controllato;
VIOLAZIONE
CONSEGUENZE
Il mediatore che fornisce informazioni su circostanze di cui non abbia consapevolezza e che
non abbia controllato, le quali si rivelino poi inesatte e non veritiere, ovvero ometta di
comunicare circostanze da lui non conosciute ma conoscibili con l’ordinaria diligenza
professionale è responsabile per i danni sofferti dal cliente.
Scritture e titoli
Il codice civile dispone anche che il mediatore risponda dell’autenticità della sottoscrizione delle
scritture e dell’ultima girata di titoli trasmessi per il suo tramite (art. 1759, comma 2, cod.
civ.). Sull’interpretazione della norma, come osservato, la dottrina è divisa: secondo alcuni
autori, sorgerebbe a carico del mediatore un obbligo di garanzia, con conseguente ascrizione
di responsabilità indipendentemente da uno stato di colpa; secondo altri, invece, la
responsabilità
del
mediatore
sarebbe
di
natura
soggettiva,
ancorata
alla
colpa,
inconfigurabile nei casi di impossibilità della prestazione dovuta a causa a lui non imputabile.
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Rappresentanza del mediatore
Ai sensi dell’art. 1761 cod. civ., il mediatore può essere incaricato da una delle parti
di rappresentarla negli atti relativi all’esecuzione del contratto concluso con il suo
intervento. Seguendo l’impostazione prevalente in dottrina, concluso il contratto mediato ed in
virtù di uno specifico incarico, il mediatore può assumere la veste di rappresentante di una
delle parti nella fase esecutiva del contratto. Anche la giurisprudenza circoscrive il potere di
rappresentanza alla sola fase di esecuzione del contratto concluso per il tramite del suo
intervento. In tal senso, muovendo dal principio secondo cui il mediatore, la cui funzione
consiste nel mettere in relazione due o più possibili contraenti, ha, nei confronti di tutti, un
dovere di imparzialità, la stessa giurisprudenza di legittimità ha concluso che lo stesso non
può curare gli interessi di uno solo di essi e non può essere mandatario e rappresentarlo nella
stipulazione del contratto; tuttavia, resta intatta la possibilità di rappresentanza in sede di
esecuzione del contratto concluso con il suo intervento (art. 1761 cod. civ.). Secondo parte
della dottrina, inoltre, la veste di rappresentante eventualmente assunta dal mediatore
legittimerebbe a beneficio di quest’ultimo il riconoscimento di un compenso ulteriore, il quale
non risulterebbe invece dovuto laddove secondo gli usi egli fosse tenuto agli atti esecutivi.
L’ipotesi del contraente non nominato
Secondo il codice (art. 1762 cod. civ.), il mediatore che non manifesta ad un contraente il
nome dell’altro risponde dell’esecuzione del contratto e, quando lo ha eseguito, subentra nei
diritti verso il contraente non nominato. Se dopo la conclusione del contratto il contraente non
nominato si manifesta all’altra parte o è nominato dal mediatore, ciascuno dei contraenti può
agire direttamente contro l’altro, ferma restando la responsabilità del mediatore. Secondo una
parte della dottrina, il mediatore non diviene parte del contratto in quanto il vincolo
contrattuale si forma pur sempre tra contraente noto e contraente ignoto. Da ciò consegue che
il mediatore conserva il diritto alla provvigione nei confronti di entrambi gli interessati.
Secondo altri autori, invece, la fattispecie in esame deve essere ricondotta nello schema del
contratto per persona da nominare (art. 1401 ss. cod. civ.).
CONTRATTO PER PERSONA DA NOMINARE
Nel contratto per persona da nominare, una parte (cd. "stipulante"), nel momento della
conclusione del contratto, si riserva espressamente la facoltà di nominare successivamente la
persona (cd. "eligendus o amicus") "che deve acquistare i diritti ed assumere gli obblighi
nascenti dal contratto stesso" (art. 1401 c.c.). Lo schema negoziale in esame, praticato
principalmente nelle contrattazioni immobiliari, consente di evitare un duplice trasferimento e
le conseguenti imposizioni fiscali connesse all'acquisto ed alla successiva rivendita di beni.
Altra funzione del contratto in esame è stata individuata nella possibilità di far stipulare un
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contratto ad un soggetto non ancora venuto ad esistenza, come nel caso in cui lo stipulante
agisca in favore di una società che egli stesso o altri stiano costituendo (Caringella F., De
Marzio G.).
Altri, infine, muovendo dalla natura di obbligazione legale del mediatore ricollegano
nei confronti delle parti una responsabilità indiretta e di garanzia assistita da un’azione di
rivalsa verso il contraente non nominato. Tale garanzia si distingue dall’obbligazione
fideiussoria per tre ordini di ragioni: (i) trae origine dalla legge, e non da un patto
contrattuale; (ii) non presuppone la sussistenza di un’obbligazione valida; (iii) non ammette –
in quanto inconfigurabile – un obbligo di preventiva escussione del debitore principale. La
giurisprudenza, anche se assai risalente, ha fatto rientrare la fattispecie nello schema del
contratto per persona da nominare. In particolare, la giurisprudenza, esaminando la
particolare fattispecie in esame ha precisato che: (i) l’art. 1762 c.c. presuppone, come
condizione per la sua operatività, l’avvenuta conclusione di un contratto per tramite del
mediatore: ove, quindi, il mediatore dia per concluso un contratto che in realtà non si è
perfezionato, la norma suindicata non è applicabile, pur potendo il mediatore rispondere ad
altro titolo dei danni eventualmente cagionati con il suo comportamento doloso o colposo, ai
sensi dell’art. 1375 cod. civ., secondo cui il contratto deve essere eseguito secondo buona
fede; (ii) l’art. 1762 cod. civ. è qualificato dal requisito che il mediatore non manifesti ad uno
dei contraenti il nome dell’altro, ed implica, nel suo svolgimento, la conclusione del contratto,
tramite il mediatore, tra il contraente noto ed un altro contraente conosciuto solo dal
mediatore. A tale ipotesi, si è osservato, non può essere assimilata quella che si caratterizza
per una diversa condotta del mediatore, il quale manifesta al contraente noto il nome di un
contraente fittizio, per cui il contratto non può ritenersi concluso. In questo caso, infatti, il
mediatore non può rispondere dell’esecuzione del contratto, secondo la previsione del primo
comma dell’art. 1762 cod. civ., ma sarà chiamato a rispondere a titolo di risarcimento dei
danni per fatto illecito.
Fideiussione del mediatore
Tra i poteri che il codice accorda al mediatore, si segnala, accanto a quello rappresentativo,
anche quello relativo alla garanzia fideiussoria. Il mediatore può prestare fideiussione per
una delle parti (art. 1763 cod. civ.). Secondo l’interpretazione della disposizione in esame
ribadita dalla Cassazione in una recentissima decisione (Cass. civ. Sent. n. 5417/2014) la
fideiussione del mediatore trova la sua regolamentazione nei principi propri dell’istituto (artt.
1936 ss. cod. civ.). Da ciò consegue che la volontà di prestare fideiussione dev’essere, a
norma dell’art. 1937 cod. civ., “espressa”: a tal fine, pur non occorrendo formule sacramentali,
è necessario comunque che tale volontà sia manifestata in modo inequivocabile, e cioè che il
patto risulti esplicitamente e chiaramente dalle espressioni usate dalle parti.
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FIDEIUSSIONE
La fideiussione è il contratto con il quale una persona (fideiussore), obbligandosi
personalmente verso il creditore, garantisce l'adempimento di una obbligazione altrui (art.
1936, comma 1,cod. civ.) La fideiussione realizza, tipicamente, la garanzia personale del
credito distinguendosi in tal modo rispetto alle garanzie reali (pegno ed ipoteca), che sono
costituite su una cosa, del debitore o di un terzo, vincolata alla garanzia di un credito: qui,
infatti, è una persona, il fideiussore appunto, che garantisce, con il proprio patrimonio,
l'adempimento di un'obbligazione altrui.
Per quanto attiene alla forma, il codice non impone vincoli formali, limitandosi a prevedere
che la volontà di prestare fideiussione deve essere espressa (art. 1937 c.c.).
Non occorre, peraltro, che il negozio sia consacrato in uno scritto, sicché può essere dimostrato
con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge, ivi compresa la prova testimoniale e quella per
presunzioni. Anche in dottrina, l’esigenza della prova di una manifestazione di volontà espressa
ed inequivoca è costante, la quale si fa particolarmente pressante laddove sussista un intreccio
di rapporti ed interessi tra le parti da cui scaturisca il rischio di una confusione di posizioni e di
obblighi (Pernazza F.).
Trattamento sanzionatorio
Alle stesse pene irrogate nei confronti del mediatore professionale in affari su merci o su titoli
che, come vedremo, si sia reso responsabile della violazione degli obblighi imposti dal codice a
suo carico (ammenda, ora sanzione amministrativa, da euro 5 a euro 516, e, nei casi più gravi,
sospensione dalla professione), è soggetto anche il mediatore che presta la sua attività
nell’interesse di persona notoriamente insolvente o della quale conosce lo stato d’incapacità
(art. 1764 cod. civ.). Il trattamento sanzionatorio mira a punire il mediatore che, dolosamente
o con grave negligenza, pone in serio pericolo l’interesse di una delle parti. Parte della
dottrina ha negato che, ai fini dell’applicabilità della previsione legale in esame, l’insolvenza,
oltre che notoria, debba essere anche nota al mediatore. Inoltre, si è ritenuto che l’insolvenza
sia solo quella che può influire sulla valutazione e sulla sicurezza dell’affare, non coincidendo la
stessa con la nozione elaborata in sede di applicazione della disciplina fallimentare. In tal
senso, l’insolvenza si risolve propriamente nella inidoneità della parte a dare esecuzione agli
obblighi derivanti dal contratto.
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Imposta di registro
Infine, si ricorda che gli agenti di affari in mediazione iscritti nella apposita sezione degli agenti
immobiliari per le scritture private non autenticate di natura negoziale stipulate a seguito della
loro attività per la conclusione degli affari, sono tenuti, se non lo fanno direttamente le parti
contraenti, a richiedere la registrazione dei contratti. Sono altresì tenuti anche al
pagamento dell’imposta di registro se questa non è versata dai contraenti. Infatti, essi
sono ritenuti dalla legge responsabili in via solidale nei confronti dell’Erario per il predetto
pagamento, fatta salva la successiva possibilità, nel caso di effettivo pagamento da parte
dell’agente immobiliare, di rivalersi nei confronti delle medesime parti contraenti. (artt. 10 e 57
del T.U. n. 131 del 1986).
Obblighi specifici del mediatore professionale di merci/titoli
Un accenno infine alla disciplina contenuta nell’art. 1760 cod. civ. Dispone il codice che al
mediatore professionale, iscritto nel registro delle imprese o nel Rea, il quale si occupa di
merci o titoli il codice riserva ed impone obblighi specifici da osservare in sede di esecuzione
del contratto. In particolare, egli deve:
1) conservare i campioni delle merci vendute sopra campione, finché sussista la possibilità di
controversia sull’identità della merce;
2) rilasciare al compratore una lista firmata dei titoli negoziati, con l’indicazione
della serie e del numero;
3) annotare su apposito libro gli estremi essenziali del contratto che si stipula col suo
intervento e rilasciare alle parti copia da lui sottoscritta di ogni annotazione.
L’obbligo di conservazione dei campioni delle merci vendute sopra campione perdura fino a
quando non risulti che il compratore abbia inequivocabilmente riconosciuta la conformità della
merce al campione oppure, in caso di dubbio, finché l’azione o l’eccezione non possa ritenersi
prescritta o decaduta ai sensi di legge (art. 1495 cod. civ.).
L’obbligo di rilascio al compratore della lista firmata dei titoli negoziati, soddisfa una funzione
probatoria in quanto, identificando i titoli oggetto di negoziazione, facilita la risoluzione delle
controversie che possono sorgere in sede di esecuzione del contratto.
Infine, l’obbligo di annotazione su apposito libro degli estremi essenziali del contratto che si
stipula col suo intervento e di rilascio alle parti di copia da lui sottoscritta di ogni annotazione
assolve parimenti ad una funzione probatoria. Secondo la dottrina, annotazioni e copie
costituiscono mezzi di prova liberamente apprezzabili dal giudice. Come anticipato, la
violazione degli obblighi determina in capo al mediatore l’irrogazione di una ammenda fino a
516 euro. Nei casi più gravi, può essere aggiunta la sospensione dalla professione fino a sei
mesi (art. 1764 cod. civ.).
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