Gli aspetti fiscali del contratto di comodato

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Gli aspetti fiscali del contratto di comodato
Schede operative
Obbligazioni & Contratti
Gli aspetti fiscali
del contratto di comodato
Il comodato è un contratto essenzialmente gratuito e la sua conclusione non richiede la forma scritta, anche
se ha ad oggetto beni immobili.
Ai fini dell’imposta di registro, il comodato di beni immobili è soggetto a registrazione in termine fisso e a
tassa fissa; quello di beni mobili redatto nella forma di scrittura privata non autenticata è registrabile solo in
caso d’uso a tassa fissa; se redatto per atto pubblico o per scrittura privata autenticata è soggetto all’obbligo
di registrazione in termine fisso e sconta il tributo fisso.
La trattazione poi riepiloga gli effetti del contratto ai fini IVA e la sua rilevanza per l’imposizione diretta.
a cura di Salvatore Servidio
Il contratto di comodato: aspetti civilistici
Secondo l’art. 1803 cod. civ. il comodato (dal latino
commoda datum) è il contratto col quale una parte,
detta comodante, consegna all’altra, detta comodatario, una cosa mobile o immobile, affinché se
ne serva per un tempo o per un uso determinato,
con l’obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta.
Il comma 2 dell’art. 1803 completa le caratteristiche precipue dell’istituto, stabilendo che «il comodato è essenzialmente gratuito», risultandone cosı̀
evidenziati: la causa del contratto, la funzione strutturale della consegna, l’oggetto, l’essenzialità del
termine finale, la natura restitutoria dell’atto, la
sua necessaria gratuità.
Trattasi di un contratto reale, cioè che si perfeziona con la consegna della cosa che ne è oggetto,
ed unilaterale o bilaterale imperfetto: difatti l’esecuzione della prestazione risulta, di regola, a carico
di una sola delle parti, il comodatario, che è quella
di restituire la cosa, mentre il sorgere di un’obbligazione a carico del comodante è solo eventuale
(come l’obbligo del risarcimento del danno qualora
la cosa comodata presentava vizi conosciuti dal comodante e taciuti al comodatario, art. 1812 cod.
civ.).
In considerazione della vigenza dell’obbligo di restituire la medesima cosa ricevuta, soltanto i beni inconsumabili e infungibili possono formare oggetto
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del contratto in esame; a fissare la nozione dell’istituto vale, infatti, l’ulteriore espressione che lo designa «prestito di uso» e lo contraddistingue dal
mutuo («prestito di consumo»).
È ammesso comunque il c.d. comodato ad pompam
o ad ostentationem che ha per oggetto beni consumabili di cui, tuttavia, è possibile la restituzione
non venendo essi utilizzati dal comodatario secondo l’uso normale.
Il comodato può avere per oggetto le cose mobili o
immobili, le universalità (come l’azienda) e i beni
mobili registrati, e, quale contratto obbligatorio,
non attribuisce al comodatario alcun diritto reale
sulla cosa, ciò che lo distingue dall’usufrutto. Ne
consegue che il contratto di comodato immobiliare
non deve essere redatto per iscritto in quanto non
compreso nell’elencazione degli atti che devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, a pena di
nullità, ai sensi dell’art. 1350 cod. civ., che, pertanto
è a forma libera.
Oggetto del contratto è soltanto il godimento
transitorio della cosa da parte del comodatario.
Rispetto alla cosa (mobile od immobile) il comodatario si presenta, quindi, come un mero detentore
(nell’interesse proprio).
La gratuità della prestazione
Caratteristica essenziale del comodato è la «gratui-
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tà» in quanto, altrimenti, se fosse pattuita una controprestazione, di qualsiasi natura e forma, ricorrerebbero gli estremi del contratto di locazione (obbligo di far godere una cosa verso un determinato
corrispettivo, art. 1571 cod. civ.).
Da ciò consegue che lo schema legale del comodato
consente la pattuizione soltanto di quelle modalità
che non eliminano il requisito della gratuità.
Questa caratteristica, comunque, non dovrebbe essere contraddetta dal fatto che il comodante possa
trarre dalla stipulazione una qualche utilità, purché
si tratti di un vantaggio indiretto e mediato,
come, ad es., nel caso in cui l’uso di un appartamento sia concesso dal comodante con lo scopo di
garantirsi la presenza, in esso, di una persona di
sua fiducia, capace di custodirlo adeguatamente
(Cass., 21 maggio 1976, n. 1843). Non sarebbe invece più questione di gratuità qualora, nella stessa
ipotesi, il (presunto) comodatario si assumesse il
carico delle tasse e delle spese condominiali e ciò
dovesse, in realtà, fungere da corrispettivo dell’attribuzione.
Peraltro, il requisito della gratuità del comodato
non viene meno per il fatto che il comodatario debba sostenere in proprio, senza diritto al rimborso, le
spese per l’uso della cosa (art. 1808 cod. civ.), ad
es. il pagamento degli oneri inerenti al bene concesso in comodato, purché non siano tali da assumere il carattere di un vero corrispettivo e rimangano nell’ambito di mere prestazioni modali (c.d.
comodato cum onere).
Ha stabilito in proposito la Commissione tributaria
centrale (decisione 6 marzo 1978, n. 649) che «il
contratto con cui viene concesso in comodato un
impianto di distribuzione di carburante e da cui
sorgono alcuni obblighi accessori in capo al comodatario non può essere qualificato come locazione
fintanto che gli obblighi ad esso imposti attengono
alla gestione dell’impianto e non assurgano al grado
di controprestazione». Analogamente, la Corte di
Cassazione ha riconosciuto natura di comodato, e
non di locazione, al contratto in cui viene posto un
modus, a carico del comodatario, purché esso non
sia di consistenza tale da snaturare il rapporto, ponendosi come corrispettivo del godimento della co-
sa ed assumendo quindi la natura di una controprestazione (sentenza n. 13920/2005).
Nell’ipotesi in cui il profilo contenutistico del regolamento patrizio dovesse risultare ancora non chiaro, gli enti impositori, in tema di tassazione di registro, possono fare ricorso all’art. 20 del D.P.R. 26
aprile 1986, n. 131, applicabile non solo ai contratti
ma agli atti in genere, il quale stabilisce che, in sede
interpretativa, occorre tenere presente la loro intrinseca natura e gli effetti giuridici, anche se non vi
corrisponda il titolo o la forma apparente (c.d. irrilevanza del nomen juris).
Trattandosi di un contratto a titolo gratuito, le spese per la registrazione sono poste a carico del comodatario.
Comodato e imposta di registro
Chiariti gli aspetti essenziali dell’istituto nell’ambito
del diritto comune, per stabilire il trattamento tributario del contratto di comodato ai fini dell’imposizione indiretta, è opportuno ricordare che l’imposta di registro, in linea generale, si propone di colpire tutti gli atti scritti a contenuto patrimoniale formati nel territorio dello Stato o, se formati
all’estero, aventi ad oggetto il trasferimento di
diritti reali o la locazione o l’affitto di beni
immobili o aziende situate in Italia.
Sono, invece, esclusi dal campo di applicazione dell’imposta i contratti verbali, ad eccezione di quelli espressamente previsti dall’art. 3, comma 1, del
D.P.R. n. 131/1986 (contratti verbali di locazione o
di affitto di beni immobili esistenti nel territorio
dello Stato e relative cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite nonché di trasferimento e di affitto
di aziende esistenti nel territorio dello Stato e di
costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento sulle stesse e relative cessioni, risoluzioni e
proroghe anche tacite).
Per tutti gli altri contratti verbali la registrazione
è prevista qualora le relative disposizioni siano
enunciate in altri atti, ai sensi dell’art. 22 del
D.P.R. n. 131/86.
Si sottolinea - inoltre - che la registrazione, con il
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relativo pagamento dell’imposta, può essere obbligatoria in termine fisso ovvero solo in caso d’uso
(art. 5, comma 1, del Testo unico) (si ha «caso
d’uso» quando un atto si deposita, per essere acquisito agli atti, presso le cancellerie giudiziarie
nell’esplicazione di attività amministrative o presso le Amministrazioni dello Stato o degli enti pubblici territoriali e i rispettivi organi di controllo,
salvo che il deposito avvenga ai fini dell’adempimento di un’obbligazione delle suddette amministrazioni, enti o organi ovvero sia obbligatorio per
legge o per regolamento, art. 6, D.P.R. n. 131/
1986).
Ciò chiarito, si osserva poi che, con riferimento agli
obblighi di registrazione, in cui si sostanzia - in
fondo - il tributo di registro, occorre distinguere
tra comodato di beni immobili e comodato di beni
mobili.
Comodato di beni mobili
Per quanto concerne il comodato di beni mobili, in
forma scritta, è opportuno richiamare l’art. 3, parte seconda, della Tariffa, che prevede, per l’atto
redatto nella forma di scrittura privata non autenticata, la registrazione solo in caso d’uso, con
l’applicazione del tributo fisso di registro di euro
168,00. Qualora, invece, lo stesso contratto venga
redatto in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata è soggetto all’obbligo di registrazione in termine fisso con l’applicazione dell’imposta nella misura fissa di euro 168,00, secondo il
disposto dell’art. 11 della Tariffa, parte prima, del
D.P.R. n. 131/1986, che prevede l’obbligo della registrazione per gli atti pubblici e le scritture private
autenticate non aventi per oggetto prestazioni a
contenuto patrimoniale. In tal caso il contratto di
comodato sarà soggetto all’obbligo di registrazione
in termine fisso (venti giorni dalla data dell’atto).
Comodato di beni immobili
Il contratto di comodato di beni immobili, in forma scritta, è annoverato tra gli atti soggetti a registrazione in termine fisso (venti giorni dalla
data dell’atto se formato in Italia, sessanta giorni
se formato all’estero) dall’art. 5, comma 4, parte
prima della Tariffa annessa al D.P.R. n. 131/1986,
per i quali è prevista l’applicazione dell’imposta di
registro nella misura fissa di euro 168,00 (importo
cosı̀ elevato da euro 129,11, con effetto dal 1º febbraio 2005, dal punto 1 dell’Allegato 2-bis, previsto
dall’art. 1, comma 300, della legge 30 dicembre
2004, n. 311 e succ. modif.).
Poiché nella disposizione recata dal comma 4 dell’art. 5 della Tariffa sopra richiamata non vi è alcun
riferimento alla tipologia della forma, l’Agenzia
delle entrate con Risoluzione 6 febbraio 2001, n.
14 ha ritenuto che il contratto scritto è sottoposto
all’obbligo della registrazione indipendentemente
dalla specifica forma in cui è redatto (atto pubblico, scrittura privata autenticata o non autenticata)
in quanto l’obbligo della registrazione discende direttamente dalla natura dei beni oggetto di comodato.
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Contratto verbale di comodato
L’art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 131/1986, nell’elencare i contratti verbali da sottoporre a registrazione, non richiama anche il contratto di comodato,
per cui ne discende che i contratti verbali di
comodato, sia che abbiano per oggetto beni immobili che beni mobili, non sono soggetti all’obbligo
della registrazione, tranne nell’ipotesi di enunciazione in altri atti (Risoluzione n. 14/E/2001).
Infatti, in virtù del rinvio operato dall’art. 3, comma
2, del Testo unico, al contratto di comodato si applicano le statuizioni concernenti l’enunciazione di
atti non registrati previste dall’art. 22, il quale stabilisce che «Se in un atto sono enunciate disposizioni contenute in atti scritti o contratti verbali non
registrati e posti in essere fra le stesse parti intervenute nell’atto che contiene la enunciazione, l’imposta si applica anche alle disposizioni enunciate.
Se l’atto enunciato era soggetto a registrazione in
termine fisso è dovuta anche la pena pecuniaria di
cui all’art. 69»(oggi sanzione pecuniaria prevista
dall’art. 1, comma 1, lett. b, del D.Lgs. 18 dicembre
1997, n. 473).
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Enunciazione di atti non registrati
Si premette che l’»enunciazione» costituisce un
istituto tipico dell’imposta di registro e si concretizza quando in un atto scritto presentato per la
registrazione vengono richiamati precedenti atti
scritti o contratti verbali non registrati posti
in essere tra le stesse parti intervenute nell’atto che
contiene l’enunciazione. In tal caso l’imposta si applica, oltre che all’atto da registrare, anche agli atti
o contratti enunciati.
Con riferimento all’enunciazione di atti non registrati, argomenta la richiamata Risoluzione n. 14/
E/2001 che la Corte di Cassazione, con sentenza
n. 13 del 3 gennaio 1991, ha affermato che «nel
sistema della legge di registro se una convenzione
verbale è enunciata in un atto scritto resta soggetta
anch’essa all’imposta (c.d. tassa di enunciazione)
quando presenti una diretta connessione con il contenuto dell’atto enunciante» e che, sulla specifica
problematica legata all’applicazione dell’art. 22 del
D.P.R. n. 131/1986, la Corte Costituzionale, anche
se per diversa fattispecie, si è espressa con sentenza 21 gennaio 1999, n. 7, riconoscendo la piena
legittimità della tassazione degli atti enunciati in
provvedimenti giurisdizionali, affermando altresı̀
che «se l’atto enunciato era soggetto ad imposta
in termine fisso, le parti risultano inadempienti ad
un loro preciso dovere fiscale; nonostante ciò la
legge consente loro di allegarlo o enunciarlo ugualmente ed al giudice di porlo alla base della propria
decisione. Tale garanzia, peraltro, non può comportare la trasformazione in lecito di un comportamento illecito; per questo il legislatore delegato ha disposto che l’atto sia inviato all’ufficio del registro
per essere sottoposto alla tassazione ed all’applicazione delle sanzioni per la ritardata registrazione.
Se, invece, il provvedimento enunciato è soggetto a
tassazione in caso d’uso, è proprio la sua allegazione in giudizio che, rappresentandone una forma
d’uso, ne legittima la sottoposizione all’imposta di
registro. D’altra parte, si è già sottolineato che, per
essere conforme alla Costituzione, la normativa va
interpretata nel senso che deve essere tassato non
qualunque atto la cui esistenza sia stata generica-
mente segnalata dalle parti, ma soltanto quei provvedimenti posti dal giudice alla base della propria
decisione».
In conclusione, dal quadro normativo sopra rappresentato discende ad avviso dell’Agenzia delle Entrate (Risoluzione n. 41/E/2001) che i contratti verbali
di comodato, sia che abbiano per oggetto beni immobili che beni mobili, non sono soggetti all’obbligo
della registrazione, tranne nell’ipotesi di enunciazione.
Modalità di versamento
Non è superfluo precisare, infine, che per il comodato di beni immobili l’imposta di registro, nella più
volte indicata misura fissa di euro 168,00, viene
versata con il modello F23, mediante utilizzazione
del codice tributo 109T (imposta di registro per
atti, contratti verbali e denunce).
Comodato e IVA
Il contratto di comodato, essendo normalmente
gratuito, dà luogo a prestazioni che rimangono fuori
dal campo di applicazione dell’IVA per difetto del
requisito dell’onerosità previsto dagli artt. 2 e 3 del
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.
Tuttavia, detto contratto può venire a rilevanza per
questa imposta in base ad altre circostanze, precipuamente nell’ambito delle presunzioni di cessione
e di acquisto regolate dal D.P.R. 10 novembre 1997,
n. 441, subentrato all’art. 53 del D.P.R. n. 633/1972
con effetto dal 7 gennaio 1998.
TAVOLA 1 - QUADRO DI SINTESI
I contratti di comodato sono soggetti a registrazione con imposta fissa di registro di euro 168,00:
a) in termine fisso
— se concernono beni immobili (Tariffa, parte prima, art. 5)
— se concernono beni mobili e siano formati per atto pubblico o scrittura privata autenticata (Tariffa, parte prima,
art. 11)
b) in caso d’uso
— se concernono beni mobili, siano formati mediante scrittura privata non autenticata (Tariffa, parte seconda, art. 3).
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Presunzione di vendita
L’art. 1 del D.P.R. n. 441/1997 stabilisce che si presumono ceduti i beni acquistati, importati o prodotti che non si trovano nei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni, né in quelli dei suoi
rappresentanti.
Tale presunzione non opera per i beni consegnati a
terzi a scopo di lavorazione, deposito, comodato o
in dipendenza di contratti estimatori, di contratti di
opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o
di altro titolo non traslativo della proprietà se la
consegna dei beni a terzi a titolo non traslativo della
proprietà risulti in via alternativa: a) dal libro giornale o da altro libro tenuto a norma del codice civile
o da apposito registro (libro c/lavorazione, deposito, ecc.) tenuto in conformità all’art. 39 del D.P.R.
n. 633/1972 o da atto registrato presso l’ufficio del
registro, dai quali risultino la natura, qualità, quantità dei beni medesimi e la causale del trasferimento; b) dal documento di trasporto previsto dall’art.
1, comma 3, del D.P.R. 14 agosto 1996, n. 472, progressivamente numerato dall’emittente e integrato
con la relativa causale, o con altro valido documento di trasferimento; c) da apposita annotazione effettuata, al momento del passaggio dei beni, in uno
dei registri previsti dagli articoli 23, 24 e 25 del
D.P.R. n. 633/1972, contenente, oltre alla natura,
qualità e quantità dei beni, i dati necessari per identificare il soggetto destinatario dei beni medesimi e
la causale del trasferimento (Circolare 23 luglio
1998, n. 193/E).
Presunzione di acquisto
Riguardo alla presunzione di acquisto, l’art. 3,
comma 1, del D.P.R. n. 441/1997 dispone che i beni
che si trovano in uno dei luoghi in cui il contribuente svolge le proprie operazioni si presumono
acquistati ove lo stesso non dimostri di averli ricevuti in base ad un rapporto di rappresentanza o ad
uno degli altri titoli di cui sopra, e nei modi ivi
indicati.
Per i beni ricevuti in base ad un rapporto di rappresentanza o ad altro titolo non traslativo della
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proprietà, la presunzione legale di acquisto può essere superata, a norma dell’art. 3, comma 1 citato,
analogamente a quanto accade per vincere la presunzione di vendita, con la dimostrazione da parte
del contribuente che i beni stessi sono giacenti in
base ad un rapporto di rappresentanza ovvero di
comodato, deposito, mandato, opera ecc.
Tale dimostrazione deve essere fornita dal contribuente con uno dei mezzi di prova indicati nell’art.
1 del D.P.R. n. 441/1997, sopra illustrati.
Operatività delle presunzioni
Con sentenza 25 luglio 2002, n. 10947, la Corte di
Cassazione ha stabilito che «in tema di IVA, il mancato rinvenimento, nei locali in cui il contribuente
esercita la sua attività, di beni, risultanti in carico
all’azienda in forza di acquisto, importazione o produzione, pone, ai sensi dell’art. 53 del D.P.R. 26
ottobre 1972, n. 633, e dell’art. 2728 cod. civ.,
una presunzione legale di cessione senza fattura
dei beni medesimi, che può essere vinta solo se il
contribuente fornisca la prova di una diversa destinazione, e che legittima il ricorso, da parte dell’ufficio, al metodo di accertamento induttivo ex art.
55, secondo comma, n. 2), del citato D.P.R. n. 633
del 1972».
In particolare, l’applicazione della presunzione di
cessione comporta in primo luogo l’irrogazione delle sanzioni previste dagli artt. 6, comma 1, e 13,
comma 1, del D.Lgs. n. 471 del 18 dicembre 1997
e consente, in secondo luogo, all’Ufficio di recuperare a tassazione il tributo dovuto della presunta
cessione, nelle forme della rettifica o dell’accertamento induttivo ai sensi rispettivamente degli artt.
54, comma 2, e 55 del D.P.R. n. 633/1972, a seconda
che ricorrano i presupposti dell’uno o dell’altro tipo
di accertamento (Circolare n. 193/E/1998).
Quanto, invece, alle conseguenze della presunzione
di acquisto, l’art. 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471/
1997, esplicitamente stabilisce la responsabilità
del (presunto) cessionario per le violazioni in tema
di fatturazione, il quale è, pertanto, comunque tenuto al pagamento delle sanzioni previste da detta
disposizione.
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Rilevanza del comodato per l’imposizione
diretta
Le presunzioni in argomento, specificamente preordinate all’esercizio dell’attività di controllo e di accertamento dell’imposta sul valore aggiunto e, più
precisamente quelle di cessione, non possono non
riflettersi, quanto ai loro effetti, anche nel campo
dell’imposizione diretta, quantomeno nella forma di
«presunzioni semplici», nota la Circolare n. 193/
E/1998.
Tuttavia, la Corte di Cassazione con sentenza 5 novembre 2001, n. 13667, ha argomentato che del
tutto immotivata ed apodittica è l’affermazione di
immediata, automatica trasposizione dell’accertamento operato ai fini dell’applicazione dell’IVA a
quello praticato ai fini delle imposte dirette: se è
vero, infatti, su un piano assolutamente generale,
che la base imponibile dell’IVA è costituita da elementi che rilevano anche ai fini dell’imposizione sui
redditi (ricavi o corrispettivi che derivano dall’esercizio di imprese, arti o professioni), non è meno
vero, ad es., che, in sede giurisdizionale, la prova
del fondamento della pretesa tributaria, gravante
sull’Amministrazione finanziaria che la fa valere in
giudizio, deve essere adeguata alla disciplina della
singola imposta di cui si chiede l’applicazione.
Sussistendo, pertanto, i presupposti giuridici per
l’applicazione, agli effetti dell’IVA, delle surrichiamate presunzioni di legge, gli Uffici locali delle
Agenzie delle entrate avranno cura, in tali fattispecie, di attivare, con introduzione dei descritti correttivi, accertamenti unificati per i recuperi dei
maggiori ricavi conseguiti anche ai fini delle imposte sui redditi.
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