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PAGINE108
Numero
gennaio - aprile
2016
1585: quattro
fanciulli cortesi.
Dal Giappone
a Milano
Un Guardiano
dell'Onore
d'autore
periodico
di cultura
giapponese
Lo Iaidō, storia
ed evoluzione
in sintesi
Shintō in
Occidente
Fukushima
A nuclear story
Mifune Toshirō
Hasui e
le shin hanga
Kaminigorikawa
Crocevia di
spiriti e vivi
Nei guan 內觀
Contemplazione
interiore
Radio
Imagination
Armonia Zen
facebook.com/paginezen
www.paginezen.zenworld.eu
Mifune Toshirō
L’ultimo samurai
Giampiero Raganelli
Per quanto si possa aver assimilato la lingua giapponese,
la sua corretta pronuncia e la regola che vuole che il cognome sia anteposto al nome, è difficile scrollarsi dalla mente l’appellativo di “Toshiro Mifune”, con cui
il grande attore nipponico è conosciuto in occidente dove pure è diventato un’icona e indubbiamente una delle figure giapponesi più conosciute fuori
dal paese. E la memoria di questa star del cinema
sta passando un momento particolarmente florido di omaggi e commemorazioni. Annunciata la
sua inclusione nella Hollywood Walk of Fame Star,
la passeggiata famosa in cui sono incastonate le stelle dedicate alle celebrità del cinema, terzo giapponese
cui tocca questa onorificenza, dopo Sessue Hayakawa,
l’attore che lavorò a lungo nella Hollywood del muto fino
alla sua memorabile interpretazione del comandante Saito
ne Il ponte sul
fiume Kwai, e
dopo il leggendario mostro
Godzilla. In allestimento anche un
museo dedicato a MiImmagine tratta da Yojinbo
fune a Fuefuki nella Prefet(La sfida del samurai, 1961).
tura di Yamanashi, sulle rive
del fiume Fuefukigawa, luoghi che rappresentarono la roccaforte del clan Takeda, ambientazione
anche del film storico Fūrin kazan, del 1969 per la
regia di Hinagaki Hiroshi, in cui Mifune interpretava il ruolo del generale Yamamoto Kansuke. E infine
un documentario, che (continua alla pagina seguente)
ALIMENTI E OGGETTISTICA
DAL MONDO
Negozio: Via Rosmini 11, Milano tel. 02-33105368
Prossimamente ci spostiamo di pochi passi
nel nuovo negozio di via Canonica 54
Crocevia di spiriti
e di vivi Commemorazione dei
defunti a Kaminigorikawa, una comunità
rurale del Giappone Andrea Pancini
http://ioeilgiappone.wix.com/andreapancini
Se desiderate leggere la versione integrale dell'articolo
potete trovarla sul sito di Pagine Zen.
Quando l’estate scorsa ho deciso di partire per un viaggio di
un mese in Giappone, non avrei mai immaginato di poter assistere in prima persona e prendere parte ai riti obon di un piccolo
paese composto da una manciata di case della prefettura di Niigata. Grazie alla famiglia S. invece, ho potuto provare un piccolo assaggio della cosiddetta “osservazione partecipante”. Ho trascorso due settimane a Kaminigorikawa dove ho avuto l’onore
e il piacere di diventare un oyakata, il capo rappresentante della famiglia durante il rituale conclusivo di obon. Quale migliore
occasione, quindi, per scrivere un piccolo diario etnografico?
Per obon si intende una serie di sagre e di riti dedicati ai morti che ha luogo
in Giappone durante il mese di agosto: pressappoco a metà del mese, i vivi
attendono che i defunti tornino a far loro visita dall’aldilà; per accogliere gli
spiriti dei morti è necessario pulire e riordinare i luoghi a loro associati (cimiteri, santuari) e offrire cibi e bevande; il tutto si conclude con l’accensione
di falò, per indicare ai defunti la via del ritorno. Avevo già presenziato a delle feste obon in passato, divertendomi a ballare la caratteristica danza bon
odori, ma mai sino ad allora mi era capitato di osservare da vicino la sfera
privata e familiare di questo rito.
Kaminigorikawa è un modesto conglomerato di case sotto la giurisdizione della città di Myōkō, la quale prende il nome dal monte che la
sovrasta. Il centro abitato di Kaminigorikawa è così piccolo da non
venire nemmeno riconosciuto come ente locale autonomo e viene
tutt’ora indicato, dai suoi circa quaranta abitanti, tramite una definizione che, durante l’epoca feudale, era utilizzata per i sobborghi delle
città: buraku. Sicuramente il fatto che parlassi giapponese ha contribuito ad addolcire l’atmosfera: l’impossibilità di comunicare crea
davvero non pochi problemi a chiunque intende compiere osservazioni di questo genere. Il sistema di chiamarsi, tra gli abitanti del
paese, era ben differente da quello a cui ero abituato a Tokyo e i
nomi erano sempre preceduti da qualche parola di cui non comprendevo la funzione. Mi è stato spiegato che ogni proprietà terriera del paese possiede uno yagō, un nome speciale dato alla casa e a
chi ci vive. In questo modo due signore entrambe di nome Aiko, per non
essere confuse tra loro, vengono chiamate rispettivamente, la “Aiko del
fiume” e la “Aiko del retro”. È stata proprio Fusako, la nonna e matriarca della
La lapide della tomba della famiglia S.
famiglia, a coinvolgermi nei primi preparativi per l’avvento dell’obon, portandomi con
Lanterne, fiori e incenso la adornano
in occasione dell'hakamairi.
sé presso un supermercato di Arai il giorno 8 agosto. Quel dì la nonna ha comprato due
dolcetti in pasta di zucchero colorata, chiamati higashi, da predisporre accanto al butsudan, l’altarino casalingo di famiglia.
Stando a Fusako, un tempo queste offerte speciali per l’obon venivano preparate in casa, a mano. Il piccolo altare non solo è la
sede temporanea delle urne cinerarie dei cari scomparsi sino a quando non vengono interrate, ma è anche l’angolo della casa
destinato al culto privato degli antenati, dove sono esposte le foto degli avi. A differenza di quanto accade nei paesi cristiani, di
solito, in Giappone la commemorazione di routine dei defunti non avviene nella dimensione pubblica come quella dei cimiteri, si predilige invece l’altarino situato nell’intimità delle mura domestiche. È proprio durante le festività di obon tuttavia, che il
cimitero riacquista importanza diventando il luogo principale dei rituali. Il giorno 10 agosto Hiroki, l’ultimogenito di casa S., mi
ha accompagnato a visitare i luoghi sacri del villaggio, dove alcune coppie di persone si stava- (continua alla pagina seguente)
www.kathay.it
VENDITA ONLINE
Hasui e le
shin hanga
Federico Pendoli
[email protected]
Lo spirito giapponese
nelle “nuove stampe” del ‘900
Anche chi non possiede una conoscenza approfondita dell’arte giapponese sa cosa siano le stampe dello stile
ukiyoe, le famose “immagini del mondo fluttuante” tipiche
del periodo Edo (1603 – 1868). Capolavori come i paesaggi di Hiroshige, la “Grande Onda di Kanagawa” di Hokusai e le raffinate figure femminili di Utamaro sono considerate parte del
pantheon delle grandi opere
d’arte a livello
mondiale. Tuttavia, a fronte dell’ampia
fama di cui godono le ukiyoe,
la vicenda della
xilografia giapponese dopo la Restaurazione Meiji non è
molto nota. Con la brusca accelerazione nel
processo di occidentalizzazione del paese,
l’interesse dei giapponesi verso le stampe
era in declino, e queste erano soprattutto
acquistate da collezionisti stranieri. In questo contesto emerge la figura di Shōzaburō
Watanabe, proprietario di un negozio d’arte
e impegnato nella pubblicazione di riproduzioni di stampe del periodo Edo. Radunando
diversi artisti intorno alla sua attività, a partire dal 1915 circa riesce a dare vita a una nuo(continua alla pagina seguente)
Kawase Hasui, Neve al Santuario Tōshōgū, 1929.
1585: quattro fanciulli cortesi
Dal Giappone a Milano Rossella Marangoni - www.rossellamarangoni.it
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sul sito di Pagine Zen.
Nel corso del 2016 si celebreranno i centocinquant’anni di relazioni diplomatiche fra Italia e Giappone, ma nel 2015 era caduto un altro importante anniversario: il 530° della prima missione giapponese in Italia, un anniversario che ho
voluto ricordare nel corso di un convegno che si è tenuto a novembre 2014 presso
l’Ambrosiana di Milano con un intervento che vorrei riprendere qui.
Nelle parole di Urbano Monte, nel suo Compendio storico delle cose notabili di Milano il cui manoscritto è conservato all’Ambrosiana, è il primo vivido ritratto
dell’arrivo a Milano, il giorno di San Giacomo 25 luglio 1585, della cosiddetta Tenshō shōnen shisetsu 天正少
年使節, la “missione dei giovani
nell’era Tenshō” (date era 1582 –
1590), la prima ambasceria giapponese in Europa (non potendo
essere considerata tale il viaggio, privo dei crismi dell’ufficialità, di
Bernardo di Kagoshima, che era giunto a Lisbona nel 1555 a seguito
di Francesco Saverio).
Il progetto dell’ambasceria è annunciato nella Lettera annale del
15821, una copia della quale è custodita in Ambrosiana, inviata da
padre Gaspar Coelho, Viceprovinciale, al Generale della Compagnia
di Gesù Claudio Acquaviva. È in questa lettera che viene annunciata
per la prima volta la decisione del Padre Visitatore Alessandro Valignano di inviare quattro giovani in Europa, una decisione meditata
e motivata dal desiderio di magnificare il lavoro evangelizzatore dei
Gesuiti in Giappone e da esigenze economiche (far giungere alla missione in terra giapponese finanziamenti dalla corte papale). È proprio
in questo documento che troviamo citati per la prima volta i nomi dei
giovani aristocratici che partiranno per l’Europa di lì a qualche mese
e che giungeranno dopo lungo periplo a Milano il 25 luglio 1585.
Sono Itō Sukemasu Mancio 伊東 マンショ (1570-1612) inviato del
daimyō Ōtomo Yoshishige Sōrin Francesco 大友 義鎮宗鱗 (15301587), signore di Bungo 豊後 (suo zio), e Chijiwa Seizaemon Michele
千々石 清左衛門ミゲル (1569-?) rappresentante di due daimyō criU. Monte Ito Mancio (da U. Monte, Compendio,
stiani, i signori dei domini di Arima 有馬, Arima Harunobu Joao Pro- Biblioteca Ambrosiana, Milano).
tasio 有馬 晴信 (?-1612), e Ōmura 大村, Ōmura Sumitada Bartolomeo 大村純忠 (1532-1587), (rispettivamente zio e cugino di Michele). I due erano accompagnati da due giovani
di casa Ōmura, Nakaura Giuliano 中浦 ジュリアン (?-1633), presentato come “Barone del Regno di Figen”, ossia
Higen, e Hara Martino 中浦 ジュリアン (?-1639), “Barone del Regno di Fiunga”, ossia Hyūga. Ufficialmente solo
Itō e Chijiwa hanno il compito di rappresentare alcuni signori locali del Kyūshū convertitisi al Cristianesimo e ansiosi di rendere omaggio al Papa, i daimyō di Bungo, Arima e Ōmura appunto, ma divenne prassi comune parlare
del gruppo come dei “quattro ambasciatori”.
Dopo il soggiorno a Roma durante il quale gli inviati giapponesi rendono omaggio al Papa Gregorio XIII e assistono
all’elezione di Papa Sisto V, i quattro giovani e i loro accompagnatori risalgono la penisola, sostando in una serie
di città piccole e grandi, fra “festeggiamenti di popolo e scariche di artiglieria”2. Entrano infine nello Stato di Milano dove l’ambasceria giapponese si ferma 8 giorni. Non ci resta, invece, alcuna cronaca, mi si passi l’espressione,
“in soggettiva”, che documenti cosa videro i giovani giapponesi e come interpretarono ciò che videro. I diari che compilarono, annotando accuratamente tutto ciò che vedevano e ciò che accadeva davanti ai loro occhi, sono andati perduti. Resta
(continua alla pagina seguente)
Lo Iaidō, storia ed evoluzione in sintesi.
Un “guardiano dell’onore”
d’autore
Una pratica quotidiana, fra tradizione e modernità
Il wakizashi di Ikkanshi Tadatsuna del
Museo d’Arte Orientale di Venezia
Chiara Bonacina e Pierluca Regaldi
La spada
ha incantato l’immaginario giapponese generazione dopo
M. Boscolo Marchi
generazione. La sua origine affonda nella mitologia shintoista: nel Kojiki il dio Susanoo nella regione di
Izumo combattè il mostro a otto teste Yamata no Orochi, che richiedeva vergini in sacrificio per non devastare la provincia. Il mostro venne vinto con l’astuzia: Susanoo dispose davanti alla casa della fanciulla prescelta, Kushinada,
otto barili di sake che Yamata no Orochi bevve addormentandosi e permettendo così al dio di tagliare le sue otto teste. Susanoo recise anche le code
del mostro. Riuscì a tagliare le prime sette senza difficoltà, ma quando giunse all’ottava, la sua spada impattò contro qualcosa di molto resistente: era
Museo d’arte orientale la spada Ama no Murakumo, in seguito chiamata Kusanagi. La spada venne
di venezia
donata alla sorella del dio, la dea del sole Amaterasu, per appianare un anConferenze - eventi
tico diverbio. Generazioni dopo, nel regno del dodicesimo imperatore, Keikō,
visite guidate anche per
la spada, conservata da tempo nel tempio di Ise, passò nelle mani del grande
non vedenti e ipovedenti
guerriero Yamato Takeru, che la usò durante una spedizione contro gli Ainu.
www.polomuseale.venezia.beniculturali.it
Durante un’imboscata Yamato Takeru cercò di usare la spada per impediInfo: Museo d’Arte Orientale a Ca’ Pesaro
re
al fuoco appiccato dai nemici di raggiungerlo e con grande stupore scoSanta Croce 2076 Venezia – tel. 041 5241173
prì come l’arma agisse magicamente creandogli un passaggio tra le erbe in
fiamme. Da allora, Yamato Takeru chiamò la spada Kusanagi, che letteralmente vuol dire spada falciatrice d’erba. Secondo altre versioni Kusanagi significherebbe, in giapponese antico, semplicemente spada del serpente. Da allora la spada viene presentata a ogni imperatore il giorno della sua incoronazione insieme allo specchio e al gioiello
Lo iaijutsu nasce nel corso del periodo Nara, che facciamo iniziare nel 710 d.C., quando la capitale giapponese si sposta da
Fujiwara-kyō a Heijō-kyō, oggi appunto Nara. Si trattava di un
insieme di esercizi per accorciare nei tempi e rendere più efficace lo sfoderamento della spada nelle occasioni d’uso più disparate. Questo non fa necessariamente dello iaijutsu un’arte violenta, in quanto molte delle situazioni erano pensate
come possibili contrattacchi, quindi, reazioni
efficienti ad attacchi portati improvvisamente.
Nell’ottica del bujutsu, insieme di arti marziali a mani nude o armate che fino all’era Meiji erano competenza specifica della classe militare, lo iaijutsu non era infatti pensato per l’applicazione tanto nella mischia dinamica del campo
di battaglia, quanto per la salvaguardia della vita del guerriero o
bushi in situazioni legate più alla vita quotidiana, nel corso della quale era possibile, e, dati i tempi, frequente subire aggressioni armate. È solo verso la fine del periodo Kamakura, con lo
scontro fra le famiglie dei Taira e dei Minamoto, che si inizia a
praticare iaijutsu utilizzando quella spada a un solo affilatissimo
taglio, leggermente incurvata, dalla lavorazione unica, che oggi
riconosciamo generalmente come katana, o più propriamente
shinken. Lo iaijutsu era praticato parallelamente a diverse antiche
scuole di scherma giapponese, o koryū, tutte formatesi prima dell’era Meiji e
alcune delle quali ancora oggi esistenti, come Musō Jikiden Eishin-ryū, Musō
Shinden-ryū -le due scuole più diffuse oggi in Italia- o Yagyū Shinkage-ryū.
(continua alla pagina seguente)
(continua alla pagina seguente)
SHINTŌ La “Via dei Kami” approda in occidente
Ada Saitta
Fukushima A nuclear story
Nei gUAn 內觀
Contemplazione interiore
Pier Giorgio Girasole
[email protected]
“Quando Izanagi e Izanami crearono le terre emerse guardarono ovunque dove poterle stendere”. Questa frase ispirata dai racconti del Kojiki, il testo sacro dello Shintō, fa riflettere sul fenomeno della diffusione in occidente della “Via dei Kami”, oggi più
Durante la prima ediche mai in atto e finalmente sempre meglio conosciuta. La fede Shintoista si è originata nell’arcipelago del Sol Levante fin dazione del Festival Ingli inizi della sua storia e si è poi radicata in tutti gli aspetti della vita dei giapponesi. Essa ha dato nascita e slancio a molte arti
ternazionale del Dotradizionali e codici di comportamento, arrivando perfino alla Corte Imperiale, ove permane ancora oggi. Dopo il secondo concumentario, tenutasi
flitto mondiale ha perso lo status di religione di stato, ma ciò che ha perso in patria lo ha guadagnato all’estero. Infatti da quel
a Milano dall’11 al 13
momento ha cominciato a diffondersi verso occidente. Per le sue peculiarità di credo e culto lo Shintō ha avuto difficoltà iniziadicembre 2015, presli ad inserirsi nel tessuto sociale extra nipponico, il suo carattere panteistico e i rituali sciamanici sono poco noti ai più. Il priso l’avveniristico Unimo contatto con il mondo occidentale è avvenuto in America nel 1986 con l’edificazione, vicino a Stockton, del Tsubaki Grand
credit Pavillon, è stato
Shrine of America, il primo santuario Shintō ufficialmente riconosciuto dal collegio sacerdotale di Ise Jingu. Esso, voluto dal Rev. proiettato il docufilm
Dr. Yukitaka Yamamoto,
“Fukushima: A nuPio d'Emilia
rappresenta il fulcro della
clear story”. Diretto
comunità Shintoista degli
da Matteo Gagliardi
Stati Uniti e anche la più
nel 2015, questo laimportante. Nel 1992 il
voro ripercorre quanRev. Lawrence Koichi Barto svolto dal reporter
rish ha fondato il Kannaitaliano Pio d’Emigara Jinja, dedicato a Tsulia, corrispondente
baki O-Kami.
per Sky Tg 24, nonDopo questa felice fiorituchè residente da anni
ra del volere dei Kami in una in Giappone, il primo
terra differente dal Giappone
giornalista occidentale
Il regista Matteo Gagliardi
si sono avuti i primi “approrecatosi sul luogo del
di” nel vecchio continente.
terribile incidente alla centrale nucleare giapponese Daichi di Fukushima,
Calligrafia di Bruno Riva.
Non esenti da difficoltà inicolpita da terremoto e tsunami l’11 Marzo 2011.
ziali a livello culturale ed ide- In questo film il focus non è soltanto sulla catastrofe naturale, ma anologico, tali comunità Shintō che sulle immense difficoltà avute dal popolo giapponese nel gestire
Tsubaki Grand Shrine of America
sono nate da piccoli ma ferquello che sarebbe stato un problema evitabile, ovvero il nucleare, a
vidi gruppi, composti anche da membri non giapponesi. La realtà Shintoista di Amsterdam è la prima ad essere approdata nel vecchio
differenza del primo, al quale invece, da secoli, sa come far fronte. In
continente; nel 1989 la Japanese Dutch Shinzen Foundation ha realizzato il suo santuario dedicato anch’esso ad Amaterasu Omikaalcuni momenti i reportage di d’Emilia qui riproposti sono arricchiti
mi. Qui non si sono avuti particolari problemi di integrazione con le realtà socio-culturali locali, grazie anche al fatto che nei Paesi bassi da una voce fuori campo, quella di Massimo Dapporto nella versioc’è una buona apertura nei confronti di queste tradizioni lontane. Tale comunità svolge molte attività religiose e rituali, con interessanti
ne italiana, che veicola un aspetto introspettivo della narrazione focaprogetti formativi sulla spiritualità Shintō.
lizzandosi sul protagonista. Le scene del film si susseguono alternate
In Francia lo Shintō è giunto solo nel 2006, nei pressi di Villeneuve Les Genêts (Auxerre). Questa piccola realtà, “agganciata” alla coa spezzoni animati che richiamano gli anime e ad alcune spiegaziomunità Buddhista Shingon. è derivante dall’Ise Jingu; il suo tempio è stato donato proprio
ni scientifiche aiutate da grafiche precise sul funzionamento della centrale nucleare. Questi ultimi due elementi in
dal clero del Grande Santuario. Qui non si è ancora avuta la stessa diffusione nella Via dei
particolare rappresentano un’ottima scelta da parte della regia. Grazie a ciò, sia un pubblico giovane che uno di
Kami come negli altri casi, una difficoltà dovuta probabilmente al breve tempo che intercorre
esperti, potranno avere una maggior cognizione di causa su una vicenda come quella del cosiddetto tsunami nudal suo insediamento ad oggi, all’esiguo numero di cittadini giapponesi shintoisti presenti nel cleare, spesso vittima di incomprensione o, peggio, sensazionalismo da parte dei media internazionali.
territorio e al substrato socio-culturale, essendo la Francia un paese di origine latina, profon(continua alla pagina seguente)
damente legato alla sua identità culturale.
Anna Lisa Somma
Situazione simile è quella del San Marino Jinjia, la prima comunità
il primo sito in italiano
traduzione
di
Gianluca
Coci,
Neri
Pozza,
2015
www.bibliotecagiapponese.it
dedicato alle arti performative asiatiche Shintō della Repubblica di San Marino e prima in Italia, il cui piccolo
santuario, edificato nel 2014, si rifà allo stile architettonico del tempio
«La fantascienza lavora a stretto contatto con l’universo», ha detto una volta Ray Bradbury;
di Ise. Esso è dedicato, oltre ad Amaterasu Omikami, alle vittime dello tsunami del Tohoku del 2011; è anche la
perché, a differenza di quanto si è soliti pensare, essa – specie se di buona fattura – è viscepiù giovane presenza della Via dei Kami in Europa. Esso è stato edificato dall’Associazione dei Santuari Shintoiralmente legata all’attualità, alle sue più profonde lacerazioni, alle sue ambiguità. Seppur
sti e inaugurato alla presenza della madre del premier giapponese Shinzo Abe.
solo in parte ascrivibile a questo genere, il romanzo di Itō Seikō Radio Imagination (Souzou
Osservando tutte queste realtà Shintoiste presenti al di fuori del Giappone si può riflettere su come una reRadio 想像ラジ,オ2013) – vincitore del premio Noma per i nuovi scrittori – è un ottimo
ligione profondamente legata al suo paese di origine, riesca ad attecchire in ambiti completamente diffeesempio di una letteratura militante capace di coniugare impegno e invenzione fantastica in
renti, una sorta di opera missionaria inversa rispetto alla consuetudine secolare occidentale e cristiana.
maniera convincente. Occorre per questo, specie nelle prime pagine, abbandonarsi fiduciosi
Da quando l’ovest del mondo si è aperto alla cultura nipponica ha saputo riceverne anche la filosofia
al flusso apparentemente surreale di parole, captando segnali e indizi (soprattutto emotivi)
e la religione, prima considerate troppo aliene per poter essere comprese ed accettate. Adesso la spedi una storia che sa ben presto rivelarsi toccante in modo genuino e originale.
ranza per lo Shintō è quella di poter permeare, ove è possibile, le filosofie occidentali come è stato per
Facendo ricorso a uno scenario bizzarro e quasi onirico, l’autore tenta di gettare luce su
le altre fedi extraeuropee; poter dare un contributo alle varie correnti di pensiero in modo semplice e
una delle pagine più drammatiche della storia giapponese recente, vale a dire il terremoto e
discreto. In un’epoca che ha bisogno di un rinnovo spirituale e un migliore legame con la natura, lo
lo tsunami verificatisi nel marzo 2011. Proprio in quei giorni, il trentottenne Akutagawa FuyuShintō può essere la via ideale per raggiungere tale risultato; il suo carattesuke finisce per ritrovarsi intrappolato fra i rami di un’alta criptomeria, senza sapere come e perre panteistico e naturale si presta benissimo a ridare all’umanità ciò che si
ché è giunto sin lì. Isolato dal mondo e disorientato, tenta di colmare la solitudine che lo assedia
è perso con i secoli di mero progresso industriale. Una continua ricerca di
parlando con se stesso e rievocando brani musicali (su Youtube è disponibile una compilation dei
sviluppo che ha escluso quasi sempre il legame con la natura e il Divino.
pezzi citati nel libro: https://www.youtube.com/watch?v=9_SMJ-Uwmkg&list=PL_hSG5V6LmLa frase che meglio rappresenta il fenomeno della diffusione dello Shintoismo
BEa8FzaQdsayZvsEtgDCSoR). Quelli che all’inizio appaiono semplici brandelli di una conversazione intima si trasformano ben presto in
in occidente, “E fu così che Amaterasu Omiun denso flusso di riflessioni, aneddoti, canzoni chiamato da Fuyusuke – ribatezzatosi per l’occasione DJ Ark – Radio Imagination; inolkami donò il suo sole a tutti gli uomini sentre, poco alla volta, l’uomo scopre di essere in grado di mettersi in contatto con altri esseri umani attraverso il pensiero. E a tutti coloro
za farne distinzione”, si carica di un signiche desiderano raccontare la propria storia lui lascia generosamente spazio: dietro quelficato universalistico e porta con sé anche
le voci c’è l’urgenza di stabilire un contatto, comunicare un’emozione fragile, condividere
la speranza, per coloro che praticano tale
un dolore insostenibile. Il sisma, il maremoto e i conseguenti avvenimenti di Fukushifede, di un rinnovamento spirituale del geA N T I Q U ARI AT O G I A PP O N ESE
ma hanno infatti provocato un’interminabile scia di sofferenze, tanto che persino i denere umano. Questa è un’epoca di grandi
LUCA PIATTI
funti non si arrendono all’idea di abbandonare la Terra senza lasciare testimonianza
cambiamenti sociali e di un’ossessiva ricer“Change” di Paola Billi
di quanto patito: «Non credo che i morti se ne siano andati all’altro mondo in silenzio!» […]
SPADE GIAPPONESI
Paola Bilii e Nicola Piccioli
ca di pace interiore, possibile anche grazie al
sicuramente le loro grida disperate dovevano aver riecheggiato a lungo in tutta la città, fino
artisti docenti di calligrafia orientale.
Hanno due scuole di calligrafia,
dono che i Kami possono dare a coloro che
all’ultimo respiro, insieme al loro lamento straziante e ai continui e rabbiosi gemiti.
una a Firenze (FeiMo). l’altra a Milano,
trovano nello Shintō la migliore via per le
Presso la Fondazione PIME.
Adoperando le voci dei suoi personaggi, Itō Seikō denuncia in tal modo il perbenismo
www.feimo.org
www.kottoya.eu
loro esigenze.
dei media e la leggerezza con cui l’opinione pubblica
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tel. 334 7028525
Radio Imagination Itō Seikō
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Mifune Toshirō
bacche di goji
Shirataki
ALIMENTI E OGGETTISTICA
DAL MONDO
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hasui e le shin hanga
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seguito
va scuola artistica, che chiamerà shin hanga (“nuove
stampe”), nella quale le tematiche tipiche delle ukiyoe si
fondono con un nuovo stile influenzato dalla fotografia occidentale (forse questo carattere, percepito come
“non davvero giapponese”, è tra i motivi della scarsa
notorietà delle shin hanga). Questa corrente fu oggetto
di molte critiche: per via dei soggetti tradizionali fu dimessa come mera rivisitazione dell’ukiyoe; per la subordinazione alle esigenze del mercato e il mantenimento
del vecchio processo produttivo (basato sulla collaborazione tra artista, intagliatore e pubblicatore) fu giudicata
poco creativa da chi enfatizzava, in un’ottica modernista, l’indipendenza dell’opera d’arte, come i fautori delle
sōsaku hanga (“stampe creative”), che si svilupparono
circa nello stesso periodo.
Le shin hanga erano dunque accusate di essere poco
più che rappresentazioni sentimentali e idealizzate del
Giappone tradizionale, invitanti per il pubblico ma senza contenuti validi. Certo la nostalgia è un elemento
presente, ma il vero valore che queste opere custodiscono sta nel fatto che in esse si possono ritrovare, in una
forma nuova, le visioni che stanno al fondo del sentire giapponese autentico, a loro volta fissate nei canoni
estetici come yūgen (“profondità misteriosa”), mono no
aware (“sentimento delle cose”). Credo che tale valore
si manifesti soprattutto nelle shin hanga che ritraggono
paesaggi e vedute, di cui il maestro indiscusso è Kawase
Hasui (1883 – 1957). Non sorprende che questi siano
tra i principali temi ad essere recuperati: la sensibilità
giapponese è sempre stata fortemente legata alla natura e nelle opere di Hasui, Hiroshi Yoshida e Tsuchiya
Koitsu (tra gli altri) la natura è tra i soggetti primari della
rappresentazione. I luoghi prescelti sono spesso poco
conosciuti o comunque lontani dalle rotte turistiche: l’anonimità permette loro così di valere “in generale” e di
rappresentare l’identità giapponese, che perdura nonostante i rapidi cambiamenti tecnologici e sociali che
si susseguivano da diversi decenni. Anche nei casi (frequenti) in cui sono mostrati templi, case, borghi, questi si collocano quasi sempre in una dimensione rurale e si integrano armoniosamente con l’ambiente che
li circonda, a testimoniare la serenità della coesistenza
tra natura e civiltà, che caratterizza da sempre lo spirito giapponese. Perfino quando è Tokyo ad
essere raffigurata, sembra piuttosto di essere
di fronte a Edo: è il caso
per esempio del laghetto
Shinobazu nel distretto
di Ueno, oggi accerchiato dai grattacieli.
A questa armonia si può
connettere mono no aware, concetto che è legato alla partecipazione e
condivisione reciproca tra il fenomeno (naturale) esteriore e il sentire soggettivo. Yūgen, termine che compare già in alcuni testi buddhisti cinesi, indica ciò che è
recondito e di impenetrabile nel fondo del visibile; eppure l’esperienza estetica caratterizzata da yūgen non
si discosta mai dalla concretezza degli eventi. Dunque, l’estetica giapponese esalta il valore che si trova nell’immanenza e nell’ordinarietà, piuttosto che
in intricate verità astratte. Il significato dei luoghi che
figurano nelle opere di Hasui (e degli altri) risulta
quindi accentuato dal trovarsi in condizioni atmosferiche particolari: la debole luce della Luna autunnale, le piogge estive battenti e le tempeste di neve sono
elementi che compaiono assai spesso nei paesaggi
shin hanga, ricordando allo spettatore che la situazione mostrata è concreta, colta nella sua transitorietà e
impermanenza (concetto fondamentale non solo dello Zen, ma di tutto il Buddhismo).
Come nota anche Jun’ichirō Tanizaki nel breve saggio
intitolato appunto Elogio delle Ombre, l’oscurità è vicina alla contemplazione più delle esagerate luci elettriche portate dall’Occidente. Anche i templi buddhisti con
le loro gronde spioventi contribuiscono ad attenuare la
luce che entra nelle sale e nei corridoi. Credo infatti che
le stampe che ritraggono scene notturne siano tra quelle con la maggiore carica emotiva e in cui gli aspetti che
abbiamo visto sopra si fanno più manifesti. Il risultato è
che le opere nel complesso trasmettono sempre grande tranquillità e calma. In contrasto con la frenesia di
quegli anni le figure umane, quando presenti, non sono
mai affrettate o indaffarate; anzi, in genere sembrano
far parte dell’ambiente, senza pretendere alcun ruolo
privilegiato rispetto allo sfondo: quasi mai si trovano in
primo piano e quasi mai guardano l’osservatore, e i loro
volti sono spesso nascosti da ombrelli o dalla penombra. Dal punto di vista tecnico, a ottenere questi risultati
contribuiscono l’uso occidentale della prospettiva, che
consente di proporre scorci affascinanti, e la maestria
nel gestire le tonalità dei colori (nel cui utilizzo eccellevano già, come è noto, i maestri ukiyoe). Oltre l’orientamento commerciale e il semplice fascino dello stile
di vita del Giappone passato, i villaggi remoti e i templi
silenziosi di Hasui, comuni e allo stesso tempo poetici, lasciano che si manifesti la grande profondità di senso
che si cela nella vita più ordinaria.
Kawase Hasui, pioggia autunnale, tempio Nanzen di Kyōto, 1951.
un "guardiano dell'onore" d'autore
seguito
seguito
ripercorre la carriera dell’attore, dal titolo Mifune: Last Samurai, è stato realizzato quest’anno e presentato con successo alla Mostra
di Venezia. La regia è stata affidata a Steven Okazaki – documentarista americano che si è fatto conoscere per White Light/Black Rain: the
Destruction of Hiroshima and Nagasaki, forse il documentario definitivo sulle bombe atomiche in Giappone – e alla realizzazione ha partecipato come consulting producer anche Mifune Rikiya, nipote del grande Toshirō, attore a sua volta.
Mifune Toshirō nasce accidentalmente in Cina a Tsingtao, il 1º aprile 1920 da genitori che sono missionari metodisti. Rimane
nel paese straniero fino ai 19 anni lavorando con il padre nel suo negozio di fotografia, quando, allo scoppio della Seconda guerra mondiale, viene arruolato nell’aviazione dell’Esercito imperiale giapponese in qualità di fotografo. Sarebbe poi stato impiegato
a immortalare i piloti kamikaze prima della loro ultima missione. Li salutava dicendo loro di non pregare tanto l’Imperatore, quanto per i propri famigliari. L’esperienza nella grande guerra sarebbe poi tornata prepotentemente anche nella sua carriera cinematografica e i film storici su quell’epoca occupano una parte consistente nella sua filmografia. Mifune ha impersonato più volte ammiragli della marina tra cui per due volte Yamamoto Isoroku: nel film giapponese Rengō kantai shirei chōkan: Yamamoto Isoroku (Dal
Pentagono al Pacifico: uccidete Yamamoto!, 1968), e pure nel film americano La battaglia di Midway (1976). È stato anche il ministro della guerra Anami Korechika in Nihon no ichiban nagai hi (Japan’s Longest Day, 1967). E in uno dei suoi più bei film americaArmonia zen
Respirare con il Cuore,
ni, Duello nel Pacifico (Hell in the Pacific, 1968) di John Boorman ha il ruolo di
parlare con il corpo
un capitano di marina naufragato in un’isola in cui deve fronteggiare un pilota
Carlo Tetsugen Serra
americano che lì si è paracadutato dopo l’abbattimento del suo aereo. Ancora
Xenia 2015 - Collana Altra Scienza.
nell’unico film di Mifune come regista – non un successo tanto che non sarebbe
più tornato dietro la macchina da presa –, Gojuman-nin no isan (Legacy of the
Il nuovo libro del Maestro
500,000, 1963) è forte la memoria dei soldati giapponesi caduti nelle Filippine.
Tetsugen Serra
Con una filmografia di 170 film si farebbe prima a elencare i ruoli che Mifune
non ha interpretato! Ha personificato tante figure storiche del Giappone, facendole così conoscere anche all’estero, dal maestro del tè Sen no Rikyu in Morte
di un maestro del tè (Sen no Rikyu,
1989), all’Imperatore Meiji in 203 kochi (The Battle of Port Arthur, 1980);
tante figure leggendarie o avvolte nel
mito come il principe Yamato Takeru
in Nippon tanjō (The Birth of Japan,
1959) di Inagaki Hiroshi, il taglialegna del Taketori monogatari (Princess from the Moon, 1987) di Ichikawa Kon, uno spadaccino in una delle
versioni cinematografiche dei 47 ronin, Chūshingura (1962) ancora di
Inagaki, regista con cui aveva, come
per Kurosawa, sviluppato un sodaliMifune Toshirō
zio artistico consacrato con il ruolo di
Miyamoto Musashi nella trilogia del samurai del regista e anche con il film Muhōmatsu no issho (L’uomo del risciò, 1958). Altri regiCosa sono la vita e l'esisitenza se
sti importanti con cui ha lavorato sono stati Mizoguchi Kenji, in Saikaku ichidai onna (La vita di Oharu donna galante, 1952), Kobail dolore, l’egoismo e l’individualiyashi Masaki in Jōi-uchi: Hairyō tsuma shimatsu (L’ultimo samurai, 1967). La storia della carriera internazionale di Mifune è anche
tà che dominano il comportamenquella di una grande occasione mancata. Rifiutò infatti il ruolo, che gli propose George Lucas, di Obi-Wan Kenobi di Guerre stellato umano tende a soffocarle? Che
ri (Star Wars, 1977), ritenendolo un film per un pubblico adolescenziale, pentendosene amaramente visto l’enorme successo avucosa significa vivere? Cosa signifito dalla pellicola. Accettò così per compensazione di partecipare al film del sodale di Lucas Steven Spielberg, 1941 (1941 - Allarme a
ca esistere in questo mondo oggi?
Hollywood, 1979), ma ancora la sfortuna ebbe la meglio: 1941 non è certo il film più importante di Spielberg. Tra i ruoli internazionali di MiAbbiamo consapevolezza nel vivere
fune va segnalato anche il suo curioso approdo in Italia, nel film di genere Sicilian Connection (1987) di Tonino Valerii.
la nostra vita, nella realtà di tutti i
Ma la carriera di Mifune rimane indissolubilmente legata a quella del ‘tenno’ Kurosawa Akira, l’imperatore del cinema giapponese,
giorni? Come possiamo affrontare la
altro dei nomi che si fa fatica a non ricordare come “Akira Kurosawa”. Con lui Mifune ha instaurato un vero e proprio sodalizio artigrande onda dalla quale rischiamo
stico: i due hanno fatto insieme ben 16 film, tra i quali Rashōmon (1950) e Shichinin no samurai (I sette samurai, 1954). Ma la storia
costantemente di essere travolti?
di Mifune e Kurosawa è anche quella di una rottura, che viene dopo Akahige (Barbarossa, 1965), l’ultimo film fatto dai due insieme.
La visione data dalla pratica Zen
Corrono delle leggende sui motivi che portarono i due a prendere strade separate. Certo è che ci fu poi una riconciliazione, avvenupuò essere un valido aiuto.
ta dopo quasi trent’anni, nel 1993 ritrovandosi al funerale del regista di Gojira (Godzilla, 1954), Ishirō Honda, cui però non è seguita
L’unicità e particolarità della pratialcuna ripresa di collaborazione. Mifune sarebbe morto dopo quattro anni, il 24 dicembre del 1997 all’ospedale di Mitaka, martoca Zen viene presentata dal Maestro
riato dal Morbo di Alzheimer e da un tumore. Nove mesi dopo anche Kurosawa si è congedato da questo mondo. Ma quando, nel
Tetsugen Serra, in un percorso ve1999, gli stretti collaboratori di Kurosawa realizzarono il film cui stava
ramente incisivo e, con semplicità e
lavorando, Ame agaru (After the Rain) scelsero il figlio di Mifune, Shirō,
chiarezza.
come protagonista. L’omaggio al Maestro non poteva non rievocare la
figura dell’attore con cui rimarrà sempre legato nell’immaginario a venire. E anche il figlio di Shirō, Mifune Rikiya, ha intrapreso la carriera d’attore. Proprio come nelle arti tradizionali
giapponesi, nel teatro, nell’artigianato, il mestiere rimane in ambito famigliare, di bottega, e si tramanda di generazione in generazione. Così è l’arte dell’attore nella famiglia Mifune.
zen
lo iaidō
- Chiara Bonacina è dottoressa in scienze filosofiche ed è specializzata in filosofia giapponese. È un secondo dan e ha vinto la medaglia d'argento ai
campionati europei individuali 2015 di Berlino. Fa parte del dojo SGT Kiryoku Torino.
- Pierluca Regaldi è un quarto dan e ha vinto la medaglia di bronzo nel campionato europeo a squadre 2015. Fa parte del dojo SGT Kiryoku Torino.
1585: quattro fanciulli cortesi
seguito
Sede Centrale - Roma - Tel. 0661550149
[email protected]
Altre info e gli indirizzi delle Scuole: www.iogkf.it
La bibliografia di questo articolo è pubblicata nella versione online di Pagine Zen n. 108
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crocevia di spiriti e di vivi
seguito
Higaonna (10°dan) consacrata a preservare e diffondere
nella sua forma originale l’Arte del Goju-Ryu Karate-Dō
come intangibile tesoro culturale, efficace Arte Marziale
e pratica di formazione ed equilibrio psicofisico.
il De Missione3, il resoconto in lingua spagnola che
no occupando di togliere lo sporco accumulato durante
Alessandro Valignano ricavò dagli appunti dei
i mesi invernali e primaverili. Le pulizie di obon consigiovani e che poi Duarte de Sande tradusse in
stono soprattutto nel rimuovere il muschio dalle lapidi e tagliare le erbacce. A lato di uno
un latino elegante affinché potesse essere utistretto sentiero asfaltato, c’è un miya, un piccolo sacrario shintoista, simile negli intenti
lizzato come testo di studio sull’Europa nei colalle cappellette votive che si incontrano anche nelle nostre campagne. Al miya si accede
legi e seminari della Compagnia in Giappone.
da un piccolo spiazzo in mezzo ai pini, passando sotto ad un portale torii. Al centro delSul soggiorno milanese dei quattro giovani arilo slargo c’è una lanterna di pietra contenente un’effige di Inari, kami del riso e dell’agristocratici giapponesi si soffermano numerose cronache, ma oltre a quella di Urbano Mon- coltura. Coloro che stavano riordinando il sacrario mi hanno detto che, proprio sotto alla
te, la cui rilevanza è data in particolare dai ritratti dei 4 giovani, la cronaca più completa
lanterna in pietra, è seppellito lo shintai, il corpo fisico dove la divinità si compiace di riè quella ufficiale di Guido Gualtieri, commissionata da papa Sisto V. I legati giungono nel
siedere in occasioni speciali. Ho appreso anche che il mamorigami, la divinità protettrice di
Ducato di Milano nei giorni dell’insediamento del successore di Carlo Borromeo, GaspaKaminigorikawa, si chiama Ōmiyabi ed è uno spirito femminile che si occupa di aiutare i contare Visconti, sulla cattedra di Sant’Ambrogio. A causa di una disputa sul protocollo, il duca
dini nei campi e le massaie nelle faccende domestiche.
di Terranova, governatore di Milano, aveva temporaneamente lasciato Milano e i giovani
Ancora più in alto, lontano dalle case del villaggio, in mezzo alla foresta e in cima ad un
giapponesi furono invitati ad attendere a Lodi il giorno deciso per il loro ingresso in città:
sentiero che si snoda tra piccole risaie a terrazza c’è un altro luogo sacro, opportunamente
“Il governatore di Milano, che era fuori della città in quei giorni, chiese che aspettassero
segnalato da uno scrostato torii rosso. Il luogo è in stato di semiabbandono da molti anni
perché desiderava ritornare e accoglierli personalmente al loro arrivo il 25 luglio, festa di
e nessuno si ricorda più quale fosse esattamente la sua funzione. Per ultimo, abbiamo viSan Giacomo4.” L’ingresso si fece da Porta Romana, “già le strade erano piene d’innumesitato il cimitero. Si raggiunge percorrendo un sentiero che parte dalla strada principale del
rabile gente, che tumultuavano per vederli5” penetrando dalle mura nuove erette dal gopaese. Le tombe in pietra, poco più che una decina, sono ammucchiate sotto una macchia
vernatore Ferrante Gonzaga fra il 1549 e il 1569, e queste mura, lo sappiamo, fecero molta di alberi secolari, accanto ad un ruscello. Il cimitero era appena stato pulito, le lapidi sono
impressione sui giovani giapponesi. Il corteo sontuoso e imponente, aperto dalle autorità
molto sobrie, in pietra e prive di fotografie e nomi. L’unica scritta che recano incisa è il coche avevano alla loro destra ognuno dei quattro giovani, era accompagnato da cinquecen- gnome della famiglia o lo yagō. La tomba della famiglia S. ha circa un centinaio d’anni e
to cavalieri e da grande concorso di folla e dovette percorrere il lungo corso di Porta Roma- contiene, tra le altre, le urne cinerarie dei nonni di Hiroki.
na, il cardo maximus della Milano romana per giungere al Collegio gesuitico in Brera dove
Il 12 agosto è arrivato il grande evento: la visita collettiva al cimitero, lo ohakamairi.
il governatore Terranova aveva fatto preparare sontuosamente l’alloggio a loro destinato.
Nel primo pomeriggio è arrivato il sacerdote dal tempio del vicino buraku di SuganuDal giorno successivo il Collegio di Brera diventa meta di visite illustri. Tutti sembrano anma. Alle cinque i preparativi erano finiti e sono stato incaricato, negli importanti panni
siosi di incontrare i quattro giovani legati: personaggi delle famiglie più in vista della città,
dell’oyakata, di accompagnare Hiroki e i tre nipotini alla tomba di famiglia. Una volta ari vescovi delle città vicine e alcuni ambasciatori. L’urbanità, la civiltà, la cortesia, la moderivati alla lapide, abbiamo disposto delle lanterne di carta ai lati e le abbiamo accese asstia, la sobrietà accompagnate da un esotismo di modi e usi (le bacchette a tavola, l’acqua sieme a dell’incenso. Nell’attesa del monaco abbiamo provveduto a bagnare la tomba con
calda o, meglio, il tè in luogo del vino): sembra quasi che si vogliano verificare le voci che
l’acqua che avevamo portato, facendola colare dall’alto con un intento purificatore. Termistanno già circolando, le notizie che ragguagli e cronache diffondono. Persino l’arcivesconata la preparazione, il sacerdote è arrivato e ha recitato i sutra. Pregando anch’io in sivo Gaspare Visconti si scomoda per giungere a Brera a discorrere con i giovani giappolenzio e a mani giunte, ho potuto distinguere chiaramente, più volte, il nenbutsu, ovvero
nesi. Una visita in particolare sembra attirare l’attenzione dei cronachisti, quella al Castello, e
l’invocazione di Amida, Buddha della luce infinita. Nel frattempo, attorno a noi, sono arl’incontro con il castellano, don Bartolomé de Palomeque. Se non dimentichiamo che Mancio,
rivate alla spicciolata anche le altre famiglie del paese. Ognuna portava alla propria tomMichele, Martino e Giuliano erano rampolli dell’aristocrazia buke, quindi di stirpe guerriera, e se ba di famiglia cose differenti, tra cui dolcetti e altre offerte. Lo ohakamairi ha permesso a
ricordiamo che provenivano da un Giappone ancora in preda alla lotte sanguinose fra clan che tutti gli abitanti del villaggio di rivedersi, alcune persone addirittura dopo tanti anni. Increavevano caratterizzato il cosiddetto Sengoku jidai o periodo “dei paesi in guerra”, possiamo co- dibile come, grazie ai morti, a volte i vivi si rincontrino. Tornato a casa, seguendo Hiroki
gliere appieno l’interesse suscitato in loro da questa visita alla “gran fortezza”.
e gli altri sulla buia strada che riportava al Kadoya, ad attendermi c’era Yūka, la cognata
Oltre ad armi e armature, altri manufatti, e molti di fabbricazione milanese, porteranno con sé
di Hiroki, pronta ad offrirci cibo e bevande. Seduto in soggiorno, ho raccontato le mie imi giovani al rientro in Giappone e li mostreranno quando, finalmente, nel 1591, verranno ricepressioni sulla giornata e sulla visita al cimitero, strappando qualche risata ai nipotini che,
vuti insieme a Valignano da Toyotomi Hideyoshi, quale unico ricordo tangibile del loro viaggio
dopotutto, mi vedevano ancora come un impacciato gaijin, straniero. Improvvisamente,
insieme ai loro racconti, poiché il De Missione, essendo stato tradotto solo in latino ma non in
abbiamo sentito un rumore sordo provenire da sopra le nostre teste. Io ho detto: “nezugiapponese,6 ebbe una circolazione limitata agli studenti di collegi e seminari. La situazione del mi deshō?”, cioè “era un topo, vero?”. Yūka non ha esitato a contraddirmi, serissima: “Sono
Giappone era in quegli anni oltremodo complessa, la lotta per l’egemonia era in pieno svolgiloro. Sono venuti a trovarci e ora si preparano per tornare”. “Loro chi?” ho chiesto, immagimento e il kanpaku aveva già emesso il primo decreto anticristiano, nel 1587. Occorreva agire
nando già la risposta. Nonna Fusako, sorridendo, mi ha risposto che, naturalmente, si trattava
con prudenza e discrezione e poteva essere pericoloso esaltare la grandezza dell’Europa: Hidei bisnonni in visita.
deyoshi, con le sue mire espansionistiche verso la Corea, la Cina e le minacce alle Filippine, l’avrebbe presa come una sfida. Meglio, molto meglio che le informazioni sull’Europa, e quelle su Milano di conseguenza, non fossero accessibili alle élite giapponesi della fine del XVI sec.
Quando tornano in questo Giappone ostile e in tumulto, nel 1590, i ragazzi sono diventati uomini e si è completata, nei due anni trascorsi in Europa e nel corso dei viaggi per
mare, la loro educazione tanto che, nelle parole dello stesso Valignano: “son diventati così portoghesi e così abituati al nostro mondo che sembrano europei, per la meraviglia
dei fratelli giapponesi7”. I quattro giovani non sono allora solo “carta viva” ossia documento vivente, incarnato, delle conquiste del Cristianesimo in Giappone e del successo
nella coltivazione spirituale di nuovi cristiani nella terra più lontana da Roma, nell’avamposto più lontano del Cristianesimo, ma giungono a essere, per i loro compatrioti, testimonianza vivente della raffinata cultura europea, di quell’arte dell’esser cortigiano che li faceva danzare con Bianca Medici e intavolare carteggi con il duca di Ferrara.
- Questo è un estratto dell’intervento di Rossella Marangoni dal titolo “L’istesso giorno memorabile”: sguardi incrociati fra Milano e il Giappone a partire dal 1585”. Il testo è pubblicato negli Atti
del convegno Milano, l’Ambrosiana e la conoscenza dei nuovi mondi (secoli XVII-XVIII), in Studia Borromaica 2015.
sacro, simboli della dea Amaterasu. Il culto della lama forgiata in maniera perfetta - arma mortale, oggetto d’arte,
talismano – occupa dunque un posto speciale nella storia e nella cultura del Giappone. Al Museo d’Arte orientale di Venezia sono esposte numerose spade e accessori per la spada. Alcune di queste sono esposte con le splendide montature complete, altre, come il wakizashi di Awataguchi Ikkanshi Tadatsuna (inv. n. 1002)(vedi foto sotto il
titolo dell'articolo), sono esposte con la lama nuda. È così possibile apprezzare la firma dello spadaio sul lato omote
(il lato rivolto all’esterno a spada inguainata e indossata) del codolo (nakago), mentre sul lato ura appare la data di
realizzazione, ju roku nen hachi gatsu hi, ottavo giorno del sedicesimo anno dell’era Genroku, agosto 1703. Ikkanshi
Tadatsuna fu uno dei più famosi spadai del periodo Shintō, della spada nuova, il secondo dei tre periodo che caratterizzano l’evoluzione tecnica della spada. Nelle sue opere si può riconoscere l’impronta della scuola Awataguchi,
trasmessagli dal padre, lo spadaio Omi no kami Tadatsuna, tuttavia introdusse alcune peculiarità come l’incisione (horimono) di draghi e altri motivi decorativi. La spada del Museo di Venezia, ad esempio, reca sul lato omote un
drago in ascesa, Tamoi-nobo-ryō, e sul lato ura dei rami di susino e un volatile. Il drago era uno dei motivi più frequentemente rappresentati sulle spade dal momento che simboleggiava la forza e il valore. In questo caso il drago
insegue il sacro gioiello, ovvero la purezza che esso rappresenta. Lo hamon, cioè la linea prodotta durante l’indurimento del metallo che divide la parte a sinistra dello shinogi (ji) dal limite tagliente (ha), ha una forma ampiamente
ondulata (toran ba). La spada è decorata anche da un bō-bi, uno hi, cioè uno sguscio largo e rettilineo. Questo elemento, originariamente introdotto per alleggerire la spada e renderla più maneggevole, venne poi utilizzato come
elemento decorativo. In questo wakizashi è presente su entrambi i lati. Il wakizashi è un tipo di spada corta, la cui
lunghezza è compresa tra i 30 e i 60 cm. Veniva portata sempre a contatto con il corpo ed era la spada utilizzata in
caso di seppuku, suicidio rituale durante il quale il ventre veniva trafitto e squartato. Era solitamente portata insieme alla katana, spada lunga. Quando indossate insieme, la coppia di spade era detta daisho (“grande e piccola”).
Mentre il samurai poteva a volte abbandonare la sua katana, per esempio in caso di visite ufficiali, egli non si separava mai dal wakizashi, che veniva chiamato “guardiano dell’onore”. La
coppia di spade veniva portata dal samurai infilandole nella cintura: la
katana al fianco sinistro, e il wakizashi davanti al ventre, hara, sede dello
spirito dell’uomo per i giapponesi.
Radio Imagination
seguito
Ogni koryū aveva o ha le sue peculiarità, fortemente legate ai clan d’appartenenza.
Oggi lo iaijutsu è estinto, ma al suo posto si pratica ancora iaidō. Il termine iaidō viene usato per la prima volta nel
1932, ad indicare “l’arte dello sfoderamento della spada”. Possiamo inserire lo iaidō a pieno titolo nella famiglia del
budō. Il patrimonio etico filosofico dello iaidō ha ereditato molto dal bushidō, dallo zen, dal taoismo e dal confucianesimo. Lo iaidō fu ufficialmente riconosciuto la prima volta dalla Dai Nippon Budoku Kai, associazione fondata nel
1895 con lo scopo di preservare il patrimonio costituito dalle arti marziali giapponesi. Era il 1932. La Dai Nippon
Budoku Kai tuttavia fu sciolta per un periodo, attorno al 1945, in reazione all’esito della Seconda Guerra Mondiale,
per volontà degli Alleati. Bisognerà aspettare il 1950 perchè l’associazione possa ricostituirsi e le arti marziali, iaidō
compreso, possano riprendere le attività. La All Japan kendō Federation o Zen Nihon Kendō Renmei (abbreviato spesso in Zenkenren) è un’associazione nazionale non governativa, costituitasi nel 1952 a seguito della revoca del divieto di praticare arti marziali in Giappone. Allo scopo di diffondere lo iaidō e codificarlo, i fondatori scelsero a tavolino
un insieme di tecniche provenienti da diverse scuole antiche e idearono i primi sette fra quelli che oggi sono i dodici kata che costituiscono il seitei iai, o più propriamente zenkenren iai. Ogni praticante di iaidō inizia il suo apprendiClaudio Zanoni, sesto dan renshi, campione europeo 2015.
mento
studiando questi dodici kata, con i quali per tutto il resto della sua carriera affronterà competizioni ed esami.
Esibizione al Kyoto Taikai 2015.
Una volta acquisita la sicurezza di base necessaria, a discrezione dei singoli maestri gli allievi potranno poi essere
avviati allo studio della scuola antica o koryū che essi stessi hanno appreso. È Hayashizaki Jinsuke Shigenobu colui che si identifica come il creatore di quello che oggi definiamo “iaidō”.
Fu inoltre uno dei suoi discendenti, Hasegawa Hidenobu, a modificare il modo di vestire la spada rivolgendone il filo verso l’alto, come la si porta ancor oggi. Ciò avvenne nel XVIII secolo e diede origine alla scuola Hasegawa Eishinryu: tuttavia, per molti secoli lo iaidō non fu identificato come disciplina a sé stante; era un insieme di tecniche di scherma come le altre, rientrava quindi a pieno titolo nel vasto panorama delle scuole di kenjutsu. Dopo Hayashizaki, molti altri personaggi si susseguirono apportando nuove idee e creando nuove scuole,
alcune praticate tuttoggi, altre ormai dimenticate. Nel XIX secolo, quando i bushi non poterono più portare la spada per decreto governativo, lo
iaidō e il kendō conobbero un periodo di declino, al quale seguì un notevole recupero in conseguenza della rinnovata attività della Dai Nippon BuInternational Okinawan Goju-Ryu
Karate-Do- Federation Italia
doku Kai. Le due discipline sono da allora complementari: mentre nel kendō l’aspetto sportivo e di contatto è diventato primario, nello iaidō si può
ancora assaporare la sensazione di impugnare uno shinken. Lo studio dell’una aiuta quindi a capire l’essenza dell’altra. In Europa è la European Kendō FeLa I.O.G.K.F. Italia condotta da Sensei
P.Taigō Spongia rappresenta nel nostro
deration a seguire i dettami della Zenkenren, che trova nella Confederazione Italiana Kendō la sua affiliata nel nostro Paese.
Paese la Scuola del Maestro Morio
Proponiamo eventi ed attività ricreative e
formative per il privato e per l’azienda, studiate con la cura meticolosa che è peculiare dell’arte giapponese, per godere non
solo i contenuti, ma l’atmosfera, la suggestione, le emozioni che nutrono lo spirito. www.oltrelospazio.it
Note
1
Lettera annale delle cose del Giapone del MDXXXII. Con privilegio. In Milano. Appresso Pacifico Pontio,
MD LXXXV. Con Licentia de’superiori, 118pp.
2
L’eccezionale interesse in Europa per questa ambasceria è dimostrato dalla consistente quantità di pubblicazioni che la riguardano e che vengono prodotte mentre il viaggio è ancora in corso. Adriana Boscaro ha
censito ben 49 testi concernenti principalmente la missione e pubblicati in Europa nel solo 1585; altri 29,
Origami Creations
più altri 16 di cui si hanno solo notizie bibliografiche, uscirono negli anni successivi. Si tratta di 94 titoli in
Milano
tutto pubblicati nell’arco di 10 anni. Si veda: A. Boscaro, Sixteenth century european printed wrks on
Elena Debiasio
the first japanese mission to Europe. A descriptive bibliography, Leiden, Brill, 1973.
3
Titolo completo: De missione legatorvm Iaponensium ad Romanam curiam, rebusq; in Europa, ac toto
[email protected]
itinere animaduersis dialogus ex ephemeride ipsorvm legatorvm collectvs, & in sermonem latinvm versvs tel. 380 4337516
ab Eduardo de Sande Sacerdote Societatis Iesu (In Macaensi portu : in domo Societatis Iesu 1590).
4
Michael Cooper, The Japanese Mission to Europe, 1582-1590: The Journey of Four Samurai Boys
Through Portugal, Spain and Italy, Global Oriental, 2005, p. 123.
5
Guido Gualtieri, Relationi della venuta degli ambasciatori giaponesi a Roma sino alla partita di Lisbona. Con una descrizione del loro paese, e costumi, e
con le accoglienze fatte loro da tutti i Prencipi Christiani per dove sono passati, Venezia, Giolitti, 1586, p. 135.
6
Lo sarà solo nel 1935 e la traduzione sarà compiuta da Izui Hisanosuke con un gruppo di collaboratori.
7
Valignano in ARSI, Jap.Sin. 23, f. 203v, stampato in Alvarez-Taladriz, “En el IV centenario de la embajada Cristiana de Japon a Europa”, in Sapientia, 16, 1982, p. 154.
Fukushima
seguito
Ultima nota di stile poi è stata la scelta di affidare il doppiaggio dell’allora Primo Ministro Naoto Kan a Hal Yamanouchi, celebre voce italiana di Ken Watanabe, che offre quel tocco di realismo in più ad un lavoro che il reale lo
tratta già magistralmente.
Al termine della proiezione ho incontrato Pio d’Emilia, Hal Yamanouchi e Matteo Gagliardi per una chiacchierata.
“Fa un certo effetto” inizia d’Emilia “essere protagonista di una docufiction e non è stato semplice, non è il mio lavoro, c’è voluta molta fatica e capacità di adattamento. Nonostante il rapporto a volte burrascoso con la regia, credo che il prodotto sia molto efficace. Bisogna tener viva l’attenzione su Fukushima. Tre su quattro reattori sono ancora in melt-trough”. Trattando i contenuti continua: “Sono il protagonista formale, ma i sopravvissuti, gli eventi,
Fukushima sono i veri protagonisti. Fukushima passerà alla storia non solo per quanto successo, ma per quello che
potrebbe accadere. Il governo attuale di Shinzo Abe (che ha ripristinato l’uso dell’energia atomica nda) è irresponsabile di fronte ad un’opinione pubblica che ha mostrato uno switch unico in questi anni sul nucleare. Se c’è una
cosa su cui tutti convergono è che il nucleare debba essere abbandonato”. In conclusione aggiunge:“I Giapponesi
dopo l’11 Marzo non si fidano più dell’autorità. Sono diventati più Italiani”.
Sul perché di Fukushima ci dice invece il regista Gagliardi: “La scelta è legata ad un motivo biografico. Mia cugina,
infatti, risiede a Tokyo da 15 anni ed ha vissuto in prima linea le giornate del terremoto.” Poi spiega: “Prima di questo lavoro ce n’è stato un altro più sperimentale, Fukushame, per il quale ho curato il montaggio, rispetto al quale
però ho maturato la convinzione che era un poco sensazionalistico, tralasciando la vera tragedia che c’è dietro. Per
questo motivo ho voluto realizzare un secondo lavoro per compensare quello che non avevo svolto nel precedente”.
“Per la prima realizzazione Pio ci portò la sua intervista a Naoto Kan, fu in quell’occasione che lo conobbi”. “Volevo
creare un prodotto soprattutto con aspetti verificati e obbiettivi, anche grazie al nostro consulente scientifico, Marco
Casolino, docente all’università di Tor Vergata”.
“Questo docufilm” ci dice Yamanouchi “offre un’ottima misura, nel montaggio, tra l’esperienza umana del giornalista, il
dramma collettivo del popolo e quello degli addetti, come il Primo Ministro Kan e il presidente TEPCO di allora Matsuda”.
Sul suo ruolo di doppiatore di Kan invece spiega: “L’idea era del regista,
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credo. Kan ha una voce sincera, che fa intuire il suo spirito giovanile ed
Libri antichi e da collezione
idealista. Una voce molto piacevole da doppiare”.
Libri antichi - Antiquariato
Ricordiamo che il film sarà visibile l’11 Marzo su Sky Cinema Cult alle ore 21,
Ceramiche
- Incisioni - Dipinti
in occasione del quinto anniversario del terremoto, che ha aperto una nuova
Luca Piatti - [email protected]
pagina non solo nella storia del Giappone, ma anche in quella mondiale.
tenta di disfarsi del pesante fardello delle vite ormai spente o indelebilmente ferite, pur di non compromettere un presente che, in fondo, tende a replicare gli stessi errori del passato perché incapace di imparare
da esso: «[…] siamo ossessionati dal desiderio di ascoltare la voce dei morti.
Ma purtroppo non riusciamo a sentire niente. O meglio, sentiamo solo quello
che si dice in giro, ovvero un mucchio di parole improntate a una finta allegria e a un falso ottimismo. Parole che provengono in
misura più o meno uguale dalla televisione, dalla radio, dai giornali e anche dalla strada. Vogliono costringerci a seguire un’unica direzione: pregare per i morti del disastro, allontanarci da loro e dimenticarli al più presto, così da guardare solo avanti ed
evitare che il paese si fermi a riflettere. Ma ovviamente non è giusto».
E ancora: «Credo che sia assolutamente necessario rifondare il Giappone insieme ai morti, senza dimenticarsi di loro. E invece che cosa stiamo facendo? Insistiamo che bisogna guardare avanti come se non fosse accaduto niente, mettendo un coperchio
sopra le nostre tragedie. Dove andremo a finire? Cosa ne sarà di questo paese?»
Con ironia, pathos e grande tatto, Itō Seikō ci costringe a fare i conti non soltanto con le vittime del marzo 2011, ma
di ogni tempo e luogo; le coscienze – sembra dirci – non possono e non devono mai adagiarsi, pena la perdita della
loro stessa umanità.
Se non tendiamo l’orecchio a quelle voci, che ci rivelano tutta la rabbia, l’orrore
e il rammarico che i morti hanno provato, i nostri sforzi non si riducono forse a
PAGINE ZEN - Reg. Trib. di Milano n° 441 del 13/07/2001 - Stampa: Tipografia Ammiano, via Isonzo 40/8 - Quinto Stampi - Rozzano (MI) Direttore responsabile: Margaret Speranza Grafica e Organizzazione: Franco Storti
qualcosa di molto superficiale?
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