VALUTAZIONE DEL PERSONALE1 Premessa La valutazione è un
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VALUTAZIONE DEL PERSONALE1 Premessa La valutazione è un
VALUTAZIONE DEL PERSONALE1 di Elena Martini DEFINIZIONE La valutazione è un’insieme di attività finalizzate alla conoscenza, allo sviluppo e al riconoscimento dell’operato e delle caratteristiche di chi opera in un’organizzazione nonché all’analisi e definizione della struttura organizzativa. La valutazione è un processo centrale nelle pratiche di gestione e sviluppo delle risorse umane e si connette, quale “snodo”, ad altri sistemi/leve di gestione: formazione/sviluppo, carriera/mobilità, retribuzione/ricompensa. Premessa La valutazione è un processo attraverso il quale è possibile osservare interpretare - formulare un giudizio di valore su un fenomeno, un oggetto o una persona in rapporto a dei parametri prestabiliti. Nelle organizzazioni la valutazione è soprattutto un processo chiave che consente di approfondire la conoscenza dell’oggetto valutato e di assumere decisioni che lo riguardano. Al di là del significato letterale, la valutazione è di fatto un tema di notevole ampiezza e complessità nell’insieme delle teorie e delle pratiche che riguardano la gestione e lo sviluppo delle persone e delle organizzazioni. L’ampiezza e la complessità del tema attengono infatti, non solo alla varietà degli oggetti di valutazione e delle metodologie e degli strumenti utilizzati per indagarli, ma anche alla trasversalità del processo valutativo nell’assunzione di decisioni relative – ad esempio - alla definizione della struttura organizzativa e della sua adeguatezza alle esigenze dell’ambiente di riferimento, all’approfondimento dell’operato, dei risultati, delle caratteristiche delle persone e all’individuazione delle loro possibilità di crescita professionale. Cap. 5 del testo: Padovese L., Visentini L., (a cura di), “Organizzazione e gestione delle risorse umane. Una guida ai problemi ed alle fonti di conoscenza”, Editrice La Giuntina, Firenze, 2004 1 1 In altre parole, la valutazione risulta profondamente legata ai sistemi di pianificazione organizzativa, di formazione e di aggiornamento, di sviluppo e di carriera, di retribuzione e di ricompensa rispetto ai quali si configura come “snodo” cruciale. Infatti, la valutazione – nella sua accezione più ampia di processo di conoscenza – consente di conoscere con sistematicità caratteristiche, qualità, “valore” di posizioni/ruoli organizzativi e delle persone che li ricoprono, di riconoscere il contributo ai risultati e l’impegno che le persone investono/dedicano al lavoro, di valorizzare le loro potenzialità di crescita e di sviluppo, di orientarle nello svolgimento delle attività loro assegnate, di individuare bisogni di aggiornamento, addestramento, formazione e di stabilire il livello retributivo o la ricompensa/premio più coerenti al livello di prestazione fornito. In altre parole, quando viene praticata con sistematicità, periodicità, trasparenza e si basa su criteri oggettivi ed omogenei la valutazione consente alla Direzione del personale di utilizzare/valorizzare in modo più coerente ed integrato le risorse disponibili, di garantire maggiore equità ed obiettività nelle decisioni, di gestire le persone in modo più consapevole, finalizzato e personalizzato. In questo capitolo cercheremo dunque di restituire, pur nella sinteticità, un quadro quanto più possibile completo ed articolato dei diversi “oggetti” di valutazione (organizzazione e persone), delle metodologie e degli strumenti più frequentemente utilizzati, nonché dei ruoli e delle responsabilità coinvolte a vario titolo nella loro realizzazione. Ma prima di entrare nel merito delle diverse tipologie di valutazione ci sembra utile introdurre alcune considerazioni preliminari per meglio collocare la centralità del processo di valutazione nel quadro più complessivo delle politiche e delle pratiche di gestione del personale. 5.1 Centralità e caratteristiche dell’utilizzo dei processi valutativi nelle organizzazioni La prima considerazione che emerge dalle pratiche gestionali attuali 2 è quella relativa all’inevitabilità (Fertonani, 1998, Boldizzoni, 2003) della valutazione, ovvero alla costante presenza della valutazione all’interno dei contesti organizzati. 2 In realtà la valutazione è una pratica antichissima. Si hanno notizie di attività valutative nella Cina del terzo secolo, di sistemi di valutazione già presenti nella Compagnia di Gesù, nonché di criteri omogenei di valutazione adottati a partire dagli inizi del secolo scorso presso la pubblica amministrazione statunitense. 2 Tutti coloro che hanno operato ed operano in organizzazioni ed imprese, sia di grandi che di piccole dimensioni, sono stati e sono sottoposti a valutazioni, giudizi, pareri – più o meno espliciti – espressi dai loro superiori. Di fatto l’intero percorso lavorativo di un individuo all’interno di un’organizzazione è scandito da fasi e momenti nei quali viene sottoposto a valutazione: dalla selezione all’inserimento3, dai risultati forniti nel ruolo assegnato alle potenzialità possedute, in ogni passaggio della sua vita lavorativa in cui sia necessario assumere decisioni che lo riguardano (esigenze/ carenze della professionalità attuale o futura sulle quali intervenire mediante interventi di addestramento/formazione/aggiornamento; livelli di prestazione da ricompensare/premiare; livelli di prestazione e/o caratteristiche di potenziale da orientare verso posizioni/ruoli diversi dall’attuale). A fronte dell’inevitabilità e della centralità della valutazione le aziende si sono impegnate - soprattutto negli ultimi dieci anni4 - nella formalizzazione dei sistemi valutativi al fine di garantirsi e di garantire al proprio personale: l’affidabilità delle valutazioni espresse: affidabilità significa scegliere ed adottare, in coerenza ad ogni “oggetto” di valutazione (prestazione, potenziale, competenze, ruoli/posizioni), criteri di rilevazione verificati e verificabili, sostenuti da logiche e teorie fondate, rispondenti alla cultura aziendale, esplicitati e condivisi, per consentire una significativa riduzione (o quantomeno il contenimento) della soggettività dei valutatori e dell’influenza delle loro personali “preferenze”; 3 Al momento della stipula del contratto di lavoro, il datore ed il neodipendente stabiliscono un periodo di prova per verificare la possibilità di proseguire e quindi confermare il rapporto di lavoro. Il datore di lavoro, durante l'intera durata del periodo di prova, ha modo di misurare le effettive capacità professionali della persona assunta; il lavoratore invece può valutare le mansioni a lui affidate e capire se quel posto di lavoro sia all'altezza delle sue aspettative. Il patto (o periodo) di prova per avere validità deve risultare da atto scritto nel contratto (o nella lettera di assunzione) con l'indicazione esatta della sua durata. La sottoscrizione del contratto deve avvenire prima dell'inizio della prestazione lavorativa. La durata del periodo di prova (in linea di massima non si va mai oltre i sei mesi) è stabilita, generalmente, nei contratti collettivi nazionali. 4 Vedi gli esiti della ricerca riportata in Boldizzoni, D., Manzolini, L. (a cura di), Creare valore con le risorse umane. La forza dei nuovi paradigmi nella direzione del personale, Guerini e Associati, Milano, 2000, pp. 1-24, dalla quale emerge che nell’84% del campione di Direzioni del Personale intervistate sono presenti sistemi formalizzati di analisi/valutazione delle posizioni e di valutazione delle prestazioni (96%), mentre la valutazione del potenziale è meno diffusa (66%). 3 la sistematicità e la continuità dell’azione valutativa: in questa direzione l’attenzione viene posta non solo al fatto che le iniziative valutative abbiano una cadenza ed una frequenza più o meno regolari nel tempo, ma anche al fatto che la valutazione non venga ridotta alla sola compilazione di una scheda/documento finale ma piuttosto accompagni, sotto forma di un’osservazione finalizzata e continuativa da parte del superiore diretto, l’intero sviluppo della prestazione lavorativa dell’individuo; l’omogeneità e la confrontabilità delle valutazioni: l’adozione di criteri applicati uniformemente in tutta l’organizzazione, coerenti con le caratteristiche dei ruoli, finalizzati a rilevare ambiti/comportamenti circoscritti a priori, consente di ridurre le differenze attribuibili all’assunzione di criteri personali di valutazione ed al riferimento ad ambiti troppo ampi di rilevazione. L’attribuzione di significati omogenei a comportamenti, caratteristiche, risultati, oggetto di valutazione consente a valutazioni espresse da diversi valutatori, anche in momenti diversi, di essere confrontabili fra loro e nuovamente verificabili a distanza di tempo; la trasparenza dei rapporti interni e della relazione capo-collaboratori: quando la valutazione poggia su criteri espliciti, chiari, conosciuti, quando viene effettuata con regolarità e viene finalizzata al miglioramento complessivo della prestazione lavorativa oltre che alla valorizzazione delle caratteristiche individuali in un’ottica di migliore utilizzo, costituisce un elemento fondamentale anche per la costituzione ed il mantenimento di una positiva relazione tra capi e collaboratori. Contribuisce cioè al miglioramento del clima interno (riducendo l’interferenza di personalismi e favorendo il coinvolgimento reciproco nella relazione); la responsabilizzazione gestionale dei capi nella valutazione: nelle aziende odierne sempre più caratterizzate da una riduzione dei livelli gerarchici e dall’ampliamento delle esigenze di interfunzionalità, la valutazione diviene (o si mira a farla diventare) una competenza organizzativa diffusa alla base della quale collocare un’effettiva integrazione fra “linea” e funzione del personale (nelle valutazioni ma anche nelle scelte di personale). La valutazione è dunque un processo che permea molti ambiti della vita aziendale e che, quando viene utilizzato gestionalmente in modo finalizzato e sistematico, consente – come schematizzato nella figura che segue – di ottenere numerosi “effetti”. In sintesi, la valutazione non è un “momento” della vita lavorativa degli individui o un’attività di esclusiva pertinenza della Direzione del personale o della Linea, ma piuttosto è un processo continuativo di gestione, è uno stile di rapporto e di guida. 4 5.2 Gli “oggetti” di valutazione: cosa si valuta nelle organizzazioni La pratica valutativa, anche se non sempre sostenuta da sistemi e criteri espliciti e formalizzati, è presente e diffusa in ogni organizzazione e – come evidenzia una vasta letteratura in materia – si “concentra” sia sull’organizzazione stessa che sugli individui che vi operano. E’ così possibile distinguere fra metodologie e strumenti utilizzati per valutare la struttura organizzativa (posizioni e ruoli) e metodologie e strumenti per valutare le persone che lavorano al suo interno (caratteristiche, competenze e risultati). Seguendo un approccio, per così dire, sequenziale ai diversi oggetti di valutazione (prima l’organizzazione, poi le persone), risulta evidente come un’organizzazione abbia innanzitutto la necessità di definire il peso di posizioni e ruoli rispetto al perseguimento della propria strategia complessiva. Ovvero, necessiti di valutare il peso dei diversi ruoli organizzativi, al fine di stabilire una vera e propria ponderazione rispetto alle aree di responsabilità ed alle finalità a questi attribuiti. In organizzazioni complesse, l’attività di valutazione delle posizioni, ha dunque innanzitutto l’obiettivo di verificare che la struttura organizzativa sia effettivamente rispondente alle esigenze dell’impresa, ma anche di assegnare le diverse responsabilità in modo razionale e di retribuire in modo coerente al peso della posizione ricoperta coloro che la assumono. La valutazione delle posizioni, consente in altre parole – ma vi torneremo tra breve – di stabilire tra le diverse posizioni una “graduatoria” legata alla loro importanza/significatività per l’organizzazione che viene espressa sulla base di scale numeriche o l’appartenenza a classi di punteggio.5 Tale metodologia non si occupa di rilevare con quali risultati la persona ricopra un determinato ruolo/posizione, poiché l’area della modalità con cui un individuo esercita il proprio ruolo e raggiunge gli obiettivi a questo assegnati, fanno parte delle pratiche e delle metodologie di valutazione delle prestazioni. In altre parole, l’organizzazione è interessata a conoscere e verificare, sulla base di obiettivi e standard definiti, come le persone lavorano rispetto agli obiettivi che si è prefissata di ottenere. In genere, sapere in quale misura una persona ha raggiunto il risultato atteso e rilevare con quali comportamenti lo ha reso possibile, costituisce un presupposto importante per il sistema incentivante. 5 La valutazione delle posizioni è oggi quella che, nella realtà italiana, ha raggiunto rispetto alle altre tipologie di valutazione praticate in Azienda, il maggior grado di formalizzazione e diffusione. 5 Infine, come già più volte ricordato, alla luce del continuo adeguamento che le imprese sono costrette a realizzare dinanzi alla rapidità dei cambiamenti che le coinvolgono, non è più sufficiente selezionare ed inserire in azienda solo persone in grado di fornire risultati costanti in una determinata posizione/ruolo ma piuttosto, con apposite metodologie, individuare il possesso di caratteristiche che potrebbero, in futuro, consentire loro di assumere incarichi e responsabilità diversi (e più complessi) dell’attuale. Oggetto di valutazione divengono allora le caratteristiche potenziali, ovvero non pienamente espresse nella posizione attuale, delle persone e le metodologie/strumenti utilizzati e formalizzati per rilevarle sono quelli della valutazione del potenziale. In sostanza, queste metodologie/strumenti cercano di predire i risultati che le persone potranno raggiungere in posizioni e settori anche significativamente diversi da quelli oggi ricoperti. Nei contributi degli ultimi dieci anni, per quanto la sua origine vada fatta risalire agli anni Settanta, si va consolidando l’attenzione alla valutazione delle competenze, che ha come base l’esigenza di superare la prescrittività degli approcci basati sulla descrizione e la regolamentazione del lavoro da svolgere, procedendo da una più ampia comprensione e valorizzazione di ciò che le persone, in virtù appunto delle competenze possedute, possono essere in grado di fare. Spostare l’attenzione dalle posizioni alle competenze, significa rendere i confini dei ruoli e delle posizioni progressivamente più indefiniti ed allargare, di conseguenza, il campo di situazioni e compiti in cui le componenti più profonde e durature della personalità degli individui possono manifestarsi. Le competenze individuali, secondo questo approccio, divengono dunque il supporto per il conseguimento della vision e della mission aziendali le quali, a loro volta, sono sostenute dall’identificazione di specifiche competenze organizzative. Su questi temi torneremo con opportuni approfondimenti nei paragrafi che seguono, paragrafi ai quali – al fine di consentire una consultazione immediata ed una confrontabilità diretta delle diverse tipologie di valutazione proposte – si è pensato di attribuire una struttura omogenea. Verrà dunque data una breve descrizione identificativa (cos’è) della specifica tipologia valutativa affrontata (posizioni, prestazioni, potenziale, competenze) e del suo oggetto di valutazione (cosa valuta), ne verrà quindi descritto il processo (come si valuta), saranno poi identificati gli strumenti utilizzati per la sua realizzazione (con cosa si valuta) ed i ruoli ed i soggetti coinvolti (chi valuta chi) ed infine saranno precisati i vantaggi e le criticità/punti di attenzione specifici (cosa comporta per l’organizzazione e le persone). 6 La presentazione delle diverse forme e tipologie valutative, come già più volte ricordato, va collocata all’interno del più ampio sistema integrato di gestione (vedi Figura 1). ANALIZZARE RICONOSCERE RISULTATI (PRESTAZIONI) POSIZIONI VALUTARE COMPETENZE POTENZIALE SVILUPPARE VALORIZZARE Figura 2 – La valutazione in un sistema di gestione integrato 5.3 Tipi di valutazione a confronto: posizioni, prestazioni, potenziale, competenze 5.3.1 La valutazione delle posizioni Descrizione Anche se nelle organizzazioni si va affermando con sempre maggior forza una concezione organicistica dei ruoli (ruoli più flessibili, minore definizione dei confini, diffusione del lavoro di gruppo e per progetti, creazione di strutture interfunzionali), al posto di quella meccanicistica predominante negli scorsi decenni, il concetto di posizione e quello di mansione continuano, seppure evidentemente con un rilievo diverso rispetto al passato6, a rappresentare un punto di riferimento fondamentale per i processi di valutazione in ambito organizzativo. Fertonani parla di “crisi” della valutazione delle posizioni, connotandola come segue: “Questa funzione che ha affascinato per anni i responsabili in quanto immetteva 6 7 Infatti al fine di determinare un corretto trattamento ed un’equa retribuzione di tutto il personale è necessario, oltre ad assumere come riferimento il contratto collettivo di lavoro del settore specifico in cui l’azienda opera e le macro-categorie in cui vengono inquadrati i diversi livelli di professionalità e di competenza delle persone (dirigenti, quadri, impiegati, operai), utilizzare delle metodologie per stabilire quali differenze sussistano fra una posizione organizzativa e l’altra in termini di mansioni, compiti e responsabilità7 attribuite. L’azienda deve infatti, da un lato, tendere a retribuire i contributi individuali in modo differenziato ma anche, dall’altro, osservare un principio di equità: ovvero a parità di importanza del lavoro e del livello di prestazione fornita dovrà corrispondere una uguale retribuzione (Galbiati, 1993). Con l’obiettivo dunque di ponderare e di classificare le diverse posizioni aziendali, si utilizzano delle metodologie finalizzate alla loro analisi, descrizione e valutazione8 (Job evaluation). Oggetto di valutazione La valutazione delle posizioni è dunque finalizzata ad individuare come e quanto ogni singola posizione contribuisca al raggiungimento dei risultati aziendali. L’oggetto della valutazione delle posizioni è quello di stabilire, superando la semplice intuizione (per cui è evidente che un impiegato ricopre una posizione organizzativa di minore rilievo rispetto a quella, ad esempio, di un direttore), quanto vale, che “valore” ha una determinata posizione per l’organizzazione, cosa ci si attende dal titolare che la ricopre e quali compiti egli debba svolgere. nella gestione delle risorse umane un elemento di sistematicità, di certezza, di tecnicità, di metodo, sembra essere ormai entrata in crisi in concomitanza al cambiamento organizzativo che ha trasformato le strutture tecnocratiche aziendali in organizzazioni sempre pù snelle e flessibili”, Fertonani, M., La valutazione delle prestazioni e del potenziale manageriale, Franco Angeli, Milano, 1995, p.20 7 Riportiamo qui di seguito le pratiche definizioni proposte da Auteri in Auteri, E., Management delle risorse umane. Fondamenti professionali, Guerini e Associati, Milano, 1998, 2a edizione, p. 125 Compito: Singola attività svolta per il raggiungimento di un risultato. Mansione: Insieme di compiti (più o meno omogenei) che connotano lo spazio organizzativo affidato a una persona Posizione: Il punto occupato dal titolare di una mansione nella struttura organizzativa Ruolo: Il comportamento atteso dalla persona cui è affidata una posizione Struttura: Insieme delle posizioni contenute nell’organizzazione 8 Secondo la ricerca ISTUD, già più volte citata, l’analisi delle posizioni fa parte della strumentazione “stabile” delle attuali Direzioni del Personale, in quanto risulta presente e supportata da sistemi formalizzati nel 96% del campione intervistato. 8 Una volta analizzate le diverse posizioni che costituiscono la struttura organizzativa, queste vengono collocate in una graduatoria definita sulla base di punteggi assoluti o di fasce di punteggi (classi), a cui vengono collegati determinati valori retributivi stabiliti sia tenendo conto del mercato del lavoro, sia delle specifiche politiche retributive dell’azienda. Per quanto il collegamento con gli interventi di gestione delle retribuzione risulti il più immediato, la valutazione delle posizioni si qualifica, più in generale, anche come importante presupposto per chiarire la fisionomia e il funzionamento dell’organizzazione stessa (definendo le responsabilità attribuite specificamente ad ogni posizione e determinando il quadro delle loro relazioni reciproche); per supportare la progettazione/ri-progettazione organizzativa (mettendo in luce la presenza/assenza di opportuni livelli organizzativi); per fornire le basi ad altri importanti processi di sviluppo delle risorse umane. La valutazione delle posizioni costituisce infatti una pre-condizione che influenza non solo la definizione degli strumenti valutativi, ma stabilisce anche i parametri per la selezione del personale, consente di individuare le azioni di addestramento e formazione da promuovere per l’adeguamento delle prestazioni ai risultati attesi, contribuisce alla progettazione dei sistemi di direzione per obiettivi (vedi Figura 2). ANALISI REQUISITI DESCRIZIONE VALUTAZIONE RECLUTAMENTO E SELEZIONE VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI POLITICA E GESTIONE RETRIBUTIVA Figura 2 – Valutazione delle posizioni e processi di gestione delle risorse umane9 9 Schema tratto da Borgogni, L., (a cura di), Valutazione e motivazione delle risorse umane nelle organizzazioni, Milano, Franco Angeli, 1996 9 Processo di valutazione Il processo di valutazione delle posizioni si articola, generalmente, in quattro momenti distinti di: 1. Analisi 2. Descrizione 3. Definizione dei requisiti 4. Valutazione. 1. Analisi della posizione (Job analysis). In questa fase vengono raccolti ed esaminati dati ed informazioni relativi alla posizione: in sostanza, la fase di analisi consente di rispondere alle domande relative al “cosa”, al “come” e al “perché” dei compiti che caratterizzano una determinata posizione. A seguito della sua identificazione formale (titolo e collocazione nell’organigramma) si rilevano dunque i compiti (cosa), di natura fisica e intellettuale, che vengono svolti distinguendoli in principali e secondari, ricorrenti ed occasionali, si approfondisce la modalità (come) con cui vengono espletati (con quali processi, strumenti e tecnologie), si identificano le finalità (perché) con cui vengono sviluppati ed i prodotti/ risultati che determinano, oltre alla correlazione che la posizione ha con altre posizioni e con il contesto di riferimento. 2. Descrizione della posizione (Job description). Sulla base dei risultati emersi dalla precedente fase di analisi viene redatto un documento che formalizza e specifica, descrivendoli, i diversi elementi/fattori costitutivi della posizione: - - - il titolo, ovvero la denominazione della posizione all’interno dello specifico contesto aziendale; lo scopo, ovvero il risultato che deve fornire e per il quale è stata inserita nell’organigramma aziendale; le responsabilità/attività, cioè il grado di autonomia, le leve e le risorse che la posizione può utilizzare al fine di conseguire gli obiettivi attribuiti e le specifiche tipologie di attività che deve svolgere; le dimensioni, ovvero i dati quantitativi/numerici in base ai quali è possibile caratterizzare la posizione (dati di budget e di organico principalmente) e quantificare i risultati da essa forniti; le relazioni, cioè le diverse interrelazioni presenti, all’interno dell’organigramma, fra la posizione ed altre posizioni (da chi dipende, quali altre posizioni dipendono gerarchicamente o funzionalmente dal medesimo livello gerarchico, con quali altre posizioni ha rapporti ed attiva scambi); 10 - la finalità, ovvero il contributo specificamente fornito dalla posizione in esame al raggiungimento degli obiettivi aziendali, in altre parole con quali attività/responsabilità e con quali livelli di performance la posizione deve contribuire alle aree di risultato aziendale. 3. Requisiti della posizione (Job requirements/Job specifications). Questa fase del processo è finalizzata all’identificazione e alla descrizione dei requisiti (conoscenze, capacità, abilità, esperienza) che il titolare dovrebbe possedere per svolgere in modo funzionale ed efficace i compiti richiesti dalla posizione. La precisazione dei requisiti necessari, sposta la prospettiva di analisi ed approfondimento dal compito e dai comportamenti ad esso associati alle caratteristiche personali. Ovvero, alla componente umana della posizione organizzativa. 4. Valutazione delle posizioni (Job evaluation). Il processo si completa con la ponderazione del valore relativo che una posizione assume all’interno della struttura organizzativa in rapporto alle altre posizioni presenti. Ciò significa che ogni singola posizione, dopo che è stata analizzata e descritta nel suo valore oggettivo, viene confrontata con le altre posizioni e se ne determina il valore indipendentemente dalla persona che la ricopre. Questa fase del processo poggia generalmente sull’utilizzo di sofisticati sistemi di ponderazione e classificazione, in genere, riadattati pressoché da ogni azienda alla propria specifica condizione strutturale ed operativa. Strumenti Gli strumenti utilizzati all’interno della più generale cornice della valutazione delle posizioni si differenziano a seconda delle fasi di attività cui si riferiscono: strumenti e tecniche finalizzati alla raccolta sistematica di dati ed informazioni nella fase di analisi, strumenti e tecniche finalizzati alla ponderazione ed al confronto quali-quantitativo nella fase di valutazione. 1. L’analisi della posizione, in quanto attività centrata sulla raccolta di elementi conoscitivi, si avvale della classica strumentazione impiegata per la rilevazione dei dati, ovvero delle tecniche di: osservazione, intervista, questionario. In genere, a seconda della maggiore o minore accuratezza che si intende perseguire nella raccolta, le tecniche vengono utilizzate in combinazione tra loro. L’osservazione diretta consente di rilevare le attività svolte da una persona per espletare i compiti attribuiti alla sua posizione e risulta di particolare efficacia laddove le attività siano piuttosto semplici e ripetitive, 11 di prevalenza manuali e all’interno di un ciclo di lavoro piuttosto breve. Questa tecnica risente tuttavia dei limiti propri dell’influenza che la presenza di un osservatore determina su chi viene osservato e necessita comunque di integrazioni con altre fonti informative (in genere il superiore diretto). Il questionario viene utilizzato quando si intendono raccogliere dati da ampie fasce della popolazione aziendale o quando le attività risultano alquanto standardizzate (è raro, ad esempio, che il questionario venga somministrato a posizioni alte o complesse, quali quadri e dirigenti). Il questionario può presentare vari gradi di strutturazione: da un minimo di strutturazione, in cui pone solo domande aperte e richiede al titolare di descrivere compiti, condizioni operative, attrezzature e strumenti, ad un massimo di strutturazione in cui propone delle check-list o job inventory e richiede al titolare della posizione se e in che modo (importanza, frequenza) determinati compiti/attività sono presenti nello svolgimento del suo lavoro. L’intervista10 al titolare della posizione è, nella pratica aziendale, la tecnica più usata soprattutto per ruoli manageriali o ad alta specializzazione. L’intervista si basa su una traccia, più o meno strutturata, che consente all’intervistatore di raccogliere in modo formalizzato e quantificabile le informazioni necessarie. La tecnica dell’intervista consente il coinvolgimento diretto del titolare della posizione e, successivamente, del suo superiore diretto, ma richiede anche un buon livello di preparazione da parte di chi la conduce (per restituire un quadro quanto più possibile “oggettivo” dei dati raccolti) e la sua realizzazione può comportare un notevole dispendio di tempo. Vi è poi un’ulteriore tecnica, detta degli “eventi critici”, che si differenzia dai metodi precedenti perché l’unità di analisi utilizzata è quella dei comportamenti messi in atto dal titolare della posizione. In particolare, la tecnica mira ad identificare quei comportamenti che contribuiscono al successo o all’insuccesso nello svolgimento dei compiti attribuiti alla posizione e si basa sulla rilevazione, tramite intervista al titolare e al suo superiore diretto, di situazioni concrete nelle quali la prestazione fornita sia risultata particolarmente positiva e negativa. Le situazioni descritte sono poi analizzate per individuare il tipo di comportamenti ad esse associate. 2. La valutazione della posizione è, come già ricordato, la fase del processo valutativo in cui una determinata posizione viene “pesata” e confrontata con le altre posizioni presenti nella struttura aziendale, al fine di Vedi Castiello D’Antonio, A., Interviste e colloqui in azienda, Raffaello Cortina, Editore, Milano, 1994, pp. 107-111 10 12 determinarne il suo valore relativo. Per la realizzazione di tale ponderazione vengono utilizzate diverse metodologie, in sintesi (Boldizzoni, 2003): metodi quantitativi, basati su un sistema di punti che consente di misurare la differenza di importanza tra diverse posizioni e metodi non quantitativi, basati su un criterio di ordinamento delle posizioni secondo una “gerarchia di importanza” che non rileva quantitativamente le differenze tra una posizione e l’altra; metodi globali, che considerano la posizione nel suo insieme definendone il valore complessivo ed i metodi analitici, che scompongono la posizione nei suoi elementi significativi ed attribuiscono a ciascuno di questi un punteggio/giudizio, così che il valore complessivo della posizione viene determinato dalla sommatoria di più punteggi/giudizi; i metodi basati sul processo decisorio, quali in noto metodo Hay11 il quale, partendo dal presupposto che ogni posizione aziendale ha motivo di esistere in quanto produce risultati, individua tre fattori valutazione: la competenza, il problem solving e la finalità. Pertanto, in ogni posizione è possibile identificare un certo numero di obiettivi da conseguire (finalità), i quali devono essere raffrontati, in termini di importanza, con i più generali obiettivi aziendali. Per conseguire i risultati attesi, il titolare della posizione deve tuttavia possedere determinate conoscenze e capacità (competenza) ed una certa capacità di analisi, valutazione, ragionamento e sintesi (problem solving). Ruoli e soggetti coinvolti Lo sviluppo del processo di valutazione delle posizioni coinvolge, a vario titolo, diverse tipologie di interlocutori: alcuni (di solito un “campione” più o meno ampio) direttamente nella realizzazione delle attività di analisi e valutazione, molti (potremmo dire l’intera organizzazione) nella fase successiva ai suoi esiti (spesso infatti ad una valutazione delle posizioni accuratamente condotta seguono interventi ed operazioni di riorganizzazione interna). Le fonti privilegiate nella fase di analisi sono il titolare della posizione ed il suo superiore diretto, che solitamente svolge un ruolo di verifica sulle informazioni raccolte. Le informazioni possono essere utilizzate congiuntamente oppure separatamente e rilevate con un maggiore/minore grado di accuratezza/profondità a seconda degli scopi della valutazione. 11 Per un approfondimento del metodo Hay si rimanda a: AA.VV., (a cura di Hay Group), Risorse umane e logiche d’impresa. Idee, metodi e strumenti per collegare le risorse umane alle strategie aziendali, Pirola Editore, Milano, 1993 e a Aiuto, G., Galbiati, M., “L’analisi e la valutazione delle posizioni con il metodo Hay”, in Costa, G. (a cura di), Manuale di gestione del personale, UTET, Torino, 1992 13 In genere, la somministrazione di questionari o la realizzazione di interviste, viene svolta da esperti appartenenti a Società di Consulenza, i quali forniscono – quantomeno in fase di avvio del processo – una funzione di supporto e di trasferimento di know-how agli specialisti della Funzione del Personale. Esperti esterni sono coinvolti anche nella realizzazione delle attività di valutazione soprattutto quando queste prevedono l’utilizzo di specifici e sofisticati supporti informatici (oggi particolarmente diffusi in molte realtà aziendali). Ad un Comitato di Valutazione interno o “misto” (interni e Consulenza) viene infine demandata la validazione delle analisi, delle descrizioni e delle valutazioni effettuate dagli specialisti al fine di stabilirne l’effettiva rispondenza con la cultura, le pratiche ed i “linguaggi” della specifica realtà aziendale. Vantaggi, punti di attenzione La valutazione delle posizioni, soprattutto quando viene effettuata con metodi quantitativi standardizzati e diffusi, consente di: - confrontare il valore delle diverse posizioni/ruoli aziendali con quelli di altre organizzazioni e dunque individuare eventuali discrepanze nei livelli di autonomia o di retribuzione attribuiti; - verificare l’adeguatezza della struttura organizzativa rispetto alla specifica fase evolutiva che l’azienda sta attraversando per identificare eventuali anomalie (carenza/eccedenza di livelli organizzativi); - definire politiche di inquadramento basate sull’importanza dei ruoli. A questi indubbi vantaggi nelle aziende va oggi diffondendosi la consapevolezza che a fronte di strutture piatte, di interventi di accorciamento significativo della linea gerarchica, di richieste sempre più esplicite di interfunzionalità, appare “perlomeno inopportuno, se non inutile, lo sforzo di fissare le posizioni in uno schema necessariamente rigido”. 12 I tentativi di trovare interventi e metodologie alternative alla job evalutation trovano nell’area dei “modelli di competenze” il loro attuale terreno di sperimentazione. 5.3.2 La valutazione delle prestazioni Descrizione Mentre nella valutazione delle posizioni l’attenzione si concentra sul lavoro da svolgere e sulla sua articolazione in attività e compiti, la valuta12 Fertonani, M., op. cit., p. 20 14 zione delle prestazioni si focalizza sulla persona e, specificamente, sui suoi comportamenti nell’esercizio del ruolo assegnatogli. La valutazione delle prestazioni, in altre parole, è il processo attraverso il quale l’azienda misura e valuta, in un arco di tempo stabilito, ciò che il singolo ha realizzato e come lo ha realizzato in funzione degli obiettivi propri della posizione ricoperta. Nonostante il riferimento adottato nella valutazione delle prestazioni sia, in genere, un periodo definito (quasi sempre un anno), data la sua centralità rispetto all’assunzione di decisioni relative alla persona (incentivazione, formazione, carriera, sviluppo professionale), il processo tende a connotarsi come un ciclo continuo nel corso del quale capo e collaboratore non solo condividono gli obiettivi da perse-guire, ma stabiliscono anche i momenti e le modalità di verifica e controllano i risultati finali. La valutazione delle prestazioni esprime la sua massima efficacia laddove viene assunta quale strumento di supporto allo sviluppo di una cultura gestionale basata sulla condivisione ed il confronto, sulla trasparenza dei rapporti e sulle possibilità di miglioramento per i singoli. La sua sistematicità (necessaria per apprezzare l’andamento della performance nel tempo), la sua realizzazione mediante procedure e parametri definiti, comunicati e condivisi (necessari a garantire equità e confrontabilità delle valutazioni), il suo ricorso ad un linguaggio uniforme ed esplicito (necessario per consentire al lavoratore l’esatta comprensione di ciò che l’azienda si attende da lui) rappresentano di fatto le principali “garanzie” per un utilizzo realmente finalizzato allo sviluppo individuale ed organizzativo, anche se non in tutte le realtà ne viene scoraggiato un utilizzo prettamente burocratico/amministrativo ed una applicazione prettamente procedurale. Oggetto di valutazione La misurazione della prestazione consente dunque all’organizzazione di capire quanto una persona sia riuscita a contribuire al raggiungimento degli obiettivi aziendali e specificamente: in che misura abbia svolto i compiti propri della posizione ricoperta; quali siano stati – da un punto di vista sia qualitativo che quantitativo – i risultati prodotti e quali gli obiettivi raggiunti; quali competenze, capacità, conoscenze la persona sia riuscita a sviluppare; quali comportamenti abbia concretamente agito. Da questa sintesi risulta evidente che la valutazione della prestazione non identifica un unico oggetto di rilevazione ma piuttosto ne contempla una varietà categorizzabile in due grandi “famiglie”: 1. gli obiettivi di prestazione: i risultati forniti 2. i comportamenti organizzativi: i comportamenti agiti per fornire i risultati, perseguire gli obiettivi assegnati. 15 Rispetto agli oggetti di rilevazione la valutazione della prestazione procede quindi sostanzialmente su due aree: 1. la verifica del raggiungimento degli obiettivi assegnati nel periodo di tempo considerato e la misurazione di eventuali scostamenti, mediante il ricorso ad indicatori di ordine qualitativo e quantitativo (soprattutto su questi ultimi perché ritenuti, in qualche modo, più oggettivi); 2. l’analisi del modo con cui il risultato è stato raggiunto, ovvero analisi delle competenze espresse e dei comportamenti agiti dal titolare della posizione nell’esercizio del ruolo. In altre parole, la valutazione si realizza confrontando gli obiettivi prefissati con i risultati effettivamente raggiunti, i compiti assegnati con i compiti eseguiti, i comportamenti richiesti /attesi con quelli agiti. Processo di valutazione Il riferimento ad oggetti di valutazione fra loro così diversi (risultati e comportamenti) ha determinato, e determina a tutt’oggi, tre diverse modalità di approccio13 al processo di rilevazione delle prestazioni: valutazioni tese a rilevare i risultati quantificabili conseguiti da una o più persone indipendentemente dai fattori di processo, ovvero dal come i risultati siano stati raggiunti (in genere si tratta dei sistemi di MBO 14 Management by Objectives – che riguardano ruoli manageriali nei quali la discrezionalità e l’autonomia assegnata agli individui per il raggiungimento degli obiettivi risulta particolarmente elevata); valutazioni focalizzate sui comportamenti agiti in quanto ritenuti strettamente correlati al raggiungimento dei risultati: questo approccio ha una sua validità quando si fonda su un’attenta ed approfondita correlazione fra comportamenti e risultati oppure sull’identificazione di competenze Provenzano, M.T., “La valutazione delle risorse umane”, in I sistemi di MBO sono derivati da una prima elaborazione effettuata da Peter F. Drucker negli anni ’50 ed hanno raggiunto un notevole livello di diffusione nella realtà aziendale italiana attorno agli anni Ottanta. Il presupposto di fondo di questi sistemi è quello del coinvolgimento del management nella gestione aziendale complessiva, stimolando e sviluppando più consistenti orientamenti imprenditoriali nei manager anche a fronte di incentivi economici dimensionati rispetto al raggiungimento degli obiettivi. Per una più ampia trattazione del tema si rimanda oltre alle sintesi presenti nei testi citati di Fertonani (1996) e Auteri (1998), al contributo di Broglio, A., “Il sistema di valutazione delle prestazioni”, in Costa, G. (a cura di), op.cit, pp. 13 14 16 che abbiano un legame causale con risultati di eccellenza, poiché la rilevazione di comportamenti generici quali la disponibilità e l’impegno non offre alcuna garanzia in termini di risultati; valutazioni che integrano i due approcci precedenti ritenendo di uguale importanza sia il cosa è stato raggiunto, ma anche il come ed utilizzano per gli uni parametri di tipo quantitativo (indicatori, fattori numerici) e per gli altri parametri di tipo qualitativo. Il processo di valutazione delle prestazioni si compone generalmente di quattro fasi che coinvolgono direttamente il valutato ed il suo superiore diretto in un rapporto continuativo, di scambio e di negoziazione (figura 4): a. Assegnazione degli obiettivi b. Verifiche periodiche c. Valutazione dei risultati conseguiti d. Comunicazione della valutazione. Affinché il processo assuma la connotazione di un effettivo supporto al miglioramento delle performance individuali ed aziendali, tutte le sue fasi necessitano di un attento presidio da parte dei due attori coinvolti: è infatti diffusa la tendenza, spesso a seguito di oggettive condizioni di pressione operativa, a condensare ed identificare il processo solo con la sua fase conclusiva ovvero con l’espressione del giudizio circa il raggiungimento o meno dei risultati attesi. a. Assegnazione degli obiettivi: Nel corso di un colloquio, posto all’inizio del periodo di osservazione, valutatore e valutato definiscono e formalizzano i risultati attesi, ovvero individuano e condividono, quantificandoli e ponderandoli, gli obiettivi da perseguire ed impostano, secondo condizioni di trasparenza ed oggettività, la relazione che pone le basi per l’avvio del processo valutativo. Gli obiettivi (Broglio, 1992), affinché risultino realistici e perseguibili devono essere definiti come risultati di attività concrete e descritti in modo completo secondo criteri di: coerenza con le aree di responsabilità proprie della posizione, misurabilità (sulla base di indicatori numerici o qualitativi), significatività (correlazione con le aree critiche di risultato previste per la posizione), raggiungibilità (coerenza con le condizioni operative, organizzative e personali). Nella pratica aziendale gli obiettivi assegnati non sono più di 6-8 e vengono ordinati secondo una graduatoria di importanza relativa basata sull’assegnazione di un peso percentuale a ciascuno di essi (es. al di sotto del 10% l’obiettivo non viene ritenuto conseguito). 17 b. Verifiche periodiche: Il contatto durante l’operatività quotidiana consente al valutatore di realizzare costantemente verifiche informali sull’andamento del lavoro e dunque sull’adeguatezza o meno dei comportamenti agiti dal valutato, utilizzando momenti altrettanto informali (in genere pause, incontri casuali in “corridoio”) per comunicare opinioni, pareri, indicazioni. Affinché tuttavia non si disperdano le possibilità di riorientamento e di miglioramento della performance individuale è necessario che almeno una o due volte l’anno (nella pratica aziendale generalmente, una) capo e collaboratore condividano momenti “formali” di verifica in cui possano ripercorrere con sistematicità e tranquillità, gli obiettivi stabiliti e le eventuali condizioni che ne stanno rendendo più facile o più complesso il raggiungimento rispetto alle previsioni. La formalità del momento di verifica è appunto necessaria al mantenimento di un’adeguata “tensione” e corresponsabilizzazione rispetto all’evolversi del processo. c. Valutazione dei risultati conseguiti: Al termine del periodo stabilito il valutatore esprime su un’apposita scheda di valutazione il grado di raggiungimento degli obiettivi assegnati e dimensiona i risultati forniti. Sulla scheda viene formulata quindi una valutazione di sintesi sia sugli aspetti quantitativi della prestazione fornita che, in genere, sui suoi aspetti qualitativi ovvero sulle capacità, qualità, conoscenze espresse od acquisite dalla persona nel periodo considerato. d. Comunicazione della valutazione: Perché il processo abbia effettiva efficacia è necessario che alla formulazione della valutazione segua la sua comunicazione al valutato durante un colloquio a questo appositamente dedicato. Il colloquio dovrebbe avere un andamento “negoziale”: il valutatore non dovrebbe cioè limitarsi ad esprime il proprio giudizio unilateralmente ma piuttosto richiedere contributi, osservazioni e considerazioni al valutato dandogli così la possibilità di partecipare attivamente alla revisione della propria performance lavorativa. Il colloquio finale ha anche la finalità di far emergere e condividere con il valutato eventuali situazioni contingenti (organizzative, personali) che possano aver condizionato la prestazione annuale, così come individuare eventuali aree da sviluppare/potenziare ricorrendo ad interventi di formazione/ addestramento. 18 Strumenti I principali strumenti utilizzati nella valutazione delle prestazioni sono sia di carattere formale (schede di valutazione) che di carattere relazionale (colloqui). OBIETTIVI ANNUALI DELL’AZIENDA OBIETTIVI ANNUALI DELL’UNITA’ OPERATIVA COLLOQUIO OSSERVAZIONE E SUPPORTO 1 . ASSEGNAZIONE E CONDIVISIONE OBIETTIVI INDIVIDUALI 2 . VERIFICHE PERIODICHE ANDAMENTO PRESTAZIONE RISULTATI RAGGIUNTI COMPILAZIONE SCHEDA COLLOQUIO COMPORTAMENTI AGITI 3 . VALUTAZIONE COMPLESSIVA DELLA PRESTAZIONE 4 . COMUNICAZIONE DELLA VALUTAZIONE COMPETENZE ESPRESSE Figura 3 – Il processo di valutazione delle prestazioni Scheda di valutazione - La scheda di valutazione è il documento “base” della valutazione delle prestazioni. E’ infatti il documento nel quale, durante il colloquio di avvio del processo valutativo, il capo formalizza gli obiettivi da perseguire e condivide con il valutato gli indicatori per la rilevazione della dimensione “qualitativa” della sua performance, i compor- 19 tamenti organizzativi15. La scheda si compone generalmente di tre sezioni: a) una introduttiva, nella quale vengono riportate le specifiche anagrafiche ed aziendali del valutato e le indicazioni relative al periodo di tempo cui verrà riferita la rilevazione; b) una sezione specificamente dedicata alla valutazione degli obiettivi assegnati e dei comportamenti organizzativi agiti da esprimere sia in forma dettagliata che sintetica (giudizio complessivo sulla prestazione); c) una integrativa, nella quale il valutatore esprime le proprie considerazioni o fornisce indicazioni riguardo alle esigenze di sviluppo/formazione del valutato, le eventuali implicazioni gestionali in termini di carriera e retribuzione, le caratteristiche di potenziale espresse. Osservazione - L’attività di osservazione e di raccolta dati dovrebbe essere svolta continuativamente dal valutatore per tutto il periodo di riferimento. Lo scopo dell’osservazione è quello di raccogliere informazioni e dati relativi all’andamento quotidiano della prestazione, al fine di consentire una successiva e dettagliata analisi traguardata agli obiettivi ed agli indicatori di comportamento inseriti nella scheda di valutazione. Con tanta maggiore assiduità e sistematicità l’attività di osservazione verrà svolta dal valutatore (vincendo resistenze e “fatica”), tanto più agevole risulterà la realizzazione della valutazione finale. All’osservazione si accompagnano, in genere, contestuali iniziative di supporto da parte del capo, al fine di riorientare performance poco soddisfacenti o di rinforzare comportamenti positivi. Colloqui - Sulle finalità (assegnazione degli obiettivi, verifiche periodiche, comunicazione della valutazione) con cui i colloqui si inseriscono nel processo di valutazione delle prestazioni abbiamo già accennato in precedenza. Qui ci preme sottolineare che il colloquio, affinché rappresenti realmente uno strumento all’interno della relazione capo/collaboratore, deve essere opportunamente presidiato sia dal punto di vista delle modalità di conduzione che dei fattori di contesto (non solo ambientale ma più generalmente organizzativo) in cui viene svolto16. Il colloquio, per conseguire gli obiettivi che si prefigge con maggiori garanzie di efficacia, necessita da parte del capo valutatore di un’adeguata attenzione alla gestione delle sue fasi principali: la preparazione (prima), la conduzione (durante), l’utilizzo gestionale dei dati (dopo). 15 Uno schema di riferimento per la classificazione dei comportamenti organizzativi è quello che prevede la distinzione in tre categoria fondamentali (Boldizzoni, 2003): capacità mentali, capacità di pensiero quali l’analisi e la sintesi, capacità organizzative, le capacità gestionali quali il controllo, la pianificazione, la realizzazione, capacità relazionali, le abilità sociali di interazione con gli altri quali la comunicazione, la leadership, l’ascolto, la gestione dei conflitti. 16 Vedi Castiello D’Antonio, A., op.cit., pp. 131-140 20 In particolare, la fase di preparazione/programmazione, risulta di particolare rilievo in quanto il valutatore, dopo aver formulato il giudizio complessivo sulla prestazione del collaboratore sulla base di quanto raccolto in corso d’anno, organizza e seleziona le informazioni da trasmettergli ed ipotizza le modalità di comunicazione più coerenti affinché la relazione reciproca si svolga all’insegna della chiarezza e, quanto più possibile, della “personalizzazione”. Durante la fase di conduzione vera e proprio del colloquio, oltre al presidio delle componenti strutturali (avvio, sviluppo, chiusura) e di contenuto (informazioni da comunicare al collaboratore), il valutatore dovrà curare specificamente la dimensione relazionale, così che non solo il collaboratore possa sentirsi a proprio agio e dunque possa accogliere costruttivamente la valutazione espressa, ma anche possa avere spazio e tempi adeguati per esprimersi, chiedere chiarimenti, avanzare le proprie “interpretazioni” e contribuire, in modo negoziale, alla definizione del proprio (eventuale) piano di miglioramento. Successivamente al colloquio, altrettanto importante sarà la fase di sistematizzazione da parte del valutatore delle informazioni raccolte dal e sul collaboratore e la comunicazione di queste alla Direzione del personale in vista dell’assunzione di decisioni in merito a formazione/addestramento, retribuzione, sviluppo della persona. Per questi motivi, ovvero data la centralità dello strumento-colloquio all’interno della prassi valutativa delle prestazioni, in molte realtà aziendali vengono predisposti opportuni percorsi formativi per i capi-valutatori finalizzati alla conoscenza dell’intero processo (finalità e strumenti), nonché alla gestione funzionale dei colloqui previsti (iniziale, intermedio, finale). Ruoli e soggetti coinvolti Il processo di valutazione delle prestazioni coinvolge direttamente capo e collaboratore. Il superiore del capo diretto convalida la valutazione espressa. Negli ultimi anni il valutato ha assunto un ruolo sempre più attivo nel processo, venendo coinvolto non solo nella negoziazione iniziale degli obiettivi ma anche nell’espressione di una propria auto-valutazione. In ragione delle modificazioni subite dagli organigrammi aziendali e del loro snellimento, la valutazione espressa secondo la linea gerarchica ha cominciato ad evidenziare alcuni limiti di parzialità e, in alcuni contesti, sono state inserite metodologie di valutazione a “360°”17 nelle quali il me17 Il feedback multipolare (o a 360°) è il processo in base al quale una persona riceve il feedback da più soggetti ricavando una visione a 360° del modo in cui lavora e di quanto questo influenza i suoi rapporti con le diverse categorie di interlocutori: quelli che lavorano 21 desimo soggetto viene valutato da più valutatori individuati fra gli interlocutori di ruolo più significativi (capi della funzione di appartenenza, capi di altre funzioni, colleghi, collaboratori, clienti). La valutazione così ottenuta è più ampia e completa e fornisce un quadro più dettagliato degli ambiti di miglioramento e/o delle esigenze di formazione dell’individuo. Vantaggi, punti di attenzione Applicando le metodologie di valutazione delle prestazioni in modo sistematico e continuativo i vantaggi che possono essere ottenuti riguardano: l’organizzazione, il valutato ed il valutatore. L’organizzazione può beneficiare di valutazioni fra loro coerenti e quanto più possibile oggettive, può identificare il contributo dei singoli individui rispetto alle posizioni ricoperte e derivare dai risultati forniti eventuali esigenze di formazione, sostegno e sviluppo. Le pratiche della performance appraisal possono inoltre concorrere ad un più efficace assetto organizzativo, nonché al miglioramento della comunicazione e dei rapporti interni. Il valutato può ricevere indicazioni per migliorare i propri risultati e comportamenti, può essere gratificato per le prestazioni positive fornite ed, infine, può conoscere con chiarezza ciò che nell’Azienda si attende da lui rispetto alla posizione assegnata. Il valutatore ha la possibilità di stabilire una relazione chiara e finalizzata con i propri collaboratori, di favorire il loro sviluppo o di individuare le iniziative più opportune da intraprendere per rendere i risultati adeguati alle attese, di comprendere quale sia (oggi e in futuro) il migliore utilizzo per ognuna delle proprie risorse. Indubbiamente un punto di attenzione che, nonostante la diffusione della sua pratica, ancora riguarda la valutazione delle prestazioni è quello relativo alla difficoltà da parte dei capi a scindere i buoni livelli di prestazione attuale della persona dalle caratteristiche di potenziale necessarie per far loro ricoprire, in futuro, ruoli gestionalmente più complessi. Spesso si assiste infatti all’utilizzo degli esiti positivi della prestazione quale criterio per predire il successo in altre posizioni/incarichi. Sussiste infatti, come esemplificato in figura 4, una significativa differenza tra prestazioni e potenziale. con e per il soggetto (colleghi e subordinati) e quelli per i quali il soggetto lavora (capi e clienti). Un’agile guida al feedback a 360° è reperibile in Jude-York, D., Wise, S.L., Il feedback multipolare, Franco Angeli, Milano, 1998 (edizione originale, 1997) 22 5.3.3 La valutazione del potenziale Descrizione Il processo di analisi e valutazione del potenziale si qualifica come un’attività diagnostica indirizzata ad individuare le capacità potenziali, ovvero le attitudini dei membri di un’organizzazione per poterne orientare lo sviluppo verso posizioni e funzioni diverse da quelle attuali. PRESTAZIONI POTENZIALE quanto vale ciò che è STATO FATTO quanto si potrebbe DARE/FARE RISULTATI CONSEGUITI DA UNA PERSONA (rispetto a quelli attesi) RISULTATI POSSIBILI DA UNA PERSONA (in ruoli diversi dall’attuale) OTTICA AL PASSATO OTTICA AL FUTURO si valuta ANALIZZANDO RISULTATI FATTI ACCADUTI nell’azione di ogni singolo si valuta INDIVIDUANDO CARATTERISTICHE PROFESSIONALI di ogni singolo ESEMPI * Obiettivi conseguiti * Errori commessi ESEMPI * Collaboratività * Creatività * Autonomia Figura 4 – Differenze tra prestazioni e potenziale18 Padovese, L., “Valutazione e carriere”, in Dispensa interna del Corso in “Organizzazione e gestione delle risorse umane”, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Scienze della Formazione, a.a. 2002-2003 18 23 A differenza dunque della valutazione delle prestazioni che assume quale riferimento il “passato” (ciò che una persona ha fatto, quali risultati ha conseguito), la valutazione del potenziale assume quale ottica il “futuro” (ciò che una persona potrebbe dare o fare). La valutazione del potenziale di fatto procede e si fonda su due postulati (Costa, 1997): 1. ogni lavoratore possiede energie, attitudini, abilità delle quali una parte viene utilizzata per le attività ed i compiti propri del ruolo attualmente ricoperto, mentre una parte non viene ancora impiegata e resta in una situazione di potenziale disponibilità; 2. il “surplus” di dotazione individuale non ancora impiegato può essere individuato con appositi strumenti e valorizzato con opportune politiche. Si può di fatto affermare che “la valutazione del potenziale costituisce un processo di ri-selezione, operato dall’interno con finalità di sviluppo del valutato”.19 La valutazione del potenziale, come azione gestionale, corrisponde pertanto ad un’attività analitica e sistematica di raccolta, organizzazione e formalizzazione di dati e informazioni sulle attitudini e le competenze (conoscenze e capacità) possedute da una persona a fronte delle caratteristiche richieste dall’azienda per il ruolo da ricoprire in prospettiva. Introdotta in Italia attorno agli anni ’60 si è diffusa soprattutto nelle aziende di grandi dimensioni, dove continua a trovare il terreno più fertile di sperimentazione e concettualizzazione.20 L’attenzione delle aziende nei confronti dell’applicazione delle metodologie di valutazione del potenziale è andata aumentando di pari passo con la necessità di rispondere tempestivamente alle sollecitazioni dei mercati e dunque di reperire al proprio interno persone che per professionalità e valori siano già in sintonia con le prassi e la cultura aziendali. Tuttavia, poiché la valutazione del potenziale è di prevalenza un’attività “di previsione e di prognosi” (Auteri, 1998), che si fonda su un oggetto eminentemente “qualitativo”, rappresenta altresì uno strumento di notevole complessità, che richiede la presenza in azienda di una cultura e di professionalità adeguate ad operare scelte metodologiche efficaci. 19 Costa, G., Economia e direzione delle risorse umane, Utet, Torino, 2003, (1a edizione, 1997), p. 361 20 Si veda a questo proposito l’ampia documentazione riportata da Fertonani nei due testi più volte citati e riferita alle esperienze realizzate nelle grandi Aziende italiane. 24 La complessità dello strumento e le difficoltà legate alle precondizioni necessarie al suo utilizzo rappresentano a tutt’oggi la motivazione della discrepanza che si rileva tra le dichiarazioni relative all’importanza della valutazione del potenziale ed una certa difficoltà ad inserirla sistematicamente fra le pratiche aziendali. Oggetto di valutazione La definizione di potenziale ha assunto in passato accezioni assai diverse a seconda che venissero privilegiati gli approcci basati sulla predominanza dei fattori esterni all’individuo (contingenze ambientali) oppure quelli basati sulla predominanza dei fattori interni (strutture/attività mentali). Oggi la prospettiva più condivisa ed adottata è quella che assume come riferimento l’interazione fra individuo ed ambiente, sostenendo che l’ambiente può avere un effetto “maieutico” sull’emergere di determinate caratteristiche ed abilità possedute dall’individuo ma anche che queste devono far già parte del “bagaglio stabile” della persona affinché possano manifestarsi. In base a tale approccio il potenziale viene definito come: “l’insieme delle caratteristiche che si ipotizza siano a disposizione di un individuo ma che, nei momenti e nelle situazioni considerate, non hanno la possibilità di essere manifestate e quindi risultano sconosciute”21. La prospettiva “interazionista” tiene inoltre conto dei diversi livelli che, all’interno del sistema aziendale, interagiscono in modo continuo, influenzandosi reciprocamente: ovvero, il livello psicologico, il livello organizzativo ed il livello culturale22, ciascuno dei quali costituisce un punto di vista secondo cui il concetto di potenziale può essere considerato e viene ad assumere significati diversi. Dal punto di vista metodologico possono poi essere individuati due diversi criteri di interpretazione delle attività proprie della valutazione del potenziale e dunque delle strumentazioni a queste riferibili: Levati, W., L’analisi e la valutazione del potenziale delle risorse umane. Teoria, metodi, strumenti, Franco Angeli, Milano, 1992 (2a edizione), p. 13 22 “Dal punto di vista psicologico, il potenziale può essere considerato come l’insieme delle energie, delle capacità e delle attitudini presenti in un individuo, ma che non sono richieste dalla posizione che egli al momento ricopre, o che non sono utilizzate per mancanza di esperienza o di know-how. Dal punto di vista organizzativo il potenziale si viene a configurare come il confronto tra le caratteristiche di un individuo e le caratteristiche richieste per ricoprire al meglio una determinata posizione (requisiti attitudinali). (…) Dal punto di vista culturale il potenziale può essere considerato come il confronto tra cultura dell’organizzazione e cultura dell’individuo, intesa nell’accezione di sistemi di valori e di modalità interattive e comunicazionali, nonché di schemi di riferimento comportamentali.” Levati, W., ibidem, p. 13 21 25 1. secondo il primo criterio il potenziale di una persona può essere analizzato in una dimensione assoluta ovvero senza il riferimento ad un ruolo o ad un tempo specificamente definiti; 2. in base al secondo criterio invece la potenzialità ha solo una dimensione relativa, ovvero può essere tradotta in un giudizio di sviluppabilità relativa, nel senso che, con riferimento alle prestazioni attuali, si presume la possibilità di sviluppo a breve della persona verso posizioni ben definite. In questo caso il giudizio, a differenza del primo basato su una dimensione “psicologica” che cerca di apprezzare la qualità della persona in sè, assume una dimensione più prettamente “organizzativa” (prestazione attuale, ruolo futuro) che non a caso risulta quella oggi prevalentemente adottata dalle aziende. 23 Se questa è dunque la logica in base alla quale viene oggi identificato e definito il potenziale nel suo complesso, nello specifico di “cosa” si valuta quando si valuta il potenziale, il riferimento è – pur nelle differenze terminologiche e descrittive proprie di ogni contesto aziendale – a quattro aree24: 1. area delle capacità cognitive – sono le capacità, quali l’analisi e la soluzione dei problemi, che riguardano il processo logico nel suo insieme; 2. area delle capacità realizzative – sono le capacità, quali la decisione, la pianificazione, la gestione del cambiamento, che implicano attività di carattere prettamente gestionale; 3. area delle capacità relazionali – sono le capacità, quali la comunicazione, la leadership, che attengono la gestione efficace dei rapporti interpersonali; 4. area delle metacapacità o qualità – sono le caratteristiche personali, quali l’equilibrio, lo spirito d’iniziativa, la positività, che costituiscono i “plus” che completano ed arricchiscono qualitativamente l’espressione e l’esercizio delle capacità (Figura 5). 23 Auteri, E., Management delle risorse umane. Fondamenti professionali, Guerini e Associati, Milano, 1998 (2a edizione), pp. 140-144 24 Rotondi, G.M., Valutare il potenziale, Ipsoa, Milano, 2003, p. 31 26 1 . CAPACITA’ COGNITIVE 2 CAPACITA’ REALIZZATIVE AREE DI VALUTAZIONE DEL POTENZIALE QUALITA’ PERSONALI 4 CAPACITA’ RELAZIONALI 3 Figura 5 – Aree di valutazione del potenziale Per concludere possiamo riassumere che il potenziale come “oggetto” di valutazione presenta le seguenti caratteristiche 25: - qualitativo, si basa su qualità da scoprire (è “nascosto”, non espresso) - orientato al futuro - condizionato dalla soggettività del valutatore - riferito alla persona, anche se “misurato” in modo relativo rispetto a parametri/criteri riferiti ad un ruolo - soggetto ai cambiamenti legati ai processi di maturazione e crescita professionale/personale - fondato su “ipotesi”, non su certezze. Per queste sue caratteristiche il potenziale richiede a chi si occupa della sua rilevazione (capi diretti, specialisti della Direzione del personale, valutatori e consulenti esterni): - disponibilità ad assumersi il “rischio” connesso alle indicazioni di potenziale che danno - realismo nella formazione dell’ipotesi di sviluppo - equità e senso di responsabilità verso le persone (le loro indicazioni possono influenzare il futuro di una persona). Padovese, L., “Valutazione e carriere”, in Dispensa interna del Corso in “Organizzazione e gestione delle risorse umane”, Università degli Studi di Firenze, Facoltà di Scienze della Formazione, a.a. 2002-2003 25 27 Processo di valutazione Quando la Direzione del personale decide di procedere all’impostazione ed alla realizzazione di un programma di valutazione del potenziale persegue generalmente una o più delle seguenti finalità: - avere un quadro delle risorse disponibili traguardato ad ipotesi di riassetto o di sviluppo organizzativo nel breve-medio periodo; - pianificare il fabbisogno di risorse umane in coerenza con le strategie aziendali ed i cambiamenti prospettati; - individuare i possibili candidati rispetto a posizioni chiave e responsabilità critiche per il futuro; - definire un utilizzo delle risorse, per quanto possibile, coerente alle loro caratteristiche producendo un rinforzo nelle loro motivazioni verso il lavoro; - circoscrivere e programmare in modo mirato le esigenze di formazione e di sviluppo delle persone (soprattutto dei ruoli manageriali). Se queste dunque sono le finalità generali con cui le attività di valutazione del potenziale possono essere promosse in azienda, non vanno dimenticati gli effetti che una simile rilevazione può avere. Infatti una rilevazione del potenziale sistematica ed opportunamente realizzata, dal punto di vista metodologico, potrà consentire di ricavare importanti elementi conoscitivi sul clima, sulla cultura aziendale e sui fabbisogni formativi diffusi. Potrà consentire altresì di individuare, sia a livello individuale che collettivo, quali sono le aree di competenze presidiate e “forti” e quali necessitano di interventi di sostegno e sviluppo, qual è il livello di soddisfazione diffuso e quali, infine, i livelli di condivisione e coerenza con le strategie e i valori aziendali. Il processo di valutazione del potenziale, analogamente alle altre attività valutative praticate in azienda (posizioni e prestazioni), si articola in varie fasi, ciascuna delle quali presenta propri obiettivi e specificità (Figura 6). 1. Definizione delle finalità e individuazione della popolazione target Preliminarmente all’avvio del processo è necessario che venga chiarita la finalità cui mira l’attività valutativa che viene promossa. Il chiarimento della finalità è infatti una pre-condizione cruciale non solo al fine di comprendere quale sarà l’utilizzo gestionale che verrà fatto dei dati raccolti, ma anche di indirizzare tutte le fasi successive del processo. Una cosa è infatti organizzare ed implementare un’attività di valutazione finalizzata, ad esempio, all’individuazione di possibili rimpiazzi per una o più posizioni vacanti o che lo diventeranno, ben 28 diversa è invece quella di avere una “mappa” delle potenzialità presenti in azienda. Nella fase di chiarimento delle finalità del processo, il coinvolgimento del vertice aziendale ed il suo committment rispetto all’iniziativa ne rappresentano momenti altrettanto significativi, così come l’ipotizzare le ricadute motivazionali su chi ne sarà o non ne sarà coinvolto. 1. DEFINIZIONE DELLE FINALITA’ E DELLA POPOLAZIONE TARGET 2. SCELTA DEL PERCORSO VALUTATIVO (metodologia, strumenti e profilo di riferimento) ) 3. SVILUPPO DEL PERCORSO VALUTATIVO (comunicazione dell’iniziativa, rilevazione dei dati, restituzione dei dati) 4. REVISIONE ED UTILIZZO GESTIONALE DEI DATI Figura 6 – Fasi del processo di valutazione del potenziale26 In stretta correlazione con le finalità individuate, viene quindi definita – sulla base di parametri di scelta “sensati e difendibili” 27, condivisi con la linea – quale sarà la popolazione (tutta o in parte) coinvolta dalla valutazione: ad esempio i giovani, i quadri, i dirigenti. Specificamente la valutazione del potenziale può interessare 28: - coloro che hanno già fornito ottime prestazioni - coloro che manifestano caratteristiche particolarmente accentuate coerenti con ruoli diversi e magari di maggiore responsabilità 26 Rotondi, M.G., op.cit, p. 19 (modificato). Per una descrizione più dettagliata delle fasi del processo si rimanda specificamente alle pp. 20-29. 27 Rotondi, M.G., ibidem, p. 22 28 Del Pianto, E., Assessment Center. Tecniche e strumenti per il valutatore, Franco Angeli, Milano, 1999, p. 23 29 - coloro che possiedono una forte motivazione e si propongono in auto-candidatura per ruoli diversi - tutti i soggetti dell’impresa, nel momento in cui cambia la mappa dei valori culturali e di conseguenza dei criteri di valutazione, per evitare il riferimento a criteri di valutazione obsoleti e superati. A seguito della scelta e della comunicazione dei criteri di inclusione, particolare cura e attenzione dovrà essere posta a rassicurare gli esclusi circa le motivazioni del loro mancato coinvolgimento. 2. La scelta del percorso valutativo: metodologia, strumenti, profilo di riferimento Solo dopo aver definito gli obiettivi del processo di valutazione, la popolazione che ne verrà coinvolta e le specifiche caratteristiche del contesto aziendale (stadio di sviluppo e/o stabilità organizzativa, modello di management, cultura e sistema di valori) in cui verrà avviato, sarà possibile effettuare una scelta mirata delle metodologie, degli strumenti e delle persone che si occuperanno concretamente della valutazione. Le metodologie per la valutazione del potenziale, oggi complessivamente abbastanza conosciute dagli esperti della Direzione del personale, possono essere scelte in base ai seguenti criteri: alle variabili organizzative interne, alla tipologia e al numero delle risorse da valutare, alla disponibilità economica e/o temporale dell’azienda, alla quantità ed al tipo di informazioni che l’azienda richiede per ciascun valutato29. Procedendo da questi criteri, si tratta poi di scegliere quale privilegiare dei due grandi filoni metodologici in cui si raggruppano tradizionalmente i diversi strumenti e metodi di rilevazione del potenziale: - i metodi diretti: nei quali i valutati vengono direttamente coinvolti nel processo di valutazione e partecipano attivamente ad Assessment Center di gruppo o individuali, in cui vengono osservati e valutati da esperti interni o esterni all’organizzazione, con strumenti predisposti ad hoc. - i metodi indiretti: in cui la rilevazione e la successiva valutazione si incentrano sui superiori diretti (di 1° e 2° livello) ed i valutati non vengono coinvolti, ma si raccolgono informazioni e dati su di loro mediante schede ed interviste (talvolta anche di gruppo). Va sottolineato che in molti contesti aziendali si vanno da tempo sperimentando con successo metodi di rilevazione integrati che abbinano 29 AA.VV. , (a cura di Hay Group), Risorse umane e logiche di impresa, Pirola Editore, Milano, 1993, p. 133 30 la compilazione di una scheda di potenziale da parte del capo diretto del valutato, ad un colloquio motivazionale realizzato dalla funzione del personale, ad un Assessment “agile” (di breve durata) gestito dalla consulenza con la presenza di rappresentanti della funzione del personale e della linea. Questa metodologia consente di avere “più punti di vista” sulla persona, di svolgere un importante funzione di coinvolgimento a più livelli nel processo valutativo, di conseguire maggiore attendibilità e ampiezza delle informazioni rilevate. Contestualmente alla scelta della metodologia viene definito il profilo di potenziale oggetto di rilevazione, il quale in genere contiene un elenco di capacità e di qualità (metacapacità), articolate in indicatori di comportamento valutabili in base ad una scala numerica o in un grading di comportamenti compresi fra l’eccellenza e l’insufficienza.30 Il profilo di potenziale è generalmente frutto dello sforzo congiunto di analisi e descrizione operato dal management e dalla linea con il supporto di consulenti o esperti esterni e rappresenta un importante momento di confronto e di orientamento “prospettico” sul futuro dell’azienda. 3. Lo sviluppo del percorso valutativo Una volta definiti obiettivi, target di popolazione, profilo e metodologia di rilevazione, il processo entra nella sua fase più operativa con la comunicazione dell’iniziativa ai valutati ed ai loro capi. Il fatto di conoscere come concretamente si svolgeranno le attività di valutazione, quale sarà l’utilizzo gestionale che verrà fatto degli esiti e quali potranno essere le ricadute sul piano professionale/personale, contribuisce a creare trasparenza e fiducia verso il processo valutativo in coloro che direttamente o indirettamente ne saranno coinvolti, nonché a ridurre i possibili timori circa un esito negativo della valutazione. Poco prima dell’avvio vero e proprio delle attività valutative, siano esse realizzate con metodi diretti o indiretti, è necessario che venga definito il team di valutatori (interni, esterni, “mix” di interni ed esterni) per dotarlo delle conoscenze e degli strumenti necessari per poter operare in sede valutativa. A tal fine vengono predisposti appositi piani/interventi formativi (in genere agili, talvolta assimilabili a riunioni di presentazione) in cui vengono illustrati il profilo di poten- Per un’ampia rassegna di profili di potenziale e relative scale di misurazione si rimanda al testo di Fertonani, M., La valutazione delle prestazioni e del potenziale manageriale, Franco Angeli, Milano, 1998 30 31 ziale e la metodologia e vengono fatti sperimentare in situazioni simulate gli strumenti che saranno poi concretamente utilizzati. Si giunge quindi alla vera e propria fase di rilevazione delle potenzialità, ovvero alla realizzazione delle attività valutative (che spesso è fatta coincidere con il processo di valutazione del potenziale tout court). Si tratta di provvedere alla convocazione dei candidati, al reperimento dei luoghi di svolgimento delle prove, alla predisposizione di un setting adeguato, alla riproduzione dei materiali necessari ai valutati ed ai valutatori e quindi di procedere all’osservazione dei candidati nel corso delle diverse tipologie di prove predisposte. Una volta concluse tutte le attività di rilevazione e completata la stesura dei profili di valutazione, nonché sistematizzate le “graduatorie” dei candidati osservati, la tappa successiva del processo prevede il feedback ai valutati, ai capi e la presentazione degli esiti complessivi del processo ad un Compitato di valutazione generalmente composto dai vertici aziendali, dalla Direzione del personale, da alcuni rappresentanti della Linea e da consulenti/esperti esterni qualora abbiano partecipato alla rilevazione. In particolare, la restituzione di un feedback ai valutati ed ai loro capi rappresenta un momento delicato e critico non solo per i soggetti coinvolti, i quali generalmente desiderano conoscere l’esito della valutazione, quanto piuttosto perché su questo ruota la maggiore o minore credibilità e trasparenza dell’intero processo. 4. Revisione ed utilizzo gestionale dei dati Una volta concluse le attività di rilevazione e comunicati gli esiti ai soggetti direttamente coinvolti (valutati e loro capi), nonché al Comitato di valutazione aziendale, si pone la necessità di archiviare nel sistema informativo del personale tutti i dati raccolti e quindi di rivisitarli a distanza di tempo in ragione dei cambiamenti cui le persone, e dunque le valutazioni, vanno soggette nel tempo. A distanza di un anno sarebbe dunque opportuno che le valutazioni venissero riverificate sia utilizzando momenti di colloquio con i diretti interessati, sia procedendo ad un loro screening complessivo per considerare i mutamenti intercorsi. Un nuovo processo di valutazione potrebbe inoltre essere realisticamente previsto a distanza di circa quattro anni dal precedente al fine o di interessare le medesime persone con modalità di rilevazione diverse o di avviare la conoscenza di nuove categorie di soggetti e comunque di dare sistematicità e cadenza regolari all’attività di rilevazione delle potenzialità presenti in azienda. 32 Strumenti Per esporre i principali strumenti utilizzati nella valutazione del potenziale è utile ricorrere alla suddivisione vista in precedenza fra metodi di valutazione diretti e indiretti. I metodi diretti prevedono il coinvolgimento attivo dei valutati in una serie di prove differenziate (individuali o di gruppo) finalizzate a mettere in luce le loro caratteristiche personali. Le tecniche più frequentemente utilizzate nell’ambito dei metodi diretti sono: l’Assessment Center31 (la metodologia più diffusa), l’Assessment Center individuale (utilizzato per approfondire la conoscenza di un candidato per volta), i test e i questionari (utilizzati spesso a completamento delle due modalità precedenti). L’Assessment Center (AC), o “centro di valutazione”, è finalizzato a rilevare il potenziale individuale in situazioni di gruppo (da 6 a 8 partecipanti). Ogni candidato viene osservato da uno o più valutatori (assessor) nello svolgimento di prove dalle caratteristiche e dai contenuti diversi. Infatti, se il gruppo ha la funzione nel confronti dei singoli di fornire la rappresentazione di un possibile contesto organizzativo, va anche detto che il gruppo nel suo insieme non rappresenta l’oggetto di osservazione dei valutatori. Ogni valutatore osserva, a rotazione, due o più candidati così che al termine di tutte le prove previste (in genere un AC dura da un giorno e mezzo a due giorni), ogni candidato sia stato osservato da più di una persona. Le prove, o esercitazioni, proposte ai candidati rappresentano l’asse portante di tutto l’impianto in quanto forniscono lo stimolo situazionale per far emergere le capacità previste dal profilo di potenziale ricercato dall’azienda. La scelta delle prove deve risultare particolarmente accurata, in quanto il loro scopo principale è quello di fornire informazioni, indicazioni e dati di realtà che consentano di formulare delle ipotesi attendibili sul 31 Per approfondire la storia, l’evoluzione, le applicazioni e gli strumenti dell’Assessment Center – in particolare nei contesti organizzativi italiani – si rimanda ai contributi di: Augugliaro, P., Majer, V. (a cura di), Assessment center e sviluppo manageriale, Franco Angeli, Milano, 1993; Cocco, G.C., Gallo, A. (a cura di), L’Assessment in azione. Esperienze aziendali di valutazione delle risorse umane, Franco Angeli, Milano, 2002; Cocco, G.C., Gallo, A., Fare assessment. Dalla tradizione all'innovazione. Manuale operativo per applicare la metodologia di assessment e trarne profitto, Franco Angeli, Milano, 1999; Del Pianto, E., Assessment center. Tecniche e strumenti per il valutatore, Franco Angeli, Milano, 1999 Levati, W., Saraò, M.V., Assessment Center. Analisi di un metodo di valutazione della risorsa umana, Franco Angeli, Milano, 1993, Rotondi, G.M., Valutare il potenziale, Ipsoa, Milano, 2003 33 potenziale del valutato. Solitamente negli AC vengono utilizzate quattro diverse tipologie di prove che possono essere svolte in gruppo, in sottogruppo o individualmente e consentono di apprezzare diversi ambiti di capacità/qualità: Ruoli liberi – si tratta di lavori in gruppo o in sottogruppo in cui ai partecipanti, a cui viene fornito il medesimo materiale, si chiede di assumere delle decisioni, di formulare proposte o di sviluppare delle analisi rispetto ad una situazione problematica (esempi di capacità rilevabili: leadership, spirito di squadra, analisi e soluzione dei problemi, abilità relazionali). Ruoli assegnati – si tratta di lavori in gruppo o in sottogruppo in cui ai partecipanti viene attribuito un ruolo specifico finalizzato al perseguimento di un obiettivo individuale. Il gruppo riceve informazioni comuni sulla situazione o il problema da affrontare, mentre ad ogni candidato vengono fornite istruzioni diverse che contengono il ruolo e l’obiettivo assegnati (esempi di capacità rilevabili: leadership, decisione, lavoro in gruppo, comunicazione, risoluzione dei problemi, determinazione, realizzazione). Individuale scritta – consiste nel chiedere alla persona di calarsi in un ruolo con responsabilità direttive all’interno di un contesto del quale vengono fornite informazioni dettagliate e di decidere con quale ordine di priorità affrontare una serie di problemi/ situazioni. Si tratta della prova “In-basket”32 che il candidato svolge individualmente e per iscritto (esempi di capacità rilevabili: pianificazione, organizzazione, scelta delle priorità, delega e gestione dei rapporti). Individuale orale – consiste in un’esposizione individuale rivolta ai valutatori oppure al gruppo. Può trattarsi di un’autopresentazione oppure di una comunicazione relativa al proprio lavoro o ai propri interessi, oppure ancora di una riflessione sul gruppo e sull’AC, nella quale il candidato organizza una comunicazione a una via (esempi di capacità rilevabili: comunicazione, gestione del tempo, tolleranza dell’ansia, persuasione). 1. 2. 3. 4. Solitamente l’AC si conclude con un colloquio individuale33, nel quale il candidato viene intervistato da uno più valutatori al fine di poter apprezzare anche le sue motivazioni verso il lavoro e le sue aspirazioni. Il collo- 32 33 Vedi capitolo 3. di questa Guida, p. Vedi Castiello D’Antonio, A., op.cit., pp. 141-151 34 quio rappresenta un momento di conoscenza diretta del valutato, nel quale è possibile cogliere ulteriori elementi sulle sue caratteristiche. Spesso nel corso degli Assessment (sia di gruppo che individuali) si utilizzano test e questionari, con l’intento sia di favorire l’autovalutazione dei candidati sia di metterne a fuoco specifici aspetti attitudinali o di personalità. I test utilizzati nel corso o preliminarmente all’AC hanno una funzione predittiva (predicono cioè i comportamenti potenziali in situazioni diverse da quella in esame), valutativa (misurano uno specifico rendimento), diagnostica (descrivono le caratteristiche psicologiche di un individuo) 34 Al termine di ogni prova ogni valutatore esprime, seguendo una traccia di osservazione più o meno strutturata, le proprie considerazioni circa le caratteristiche di potenziale espresse dai candidati direttamente osservati. Al termine di tutte le prove previste i valutatori confrontano e sintetizzano, candidato per candidato, le loro rilevazioni fino a giungere alla stesura di un profilo di potenziale condiviso per ciascuno di loro ed all’espressione di un giudizio quali-quantitativo complessivo (alto-medio-basso o una corrispondente valutazione numerica su scala pentenaria o settenaria). Il confronto fra i valutatori è un momento particolarmente importante dell’intero processo in quanto è proprio dalla ricchezza degli elementi raccolti dai singoli osservatori che l’ipotesi di potenziale conclusiva può risultare più attendibile. I metodi indiretti non prevedono il coinvolgimento dei valutati e la rilevazione delle loro caratteristiche di potenziale viene affidata ad esperti interni o esterni all’azienda che utilizzano strumenti diversi per raccogliere informazioni e dati dai loro superiori diretti (di 1° e 2° livello). In questo ambito gli strumenti utilizzati sono: la scheda di valutazione che contiene in dettaglio il profilo di potenziale e l’intervista che, con vari gradi di approfondimento, consente la raccolta delle indicazioni necessarie. La scheda di valutazione, spesso accompagnata da un manuale informativo, viene compilata in autonomia dal superiore diretto del valutato, quando la procedura di valutazione del potenziale si svolge con cadenze regolari. Sulla scheda di valutazione il capo esprime in forma quantitativa il grado di possesso delle capacità e delle qualità che costituiscono il profilo di potenziale ricercato da parte del valutato. Il superiore di secondo grado (il capo del capo) convalida quindi la valutazione espressa. L’intervista, rivolta da un addetto della Direzione del personale o da un consulente esterno al capo diretto del valutato, ha come obiettivo la compilazione della scheda di valutazione. L’intervista intende facilitare l’esplicitazione di dati di realtà e di informazioni che consentano di formu34 Del Pianto, E.., op. cit., pp. 65-70 35 lare una valutazione quantitativa attendibile e non inquinata dalla prestazione del soggetto. L’intervista ha la sua efficacia quando consente al capo di “vedere” comportamenti usuali del proprio collaboratore sotto una luce diversa, individuando cioè nessi causali non rilevati in precedenza. Ruoli e soggetti coinvolti Come abbiamo già avuto modo di precisare i principali protagonisti del processo valutativo possono essere, di volta in volta, specifici target di popolazione: giovani e giovani manager, ruoli specifici (es. ruoli di staff), quadri, dirigenti (di nomina recente o con rilevante anzianità aziendale). In alcune realtà la valutazione del potenziale assume la connotazione del “censimento” (per cui vengono interessati tutti gli appartenenti ad una determinata fascia di popolazione aziendale, ad es. tutti gli addetti alle vendite) oppure quella del “bando”, in cui solo le persone interessate si autocandidano per essere sottoposte a valutazione. Il processo coinvolge anche la linea, sia nella definizione del profilo di potenziale, sia nello svolgimento di specifiche attività valutative (compilazione schede, interviste, presenza agli Assessment). Gli esperti della Direzione del personale vengono coinvolti non solo nella definizione del profilo di potenziale ma anche nel supporto metodologico (realizzazione interviste ai capi, realizzazione di colloqui motivazionali, partecipazione in qualità di valutatori agli Assessment) e logistico (comunicazione ai valutati e ai capi, convocazione dei candidati, predisposizione del setting) a tutte le attività valutative. Quando viene utilizzata la metodologia dell’Assessment sono presenti consulenti e/o specialisti esterni, i quali svolgono il ruolo di garanti metodologici del processo e ne presidiano il corretto svolgimento in tutte le fasi. I consulenti e gli esperti esterni, sono presenti unitamente ad alcuni rappresentanti della linea, della Direzione del personale e del top management ai Comitati di valutazione finali nei quali si riportano gli esiti complessivi del processo valutativo e si definisce un “inventario” condiviso delle risorse che potranno intraprendere percorsi di sviluppo professionale. Vantaggi, punti di attenzione Il principale vantaggio di un processo di valutazione del potenziale opportunamente condotto è quello di consentire ad un’azienda di conoscere il “patrimonio umano disponibile per rispondere ai fabbisogni organizzativi di breve e medio periodo (2-5 anni)”35. Da questo, in sintesi, discendono altre possibili opportunità: 35 Rotondi, M.G., Valutare il potenziale, Ipsoa, Milano, 2003, p. 2 36 ottenere una conoscenza approfondita delle persone, non focalizzata solo sull’oggi, sulla prestazione dare maggiore omogeneità, sistematicità e confrontabilità alle valutazioni anche quando queste hanno per oggetto dimensioni “qualitative” valorizzare, oggi e in futuro, il proprio personale sostenendone la motivazione ed individuandone le opportunità di crescita e di carriera favorire l’instaurarsi di rapporti basati sulla reciproca chiarezza tra azienda, capi e valutati dare alle scelte e decisioni aziendali una base equa ed oggettiva. Tuttavia proprio perché la valutazione del potenziale ha per oggetto la dimensione qualitativa dei profili individuali, si richiede a chi la effettua di porre particolare attenzione a: evitare di valutare il potenziale in base alle prestazioni ed all’impegno attuale, piuttosto che su capacità e metacapacità (qualità) possedute e non pienamente espresse; considerare che trattandosi di un oggetto di valutazione di tipo qualitativo è più’ “esposto” alla soggettività del valutatore; accettare il fatto di formulare indicazioni per lo sviluppo basate su ipotesi e non su certezze; gestire la risorsa con potenziale senza suscitare “attese” o fare “promesse” poi difficili da mantenere; conciliare attese/progetti individuali con bisogni/opportunità organizzative e sviluppo/crescita individuale con sviluppo/crescita organizzativa. 5.3.4 La valutazione delle competenze Descrizione L’attenzione alle competenze si innesta nel processo che ha portato, negli ultimi anni, molte organizzazioni a sostituire progressivamente alle tradizionali dimensioni hard – struttura gerarchica, descrizione delle posizioni, prescrizioni legate al lavoro da svolgere - una diversa attenzione alle persone e alla loro capacità di sviluppare autonomia e apprendimento. Mentre i confini dei ruoli prescritti tendono sempre più a sfumare, gli spazi attribuiti ai compiti discrezionali si ampliano; mentre si riducono le capacità programmatorie delle organizzazioni basate sulla valutazione delle posizioni e sull’ipotesi di un possibile controllo delle variabili in campo, si assiste all’affermarsi di nuove ipotesi per l’acquisizione e la gestione di persone che, in un contesto organizzato, “sappiano fare determinate cose”. Si attribuisce cioè sempre maggiore importanza a ciò che le persone sanno o 37 possono fare. “Nelle organizzazioni siamo ormai in presenza di job sempre meno definiti per persone sempre più competenti”.36 E’ in questa cornice che si colloca il “movimento delle competenze” che, nato dal lavoro di McClelland attorno agli anni Settanta, ha fatto registrare negli ultimi dieci anni un numero consistente di contributi (in Italia: Carretta, Dalziel, Mitrani, 1993, Camuffo, 1997, Levati, Saraò, 1998, Civelli, Manara, 2002). Nonostante l’impegno di concettualizzazione ed elaborazione i termini di competenza, capacità, capability, competency, conoscenza e attitudini tendono ad essere utilizzati in modo intercambiabile, così che il primo sforzo compiuto dagli studiosi nei loro testi risulta proprio quello di impegnarsi in una distinzione terminologica e nell’attribuzione di un significato quanto più possibile univoco al termine competenza 37. Oggetto di valutazione In italiano, con “competenza” (dal latino competentia, cum-petere chiedere, dirigersi a) si intende la “piena capacità di orientarsi in determinati campi, legittima autorità di esprimere un mandato, specialmente giudiziario”38 e il suo significato, nel linguaggio comune, appare intuitivamente comprensibile e chiaro. Ad una chiarezza intuitiva del termine non corrisponde tuttavia un’analoga chiarezza descrittiva, che precisi e spieghi cioè quali siano la natura e i caratteri distintivi della competenza. Per la scuola “storica” delle competenze (David McClelland, Richard Boyatzis, Lyle M. Spencer e Signe M. Spencer) la “competenza” è definibile come segue: “una caratteristica intrinseca individuale che è causalmente collegata ad una performance efficace e/o superiore in una mansione o in una situazione, e che è misurata sulla base di un criterio prestabilito.”39 Essendo una caratteristica intrinseca, la competenza costituisce parte integrante e stabile del bagaglio personale di un individuo, consente di 36 Civelli, F., Manara, D., Lavorare con le competenze. Riconoscerle, gestirle, valorizzarle, Guerini e Associati, Milano, 2002, p. 31 37 Si vedano in proposito le interessanti descrizioni di Civelli, F., Manara, D., ibidem, pp. 27-41, oppure la rigorosa analisi della definizione di competenza data da Boyatzis e ripresa da Spencer e Spencer, in Levati, W., Saraò Maria V., Il modello delle competenze, Franco Angeli, Milano, 1998, pp. 13-25 38 Devoto-Oli, citato da Civelli, F., Manara, D., op. cit., p. 28 39 Spencer, L.M., Spencer, S.M., Competenza nel lavoro. Modelli per una performance superiore, Franco Angeli, Milano, 1995 (edizione originale, 1993), p. 30 38 predirne i comportamenti futuri e si collega, secondo gli autori citati, con un nesso di causa-effetto, ad eccellenti risultati di prestazione. La competenza è dunque: “una caratteristica intrinseca di una persona causalmente collegata ad una prestazione superiore in un determinato ruolo”. Secondo gli autori sopra citati tra le persone che forniscono prestazioni superiori o eccellenti all’interno di una determinata organizzazione e le persone che forniscono prestazioni nella media sussistono forti differenze attribuibili non solo alle maggiori conoscenze delle une rispetto alle altre. I best performer in genere esplicitano caratteristiche quali: motivazione, tratti della personalità, atteggiamenti, valori, interessi e abilità che contribuiscono in modo significativo al loro successo. Sostiene Levati che poiché la competenza non si esprime in una semplice performance ma in un livello superiore di performance, in realtà è questo il motivo dell’interesse del mondo aziendale per le competenze: “scoprire il loro segreto per assicurarsi il maggior numero possibile di performance eccellenti, o, da un altro punto di vista, mettere le persone in condizioni di poter esprimere performance eccellenti”. 40 Va comunque precisato – anche alla luce dei contributi dell’approccio situazionale - che il nesso causale tra competenza e prestazione non è sempre così immediato e diretto, in quanto parlare di competenze individuali significa anche tenere conto della possibilità, per una persona, di ricevere riconoscimento e apprezzamento, di avere la possibilità di esprimersi così come di interagire con altre persone e con situazioni differenti. Altri approcci alle competenze danno appunto rilevanza alla dimensione “situazionale”, ovvero alla capacità che hanno alcune persone di rispondere adeguatamente alle esigenze proprie di specifiche situazioni. Ecco che una più ampia definizione di competenza individuale, comprensiva della dimensione relazionale risulta la seguente:41 “caratteristica intrinseca dell’individuo, appartenente alla dimensione psicologica, costituita dall’insieme articolato di capacità, conoscenze, esperienze finalizzate. Si esprime attraverso i comportamenti e necessita, per esprimersi dell’azione di motivazione e contesto. L’aspetto specifico del contesto, che impatta sulla nascita e sviluppo della competenza, è la cultura organizzativa”. 40 Levati, W., Saraò Maria V., Il modello delle competenze, Franco Angeli, Milano, 1998, pp. 19 41 Levati, W., Saraò Maria V., ibidem, p. 118 39 CONOSCENZE ESPERIENZA FINALIZZATA CAPACITA’ COMPETENZA MOTIVAZIONE MOTIVAZIONE CONTESTO Figura 7 – Fattori costitutivi della competenza Se quanto finora espresso riguarda specificamente l’individuo, un altro filone di studi (quello razionale/strategico/sistemico) prende in considerazione le conoscenze organizzative e si focalizza sulle competenze distintive proprie di un’organizzazione. Le competenze possono essere infatti considerate anche in rapporto agli aspetti strategici ed alla mission di un’organizzazione: le competenze distintive, o core competencies, caratterizzano così un’organizzazione differenziandola in modo significativo dalle altre nella gestione del business. Per competenza distintiva si intende: “l’insieme delle conoscenze e delle capacità che un’impresa ha accumulato nel corso degli anni (ovviamente tramite le proprie risorse umane) e per mezzo delle quali viene riconosciuta e apprezzata sul mercato dai propri clienti” (Cocco, 1999). Nelle organizzazioni odierne le competenze distintive dell’impresa sono chiamate sempre più a confrontarsi e in qualche modo a confondersi con quelle individuali. Processo di valutazione Affrontare il tema delle competenze non è semplice, in quanto – sia nelle realtà aziendali internazionali che in quelle italiane – si sono prodotti approcci, metodologie ed applicazioni non sempre comparabili fra loro e non sempre esportabili univocamente da un contesto all’altro. Le modalità di approccio teorico al tema delle competenze sono infatti alquanto variegati, così come differenziate risultano le esperienze applicative realizzate dalle organizzazioni: in alcuni casi, il processo di rilevazione 40 delle competenze riguarda il top management per poi estendersi con un processo top down anche ad altri livelli aziendali; in altri si rilevano le competenze di alcune specifiche popolazioni aziendali di non facile gestione (per lo più professional); in altri ancora si fa riferimento al sistema di valutazione delle prestazioni già esistente; in altri infine al processo di formazione.42 Uno schema di processo di identificazione e valutazione delle competenze, centrato sull’idea di poter rilevare in modo strutturato le best performances di fasce specifiche di lavoratori (ad es. tecnici e professional, venditori, manager, imprenditori), è quello proposto da Spencer e Spencer (1995). L’ipotesi di fondo è quella di pervenire alla stesura di modelli generici di competenze, predisponendo elenchi di competenze e definendo standard di riferimento per la loro valutazione. Un processo di valutazione delle competenze può risultare, sinteticamente, così articolato: definizione dei criteri per la misurazione delle prestazioni e la rilevazione delle attività di determinati ruoli aziendali; identificazione dei best performer in tali ruoli e definizione di un gruppo di performer medi quale gruppo di controllo; raccolta dei dati relativi alle prestazioni eccellenti e a quelle negative al fine di creare un ampio repertorio di competenze (individuazione delle azioni che costituiscono i comportamenti); identificazione delle competenze (conoscenze e capacità) specificamente richieste a ciascun ruolo (costruzione del modello di competenze); articolazione di ogni competenza in comportamenti osservabili in base ad una scala di valutazione (grading); validazione statistica del modello di competenze; applicazione del modello alla pianificazione e alla gestione delle risorse umane. Una volta definito il range delle competenze valutabili, le persone vengono valutate dal proprio capo o si autovalutano rispetto al grading, in genere riportato su apposite schede, così che diviene possibile: 1. evidenziare eventuali gap a livello individuale per ogni specifica competenza 2. progettare iniziative formative per migliorare i gap emersi e produrre focalizzazione sullo sviluppo delle competenze necessarie. 42 Per una presentazione dettagliata delle diverse tipologie applicative del metodo delle competenze vedi Civelli, F., Manara, D., op. cit., p.43-62 41 Analogamente al processo di valutazione delle prestazioni (che assieme alla valutazione delle competenze costituisce il sistema di Performance Management aziendale) si tratta di operare un confronto fra atteso – l’insieme delle competenze necessarie per ricoprire un ruolo in modo eccellente – ed effettivo – ossia le competenze che la persona dimostra concretamente di possedere. Il processo di valutazione delle competenze mira in sintesi a valutare l’adeguatezza delle competenze (conoscenze, capacità) possedute dalle persone rispetto a quelle richieste dall’azienda, dal settore di appartenenza, dal ruolo. Strumenti L’individuazione delle attività connesse al ruolo rappresenta dunque il momento centrale e di avvio dell’intero processo di rilevazione delle competenze e di definizione del modello. Le ipotesi di attività, una volta definite, sulla base dell’analisi delle job description vengono integrate e convalidate attraverso lo strumento dell’intervista (in genere una BEI – Behavioral Event Interview). Obiettivo dell’intervista è quello di raccogliere informazioni relative sia alle attività realmente svolte dall’intervistato (in genere il titolare di un determinato ruolo), sia alle conoscenze (professionali, generiche, teoriche e pratiche), sia alle esperienze necessarie per poter svolgere al meglio tale attività. L’intervista assume quindi, in questa cornice, il connotato di uno specifico strumento di rilevazione che richiede rigore metodologico e pratica professionale, oltre che consapevolezza circa le regole che la guidano, in quanto non è finalizzata né alla job description, né a valutare la persona intervistata.43 Ruoli e soggetti coinvolti Come abbiamo visto in precedenza, nel momento in cui si procede, ad una “mappatura” delle competenze, tutti i ruoli aziendali (ed in particolare i best performer) possono essere coinvolti sia nella fase di individuazione delle competenze e quindi nella successiva fase di valutazione che può essere svolta sia in autonomia sia realizzata dal capo diretto, sia costruita – secondo le metodologie del 360° appraisal – con il concorso degli interlocutori di ruolo più significativi. Per una disamina dell’intervista finalizzata all’identificazione delle competenze quale base del successivo processo di valutazione 43 42 Vantaggi, punti di attenzione La valutazione delle competenze può consentire alle organizzazioni, una volta divenuta una pratica diffusa, di conseguire diversi vantaggi: dotarsi di sistemi di funzionamento più flessibili e realmente in grado di valorizzare il contributo delle persone; fondare sul modello di competenze un diverso modo di concepire, progettare la pianificazione e la gestione delle risorse umane in tutte le sue leve tipiche; ripensare alla valutazione delle prestazioni e del potenziale in ottica nuova; favorire l’allineamento tra le competenze distintive aziendali e il sistema di comportamento richiesto ai singoli identificare, esplicitare e diffondere sistemi di comportamento efficaci lungo tutta la struttura aziendale. I punti di attenzione riguardano la necessità di porre attenzione a non utilizzare una nuova terminologia per pratiche consuete e a non limitarsi a produrre un “elenco” di competenze interpretandolo quale esito del processo. La sfida per le organizzazioni si va infatti definendo proprio nella capacità di circoscrivere le core competencies e di individuare le modalità di trasferimento, collegamento e sviluppo con le competenze individuali. 5.3.5 Condizioni di efficacia dell’attività valutativa Come illustrato nelle pagine precedenti il processo valutativo, sia esso focalizzato sull’analisi delle posizioni, sulla rilevazione dei risultati di prestazione o sull’identificazione delle potenzialità individuali o delle competenze, ha maggiori garanzie di efficacia laddove alcune condizioni ne favoriscano l’implementazione. Queste condizioni riguardano: l’organizzazione, i valutatori (soprattutto quando “interni”), i valutati. Organizzazione: è necessario che l’organizzazione assuma e diffonda nei confronti della valutazione un’attenzione a tutti i livelli. Appaiono particolarmente rilevanti il coinvolgimento ed il committment dei vertici aziendali affinché la valutazione divenga un processo sistematicamente applicato e costituisca un sostegno alla definizione di rapporti interni basati sulla chiarezza e sulla trasparenza. 43 Valutatori: è necessario che i capi o comunque tutti coloro che svolgono attività di valutazione non avendone competenze specifiche, siano messi in grado di acquisire le conoscenze relative alle metodologie e agli strumenti di valutazione, affinché sia consentito loro di esprimere giudizi quanto più scevri possibile dalla soggettività e dall’influenza di situazioni contingenti. Il vantaggio del coinvolgimento sistematico nei processi di valutazione per i valutatori interni è quello di stabilire rapporti continuativi e orientati al reciproco miglioramento con i propri collaboratori. Valutati: è necessario che i valutati siano informati sulle metodologie, gli strumenti ed i criteri di valutazione al fine di un loro coinvolgimento attivo nei processi previsti. La conoscenza consente infatti loro di limitare l’influenza di possibili “fantasie” e di utilizzare i momenti valutativi come effettive opportunità di crescita e di sviluppo professionale. I vantaggi che derivano ai valutati da sistemi valutativi omogenei ed affidabili nei criteri adottati sono quelli dell’equità di trattamento e della conoscenza delle specifiche attese che l’organizzazione ha nei loro confronti. 44