Leggi l`elaborato - Fogli di Viaggio

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Leggi l`elaborato - Fogli di Viaggio
Rapsodia Boema
IL VIOLINO
“Chi è quel pazzo?”
Se lo stanno chiedendo in molti, sotto al bell’arco dello Spielzeugmuseum di Monaco di Baviera.
Tra la frenesia dei pedoni che giungono da Marienplatz, c’è un tizio alto con un cappello in testa
che si è messo a fare delle piroette.
Così, gira su sé stesso a braccia aperte.
Guardate! Si è persino dato lo slancio con quella borsa che porta a tracolla.
Non c’è da stupirsi se il cappello gli è volato a terra.
Lui però non sembra preoccuparsene. Anzi, il cappello lo lascia proprio lì dove gli è caduto e si
allontana con due lunghi passi.
Un altro passo ancora.
Si sfila piano la borsa, la apre e… compare un violino.
Il tizio alto se lo appoggia delicatamente sulla spalla e inizia a suonare.
Sembra quasi che si stia unendo alla melodia della città, con i suoi rumori crepitanti e il pulsare
delle luci.
Ispirato dai profumi e dai colori, dai silenzi e dai boati, dalle parole e dagli sguardi, in quel crocevia
di genti e trambusti.
La cerchia di curiosi che si è fermata a guardalo si fa sempre più numerosa.
Qualcuno si è messo a fare un video col telefono, qualcun altro a scattare nervose foto con lampi
di luce.
Un ragazzo gli si è messo proprio affianco! Si diverte con lui, schiaffeggiandosi forte i palmi,
facendo qualche fischio e qualche trrrrrrrrrrr.
Sembra una vera e propria danza con la città.
Le ultime note e scoppia un fragoroso applauso.
Qualcuno corre ad abbracciarlo e ci scambia due chiacchiere:
“Come ti chiami?” gli chiede.
“Mi chiamo Zeb, suono le città.”
Eh già. Zeb, non potevo presentarvelo io, si sarebbe offeso. Perciò ho lasciato fare a lui.
Zeb è un musicista viandante. Non chiamatelo artista di strada!
Lui suona con la strada, non nella strada. Suona le città e le loro genti. Unendosi alla melodia del
momento, diversa in ogni istante e in ogni luogo.
Rendendo ogni angolo di mondo il palcoscenico di un piccolo teatro.
Stasera Zeb è davvero felice dell’interpretazione.
Potrebbe forse restare anche domani: di sabato sera, Marienplatz dovrebbe essere ancora più
ricca di spunti.
Ma lui non si è mai fermato per più di una notte.
È un pellegrino della musica da oltre cinque anni. In autunno, si concede tre settimane da
girovago. Parte dalla sua casa di Budapest e ogni mattina viaggia verso una nuova meta.
Farà così anche domani.
Con questo rimuginio di pensieri nella zucca, piano piano si incammina attraverso una lunghissima
via pedonale, diretto alla stazione centrale. Si ferma solo un momento, per ammirare il ballo dei
getti d’acqua nella grande fontana di Karlsplatz.
Un bel posto dove scrivere qualcosa.
Si fruga tra le tasche, tira fuori un taccuino tutto consumato e un matita smangiucchiata.
A gambe incrociate si siede per terra e appunta tutto ciò che Monaco gli sta lasciando.
Tanto o poco, ogni luogo ci lascia qualcosa.
Una sensazione, un brivido, un’emozione.
Non importa se buona o cattiva, bella o brutta, Zeb scrive sempre sul suo spartito di emozioni.
Domani mattina all’alba un treno lo porterà a Praga.
LE PERCUSSIONI
Siete mai stati a Berlino?
Se sì, può essere che siate passati affianco alla East Side Gallery. Una pelledochesca porzione
del muro di Berlino riempita di coloratissimi graffiti e lunga qualcosa come 1800 passi.
Almeno secondo i passi di Rosa, ma può essere che abbia perso il conto una volta ogni tanto.
Rosa è quella ragazza, tutta avvolta in un cappotto, che cammina nervosa più o meno alla metà
della Gallery.
Quella davanti al graffito di una falsa breccia da cui esplode un impetuoso fiume d'acqua blu.
Blu, proprio come il colore dei suoi capelli.
Sta passeggiando lungo la Gallery, diretta alla vicina fermata della metro di Warschauerstraße.
Uno zaino sulle spalle, le cuffie nelle orecchie e i propri pensieri in testa.
Già, perché se ci concentrassimo per ascoltare il chiacchiericcio nel suo cervello, sentiremo un
sacco di insulti e offese, contro quel caprone del suo fidanzato.
Ex-fidanzato, meglio.
Ieri notte era stata l’ultima notte passata ad aspettare che quello zoticone arrogante di Werner se
ne tornasse a casa stravolto. Garantito!
Era rimasto fuori tutta la notte con i suoi amici. Quelli che hanno mal digerito che facesse coppia
con Rosa. O probabilmente, hanno mal digerito il fatto che si fosse trasferita da lui.
Che poi, trasferita è una parola grossa! Diciamo che aveva portato lo spazzolino e il pigiama da
Werner.
Le serate durante le quali Werner esce con quella marmaglia, lui le chiama “momenti di
decompressione”, ma per Rosa sono pura immaturità. Sparisce per una intera notte di eccessi,
senza nemmeno mandarle un messaggio. Lasciando una metà di Rosa a preoccuparsi e l’altra
metà a rodersi il fegato. Non serve farglielo notare: quello scimmione non ammette mai le proprie
colpe!
Oltretutto, da oggi per Rosa iniziano due sudate settimane di ferie dalla caffetteria.
Quel lavoro le piace, ma l’ultimo periodo era stato piuttosto impegnativo e aveva davvero voglia di
staccare la spina.
Insomma, avrebbero potuto organizzare un viaggetto, ma Werner… niente!
Anche in quello dimostrava di non aver la voglia o l’intelligenza di impegnarsi nella loro storia.
Stamattina presto la radio della cucina passava un pezzo degli Smiths.
Seduta su una sedia a gambe incrociate, davanti a una tazza di caffè, Rosa aveva deciso di
lasciare Werner.
Non solo! Aveva deciso di andarsene in vacanza da sola in queste due settimane.
Si era passata le mani tra i capelli blu. Un ciuffetto aveva iniziato a sbandierarle davanti agli occhi,
quasi ondeggiando a tempo di musica
Sadly, this was your life / But you could have said no, if you'd wanted to … *
Ok, basta!
Si era alzata in piedi di scatto, lasciando a metà la tazza di caffè.
Mordendosi il labbro inferiore, si era lanciata sul mobiletto sotto alla radio.
Lì sotto aveva iniziato a frugare velocemente tra mille e una cianfrusaglie. Stava cercando lo
zainetto che aveva scovato al mercatino delle pulci di Arkonaplatz.
*
Purtroppo, la tua vita era questa / Ma avresti potuto dire no, se lo avessi voluto …
Eccolo! Per la seconda volta lo aveva dissotterrato da cumuli di altri oggetti. Lo aveva scelto per
portare alcune cosa da Werner. Ora, invece, lo avrebbe usato per andarsene.
Spazzolino e pigiama, qualche mutandina e molti calzini. Delle magliette e tutti i contanti che era
riuscita a trovare per casa.
Tutto dentro lo zainetto e via, fuori!
Ed eccola passeggiare oltre la fine del muro della East Side Gallery, scattare oltre l’incrocio e
allungare il passo verso la fermata della metro che l’avrebbe portata alla stazione centrale di
Berlino.
Non ha le idee molto chiare, ma se dovessimo cercare di riassumerle, sarebbero più o meno
queste: scegliere un treno a caso, partire.
LA TASTIERA
Lukasz è sul treno da oltre sette ore.
Questo viaggio si stava rivelando più lungo del previsto. Cioè, non in termini di durata, ma di
sopportazione.
Non ce la faceva più. Era stanco, sudaticcio e gli faceva male il fondo schiena.
E aveva fame.
Ieri sera si era preparato dei sandwich da mangiare sul treno. Solo che si stava annoiando così
tanto che prima di mezzogiorno si era già spazzolato tutto.
Sono appena le 14 e dovrebbe mancare un’altra ora di viaggio.
È stanco di leggere, stanco di stare seduto, di guardare dal finestrino e di sentire parlare le
persone.
Purtroppo a questo viaggio non poteva dire di no.
Jacek, il fratello maggiore di Lukasz, domani mattina si sposerà con Barbora.
Fin qui tutto bene.
Ok, diciamo che Jacek non era mai stato un ragazzo sedentario.
Ma chi si sarebbe aspettato che da Varsavia se ne andasse a prendere moglie in Repubblica
Ceca?
Lukasz doveva perciò sciropparsi ottocento chilometri di treno per andare al matrimonio del fratello
a Praga… uff!
Aveva anche pensato di inventarsi qualche scusa:
“Ho pochi soldi in questo periodo.”
“Ieri sera ho mangiato qualcosa che deve avermi fatto male allo stomaco...”
Ma come avrebbe potuto dire di no a suo fratello?
Soprattutto dopo che gli aveva chiesto di suonare la marcia nuziale al matrimonio:
“Vieni con la tastiera” gli aveva detto Jacek al telefono “Il vestito bello te lo procuro io.”
“Mi vieni a prendere alla stazione?” aveva chiesto Lukasz.
“Sono impegnato nei preparativi, non ci riesco. Ma non ti preoccupare! Arrivare qui è più facile di
quel che sembra. Prendi la metro verde per qualche fermata e poi ti fai una passeggiatina di dieci
minuti o prendi un tram, vedi tu. Arriva fino alla piazza di Malá Strana, il Piccolo Quartiere. Quella
che sembra fatta a scacchiera.”
Bah, magari è davvero più facile di quel che sembra.
Gli scoccia solo avere tutte queste ore di viaggio sulle spalle e lo stomaco vuoto.
PRAGA
Zeb era arrivato a Praga in tarda mattinata.
Lasciata la stazione centrale alle spalle, decise di proseguire con una bella camminata verso il
centro della città vecchia.
Raggiunse una strada di ciottoli e si perse in un incantato labirinto di viali stretti, ma luminosi.
Passò molto tempo camminando a collo all’insù, sbirciando le alte guglie che sovrastano il cielo di
Praga.
E quei tetti rossi e seducenti… Quanto avrebbe voluto essere un uccello e svolazzare da un
comignolo all’altro!
Seguendo proprio il volo di un uccellino, abbassò la sguardo a terra, smarrendosi in un perfetto
mosaico di mattonelle, nelle scacchiere bianche e grigie dei marciapiedi.
Vagò perdendosi nel profumo di caramello dei vicoli, tra scintillanti vetrine di cristallo e spaventosi
negozi di marionette.
Praga era una bomboniera che profumava di zucchero.
Aveva bisogno di mandar giù un boccone, prima di capire dove avrebbe potuto mettersi a suonare.
“Ci mancava solo il ritardo di quel maledetto treno!” bofonchia tra sé Lukasz.
Appena sceso dal treno, si trova già perso all’interno della stazione centrale di Praga.
Uno spazio troppo ampio, enorme.
Il pavimento fatto a strisce e tutto quel rosso sul soffitto lo stanno disorientando.
Non che abbia la più pallida idea di dove andare, ma lo distraggono comunque.
Perdersi lo innervosisce.
“Ah, ecco la mappa della metro!” sussurra guardando attentamente quei serpentoni colorati che si
intrecciano l’un l’altro.
“Dannazione! Quel facilone di Jacek!” borbotta , maledicendo il fratello.
“Meglio se me ne vado a piedi fino a questa fermata, Muzeum.” dice battendo l’indice sopra la
mappa.
Stava per venirgli un tremendo mal di testa da nervosismo.
Ironia della sorte, il tunnel della fermata della metro di Muzem è tutto rivestito di mattonelle rosso e
arancio. Lo fanno assomigliare a un grosso blister di medicine. Tanti pilloloni tondi e colorati.
“Non ci credo!” si lamenta Lukasz guardandosi attorno e battendosi una mano sulla fronte.
Si lascia scivolare piano la mano sulla faccia e lo sguardo gli cade su dei ciuffi di capelli blu.
Una ragazza.
“Blu. Almeno è un colore che aiuta a far passare il mal di testa.”
Fermata della metro di Malostranská, ai bordi del Piccolo Quartiere.
Rosa stringe a sé lo zainetto. Dietro di lei c’è un tizio buffo con una grossa borsa che inciampa di
continuo. Sembra arrabbiato, parla tra sé e sé, ma in una lingua che Rosa non comprende. La fa
sorridere, ma come molte facce incrociate in viaggio, se ne dimentica.
Si distrae guardando gli intrecci delle mattonelle bianche e grigie del marciapiedi.
“Un marciapiedi bianco e grigio!” farfuglia Lukasz, “Il mio mal di testa non mi lascerà pace!”
Si accorge che ad alcuni metri davanti a lui c’è ancora la ragazza con i capelli blu.
“Bizzarra.” pensa Lukasz inciampando su un piccolo gradino “Maledizione!”
Si ferma un momento, cercando di capire in quale direzione sia la piazza di Malá Strana.
Dalla fermata della metro dovrebbero essere dieci minuti di camminata, almeno secondo quello
che gli aveva detto Jacek.
“Che poi… come faccio a capire qual è la piazza a scacchi bianchi e grigi…. Qui è tutto bianco e
grigio!”
Zeb è entusiasta!
Sta passeggiando lungo il ponte Carlo. Un magnifico e suggestivo ponte dominato da alte statue di
pietra scura. Maestose e inquietanti.
Prosegue facendo qualche piroetta, tenendosi ben stretto il cappello.
Il suo cuore è così colmo di meraviglia che quasi non si accorge di essere sbucato in una piazza
incorniciata da sfarzosi palazzi barocchi.
Il sole inizia a sdraiarsi lentamente sui tetti.
Tutto è brulicante di vita, profumi e… Dum-du-du-dum.
Musica!
Solo che stavolta la musica non è solo nella vivace fantasia di Zeb. La musica arriva davvero dalla
piazza.
IL CONTABBASSO
Daniel adora suonare il contrabbasso in questo modo!
Anche se è un pochino cicciotto, sa che il contrabbasso può reggere il suo peso.
Ogni volta che pensa di essersi scaldato al punto giusto, Daniel si arrampica con entrambi i piedi
su un fianco della cassa.
Continua a suonare in quella posizione, rimanendo in equilibrio.
Lo fa sentire uno scalatore o un supereroe.
Daniel studia sociologia all’Università di Praga e, ogni sabato pomeriggio, spezza la settimana di
studio organizzando un siparietto nella piazza di Malá Strana.
Lo fa armato di un piccolo carro di legno su cui trasporta un tappeto, il contrabbasso, un microfono
e un amplificatore.
Stende il tappeto sopra l’ampio spartitraffico a scacchi, al centro della piazza, e prepara il proprio
cabaret.
L’asta del microfono su un lato del tappeto, il contrabbasso al centro.
Daniel adora gli strumenti musicali e ne accumula di ogni tipo. Perciò ogni tanto, all’altro lato del
tappeto, ci mette qualche strano strumento.
Oggi si è presentato con un cajon, una cassa di legno sulla quale ci si può sedere sopra e dare il
ritmo, picchiettando su una delle facce. Un tamburo di legno, insomma.
Perché lo fa?
Perché crede che ogni posto, nel mondo, sia ricco di melodia.
Crede che la musica sia un linguaggio universale. Che vada oltre gli schemi di lingue e culture.
Pensa che, mettendo gli strumenti a disposizione di chiunque, si possa creare una specie di
dialogo magico.
Un nobile proposito, certo. Ma ahimè, di solito non si ferma mai nessuno e Daniel finisce per fare
lunghi monologhi al contrabbasso.
Ed è proprio ancora lì, arrampicato sul suo contrabbasso, quando inizia a sentire il delicato suono
di un violino.
IL CONCERTO
Rosa cammina veloce attraverso un lungo porticato.
Da sotto gli archi, scorge un angolo molto trafficato della città: tram, auto e pedoni che girano e si
mescolano quasi a ritmo di musica.
Un momento… Si mescolano davvero a ritmo di musica!
Accelera il passo, fino a sentire male ai talloni.
Sembra che ci siano due matti che suonano su un tappeto in mezzo alla piazza.
Un tappeto magico.
C’è un tizio grassottello a cavallo di un contrabbasso e un ragazzo alto alto che gli gira attorno col
violino.
Rosa si avvicina allo strambo duo e resta estasiata ad ascoltarli suonare.
Una musica vivace sul maestoso sfondo di eleganti palazzi.
Li guarda sorridendo, battendosi i palmi delle mani sulle cosce. Seguendo il ritmo di quella
melodia.
Incrocia casualmente lo sguardo del tizio grassoccio. Lui sorride e con gli occhi le indica una cassa
di legno su un lato del tappeto.
Rosa non è sicura che il cenno sia rivolto a lei, ma vede un gioco di sguardi tra il contrabbasso e il
violino.
Il violinista alto alto, con un romantico volteggio, gira attorno al contrabbasso e finisce proprio
davanti a Rosa.
Stacco. Il violista si interrompe.
Si toglie il cappello e, con un inchino, fa cenno a Rosa di accomodarsi sul tappeto.
Lo spilungone riprende a suonare.
Rosa ride, da sola e assieme alla musica.
Si toglie scarpe e calzini e, a piedi nudi, sale in groppa al tappeto magico.
Si siede sulla cassa.
Chiude gli occhi, respira a fondo e si unisce alla melodia.
“Prendi un tram o vai a piedi. È facilissimo…” continua a lamentarsi Lukasz pensando alle
indicazioni date dal fratello “… finché arrivi nella piazza a scacchi… ”.
Sotto la stessa via porticata che ha percorso Rosa pochi istanti fa, Lukasz inciampa ancora una
volta. Che sia questa città che ce l’ha con lui?
Si osserva i piedi, accorgendosi di avere una scarpa slacciata.
Fa spallucce, si china per riallacciarla e in quel momento ammira la città dal basso.
Si accorge della marea di persone che si riversa nella strada poco più avanti. Vede tram che
sibilano eleganti e persino una carrozza trainata da un cavallo.
Tutto si muove con grazia, nella luce gialla del tardo pomeriggio.
C’è una melodia che fa da colonna sonora allo spettacolo che gli sta scorrendo davanti.
Una melodia preziosa, calda e dolce, quasi zuccherina.
“Che strano…” pensa Lukasz.
Si rialza, curioso di vedere meglio cosa stia succedendo laggiù in fondo.
Passeggia veloce fino all’ultimo arco del portico e si ferma, immobile e muto, sul bordo del
marciapiedi.
La musica arriva proprio dal centro della piazza, suonata da un intrepido trio di musicisti.
E la ragazza dai capelli blu è con loro!
Lukasz si avvicina al trio, come rapito dalla melodia, fermandosi a pochi passi dal tappeto.
Posa la borsa con la tastiera a terra, rimanendo imbambolato.
La ragazza con i capelli blu si accorge di lui. O almeno così gli sembra.
Lei si volta fischiettando verso il violista.
Con una elegante piroetta, il tizio al violino passa affianco alla ragazza e compare davanti a
Lukasz.
Cosa fa?! Sembra gli stia dicendo di unirsi a loro.
Indica un microfono.
Lukasz aggrotta le sopracciglia e muovendo solo le labbra dice nella propria lingua:
“Ma io sono un tastierista…”.
Il violinista gli sorride.
Assurdo, ma sembra che abbia capito e che con quel sorriso gli abbia risposto: “Lo so. Vieni!”
Lukasz si china tra gli scacchi della piazza, apre la borsa e afferra la tastiera.
La posa su un vecchio carro fermo affianco al tappeto-palcoscenico. Velocemente stacca il cavo
dal microfono e lo riattacca alla tastiera.
Si scrocchia le dita di entrambe le mani.
Sorride.
Inizia a suonare e la piazza diventa il loro teatro.
Poco importa se suoneranno solo stasera o se lo faranno anche altre volte.
Quello che conta è che in questo momento, proprio adesso, sono tutti felici.
Tutti.
Anche le persone che stanno ferme a guardarli suonare. Quelle che passano veloci su un tram e
quelle che, da dentro le loro case, vengono rapite da una musica dolce che sembra arrivare dal
cuore della città.
In questo istante, a occhi chiusi o aperti, tutti sognano.
Sognano, sul teatro del mondo.